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Controllo e Autodeterminazione nel Lavoro Sociale: Potere, Autorità e Manipolazione - Prof, Sintesi del corso di Sociologia della devianza

Il concetto di controllo sociale nel lavoro sociale, analizzando le forme di potere esercitate dagli assistenti sociali sui loro utenti. Vengono discusse le modalità di esercizio del potere, come il controllo sociale, l'influenza, la manipolazione e l'autorità, e le loro conseguenze sulla devianza degli utenti. Il documento illustra anche come gli utenti possono contrastare il potere esercitato su di loro attraverso strategie di resistenza individuali.

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 13/02/2024

danielashytaj6
danielashytaj6 🇮🇹

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Scarica Controllo e Autodeterminazione nel Lavoro Sociale: Potere, Autorità e Manipolazione - Prof e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia della devianza solo su Docsity! martedì 22 agosto 2023 CONTROLLO E AUTODETERMINAZIONE NEL LAVORO SOCIALE Gli assistenti sociali esercitano potere? SI -> hanno la capacità di produrre effetti intenzionali -> essi sono professionisti che operano all’interno di istituzioni create per regolare le condotte di persone che sono considerate devianti. Essi esercitano controllo sociale -> devono prevenire la devianza di un soggetto, oppure eliminare una devianza avvenuta ed impedire che la devianza si estenda ad altri soggetti. Distinzione tra: • Interventi di sostegno e di cura: fondati sul consenso degli utenti verso un progetto • Interventi di controllo: in cui gli utenti sono obbligati ad adottare o non adottare determinati comportamenti. In questo caso esercitati dagli assistenti sociali Esistono due modi con i quali si può esercitare il controllo: 1) Modalità HARD -> con cui si obbliga una persona a fare qualcosa che non avrebbe mai fatto di sua iniziativa, minacciando il ricorso a sanzioni, negando l’accesso a risorse o utilizzando forme di coercizione 2) Modalità SOFT -> con cui la conformità alle norme viene ottenuta ricorrendo alla persuasione o alla manipolazione Gli assistenti sociali sono pero professionisti che devono orientale il proprio operato non solo facendo riferimento alle normative delle istituzioni in cui lavorano, ma anche adottando uno specifico codice etico, per cui la persona viene riconosciuta come “soggetto capace di autodeterminarsi e di agire attivamente”. La prospettiva teorica del CRITICAL SOCIAL WORK: Secondo questa teoria l’obiettivo principale degli assistenti sociali è l’impegno a perseguire la giustizia sociale. Ciò che caratterizza un approccio critico al lavoro sociale riguarda le modalità con cui la giustizia sociale deve essere perseguita: A. Gli assistenti sociali che adottano una prospettiva critica riconoscono la natura strutturale dei problemi sociali e individuali, riconoscono quindi che la struttura sociale ed economica di una società condiziona le esperienze individuali. Le condizioni di vita degli individui dipendono in larga misura dalla loro posizione nella struttura sociale (appartenenza di classe), da tale posizione dipende la capacità di far fronte più o meno efficacemente ai propri bisogni. B. Un approccio critico mette in discussione quelle pratiche professionali che contribuiscono ad alimentare la falsa coscienza che la povertà sia una responsabilità dell’individuo. Adottando, invece, una visione dei problemi sociali che tenga conto di quanto la struttura possa facilitare o impedire l’azione degli attori sociali, gli assistenti sociali che adottano tale prospettiva si impegnano a creare le condizioni per incentivare l’agency personale e collettiva affinché si sviluppino forme di azione collettiva che modifichino le condizioni strutturali che perpetuano l’oppressione e l’ingiustizia sociale. 1 martedì 22 agosto 2023 C. Per promuovere le condizioni che possono favorire la trasformazione delle strutture e dei processi che sostengono l’oppressione e l’ingiustizia socialé, gli assistenti sociali devono adottare un approccio critico riflessivo per mettere a fuoco due questioni rilevanti: che tipo di sapere, cioè quali categorie interpretative adottano per orientare i propri interventi; e chi detiene il potere (e come lo usa) Controllo e lavoro sociale: Per la teoria critica il lavoro sociale dovrebbe quindi perseguire la giustizia sociale, promuovere i diritti umani, stare dalla parte degli oppressi e degli individui esclusi. La relazione sociale operatore/utente si può configurare come una relazione di dominio, nella quale gli operatori (dominanti) possono influenzare i comportamenti sociali dei loro utenti stabilendo ciò che è giusto, opportuno, desiderabile e ciò che non lo è. L’assistito deve meritare di essere aiutato ed è considerato meritevole colui che segue le indicazioni dell’operatore. La questione del controllo (e del potere) nell’ambito del lavoro sociale deve essere necessariamente collegata ad una serie di interrogativi che rimandano ai processi di costruzione sociale della devianza degli utenti: -quali valori gli operatori stanno supportando nel momento in cui esercitano controllo sociale -chi ha deciso quali norme e valori devono essere supportati -come si decide se un soggetto ha infranto tali norme e valori -come si spiega tale devianza -come si trattano tali soggetti -e più in generale come si può esercitare il potere in un’ottica anti-oppressiva Inoltre, il “sapere” degli operatori nella relazione di dominio gioca un ruolo fondamentale: è infatti attraverso il sapere che le persone e le loro condotte sono classificate, ordinate e regolate. Lo status professionale offre una forma di legittimazione nelle relazioni di potere. Tale legittimazione si fonda sul fatto che si assume che a un determinato status professionale corrispondano specifiche competenze. La conoscenza è quindi collegata strettamente al potere poiché esercitare potere vuol dire avere anche la capacità di definire gli altri e le loro condotte con il “timbro della scienza”. Con l’espressione “medicalizzazione della devianza” si intende fare riferimento al processo attraverso cui un problema non attinente alla medicina viene trattato come se fosse un problema medico: sono trattati come malattie sia comportamenti che in passato venivano etichettati come devianze sociali (alcolismo, gioco d’azzardo, ecc.), sia eventi e processi che in passato erano ritenuti fenomeni naturali (gravidanza, invecchiamento, ecc.) 2 martedì 22 agosto 2023 difendere i propri interessi, e questi devono quindi essere definiti e portati avanti dai potenti per conto loro. L’operatore sociale paternalistico assume: -di agire per il bene dell’utente -di essere qualificato ad imporre la propria volontà in virtù della sua competenza a stabilire che cosa è bene per l’utente, considerato come una persona che non ha le capacità per individuare la soluzione migliore al suo problema -di essere legittimato ad interferire nella vita dell’utente dal suo mandato professionale È un tipo di potere che, ricorrendo alla scienza come fonte di legittimazione, lavora in una direzione anti-democratica. Una relazione di potere è invece trasformativa quando lo scopo dell’agente dominante non è semplicemente quello di agire per procurare un beneficio al soggetto subordinato, ma piuttosto quello di fare in modo che l’agente subordinato apprenda quelle competenze e acquisisca quelle risorse che gli consentiranno di superare il gap di potere esistente tra lui e l’agente dominante. Il potere trasformativo è usato per aiutare un’altra persona ad acquisire la capacità di autodeterminarsi (esso lavora in una direzione democratica). La resistenza al potere Sarebbe errato credere che il potere operi soltanto in modo unidirezionale (dall’alto verso il basso). Dove vi è potere, vi è anche la possibilità di resistervi. Per comprendere in che modo gli utenti dei servizi possono contrastare il potere esercitato su di loro, Smith presenta un continuum di possibili strategie adottabili dagli utenti nella relazione sociale con gli operatori. A un estremo del continuum vi sono forme relativamente passive di coinvolgimento che non sono necessariamente espressione di una condivisione del progetto d’intervento, mentre, all’estremo opposto, vi sono forme attive di controllo sulle modalità con cui i bisogni sono definiti, i diritti sono esercitati e gli interventi sono determinati. Nel mezzo di questa scala, vi sono forme di resistenza individuali al potere esercitato dagli operatori. Si va dalla non cooperazione, cioè la scelta di non ricorrere ai servizi (o interromperli) non ritenendoli utili risorse per affrontare il proprio problema; alla resistenza, cioè il rifiuto di ottemperare alle indicazioni degli operatori tentando di rinegoziare l’esistente relazione con i professionisti; alla sfida, cioè il mettere in discussione attraverso una forma molto più esplicita di resistenza, sia il potere di definizione della situazione proposta dall’operatore, sia la legittimità del potere dell’operatore. È evidente che tale abilità di agire strategicamente e intenzionalmente è pero’ condizionata dalla posizione sociale degli attori in gioco, che può consentire o meno l’accesso alle risorse utili per esercitare/contrastare il potere (conoscenza, ricchezza, forza, ruolo importante…ma anche uso della violenza e minaccia). 5 martedì 22 agosto 2023 Controllo sociale della devianza: il processo di formazione delle norme e le conseguenze della reazione sociale sul deviante Si è detto precedentemente come il controllo sociale sia una manifestazione di potere finalizzata a regolare il comportamento di quelle persone che sono etichettate come devianti. Poiché il potere è uno strumento tramite cui il gruppo dominante impone la propria visione del mondo e i propri interessi, per evitare che il potere “protettivo” esercitato dagli assistenti sociali diventi un potere oppressivo, la valutazione delle modalità con cui si esercita il controllo sociale deve basarsi sull’analisi dell’interdipendenza tra il comportamento deviante, il processo di formazione delle norme e le conseguenze della reazione sociale sulle persone etichettate come devianti. Il processo di formazione delle norme Una spiegazione sociologica della devianza, cioè di un comportamento che viola determinate norme sociali, deve tenere conto dei processi attraverso cui sono prodotte tali norme. Ciò che accomuna ogni spiegazione sociologica della devianza è l’idea che la natura della devianza sia relativa, nel senso che non esistono atti intrinsecamente devianti, in quanto la devianza è una qualità che viene conferita a quelle condotte che si ritiene abbiano violato uno specifico sistema normativo e valoriate. Ma esiste un ordine morale condiviso dai membri di una società, di cui sarebbero espressione le norme sociali? Le prospettive teoriche che vedono la società come una entità stabile e ben integrata rispondo affermativamente alla domanda. Le prospettive teoriche che vedono la società come un aggregato caratterizzato da un continuo scontro tra i gruppi sociali per il conseguimento di risorse strategiche, sostengono invece l’origine conflittuale delle norme. Nel primo tipo di spiegazione, il deviante è un soggetto che non è stato adeguatamente socializzato, poiché le norme e i valori che regolano i comportamenti sociali dovrebbero essere condivisi dai membri di una società, in un dato momento storico e contesto sociale. La norma infranta non viene messa in discussione e l’attenzione si focalizza sul comportamento deviante che deve essere corretto: la devianza è quindi un fenomeno “oggettivamente dato”. Nel secondo tipo di spiegazione del processo di formazione delle norme, quelle norme “poste a tutela del vivere sociale” non sono considerate espressione di un ordine morale della società, ma espressione dell’ordine morale del gruppo sociale dominante. La devianza ha pertanto una connotazione politica, poiché la definizione di che cosa è deviante e che cosa non lo è riflette gli interessi dei gruppi sociali che detengono il potere. In questa visione, il controllo sociale è una manifestazione del potere finalizzato a salvaguardare l’ordine morale della classe dominante e l’assistente sociale, come rappresentante dell’istituzione, non tutela tanto il “vivere civile” quanto piuttosto gli interessi della classe dominante. Quando la relazione professionale è vista come il riflesso di più ampie dinamiche di potere, il comportamento deviante dell’utente non può essere interpretato come una incapacità di “stare nei limiti” perché le definizioni di questi confini sono espressione di specifiche visioni del mondo e specifici interessi. 6 martedì 22 agosto 2023 Le conseguenze della reazione sociale sulle persone etichettate come devianti La seconda questione rilevante ha a che fare con le conseguenze della reazione sociale sulle persone etichettate come devianti. Non tutti i devianti sono scoperti e, se scoperti, non tutti subiscono lo stesso tipo di reazione sociale. La reazione sociale è selettiva poiché non è orientata da criteri oggettivi ma è espressione delle scelte e degli interessi di coloro che hanno il potere di “etichettamento”. Numerosi studi evidenziano come la probabilità di essere stigmatizzati e di subire la reazione sociale sia maggiore per gli individui che appartengono a quei gruppi sociali che sono dotati di minore potere nella società: per ragioni di razza, genere, classe sociale, livello di istruzione, membri di gruppi che risiedono in ambienti ritenuti criminogeni, individui dal cui aspetto e comportamento sono diversi da quelli dominanti, e infine per le persone che sono già state stigmatizzate, come gli ex detenuti. Quindi, in primo luogo gli individui si differenziano per la loro capacità di evitare che determinati comportamenti sociali siano etichettati come devianti. In secondo luogo, quando adottano comportamenti giudicati devianti, si differenziano per la loro capacità di evitare di essere scoperti e di controllare le impressioni degli altri. Per esempio, i genitori che utilizzano la violenza psicologica per controllare le condotte dei figli sono meno esposti rispetto ai genitori che utilizzano la forza fisica come metodo disciplinare. In terzo luogo, se scoperti, si differenziano per il loro potere di contrastare l’etichettamento attraverso la neutralizzazione della disapprovazione sociale e l’adozione di strategie finalizzate alla conservazione del prestigio e della rispettabilità sociale. Infine, se etichettati e trattati come devianti, si differenziano per la capacità di dimostrare pubblicamente di aver acquisito un’identità sociale non deviante. I teorici del conflitto ribaltano questo ragionamento e spostano l’attenzione sul ruolo del controllo sociale come causa della devianza: il controllo sociale non è più concettualizzato come la risposta della società al comportamento deviante, ma diventa una variabile indipendente, un agente causale, che spiega il comportamento deviante stesso. CAP. 2: SAPERE E CONTROLLO SOCIALE NEL LAVORO SOCIALE, DUE PARADIGMI: Per decidere se è necessario intervenire in una certa situazione, gli operatori devono raccogliere informazioni attraverso specifiche procedure scientificamente fondate. Nell’ambito della tutela dei minori, la valutazione del rischio di pregiudizio si basa su due tipi di approccio: da un lato vi è l’approccio definito “clinico”, in cui la valutazione del rischio si fonda sul giudizio professionale dell’operatore; dall’altro lato vi è l’approccio che utilizza procedure standardizzate per accertare la probabilità che si verifichi una situazione pregiudizievole per il minore. Nella pratica, il conflitto tra i due approcci viene stemperato utilizzando una combinazione tra i due, definita “giudizio professionale strutturato”. Questione ontologica 7
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