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Riassunto del libro "Un vivaio di storia. L'Europa nel mondo moderno" (Aurelio Musi), Dispense di Storia Moderna

riassunto dettagliato di tutti i capitoli del libro "Un vivaio di storia. L'Europa nel mondo moderno" di Aurelio Musi (Milano, Biblion, 2020).

Tipologia: Dispense

2021/2022

In vendita dal 14/12/2023

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Scarica Riassunto del libro "Un vivaio di storia. L'Europa nel mondo moderno" (Aurelio Musi) e più Dispense in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! STORIA MODERNA Un vivaio di Storia - L'Europa nel mondo moderno (Aurelio Musi) Introduzione - Alle radici della modernità Tre possono essere i significati di Età moderna: quello convenzionale; quello che la considera una sorta di preistoria dell'Età contemporanea; quello che la individua come il periodo storico di formazione e sviluppo dei fondamenti del nostro vivere in comunità. Secondo la tesi di Galasso si possono identificare tre significati di Storia moderna: 1) una semplice scansione cronologica; 2) un'idea minimalista; 3) un'idea forte. 1. Il periodo compreso tra il 1492 e il 1815 potrebbe essere considerato una semplice scansione cronologica nel tempo unilineare della storia. 2. I tre secoli dell'Età moderna sarebbero quelli che preparano la contemporaneità. Si tratta di una visione al tempo stesso minimalista e dipendente della storia moderna: minimalista perché riduttiva dal valore del moderno; dipendente perché è emersa in relazione alla nascita e allo sviluppo della Storia Contemporanea come disciplina autonoma di insegnamento universitario nella 2° metà degli anni ‘60. Perciò risulta problematica la definizione del concetto di storia contemporanea sia per la cronologia, sia per il significato dell'attributo “contemporaneo”. 3. Di fronte alla possibilità di legittimare concettualmente in senso forte il moderno, la modernità, vi è la difficoltà di fondare sul piano epistemologico la nozione di contemporaneo. Chi nel Novecento ha proposto un più convincente significato di storia contemporanea (Benedetto Croce) ha assunto l'attributo di contemporaneo come un atteggiamento dello storico nel costruire l’equilibrio tra il presente e il passato. La concettualizzazione del moderno sta nel concepirlo come il tempo- spazio in cui si costruiscono e si sviluppano i fondamenti e le vie diverse del nostro vivere in comunità. Così il ritmo della modernità è il ritmo stesso della storia. Si tratta di un blocco storico epocale unico: un blocco nel complesso unitario anche se al suo interno contiene più epoche. Nel "blocco moderno-contemporaneo" del 900 e fino a noi possiamo distinguere due discontinuità: le due guerre mondiali, le fratture fra XX-XXI sec. Così il periodo compreso fra le guerre mondiali e la globalizzazione può essere considerato un'epoca della storia moderna. Il suo punto di arrivo, a noi contemporaneo, presenta alcune fratture: il terrorismo internazionale o lo sconvolgimento demografico e culturale dell'Occidente oppure la fine delle ideologie e la formazione di nuovi sensi di appartenenza. Nella pratica didattica descrivere la modernità nella dimensione storica non è semplice. Tuttavia, alcune indicazioni possono contribuire a favorire una migliore comunicazione della storia moderna. 1° indicazione di tipo linguistico: esiste una differenza radicale tra scienza storica ed altri tipi di scienze (es. matematiche, fisiche, naturali, normative) La storia adotta un lessico proveniente dal linguaggio comune; le altre scienze hanno una nomenclatura lessicale propria. Le parole che noi usiamo appartengono al linguaggio quotidiano, cosa che in apparenza semplifica tutto: le parole della storia sono subito comprensibili, ma in sostanza, proprio perché la stessa parola può contenere più significati, tutto è più complicato. • 1° fase: la guerra è il contraddittorio intreccio fra invenzioni tecniche e distruzione. • 2° fase dell'Età Moderna: la crisi del 600 ha tra i suoi primi effetti la configurazione di diverse velocità dell'economia-mondo con la divisione tra centri, semiperiferie e periferie e i problemi derivanti dal rapporto tra sviluppo e sottosviluppo. • 3° fase: comprende il 700 come secolo dei Lumi, della ragione, delle trasformazioni. E' il secolo in cui si accentuano le diverse velocità dell'economia mondiale prodotte soprattutto dalla Rivoluzione industriale. • 4° fase: quella delle "Rivoluzioni atlantiche": l'800 si apre come un nuovo inizio. PRIMA PARTE- Egemonia imperiale: Il Cinquecento CAPITOLO 1- UNA GLOBALIZZAZIONE Mondo nuovo "Otro Mundo" espressione usata da Cristoforo Colombo dopo la sua prima spedizione. Alcuni anni dopo, nel 1502, il fiorentino Amerigo Vespucci, a conclusione di una serie di viaggi attraverso l'Oceano Atlantico, scrive una lettera a Lorenzo di Pierfrancesco de Medici, dove parla di "Mundus Novus", di un gigantesco continente sconosciuto. Il 1492 non è uno spartiacque rigido fra Medioevo ed Età moderna, ma la scoperta dell'America ha un significato e un'importanza enormi per la genesi del mondo moderno e dev’essere assunta come un evento periodizzante della sua storia. Il mondo cambia per diversi aspetti: • Si rimodella il sistema dei rapporti internazionali, modificando le rotte commerciali (il traffico si sposta dal Mediterraneo all’Atlantico), i prodotti (si importano viti, lino, canapa, caffè ed esportati mais, pomodoro, tabacco) e gli equilibri tra paesi (i paesi coloniali si rafforzano sempre di più); • Cambiano le basi dell’economia mondiale (capitalismo commerciale e finanziario con figure di banchieri, armatori, mercanti, ecc.); • Si avvia il fenomeno dell’espansionismo europeo; • Si avvia il processo di spartizione del globo tra grandi potenze. Per i contemporanei di Colombo il significato di "scoperta" era complesso: significava entrare in contatto con terre sconosciute, convertire al Cristianesimo popoli pagani, cercare tesori, avere la possibilità di immettere sul mercato nuovi prodotti, nuove merci. A tutto ciò va aggiunta la dimensione fantastica in cui confluivano motivi diversi: il sogno di vivere nel mondo rappresentato da alcuni romanzi cavallereschi e d'avventura, la possibilità di procurarsi gloria e fama, il mito dell'età dell'oro. Spagna erano sospinti verso il completamento della Reconquista, il consolidamento delle conquiste africane, la politica italiana. L'esperienza della scoperta e della conquista, sia prima che dopo Colombo, non può essere ridotta solo al ruolo del due paesi protagonisti, Portogallo e Spagna: fu un'esperienza storica europea che coinvolse energie economiche, sociali, politiche e culturali di molte aree del Vecchio Continente. Cristoforo Colombo La dimensione europea della scoperta è rappresentata nell’impresa di Cristoforo Colombo, figlio di un artigiano tessile che intraprende la via della navigazione al seguito di mercanti genovesi. Dal 1479 si stabilisce in Portogallo con il geografo umanista fiorentino Paolo Toscanelli, che lo convince della sfericità della Terra: il progetto di Colombo è quello di raggiungere le Indie orientali partendo dalle coste atlantiche dell’Europa. Ciò che spicca è la personalità stessa di Colombo, uomo pratico, navigatore, mercante, ma non insensibile alle suggestioni della cultura umanistica, servendosi dello studio di mappe medioevali, di geografi arabi, di ricerche di Paolo Toscanelli. Nella personalità di Colombo convivono l’uomo del Medioevo e l’uomo dell’Età Moderna: la sua era un’idea giusta con presupposti sbagliati (la Terra è più grande rispetto a quella immaginata da Colombo) ed una previsione mancata (l’esistenza del continente americano). Colombo presenta il progetto a Giovanni II, re del Portogallo: la risposta del sovrano è negativa. Vi sono due ostacoli: la perplessità del re sulla fondatezza del progetto e la difficoltà di investire energie al di fuori della strategia africana dell’espansione portoghese. Colombo si rivolge quindi ad Isabella di Castiglia e Ferdinando il Cattolico e, dopo un primo contatto con esito negativo, il secondo, nel 1491, dà esito positivo: è la vigilia della vittoria di Granada (1492), cioè del completamento della Reconquista (liberazione della Spagna dai Mori). Nel 1492 la Capitolazione di santa Fe concede a Colombo il titolo di ammiraglio, vicerè e governatore delle terre eventualmente scoperte. ➢ Prima spedizione: con una caracca e due caravelle, la santa Maria, comandata da Colombo, la Pinta e la Nina. Il 12 ottobre 1492, dopo una tormentata navigazione iniziata il 3 agosto, con la ciurma decimata, Colombo avvista terra. Crede di essere arrivato in Cina o Giappone, ma in realtà è giunto a San Salvador, l’isola delle Bahamas: è l’”Otro Mundo”. La scoperta è importantissima e al suo ritorno in Spagna, Colombo è oggetto di onori e festeggiamenti. ➢ Seconda spedizione: dopo pochi mesi e di porzioni più grandi rispetto alla prima, con 1500 uomini e 17 navi, un’aspettativa enorme da parte della Corona. Tra gli uomini di Colombo, nessun nobile o “grande” di Spagna: molti sono “hidalgos”, ossia cavalieri che non godevano di nessun titolo di nobiltà e che avevano preso parte alle imprese della Reconquista; pochi borghesi, molti artigiani e contadini. Essi non volevano solo arricchirsi in modo rapido, ma anche diventare signori, cambiare destini e status sociale. L’impresa serviva così anche a dare un segno a gruppi della società spagnola che si sentivano frustrati ed emarginati. ➢ La delusione per la Corona e per molti di questi uomini è forte dopo la seconda spedizione, ma riesce comunque ad ottenere l’autorizzazione per la terza spedizione: il 30 maggio 1498 parte con sole sei navi. Nei viaggi precedenti Colombo ha raggiunto il Messico, mentre ora tocca le coste dell’America latina. ➢ La gestione della conquista si fa difficile. La base del Nuovo Mondo, Santo Domingo, è in ebollizione: disordini, violenze, epidemie rendono precaria l’amministrazione di Colombo. Accusato di corruzione ed incarcerato, nel 1500 egli è inviato in Spagna, dove Isabella interviene e lo libera, affidandogli un’ultima spedizione (1502): egli costeggia l’Honduras, si spinge più a Sud, ma arenatosi, è costretto a tornare in Spagna, dove muore il 20 maggio 1506, abbandonato da tutti. Già dopo la prima spedizione di Colombo si posero subito due problemi: la legittimazione della conquista e l’esigenza di rinegoziare il trattato di Alcasovas, ossia la definizione delle aree di influenza di Spagna e Portogallo. Nel 1494 il Trattato di Tordesillas definiva le zone di influenza spagnola e portoghese: l’oceano dal polo artico all’antartico, era diviso da una linea immaginaria, posta a 370 leghe ad occidente dalle Isole di Capo Verde; tutto ciò che stava alla sua destra (ad oriente) era di pertinenza portoghese, tutto ciò che stava a sinistra (ad occidente) era di pertinenza spagnola. Questa spartizione del globo sarà destinata a generare in breve tempo il malcontento delle grandi potenze europee e la conflittualità internazionale. Era la seconda divisione di un mondo più vasto: una globalizzazione. Dalla scoperta alla conquista Dopo l’avventura di Colombo ed il trattato di Tordesillas vanno designandosi le direttrici dell’espansione transoceanica. PORTOGALLO: ha come due direttrici la via delle Indie Orientali e la progressiva scoperta e conquista del Brasile. Nel 1497 Vasco da Gama doppia il Capo di Buona Speranza e un anno dopo è a Calicut: torna con un carico di spezie, grazie al quale per alcuni anni il Portogallo porrà un’ipoteca su questo mercato, contrastando il predominio veneziano. Dopo un altro viaggio di Vasco da Gama, il Portogallo entra nella politica indiana, nomina i primi governatori, ma la fase eroica di spedizioni e scoperte non è ancora conclusa: tra il 1519 e 1522 Ferdinando Magellano, navigatore portoghese al servizio della Spagna, costeggia il sud America, si avventura nel nuovo oceano Pacifico e raggiunge le isole Filippine, dove muore ucciso dagli indigeni. Ad inizio ‘500 l’impero portoghese transoceanico comprende 3 nuclei: 1) le colonie agricole degli arcipelaghi dell’Atlantico (Azzorre, Madera e Capo Verde); 2) una vasta area dell’Africa dalla Sierra Leone al Congo (risorsa più importante è il commercio degli schiavi; 3) l’Estato da India, la più importante componente dell’impero portoghese; una lunga rotta marittima, la Carreira da India, collega la città di Lisbona con Goa. La risorsa più importante dell’economia di questo impero del Vecchio Mondo è il commercio delle spezie (pepe nero, zenzero, cannella, noce moscata): attraverso la Casa da India, la Corona portoghese possiede il monopolio del commercio, ma la nazione non era in grado di gestire l’esportazione dei prodotti, soprattutto nell’Europa settentrionale, il cui primato apparteneva ad Anversa. Ciò spiega la modalità di espansione del Portogallo: la Corona non dava vita ad una legislazione coloniale, ma cercava di applicare, con istruzioni specifiche ai governatori, le leggi della madrepatria ai coloni, di conferire al potere pubblico le principali funzioni politiche ed economiche, di allearsi con i principi indigeni locali per estendere l’influenza portoghese e vincere progressivamente le resistenze. Un’innovazione radicale nella struttura dell’impero portoghese fu la conquista del Brasile, tra il 1521 e 1530. Qualche anno dopo iniziò la corsa delle grandi potenze all’occupazione degli spazi d’Oltremare, per cui era evidente che l’accordo sulla spartizione non poteva reggere e che il peso internazionale degli Stati si giocava anche oltre l’Europa. L’Inghilterra è interessata alla parte settentrionale dell’America, mentre ciò che spinge il Portogallo a colonizzare l’America meridionale sono le aspirazioni della Francia: per contrastarle, il Portogallo crea insediamenti militari in Brasile. La novità della conquista del Brasile è data dallo spostamento del centro di gravità dell’impero portoghese verso occidente, verso uno più stretto legame con l’economia della piantagione di zucchero (maggiore risorsa del Brasile, il cui commercio fu attuato attraverso il porto di Lisbona). Ma il periodo di prosperità durò poco: le attività primarie, quelle agricole, non sono in grado di soddisfare le esigenze della popolazione in aumento; l’incremento del debito pubblico, il succedersi di inflazioni e di recessioni, la debolezza strutturale, collocheranno il Portogallo, nella 2° metà del ‘500, nell’area debole dell’economia mondiale. SPAGNA: dopo le conquiste caraibiche di Giamaica, Portorico e soprattutto di Cuba, la Castiglia rimpiazza il Portogallo nella fornitura di oro all’Europa. Vi sono molte analogie con la prassi coloniale portoghese: stanziamenti considerati come stazioni commerciali, preoccupazione di stabilire diritti della Corona, predisponendo strumenti di monopolio regio, propaganda di conversione al Cristianesimo, ecc. È con la spedizione nel Messico di Hernàn Cortés (1519) che l’impero ispano-americano compie un grande salto di qualità: un impero ed una civiltà vengono distrutti, gli aztechi. Si dà inizio ad un’azione sistematica di conquista che, in circa 50 anni, sottometterà tutte le principali civiltà del Nuovo Mondo e ridisegnerà, con il trapianto di organismi modellati su quelli castigliani, la parte centro-meridionale del continente americano. Sbarcato nel Messico con 400 soldati spagnoli, Cortés riesce a sconfiggere gli Aztechi: rafforza il suo esercito con soldati reclutati fra le popolazioni sottomesse agli Aztechi, massacra tutti i principi locali, bombarda la capitale azteca Tenochtitlàn (attuale Città del Messico), cattura e fa giustiziare l’imperatore Montezuma, seminando il terrore. La fase finale ed eroica della conquista continua nel 1522 gli spagnoli Diego de Almagro e Francisco Pizarro vanno all’attacco dell’impero Inca, in Perù, con brutalità e violenze superiori a quelle commesse da Cortés (capitale inca, Cuzco, conquistata nel 1533). Da qui, altre aree del continente latino-americano sono conquistate: Guatemala, Salvador, Honduras, Yucatan, Cile, Bolivia. Il motivo che spinge alla conquista è la fede missionaria: la loro forza sta nella convinzione della superiorità della civiltà di cui sono prodotto ed insieme diffusori. Sicuramente la superiorità militare degli europei è schiacciante, ma le tensioni tra gli indigeni e le loro crisi interne, causate dalla fragilità delle strutture politiche, hanno un certo peso. Gli indigeni dispongono di comunicazioni carenti, vi sono epidemie e malattie che decimano la popolazione locale, ma Octavio Paz identifica l’ultima FRANCIA: Sconfitta di Carlo il Temerario (1477) + conquista della Borgogna ad opera di Luigi XI + l’annessione della Provenza (1481) unificazione geopolitica della Francia, con un processo che esemplifica i termini della superiorità di un sistema di potere non più fondato sugli antichi rapporti cavallereschi, ma sui più moderni principi della sovranità monarchica. Il potere regale ha ancora alcune caratteristiche feudali: il re è capo di una gerarchia di vassalli, conserva l’idea di un legame personale e contrattuale con la nazione. Le province hanno un sistema di rappresentanza (Parlamenti, Stati provinciali) autonomo, ma le prerogative del re tendono all’affermazione assoluta: tutti i decreti legislativi sono redatti in nome del re. Tale attività legislativa si svolge ancora in un quadro frammentato: solo in un territorio è possibile riconoscere una relativa uniformità delle istituzioni, quello dell’antica Langue d’oil, tra la Senna e la Loira, su cui si esercita la giurisdizione del Parlamento di Parigi, tribunale con poteri di natura giudiziaria, legislativa, finanziaria. Sistema di governo della monarchia francese al vertice il Consiglio del Re, formato dai pari, dai grandi dignitari e dagli ufficiali della Corona: sotto Francesco I, lo strumento reale di governo era il Consiglio degli Affari, un consiglio segreto e ristretto, formato da pochi consiglieri intimi del Re, il quale riuniva frequentemente questi consiglieri che deliberavano su tutte le questioni presentate dal re stesso (politiche, amministrative, finanziarie, ecc.). Il Consiglio del Re era un organismo di origine medioevale: nella Francia tardo-medioevale i consiglieri erano legati al re da un rapporto personale, rappresentando un’estensione della sua persona ed era un sistema gerarchico di controllo che collegava il vertice del Consiglio, il Cancelliere, agli uffici fiscali e giudiziari delle province, divise in distretti amministrativi detti “bailliages”. A partire dal XIV sec. questo sistema si consolidò: i funzionari finirono per esercitare nel balliage poteri tanto ampi da rappresentare un’incarnazione della stessa regalità. Questi poteri, nel corso di ‘300-‘400, furono distribuiti tra diversi funzionari e subirono una progressiva specializzazione (esattori, luogotenenti, generali, ecc.): si forma un corpo di funzionari che avrebbe costituito la spina dorsale dell’amministrazione centrale francese moderna. Alla fine del 400, un altro gruppo saranno i maitres des requetes, usati dal re come fedelissimi commissari destinati a percorrere e a ispezionare le province: essi siedono nei Parlamenti, partecipano alle sedute del Consiglio del Re. = principali caratteri del sistema moderno di amministrazione francese, che accentueranno la fisionomia di modello di Stato. Si affermò poi una grande resistenza, una tendenza che si manifesta negli Stati Generali: la formazione di un’assemblea dei rappresentanti dell’intera comunità francese (clero, nobiltà, corti sovrane, enti religiosi, abitanti del Terzo Stato). L’attribuzione principale degli Stati Generali è il voto delle imposte, ma essi esercitavano anche una forte opposizione politica (durante le guerre si riuniscono quattro volte). Dall’inizio del 500 il re, come contraltare agli Stati Generali, convoca spesso le Assemblee dei Notabili, i cui membri non sono eletti, ma sono individualmente chiamati dal re. I Parlamenti, invece, costituiscono la maggiore istituzione giudiziaria con la funzione di registrare le ordinanze reali, per cui possono bloccarle, prima della registrazione, se le giudicano imperfette. Natura del conflitto tra re e Parlamenti: il re considera la registrazione come una formalità di pubblicazione, che può essere oggetto solo di osservazioni fondate sulla competenza giuridica dei parlamentari; essi pretendono, invece, di esercitare un vero potere di consultazione e di valutazione nel merito degli atti firmati dal re. Nel XVI sec. i conflitti diventano sempre più gravi. Il rapporto conflittuale tra Parlamenti e sovrano, le vertenze tra i Parlamenti e le nuove figure di ufficiali pubblici, la dialettica interna alle stesse magistrature tra i ceti, costituiscono la trama vivace della politica francese, in cui la Corona darà quasi sempre il suo sostegno ai ceti emergenti. INGHILTERRA: dopo la Guerra delle Due Rose, grazie ad Enrico VII Tudor, la monarchia inglese, comprendente anche Galles e parte dell’Irlanda, riesce ad affermare la sua autorità su un complesso statale unitario. Enrico VII combatte i poteri residui dei grandi feudatari, istituendo la Camera Stellata, una specie di tribunale straordinario per le cause contro le famiglie feudali ribelli a cui spesso sono stato confiscati i patrimoni. Ma è soprattutto con Enrico VIII, tra 1530 e 1542, che si verifica una vera “rivoluzione nel governo”: il centro dell’amministrazione è assunto dal Primo Segretario e dal Consiglio Privato; si afferma la supremazia dell’Ufficio dello Scacchiere e vengono abolite ineguaglianze costituzionali e speciali privilegi. L’artefice di questi cambiamenti è Cromwell, che cerca di concentrare i poteri nello Stato. Nel modello di Stato inglese, il sistema politico si fonda sull’equilibrio fra esigenze della monarchia centralizzata ed interessi di vario genere. Il Parlamento è diviso in due camere: • Camera dei Lord (ereditaria): la grande nobiltà; • Camera dei Comuni (elettiva): piccola nobiltà terriera, ceti non nobili e coltivatori diretti. Al Parlamento spetta la funzione legislativa, così come il riferimento dei parlamentari è una legge comune (Common Law), indipendente dal sovrano. Altra particolarità del sistema politico inglese è costituita dall’autogoverno delle contee, affidato a titolo gratuito agli sceriffi, nobili e ai giudici di pace, persone quasi sempre non nobili, ma legati agli interessi locali del territorio. In Inghilterra, tra 400-500, si sviluppa la teoria dei due corpi del re: oltre che del suo corpo naturale e mortale, il sovrano è dotato di un corpo politico, incorruttibile, non soggetto a invecchiamento, malattia e morte; questo secondo corpo passa da un re all’altro ed in esso si concentra l’essenza della sovranità. SPAGNA: Il 19 ottobre 1469 Ferdinando, re di Sicilia ed erede al trono di Aragona ed Isabella, erede al trono di Castiglia, si uniscono in matrimonio: designati come “Re Cattolici”, crearono con la loro unione le premesse per la formazione dello Stato iberico. Nel 1479 alla morte di Giovanni II, Ferdinando sale al trono del padre. Nel XVI sec. in Spagna si compie un processo di ristrutturazione amministrativa, fondato su una molteplicità di Consigli. I re cattolici (Luigi XI di Francia, Enrico VII ed Enrico VIII d’Inghilterra) ebbero un ruolo fondamentale nell’affermazione dello Stato moderno: la forza della dinastia era un potente fattore di legittimazione del potere e l’unità morale stava nella sovranità monarchica e nel ruolo carismatico dei re. Dove sono deboli il potere sovrano e il legittimismo dinastico, è debole lo Stato moderno come in Danimarca e Polonia: ➢ in Danimarca il punto debole della monarchia era la mancanza di un diritto costante di successione; inoltre, il modello della monarchia feudale elettiva, con il centro di potere nella Dieta dei nobili e del clero, non consentì la trasformazione dei ceti privilegiati da potenze a poteri (requisito fondamentale per lo Stato moderno); ➢ in Polonia lo Stato moderno è opera della dinastia Jagellone, ma dopo essa il centro statale si indebolisce con la monarchia elettiva e la presa di potere aristocratica: ciò perché il sovrano ha poteri militari, amministrativi e finanziari solo nei suoi domini ereditari (non può realizzare l’unità morale) e, in più, perché vescovi e magnati limiteranno molto i poteri statali. Inoltre, la Polonia si trovò tra il nascente Stato russo e l’Impero ottomano, per cui l’unità morale polacca finì per essere identificata nella religione cattolica, baluardo contro russi ortodossi e infedeli ottomani. Una prova del ruolo delle dinastie monarchiche fu la Svezia di Gustavo Vasa, staccatasi dall’Unione nordica con la Danimarca nel 1523: grazie alle grandi risorse finanziarie avute con la confisca delle proprietà ecclesiastiche, incamerate dallo Stato dopo la Riforma, il sovrano svedese poté garantirsi un’autonomia economica senza ricorrere ad una forte pressione fiscale. Vasa impose all’Assemblea degli stati (Riksdag), il principio della monarchia ereditaria e, grazie ad una burocrazia centrale efficiente, riuscì ad accelerare l’affermazione dello Stato moderno svedese. RUSSIA: Ivan III fu l’artefice dell’unità russa, liberandola dai Mongoli dell’Orda d’Oro. La tendenza al controllo e alla centralizzazione statale attraversò la fase della sottomissione alla monarchia dei principi autonomi e dei boiari (dominatori di un territorio enorme), attraverso l’unificazione religiosa del Cristianesimo ortodosso e la concezione che non vi fossero leggi al di sopra del sovrano. L’ideale politico di Ivan era un’autocrazia ortodossa di tipo patriarcale, ma doveva far fronte a forti opposizioni da parte dell’antica nobiltà feudale, i boiari (rappresentata nella Duma) e ai problemi legati alla vastità del territorio. Dalla metà del XVI sec. nel sistema statale russo appare un nuovo organismo rappresentativo, gli zemskie sobory (rappresentanti di clero, boiari, piccola nobiltà, ceti mercantili e artigiani, scelti prima dallo zar, poi con sistema elettivo). Nella 2° metà del 500 lo zar crea organismi rappresentativi locali e affida alla piccola nobiltà provinciale alcune funzioni di amministrazione della giustizia e di polizia, favorendo la creazione di autorità elette nelle province. Il rafforzamento del potere centrale russo corrispose all’indebolimento dell’aristocrazia boiara: prima Ivan III e poi Ivan IV il Terribile distribuirono la terra alla nobiltà di servizio, formando così una forza militare autonoma. Le conseguenze furono notevoli: le campagne si spopolarono per la feroce repressione che si abbatté su molti territori dell’antica nobiltà. Tuttavia, la fine disastrosa del regno di Ivan il Terribile dimostrò che il consolidamento dello Stato russo non si era realizzato. GERMANIA: nel XVI sec. non esiste come entità politica. Lo sviluppo statale ha avuto luogo su due piani: 1. Quello dell’Impero, che ha perso i 3 requisiti medioevali della sacralità, universalità e continuità. L’impero è affidato agli Asburgo e fra questi, Massimiliano I possiede, per antico diritto feudale, l’Austria e le Fiandre. Qui è evidente la debolezza del sistema politico: da un lato i domini ereditari dei principi e le città libere sono coinvolti in un processo di formazione dello Stato moderno, con nuovi istituti per l’esercizio del potere, soprattutto in Austria, come la Cancelleria, il Consiglio per la Giustizia, la Camera per le Finanze; dall’altro lato, l’impero non ha strumenti militari, Il modello della società del mondo moderno si presenta tripartito tra: Clero, aristocrazia e Terzo Stato, che costituiscono tre “ordini” o “ceti”, la cui gerarchia è ancora fondata su principi e valori di stampo medioevale. Il clero è il primo ordine, poiché basato sulla Chiesa; poi vi è l’aristocrazia, che possiede gli antichi valori militari ed è formata da nobiltà di sangue ereditata nel tempo; infine, vi è il Terzo Stato, formato da coloro che non possono vantare alcuno status privilegiato. All’interno di ogni ordine si formano poi altre gerarchie. La vita culturale e la circolazione del sapere La concezione di cultura corrisponde alla diffusione e circolazione di valori e idee. Il Rinascimento si identifica con le grandi opere della pittura, scultura, architettura e scrittura: infatti, tra fine 400 e inizio 500, soprattutto a Venezia (dominante nel mercato letterario) furono stampati circa 500 libri, con temi religiosi, letterari, politici, di diritto. Eventi editoriali, oltre ai classici, sono: Il Principe di Machiavelli, L’Orlando Furioso di Ariosto e l’Elogio della pazzia di Erasmo da Rotterdam; al centro di essi vi è l’uomo, oggetto di una nuova attenzione come individuo e come artefice di relazioni. Anche l’arte studia l’uomo: ricordiamo La Gioconda (1499) di Leonardo da Vinci, La Pietà (1501), il David (1504) e la decorazione della volta della Cappella Sistina di Michelangelo. Si andava formando la nuova identità dell’intellettuale: tutti gli artisti rivendicano autonomia e pari dignità, firmano le proprie opere, trattano con i principi che finanziano le loro attività e vivono in una situazione cosmopolita, viaggiando e circolando nei principali centri culturali. CAPITOLO 3- La guerra moderna per il predominio europeo Il sistema degli Stati italiani: dal fragile equilibrio alla crisi politica Sullo scorcio del 400 sono 3 le grandi potenze in Europa: Francia, Spagna, Impero ottomano, grandi organismi politici solidi, fondati su un allargamento e un consolidamento delle basi del potere monarchico e su una politica espansionistica verso l’esterno, in cui guerre, matrimoni e alleanze diplomatiche sono strumenti della politica di potenza. 1. Francia: dopo l’annessione di Borgogna e Provenza, il matrimonio tra Carlo VIII e Anna di Bretagna, prepara l’annessione del ducato di Bretagna (1532); 2. Spagna: l’ascesa inizia col matrimonio tra Ferdinando il Cattolico e Isabella di Castiglia, con il momento più importante nella battaglia di Granada del 1492, simbolo del completamento della Reconquista; 3. Impero ottomano: l’espansione inizia con la caduta di Costantinopoli (1453), la base su cui gli ottomani costruiscono la potenza marittima che minaccia anche l’Italia. L’identità dell’Italia politica fu stabilita dalla Pace di Lodi nel 1454 che concludeva un ciclo della storia italiana caratterizzato da una definizione dello spazio politico. Poiché non vi era possibilità di uno stato regionale prevalente rispetto agli altri, né quella di creare una confederazione repubblicana che unisse Venezia, Firenze, Genova e Milano, si scelse una politica dell’equilibrio. La libertà italiana però necessitava di una guardia attenta contro il rischio di un vuoto politico. Vi furono due fattori che portarono alla crisi di fine secolo: 1. La morte di Lorenzo il Magnifico e di papa Innocenzo VIII; 2. L’espansionismo di potenze ai confini della penisola, come la Francia. Per cui, la politica dell’equilibrio fu più dovuta all’equilibrio dell’impotenza, frutto della somma delle debolezze interne ai vari Stati italiani. Nonostante ciò, nella 1° metà del XVI sec. continuò ad essere perseguito il valore della libertà d’Italia, che significò preservare l’indipendenza dei singoli Stati italiani, anche con il confronto-scontro con gli Stati moderni. Ad inizio 500 il predominio della Spagna sull’Italia è il problema principale. Le poste in gioco erano due, Milano e Regno di Napoli: 1. Il potere su Milano era l’unica via per impossessarsi di uno dei due Stati marinari (Genova) e di avere la certa disponibilità della produzione granaria del Sud Italia; 2. Il regno di Napoli era ambito da Francia e Spagna sia per la sua posizione strategica nel Mediterraneo, sia per le sue risorse finanziarie. Tuttavia, Milano e Napoli erano anche i punti deboli: non potevano contare su una struttura politico-rappresentativa aristocratica e oligarchica come a Venezia. Ma vi erano anche dei punti forti nel sistema degli Stati italiani: • il Ducato di Savoia, che aveva il suo fondamento nella dinastia sabauda; • lo Stato della Chiesa, fondato sul diritto divino; • Firenze, basata su una grande tradizione politica cittadina; • Venezia, la quale aveva l’unica struttura statale efficiente. Tuttavia, nessuno di questi Stati poteva realizzare una supremazia riconosciuta e dotata di consenso nell’Italia quattro-cinquecentesca, per cui permaneva un divario tra l’Italia e le grandi potenze europee nella disponibilità di strumenti politici e militari. Su questo sfondo si svolgono le guerre d’Italia: Machiavelli scrive durante le “horrende guerre de Italia” Il Principe, cogliendo il loro significato europeo: egli analizza i principati italiani, con l’obiettivo di ricercare gli strumenti affermazione della sovranità e con la novità di sottolineare il valore e l’autonomia dell’azione politica. Dieci anni dopo la morte di Machiavelli, Francesco Guicciardini inizia a scrivere la Storia d’Italia: egli ha in comune con Machiavelli il metodo di analisi politica, ma un diverso ideale politico. Guicciardini è servitore dei Medici, ambasciatore fiorentino, che ritiene di dover giudicare gli effetti di un regime: il quesito centrale della sua opera è il motivo per cui l’Italia non sia riuscita a recuperare la condizione precedente all’invasione francese. Le risposte sono tre: 1. La Fortuna ha un ruolo decisivo nella storia; 2. I personaggi politici italiani del tempo sono stati di basso profilo; 3. Con il 1494 si è spezzato l’equilibrio creato da Lorenzo il Magnifico. La spedizione di Carlo VIII e la fine dell’indipendenza del regno di Napoli La spedizione di Carlo VIII fu caratterizzata da rapidità e facilità. L’impresa fu favorita da Ludovico il Moro, un principe italiano e fu preparata tramite alleanze con altre potenze o contando sulla loro neutralità; Carlo VIII poté far leva sulla presenza di un partito aristocratico filofrancese in alcune aree italiane, soprattutto nel Mezzogiorno. Riguardo l’appoggio ottenuto da un principe italiano, nel Ducato di Milano, dopo la morte di Galeazzo Maria Sforza, i poteri furono assunti dal figlio Gian Galeazzo II, ma di fatto governò lo zio Ludovico Sforza, detto “il Moro”, che nel 1494 fece assassinare il nipote e si proclamò duca. Inoltre, Gian Galeazzo aveva sposato Isabella, figlia del re di Napoli Ferrante d’Aragona. Dunque, il governo era precario ed instabile per l’illegittimo potere del duca Ludovico, le tensioni contro di esso e le mire degli Aragonesi sul ducato: Ludovico necessitava di un’alleanza con una potenza straniera per legittimare il suo potere nell’area padana, alleanza poi stabilita con Carlo VIII nel 1492. Invece, per far fronte alla minaccia aragonese, chiamò in soccorso il re di Francia, invitandolo a far valere le aspirazioni angioine su Napoli. Organizzazione politico-diplomatica della spedizione di Carlo VIII: la prima preoccupazione fu di garantirsi la neutralità di Spagna ed Inghilterra. Intanto, alla Francia guardavano altri potentati italiani: per esempio, papa Alessandro VI Borgia voleva creare un forte stato nell’Italia centrale, per cui aveva bisogno dell’appoggio di un’alleata straniera e Venezia aspirava a conquiste territoriali. Nel 1498 muore Carlo VIII e gli succede Luigi XII che riprese il progetto della conquista di Milano: stabilì accordi con Venezia e papa Alessandro VI Borgia e nel 1499 conquistò Milano, puntando poi Napoli. Egli aveva due opzioni: conservare il regno di Napoli come feudo della Francia, accogliendo la proposta di re Federico, oppure spartirlo tra Francia e Spagna. Re Federico sottovalutava il pericolo della convergenza di interessi tra Spagna e Francia, convergenza che si realizzò nel Trattato di Granada (1500): ormai le sorti del Mezzogiorno si decidevano nella politica internazionale. Saccheggio di Capua (1501) la spartizione del regno: la metà settentrionale del napoletano e della capitale spettava a Luigi XII di Francia; Puglia e Calabria spettavano a Ferdinando il Cattolico. L’equilibrio durò ben poco, a causa dell’impossibilità di far convivere interessi spagnoli e francesi (per Ferdinando, Napoli era il tassello fondamentale della sua strategia che aveva scelto il Mediterraneo invece dell’Atlantico). Ripresero le ostilità: nel 1502, l’esercito spagnolo sconfisse quello francese a Cerignola, soprattutto grazie ad un’innovazione, il tercio spagnolo (vera e propria compagnia di fanteria). La conquista spagnola del Regno di Napoli rappresentò la genesi della guerra moderna, attraverso l’utilizzo di tutte le forme dell’azione manovrata da parte della fanteria e l’inizio di una lunga dominazione straniera nel Mezzogiorno italiano, che durerà per oltre due secoli. Con la conquista del Regno di Napoli si conclude la 1° fase delle guerre d’Italia e la politica dell’equilibrio si dissolveva. Due esperienze nel laboratorio politico italiano: Savonarola e Borgia In Italia, dopo che i Medici furono cacciati e fu costituita la repubblica, il leader era il frate domenicano Girolamo Savonarola, il quale, mosso da una profonda fede, voleva attuare una renovatio cristiana e combattere contro la politica dei papi, che considerava governanti corrotti. Provando disprezzo per tutti i valori mondani, fece bruciare al rogo beni di lusso e tesori d’arte. Inoltre, egli associò i valori cristiani di fratellanza e uguaglianza alle riforme politiche, ma le sue soluzioni e gli strumenti adottati non trovarono consensi, tanto che nel 1498, dopo una sommossa, fu impiccato. Tra 1499 e 1503 ebbe luogo l’esperimento politico di Cesare Borgia: egli voleva eliminare le piccole signorie locali insediate nel vasto territorio compreso tra Toscana, Romagna e Marche e voleva annetterle formalmente allo Stato della Chiesa per organizzarle in un dominio personale; voleva anche conquistare l’intera Toscana. Di tale progetto riuscì a realizzare solo la prima parte, aiutato da Alessandro VI, alla cui morte succedette papa Giulio II della Rovere, nemico dei Borgia, il Da Pavia a Cateau-Cambrèsis La 3° fase delle guerre d’Italia iniziò con l’ascesa di Carlo V, che cambiò i termini dello scontro tra Spagna e Francia. Nel 1525, sconfitto e catturato a Pavia, Francesco I fu costretto a rinunciare a Milano e, dopo un anno di prigionia, firmò la pace con Carlo V; subito dopo stipulò una nuova alleanza (Lega di Cognac) con Inghilterra, Venezia, Milano, Genova, Firenze e il papa Clemente VII (famiglia Medici). Dopo le prime vittorie milanesi, vennero massacrati dai lanzichenecchi (truppe mercenarie di Carlo V), i quali il 6 maggio 1527 entrano a Roma, compiendo saccheggi e violenze: il sacco di Roma rappresenta non solo un attacco al cuore della cristianità nella sua dimensione simbolica profonda, ma alimenta la paura per l’esito catastrofico di uno scontro tra luterani e cattolici. L’obiettivo di Carlo V è politico: spezzare la logica dell’equilibrio del sistema di alleanza fra Stati italiani e potenze straniere, spingendo questi stati a riconoscere l’egemonia spagnola in Italia. Venezia, approfittando della debolezza post-sacco, rioccupa Ravenna e Cervia, mentre a Firenze vengono nuovamente cacciati i Medici e ristabilita la repubblica: per cui, il sistema degli Stati italiani conferma la sua direzione d’azione, cioè l’espansionismo a discapito dei potentati momentaneamente più deboli. È per questo che il papa ha bisogno dell’imperatore, dato che la sua protezione è decisiva per reintegrare i domini dello Stato della Chiesa e per riportare la dinastia dei Medici a Firenze. Nel 1528 Genova si stacca dall’alleanza con Francesco I e si allea con gli Asburgo, finanziando lo stato sovranazionale di Carlo V e dando vita al secondo impero genovese: il primo risultato dell’alleanza è il fallimento del tentativo francese di invadere il Regno di Napoli. Nel 1529 papa Clemente VII entra nell’orbita spagnola per poter ridefinire con l’imperatore gli assetti politici italiani: la decisione più importante fu la restaurazione dei Medici a Firenze che, messa d’assedio, si difenderà ma poi dovrà rinunciare alla sua libertà; con il ritorno di Alessandro de Medici, nipote del pontefice, inizia per Firenze la fase del principato dinastico. La pace di Cambrai (1529), detta anche “delle due dame”, stipulata da Luisa di Savoia, madre di Francesco I e Margherita d’Austria, zia di Carlo V, pose fine ai successi francesi in Italia e stabilì che Milano, Napoli e Asti fossero sotto dominio di Carlo V, il Piemonte occupato dai francesi e Genova nell’orbita spagnola. Nel 1530 Carlo V è incoronato re d’Italia e imperatore del Sacro Romano Impero: si conclude una fase della storia d’Italia, con tutti gli Stati minori che riconoscono il predominio spagnolo nella penisola. Tuttavia, i francesi tentarono di contrastare il primato spagnolo. Dopo la pace di Cambrai, Francesco I attua una politica di consolidamento della difesa militare, l’amministrazione finanziaria diventa più efficiente e stipula due nuove alleanze: 1. con il nemico di Carlo V, i Turchi di Solimano I il Magnifico; 2. con i principi luterani della Germania. Nel 1535 riprendono le ostilità tra Francia e Spagna. La pace di Crèpy (1544) introduce una nuova realtà politica in Italia: il successore di Clemente VII, Paolo III Farnese, ottiene per il figlio Pier Luigi il ducato di Parma e di Piacenza, per cui una nuova dinastia, quella dei Farnese, si insedia nell’Italia centrale, dando vita ad uno Stato artificiale che dipenderà dal consenso delle grandi potenze (Chiesa, Impero, Spagna e Francia). Il successore di Francesco I, Enrico II, continua la politica diplomatica e militare del padre ed allo stesso tempo Carlo V viene sconfitto ad Innsbruck dai principi protestanti e firma la pace di Augusta (1555), fino a quando abdica dividendo i suoi stati tra il figlio Filippo II (area spagnola) e il fratello Ferdinando II (area austriaca). Nel 1577 il sovrano francese Enrico II perde l’ultimo importante territorio italiano: il Piemonte; proprio Emanuele Filiberto, figlio del duca di Savoia, comandante delle truppe spagnole, sconfigge l’esercito francese apre a Filippo II la strada per marciare su Parigi. Nel 1559 viene firmata la pace di Cateau-Cambrèsis, vista da molti come la vittoria della Spagna e la sconfitta della Francia, ma in realtà contribuì a mantenere un equilibrio di forze nel continente, rappresentò l’affermazione della dinastia asburgica nei rami spagnolo e austriaco, significò la preponderanza spagnola in Italia e l’impossibilità di dar vita nel cuore dell’Europa a un impero universale fondato sul potere del papa e su quello dell’imperatore. L’Italia spagnola come laboratorio politico Le differenze nell’Italia sono profonde, soprattutto dopo la pace di Cateau-Cambrésis: • 1° differenza: tra Stati indipendenti, sovrani e Stati non indipendenti. • 2° differenza: tra Stati a base cittadina (Venezia, Genova, Milano, ecc.) e Stati monarchici (Ducato di Savoia, Stato della Chiesa e Regno di Napoli). Gli stati a base cittadina sono caratterizzati da un sistema di governo oligarchico, fondato su consigli ristretti, con predominio della città dominante e dal precoce sviluppo di una rete di istituzioni amministrative. Gli Stati monarchici, invece, sono caratterizzati dalla forte presenza di sovranità, a volte dinastica, a volte pontificia, altre imperiale. CAPITOLO 4- La divisione religiosa Origini, significati e valore di un movimento europeo Riforma Protestante movimento europeo che coinvolse la parte centro-settentrionale del Vecchio Continente, ma anche la parte orientale, Francia, Spagna e Italia, paesi di consolidata tradizione cattolica. Promotori del movimento furono soprattutto uomini di Chiesa: Martin Lutero (monaco agostiniano), Huldrych Zwingli e Calvino. Per cui, la Riforma nacque dentro l’istituzione ecclesiastica. CAUSE: La Riforma fu un moto di reazione alla corruzione del clero, agli abusi ecclesiastici, al potere dei papi, al commercio delle indulgenze, ecc. La storiografia più recente, invece, sostiene che i veri motivi siano attribuibili ad una crisi religiosa, scatenata dalla mancanza di chiarezza teologica e la confusione delle opinioni in materia di dogmi della fede e di morale; dunque, poiché vi erano anche esigenze politiche ed economico-finanziarie dello Stato, della Chiesa e del pontefice, si dava molto peso alla dottrina delle indulgenze che garantiva sia l’affrancamento delle anime del Purgatorio sia denaro al tesoro della Chiesa. Anche l’Umanesimo, attraverso l’esigenza di ritorno alle fonti, aveva colpito duramente l’autorità pontificia: si sentiva la necessità di leggere in modo autentico le Sacre Scritture, sinonimo di renovatio o reformatio, per risolvere la crisi di identità religiosa sia attraverso un ritorno alle fonti originali del Cristianesimo, sia attraverso una riforma morale che adeguasse i comportamenti ad una dottrina chiara e certa. Lutero cercò di fornire la risposta ai problemi di identità religiosa e di riforma morale dei costumi attraverso i 3 capisaldi della sua dottrina: la giustificazione per fede, il valore della parola infallibile della Sacra Scrittura, l’esaltazione di una religione interiore, che doveva avere come unico garante la comunità dei credenti. Ma questo violento movimento non avrebbe avuto speranze senza l’intreccio tra religione e politica, intreccio che spiega il lento processo che portò, tra XVI-XVII sec., alla formazione di diverse confessioni religiose e partiti religiosi. Martin Lutero Nato nel 1483 in Turingia, da padre minatore e madre massaia che vivevano in condizioni di relativa agiatezza, Martin Lutero, dopo la formazione scolastica, vestì l’abito monacale degli agostiniani. Gli anni della formazione sono contrassegnati dagli studi e dall’insegnamento di teologia a Wittenberg, dal viaggio a Roma, dove entra in contatto con la corruzione della corte pontificia e da una ricerca sui problemi decisivi della fede, vissuta da lui con totale coinvolgimento individuale e con un forte contatto con la Bibbia. Il problema attorno a cui svolge i suoi studi il monaco è quello della giustizia di Dio: parte dalla premessa che la santità di Dio sia inaccessibile alla volontà/condizione umana, macchiata indelebilmente dal peccato originale. Di conseguenza, vi è un’assoluta dipendenza dell’uomo da Dio e tutte le opere buone compiute dall’uomo sono inutili. La soluzione proposta da Lutero è: l’uomo è peccatore nella realtà della sua vita quotidiana ma, nella fede in Dio e nella speranza di potersi salvare, la sua volontà è annullata. Questo è il principio di giustificazione mediante la fede, che si pone al cardine della dottrina luterana. Lutero riesce anche a fornire una dottrina per supportare l’opposizione alle indulgenze: ➢ Alberto di Brandeburgo, tra 1513-1514, possedeva 3 vescovadi (Magdeburgo, Magonza e Halberstadt), sinonimo di un cumulo di benefici ecclesiastici, cioè di poteri e rendite. La Sede Apostolica si fa ben pagare per tali benefici e propone ad Alberto di estinguere il debito e guadagnare di più mediante la predicazione delle indulgenze, a favore della Basilica di San Pietro, per un periodo di 8 anni, nei territori del vescovo. Il ricavato sarebbe stato diviso a metà tra il papa ed Alberto: le indulgenze erano diventate merce di scambio. ➢ Secondo protagonista è Johann Tetzel, predicatore domenicano, a cui è affidato il compito di spiegare nel Magdeburgo le modalità per l’acquisto di indulgenze: chi compra una lettera di indulgenza ha il diritto di confessare al sacerdote i peccati la cui assoluzione spettava di norma al papa, mentre non era necessario il pentimento. ➢ Terzo protagonista è Martin Lutero, che ascoltava in confessionale i peccati dei titolari delle lettere d’indulgenza e poté conoscere tutti gli errori della predicazione di Tetzel. Su questo sfondo diviso, nasce nel 1517 la miscela esplosiva delle 95 tesi di Wittenberg, evento considerato la genesi del movimento riformatore protestante. In esse l’immagine drammatica del cristianesimo fornisce la base per affermare il principio di giustificazione per fede, sostenere che le indulgenze sono pericolose per chi le riceve, dato che inducono ad essere sicuri di sé ed a mettere in pericolo la salvezza, per incominciare a combattere la dottrina della mediazione ecclesiastica. Tra la fine del 1517 ed il 1518, le tesi vengono stampate in molte città d’Europa, con una risonanza enorme: le opere luterane pubblicate dal 1519 contengono i cardini alcuni successi, i contadini vengono sconfitti nel 1525 trionfo della Riforma come movimento popolare. Zwingli Mentre in Germania vi era la Riforma dei principi, nella Confederazione svizzera vi era la Riforma delle comunità, promossa da Zwingli. I capisaldi teologici della sua dottrina sono: l’opposizione al sacerdozio, al celibato, ai santi e alla messa come sacrificio; una religiosità puramente evangelica; accentuazione dello spirito comunitario dei fedeli. Zwingli cerca sostegno nelle istituzioni politiche cittadine: nel 1522 il Consiglio municipale di Zurigo gli istituisce un posto di predicatore, stipulando un’alleanza tra lui e le autorità locali, per portare al successo la Riforma. Proprio a Zurigo essa si presenta con molte particolarità: nel 1524 un decreto municipale abolisce dalle chiese immagini e reliquie e nel 1525 abolisce la messa in latino e il servizio mercenario; istituisce il Tribunale matrimoniale e dei costumi. Zwingli dovette fra fronte ai cantoni svizzeri centrali, più fedeli al cattolicesimo e con l’ala più radicale della Riforma da lui promossa, gli anabattisti (detti così perché predicavano il battesimo degli adulti), che esigevano una rigida disciplina comunitaria e una Chiesa libera da ogni rapporto con l’autorità civile: Zwingli inizia a perseguitarli. Un altro problema è il rapporto con Lutero e i principi Luterani: nascono subito divergenze di natura teologica. Egli tenta di coinvolgere i principi luterani in un disegno politico di unione asburgica, cioè un’unica confederazione di Stati dalla Danimarca alla Svizzera, che trova supporto solo nel principe Filippo d’Assia. Nel 1531 Zwingli muore e poco dopo le autorità politiche zurighesi firmeranno la rinuncia a qualsiasi politica di alleanza con l’estero. Calvino Jean Cauvin, italianizzato in Giovanni Calvino, nei primi anni 30, durante le persecuzioni di Francesco I contro i protestanti, si distacca dalla Chiesa romana. 1536: pubblica l’Institutio Christiana, dove sono espressi i fondamenti della concezione calvinista. Grazie ad un’esperienza a Ginevra, Calvino iniziò ad elaborare il suo progetto: nuova organizzazione della Chiesa su basi politico-comunitarie. Tale modello appare caratterizzato dall’unione tra religione, politica e istituzioni locali. Fondamenti teologici del Calvinismo: l’abolizione della mediazione ecclesiastica; accentua l’assoluta dipendenza da Dio attraverso la dottrina della predestinazione; la considerazione della Chiesa in quanto comunità di santi e membra del corpo di Cristo, l’essenza della Chiesa che sta nella rivelazione del verbo attraverso le Sacre Scritture. La Chiesa è un grande organismo che unisce il credente con Cristo. Per Calvino, come per Lutero, le opere dell’uomo sono indispensabili come segno della predestinazione: tutta l’attività dell’uomo è impregnata di spirito religioso e viene vissuta come realizzazione della vocazione. Città- lavoro-professione è il trinomio esaltato dalla concezione calvinista. Differenza tra Lutero e Calvino, sintetizzata da Febvre: per Lutero “credo ergo sum” (credo dunque sono), cioè l’identità cristiana è nella fede; per Calvino “ago ergo credo” (opero perciò ho fede), cioè l’identità del cristiano è nella corrispondenza delle sue opere all’elezione divina. Questa confessione religiosa ebbe molto successo, soprattutto tra i gruppi sociali urbani (artigiani, commercianti, ecc.), grazie alla funzione positiva assegnata al lavoro produttivo e all’attività professionale vissuta con molto spirito religioso. Carlo V e il Protestantesimo della Germania La questione protestante accompagna Carlo V durante il suo impero. Distinguiamo 4 fasi: 1. Due anni dopo la pubblicazione delle 95 tesi, nel 1519, Carlo V giura la Costituzione imperiale, secondo cui nessuno può essere messo al bando senza processo. Lutero aveva ottenuto grandi consensi tra i principi territoriali, mentre Carlo V necessitava dell’alleanza con i principi territoriali e le città imperiali della Germania per la sua strategia verso il Mediterraneo, contro i Turchi e verso l’Italia, dove era in guerra contro i francesi. Il primo sviluppo del luteranesimo in Germania vede Carlo V diviso a non radicalizzare il conflitto con i principi territoriali e difendere la pax christiana dalle eresie: il risultato dei suoi sforzi l’editto di Worms del 1521, in cui Lutero è condannato come eretico, ma la definitiva risoluzione della questione è rinviata alla convocazione del concilio ecumenico della Chiesa Carlo V voleva temporeggiare e fare pressione sul papato, per ottenere una riforma interna alla chiesa collegata al disegno dell’impero universale. 2. La 2° fase, compresa tra 1525 e 1530, coincide col periodo dell’organizzazione politica della Riforma in Germania. Dopo la guerra dei contadini, i principi cattolici della Germania meridionale si alleano contro i principi luterani, i quali si alleano tra loro un anno dopo: la prima e la seconda Dieta imperiale di Spira (1526 e 1529) congelano la situazione, proibendo qualsiasi innovazione in ambito di fede. Gli stati luterani protestano (per cui sono detti Protestanti) formando un’ulteriore alleanza. La Germania risulta spaccata in 2 fronti: con la pace di Cambrai si apre una spaccatura anche nel rapporto tra l’imperatore e i protestanti, caratterizzata dalla ricerca di ricomporre l’unità religiosa. Un tentativo di pace è rappresentato dalla Dieta di Augusta del 1530, che aveva come problema principale la restaurazione della giurisdizione vescovile nelle città imperiali, ma proprio per questo motivo vi fu la disgregazione della dieta. Le sue deliberazioni prevedono: una moratoria di alcuni mesi per i seguaci della Confessione Augustana, che non possono introdurre innovazioni né ostacolare l’antica fede; l’applicazione dell’editto di Worms; non permettere innovazioni prima delle deliberazioni del futuro concilio ecumenico; l’attribuzione al Tribunale della Camera imperiale di compiti di tutela della Pace nel paese, punendo i trasgressori. 3. Dall’esito della Dieta di Augusta emerge la fine del sogno di conciliare all’interno il movimento protestante e quello cattolico e l’articolazione del protestantesimo in 3 confessioni con a capo Lutero, Zwingli e Calvino. 1531: nasce la Lega di Smalcalda, che diventa il centro delle forze antiasburgiche e stringe relazioni con Francia e Inghilterra. L’imperatore deve pensare all’invasione dei turchi in Ungheria ed ai suoi possedimenti spagnoli in Italia, per cui non può aprire un conflitto di vaste proporzioni con gli Stati e le città protestanti della Germania. Quindi sospende i processi del Tribunale della Camera imperiale fino a nuova convocazione del concilio e proibisce ogni ricorso alla forza per le questioni religiose. Nel 1542, alla Dieta di Spira, i protestanti chiedono all’imperatore il riconoscimento ufficiale della loro posizione, in cambio di aiuto militare contro i turchi: ormai la crisi è alle porte. 4. 1546: scoppia la guerra tra la lega di Smalcalda e l’imperatore. Le truppe imperiali vengono battute e Carlo V è sconfitto da protestanti, turchi e francesi. Così Carlo V è costretto a firmare la pace religiosa di Augusta nel 1555: stabilisce il principio “cuius regio, eius religio”, il quale permetteva la libera scelta confessionale solo per gli stati imperiali ed ai loro principi, mentre i sudditi dovevano sottostare al principio “un solo signore, una sola religione” e potevano emigrare in caso non accettassero la religione del principe. La pace di Augusta mirava a raggiungere una pace duratura in campo ecclesiastico e politico tra stati dell’Impero di diversa confessione religiosa. Il Protestantesimo era accettato come parte integrante dell’impero tedesco e i principi protestanti vi erano ammessi con gli stessi diritti dei principi cattolici. La diffusione della Riforma protestante Il quadro territoriale della Riforma in Europa, verso metà 500, è caratterizzato dalle due grandi aree di diffusione, luterana e calvinista, l’area della Chiesa anglicana e dai movimenti e gruppi ereticali. AREA LUTERANA: molto compatta e comprende Germania centro-settentrionale, il Nordeuropa, alcune zone dell’Europa orientale e le coste baltiche. In Germania il ruolo decisivo fu svolto dalle popolazioni urbane, che aspiravano ad allargare i loro diritti e privilegi nei confronti dell’imperatore; il mancato coinvolgimento delle zone rurali nella Riforma rese possibile la penetrazione nella Chiesa cattolica. In Prussia, Alberto di Brandeburgo trasformò il territorio in ducato laico ereditario e vi stabilì la Riforma. In Danimarca e Svezia, lo scarso radicamento del Cristianesimo favorì la Riforma dei sovrani che deposero i vescovi e incamerarono beni ecclesiastici. In Austria la nobiltà rimase fedele al cattolicesimo, poiché in possesso di benefici ecclesiastici. I paesi baltici e l’Europa orientale non furono insensibili alla penetrazione del Luteranesimo, ma la pluralità di influssi e confessioni religiose, resero più semplice la restaurazione della chiesa cattolica. In Ungheria penetrarono gli scritti di Lutero, ma vi era una pluralità di confessioni, per cui ebbe comunque successo l’azione di riconquista della Chiesa cattolica. AREA CALVINISTA: più frastagliata e comprendeva città svizzere, Olanda, Palatinato e basso Reno in Germania e Scozia. Calvino, in certi casi, consentiva il diritto d’opposizione e resistenza, perciò, ebbe fortuna in Francia e nei Paesi Bassi, i quali combattevano con il predominio spagnolo. In Francia la Riforma aveva fatto la sua prima apparizione già negli anni 20 del 500. La stessa sorella di Francesco I, Margherita di Navarra, si convertì al luteranesimo; l’alleanza di Francesco I con i luterani tedeschi contro l’imperatore, ed il conseguente allentamento della repressione contro il protestantesimo, fece sì che si diffondesse in tutto il territorio francese. Soprattutto nella nuova versione calvinista, la Riforma incontrò ampi consensi in quasi tutti i ceti sociali. Il movimento religioso calvinista si avviava a diventare partito politico e ad alimentare la guerra civile nella 2°metà del 500. AREA CHIESA ANGLICANA: La riforma religiosa in Inghilterra fu un momento chiave nella formazione dello stato moderno inglese. Enrico VIII inizialmente aveva condannato gli scritti di Lutero e la difesa della dottrina dei sette sacramenti gli aveva fatto riconoscere il titolo di “difensore della fede” dal papa. Il re aveva avuto cinque figlie femmine da Caterina pastorale che tende alla riconquista delle masse, la teologia tridentina e la carica riformatrice di cui la chiesa diede prova. Inoltre, si intendono gli abusi, gli eccessi e l’intolleranza che caratterizzarono l’uso dei nuovi apparati controriformistici della chiesa. Il concilio di Trento L’idea della convocazione di un concilio era positiva sia per l’imperatore Carlo V sia per i pontefici: per Carlo V il rinvio della questione luterana all’assemblea ecumenica rispondeva all’esigenza di collegare la riforma della Chiesa al sogno dell’impero universale. Per il papato, invece, il ricorso ad un concilio era visto come la definizione solenne di una riforma della disciplina e dei costumi, di una risposta adeguata al dilagare dello scisma protestante. Fu il papa Paolo III Farnese che si rese conto della situazione critica della Chiesa di Roma. 1530 Dieta di Augusta: aveva sancito la divisione religiosa della Germania e la fine delle possibilità di conciliazione nel movimento protestante e nel movimento cattolico. Divenne sempre più forte la necessità di un concilio, poiché Carlo V cercava di rinviare ad esso la definizione delle questioni di fede e di religione, mentre papa Paolo III lo convocava di continuo: ad ogni convocazione corrispose una congiuntura sempre più critica nel rapporto con i protestanti: nel 1537 i principi protestanti si rifiutarono di partecipare all’assemblea ecumenica; nel 1542 i principi della Lega di Smalcalda richiesero il riconoscimento della loro scelta religiosa. Inoltre, l’apertura del concilio fu continuamente differita a causa della ripresa del conflitto franco-asburgico in Europa. 1545 il concilio si aprì a Trento, luogo che conciliava le aspettative di Carlo V e quelle della Chiesa perché era in territorio italiano, ma apparteneva alla giurisdizione dell’impero spagnolo. Gli obiettivi del concilio erano tre: • Recuperare i territori protestanti; • Arginare l’eresia; • Riaffermare il primato papale nella chiesa cattolica riformata. Il primo obiettivo fu realizzato in parte, invece gli altri due pienamente. Si può dividere il concilio in 3 fasi: 1. Tra 1545 e 1547: le delibere riguardano soprattutto questioni teologiche; vi furono 5 decreti su ciò, relativi ai punti centrali della riforma di Lutero: l’origine della fede; la verità delle Sacre Scritture stabilita dall’autorità pontificia; il peccato originale; la giustificazione e i sacramenti. La 1° fase fu segnata dalla dialettica tra 2 modi diversi di concepire la riforma: il papa la intendeva come sbarramento dell’eresia protestante, Carlo V come ultimo tentativo di pacificazione religiosa. La sconfitta inflitta da Carlo V alla Lega dei principi luterana (1547) parve segnare un punto a favore della Chiesa cattolica ma l’ingresso dell’Inghilterra nell’orbita protestante, dopo la morte di Enrico VIII e l’affermazione della Chiesa anglicana furono un duro colpo per il papato. Il concilio dal 1547 al 1550 fu paralizzato per un conflitto interno sulla questione della sede in quanto Paolo III voleva trasferirla a Bologna. 2. Tra 1551 e 1552: il successore di Paolo III, Giulio III riaprì il concilio, dove vi fu la partecipazione poco significativa dei protestanti. La ripresa del conflitto tra l’imperatore e Enrico II indusse a chiudere dopo poco più di un anno questa fase. L’unico intervento di rilievo fu relativo all’eucarestia in quanto venne ribadito il dogma della transustanziazione. Con Paolo IV la Controriforma, intesa come offensiva contro l’eresia e riforma disciplinare del clero, entra nella fase più acuta. 3. Tra il 1562 e il 1563: Pio IV decise di riconvocare il concilio, perfezionando il progetto di definizione dottrinale e disciplinare della Chiesa cattolica. La più ardua questione era l’origine del potere episcopale su cui si scontravano 2 tendenze: chi attribuiva solo al papa la fonte del potere dei vescovi o chi ne faceva discendere l’autorità del sovrano statale (francesi, spagnoli, imperatore). A Trento fu stabilita una via intermedia: i vescovi dipendevano dal papa ma avevano l’obbligo della residenza e la corresponsabilità era definita su mandato divino. Il concilio di Trento pervenne a conclusioni che influenzarono la vita della chiesa e delle comunità cattoliche tra 2° metà del 500 e 1° metà del 600, ma anche il rapporto tra poteri religiosi e poteri civili. I livelli principali su cui operò il concilio furono 4: ➢ L’ordinamento della materia dogmatica e sacramentale; ➢ L’affermazione decisa della giurisdizione ecclesiastica e l’allargamento della sua sfera d’influenza; ➢ La disciplina del clero; ➢ L’organizzazione delle forme, della pietà e della religiosità popolare. Queste materie furono oggetto di molti interventi successivi dei pontefici, infatti da questo punto di vista, il concilio non si concluse nel 1563, ma fu un evento che si protrasse ben oltre. Pio IV e poi Pio V contribuirono a definire la materia del rapporto tra Chiesa e Stato. Le 2 dimensioni della sovranità papale (quella ecclesiastica e quella del potere temporale) trovavano una nuova traduzione nel Tridentino e soprattutto nella bolla In cena domini, oggetto di scontro tra il papato e gli Stati che non potevano accettare la tendenza della chiesa a estendere la sua giurisdizione e interferire nelle competenze statali. Con il concilio di Trento si affermava un modello di Stato della Chiesa non diverso, sul piano di organizzazione e della logica amministrativa interna, da altri stati europei contemporanei. Le istituzioni della Controriforma Le istituzioni della Controriforma furono gli strumenti a disposizione della Chiesa Cattolica per prevenire e reprimere l’eresia sia in ambito culturale sia sociale. In sostanza, alla metà del 500, il papa va accentuando la sua doppia fisionomia: pontefice, cioè capo di una cristianità scossa dallo scisma protestante e sovrano di uno Stato, lo Stato pontificio. Alla funzione di prevenzione e repressione dell’eresia doveva assolvere, a partire dal 1542, la Congregazione del Santo Uffizio dell’Inquisizione. La bolla istitutiva, promulgata da Papa Paolo III Farnese, deputava alcuni cardinali a “commissari ed inquisitori generali per la custodia della fede” e dava loro facoltà di indagare contro coloro che deviavano dalla fede cattolica ed erano comunque sospetti di eresia, affidando loro la piena giurisdizione contro laici ed ecclesiastici. Nella lotta contro l’eresia, l’Inquisizione romana dispiegò tutti i suoi poteri soprattutto quando fu comandata da Paolo IV Carafa, il quale utilizzò tutte le armi a disposizione. Fu importante il suo intervento per il controllo sociale e culturale dell’ortodossia cattolica: infatti, istituì l’Indice dei libri proibiti nel 1559, il quale distribuiva gli autori in tre classi: 1. Quelli totalmente condannati; 2. Quelli condannati per una singola opera; 3. Quelli anonimi. Fra gli Stati italiani si ebbe il massimo di collaborazione con lo Stato pontificio: Milano, Firenze, Napoli e la più liberale Venezia, si affrettarono a stampare e pubblicare l’Indice. Gli Ordini religiosi e la riconquista delle anime Il Concilio di Trento promosse numerosi provvedimenti per la riorganizzazione della Chiesa. ➢ Fu riaffermata la struttura gerarchica: al vertice il papa, poi i vescovi, che avevano funzione di controllo dei fedeli della diocesi e del corretto comportamento degli ecclesiastici ed infine le parrocchie, guidate dal parroco, l’autorità dottrinaria e morale della comunità dei fedeli. Per vigilare fu richiesto ai vescovi di visitare con frequenza le parrocchie sotto la loro giurisdizione (visite pastorali). ➢ Un altro terreno di intervento fu quello della formazione del clero, dato che risultava urgente educare ed istruire gli ecclesiastici per evitare deviazioni dall’ortodossia. C’era bisogno di un’istituzione che formasse il buon prete, ne accertasse la reale vocazione e ne stimolasse la consapevolezza della missione: a tale modello doveva rispondere l’istituzione dei seminari. ➢ L’obiettivo più importante della Chiesa post-tridentina fu la riconquista delle anime, dove le milizie della Controriforma furono gli Ordini religiosi, che si impegnavano a combattere l’eresia, a rafforzare l’autorità della Chiesa di Roma e a consolidare la sua presenza nella vita quotidiana delle popolazioni. L’ordine religioso che meglio seppe interpretare lo spirito della Chiesa fu quello dei Gesuiti, il cui fondatore fu Ignazio di Loyola, un hidalgo appartenente alla nobiltà basca: il loro ideale era combattere per Dio sotto la bandiera della Croce e servire Dio ed il pontefice romano, suo vicario in terra: bisognava trasferire nell’Ordine, fondato nel 1534, lo schema della gerarchia militare, basato sulla subordinazione totale alla volontà del capo. Perciò Ignazio, ai 3 voti principali della professione monacale (povertà, castità e obbedienza), aggiunse un quarto voto: l’assoluta obbedienza al papa fino al sacrificio della vita. Il reclutamento dei gesuiti era molto severo e la loro formazione prevedeva 2 anni di noviziato e quasi 10 di studi di teologia, filosofia, retorica, letteratura e scienze. L’ordine aveva una struttura centralizzata: il padre generale sceglieva i padri provinciali ed era eletto dai superiori (i responsabili delle case della Compagnia) e da 2 rappresentanti per ogni provincia. I punti di riferimento di Ignazio furono la Teologia medievale di San Tommaso, la Scolastica ed il metodo umanistico dell’analisi, dello studio e della ricostruzione dei testi, soprattutto delle Sacre Scritture. Quindi uno dei primi campi di intervento dei Gesuiti fu proprio quello dell’istruzione: i collegi dei gesuiti diventarono scuole in cui avveniva la formazione delle classi dirigenti delle città e degli Stati europei. Il secondo terreno d’intervento fu quello di ambito missionario con l’obiettivo principale di ridurre la distanza tra la religione dei semplici e quella dei dotti: la base per fare ciò era il catechismo, istituito da un decreto del Concilio di Trento. 2) SECONDA FASE: a metà degli anni 60 del 500, Filippo II venne richiamato nella parte nordeuropea dei suoi domini, poiché i Paesi Bassi erano in ebollizione. La diffusione del Calvinismo aveva incrinato la pace e l’unità religiosa ed aveva alimentato la nascita di una nuova cultura politica fra nobili, artigiani e mercanti, i quali avevano sviluppato sentimenti di nazionalismo e indipendenza dallo straniero che non aiutavano la dominazione spagnola. Inoltre, si stavano creando problemi nell’alleanza tra monarchia spagnola e aristocrazia dei Paesi Bassi, gelosa delle sue prerogative e della sua autonomia. Alla corte di Filippo, dunque, il governo dei Paesi Bassi fu oggetto di un acceso dibattito; si formarono 2 partiti: • Il primo capeggiato dal principe d’Eboli: voleva un’organizzazione politica imperiale, rispettosa delle autonomie e costituzioni politiche dei paesi del mosaico asburgico; • Il secondo capeggiato dal duca d’Alba, che spingeva verso la repressione dei fermenti autonomistici e prefigurava un modello centralizzato dell’impero. Alcuni gruppi aristocratici dei Paesi Bassi erano legati al partito del principe d’Eboli: era la parte dell’aristocrazia che sosteneva ancora il governo spagnolo nelle Fiandre, ma era contrario alla repressione controriformistica. Un’altra parte, però, che aveva come leader Guglielmo d’Orange, simpatizzante delle idee protestanti, si scontrò con il governatore di Filippo, facendolo allontanare nel 1564. 1566 Filippo II, scegliendo la via dell’accentramento repressivo, mandò il duca d’Alba a governare i Paesi Bassi. La repressione fu dura e la linea del duca d’Alba segnò la fine dell’alleanza tra la monarchia spagnola e una parte dell’aristocrazia dei Paesi Bassi. Iniziò un conflitto tra le province settentrionali dei Paesi Bassi e la Spagna: la ribellione fu organizzata da Guglielmo d’Orange. Nel 1576, dopo il saccheggio di Anversa, ad opera dell’esercito di Filippo, anche le province meridionali si unirono a quelle settentrionali in funzione antispagnola: l’unione tra olandesi e valloni del sud viene sancita nella pacificazione di Gand. L’unità però durò solo poco più di un anno, poiché gli interessi delle due società erano molto diversi: facendo leva su questa divergenza, la Filippo cercò di recuperare terreno perduto mandando il fratello Giovanni d’Austria nei Paesi Bassi, ma fu il successore Alessandro Farnese che riuscì a recuperare la parte meridionale dei Paesi Bassi. 1579 i Paesi Bassi si spaccano: ad Utrecht nasce la Repubblica delle Province Unite (Olanda, Zelanda, Utrecht, Gheldria, Overijssel, Groninga e Frisia), decise a staccarsi dalla Spagna. La guerra tra Spagna e Province Unite durò diversi decenni: le 7 province presero poi il nome di Olanda, dalla provincia più importante e riuscirà ad ottenere l’indipendenza solo nel 1648, dopo la guerra dei Trent’anni. Alla fine degli anni 60 del 500, l’attenzione di Filippo II era costretta a spostarsi sul fronte interno della Spagna, colpito da malcontenti e rivolte, e sul fronte del Mediterraneo. I turchi dopo essere stati cacciati da Malta avevano promosso una politica di riarmo marittimo attaccano Cipro (possesso veneziano) e assediano Famagosta. Ciò indusse la Spagna, i veneziani ed il pontefice Pio V a formare la Lega Santa: il trattato prevedeva la creazione di una flotta di 300 navi, liberazione del Mediterraneo dai Turchi e presa di Tunisi. 7 ottobre 1571 nelle acque di Lepanto si svolge lo scontro tra Ottomani e cristiani: fu una delle battaglie più sanguinose. La vittoria dei cristiani fu dovuta alla superiorità dell’artiglieri. Successivamente la Lega si sfasciò e Venezia preferì trattare una pace separata con i turchi, rinunciando a Cipro. 1574 la Spagna si impegna in Nord Africa, cercando di riconquistare Tunisi; il nuovo sultano Murad III lascia il Mediterraneo, preoccupato dal conflitto con la Persia: la posta in gioco era il controllo del Caucaso. L’accordo tra Filippo II e il sultano Murad III fu provocato dalla necessità della Spagna di un maggiore impegno nei Paesi Bassi e per l’intervento in Portogallo; inoltre, vi era la necessità per i turchi di affrontare con maggiori forze i persiani. 3) TERZA FASE: l’afflusso massiccio di metalli preziosi dalle Americhe (anni 60/70), la crisi della potenza ottomana, lo spostamento del baricentro internazionale verso l’Atlantico, inducevano il sovrano ad una politica di intervento attivo rivolta a progetti espansionistici prima verso le aree più vicine, poi verso la stessa Inghilterra e Francia. Portogallo: il re Sebastiano Braganza nel 1578 partì in spedizione contro il sultanato del Marocco, per interessi politici, economici e militari, ma nello stesso anno morì, sconfitto in battaglia, a causa della fragilità della potenza militare. Non aveva successori, quindi Filippo, avendo sposato con Maria Emanuela di Portogallo, rivendicava i titoli per la successione. Tra i ceti portoghesi, soprattutto mercantili, l’integrazione nell’impero spagnolo non era malvista: così quando le truppe di Filippo II, comandate dal duca d’Alba, occuparono il Portogallo, incontrarono una debolissima resistenza, che fu subito repressa. 1580 annessione del Portogallo, che significava l’acquisizione di un vasto impero coloniale e di un importante osservatorio sull’Oceano Atlantico. Non ci fu però integrazione politica ed economica: ai portoghesi fu concessa autonomia istituzionale e restarono separati anche i domini coloniali di Spagna e Portogallo, per cui i mercanti e gli uomini d’affari portoghesi non trassero i vantaggi sperati dall’unione. Inghilterra: quando i disegni egemonici di Filippo si diressero verso l’Inghilterra, incontrarono un avversario diverso: la penetrazione cattolica dei Gesuiti, la presenza in Inghilterra dell’ex regina di Scozia Maria Stuart (aveva abbandonato il suo paese divenuto calvinista; cercò di organizzare il fronte antiprotestante contro la regina Elisabetta) e la lotta del pontefice contro la chiesa anglicana, spingevano Filippo a progettare l’invasione dell’Inghilterra. La guerra tra Filippo e la regina Elisabetta era iniziata anni prima: la regina aveva appoggiato finanziariamente e militarmente la rivolta dei Paesi Bassi e la pirateria corsara britannica aveva recato danni al commercio spagnolo. Filippo II poteva contare su una vasta coalizione di interessi che comprendeva il papa, il partito cattolico inglese e il partito dei Guisa in Francia, con lo scopo di portare guerra nel territorio di Elisabetta, avanzando legittime pretese al trono inglese, in quanto marito di Maria Tudor. Filippo II però sottovalutava sia la forza navale e militare dell’Inghilterra, sia le reazioni che la semplice minaccia di invasione avrebbero provocato nella società inglese. Anche la flotta spagnola era potente e fu chiamata “Invincibile armata”: a fornire supporto alla flotta dovevano essere le truppe dei Paesi Bassi, con a capo Alessandro Farnese. 1588 l’Armata spagnola partì da Lisbona, entrò nella Manica e si scontrò con le navi inglesi, ma l’artiglieria inglese era superiore. Nella manica si scontrarono due diverse tattiche di battaglia navale: gli spagnoli avevano un’artiglieria adatta al tiro ravvicinato; gli inglesi avevano navi leggere. Vinsero gli inglesi, ma la storiografia recente dimostra che l’Invincibile Armata fu decimata dalle avversità atmosferiche, dai marinai olandesi che impedivano alle navi spagnole di avvicinarsi alle loro coste e dalla scarsa mobilità. La sconfitta rappresentò l’arresto delle mire espansionistiche della Spagna e l’affermazione dell’Inghilterra come grande potenza marittima. Cominciò per la Spagna una crisi di egemonia: aveva affrontato costi molto alti sia per l’Invincibile armata sia per l’intervento nelle guerre di religione francesi. I grandi imperi (turco e asburgico) attraversarono una fase di blocco dell’espansione; Francia, Inghilterra e Olanda erano in ascesa: essi erano stati mediani per dimensione e collocazione geopolitica, per cui non hanno problemi dell’estensione degli imperi e sono posti al centro dell’Europa. OLANDA: Nel 1579 con l’unione di Utrecht nasce la Repubblica delle Province Unite, che prenderà il nome di Olanda per la provincia più importante. La Spagna però non rinunciò facilmente a questa parte di domini e continuò a combattere per qualche decennio, fin quando, nel 1648, alla fine della guerra dei Trent’anni, l’Olanda raggiunse l’indipendenza. Verso la fine del 500, l’Olanda era un paese emergente destinato ad avere un ruolo importante nella vita storica europea ed extraeuropea, anche grazie al contributo che l’Inghilterra aveva dato ai Paesi Bassi nella resistenza contro la Spagna. Tra il 500 e 600, il modello politico-istituzionale olandese presentava 3 elementi fondanti: la potenza commerciale, lo sviluppo artistico e culturale, la tolleranza religiosa. Dopo la rinuncia di Filippo del 1581, la sovranità passò alla comunità delle popolazioni delle Province Unite: esse formavano una federazione repubblicana caratterizzata dalla centralizzazione dei poteri militari e dal decentramento dei poteri civili, ma anche le scelte militari erano condizionate dall’unanimità dei voti dei rappresentanti delle 7 province. I voti di ciascuna di esse, rappresentate negli Stati Generali, avevano lo stesso peso. La sfera d’influenza degli Stati Generali fu limitata alla politica estera ed alla difesa, mentre la politica interna era affidata alle province. L’unione di Utrecht, documento costituzionale di base, stabiliva che ogni provincia conservasse privilegi, libertà e immunità particolari. Dopo l’atto di rinuncia di Filippo II, gli Stati provinciali furono i garanti dell’autonomia del territorio e assorbirono gran parte delle prerogative della sovranità. La caratteristica principale degli Stati provinciali riguardava il criterio della rappresentanza: vi erano due corpi, quello della nobiltà e quello delle città ed alla base del sistema istituzionale c’erano i Consigli delle città, con poteri locali enormi (elezione di magistrati, decisioni politiche, ecc.) Il sistema politico olandese si configurava come un sistema fortemente rappresentativo dalla base al vertice: vertice del sistema era lo statolder, che comandava l’esercito e stava a capo della federazione, e dal gran pensionario, responsabile della politica interna ed estera, una carica che, per quasi un secolo, fu monopolio della famiglia d’Orange. L’originalità del modello repubblicano olandese stava nel fatto che il suo sistema federativo favoriva la partecipazione diretta delle popolazioni alla vita politica: nacquero infatti le cattoliche inglesi, con la Chiesa di Roma, con il partito gesuita in Francia e con Filippo II, per cercare di scalzare Elisabetta. Nei primi anni 80 del 500, la donna divenne pericolosa: - Nel 1584 fu ucciso Guglielmo d’Orange, eroe della rivolta nei Paesi bassi; - Elisabetta venne scomunicata da Pio V, alimentando un clima di radicalizzazione tra cattolici e protestanti; - Filippo II iniziò i preparativi per la spedizione dell’Invincibile armata. Elisabetta decise di condannare a morte Maria Stuart, una scelta frutto dell’alleanza costituzionale tra regina e Parlamento che nel 1585 istituì un tribunale per i delitti dei pretendenti al trono. Scoperta una congiura, Elisabetta ordinò la decapitazione di Maria nel 1587. Gli scopi dell’Inghilterra erano 2: neutralizzare la spinta egemonica di Filippo II ed entrare tra le grandi potenze europee. Dal punto di vista della gestione statuale: ❖ Elisabetta era figlia di Enrico VIII e Anna Bolena: la sua nascita le imponeva la scelta protestante ma la sua politica religiosa si ispirava ad una linea centrista; con l’Atto di supremazia, si era fatta nominare capo delle cose sacre e profane, consolidò l’orientamento calvinista, mantenne l’organizzazione episcopale inglese e represse l’estremismo dei puritani, contrari alle gerarchie vescovili anglicane. Tutta la politica religiosa era collegata alla politica di consolidamento del potere unitario della monarchia (con una religione ufficiale, la pace religiosa e l’armonia tra ceti e classi); ❖ In politica estera operò un capolavoro: la politica di alleanza anglo-asburgica, poiché il nemico principale dell’Inghilterra era la Francia, alleata con la Scozia. ❖ Anche la politica economica fu dettata da notevole lungimiranza: la regina dette un grande impulso alle attività economiche del paese, soprattutto le manifatture, promuovendo lo sviluppo del settore tessile. Furono creati incentivi per gli artigiani protestanti specializzati, sia indigeni che stranieri. Il lavoro artigiano fu regolamentato e si sviluppò un’economia parallela grazie alle facilitazioni alle attività di rischio: infatti, l’età elisabettiana fu l’epoca d’oro della pirateria e attività formalmente fuori legge, ma autorizzate dalla regina mediante “lettere di corsa”, documenti che spiegavano i vantaggi ricavati dalle imprese corsare. 1557-1580 Francis Drake compì la seconda circumnavigazione del globo e pose le basi per la colonizzazione inglese della California; 1584 fu fondata la prima colonia inglese in America settentrionale, chiamata Virginia, in onore della verginità della Regina Elisabetta (aveva rifiutato ogni matrimonio). Quello di Elisabetta non fu un governo dispotico: i provvedimenti di legge dovevano essere sottoposti ad entrambe le camere del Parlamento, quella dei Pari (erano rappresentati i Lord) e quella dei Comuni (erano rappresentate nobiltà delle contee). Il Parlamento poi formulava il provvedimento sottoforma di statuto, ovvero legge scritta approvata dalle due camere. La riforma dell’amministrazione ad opera da Enrico VIII e Cromwell aveva dotato l’Inghilterra di organismi con funzioni finanziarie, di cancelleria e di strutture esecutive di grande importanza politica, ma non si formò mai una burocrazia centrale e periferica dello Stato simile a quella francese. La burocrazia si formò partendo dal governo periferico/locale, sotto il controllo della gentry (nobiltà di contea): per cui nell’intreccio tra corte, Parlamento e poteri locali avveniva la lotta politica inglese. La Francia nelle guerre di religione Il periodo tra la pace di Cateau-Cambresis (1559) e la pace di Vervins (1598) è molto importante per la storia della Francia: dopo aver attraversato una pericolosa crisi riguardante l’autorità monarchica, la Francia, verso fine 500, si avviava verso l’attuazione dello Stato moderno, caratterizzato dal rafforzamento del potere centrale e della sovranità monarchica come principio unitario e garante della pace interna. L’ultimo 40ennio del 500, denominato “periodo delle guerre di religione” è caratterizzato da: • la crisi dinastica, dopo la morte di Enrico III di Valois (1559); • la divisione religiosa del Paese tra ugonotti (calvinisti francesi) e cattolici; • il nesso tra lotta religiosa e lotta politica e la sua influenza nella lotta per il potere; • i condizionamenti internazionali, dovuti sia alle congiunture militari, sia alla politica matrimoniale; • lo sviluppo di nuove teorie politiche, influenzate dalla guerra civile in Francia. 1559 muore Enrico II lasciando 3 principi minorenni, tra cui il maggiore, Francesco II, che aveva 15 anni e sposò Maria Stuart, regina di Scozia, ma morì poco dopo. Quindi la reggenza passava alla vedova di Enrico II, Caterina de’ Medici, la quale doveva affrontare vari problemi: crisi finanziaria, aumento del debito pubblico e diffusione dell’eresia calvinista nel territorio. Il potere centrale era debole e doveva fare i conti con una forte nobiltà, divisa in due partiti che volevano conquistare il potere a corte. La divisione di questi partiti rispecchiava anche la divisione religiosa del regno: • il partito Cattolico, avente come leader Francesco di Guisa, in cui militavano i nobili delle regioni settentrionali legati a Maria Stuart; • il partito Ugonotto, avente come leader Antonio di Borbone re di Navarra, in cui militavano i nobili delle regioni meridionali. Morto Enrico II, il partito cattolico controllava gran parte delle cariche politiche principali, da cui erano stati esclusi gli ugonotti. Caterina scelse una linea di mediazione per non far aumentare ancora il potere dei Guisa: fece una serie di concessioni agli ugonotti. 1562 primo editto di San Germano: la regina concedeva libertà di culto agli ugonotti, che però dovevano risiedere fuori dalle mura della città. Le reazioni cattoliche non si fecero attendere: a Vassy furono massacrati circa 70 ugonotti e qui iniziano le guerre di religione. Nella prima fase Caterina cercò di bilanciare le concessioni, per cui consentì alla nobiltà di praticare la religione protestante solo nelle loro terre e limitò il culto riformato nelle città, ma questo compromesso non soddisfaceva gli ugonotti, che iniziarono scontri violentissimi sia nelle campagne che nelle città. 1570 Caterina fu costretta a promulgare il secondo editto di San Germano a favore degli ugonotti, in cui venivano loro concesse varie piazzeforti, fortificazioni ed un porto munito di difese, La Rochelle. Questo editto era il risultato del contesto internazionale: i referenti esterni del partito cattolico erano venuti meno; la Spagna era occupata nei Paesi Bassi e con la preparazione delle flotte contro i turchi; Maria Stuart era controllata in Inghilterra da Elisabetta. L’editto fu anche il frutto di una nuova cultura politica, i cui elementi confluiranno poi nel movimento intellettuale dei politiques, che predicava la pace religiosa, la riconciliazione nazionale ed il rafforzamento del ruolo dello Stato a livello interno ed internazionale. Gli ugonotti stavano acquistando in Francia un forte ascendente, preparandosi a costituire il fulcro di una coalizione antispagnola. Dopo la vittoria cristiana a Lepanto, la congiuntura mutò: la Spagna cristiana riprendeva prestigio, il papa e Filippo II appoggiarono il partito cattolico e, così, anche Caterina sostenne i cattolici. 1572 nella notte di San Bartolomeo a Parigi furono massacrati gli esponenti degli ugonotti nelle sale del palazzo reale, con un massacro che continuò i giorni successivi in tutta la Francia. La guerra si inaspriva, diventando di portata internazionale, con Spagna a favore dei cattolici e Inghilterra a favore degli ugonotti. Ciò era dovuto anche alla crisi dinastica in atto: nel regno del terzogenito di Caterina, Enrico III (senza figli), le mire dei due aspiranti al trono, Enrico di Guisa ed Enrico di Borbone, provocarono la cosiddetta guerra dei tre Enrichi: Enrico di Guisa fu ucciso per ordine del re ed Enrico III per mano di un frate domenicano, risolvendo il problema della successione. 1589 prima di morire Enrico III aveva designato come successore Enrico di Borbone, con la condizione che si convertisse al cattolicesimo, che di fatto avvenne nel 1593: tra la morte del re e la conversione del suo successore, la Francia aveva vissuto un periodo molto violento, dato che la Lega cattolica (spagnoli, papa, seguaci del partito cattolico e regina di Scozia Maria Stuart) padroneggiava nella capitale parigina, dove vi fu un’invasione da parte di un’armata spagnola proveniente dai Paesi Bassi. L’occupazione straniera ed i soprusi fatti dai leghisti fecero sparire la simpatia nei confronti del partito cattolico da parte dei parigini e degli abitanti delle altre zone francesi. La conversione di Enrico di Borbone fu un atto di pacificazione del paese che seguiva le direzioni dei politiques: nel 1594 Enrico, re di Francia ed iniziatore della dinastia dei Borboni, entra a Parigi e sancì il trattato di Vervins (1598), con cui la Spagna rinunciava alle pretese territoriali in Francia e veniva riconosciuto il re nel ruolo di grande potenza, col nome di Enrico IV. Fu importante anche l’editto di Nantes, promulgato da Enrico nel 1598, prima vera pacificazione della Francia e la primo vero riconoscimento della tolleranza religiosa da parte di un sovrano, dato che prevedeva: • il libero culto per gli ugonotti; • la concessione agli ugonotti di alcune piazzeforti come Rochelle e Montpellier; • la rappresentanza per loro nei Parlamenti; • la libertà civile. Nelle guerre di religione in Francia erano nati anche due importanti principi riguardanti l’agire politico: 1) quello del potere fondato su un patto tra governanti e governati; 2) quello della revoca del patto, anche mediante l’assassinio del re, quando venivano meno i suoi principi regolatori. Essi segneranno la storia del pensiero politico in Occidente. L’Europa orientale Alla fine del 500, anche l’Europa orientale era interessata nella fase di trasformazione dell’organizzazione politico-sociale: in Russia sotto Ivan IV il Terribile il rafforzamento Geografia politica dell’Italia non spagnola Ducato di Savoia: era riuscito a consolidare la sua autonomia territoriale e politica dopo Cateau-Cambrèsis grazie ad Emanuele Filiberto. Sotto il suo regno e quello del successore Carlo Emanuele I, si definì la linea di politica internazionale ed espansiva verso l’Italia. Il principale problema dei Savoia furono le relazioni con la Francia che in Piemonte conservava l’enclave (piccolo territorio del tutto chiuso entro uno Stato diverso da quello cui politicamente appartiene) del Marchesato di Saluzzo: per cui fu decisiva l’alleanza con la Spagna e la creazione di un esercito locale → Emanuele Filiberto spostò il baricentro del suo Stato dalla Savoia verso l’Italia (capitale del ducato spostata da Chambery a Torino). Carlo Emanuele I sfruttò l’impegno della Francia nelle guerre di religione, occupando il Marchesato di Saluzzo, il quale fu riconosciuto ai Savoia che in cambio cedettero alla Francia alcune terre oltre il Rodano. All’inizio del XVII sec. la politica espansionistica dei Savoia verso il Monferrato fece entrare Carlo Emanuele in combutta con la Spagna: il legittimismo dinastico contribuì a fare del ducato di Savoia l’unico Stato italiano dotato di una relativa autonomia e capace di svolgere una politica di potenza nella penisola. Repubblica di Genova: la sua ascesa è legata alla Spagna, che affidò a Genova e ai suoi banchieri alcune importanti funzioni per lo sviluppo della sua potenza imperiale, come il prestito di capitali; il controllo delle comunicazioni marittime nell’area imperiale; grandi trasferimenti di denaro da una parte all’altra dei domini. Genova in cambio potenziò la sua flotta, visse una fase di espansione edilizia, penetrò con le sue élite commerciali-finanziarie nella vita dei paesi della Corona spagnola. La pace di Cateau-Cambrèsis apportò vantaggi alla repubblica ligure, dato che ottenne la restituzione della Corsica, la quale, però, interessava troppo alla Francia per cui destò destabilizzazione alla vita della repubblica. Repubblica di Venezia: doveva far fronte sia alla potenza spagnola sia alla vicina Austria, per cui erano fondamentali le linee direttrici della Serenissima: da un lato l’alleanza con la Spagna per proteggere dai turchi i suoi possedimenti in Oriente (alleanza fondata sulla reciprocità e sulla consapevolezza che Spagna e Venezia avessero bisogno l’una dell’altra per la difesa del Mediterraneo); dall’altro l’espansione territoriale sulla terraferma e la formazione di uno Stato regionale. Fino a Lepanto prevalse la prima linea direttrice nelle scelte della Serenissima: Venezia era una grande potenza marinara che seppe far pesare la sua forza navale e, nonostante perse la colonia di Cipro nel 1570, diede un grande contributo militare alla vittoria di Lepanto. Lo spostamento del baricentro dell’economia dal Mediterraneo all’Atlantico e la concorrenza di grandi potenze nel Mediterraneo stesso, spinsero Venezia a focalizzarsi sul consolidamento di un vasto Stato regionale nell’Adriatico, uno Stato che si estendeva dalle Alpi a gran parte del Veneto, all’Istria e alla Dalmazia. Ducato di Toscana: Cosimo I, grazie ad un’abile politica interna e ad una politica internazionale basata sull’importanza dei rapporti di forza, seppe assegnare ad esso un ruolo centrale tra gli Stati italiani: l’alleanza con la Spagna fu fondamentale per l’espansione e il consolidamento territoriale del ducato, elevato a granducato da Pio V. Inoltre, grazie all’aiuto spagnolo, Cosimo I conquistò la repubblica di Siena (1555), potendo così avvalersi del grande capitale finanziario senese. La Spagna, però, penetrava nel Granducato attraverso lo Stato dei Presidi (es. isola d’Elba, Piombino), il che significava guarnigioni militari spagnole sul litorale tirrenico e attraverso la repubblica di Lucca (formalmente indipendente, ma sensibile internamente alle pressioni spagnole). Stato pontificio: rappresentava una potenza territoriale negli Stati italiani; riuscì ad unificare sotto il potere del sovrano-pontefice una molteplicità di territori appartenuti a piccole signorie locali e a costituire una forte realtà politica in Italia centrale: il marchesato di Ferrara, il ducato di Urbino, il ducato di Castro e Ronciglione entrarono così a far parte dello Stato della Chiesa. L’idea complessiva che emerge nell’ambito degli Stati italiani dopo Cateau-Cambrèsis è la preoccupazione costante di fare i conti con l’egemonia spagnola. Un ruolo importante nella dialettica tra Spagna e Stati italiani fu svolto dalle aree contese, come la Corsica, dai territori compresi in Stati regionali italiani ma politicamente appartenenti alla Spagna, come i Presidi, e da alcune enclaves. L’”estate di San Marino” dell’economia italiana Tra 1550 e 1600 l’Italia passa da 10 a 13 milioni di abitanti, le grandi realtà urbane italiane crescono molto (Napoli, Venezia, Palermo e Roma) e l’indice dei prezzi cerealicoli è in ascesa, per cui triplicano. Inoltre, crescono gli investimenti in attività economiche, sale il costo del denaro e aumentano i prezzi di beni e servizi: questa stagione dell’economia italiana, collocata tra due grandi crisi (del 300 e del 600), è rappresentata con l’immagine dell’”estate di San Martino”. La crescita della popolazione determinò l’aumento del fabbisogno alimentare, soprattutto di grano, orzo e segale, mentre la cerealizzazione dell’agricoltura italiana fu ottenuta mediante la messa a coltura di nuove terre, bonifiche e irrigazioni (il valore della terra aumentò): queste innovazioni agricole però non favorirono le condizioni economiche e umane del mondo contadino, il quale era sottoposto ad una durissima relazione di dipendenza dal signore feudale o dal proprietario terriero. Nel settore tessile aumentava la domanda interna ed internazionale, cosa che favoriva le tradizionali aree produttive italiane: • lana: Milano, Mantova, Como, Bergamo, Pavia, Brescia e Firenze; • Seta: Genova, Venezia, Firenze, Milano, Napoli, Calabria e Sicilia. Nel settore manufatturiero, vi fu un aumento della domanda statale, soprattutto per l’apparato bellico. I settori in cui si sentì maggiormente la presenza economica italiana furono quelli del commercio e del credito: grandi capitalisti genovesi riuscirono a creare un grande impero con molti interessi, garantendo all’Italia molto denaro. I guadagni risiedevano nelle operazioni di cambio e nei prestiti a breve termine ed alto tasso di interesse che venivano concessi alla Corona. La favorevole congiuntura internazionale ebbe effetti positivi anche sull’area più debole del Mezzogiorno, dove vi fu un’espansione dell’agricoltura, favorita dalla nascita del ceto dei Massari (mediatori tra proprietari feudali e contadini che organizzavano la produzione). Anche le attività commerciali del regno di Napoli subirono un notevole incremento, in particolar modo l’esportazione di grano, seta e olio. In questo modo si accentuava la rottura tra le due Italie: città dell’Italia settentrionale esportavano ed importavano grosse quantità di manufatti, in un rapporto di scambio equilibrato, mentre le città meridionali vivevano un rapporto di scambio ineguale con le aree più forti dell’economia europea. Una pluralità di formazioni politiche: analogie e differenze In Italia vi erano forme di sovranità e di governo differenti: da un lato principati e repubbliche oligarchiche, che avevano all’origine l’esperienza del comune (Genova, Milano, Venezia, Firenze); dall’altro monarchie dinastiche. Nonostante le notevoli differenze, tutte queste realtà politiche facevano riferimento allo stesso principio della sovranità, quello monarchico. Questo schema dualistico si complica con conquista spagnola del Ducato di Milano: con Napoli, la Sicilia e la Sardegna, la Spagna aveva acquistato per via ereditaria i domini della casa d’Aragona, ma con Milano le cose andarono diversamente, perché venne conquistato militarmente ed integrato nel complesso dei domini asburgici. Poiché vi era l’esigenza di centralizzazione politico-amministrativa, senza alterare gli equilibri politici e sociali locali, in tutti i domini si favorì lo sviluppo di istituzioni locali e di personale amministrativo indigeno, si promosse l’ammodernamento delle strutture e delle procedure finanziarie; si cercò di controllare l’apparato mediante la nomina di funzionari spagnoli e la creazione di organi di governo esecutivi. Le due massime autorità spagnole, il governatore e il vicerè, erano condizionale dal Senato milanese e dal Consiglio collaterale napoletano → Nel senato milanese era egemonico il patriziato cittadino di origine mercantile; nel Consiglio napoletano si rispecchiavano gli equilibri politico-sociali del regno: senatori e consiglieri reagirono quando la Spagna tentò di centralizzare il potere o di innovare gli assetti del governo. Ma il governo del territorio di Milano era ben diverso da quello del territorio di Napoli: - A Milano: il peso della popolazione delle campagne era notevole e il contado milanese poteva contare su un procuratore generale che lo difendeva nelle cause e nelle vertenze con la città. Gli spagnoli, quindi, cercarono di ridimensionare il potere dell’élite urbane, introducendo il mensuale, ovvero un’imposta diretta che colpiva la ricchezza mobiliare e immobiliare della città e del contado; - Napoli fu l’unico soggetto-città ad avere un potere reale di contrattazione con la Corona e lo fece valere sia per farsi riconoscere privilegi fiscali, sia per opporsi ai tentativi di introduzione di strumenti forti di controllo nel regno, come l’Inquisizione (non fu mai stabilita). Inoltre, la forza fondamentale del Mezzogiorno era rappresentata dalla feudalità: nell’età spagnola, i baroni meridionali persero il loro potere politico e dovettero accettare di diventare cortigiani, così da poter continuare ad usare i poteri a loro delegati dal sovrano nei loro feudi. Nonostante dovette cedere una fetta dei suoi poteri politici alla Corona, la feudalità accrebbe il suo potere economico e sociale all’interno dei feudi, cioè la giurisdizione (diritti amministrativi, giudiziari, fiscali ed economici riconosciuti dalla giurisprudenza del tempo). Così, si determinò un compromesso tra monarchia spagnola e feudalità, fondato sul rispetto reciproco di obblighi e limiti e sul riconoscimento di prerogative. La tendenza all’accrescimento dei poteri coinvolse in particolare tre Stati: il ducato sabaudo, il granducato di Toscana e lo Stato pontificio. CAPITOLO VI- I Paesi extraeuropei nel mondo moderno L’evoluzione del mondo islamico Tra il 400 e il 500, l’Islam si diffuse in vastissime aree dell’Asia e dell’Africa: nei primi secoli dell’Età moderna furono costruiti due potenti imperi: Ottomani (da Othman) e Persiani. Ottomani (Turchia): l’impero ottomano fu uno dei protagonisti della scena internazionale centrata sul Mediterraneo. A metà 400, con la conquista di Costantinopoli da parte di Maometto II, iniziò la fase espansionista e, in meno di un secolo, l’impero divenne uno dei più potenti del mondo. Le ragioni di questa avanzata sono molteplici: posizione geografica favorevole, capi con grande personalità, grande abilità militare, esercito ben organizzato, interferenza tra strutture politiche, religiose e militari dello stato. Ma le motivazioni principali del successo turco erano fondamentalmente due: 1. La prima di carattere internazionale: gli anni di maggiore espansione turca in Europa coincisero con la fase più critica dello scontro tra Carlo V e Francesco I, quindi la concentrazione di Spagna e Francia era distolta dall’invasione turca, che riuscì a prendersi Belgrado e Vienna, e a battere Luigi II d’Ungheria. 2. La seconda legata al modello politico-organizzativo dell’impero: al vertice dell’Impero vi era il sultano, califfo di tutte le terre sunnite dell’Islam. La forza del sultano stava nel dispotismo, ovvero nella quasi totale mancanza di proprietà privata della terra: tutto il territorio agricolo dell’impero apparteneva al sultano, tranne i patrimoni degli enti religiosi, per cui nei non si creò mai una nobiltà ereditaria. Inoltre, era già presente la pratica del timàr, che consisteva nella concessione di terra da parte del sultano, che non era ereditaria: le sue dimensioni erano calcolate al millimetro, il suo assegnatario era controllato dai governatori statali e non esercitava nessuna giurisdizione sui contadini. I vertici dell’apparato burocratico-militare erano reclutati tra gli schiavi di origine cristiana: ogni anno, un numero di bambini veniva sottratto a famiglie cristiane ed inviato a Costantinopoli, dove veniva educato alla fede musulmana ed alle discipline di amministrazione civile e militare. Il corpo di schiavi del sultano forniva i ranghi superiori della burocrazia imperiale (dal gran vizir alle cariche provinciali) e l’esercito permanente ottomano (cavalleria + giannizzeri). Complementare a questo ceto di schiavi era il ceto militare, a cui erano concessi i timàr in cambio del controllo territoriale delle province. Lo scopo centrale dello Stato ottomano, sul piano interno, era lo sfruttamento fiscale dei possedimenti imperiali: i turchi non pretesero mai la conversione di massa delle popolazioni sottomesse, ma alle autorità bastava riscuotere dai ragah cristiani (contadini che coltivavano la terra del timàr). L’impero decadde a causa della forza economica e militare dell’Europa assolutista: nel Mediterraneo, dopo il 1606, si decisero il destino militare degli Ottomani in Europa. Proprio nel 600 iniziò la crisi turca, sia a causa dell’Europa sia per la guerra con la Persia che causò la perdita del Caucaso. Vi erano anche motivi interni, come la debolezza del potere del sultano che fece sì che i giannizzeri si ribellassero, la fragilità delle strutture economiche dell’impero, fondate soprattutto sulla terra, la debolezza finanziaria e monetaria. Sciiti (Persia): discendenti di una delle sette musulmane che riconoscevano come soli eredi di Maometto il califfo Alì e la linea maschile delle generazioni da lui discese. La loro culla, la Persia, e la formazione politica che produssero erano imprescindibili dallo Sciismo, che rappresentava sia un credo religioso, sia un modo di definire un’originalità nell’Islam. Gli sciiti erano legati alla purezza del messaggio religioso rivelato da Maometto, da cui deriva un integralismo religioso assoluto. → L’organizzazione politica era di stampo teocratico e il rapporto con gli infedeli era fondato sulla conflittualità e sulla guerra santa. Artefice della potenza persiana fu la dinastia safavide: ad inizio 500, il fondatore Ismail aveva riunito sciiti e membri di tribù nomadi per iniziare una guerra contro i popoli dell’Asia centrale e contro gli ottomani. Sotto Abbas I il Grande, la Persia si stabilizzò nei suoi confini attuali e si affermò come grande potenza: egli creò un’autocrazia orientale, in cui Stato, governo e ricchezze erano considerati beni del sovrano e stabilì il fondamento religioso sul dogma, i cui depositari erano gli imam. Poi eliminò particolarismi tribali, etnici e provinciali e furono stabilite nuove rotte commerciali, tra cui, sul golfo del Persico, i traffici di spezie e seta. Continente africano: Tra 400 e 500 si sviluppò un terzo nucleo di espansione dell’Islam, che partiva dall’Indonesia ed arrivava all’Africa orientale, al Marocco ed all’Africa nera. Gli strumenti di espansione erano i mercanti musulmani, che instaurarono regni musulmani, come nelle Maldive o in Birmania, causando il declino del vecchio impero indiano. Lo sviluppo dell’Islam fu anche legato alla penetrazione commerciale nelle isole e nelle coste dell’Africa orientale: il suo centro, Mombasa, tentò di opporsi all’invasione portoghese. Il continente africano tra XVI e XVII sec. mutò sensibilmente nell’ambito della sua geografia politica: scomparvero tutte le formazioni politiche tipiche dell’età medievale, come l’ultimo impero, Songhai, che fu conquistato dal Marocco, il quale riuscì a creare delle sfere d’influenza consistenti, assicurandosi oro e schiavi dal Sudan nigeriano. Invece gli Arabi crearono un grande impero commerciale nell’Africa orientale. Proprio grazie a questi due nuclei, i rapporti commerciali, gli scambi ed i contatti tra Islam e Cristiani aumentarono (contratti di commercio, salvacondotti e privilegi mercantili). La Cina dalla fine dell’impero nomade dei mongoli alla dinastia Ming A metà del 300 il grande impero mongolo creato da Genghiz Khan entrò in crisi, a causa della violenza dei conquistatori, dell’eccessivo fiscalismo e della presenza degli stranieri. Lo scoppio di numerose rivolte portò, nel 1368, alla cacciata dei mongoli ed alla creazione di una dinastia cinese, quella dei Ming: l’apogeo di questa dinastia fu nel 500. I primi imperatori Ming avevano promosso una politica di grandi opere pubbliche in agricoltura, come irrigazioni, imboschimenti e dighe. Ad inizio 400 la capitale era stata spostata a Pechino e, poiché la Cina continuò a subire scorrerie da parte dei mongoli, i confini furono fortificati e l’apparato militare reso più efficiente. Un contributo importante fu offerto dalle spedizioni marittime nel 400 verso le isole indonesiane, l’India e le coste dell’Africa orientale: si crearono rapporti diplomatici e commerciali. Nel 500, il riso divenne la coltura principale, tant’è che le regioni meridionali assunsero la funzione di granaio della Cina. Sotto la dinastia Ming si compirono passi importanti verso la modernizzazione statale: sul piano politico, furono attuate varie riforme, come la registrazione della popolazione a fini fiscali, la diffusione del prelievo tributario in denaro, l’istituzione di scuole specializzate per il reclutamento di personale burocratico, scelto dall’imperatore. La società cinese era molto stratificata: al vertice vi era la ricca aristocrazia fondiaria, formata dai discendenti di coloro che avevano combattuto col fondatore della dinastia Ming; poi vi era la classe superiore di funzionari intellettuali. Il meccanismo che univa questi due ceti era quello della famiglia, precisamente l’unione di più famiglie, discendenti da uno stesso progenitore, che nelle zone del sud è detto clan. La famiglia funzionava così: le fortune accumulate coi servizi prestati all’imperatore venivano investite nella terra; a sua volta, la famiglia che aspirava ad entrare nell’aristocrazia spingeva uno dei suoi verso un titolo accademico, nella speranza che ottenesse una carica con cui compensare la sua famiglia. A fine 500, gli scambi tra Europa e Cina furono molto intensi, anche grazie all’opera di evangelizzazione dei Gesuiti: Matteo Ricci sbarcò a Canton nel 1583 e cercò di integrare Confucianesimo, Buddhismo e Cristianesimo traducendo in cinese i testi primari della cultura scientifica occidentale. Il modello feudale giapponese A fine 400 il potere centrale in Giappone era distrutto. Tra il 400 e 500 l’organizzazione magnatizia prese il sopravvento: i signori feudali (daimyo) controllavano blocchi territoriali, nei quali i guerrieri (samurai) erano loro vassalli e le terre erano di loro proprietà. Tra il feudalesimo giapponese ed europeo esistevano varie differenze: • La feudalizzazione giapponese era più estesa di quella europea: nelle campagne giapponesi non esistevano terre di libera proprietà senza vincoli feudali; • Il signore, in Giappone, concedeva i feudi a pieno titolo ai samurai, dopo il giuramento di fedeltà; • Nel feudalesimo giapponese il legame tra signore e vassallo era più forte rispetto al legame economico tra vassallo e terra; • Il vassallaggio aveva carattere sacro. 1573 inizia il periodo senza shogun, una fase in cui il Paese fu governato da potenti capi militari. Nobunaga, mediante alleanze regionali, riuscì ad imporsi sulla parte centrale della nazione, spezzando la resistenza dei daimyo, ponendo fine all’indipendenza di alcune città mercantili, reprimendo le sette religiose buddhiste che avevano formato zone armate. L’opera di conquista fu ampliata da Hideyoshi che riuscì a sottomettere i magnati: nel 1601, nella battaglia di Sekigahara, la sua famiglia fu sterminata e il potere fu assunto da Ieyasu, che fu nominato shogun dall’imperatore. La sua formazione statale durò fino al 1868. Le caratteristiche furono: unità senza centralismo, convivenza di regime feudale e sviluppo economico, feudalesimo controllato. Il regime aveva dei requisiti: al vertice c’era l’imperatore, che non esercitava direttamente il potere; poi lo shogun, che esercitava il potere, possedeva un quarto delle terre coltivate, amministrate da 40 intendenti. Anche la società era organizzata in gerarchie chiuse: daimyo, samurai, contadini e commercianti. Il potere feudale era illimitato nei feudi, ma i feudatari non potevano né erigere nuovi castelli né sposarsi senza il consenso dello shogun. una crisi della manodopera indigena. Perciò il valore dell’oro si alzò, le monete pregiate si svilirono e si dovette ricorrere alla coniazione in rame, con il conseguente aumento dei prezzi: a causa della scarsità di moneta circolante, il sistema internazionale fece ricorso ad una moneta fiduciaria (titoli del debito pubblico emessi dagli Stati e le lettere di cambio). Processi sociali furono investiti dalla crisi. La corsa alla terra, all’occupazione degli uffici e dell’amministrazione statale, all’investimento nel debito pubblico furono tendenze comuni a tutta l’Europa, però non determinarono effetti simili in tutto il continente. Per esempio, mentre nell’Europa mediterranea si andavano riaffermando la feudalità e la giurisdizione baronale, in Inghilterra l’aristocrazia si trasformava profondamente: la vecchia aristocrazia mostrò prontezza a sviluppare nuove risorse sui propri possedimenti terrieri e ad assumere un ruolo importante nelle iniziative industriali, coloniali e commerciali. Il declino dell’impero spagnolo A fine 500 l’impero spagnolo era ancora uno dei più temibili candidati alla conquista del mondo, ma a metà 600 la Francia dei Borbone era una rivale di tutto rispetto, come anche Inghilterra, Province Unite, Portogallo e Indie orientali → gli eserciti spagnoli non erano più invincibili, l’amministrazione era incompetente, le finanze erano nel caos e il commercio transatlantico declinava paurosamente. La Spagna di Filippo III e Filippo IV era entrata in un periodo di declino del sistema imperiale, in cui stavano venendo meno ricchezza ed egemonia politica della Castiglia, il consenso dei Paesi sudditi del Re cattolico e la capacità del sistema di subordinare ad esso le relazioni internazionali. Si parla di declino, e non di crisi, per sottolineare la durata non breve del processo. Regno di Filippo III si manifestarono i primi segnali di declino: la nazione fu investita da una crisi economica di vaste proporzioni, fatta di cattivi raccolti, peste, decadenza dei settori agricoli della Castiglia, con successivo spopolamento ed abbandono dei villaggi. Un ulteriore colpo all’economia fu dato dall’espulsione dei moriscos (musulmani convertiti superficialmente al cristianesimo): da un lato costituivano un problema per il governo, poiché rappresentavano una minoranza etnica non integrata che provocava disordini e rivolte; dall’altro, però, rappresentava la spina dorsale dell’agricoltura e dell’artigianato spagnolo → i moriscos funsero da capro espiatorio del declino. Durante il regno di Filippo III si produssero anche importanti mutamenti nel sistema politico: il centro del potere fu la figura del valido, una figura politica a metà tra il favorito del sovrano ed il primo ministro. I due più importanti validos furono: - duca di Lerna → sotto Filippo III; - conte-duca d’Olivares → sotto Filippo IV. La politica internazionale di Filippo III e del duca di Lerna fu caratterizzata da una linea pacifista: 1603 -> pace con l’Inghilterra; 1609 -> tregua di 12 anni con le Province Unite. Regno di Filippo IV: si aprì una nuova congiuntura politica con l’ascesa al potere del conte- duca d’Olivares. Si costruì un nuovo imperialismo internazionale e un maggiore coinvolgimento delle province nella vita economica, politica e militare della Spagna. La politica estera di Filippo IV può essere suddivisa in 3 fasi: 1. Inizia con la fine della tregua d’Olanda, che segna la fine della pax hispanica di Filippo II: tra il 1621 e 1627 Olivares costruì un sistema di alleanze in funzione antiolandese, ottenendo un importante successo contro l’esercito delle Province unite e poi conquistando la Valtellina in funzione antifrancese. 2. Compresa tra il 1627 ed il 1635: a trascinare la Spagna nell’ennesima impresa militare fu la questione della successione del Monferrato. Nel 1627 morì il duca di Mantova: il suo successore sarebbe dovuto essere Carlo I di Gonzaga-Nevers (francese), ma Mantova sotto il controllo dei francesi era un pericolo per l’Italia spagnola. Il governatore di Milano, Gonzalo de Cordoba, penetrò nel 1628, con le sue truppe nel Monferrato, aiutato da Olivares. La guerra di Mantova fu il più grave errore di Olivares in politica estera: la Spagna non solo non ottenne nulla, ma manifestò aggressività imperialistica gratuita a tutte le potenze europee. La guerra di Mantova preparò il conflitto franco-spagnolo del 1635. Durante questi anni Olivares mise a punto un progetto che prevedeva la collaborazione militare diretta dei domini spagnoli: la Uniòn de las armas, un progetto che incontrò opposizioni sia da parte dell’aristocrazia castigliana sia da parte delle province che avrebbero dovuto collaborare in misura massiccia; anche una delle cause della rivolta catalana. 3. È assorbita dalla Guerra franco-spagnola (1635-1648) che conclude la guerra dei 30 anni: la Spagna fu impegnata sia sui fronti internazionali che su quelli interni. RIVOLTE DEGLI ANNI ’40 1640: scoppio di due crisi gravissime nel sistema imperiale spagnolo, la rivolta in Catalogna e la secessione del Portogallo. Lo scoppio della guerra con la Francia (1635) aveva accresciuto l’importanza strategica della Catalogna, che occupava buona parte dei confini orientali della Spagna ed allo stesso tempo si erano deteriorati i suoi rapporti con governo di Madrid, a causa degli abusi compiuti dalle truppe spagnole. Esplosero grandi tumulti e nel 1641 la Catalogna si gettò tra le braccia della Francia: dopo di essa, anche il Portogallo dichiarò la sua indipendenza. 1643 dopo la sconfitta per mano dei francesi, Olivares fu deposto dal suo incarico. 1647 scoppiarono 2 rivolte nei domini italiani della Spagna: Sicilia e Regno di Napoli, che nel decennio precedente avevano dovuto sopportare il peso finanziario e militare degli impegni della Corona spagnola. La rivolta che interessò Napoli e le province del regno meridionale non ebbe solo motivi fiscali. Essa si può dividere in 3 fasi: • 1° fase: fu dominata dal capopopolo Masaniello, ma la testa pensante del moto fu Giulio Genoino: essi sostenevano la lotta politica dei ceti popolari contro la nobiltà. La loro richiesta era di raggiungere la parità del peso politico tra nobiltà e popolo nell’amministrazione di Napoli; • 2° fase: Masaniello fu ucciso e Genoino esiliato. La rivolta si spostò nelle province e delle campagne del Mezzogiorno dove assunse un’impronta antifeudale. • 3° fase: nell’ottobre 1647 i leader popolari proclamarono la Real Republica Napoletana, sotto la protezione del re di Francia, ma fallì ben presto. Il francese Enrico di Lorena, duca di Guisa, si proclamò doge della repubblica ma non ebbe il sostegno politico, militare e finanziario della Francia. Il leader della Real Repubblica si resero conto di non avere il consenso del ceto civile e aprirono trattative con il potere spagnolo. Il baronaggio feudale, che nella prima fase era fuggito dai feudi, riprese il possesso delle terre e appoggiò l’esercito spagnolo. 1648→ a seguito della pace con gli olandesi, vi fu il ritorno trionfale degli spagnoli a Napoli. Il Portogallo era definitivamente perso: gli eserciti spagnoli non riusciranno a difendere il Portogallo perché impegnati a reprimere la rivolta in Catalogna e a combattere in Germania e Paesi Bassi. Tuttavia, vi furono la riconquista di Napoli e il contenimento del rischio di rivolte in regioni come l’Andalusia. Anche la crisi catalana fu risolta dalla Spagna. Il consolidamento dello Stato moderno in Francia Regno di Enrico IV → dopo l’editto di Nantes (1598), Enrico IV aveva ristabilito in Francia la pace religiosa, indispensabile per l’affermazione del potere politico centrale ed il consolidamento dello stato moderno: Enrico IV promosse una politica di consolidamento dello Stato basata sulla formazione e lo sviluppo di un ceto di funzionari pubblici, la cui origine e fortune economiche e politiche furono legate allo Stato. La vendita degli uffici pubblici consentì allo Stato sia di rispondere all’aumento delle esigenze finanziarie della monarchia, sia di attirare verso l’apparato statale gruppi sociali di origine non nobile, desiderosi di fare carriera nell’impiego pubblico. ➢ 1604 L’editto di Paulet sanzionò l’ereditarietà degli uffici venduti in cambio del pagamento di una tassa annuale da parte degli esercenti: così, attraverso il meccanismo di reclutamento degli ufficiali, sia attraverso la compravendita di uffici, si costruiva un solido legame tra re e burocrazia. Ciò contribuì a formare un corpo di funzionari, i cui esponenti più importanti divennero titolati nella nuova nobiltà di toga (diversa da quella di spada). ➢ Egli intervenne anche nell’economia: grazie al primo ministro, il duca di Sully, cercò di ricostruire le basi produttive del paese mediante lo sviluppo di agricoltura e manifatture. ➢ In politica estera, Enrico IV promosse alleanze in funzione antiasburgica, con i Savoia, gli olandesi e Venezia. ➢ Il suo regno accentuò tensioni e conflitti interni alla società: era forte quello religioso tra cattolici ed ugonotti, ma anche i contrasti legati alle novità politico-sociali promosse dallo Stato, come nobiltà di spada VS nobiltà di toga; antica aristocrazia VS robins (nuovi ricchi); parlamenti VS corpo di funzionari creati dal sovrano Reggenza di Maria de Medici e governo Richelieu: Enrico IV nel 1610 fu assassinato da un fanatico cattolico, lasciando un figlio ancora bambino (il futuro Luigi XIII), la reggenza toccò alla vedova Maria de’ Medici, che nel 1614 convocò gli Stati Generali. L’assemblea dei tre stati (clero, nobiltà e terzo stato) fu la cassa di risonanza di tutte le lacerazioni del regno, ma non riuscì ad imporre nessuna riforma. Il periodo 1614-1624 fu per la Francia un periodo critico per l’esplosione di conflitti religiosi e politici, ma furono gli anni di formazione di Richelieu, il futuro primo ministro francese, che entrò nell’entourage della regina. 1624 → Richelieu fu nominato primo ministro di Luigi XIII. La guerra si può dividere in 4 fasi: 1. Fase boemo-palatina (1618-1625): dopo la defenestrazione di Praga, in Boemia fu nominato un governo provvisorio. L’arciduca Ferdinando chiese l’intervento armato delle forze imperiali: nel 1618 l’esercito imperiale entrava in Boemia ed al suo fianco si schieravano Federico V, principe elettore del Palatinato e capo dell’Unione evangelica ed il duca di Savoia; per reazione, scese in campo anche la Lega cattolica. Nel 1619, Boemia, Lusazia, Slesia e Moravia eleggevano nuovo sovrano Federico V e nello stesso anno Ferdinando di Stiria veniva eletto imperatore col nome di Ferdinando II. L’esercito dell’Unione evangelica fu sconfitto da quello di Ferdinando II nella battaglia della Montagna bianca (1620): a Federico V furono sequestrati i beni e fu imposto l’esilio, mentre i beni dei nobili protestanti furono trasferiti ai nobili cattolici. Nel 1622 fu riconquistato il Palatinato, ma nel 1621 si riaprì la guerra tra Spagna e Province Unite. Si aprì un terzo fronte di guerra in Italia: nel 1625 la Spagna intervenne a fianco dei cattolici della Valtellina contro i seguaci della riforma. 2. Fase danese (1625-1629): L’espansionismo cattolico-asburgico aspirava alle potenze del Nord-Europa, in particolare alla Danimarca, dove regnava Cristiano IV che sognava di conseguire l’egemonia sulla penisola scandinava e sul Baltico. Appoggiato da Olanda, Inghilterra e Francia, Cristiano IV entrò in guerra a fianco dei protestanti contro l’impero, ma Ferdinando II affidò il comando delle truppe imperiali a Wallenstein, genio della strategia militare che sconfisse le truppe protestanti, invase la Danimarca e la costrinse ad una pace umiliante, facendola fuori dal conflitto. Con la pace di Lubecca del 1629, Cristiano IV rinunciò ad ogni ingerenza dell’impero e l’imperatore, dal canto suo, emanò l’editto di Restituzione, secondo cui dovevano essere riconsegnati alla Chiesa cattolica tutti i beni confiscati a partire dal 1552: la fine di questa fase fu favorevole agli Asburgo d’Austria, che avevano imposto la loro autorità praticamente a tutte le regioni dell’Impero. 3. Fase svedese (1630-1635): nel 1592 il re di Polonia, Sigismondo Vasa, ereditò la corona di Svezia. Nel 1599, la Dieta svedese depose Sigismondo e gli successe lo zio, Carlo IX, le cui mire espansionistiche verso Polonia e Danimarca non ebbero successo, ma si costituirono le linee direttrici per l’affermazione della Svezia sia sul piano interno che internazionale, grazie al successore, Gustavo Adolfo. Molti fattori possono spiegare l’ascesa in tempi rapidi della Svezia: - la Svezia possedeva una fonte di ricchezza, cioè le risorse minerarie, di cui ferro e rame furono in parte esportati ed in parte usati per l’armamento. - il sistema di rapporti di produzione, che privilegiava la piccola proprietà contadina, ceto da cui venivano reclutati i soldati. - l’abilità politica e amministrativa del re Gustavo Adolfo, che seppe creare un sistema di potere fondato sul rapporto privilegiato con l’aristocrazia. Il pericolo asburgico incontrava nel Baltico il baluardo della potenza svedese, che non avrebbe mai tollerato l’espansione in quel mare: Gustavo Adolfo, dopo essersi alleato con Richelieu, si spinse in Germania col suo esercito, occupò Monaco e sconfisse l’esercito imperiale nel 1632. Non poté assaporare il frutto della vittoria in quanto morì sul campo: la sua morte disorientò le truppe svedesi, sconfitte da quelle imperiali nel 1634 a Nordlingen. I principi protestanti li abbandonarono e firmarono, nel 1635, la pace di Praga: dunque, gli stati germanici erano di nuovo sotto l’egemonia asburgica. 4. Fase francese (1635-1648): la Francia entrava direttamente in guerra. Le due parti in conflitto erano: Francia, Svezia e Olanda VS Spagna e Impero. Al trono imperiale era succeduto Ferdinando III e le fila della politica francese erano tirate da Richelieu, mentre la Spagna era sotto il conte duca d’Olivares ed era impegnata su più fronti: nella Manica gli olandesi ne sconfissero la flotta nel 1639 e nel 1641 la forma franco-catalana costrinse alla ritirata l’esercito. A Rocroy nel 1643, Luigi di Borbone, principe di Condè e comandante delle truppe francesi, ottenne una vittoria sugli spagnoli. Con gli svedesi, i francesi penetrarono in Sassonia, Boemia, Palatinato, Alsazia e Baviera: nel 1644, iniziarono le trattative di pace a Osnabruck e Munster. Nel 1648 gli spagnoli firmarono la pace separata con l’Olanda, riconoscendone l’indipendenza. La pace di Vestfalia, che pose fine alla guerra dei 30 anni, fu siglata nel 1648 solo da Impero, Francia e Svezia: la Spagna non firmò; perciò, la sua guerra con la Francia continuò. La prima questione fu la pacificazione religiosa: da un lato si confermò il principio del cuius regio eius religio sancito ad Augusta nel 1555, dall’altro si apportarono delle integrazioni, secondo cui i principi potevano scegliere la religione del loro stato, i sudditi dovevano seguire la religione di famiglia da almeno 25 anni e chi non voleva seguire questa norma doveva lasciare il Paese, conservando il suo patrimonio. Questa normativa rappresentava un grande passo avanti rispetto al passato e consentiva la convivenza tra cattolici, luterani e calvinisti. Sul piano politico-territoriale il trattato di Vestfalia prevedeva l’estensione dei territori francesi al Reno, incorporando i tre vescovadi di Metz, Toul e Verdun + l’Alsazia, senza Strasburgo; in Italia i francesi controllavano il Pinerolo e Casale Monferrato, ma la Francia usciva vincitrice anche perché alla monarchia dei Borbone era riconosciuto il ruolo di arbitro del trattato, di garante delle clausole. La Svezia guadagnava in territorio germanico Brema e Verden, entrando nella Dieta imperiale ed estendeva la sua influenza alla Pomerania occidentale, acquisiva il primato sul Baltico e sul mare del Nord. Infine, era riconosciuta l’indipendenza dell’Olanda. L’impero come entità politica e struttura d’autorità usciva trasformato dalla guerra dei Trent’anni. In Germania il rafforzamento dei poteri dei principi territoriali significò la restrizione delle prerogative imperiali e lo svuotamento della Dieta. Tre stati germanici, in particolare, emergevano più potenti alla fine della guerra: Brandeburgo, Sassonia e Baviera.infine il trattato di Vestfalia riconosceva solennemente l’indipendenza dell’Olanda. Verso un’Europa multipolare: il nuovo quadro internazionale dopo le paci di Vestfalia, Pirenei e Oliva La guerra tra Francia e Spagna continuò fino al 1659: le sorti mutarono radicalmente dopo la battaglia delle Dune nel 1658, grazie all’alleanza tra Francia e Inghilterra. Con la Pace dei Pirenei del 1659 la Spagna cedeva all’Inghilterra Dunkerque e Giamaica, alla Francia parte delle Fiandre e dell’Artois e nei Pirenei la Cerdania e il Rossiglione. Il matrimonio tra Luigi XIV e Maria Teresa (figlia di Filippo IV) stabilì altri legami tra i due Paesi. La guerra proseguì nel Baltico tra il sovrano svedese Carlo X e la Danimarca: nel 1660 la pace di Oliva concludeva il conflitto a spese della Polonia, che dovette spartire parte dei suoi territori tra Svezia, Brandeburgo e Russia. La storiografia interpreta le tre paci (Vestfalia, Pirenei e Oliva) come il segno dell’indiscussa egemonia francese in Europa: dalla guerra dei Trent’anni ne emerge un Europa multipolare, un polo mediterraneo con Francia in posizione preminente, nell’Europa centrale in ascesa la potenza di Brandeburgo-Prussia, mentre Inghilterra ed Olanda sono il motore dell’economia europea; a Nord la Svezia e a Nord-Est la Russia. L’Europa multipolare è interdipendente. CAPITOLO VIII-Centro e periferia della civiltà europea La società inglese dai Tudor agli Stuart La vivacità economica, politica e culturale della società e la forza dell’assetto storico- costituzionale contribuirono allo sviluppo dell’Inghilterra come grande potenza. Questi fattori garantirono il successo del processo rivoluzionario, che iniziò con il governo degli Stuart nel 1640 e si concluse nel 1688 con l’affermazione della monarchia parlamentare costituzionale. Alla fine del regno di Elisabetta lo Stato inglese presentava alcune carenze: ➢ Piano finanziario la Corona aveva un’autonomia abbastanza scarsa: gran parte delle risorse provenivano dai beni della Chiesa incamerati dallo Stato post-Riforma; non esistevano monopoli pubblici sulle attività economiche tali da garantire entrate alla Corona; la ridotta burocrazia centrale comportava il ricorso al sistema di venalità degli uffici. La spina dorsale dell’esercito era costituita dalle milizie locali. I nuovi tribunali regi dovevano convivere con tribunali del diritto consuetudinario, che egemonizzavano l’esercizio della giustizia. Era assente una burocrazia di governo locale. ➢ In pratica, con la Riforma, si era stabilito un compromesso tacito tra Corona e Parlamento, secondo cui le classi rappresentate nelle Camere dei Comuni accettavano ed appoggiavano le scelte religiose e politiche del re, a condizione che si permettesse loro di governare le campagne e le città: così la gentry aumentò la propria ricchezza, il potere economico, conquistarono il governo delle contee ed il controllo dei seggi alla Camera dei comuni. ➢ Nell’ambito del controllo religioso Elisabetta lasciava in eredità ai successori una Chiesa ufficiale priva di basi dottrinarie: da ciò deriva la diffusione di sette estremistiche protestanti (=puritani) e cattoliche. Il punto di forza dello stato inglese stava nell’equilibrio tra re e Parlamento e nella capacità di favorire mutamenti e trasformazioni sociali: quando questi due requisiti verranno meno, monarchia e parlamento forzeranno tale equilibrio e tali mutamenti, scatenando la rivoluzione. Il più importante mutamento sociale che si ebbe sotto Elisabetta fu la trasformazione dell’aristocrazia, le cui funzioni furono modificate, identificandosi nella ricchezza fondiaria, nel rapporto con la corte e nel ruolo di classe dirigente. Nella vita politica inglese la Camera dei Comuni (= gentry e media e piccola nobiltà) assume un peso sempre maggiore rispetto alla Camera dei Lord (= famiglie della grande aristocrazia dei Pari). La periodizzazione della prima rivoluzione inglese può essere svolta in 4 fasi: 1. Prima fase (1642-1649): nel 1642, dopo la fuga del re da Londra, sia nello schieramento di corte sia in quello d’opposizione non erano presenti classi sociali omogenee. Nel partito del re militavano aristocrazia, la Chiesa anglicana, i grandi proprietari nobiliari; nello schieramento dell’opposizione parlamentare militavano ceti in movimento, esquires della gentry, professionisti, mercanti, artigiani e i ceti delle aree limitrofe di Londra. Nel 1642 la cavalleria del re (soprattutto aristocratici) si scontrava con l’esercito del parlamento, il quale dopo iniziali sconfitte, iniziava a conseguire alcune vittorie. A suo favore giocarono il sostegno finanziario della City, l’alleanza con la Scozia, l’acquisizione dell’esperienza e disciplina militare grazie al capo militare calvinista ed esponente della gentry di provincia Oliver Cromwell: egli realizzò la New Model Army che sconfisse l’esercito reale nel 1645 a Naseby e a Lang Port. La nuova armata era formata da volontari, era altamente specializzata e qualificata, aveva una ferrea disciplina militare e guardava alle funzioni militari con spirito di servizio calvinista e fede nella causa per cui si stava combattendo. Vinta la resistenza di Carlo, che nel 1646 si arrese anche agli Scozzesi e fu consegnato al Parlamento di Londra, la fase più cruenta della guerra civile si concludeva. Emergevano ora nuove divisioni e conflitti interni allo schieramento parlamentare, di natura religiosa e politico-ideologica. Erano riconoscibili 3 forze politiche rappresentate alla Camera dei Comuni: - la maggioranza del Lungo Parlamento, costituita da presbiteriani (conservatori), che voleva sostituire la Chiesa anglicana episcopalista con una Chiesa calvinista fondata su un sistema di presbiteri (consigli) e su una nuova identità di chiesa-stato; - gli indipendenti (opposti ai primi), il gruppo egemonico della New Model Army, costituiti da nobili di campagna, piccoli proprietari di provincia e mercanti, la cui politica si basava sull’opposizione a qualsiasi Chiesa di stato e sulla tolleranza religiosa; sostenevano il libero mercato, la propeità e l’iniziativa privata); - i levellers (livellatori) che rappresentavano le sette religiose, predicando la libertà di culto, la democratizzazione della società e, in casi estremi, l’abolizione di proprietà privata a favore del comunismo dei beni. L’ago della bilancia politica tra queste forze fu assunto da Cromwell e Ireton, giurista che guidò la battaglia ideologico-politica contro i levellers, dato che il radicalismo dei levellers si era diffuso nella New modern army mentre i presbiteriani, che si accordarono con il re per il ripristino dell’autorità monarchica, chiedevano lo scioglimento della nuova armata: Cromwell e Ireton da un lato sostennero la New model army, dall’altro cercavano di bloccare i levellers che vedevano la rappresengtanza politica in modo diverso rispetto agli indipendenti. I levellers si battevano per il suffragio universale, per la separazione fra Chiesa e Stato, per una costituzione repubblicana a favore dell’uguaglianza fra cittadini, mentre gli indipendenti collegavano la rappresentanza alla proprietà. La preoccupazione maggiore degli indipendenti era il rischio reale di anarchia, dato che il parlamento era controllato dai presbiteriani, Carlo I era fuggito in Scozia, l’esercito era in fermento e non riusciva a controllare le spinte radicali che lo agitavano. Tra il 1647-1648 si profilava un pericoloso pluralismo di poteri e l’affermazione di forze centrifughe che avrebbero potuto vanificare tutte le conquiste dei rivoluzionari: Cromwell epurò dal parlamento tutti i presbiteriani, attaccò Carlo sconfiggendolo a Preston. Il re fu processato, condannato per alto tradimento e giustiziato nel 1649. Andava facendosi strada un nuovo principio di sovranità politica. 2. Seconda fase (1649-1653): Cromwell e il Parlamento dichiararono decaduta la monarchia, crearono il Consiglio di Stato (sostituto del Consiglio privato) e abolirono la Camera dei Lord. Nel 1649 fu proclamata la Repubblica Unita di Inghilterra, Scozia e Irlanda (Commonwealth). Non erano svaniti i rischi di ritorno alla monarchia, poiché il primogenito di Carlo I, Carlo II, aveva acquisito il titolo nei Paesi Bassi ed era stato riconosciuto da Scozia e Irlanda. Cromwell ed il suo entourage attuarono una politica interna per la salvaguardia assoluta del diritto di proprietà, libertà religiosa ed indipendenza della Chiesa, stabilità sociale ed eliminazione delle opposizioni estremistiche. In politica estera, invece, si perseguiva l’obiettivo di un’unificazione del Paese, attraverso la soluzione militare del problema scozzese e irlandese: i costi di questa strategia furono elevati, dato che i capi dei levellers furono arrestati e gli ammutinamenti dell’esercito furono repressi. Per riconquistare Scozia e Irlanda furono adottate due linee diverse: alla prima Cromwell promise condizioni di maggior tolleranza, mentre la seconda ebbe la mano pesante, dato che tra il 1649-1650 furono uccisi circa 600.000 irlandesi ed altri furono costretti ad emigrare. Lo strumento più potente della politica espansionistica inglese fu l’Atto di navigazione del 1651, promulgato dal Lungo parlamento, sancendo il monopolio inglese sul commercio nordamericano: esso rappresentava un atto di guerra contro l’Olanda, che scaturì 3 guerre navali anglo-olandesi tra 1652 e 2674. Nel 1653 Cromwell sciolse il Lungo Parlamento a favore di un’assemblea eletta dai capi dell’esercito, che durò solo pochi mesi e divenne lord protettore del Commonwealth. 3. Terza fase (1653-1658): In qualità di lord protettore, Cromwell aveva il potere di scegliere i membri del Consiglio di Stato tra gli ufficiali dell’esercito, come una vera dittatura militare. Il territorio diviso in 11 province era sottoposto a governatori militari e l’esercito era ora costituito da militari di carriera, fedelissimi a Cromwell. La dialettica politica si svolgeva tra i moderati dell’esercito, difensori della carta costituzionale del ’53 e i realisti, che volevano un ritorno alla monarchia. La politica economica suscitava tensioni: il protettore aveva fatto ricorso ad imposizioni fiscali e aveva istituito l’imposta fondiaria. Anche la politica estera antispagnola non incontrava le volontà del ceto mercantile. Nel 1658 Cromwell morì, lasciando l’Inghilterra in una condizione di lacerazioni. 4. Quarta fase (1658-1660): fu la fase in cui si preparò la restaurazione. Il figlio di Cromwell, Richard, subentrò nella carica di lord protettore ma non garantiva più la sicurezza dei ceti abbienti. Tra l’esercito riprese a diffondersi il movimento radicale, per cui era necessaria la restaurazione di un ordine politico più solido. Nel 1660, un esercito con a capo George Monck marciò su Londra, senza incontrare resistenza, restituendo i poteri al Parlamento. Carlo II Stuart rientrò così in Inghilterra: la monarchia era restaurata, insieme alla camera dei Lord e alla Chiesa anglicana. La restaurazione degli Stuart da Carlo II a Giacomo II Durante il regno di Carlo II Stuart l’istituzione monarchica ed il rapporto tra Chiesa anglicana e Stato erano stati restaurati, ma bisognava fare i conti con la Camera dei Comuni e con le forme più moderne di organizzazione della vita e della lotta politica. Nacquero 2 schieramenti attorno a cui ruotava la vita politica inglese: • TORIES: credevano nel diritto divino dei re, nel principio dinastico e nella religione di Stato anglicana; • WHIGS: credevano nell’autorità del Parlamento, nella libertà religiosa e in un diverso principio di rappresentanza politica. ➔ (sarebbero poi diventati conservatori e progressisti) 1678 il parlamento votò il Test Act, secondo cui tutti gli ufficiali civili e militari potevano esercitare la carica solo dopo la professione di fede anglicana. 1679 il parlamento approvò l’Habeas corpus ad subjiciendum: l’abolizione del carcere preventivo, ma prevedeva l’arresto solo sulla base di motivi penalmente perseguibili e vietava qualsiasi forma di restrizione illegale della libertà. Carlo non poteva operare nessuna scelta politica autonomamente: era il segno che l’assolutismo in Inghilterra sin avviava verso la crisi. L’alleanza di Carlo II con Luigi XIV preoccupava gli ambienti finanziari e commerciali britannici, perché risultava chiaro che la Francia avesse aiutato l’Inghilterra nella guerra contro l’Olanda per accrescere la propria potenza economico-politica. Dopo l’ultima guerra anglo-olandese, cresceva l’ostilità contro la Francia e si gettavano le basi per un’alleanza angloolandese. Il successore di Carlo II, il fratello Giacomo II, accentuò la rottura tra governo e parlamento: egli era cattolico, ma non aveva figli; fu perciò tollerato solo nella speranza di una successione protestante. Abolì le disposizioni del test act, cercò di rafforzare l'esercito con quadri cattolici e di riaffermare il diritto divino dei re (avendo come modello la Francia di Luigi XIV). Ma il partito Whigs era più forte di quello dei Tories e la società civile rivendicava la libertà di stampa e una più piena partecipazione politica → John Locke elaborava una più moderna teoria della rappresentanza. A segnare le sorti di Giacomo II fu la nascita di un figlio, poiché si perdevano le speranze di ricostruire un impero con equilibrio costituzionale. La “gloriosa rivoluzione” e la dichiarazione dei redditi Un larghissimo schieramento di whigs e tories offrì la Corona d’Inghilterra allo Statolder d’Olanda Guglielmo III d’Orange ed a sua moglie Maria Stuart, figlia di Giacomo II, entrambi protestanti. 1688 un piccolo esercito olandese sbarcò sul suolo inglese senza incontrare resistenza: sulla bandiera dell’esercito olandese vi era la scritta “pro religione et libertate”. La popolazione inglese fu entusiasta di accogliere Guglielmo, mentre Giacomo II fuggì presso Luigi XIV. 1689 il primo atto di Guglielmo III fu l’emanazione del Bill of Rights (dichiarazione dei diritti): rappresentò la fine della monarchia assoluta e definì il nuovo equilibrio costituzionale inglese, fondato sulla limitazione dei poteri del re. La fonte della sovranità Assolutismo e antico regime: una prospettiva europea Il concetto di “assolutismo” deriva dalla formula “rex legibus solutus”, letteralmente “il re è sciolto dal vincolo delle leggi”, poiché il re rappresentava Dio, che era, a sua volta, la fonte delle leggi: il sovrano è legislatore e giudice supremo. La teoria del potere assoluto della monarchia nacque nella 2° metà del 500, nelle guerre di religione in Francia, come antidoto al disordine sociopolitico e al pericolo di anarchia e fu perfezionata durante il 600 ed i suoi stessi teorici ne sottolineavano alcuni limiti: quello imposto dalla legge divina, il dovere di rispettare gli ordinamenti, il patrimonio giuridico accumulato dal paese durante la sua storia. Questi limiti, insieme alla molteplicità di forze politiche e sociali organizzate, furono i motivi per cui la monarchia assoluta di tipo occidentale non si identificò con il dispotismo orientale. Tra XVI e XVIII sec. si può vedere il rapporto dialettico tra l’accentramento come progetto dello stato assoluto e i tentativi di resistenza dei diversi corpi; ma non sempre questi corpi svolsero una funzione antagonista nei confronti della monarchia: a volte parteciparono al consolidamento della centralizzazione del potere e dello stato moderno. Il concetto di “antico regime”, invece, nacque durante la Rivoluzione francese e rappresenta tutto ciò che si opponeva alle conquiste della rivoluzione. Questo termine, usato in coppia con quello di assolutismo sta a indicare i caratteri del rapporto tra lo stato e la società nei centocinquant’anni che precedono la Rivoluzione francese. Questi sono: - la fonte della sovranità non è la nazione, ma la persona del re; - le funzioni dello Stato presentano uno sviluppo più maturo: la titolarità del potere è nel sovrano, ma la sua gestione è affidata a corpi specializzati (esercito, burocrazia..); - non esiste una divisione tra i tre poteri dello Stato (legislativo, esecutivo, giudiziario); - insieme al potere pubblico coesistono corpi privilegiati (feudali, ecclesiastici, ecc.); - tali corpi sono poteri economici e sociali (il potere politico di cui dispongono è come una delega del potere sovrano); - lo schema di classificazione più importante è quello degli ordini. Quindi l’assolutismo è l’evoluzione massima dello Stato moderno. Al vertice della società di ordini si colloca la nobiltà di origine antica, cui segue la nobiltà di dignità, mentre chi esercita un mestiere o svolge un lavoro manuale si ritrova in basso nella scala gerarchica. Nell’antico regime europeo sono distinguibili due vie estreme, opposte allo stato moderno: 1. via francese: puntò a esaltare il ruolo della monarchia come centro rappresentante unitario del paese e a ridurre le forze antagoniste della potenza medioevale; 2. via polacca: fu quella dell’anarchia e della frantumazione del potere centrale dello stato, dell’esaltazione dell’indipendenza del ceto nobiliare. Importante nella 2° metà del XVII è il nesso tra politica internazionale e politica interna degli stati: questo periodo sancì la preponderanza europea della Francia e Inghilterra e Olanda, dopo tre guerre, superarono il rapporto conflittuale, costruendo un’alleanza (basata sulla forza della potenza inglese). 1660 la pace di Oliva segnò un importante momento per l’ascesa della Prussia degli Hohenzollern; la monarchia austriaca di Leopoldo I consolidò il suo ruolo internazionale e la Spagna continuò ad essere una realtà imperiale transoceanica. Luigi XIV: la via francese allo Stato Moderno Luigi XIV, il re sole, nacque nel 1638 da Luigi XIII e Anna d’Austria ed ereditò la corona di Francia a 5 anni. Assunse il potere nel 1661, alla morte di Mazzarino, e morì nel 1715. Egli avviò un processo di consolidamento dello stato moderno che coinvolse il governo del territorio, la politica economica, la politica internazionale. La Francia era una delle prime realtà demografiche in Europa: il governo del territorio divenne la questione più importante per il sovrano. Dei suoi 20 milioni di abitanti, 4/5 vivevano in campagna, ma, nonostante ciò, vi erano molte città di media grandezza. La diversità territoriale era formalizzata nel riconoscimento del sovrano della distinzione tra: • Pays d’election: ricadevano sotto l’amministrazione giudiziaria e fiscale dello Stato; • Pays d’état: rappresentati da Stati provinciali, che godevano di molti poteri e contrattavano con la Corona il carico fiscale (Borgogna, Bretagna, Linguadoca) Il governo del territorio doveva fare i conti con i ceti dominanti della società francese, le nobiltà: dell’antica nobiltà facevano parte i comandi militari, mentre della nobiltà moderna facevano parte coloro che, per ricchezza e funzione, volevano essere potenti e rispettati. Merito di Luigi XIV fu quello di aver portato a compimento il disegno di concentrazione del potere e di ridimensionamento della potenza dell'antica aristocrazia: i grandi del regno furono estromessi dal consiglio del re, ridimensionò i poteri dei grandi governatori di provincia, mentre per quanto riguarda la nobiltà moderna, Luigi incentivò attraverso il conferimento di molti titoli la nobiltà di toga e d’ufficio (nobiltà importante nel governo francese nell’epoca di Luigi XIV). Governo del territorio: attenzione particolare fu assegnata al rapporto tra centro e periferia, dove la figura dell’intendente provinciale costituì lo strumento di governo della periferia. La centralizzazione dello stato e delle sue pubbliche istituzioni, persino in un’epoca in cui il re affermava “lo Stato sono io”, dovevano fare i conti con le diversità territoriali, giuridiche, sociali ecc. e con le condizioni non omogenee di fronte ad articolazioni del potere pubblico come il fisco. Ogni parlamento, ogni corte sovrana era padrone della propria giurisprudenza: in materia penale e civile ogni parlamento fissava le norme da applicare. Ovviamente gli interessi dei parlamenti, soprattutto dei pays d’état, si scontravano col progetto monarchico unificatore del sistema giudiziario. Di fronte al fisco c’erano situazioni e condizioni differenti: nei pays d’état l’autonomia in materia fiscale era ampia (ripartizione e riscossione erano affidate ad organismi dipendenti dagli stati provinciali). Questi erano i limiti dell’assolutismo. Politica religiosa: Luigi XIV voleva bloccare movimenti religiosi diversi dall’ortodossia cattolica; bloccare la diffusione dell’eresia protestante; rafforzare le prerogative statali a favore della Chiesa di Roma; controllo della monarchia in merito all’organizzazione ecclesiastica. Il pericolo era costituito dalla presenza di protestanti sul suolo francese: nel 1685 Luigi XIV revocò l’editto di Nantes, sostituendolo con quello di Fontainebleau, obbligando tutti i francesi a osservare e praticare la religione cattolica. Molti ugonotti scelsero l’esilio, causando una notevole perdita economica alla nazione, poiché vi fu un’emigrazione di massa di artigiani, mercanti, professionisti ed intellettuali. Economia e politica economica: La 2° metà del 600 fu un’età di stagnazione per l’economia francese, ma la Francia era un mosaico di realtà: vi erano poli di attività manifatturiera, i cui settori più sviluppati erano la cantieristica e i tessili (seta e lana), ma nel mercato internazionale il posto della Francia era secondario rispetto a Inghilterra e Olanda. Tutti gli Stati nell’età dell’assolutismo, in misura maggiore o minore, soffrivano di carenze economiche: carenza di numerario (liquidità) che imponeva allo stato la dipendenza da uomini d’affari privati, fragilità delle strutture industriali; deficit nella bilancia di pagamenti. La forza e la potenza dello stato moderno erano direttamente proporzionali alla capacità di governare l’economia del Paese che, nell’ancien regime, significava riportare in attivo le finanze statali: questo fu l’obiettivo del ministro regale Jean-Baptiste Colbert, responsabile delle finanze e della politica interna dal 1660 al 1680. Gli interventi nella sua politica economica andarono nella direzione del mercantilismo (politica economica di quasi tutti gli stati tra XVII-XVIII sec. che identificarono la ricchezza nazionale con la quantità di metalli preziosi disponibile, con l'obiettivo di incrementarla attraverso il contenimento delle importazioni e l’aumento delle esportazioni). ➢ Il suo primo campo di intervento fu quello dell’industria: Colbert investì grandi capitali statali per realizzare e promuovere nuove imprese manifatturiere (soprattutto prodotti di lusso), con l’idea di fondo di superare la concorrenza. Però il privilegio del settore manifatturiero andava a discapito dell’agricoltura. ➢ Il secondo settore d’intervento fu il commercio con l’estero. Colbert formò 5 compagnie commerciali su modello olandese, alimentate dai capitali statali e dall’apporto di uomini di corte: le Compagnie del Nord, del Levante, delle Indie Orientali, delle Indie Occidentali e del Senegal, il cui sviluppo fu legato ad una politica coloniale verso Canada e Senegal. ➢ Infine, il settore fiscale, per cui era importantissimo il protezionismo, attuato mediante la realizzazione di una grande riserva di metalli preziosi nelle casse dello Stato, da ottenere mediante alti dazi doganali sulle merci importate e incentivi verso l’esportazione. Fu appoggiato anche il commercio interno: furono costruite infrastrutture stradali e canali, furono abolite alcune barriere doganali e fu riequilibrato il prelievo fiscale mediante la riduzione della taglia (imposta che pagavano i lavoratori della terra). Alla fine del ventennio colbertiano il bilancio della sua politica presentava luci ed ombre. Grazie all’aumento delle esportazioni, la disponibilità finanziaria statale era aumentata, ma nell’arco di pochi anni, a causa della sfavorevole condizione economica nazionale e per la politica bellicosa del sovrano, le risorse finirono; il progresso nel settore manifatturiero non si registrò; le compagnie commerciali erano troppe e la ricchezza della Francia andò a finanziare le guerre di egemonia in Europa del sovrano. Il peso esercitato dai singoli stati nella politica internazionale fu differente, come anche i gradi e la qualità di realizzazione del modello assolutista: ➢ Piemonte sabaudo: influenzato nel modello di politica interna da Luigi XIV. Carlo Emanuele II adottò una politica mercantilistica, coinvolgendo l’aristocrazia nella promozione di attività economiche. Assunse poi il potere con un colpo di Stato Vittorio Amedeo II: si distinse per una politica estera aggressiva, volta a liberarsi della presenza francese e partecipò alla guerra contro la Francia, alleandosi con Asburgo d’Austria e Spagna. Poi, il Piemonte ebbe mire espansionistiche in Lombardia, ribaltando le alleanze e firmando l’armistizio con la Francia. ➢ Genova: Luigi XIV, dopo aver bombardato la città nel 1685, perché non aveva interrotto la sua relazione preferenziale con la Spagna, la costrinse alla sottomissione diplomatica. Solo così Genova riuscì a salvaguardare l’indipendenza; ➢ Stato pontificio: dopo la pace di Vestfalia non fu più in grado di realizzare una presenza significativa nella scena internazionale; ➢ Venezia: il suo ruolo internazionale era in declino. La guerra di Candia contro gli Ottomani si concluse con perdite enormi per la repubblica. ➢ Granducato di Toscana: la politica estera con Cosimo III fu dipendente dalla Francia. ➢ Regno di Napoli: dopo la rivolta del 1647-48 e la restaurazione della monarchia spagnola, ci fu un intervento assolutistico dello Stato: dalla repressione del banditismo baronale, a una maggiore tutela dell’ordine pubblico e a un controllo sugli abusi del clero. Ma la crisi demografica dopo la peste, la crisi agraria e del commercio, la pressione fiscale in aumento in coincidenza delle congiunture belliche non consentirono ai vicerè napoletani della 2° metà del 600 di dar vita a una politica riformatrice. Solo alla fine del XVII sec. ci fu una ripresa economica. ➢ Sicilia: scoppia una rivolta tra 1674 e 1678 che rischia di mettere in discussione il dominio spagnolo sull'isola. La Sicilia viveva una crisi di sussistenza, tipica del mondo preindustriale: qui si innestarono le spinte indipendentiste dell'oligarchia del senato di Messina, legate alla produzione e al mercato della seta. Nel 1675 la città proclamò la sovranità di Luigi XIV, dopo che, poco prima, uno schieramento di flotte di Sicilia, Spagna, Napoli, Genova e Sardegna non era riuscita a impedire all'armata francese di entrare nel porto di Messina. Tra 1675-1676 la Francia riuscì ad aggiudicarsi un forte vantaggio sulla Spagna e quest'ultima riuscì a sconfiggere il disegno separatista siciliano: la repressione fu molto dura e la restaurazione assolutistica significò un ripristino del dominio del baronaggio feudale e della chiesa. ➢ Sardegna governata da un vicerè spagnolo, visse alcune trasformazioni nel XVII sec. Le strutture di governo del regno assunsero il ruolo di raccoglitori/distributori del reddito, attraverso tasse, vendita di cariche, pensioni, concessioni e appalti di patrimonio regio. I parlamenti avevano perso parte delle loro prerogative e della loro importanza politica. Tuttavia, lo sviluppo delle istituzioni amministrative rafforzò il ceto nobiliare e il ceto togato, che assunse la direzione degli affari pubblici I Paesi Scandinavi Nella guerra dei Trent’anni la Svezia aveva raggiunto una statura internazionale: era la vincitrice del conflitto in terra tedesca e con la pace di Vestfalia aveva ottenuto Pomerania occidentale, Brema, il controllo dei tre fiumi Elba, Oder e Weser, ma la Danimarca controllava il traffico nel Sund ed il suo sistema di dazi, per cui le province meridionali dell’attuale Svezia erano danesi. La prima guerra del Nord scoppiò per il controllo del Baltico: nel 1655 il re svedese Carlo X invase la Polonia, mentre l’elettore del Brandeburgo Federico Guglielmo e il re danese Federico III si allearono contro gli svedesi. 1658 l’esercito di Carlo X assediò Copenaghen, costringendo alla resa la Danimarca. Con la pace di Copenaghen (1660) la Svezia si impossessava delle 3 province meridionali danesi: Halland, Scania e Blekinge. Nello stesso anno, con la Pace di Oliva, Brandeburgo annetteva la Prussia. I successi della politica estera svedese erano stati garantiti dalla sua forza militare, derivata dalla grande disponibilità di ferro per l’armamento e dalla composizione dell’esercito (nobili e piccoli proprietari contadini). Grazie alla sua ricchezza mineraria, soprattutto ferro e rame, la Svezia riuscì a stabilire il controllo sul mercato internazionale di armamenti. A realizzare il modello assolutistico fu anche la personalità dei sovrani: il successore di Carlo X, Carlo XI, promosse una redistribuzione della ricchezza agricola del paese equilibrando il rapporto tra i beni della Corona, della nobiltà e dei contadini. 1665 svolta nel modello politico della Danimarca, quando Federico III trasformò la Corona da elettiva ad ereditaria, ridimensionando i poteri dell’aristocrazia, dando nuovo impulso alle funzioni dello Stato ed intervenendo sulla materia fiscale, con una redazione del catasto delle proprietà fondiarie. La via polacca La Polonia era una monarchia elettiva: la sua aristocrazia, per mantenere debole lo Stato centrale, preferì avere, dopo la dinastia Jagellone, prima un re francese, poi uno ungherese e poi la dinastia svedese dei Vasa. A metà 600, la Polonia fu teatro di una guerra europea per il controllo del suo territorio, da cui uscì stremata e con perdite considerevoli: era circondata da potenze in ascesa, perdendo la possibilità di dominare il Baltico e di diventare potenza marittima, dato che la Prussia fu sottratta dal Brandeburgo; perse l’Ucraina orientale; i turchi le sottrassero la Podolia. Vi era anche la strutturale anarchia politica: la norma dell’unanimità parlamentare (il liberum veto) poteva paralizzare lo Stato. Negli ultimi anni del 600 il re soldato Giovanni Sobieski cercò di centralizzare lo Stato, ma non giunse a grandi risultati. Il progetto di monarchia ereditaria fallì: nel 1696 la nobiltà polacca rifiutò la successione del figlio di Sobieski, facendo salire al trono il principe Augusto II di Sassonia, appoggiato dalla Russia. CAPITOLO IX- Scienza, cultura e politica Scienza della politica, scienza dello Stato Agli inizi del XVI sec. il principe era il protagonista del pensiero e della vita politica europea. L’affermazione della sovranità del principe, durante il 500, è in diretta relazione con lo sviluppo di una nuova forma politica: lo Stato moderno, tendenzialmente assolutista. L’assolutismo si fondava sull’identificazione degli interessi del principe con quelli dello Stato: la Francia di Luigi XIV ne era la dimostrazione. ➢ Il 600 è il secolo in cui si scopre l’individuo, il diritto naturale o giusnaturalismo e la società: una prima riflessione è offerta da un’opera di diritto internazionale, il De iure belli ac pacis (1625) di Ugo Grozio, al quale interessa la regolamentazione dei rapporti internazionali, che dovevano fondarsi sul diritto naturale o razionale, che trae autorità dalla natura dell’uomo. Lo Stato doveva essere una società regolata sulla base di un obbligo contrattuale: l’autorità doveva essere acquisita in virtù del contratto (i cittadini si sottomettevano all’autorità). ➢ Il sistematizzatore del diritto naturale è Samuel Pufendorf. Nel De iure naturae et gentium, il diritto naturale riceve il suo fondamento autonomo nella ragione naturale, fonte di verità morale e autonoma da Dio: queste sono le origini del pensiero politico individualista. ➢ Alcune convenzioni segnano il passaggio dallo Stato di natura alla Società civile: il matrimonio, la famiglia e la costituzione di un corpo politico. Il giusnaturalismo si presenta così come teoria filosofica, giuridica e politica basata sul presupposto di un diritto naturale sulla cui struttura devono palesarsi i vari diritti positivi. Da queste basi parte l’elaborazione teorica di Thomas Hobbes che, in conflitto con i poteri costituiti in Francia e in Inghilterra, non nutriva fiducia nella natura umana: riteneva che la molla del genere umano fosse l’egoismo. Nello Stato di natura gli uomini sono in guerra gli uni contro gli altri, perciò bisognava uscire dallo status naturalis e passare allo status civilis. L’unione degli uomini è lo Stato. A questo punto appare il concetto di diritto, che obbliga al rispetto reciproco e il cui fondamento è l’utilità. Il contratto che unisce gli uomini nello stato civile era doppio: 1. contratto che legava gli individui tra loro (pactum societatis); 2. contratto che univa gli associati al potere supremo (pactum subiectionis). Qui vi è la base della moderna teoria del potere, intesa come sintesi tra forza e consenso in cui la disciplina politica è uno scambio tra capacità di comando e disponibilità all’obbedienza. L’opera in cui è racchiusa la sua teoria è il Leviatano, nome tratto dalla Bibbia e significa “Dio mortale”. Nell'opera del 1651 la moltitudine diventa un essere unico sulla base del doppio contratto: la fusione completa è lo Stato. Il monarca esercita la sovranità assoluta ed è la legge naturale, non divina né morale, a fondare il diritto e lo Stato→ nasce l'idea di Stato impersonale, che è persona distinta dagli individui che associa; è l'insieme dei loro rappresentanti. Lo Stato e la Società civile sono due sfere separate e autonome. - nella 3° fase, la visione di decadenza si va superando e si va definendo il suo carattere di età di transizione dal Rinascimento all’illuminismo. È complicato identificare elementi e caratteri della cultura Barocca: si possono ritrovare nelle grandi opere, come nei dipinti di Caravaggio (nuovo uso della luce), nelle opere di Bernini (spazio illimitato). I primi piani sono enormi e le figure vicine a chi guarda, le scene sono colte di sorpresa e devono creare meraviglia. Si proietta la grande scena della vita, con un’attenzione che si sposta dall’essere all’apparenza, il mondo viene concepito come impressione ed esperienza che, essendo transitoria, rende drammatica la percezione della realtà. Il senso più profondo del Barocco è la coscienza dei conflitti e delle trasformazioni che stanno investendo l’uomo del mondo. Lo sfondo si riflette in due capolavori della 1° metà del 600: Don Quijote di Miguel Cervantes; La vida es sueño, di Calderón de la Barca. La formazione e l’organizzazione del sapere Il monopolio della formazione scolastica era esercitato dai Gesuiti, la cui ratio studiorum (modello e organizzazione degli studi) era alla base della formazione delle classi dirigenti degli stati dell’Europa cattolica. In molte città furono istituiti seminaria nobilium, scuole per nobili, che educavano all’esercizio del potere. Le università erano roccaforti della cultura, in cui i settori più importanti, diritto e medicina, erano controllati da collegi che abilitavano alla professione e conferivano privilegi ai membri. Nell’Europa del 600 il primato fu dei giuristi, depositari della lex che spesso interpretavano in modo arbitrario, ricoprivano cariche pubbliche, erano partner dei sovrani nell’esercizio di potere. Questa cultura, basata su metodo razionale ed esperienza diretta dei fatti, era esterna a collegi ed università. A fine 500 si sviluppò l’Accademia, simbolo della necessità degli intellettuali di produrre e scambiare cultura: i contenuti erano legati all’Umanesimo retorico, a problematiche letterarie, stilistiche, linguistiche. L’Accademia giocò un ruolo fondamentale nella storia degli intellettuali: essi cominciarono a prendere coscienza della loro funzione autonoma nella vita politica e sociale e del bisogno di dotarsi di strutture organizzate per la ricerca culturale e la sua trasmissione. TERZA PARTE-Il secolo delle trasformazioni: il Settecento CAPITOLO X-Guerre, Illuminismo e riforme Le guerre europee Le guerre della 1° metà del 500 erano guerre per il predominio europeo ed i protagonisti erano stati principalmente Francia e Spagna. La pace di Cateau-Cambresis aveva sancito la supremazia della Spagna sul continente europeo: contemporaneamente la Francia era attraversata dalle guerre di religione e l’Inghilterra elisabettiana era alle prese con problemi interni di consolidamento del potere sovrano e mossa da processi di trasformazione economica e sociale, che stavano mutando la fisionomia di ceti/gruppi. Alla fine del 500, lo scenario internazionale presentava i primi segnali di novità: • il pericolo turco si era allontanato dal Mediterraneo; • si era rotta l’unione tra Paesi Bassi e Spagna: nascita dell’Olanda; • l’Inghilterra aveva bloccato l’ascesa spagnola; • in Francia si erano concluse le guerre religiose; • il centro economico e dei traffici era stato spostato dal Mediterraneo all’Atlantico. Nella 2° metà del 600, l’Europa era ormai multipolare ed in essa giocavano un ruolo importante Inghilterra, Prussia, Russia e Austria: fu proprio questa Europa multipolare il nuovo soggetto politico internazionale, in grado di contrastare l’egemonia della Francia di Luigi XIV. In Europa tra fine 600 ed inizio 700, il principio di uguaglianza formale e giuridica degli Stati sovrani venne messo in discussione. Nasceva una nuova gerarchia, fondata sulle differenze tra piccoli Stati e grandi Stati: il rapporto che esisteva tra questi seguiva la Teoria dell’equilibrio, in cui l’equilibrio tra gli Stati costituiva il principio fondamentale per la pace universale: la guerra era l’extrema ratio per frenare il potente che voleva imporre il proprio dominio. Il massimo teorico dell’equilibrio fra potenze come fattore di stabilità politica internazionale fu David Hume. Nella 1° metà del XVIII sec., vi fu il primato della politica classica, i cui soggetti privilegiati erano le corti, ristrette élite che controllavano la diplomazia. Occasioni di per lo scoppio di conflitti erano i problemi dinastici, le questioni di successione al trono spagnolo, polacco, austriaco, inglese e di alcuni stati italiani. La rivalità tra Stati era data anche da conflitti di interessi commerciali. Un’altra peculiarità del periodo era il nesso stretto tra politica interna e politica estera. In realtà, anche le diverse opzioni dinastiche erano pretesti per regolare i conti tra le potenze: ➢ Dalla 1° guerra di successione spagnola, conclusa col trattato di Utrecht nel 1713, la Francia uscì isolata; Spagna, Olanda e Svezia si indebolirono ed emersero Prussia, Russia e Austria; la Gran Bretagna si affermò potenza economica con il controllo di Mediterraneo e Atlantico; ➢ La successione al trono polacco, dal 1733, fece riaprire lo scontro tra Asburgo (Austria) e Borbone (Francia), concluso con la pace di Vienna nel 173 attraverso un compromesso tra Francia vincitrice ed Austria perdente, che è il punto di massima realizzazione della politica di equilibrio nella 1° metà del 700. Anche piccole potenze come il Piemonte sabaudo riescono ad inserirsi nella contesa. ➢ Con la guerra di successione austriaca (dal 1740 al 1748) il quadro si complicò: la Francia tornò a sognare l’egemonia europea; l’Inghilterra si schierò con Olanda e Austria VS la Francia; la Prussia di Federico II entrò in guerra contro l’Inghilterra per interessi commerciali. La pace di Aquisgrana, del 1748, chiuse la questione dell’assetto italiano, ma la guerra ormai era diventata globale. Guerra di successione spagnola (1702-1714) La pace di Ryswick del 1667 aveva concluso la guerra della Lega d'augusta e bloccato le mire espansionistiche di Luigi XIV. La guerra della Lega di Augusta aveva avuto come protagonista una coalizione antifrancese molto ampia: Spagna, Inghilterra, Olanda, Svezia, Austria e altri Stati minori parteciparono contro la Francia. 1700 → Dopo la morte senza eredi di Carlo II di Spagna, era incerta la titolarità dei possessi degli Asburgo di Spagna. Il testamento di Carlo II designava come erede Filippo d’Angiò (nipote di Luigi XIV), col nome di Filippo V. Una clausola importante del testamento vietava a Filippo di unire la Corona di Spagna con quella di Francia, ma gli equilibri stabiliti a Ryswick erano scossi: il rischio di un'egemonia franco-spagnola era concreto, anche perché già dal 1668 cadevano accordi tra Francia e Austria e si delinearono 2 nuovi schieramenti: • coalizione Anglo-austro-olandese, alla quale parteciparono anche il Palatinato, l'Hannover e la Prussia; • coalizione Franco-spagnola di Luigi XIV, alla quale parteciparono anche il duca di Savoia, il re del Portogallo e gli elettori di Colonia e Baviera 15 maggio 1702 → inizia una guerra di vaste proporzioni 1706 → l’arciduca Carlo d’Asburgo, figlio dell’imperatore Leopoldo, entra a Madrid ma viene cacciato. 1707 → le truppe austriache invadevano Napoli e sancirono la fine della dominazione spagnola nel regno. Alla morte di Giuseppe I D’Asburgo, nel 1711, saliva al trono di Vienna il fratello, Carlo VI, determinando l’egemonia degli Asburgo in Europa. 1713 → Pace di Utrecht + Pace di Rastadt (1714): la vincitrice fu l’Inghilterra, poiché conquistò possedimenti nell’America settentrionale e Gibilterra e Minorca (Mediterraneo); Filippo V fu riconosciuto re di Spagna, ma dovette rinunciare a rivendicare diritti sul trono francese. La Francia rinunciò ad ogni pretesa sulla Spagna, mentre all’Austria fu attribuito il Belgio spagnolo. Cambiò la geografia politica italiana: Napoli, Milano, Sardegna e Stato dei Presidi passarono all’Austria; Vittorio Amedeo II di Savoia ottenne il regno di Sicilia. L’elettore di Brandeburgo, Federico, fu eletto re di Prussia. Alla fine della guerra di successione furono poste le premesse per un nuovo equilibrio italiano, in cui Austria e Piemonte sabaudo diventavano i soggetti principali → si applicò il metodo delle barriere: Stati cuscinetto come il Belgio (tra Francia e Olanda) e lo Stato sabaudo (tra Francia e Austria) prevenivano eventuali conflitti. Negli anni successivi alla guerra di successione spagnola, la dinastia asburgica ottenne successi sul fronte dei Balcani: già con la pace di Carlowitz (1699) l’Austria aveva sottratto territori agli ottomani e con la pace di Passarowitz, (1717) conquistò Serbia e parte della Valacchia. Un altro teatro di guerra fu il Baltico che mutò le sorti dell’equilibrio: la Svezia, vinta la prima guerra del Nord, dopo la pace di Oliva (1660), aveva conquistato l’egemonia del Baltico. La seconda guerra del Nord, combattuta da Polonia, Danimarca e Russia contro la Svezia si concluse nel 1721: con la pace di Nystadt la Svezia perse il ruolo di grande potenza e la Russia di Pietro il Grande affermò l’egemonia sul Baltico. In Russia nasceva l’ultima forma di assolutismo europeo: la svolta fu data da Pietro I della dinastia Romanov, Carlo VI d’Asburgo aveva valorizzato gli sbocchi marittimi dei suoi domini: costituì due Compagnie commerciali che furono lanciate negli affari delle Indie orientali, in concorrenza con Francia e Inghilterra, mentre Fiume e Trieste divennero porti franchi. Carlo VI non aveva figli maschi, quindi dovette prevenire una crisi dinastica con la Prammatica sanzione del 1713, che aboliva la Legge salica (divieto per le donne di occupare il trono), preparando la strada della successione alla figlia Maria Teresa. La Prammatica sanzione doveva però essere accettata dalle altre potenze per essere valida: delineato il compromesso tra Austria e Inghilterra, l’Austria otteneva il riconoscimento della Prammatica sanzione da parte dell’Inghilterra, bloccando l’espansione commerciale austriaca e creando un contrappeso per la sua penetrazione in Italia. Dunque, nel 1731 l’Austria ebbe dall’Inghilterra il beneplacito alla successione di Maria Teresa. Per la guerra di successione spagnola, gran parte dell’Italia visse mutamenti politico- dinastici: la pax asburgica fu travagliata e destinata a durare poco. A Napoli e in Lombardia (diventata austriaca con la pace di Utrecht), gli Asburgo promossero una serie di riforme: a Napoli crearono un banco nazionale e una giunta di commercio; a Milano fu istituito un catasto per la ridistribuzione di carichi fiscali. La Sicilia passò agli Asburgo d’Austria (Piemonte sabaudo). Vittorio Amedeo II, salito al trono nel 1713, in Piemonte, insieme al successore Carlos Emanuele III, intervennero sul fisco, sul regime feudale, sulle immunità ecclesiastiche, sulla codificazione giuridica e sulla scuola. Guerra di successione polacca (1733-1738) Nel 1733 l’Italia divenne teatro per la guerra di successione polacca, in cui i motivi per l’apertura delle ostilità furono la morte di Augusto II di Sassonia (re della Polonia) e la contrapposizione di due candidature alla successione: Federico Augusto II di Sassonia e Stanislao Leszczynski. Stanislao fu sostenuto da Francia e Polonia, invece Federico II da Austria, Prussia e Russia. Lo zar Pietro il Grande entrò in Polonia e insediò sul trono Federico: il conflitto si svolse secondo lo schema classico Asburgo VS Borbone+ Carlo Emanuele di Savoia (alleato). Oggetto delle mire fu l’Italia: la Spagna sperava di riprendere Napoli, Sicilia, Parma e Toscana, mentre Carlo Emanuele III di Savoia voleva Milano. Tuttavia, il blocco borbonico si incrinò subito: Carlo Emanuele temeva l’insediamento della dinastia borbonica in Italia meridionale, il ministro francese Fleury premeva nel consolidare i confini sul Reno, l’Austria voleva il beneplacito francese per la Prammatica Sanzione. 1735 → iniziarono trattative segrete tra Francia e Austria: il loro riavvicinamento indusse Carlo VI alla pace di Vienna del 1738, nelle cui clausole Federico Augusto II era riconosciuto re di Polonia col nome di Augusto III, invece a Stanislao fu data la Lorena. A Carlo di Borbone furono dati i regni di Napoli e Sicilia, mentre Carlo Emanuele III di Savoia acquistava Novara, Tortona e le Langhe. La novità di questa guerra di successione fu che il regno di Napoli guadagnava un proprio re e tornava ad essere un regno con una sua dinastia, che in Toscana arrivò la nuova dinastia Asburgo-Lorena e che, seppur gli Asburgo apparivano ridimensionati, mantenevano Lombardia, Parma e Piacenza, controllavano il Granducato di Toscana e vedevano riconosciuta dalla Francia la Prammatica sanzione. Guerra di successione austriaca (1740-1748) Dopo la morte di Carlo VI d’Austria nel 1740, l’equilibrio stabilito dalla pace di Vienna fu rotto da Federico II di Prussia che occupò la Slesia austriaca (regione ricca per risorse minerarie) ed anche la Francia di Luigi XV riprese le ostilità contro l’Austria alleandosi con la Prussia: il blocco borbonico (Filippo V di Spagna+ Carlo VII re di Napoli) si schierò con Russia e Francia per sottrarre il ducato di Parma e Piacenza all’Austria; l’Inghilterra cercò di mediare tra Austria e Prussia, e quest’ultima ottenne la Slesia. Dopo il 1743, incisero gli interessi extraeuropei delle potenze: in Inghilterra dominava la scena politica il partito tory, in Francia divenne segretario di Stato degli affari esteri il marchese d’Argenson. 1743 → Francia e Inghilterra entrarono in conflitto: la coalizione franco-spagnola combatteva contro quella austro-inglese, nella quale entrò anche Carlo Emanuele III. In Italia gli austriaci tentarono di attaccare Napoli ma furono sconfitti a Velletri dall’esercito di Carlo VII di Borbone (Spagna) nel 1744. Dopo alcune vittore franco-spagnole, gli eserciti austro-piemontesi prevalsero e al Colle dell’Assietta fermarono l’invasione francese (1747). In Germania, fra il 1744-1745, Federico II riprese le ostilità contro Maria Teresa, con la successiva restituzione della Slesia all’Austria. La Prussia e l’Inghilterra restarono protagoniste del gioco diplomatico: la diplomazia riequilibrò le sorti della guerra, che vedevano la Francia in avanzamento. La pace fu firmata nel 1748 ad Aquisgrana, ricostituendo l’assetto coloniale atlantico dell’anteguerra: a Maria Teresa fu riconosciuta l’eredità paterna e a suo marito, Francesco Stefano di Lorena, fu attribuito il titolo imperiale; furono riconosciuti i nuovi confini della Prussia, con annessione della Slesia. L’assetto politico-territoriale italiano era così stabilito: • Regno di Sardegna (Sardegna, Savoia, Nizza, Piemonte fino al Ticino) ai Savoia; • Stato di Milano (parte occidentale della Lombardia e Mantova) agli Asburgo d’Austria; • Repubblica di Venezia indipendente; • Repubblica di Genova indipendente (+ Corsica); • Ducati di Parma, Piacenza e Guastalla a Filippo di Borbone-Farnese; • Granducato di Toscana alla dinastia Asburgo-Lorena come stato indipendente; • Regno di Napoli e Regno di Sicilia indipendenti sotto il governo di un ramo dei Borbone di Spagna. ➔ Questo aspetto politico-territoriale restò invariato fino all’ascesa di Napoleone. Che cos’è l’Illuminismo? Il “secolo dei Lumi” vide l’uso spregiudicato della ragione in tutti i campi: l’Illuminismo circolava nelle scoperte scientifiche che rifondarono i settori della chimica, biologia, zoologia, genetica, elettrologia. I fondamenti delle idee guida di questa rivoluzione intellettuale furono costituiti tra fine 600 e gli anni 30 del 700. Distinguiamo 4 fasi: ➢ Tra la fine del 600 e gli anni ‘30 del 700, 1° fase illuministica: l’Età del pre- illuminismo, che consistette nella crisi della coscienza europea; ➢ 2° fase illuministica tra gli anni ’30-‘50 del 700: coincise con il periodo di formazione dell’Enciclopedia (importante iniziativa editoriale degli illuministi); dai problemi religiosi e morali si passa al primato delle questioni politiche e sociali; ➢ 3° fase illuministica tra gli anni ’60-‘70 del 700: vide al primo posto l’economia e l’esperienza di governo illuminato da parte di alcuni sovrani; ➢ 4° ed ultima fase risalente al ventennio precedente alla Rivoluzione francese: crisi dell’antico regime e l’ansia di un nuovo mondo. La 1° idea guida dell’Illuminismo fu il nesso religione-libertà-tolleranza, tema affrontato per la prima volta dall’olandese Spinoza; in Olanda vi fu anche uno dei padri fondatori del moderno principio di tolleranza, Bayle. Ci furono poi le correnti di Deismo (Dio esiste in una religione naturale non rivelata) e dell’Ateismo: deista fu Voltaire (il più popolare degli illuministi), mentre tra gli atei Diderot. L’idea guida della tolleranza era connessa all’idea di libertà di pensiero. L’Illuminismo fu una cultura pragmatica, universale, cosmopolita, diversamente connotata nelle varie aree europee. Parigi → al centro del movimento: qui i philosophes (intellettuali illuministi) si posero l’obiettivo di dirigere la società, investendo tutti i settori con il lume della ragione. In Germania il fenomeno si sviluppò in un contesto ostile: i capisaldi erano il protestantesimo delle chiese luterane, il feudalesimo della società junker, il cattolicesimo ricco di misticismo per cui furono popolo e nazione ad impegnarsi a favore dell’Illuminismo. In Russia, Austria, Paesi Asburgici e Stati italiani i migliori mediatori furono sovrani e governi. L’Inghilterra, invece, non ebbe un moto illuminista. Ragione, esperienza e pubblica felicità: fondamenti e fini delle nuove scienze dell’uomo La conoscenza dell’uomo diventa, dalla prima generazione illuminista, fondamento e scopo della missione dell’intellettuale: il sistema del sapere deve articolarsi in un insieme di scienze dell’uomo, con il fine di conseguire la “massima felicità nel maggior numero”, come affermato da Cesare Beccaria. Quindi si salda il cerchio illuminista tra ragione, esperienza e pubblica felicità: ❖ Montesquieu dedica gli ultimi anni della sua vita alla composizione de Lo spirito delle leggi, che ha 2 punti di partenza: 1. la varietà storica di leggi, istituzioni, usi e costumi; 2. l’esigenza di costruire un ordine intelligibile in questa varietà mediante l’individuazione di cause e relazioni tra gli eventi. Da qui parte un itinerario teso a definire una teoria politica (teoria delle forme di governo) ed una sociologia politica (analisi del rapporto tra regimi e organizzazioni sociali). Fondamentale integrazione alla teoria dei tre principi di governo sono le considerazioni sull’Inghilterra, in particolare sulla Costituzione che si regge sulla separazione dei poteri: il re detiene il potere esecutivo; le camere, quella dei Lord, che rappresenta la nobiltà, e quella dei Comuni, che rappresenta le forze non nobili, detengono il potere legislativo. Questi poteri sono distinti, ma cooperanti tra di loro. Da ciò emerge l’ideale della libertà politica per Montesquieu: consta non solo della separazione tra i tre poteri dello stato ma anche dell’equilibrio tra stato e società, fra una monarchia forte e ceti, ordini sociali, corpi intermedi, garanzia di una costituzione moderata Una una diversa velocità per ogni agricoltura europea: intorno alla metà del 700 le più alte rese agricole erano nei Paesi Bassi, ma nello stesso periodo si sviluppava la tendenza a ottenere maggiore produttività dalla terra in diverse parti del continente, come Danimarca, Brandeburgo, Francia e Inghilterra, con conseguente redistribuzione della ricchezza e differenziazione sociale crescente → ciò causò l’abolizione del feudalesimo. A spingere in alto i prezzi dei prodotti agricoli contribuì l’aumento della domanda, soprattutto nelle città. L’Europa delle città (l’Europa del 700), soprattutto delle metropoli: nel 700 solo 2 città avevano più di 400.000 abitanti, ma nel 1800 diventarono 3: Londra, Parigi e Napoli; seguiranno Vienna e Amsterdam (circa 300mila abitanti) e le città comprendenti tra i 100mila e 200mila abitanti passeranno da 8 a 11 (Madrid, Lisbona, Dublino, Berlino, Roma, Barcellona, Venezia, Milano, Palermo, Lione, Marsiglia). In queste grandi metropoli si esercitò la capacità politica degli Stati. Basi materiali ed economiche: Le basi economiche della società degli ordini dell’antico regime cominciarono a mutare nel XVIII sec. e gli illuministi ne fecero l’oggetto dei loro dibattiti, per cui ricchezza/potere divenne un binomio sempre più stringente: l’accumulazione del capitale favorì l’accentuazione del conflitto tra diritto di proprietà e privilegio del possesso. I valori del merito e dell’imprenditorialità divennero un modello positivo contro speculazioni e atteggiamenti improduttivi. Tuttavia, il processo iniziato per disarticolare la società di antico regime: - non fu lineare perché non si attuò un passaggio elementare da una società all’altra; - non fu prevedibile perché le forze economiche, sociali ed intellettuali non avevano le idee chiare sul tipo di società e sui nuovi rapporti che avrebbero sostituito i vecchi; - non fu definito nello scontro tra forze conservative e forze progressiste. Trasformazioni negli ordini tradizionali della società, come nella distinzione tra nobiltà di spada e nobiltà di toga: la nobiltà di spada dell’Europa centro-orientale era diversa da quella dell’Europa mediterranea, dato che quella dell’Europa centro-orientale aveva poteri militari, economici e sociali rilevantissimi. In Francia, invece, essa era prevalentemente una nobiltà di corte, che aveva nelle mani le alte cariche militari, civili e religiose, ma i partecipanti all’esercizio del potere costituivano l’élite francese. Nel processo di trasformazione delle nobiltà, ebbe un ruolo fondamentale lo Stato: a Oriente creò la nobiltà di servizio, con poteri illimitati sul piano economico e sociale; a Occidente si favorì una dialettica interna al mondo nobiliare, integrando nuovi membri nell’aristocrazia. In quasi tutta Europa la nobiltà era una casta con valori e comportamenti, tranne in Inghilterra: nel 700 si sviluppò una nobiltà imprenditoriale/mercantile. Le riforme dell’assolutismo illuminato L’età dell’assolutismo illuminato rappresentò lo sviluppo più maturo dei principi e delle funzioni dello Stato moderno. La difficoltà nel conciliare assolutismo e illuminismo stava nel fatto che il processo riformatore dovette far fronte ai limiti dell’antico regime e gettò le basi per la crisi del vecchio ordine, ma non fu sufficiente per la sua totale trasformazione: per raggiungere ciò ci fu bisogno della rivoluzione. Assolutismo VS dispotismo. Monarchia dispotica era quella dello zar di Russia che trattava i sudditi come schiavi, faceva applicare pene brutali nel paese disponeva a piacimento della vita e dei beni: governava oltre la legge. Monarchia assoluta era invece il regime del sovrano per diritto divino che governava attraverso la legge. Una seconda distinzione interna all’assolutismo era fra quei regimi in cui il potere dei sovrani era limitato da altri organi costituzionali (parlamenti, diete, stati del regno) e regimi in cui la libertà d’azione del sovrano era meno vincolata (Prussia, Spagna, Danimarca). ➢ Amministrazione centrale: nel XVIII sec. ci fu uno sforzo consistente per rendere più efficace l’esercizio del potere monarchico attraverso la specializzazione della pubblica amministrazione. Il bisogno di potenza nell’equilibrio degli Stati, l’esigenza di un coordinamento tra centro e periferia del territorio nazionale, il controllo sociale, furono all’origine del rinnovamento delle strutture degli apparati amministrativi che investì l’Europa. Ministeri e segreterie di stato divennero gli organi politico-amministrativi più importanti degli apparati statali. Il XVIII sec. rappresentò il passaggio da un sistema di governo in cui rapporti tra politica e amministrazione erano confusi ad un modello di divisione di produzione tra il Governo, cioè la direzione politica e la burocrazia, corpo di funzionari specializzati e competenti, servitori dello Stato e privi di potere autonomo. Questo passaggio di distinzione tra sfera politica e amministrativa fu il risultato di un processo che si completò solo nello stato del diritto. Furono soprattutto le riforme dell'assolutismo illuminato a spingere verso un apparato amministrativo più efficiente e verso una più precisa distinzione dei poteri→ riforme di Maria Teresa d'Austria: accentuarono l'esigenza di un accentramento del potere e il bisogno di corpi di funzionari competenti. Nucleo dell'amministrazione austriaca fu il Consiglio di Stato, composto da funzionari con compiti esclusivamente consultivi e diviso in settori specializzati ➢ Vi furono riforme fiscali: tutti gli stati ricorrevano all’imposizione indiretta poiché era di più facile riscossione, però era anche la più impopolare perché spesso colpiva i ceti produttivi più deboli, come gli artigiani, generando rivolte. Le riforme fiscali, a metà 700, cercarono di fornire strumenti di certificazione più attendibili che potessero colpire, in modo più equo, i sudditi, divisi per categorie sociali e professionali: con la compilazione dei catasti si passò ad un sistema fiscale fondato su piani di accertamento della ricchezza mobiliare, valido per tutto il territorio. ➢ Amministrazione della giustizia: nell’antico regime, avevano grande peso la coesistenza di più giurisdizioni, tra cui quella feudale, e la confusione nell’amministrazione tra sfera giudiziaria e sfera esecutiva. Tra l’altro l’ordinamento non era unificato: le riforme dei sovrani furono limitate, però la codificazione e semplificazione del diritto contribuirono a unificare l’ordinamento. Le giurisdizioni privilegiate non furono però abolite. ➢ Il 700 fu il secolo della scienza camerale, la scienza dell’amministrazione pubblica: molti studiosi cercarono di elaborare una teoria delle scienze amministrative. I principi della scienza camerale furono: il primato del governo monarchico, la felicità dello stato come scopo della politica, lo sviluppo ed il pieno utilizzo delle risorse per garantire la sicurezza del paese. Assolutismo illuminato in Prussia e Austria PRUSSIA: con Federico II la Prussia consolidò il ruolo di grande potenza, nel lasso di tempo che andava dalla pace di Vestfalia alla guerra di successione austriaca. A definire questo ruolo avevano agito vari fattori: la frantumazione della politica tedesca; l’assenza di concorrenti tedeschi in grado di competere con le grandi monarchie europee; il rapporto fra la dinastia Hohenzollern e la formazione sociale prussiana dominata dagli junker; la necessità di costruire uno Stato forte sul piano militare, per difendersi dalla Svezia. La formazione della potenza prussiana fu avvantaggiata dall’assetto interno della Germania, ma soprattutto dagli sviluppi della congiuntura politica internazionale: lo scacco subito dagli Asburgo nella guerra dei 30 anni bloccò il sogno imperiale in Germania, l’ascesa della Svezia impegnò tutte le forze degli Hohenzollern. 1748→ con la pace di Aquisgrana, Federico II ottenne l’annessione della Slesia, ricca regione mineraria e industriale, sottratta all’Austria. Dal 1756 al 1763 la Prussia fu impegnata nella guerra dei 7 anni, in cui impegnò molte energie finanziarie e militari, con cui il sovrano si fece riconoscere lo status quo territoriale. Con la prima spartizione della Polonia, nel 1777, fu annessa la Prussia occidentale. Alla morte di Federico II la superficie del territorio era raddoppiata e la popolazione triplicata. Nella politica interna, il punto di forza fu la capacità di introdurre alcuni principi di riforma dello Stato senza intaccare le fondamenta della formazione sociale prussiana: il sovrano aveva ereditato il militarismo ed il calvinismo dal padre, ma dimostrò sensibilità verso filosofia, letteratura, arte, musica e valori laici della cultura illuministica; favorì la libertà di stampa; rese obbligatoria la formazione elementare. I settori privilegiati della riforma di Federico II furono amministrazione e giustizia: accentuò la specializzazione ministeriale, istituendo un Ministero del commercio e un Ministero per l’esercito. Inoltre, Federico II abolì la tortura, limitò la pena di morte e progettò la riforma dei codici. Altro settore di intervento fu l’economia: favorì la colonizzazione delle terre orientali e attuò la prima politica popolazionista in Europa, stimolò programmi pubblici in campo agricolo e industriale. Tuttavia, le basi della società prussiana rimasero immutate: lo Stato non esercitava nessuna giurisdizione sulla popolazione rurale, che era governata dagli junker e le imposte dei contadini erano riscosse dai signori. Inoltre, persisteva la servitù della gleba. AUSTRIA: il peso internazionale dell’Austria asburgica era aumentato nella 2° metà del 600. Il prestigio della dinastia aumentò dopo le guerre contro i Turchi (cedettero l’Ungheria), ma una grave perdita fu la Slesia, provincia più prospera del paese. Risolto il problema della successione, il trono di Maria Teresa d’Asburgo, figlia di Carlo VI, aprì una fase di riforme: la l’intero apparato di governo fu rinnovato e modernizzato, furono unite le cancellerie d’Austria e di Boemia e le rispettive corti d’appello. L’aristocrazia e il clero furono chiamati a contribuire al carico fiscale con strumenti più efficaci di accertamento e il Consiglio di Stato fu chiamato a dirigere l’apparato. Maria Teresa fondò collegi per l’educazione e la formazione del personale chiamato a dirigere la vita dello Stato. Le riforme teresiane furono superate da quelle del figlio Giuseppe II: egli fu nominato coreggente degli Stati ereditari asburgici, per cui dal 1780 al 1790 regnò sul trono che fu della madre. Egli agì in campo religioso, interrompendo la tradizione del cattolicesimo bigotto asburgico, magistrature periferiche dello Stato, l’espulsione dei Gesuiti. La struttura economica restava fragile, dato che permaneva la dipendenza dal mercato internazionale, lo squilibrio tra campagna e città e le manifatture scarseggiavano. Tutto ciò fu evidenziato dalla carestia e crisi economica del 1763-64. La seconda generazione di illuministi fu protagonista di una nuova collaborazione tra intellettuali e politica, che caratterizzò gli anni 70 e 80 del regno di Fernando IV di Borbone. Ormai, nel Mezzogiorno, si avviava la crisi dell’antico regime. ➢ Lombardia: dopo la pace di Aquisgrana del 1748, la Lombardia rimase sotto il dominio austriaco. Durante il regno di Maria Teresa furono promosse alcune riforme: fu completato il nuovo catasto e il governo delle comunità fu affidato ai rappresentanti dei proprietari, l’amministrazione fu centralizzata e il personale fu reclutato in base al merito e alla preparazione tecnica; fu abolita la venalità delle cariche pubbliche. I due figli di Maria Teresa accelerarono il processo riformatore: Giuseppe (imperatore d’Austria dal 1765 al 1790) e Pietro Leopoldo (granduca di Toscana e poi imperatore dal 1790 al 1792). Giuseppe II estese alla Lombardia la centralizzazione amministrativa e il governo delle province, affidato agli intendenti, gli interventi sul sistema educativo con scuole elementari per il popolo, secondarie ed università per discipline scientifiche, la promozione di istituzioni culturali come accademie, osservatorio astronomico e Teatro alla Scala. Abolì il senato milanese. ➢ Toscana: sotto dominio austriaco ed affidata al fratello di Giuseppe II, Pietro Leopoldo, che promosse due riforme di capitale importanza: 1. Allivellazione: concedeva ai mezzadri, in perpetuo, i terreni di proprietà dello Stato in cambio di un canone annuo fisso e contenuto; 2. Nuovo Codice penale del 1786: aboliva la pena di morte, il diritto di lesa maestà, la tortura, la confisca dei beni del condannato. I sudditi del Granducato acquisirono diritti sul piano della libertà individuale ed economica. La soppressione del tribunale del Sant’Uffizio portò a una maggiore tutela della libertà di coscienza. L’applicazione delle indicazioni di Beccaria abolì le limitazioni dei diritti del reo; la liberalizzazione della terra e del commercio favorì l’accumulazione di capitali, giovando all’economia del territorio. Dalla guerra dei Sette anni alla spartizione della Polonia Le tensioni europee dopo la pace di Aquisgrana non si erano sciolte → La Prussia era in fase espansionista, l’Austria voleva riprendersi la Slesia, la Russia cercava una più stabile egemonia nel Baltico, l’Inghilterra e la Francia erano in conflitto per l’egemonia coloniale. Il sistema dell’equilibrio entrava in crisi, a causa dell’impossibilità di bilanciare la forza delle potenze secondo l’ottica presente nell’età delle guerre di successione. 1756 → scoppiava la Guerra dei Sette anni (fino al 1763) tra Francia e Inghilterra, combattuta su fronti europei, indiano e americano. Federico II di Prussia si alleò con l’Inghilterra, mentre la Francia si alleò con Austria (rivoleva la Slesia) e Russia: vi fu un capovolgimento delle alleanze tradizionali. Questo conflitto mise in luce il protagonismo militare della Prussia, la fragilità del sistema politico-militare della Francia (perse possedimenti americani e postazioni indiane), la vocazione centroeuropea e balcanica dell’Austria, la supremazia marittima dell’Inghilterra. 1762→ Federico II firmò la pace separata con lo zar Pietro III di Russia; 1763 → Federico II firmava la pace con l’Austria, ottenendo la conferma dell’annessione della Slesia e l’unificazione territoriale dei domini Hohenzollern. La pace di Parigi, nel 1763, tra Francia e Inghilterra estrometteva la Francia dall’America settentrionale e riconosceva l’espansione inglese in India. La conclusione della guerra spostò l’asse dell’equilibrio verso America, Asia e Africa ed alcuni anni dopo questo sistema di equilibrio entrò in crisi dall’interno: per quasi 2 secoli, dopo la fine della dinastia Jagellone, le potenze europee avevano esercitato il protettorato sulla Polonia, entrando in conflitto tra loro per garantirsi il controllo del suo territorio, per cui la Polonia era sempre stata governata dall’esterno. Di fatto, furono 3 le potenze che, dopo Aquisgrana, ipotecarono il destino polacco: Russia, Prussia e Austria. Dopo la morte del principe posto sul trono polacco, Augusto III di Sassonia, Caterina II di Russia e Federico II di Prussia invasero la Polonia per imporre il loro candidato, Stanislao Poniatowski, amante di Caterina II, il quale voleva attuare riforme per limitare il potere aristocratico, per cui era inevitabile lo scontro: la nobiltà si riunì nella Confederazione di Bar, la Russia inviò truppe sul territorio polacco e dopo 4 annidi guerra riuscirono a reprimere la ribellione dell’aristocrazia. 1772 → Russia, Prussia e Austria procedettero alla prima spartizione della Polonia: • La Galizia all’Austria; • la Russia acquistò gran parte della Bielorussia; • la Prussia occidentale alla monarchia degli Hohenzollern. 1792 → i soldati di Caterina II di Russia invasero di nuovo la Polonia, poiché Stanislao stava cercando di trasformare la monarchia polacca da elettiva in ereditaria e di abolire il potere di veto dei magnati. 1793 → fu compiuta una seconda spartizione a favore di Russia e Prussia ed un anno dopo ci fu un’insurrezione nazionale, violentemente repressa e nel 1795 si giunse a una terza spartizione, con la quale il paese scomparve del tutto. CAPITOLO XI-Il mondo oltre l’Europa: l’espansione coloniale Le vecchie potenze coloniali: spagnoli e portoghesi in America Nel XVIII sec., Spagna e Portogallo, viste come potenze di secondo livello in Europa, possedevano grandi territori oltreoceano: i risultati raggiunti, pur con mezzi a volte raccapriccianti di conquista, erano l’integrazione di vastissimi territori in un’unità politico- dinastica ed il controllo economico e amministrativo da parte di un centro statale europeo, soprattutto per i territori americani della Spagna. Nell’espansionismo verso Asia e Africa, Spagna e Portogallo vennero esclusi a favore dei ceti commerciali ed imprenditoriali di Olanda, Inghilterra e Francia, paesi a cui, però, serviva che paesi di minor potenza (Spagna, Portogallo), conservassero integri i loro imperi coloniali. Spagna: l’impero coloniale spagnolo nel 700 comprendeva parte dell’America meridionale, le isole dei Caraibi, Messico, Florida e Filippine. Era un impero essenzialmente americano: al vertice dell’amministrazione c’erano i viceré nel Messico e in Perù; capitani, generali e governatori negli altri territori. A differenza dei domini spagnoli europei, nei domini americani i poteri dei viceré e delle cariche equivalenti, erano molto ampi, e coprivano politica, milizia, area giudiziaria e finanziaria. I viceré venivano reclutati nelle fila dell’aristocrazia castigliana ed assistiti dalle Udienze, formate da magistrati che amministravano le province maggiori ed esercitavano il potere in caso non ci fossero viceré o governatori. Fu con Carlo III Borbone che si ebbe la massima espansione territoriale della Spagna in America, con la conquista della Louisiana (1763) e la costruzione del viceregno del Rio de la Plata. Furono riorganizzate le province con nuove unità amministrative; fu stabilita la figura degli intendenti; l’esercito fu costituito da milizie di europei, neri, meticci. Il quadro sociale ed economico dell’America spagnola, nel 600, vide la crescita della popolazione bianca, l’arrivo di schiavi neri e la formazione di popolazione meticcia, che avevano favorito la ripresa demografica. Grazie a loro l’agricoltura poté svilupparsi nel corso del secolo: alla crescita contribuirono la messa a coltura di nuove terre, introduzione di nuove coltivazioni (vite, canna da zucchero) e impiego degli animali nella produzione agricola. Le attività manifatturiere ed industriali si svilupparono tra 600-700, in particolare costruzioni navali, settore tessile ed edilizia; crebbe la produzione d’argento. Anche Chiesa ed ordini religiosi accumulavano grandi proprietà. Gli elementi deboli del sistema spagnolo erano essenzialmente 4: 1. Il rapporto Stato-economia: il controllo statale del commercio coloniale era affidato alla Casa de Contrataciòn, un’agenzia con sedi a Siviglia e Cadice (aveva scarsa efficacia). I trafficanti delle nazioni marittime europee si burlavano del monopolio dei mercanti di Siviglia e Cadice, i contrabbandieri avevano vita facile e le merci trasportate dalle flotte regolari spesso non provenivano dalla Spagna. 2. Fragilità militare: province si difendevano arruolando milizie non regolari sul luogo. 3. Corruzione e scarsa efficienza dell’amministrazione coloniale: le pratiche burocratiche avevano un iter lungo e macchinoso; il rapporto centro-periferia era difficile; il sistema della venalità delle cariche alimentava corruzione e disfunzioni. 4. Chiusura e conservatorismo dei gruppi dirigenti coloniali. Le riforme di Carlo III non eliminarono questi motivi: l’amministrazione fu semplificata mediante la sostituzione del Consiglio delle Indie con il Ministero delle Colonie; il monopolio di Siviglia e Cadice fu abolito, come anche le tasse sui traffici; fu ridotto il patrimonio ecclesiastico e limitati privilegi e immunità. Vi fu l’espulsione dei Gesuiti. Portogallo: i suoi possedimenti coloniali comprendevano Brasile, basi commerciali sulle coste africane (Angola, Mozambico), indiane, indonesiane e su alcune isole del Pacifico. Tra 500-600 le principali merci esportate dal Brasile erano zucchero, tabacco, cotone e pellami: Ad inizio 700 la scoperta di giacimenti auriferi fece diventare l’oro la principale ricchezza della colonia, ma il Brasile non aveva ricchezza di manodopera indigena a buon mercato: la popolazione era scarsa, il lavoro era affidato agli schiavi, il commercio interno era limitato allo scambio di prodotti artigianali. Il Brasile era in un sistema commerciale triangolare, con i vertici Portogallo-Angola-Brasile: dal Portogallo le navi portavano in Angola manufatti
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