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Riassunto del libro "Vita" di Vittorio Alfieri, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Riassunto dell'autobiografia di Vittorio Alfieri.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 04/11/2020

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laras-1 🇮🇹

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4 documenti

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Scarica Riassunto del libro "Vita" di Vittorio Alfieri e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! “Vita”: Vittorio Alfieri L’autobiografia parte dalla dimensione personale (“Io”). Alfieri scrive come un uomo “realizzato”, con l’obiettivo di liberarsi dalle costrizioni del tempo ed evitare che i lettori leggano una biografia postuma, che di solito racconta solo ciò che il lettore vuole farsi raccontare, con l’obiettivo di vendere. E’ divisa in 5 epoche (come i 5 atti delle tragedie di tradizione aristotelica) ma non riuscì a scrivere la quinta epoca. --> Puerizia, adolescenza, giovinezza, maturità, vecchiaia. La prima epoca, la puerizia, era sempre stata esclusa dal narrabile fino ad allora, ma per Alfieri questa è funzionale a rappresentare efficacemente il suo personaggio. Prima epoca. Alfieri comincia parlando dei suoi genitori: Antonio Alfieri e Monica Maillard di Tournon. La madre era già vedova di un primo marito, da cui aveva anche avuto dei figli, mentre il padre non aveva mai avuto impieghi di corte o ambizioni particolari, poiché la sua agiata posizione gli permetteva di vivere in modo beato e felice. Lo descrive come un uomo dai sanissimi costumi, desideroso di un figlio maschio. Morì quando Vittorio aveva un anno e la madre si risposò ancora una volta. Questo suo ultimo matrimonio fu molto felice e Alfieri impiega qualche riga per parlare in modo ammirevole di sua madre. Tra le reminiscenze dell’infanzia, Alfieri riporta il suo primo dolore profondo: l’allontanamento dalla sorella, costretta a proseguire la sua vita in un monastero. Da qui seguono i primi sintomi di una personalità appassionata, quella di Alfieri, che a soli otto anni, racconta, cercò di porre fine ai profondi sentimenti malinconici che lo accompagnavano e di cui non conosceva la fonte, mangiando erba, pensando contenesse cicuta. Dopo di ché Alfieri racconta alcune avventure puerili, tutte caratterizzate da quel carattere malinconico e appassionato che lo distingueva, come i suoi castighi, ai quali reagiva ammalandosi, mostrando la sua debolezza fisica e mentale. O la sua reazione alla morte del fratellastro, le pene della madre e le ripercussioni sul suo stato d’animo. Conclude questa prima epoca parlando della preparazione al suo primo viaggio, per studiare a Torino, e la descrizione accurata del suo pensiero. Seconda epoca. Alfieri racconta del suo arrivo all’Accademia torinese, descritta come un luogo d’istruzione, che introdusse il giovane Alfieri allo studio dei classici, latini ed italiani. Il primo periodo è descritto come un periodo negativo, in cui il giovane non riusciva a crescere e a migliorarsi per la dura disciplina a cui doveva sottostare. Peggiorò anche la sua salute corporale, già cagionevole, che faceva radicare in lui sempre di più l’amore per la solitudine. Questi furono gli anni di non-studio, in cui la sua conoscenza di poeti si limitava al solo Virgilio, Metastasio e Ariosto (che leggeva senza avere le capacità per comprenderlo davvero). Racconta delle sue ispide vicende puerili: i componimenti che scriveva per un altro giovane per la scuola, da cui imparò che la vicendevole paura era quella che governava il mondo. A tredici anni entrò nella scuola di Filosofia, a cui era costretto ad andare due volte al giorno, pur essendo spesso infermo. Successivamente, racconta del momento in cui rivide la sua amata sorella, rinchiusa nel monastero, di come le visite fatte a lei gli alleggerissero l’animo. Durante le vacanze dell’anno di Filosofia, racconta di come nacque la sua predilezione emotiva verso la musica, ammettendo che ogni sua tragedia era nata da lui nell’atto di sentir musica o qualche ora dopo. Durante il suo primo viaggio a Cuneo da suo zio Benedetto, compose il suo primo sonetto, che altro non era che miscuglio di versi ispirati da Metastasio e Ariosto, che egli infatti non riteneva nemmeno “suo”. La sua passione nascente per la poesia, però, non crebbe mai, almeno fino ai venticinque anni quando riprese a poetare, anche a causa di suo zio, che non incoraggiava questa sua predisposizione. La morte dello zio Benedetto gli fece acquisire molta libertà che andò a migliorare anche le sue condizioni fisiche e mentali. Descrive questo cambiamento, caratterizzato anche dall’allontanamento del suo servo Andrea, al quale era molto affezionato. Seguì un periodo oscuro, in cui rinchiuso e solo, Alfieri condusse una vita più comune ad una bestia che ad un uomo. Ad allontanarlo da questo periodo fu il matrimonio della sorella e il ricadere nell’ozio totale, di cui quasi si vergognava nel profondo. Dopo di che racconta la vicenda del suo primo innamoramento, descrive la sensazione di malinconia profonda e ostinata, un “ricercar sempre l’oggetto amato, e trovatolo appena, sfuggirlo.” Segue il suo viaggio a Genova, dove la vista del mare gli rapì l’anima; ritornò in visita dalla madre e il desiderio di viaggiare s’insinuò sempre di più in lui. Viene descritto il suo ingresso nelle truppe che segnò l’ultimo periodo di questa seconda epoca, periodo da lui stesso definito semplicemente ozioso, infermo e ignorante. Terza epoca. Alfieri racconta il suo primo vero e proprio viaggio, tanto atteso, verso Milano, Firenze e Roma. Tra l’immensa dissipazione della sua mente, egli prestò particolari attenzioni alla tomba di Michelangelo e altri grandi. Arrivò anche a Napoli, fu introdotto a corte e dopo si spostò a Venezia, dove la malinconia e la solitudine lo accompagnarono sempre. Partì per la prima volta diretto in territorio non italiano, verso la Francia, dove si interessò molto al teatro. Qui lo colpì più la commedia che la tragedia, benché fosse più incline, per carattere, al pianto che al riso. Seguì il viaggio verso l’Inghilterra e l’Olanda; nell’Inghilterra trovò quella che avrebbe potuto essere per lui una fissa dimora, per l’armonia dei buoni e semplici costumi, la libertà del governo, che gli faceva dimenticare “la spiacevolezza del clima, la malinconia che sempre vi accerchia e la rovinosa carezza del vivere”. In Olanda trovò l’amore per una donna, già sposata, che gli catturò il cuore e gli provocò numerose pene. All’abbandono della donna seguì per il poeta un dolore cupo e taciturno, che portò al ritorno in Italia. Qui, col cuore pieno di malinconia e amore, sentì il bisogno di dedicarsi agli studi filosofici. Qualche tempo dopo partì di nuovo verso la Danimarca, la Svezia e la Germania. Il viaggio proseguì verso la Russia, la Prussia e il ritorno in Olanda e Inghilterra. A Londra ritrovò l’interesse per una donna inglese, anche questa sposata, per la quale arrivò a battersi a duello col suo uomo, in cui se l’uomo avesse voluto, avrebbe potuto ucciderlo. La donna, però, ricambiava fortemente il suo amore, tanto che riuscì ad allontanarsi dal marito, ma subito confessò di essere stata innamorata di un servitore del palazzo di suo marito. Il poeta, a questo punto, irato e amareggiato, la lasciò subito, pur soffrendo. Proseguì il suo viaggio verso la Francia, la Spagna e il Portogallo; a Lisbona conobbe l’abate Tommaso di Caluso, il quale, a differenza di altri letterati, colpirono il poeta, e in quelle notti si riaccese in lui l’entusiasmo per l’arte della poesia, anche se si spense da lì a poco sotto la cenere di ancora molti anni. L’amicizia con l’abate lo aiuto a restaurarsi pian piano l’animo, ancora in sofferenza. Seguì il ritorno in patria e l’incappo nella terza rete amorosa; questo terzo amore durò più di due anni e portò ulteriori angosce, vergogne e dolori. Durante questi anni egli si ammalò pesantemente; “la rabbia, la vergogna, e il dolore, in cui mi facea sempre vivere quell’indegno amore, mi avevano cagionata quella singolar malattia. Ed io, non vedendo strada per me di uscire di quel sozzo laberinto, sperai, e desiderai di morirne.” Grazie alla vicinanza di un suo amico riuscì a superare la malattia e decise di abbandonare le armi. Poco dopo anche la donna si ammalò, suppose della stessa sua malattia. L’amore è una rete e l’autore voleva liberarsene; Alfieri si fece legare a una sedia per non compiere movimenti schizofrenici. A seguito di ciò ci furono i primi tentativi di scrittura in italiano da parte del poeta con “Cleopatra tragedia” a cui si dedicò con impegno e fatica per molto tempo. La letteratura lo aveva liberato dalla rete, dai traumi della vita. Ribadì ancora una volta la sua ignoranza negli studi, che gli poneva dinanzi difficoltà nello scrivere. Seguì la stesura di un’altra tragedia “I poeti”, rappresentata anche in teatro. Quarta epoca.
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