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Riassunto del libro ''Vita'' di Vittorio Alfieri, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Riassunto del libro ''Vita'' di Vittorio Alfieri

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 15/01/2019

saras81
saras81 🇮🇹

4.5

(22)

23 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto del libro ''Vita'' di Vittorio Alfieri e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! VITA DI VITTORIO ALFIERI DA ASTI SCRITTA DA ESSO INTRODUZIONE Nell’introduzione c’è un collegamento alla Vita agricola, di Tacito plerique suam ipsi vitam narrare, fiduciam potius morum, quam arrogantiam, arbitrati sunt. L’amore per sè stesso ha fatto nascere in lui la voglia di parlare di sé stesso. Descrive l’amore per sé stesso come un dono che la natura concede a tutti gli uomini. Una delle futili ragioni che lo hanno spinto a parlare di sé stesso è il lasciare un ricordo verosimile di lui. Alfieri sa che alla sua morte, molta gente avrà la curiosità di sapere chi lui fosse; per questo, onde evitare che la sua biografia sia scritta da altri che nemmeno lo conoscono, scrive della sua Vita. Anche se nel suo libro non avrà il coraggio di dire tutto il vero promette ai suoi lettori di non dire mai la verità. Il suo libro è diviso in cinque epoche, che corrispondono alle cinque età dell’uomo: puerizia, adolescenza, giovinezza, virilità e vecchiaia. Vuole essere breve nei racconti ma rega il lettore di scusarlo nel momento in cui dovesse allungarsi. Il nome delle persone altrui verrà sempre nominato per lodarle e mai per metterle in cattiva luce. Lo scopo di quest’opera è rivolto allo studio dell’uomo in genere. Stile spontaneo e naturale con cui ha scritto questa opera dettata dal cuore e non dell’ingegno. Epoca prima: PUERIZIA. Abbraccia 9 anni di vegetazione. 1. Nascita e parenti. Vittorio Alfieri nacque nella città di Asti in Piemonte, il 7 gennaio dell’anno 1749, da una famiglia nobile. Nascere in una famiglia nobile gli giovò: egli poté disprezzare i vizi e gli abusi della nobiltà senza esser visto come un invidioso e un vile. Nascere agiato gli ha permesso di essere libero e puro senza doversi sottomettere ad altri. L’onestà dei parenti fecero sì che egli non si fu mai dovuto vergognare della sua esposizione sociale. Lui era convinto che qualunque di queste tre cose gli fossero mancate lo avrebbero reso sicuramente un peggior filosofo e persino un peggior uomo. Suo padre si chiamava Antonio Alfieri mentre la madre Monica Maillard di Tournon. Ella era di origine savoiarda ma si era già stabilita da tempo a Torino. Suo padre era un uomo puro di costumi che viveva senza impiego e senza coltivare alcuna ambizione. Egli aveva beni e fortune sufficienti per poter vivere, con moderazione, una vita giusta e felice. A 55 anni si invaghì di sua madre, una donna giovanissima, allora già vedova del marchese di Cacherano, e la sposò. Dopo il matrimonio i suoi genitori ebbero una figlia femmina che aveva invogliato il suo buon padre ad aspirare ad una prole maschia. Alla sua nascita, Vittorio, fu festeggiato; egli non sa se la felicità del padre era dovuta alla gioia di avere un figlio o al fatto che egli fosse un figlio maschio e avrebbe continuato la stirpe della sua nobile famiglia. Lui venne fatto allattare in un borghetto distante circa 2 miglia da Asti, chiamato Rovigliasco. Il padre pur di vedere ogni giorno il figlio raggiungeva a piedi il piccolo borgo. Un giorno si prese una puntura e in pochi giorni morì, prima che lui avesse compiuto un anno. La madre rimase incinta di un altro maschio che morì in tenera età (così le rimanevano lui e la sorella, e due femmine e un maschio dal matrimonio precedente). Dopo la morte del padre, la madre, che era ancora molto giovane, si risposò con un ricco cavaliere, Giacinto, che aveva quasi la sua stessa età. Alfieri inizia a scrivere la Vita a quarantuno anni e dice che in quel momento i due sposini sono ancora felicemente insieme. Negli anni a seguire, a sua madre morirono sia il maschio sia la seconda femmina del primo marito che entrambi i maschi del suo terzo marito: Alfieri rimaneva l’unico figlio maschio. Per diversi motivi lui non può stare a fianco a lei ma sa che il suo carattere forte le permetterà di reagire sempre da sola. 2. Reminescenze dell’infanzia. Della sua primissima età, che Alfieri chiama stupida vegetazione, ricorda solo uno zio paterno che dall’età di tre anni lo faceva sedere su un cassettone e gli dava dei confetti. Vittorio non si ricordava nulla di lui se non dei vecchi stivali a punta che indossava sempre. Solo anni dopo la morte dello zio incontrò una persona che indossava stivali identici e che resuscitarono in Vittorio le stesse sensazioni delle carezze che riceveva dallo zio quando gli dava i confetti (sentiva perfino il sapore d quei confetti). All’ età di 5 anni ha un secondo ricordo della sua infanzia è legato ad una malattia che lo ha fatto quasi morire. Vittorio ricorda poi la sorella Giulia con la quale viveva nella casa del patrigno mentre i figli del primo matrimoni furono mandati l’uno in un collegio dei Gesuiti e l’altra in un monastero. Poco dopo tempo anche Giulia venne portata in un monastero di Asti. La lontananza dalla sorella provoca numerosi turbamenti a Vittorio che mostra il suo dolore piangendo (che allora aveva 7 anni). Questo distaccamento dalla sorella ha provocato in lui tante emozioni che poi sono ricomparse in età adulta quando si è ritrovato ad essere abbandonato da altre donne o da alcuni veri amici. Dalla reminiscenza di quel primo dolore del cuore ne ha poi dedotto che tutti gli amori dell’uomo hanno lo stesso motore. Rimasto solo nella casa materna venne affidato in custodia ad un prete di nome Don Ivaldi, il quale gli insegnò a scrivere e a leggere fino alla classe quarta usando le opere di Cornelio Nipote e le favole di Fedro. Il prete non era poi così tanto colto per questo dopo i 9 anni non insegno più nulla a Vittorio. Anche i parenti erano molto ignoranti e pensavano che i nobili non avessero bisogno di diventare dottori. Al contrario Alfieri aveva un’inclinazione naturale allo studio che diventò sempre più grande dopo la separazione dalla sorella. 3. Primi sintomi di carattere appassionato. La distanza dalla sorella generava in lui un dolore sempre più forte. Con il passare degli anni e i tanti impegni di studio le sue visite a Giulia si riducevano (non sempre) ai giorni di festa e di vacanza. Il suo vuoto e la sua solitudine riuscì a colmarli iniziando a frequentare ogni giorno la chiesa del Carmine vicina alla sua casa, dove andava per ascoltare i canti e le cerimonie dei frati. In pochi mesi non pensava più alla sorella ma desiderava solo recarsi alla chiesetta dei frati. Dopo che a 9 anni Giulia fu portata in monastero, Vittorio non vide più un viso femminile e estraneo al di fuori di quello dei frati. Vedeva nei frati dei volti amichevoli. Un giorno, mentre si trovava solo in camera, cercò nei due vocabolari italiano e latino la parola Frati e scrisse Padri in quanto ha sempre sentito parlare bene dei Padri e male dei frati. Queste correzioni Vittorio le nascose sempre al suo maestro. Fra i 7 e gli 8 anni trovandosi ancora in una situazione emotiva e fisica drammatica, ritrovandosi da solo, dopo aver visto uscire il suo maestro e il suo servitore, corse nel cortile secondario dove raccolse mazzetti di erba e incominciò a masticarli, riempendosi la bocca. Vittorio tentò il suicidio. Vittorio aveva sentito parlare di un’erba velenosa, la cicuta; non aveva mai avuto desideri suicidi ma sentì il quel momento l’istinto di provare quell’erba sperando che fosse la cicuta. Ma quell’erba amara era indeglutibile, per questo corse nell’altro giardino dove la espulse. Quando il maestro tornò non si accorse di nulla. Seduto a tavola poco dopo, venne interrogato dalla madre che vide gli occhi rossi. Vittorio che si ostinava a tacere non disse nulla, ma non riusciva a mangiare. Quando la madre si accorse delle labbra color verdi, iniziò a fare tante domande. Così Vittorio fu costretto a confessare il suo tentativo di suicidio. Egli fu mandato in camera sua dove ci rimase in punizione per diversi giorni. Questo castigo aumentò la sua depressiva malinconia. 4. Sviluppo dell’indole indicato da alcuni fattarelli. Nei primi anni della sua vita il suo carattere era per lo più taciturno e placido ma delle volte loquace e vivace. Era ostinato e restio contro la forza, pieghevole di fronte agli avvisi amorevoli, suscettibile a vergognarsi fino all’eccesso, e inflessibile se veniva preso a ritroso. Per descrivere il suo carattere al meglio, narra di due o tre avventure che riguardano la sua prima infanzia. Il più grande castigo a livello morale che gli potessero dare era quello di andare a messa con la reticella da notte sul capo (siccome lo faceva ‘’ammalare’’ gli fu dato solo due volte). La prima volta che fu costretto ad indossarla fu trascinato dal maestro nella chiesa del Carmine; era una chiesa abbandonata ma questo castigo affliggeva Vittorio per due motivi: aveva paura di avere gli occhi della gente puntati su di lui, non voleva essere visto come un malfattore e infine provava vergogna per il giudizio che i suoi amati frati potevano avere su di lui. Quel castigo aveva avuto su di lui un effetto straordinario, egli infatti appena sentiva la parola ‘’ reticella’’ obbediva subito ai suoi doveri. In un altro episodio racconta di aver mentito alla madre che lo castigò facendogli indossare la reticella per andare alla chiesa di San Martino, che si trovava nel centro della città ed era frequentata dalla gente di mondo. Fuori da casa e per le vie desolate Vittorio piangeva, urlava e si faceva trascinare dal prete e dal servitore, ma non appena arrivo nei pressi della chiesa si asciugò le lacrime e s’incamminò facendo finta di nulla. Chiuse gli occhi all’entrata della chiesa e li riaprì solo quando si ritrovò inginocchiato al suo posto per udire la messa. Uscito da essa tornò a casa rattristato, per giorni non volle ne bere ne mangiare e si ammalò. La madre preoccupata per la situazione del figlio, decise di non pronunciare più il nome della reticella. Un giorno la nonna materna arrivò ad Asti. I primi giorni li passò con la madre dedicando poche attenzioni al nipote, ma prima di andarsene chiese a Vittorio di dirle ciò che voleva e lei lo avrebbe accontentato. Alfieri in maniera ineducata rispose niente; gli interrogatori su cosa volesse continuavano: all’inizio Vittorio rispondeva con un tono asciutto e rotondo, poi con voce tremante e dispettosa e infine con molte lacrime e singhiozzi. Vittorio fu sgridato per il suo comportamento e chiuso nella sua camera. Da lì a pochi giorni che ha letto nella sua gioventù: Goldoni, Eneide e altri piccoli brani (Tasso non venne mai fatto leggere). Racconta l’episodio di un ragazzo che gli chiede di fare i compiti al suo posto in cambio di giocattoli; ma se si fosse rifiutato lo avrebbe picchiato. Vittorio prima accetta, poi si stufa e svolge male il compito del compagno; impara che nelle relazioni umane c’è una paura reciproca. Alla fine del capitolo c’è la descrizione della scuola di geometria e filosofia (la quale si faceva dopo pranzo) che si trovavano fuori dalle mura dell’Accademia, erano all’Università. Nella scuola di geometria spiegavano i primi sei libri di Euclide, mentre nella scuola di filosofia c’era una prima mezz’ora di dettatura e l’altro tre quarti d’ora si procedeva alla spiegazione in latino. Vittorio non si mostra interessato a quelle lezioni, per questo molte volte dorme. I ragazzi si svegliavano presto al mattino (5.45 per dire le prime orazioni). Solo durante la scuola di filosofia gli fu concesso di alzarsi alle 7. 5. Varie insulse vicende, su lo stesso andamento del precedente. Nell’inverno del 1762 lo zio, il governante di Cuneo tornò per diversi mesi a Torino dove si accorse della situazione del nipote. Vittorio era sempre più magro e deperito: lo zio gli offrì pranzi più sostanziosi e qualche domenica fuori dall’accademia. Lo zio in quei mesi pensò di portare la sorella, Giulia, nel monastero di santa Croce a Torino (dove c’era una monaca, parente materna). Ella aveva circa 14anni e stava da tempo (6anni) nel monastero di sant’Anastasio di Asti. Il suo ritorno a Torino generò una rinascita d’animo in Vittorio, che tanto aveva sofferto per il distacco dalla sorella. Giulia era cresciuta ed era bellissima; negli anni ad Asti ella si innamorò di un ragazzo che voleva sposare. Lo zio non era d’accordo per questo la portò a Torino. Vittorio s’impegnava affinché la sorella potessi riprendersi da quell’amore e la incitava a non mollare il colpo con lo zio che a parer suo prima o poi sarebbe ceduto. Vittorio andava a visitarla tutte le domeniche e i giovedì; ella con il tempo si abituò al muovo posto e dimenticò il ragazzo. Nelle vacanze dell’anno di filosofia, Vittorio andò al teatro di Carignano per assistere ad un’opera buffa: ‘Mercato di Malmantile’. Egli per quella sera chiese ospitalità al conte Benedetto. Secondo le regole dell’accademia gli unici teatri concessi erano quelli regali. Vittorio s’innamorò della musica utilizzata in quegli sceneggiati. Egli finì in modo consono gli studi di filosofia e lo zio come ricompensa lo invitò a stare 15 gg da lui a Cuneo. Durante il viaggio da Torino egli ripassa le poste delle campagne, che aveva attraversato la prima volta quando uscì dalle mura della casa materna, i quali risuscitano in lui i ricordi più importanti della sua puerizia. Durante il soggiorno a Cuneo egli scrisse il primo sonetto che era un misto di versi ripresi da Metastasio e Ariosto. Quel sonetto piaceva molto alla donna che lo zio corteggiava; ma quest’ultimo che era un uomo militare non ne voleva sapere di poesia. Fino ai 25 anni d’età Vittorio smise di scrivere testi poetici, represso dallo zio. L’anno dopo egli si occupò di fisica durante le ore del mattino di etica durante le ore della siesta. Infine, lo zio, per premiarlo dei suoi studi, vorrebbe regalargli una spada d’argento ben lavorata che gli venne mostrata da un servo a casa dello zio. Quando la vide, il desiderio di averla cresceva sempre più. Gli fecero intendere che doveva domandarla allo zio, lui non lo fece mai, e mai più gli fu data quella spada (stessa situazione della nonna). 6. Debolezza della mia complessione; infermità continua; ed incapacità di ogni esercizio, e massimamente del ballo, e perché. Quando lo zio viene nominato viceré della Sardegna, Vittorio viene affidato ad un nuovo tutore. Il nuovo tutore permette ad Alfieri una maggiore disponibilità economica. Andrea, il vecchio tutore che utilizzava i suoi soldi, se ne era andato. Racconta gli ultimi anni di studio dedicati al diritto civile e canonico per avviarsi alla professione di avvocato (1762). Il corso dura 4 anni per diventare avvocato. Dopo alcune settimane dall’inizio degli studi ricadde nella sua malattia, si ammala di un problema alla testa e inizia ad indossare una parrucca. Per reagire alle prese in giro sulla sua capigliatura impara che reagire prima di essere attaccati e una delle cose migliori. Decise perciò. Essendo impossibile mettersi al riparo da tutti quei burloni, di togliersi lui stesso la parrucca prima ancora che gli altri gliela togliessero. Inizia a frequentare lezioni di musica e ballo. Frequentò lezioni di geografia impartite da un maestro della valle d’Aosta che insegnava in francese. Vittorio s’innamorò della geografia e la integrò con la storia antica. Utilizzava diversi libri tra cui Gil Blas (Cassandre, Almahilde e les Memories d’un homme de qualitè). Quanto al Cimbalo benché lui avesse una dote naturale per la musica, quella scritta non gli voleva entrare in capo. Egli sostiene che la sua indisponibilità nell’imparare le note vocali fosse dovuta al fatto che le lezioni venivano fatte subito dopo pranzo, nel pomeriggio. Frequenta la scuola di scherma che però non vedeva adatta a lui: non ea abbastanza forte per reggere allo stare in guardia. E lezioni di ballo, impartite da un maestro francese, le abbandonò pochi mesi dopo l’inizio delle lezioni. La sua non propensione per la danza è data dalla nazionalità del maestro che è francese; vittorio ammette di non aver mai sopportato quella nazionalità tanto da scrivere il Misogallo. Vittorio non sopporta i francesi in primis dopo l’incontro con la duchessa di Parma mentre si trovava ad Asti, e poi dopo l’incontro con il suo insegnante di danza. Molto spesso è la prima opinione su una persona che ci impedisce di ragionare lucidamente e razionalmente anche quando si incontrano persone diverse e provenienti da diversi paesi. 7. Morte dello zio paterno. Liberazione mia prima. Ingresso al primo appartamento dell’Accademia. Lo zio di Alfieri, dopo 10 mesi che si trovava a Cagliari muore, egli era anche il suo tutore economico. Aveva circa 60anni ma aveva una salute molto debole. Ancora prima di partire per la Sardegna lo zio aveva riferito a Vittorio che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui si sarebbero visti. Lo zio viene descritto come un buon comandante, era un uomo stimabile e coraggioso; il quale aveva militato con distinzione. Vittorio, perciò, a soli quattordici anni diventa padrone delle sue ricchezze ma con la supervisione di un curatore patrimoniale. Essendo così giovane e disponendo di così grande fortuna Alfieri si dedica all'ozio. Egli è convinto di non voler più studiare per diventare avvocato e viene trasferito nel Primo Appartamento (entra l’8 maggio 1763), ovvero la parte dell'Accademia dove vi sono soprattutto ragazzi francesi e inglesi che si dedicano solo minimamente allo studio. Chiede inoltre di poter essere indirizzato alla Cavallerizza ed imparare anche andare a cavallo; trascorre così molte delle giornate con alcuni compagni tra cavalcate e altre attività poco formative. Racconta di spendere moltissimo denaro in abbigliamento e altre spese, ma di averne nel contempo tratto giovamento a livello di sviluppo fisico, in quanto finalmente riesce a crescere in statura e a riconquistare i capelli. Nel frattempo, ha perso anche l'infido servitore Andrea; tuttavia, Vittorio ha un buon ricordo, soprattutto perché l'uomo obbediva subito ai suoi ordini. Nonostante tutto Vittorio rimase vicino ad Andrea e continuò ad andare a trovarlo anche dopo che aveva trovato un altro padrone. 8. Ozio totale. Contrarietà incontrate e fortemente sopportate. Al primo piano egli aveva circa 15anni, era il più giovane di tutti. Vittorio dice che nessuno si faceva i fatti suoi se non un cameriere che lo serviva e seguiva in ogni suo passo. Se pur egli non fosse molto sveglio e per questo Vittorio faceva quasi sempre ciò che volevo, dopo un po' si stancò di essere diverso dagli altri ragazzi che abitavano al primo piano e decise di uscire da solo dall’Accademia. La prima volta fu sgridato dal governatore ma la seconda volta venne arrestato. Dopo pochi giorni, venne liberato e scappò ancora. E così via fino a quando il governatore decise di arrestarlo per tre mesi o più. Vittorio gli disse che se stava nel primo appartamento doveva avere le libertà concesse a tutti gli altri ragazzi; se così non fosse stato avrebbe fatto meglio a rimetterlo nel secondo appartamento. I mesi di arresto proseguivano. Vittorio non mangiava, se non cose fatte da lui, e non voleva vedere né parlare con nessuno. Stava lì ore intere senza farsi scappare una sola lacrima. 9. Matrimonio della sorella. Reintegrazione del mio onore. Primo cavallo. Da quella vita così burbera ci uscì quando la sorella si sposò con conte Giacinto di Cumiana. Il 1° maggio 1764 la sorella si prosò nella tenuta di Cumiana a dieci miglia da Torino. Qui grazie anche a suo cognato, Vittorio rinasce. La descrive come un posto dove un condannato, che ha passato l’inverno in duro carcere, può finalmente rallegrarsi. Dopo il matrimonio egli venne riammesso al Primo Appartamento e acquisto finalmente la libertà economica dalla legalità. Appena ebbe disponibilità di soldi comprò molti cavalli prima da sella, poi da carrozza fino ad arrivare ad averne Teneva più ai cavalli che a sé stesso, ma sapeva gestirli al momento in cui doveva cavalcarli. Tornato in accademia iniziò a spendere i soldi in vestiti e altri lussi che però usava solamente nei pranzi dell’Accademia. Infatti, tornato a Torino, iniziò ad uscire con un gruppo di ragazzi di Torino che si erano di buona famiglia, ma avevano pochi quattrini. Vittorio si fece fare una carrozza che in realtà non usò quasi mai perché non voleva mettere in imbarazzo i suoi amici che non ne avevano. Egli condivideva con loro i suoi cavalli da sella nonostante quasi tutti ne possedevano almeno uno. Vittorio preferiva uscire con gli altri piuttosto che stare con i ricchi forestieri dell’Accademia. La sua gioventù fu bollente, oziosa, ineducata e sfrenata ma allo stesso tempo ha dimostrato una naturale indole di giustizia, eguaglianza e generosità d’animo. 10. Primo amoruccio. Primo viaggetto. Ingresso nelle truppe. Alfieri va in vacanza un mese con la famiglia di due fratelli, suoi amici dove si innamora della cognata di quei suoi amici, moglie del fratello maggiore. Lei era bruna e sembrava avere tantissima forza. Riprende il Petrarca per descrivere le mille emozioni che provava al solo nominare il nome della donna amata. Lui la vedeva in ogni via della città anche dove ella non c’era. Pensava a cosa dirle nel caso in cui se la fosse trovate davanti (cosa poco probabile perché era molto controllata dai suoceri). Questo amore rimase un sogno di Vittorio ma non diventò mai realtà. Viene indirizzato al preparamento militare, cui è destinato in quanto figlio primogenito di una famiglia aristocratica, però, non fa per lui; decide perciò di intraprendere un primo viaggio a Roma e Napoli. All’età di 17anni il viaggio più lungo che aveva fatto era stato fino a Genova pochi mesi prima. Per questo, per poter partire deve riuscire a ingannare suo cognato, il marito della sorella, presso la quale vive. Intraprende perciò il viaggio con tre amici dell'Accademia, un inglese, un belga e un olandese. Si servì del cognato per ottenere dal re la licenza di partire sotto la condotta di ‘ aio inglese’. Con la partenza verso questo viaggio si conclude la sezione dedicata all'adolescenza, che Alfieri riconosce come totalmente inutile in quanto dedicato in maggioranza all' ozio e all'ignoranza. Epoca terza: GIOVINEZZA. Abbraccia circa 10 anni di viaggi, e dissolutezze. 1. Primo viaggio. Milano, Firenze, Roma. La mattina del 4 ottobre del 1766, Alfieri parte per quel suo sospirato viaggio. Erano in quattro persone, due servitori ed il cameriere di Alfieri, Francesco Elia, che era già stato cameriere dello zio di Alfieri. La prima tappa del viaggio fu Milano, per circa 15 giorni. Alfieri afferma di aver visitato la città come un vandalo, poco interessato alle bellezza della città. In pochi giorni giunsero a Bologna, e successivamente a Firenze; questa fu la prima città che piacque ad Alfieri. Visitarono i maggior luoghi d’interesse ma Alfieri non ne fu veramente interessato, anzi li visitava con nausea. La tomba di Michelangelo fu l’unica cosa che gli ha dato delle riflessioni da fare. Durante il suo soggiorno a Firenze, Alfieri impara l’inglese da un maestro. In seguito visitarono Lucca, Prato e Pistoia per un solo giorno, arrivando poi a Livorno. Successivamente partirono per Siena e poi per Roma. Roma non colpì particolarmente Alfieri al momento, ma la meraviglia di quella città nacque anni dopo. 2. Continuazione dei viaggi, liberatomi anche dell’aio. Alfieri ed i suoi compagni di viaggio arrivano a Napoli sotto Natale, e son costretti a dormire in una bettola in quanto tutti gli altri alloggi sono pieni di forestieri. Alfieri è malinconico ed il suo unico piacere era la musica del Teatro. Alfieri durante il soggiorno a Napoli chiede al ministro di Sardegna di farsi ottenere dalla corte di Torino la permissione di lasciare il suo educatore e di continuare il viaggio da solo, perché la dipendenza dal suo aio lo urtava. Concessa la permissione, Alfieri partì solo per Roma. 3. Proseguimento dei viaggi. Prima mia avarizia Alfieri chiede la permissione per fare un altro viaggio da solo, questa volta voleva vedere la Francia, l’Inghilterra e l’Olanda: anche questa permissione gli riuscì. Il curatore di Alfieri, il quale teneva tutti i conti per lui, lo avvisò che per il secondo anno di viaggi gli avrebbe dato solo millecinquecento zecchini. Alfieri così cercò di risparmiare il più possibile, e provò una dolorosa avarizia, soprattutto perché non avrebbe più potuto dare il salario ad Elia. Alfieri partì per Venezia e qui la sua avarizia rimase vinta dalla indole bollente e dalla giovanile insofferenza. Anche a Venezia era insofferente ed annoiato. (anni dopo Alfieri si accorse che questo suo atteggiamento malinconico era dato da un momento particolare durante la primavera). 4. Fine del viaggio in Italia; e mio primo arrivo a Parigi La Francia era una delle regioni che più interessavano ad Alfieri, soprattutto perché era appassionato del teatro francese. Partii per Parigi verso il 10 di agosto. 5. Primo soggiorno in Parigi Alfieri è stato ingannato perché la Francia non è come se l’aspettava: sarebbe immediatamente ripartito. Come prevedibile, anche questa città lo delude profondamente: sia per il sudiciume, sia per il cattivo gusto, sia probabilmente per le eccessive aspettative che Alfieri aveva formato sulla capitale francese. L'unica conoscenza di Alfieri nella città è l'ambasciatore del regno di Sardegna, che però in quel momento non si trova a Parigi; egli trascorre quindi lunghe giornate tra passeggiate, teatro, e donne. Solo una volta tornato l'ambasciatore di reintrodotto nell'alta società parigina, ed in particolare fa la conoscenza di altri ambasciatori e del faraone, gioco d'azzardo in voga all'epoca. Un avvenimento da ricordare è il suo incontro con il re Luigi XV nel giorno di Capodanno. Alfieri nota come il re sia totalmente indifferente a tutti coloro che vede, siano essi piccoli nobili come l'autore o personaggi davvero importanti. 6. Viaggio in Inghilterra e in Olanda. Primo intoppo amoroso
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