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Riassunto del libro World History, le nuove rotte della storia. di Laura Fiore e Marco Meriggi, Schemi e mappe concettuali di Storia

Questo saggio ricostruisce la genesi e l'evoluzione di questa prospettiva di analisi e mostra come, pur mantenendo una certa linea di continuità con i motivi ispiratori della vecchia storia universale, essa se ne differenzi in molti aspetti determinanti.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2016/2017

Caricato il 28/12/2017

Scud13
Scud13 🇮🇹

4.5

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Scarica Riassunto del libro World History, le nuove rotte della storia. di Laura Fiore e Marco Meriggi e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia solo su Docsity! World History. 
 Le nuove rotte della storia PREMESSA Il 1492 segna l'inizio di quella che la nostra tradizione storiografica definisce era moderna e che interpreta per lo più come epoca dell'ascesa dell'occidente o del miracolo europeo. Tuttavia il pianeta è rimasto a lungo non solo sostanzialmente policentrico, ma anche sog- getto all'impatto di intensi flussi di scambio materiale e di ibridazione culturale. Quella di matrice occidentale fu, in altre parole, solo una delle modernità del globo, non la solo e forse non la prevalente. In accordo con ciò, oggi nuove correnti interpretative, simulta- neamente all'opera nei vari continenti, hanno cercato di restituire alla narrazione storica quella polifonia di accenti e scenari che la tradizione occidentale ha in genere sminuito, nel presupposto di ricavarne una dimostrazione della superiorità occidentale. Si parlerà sia di eventi che di interpretazioni, sia di storia che di storiografia. CAPITOLO I La volontà di scrivere una storia che racconti le vicende dell’umanità attraverso coordinate spazio-temporali il più estese possibile, si riscontra fin dall’antichità. Erodoto, lontano dal- l’ottica greco-centrica del contemporaneo Tucidide, riservò spazio alle vicende dei barba- ri, dotando il proprio lavoro di un’ampiezza di scala, di un’attitudine cosmopolita, presso- ché assenti in Europa fino all’età di Voltaire. Stessa cosa fecero gli iniziatori della tradizione storico dinastica cinese, che descrivendo principalmente la storia della dinastia Han, in- clusero anche le vicende riguardanti i popoli nomadi dell’asia centrale con cui i cinesi vennero in contatto. Sempre all’epoca antica risale la rivoluzione della Storiografia cristia- na, che introdusse nell’Impero Romano una nuova concezione della storia (sviluppo linea- re dotato di un unico inizio, la Creazione, un evento centrale, ossia la vicenda mondana di Dio incarnatosi in Cristo, e un fine ultimo, ossia la Parusia, seconda venuta di Gesù sulla terra). La Storiografia medioevale, forniva interpretazione del passato secondo una visione giudaico cristiana scandita dal tempo lineare, le cronache si aprivano con una ripresa del- la storia biblica e ne perpetuavano anche la vocazione universalistica. Il respiro ecumeni- co della storia fu perpetrato anche dalla storiografia mussulmana medievale, in base al- l’eccezionale espansione territoriale della summa, cioè la comunità dei credenti. La storia universale cristiana dopo il ‘500 fu costretta a confrontarsi con diversi eventi che ne mina- rono le basi: in primo luogo la scoperta del nuovo mondo, che poneva in crisi la storia uni- versale tradizionale, e in secondo luogo la sezione biblica delle storie universali progressi- vamente ridimensionata nelle cronache- tardo medioevali, era scomparsa nel lavoro degli umanisti. Tra il XVI e il XVII secolo mentre si faceva strada l’idea di un sistema secolare (laico) attraverso cui leggere il passato occidentale suddiviso nelle tre fasi: antica, me- dioevale, moderna, apparvero i primi tentativi di ricerca di un’unità della storia che pre- scindesse dalla genesi. Il più interessante fu Jean Bodin, che individuò forze unificatrici nella vicenda umana in una dimensione mondana e non sacra all’interno delle crescenti interconnessioni frutto dei rapporti commerciali tra le differenti parti del mondo. Tuttavia il genere della storia universale tradizionale sopravvisse cercando di riappropriarsi in una forma aggiornata. Voltaire, legato al movimento culturale dell’illuminismo di cui fu uno degli animatori e degli esponenti principali, fu il maggior ispiratore della scuola laica illuminata, nella sua opera Essai sur les moeurs et l’esprit des nation (Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni,1756) mise appunto un modello innovativo di storia universale in aperto con- di 1 14 trasto con la storia clericale provvidenzialistica e al tempo stesso con la narrativa degli storici di corte La sua opera di respiro universale trova espressione sia nel largo spazio accordato alla altre civiltà (cinese, indiana e islamica o nel racconto della storia da Carlo Magno (742-814) a Luigi XIII (1601-1643), che, e soprattutto, nell’assunto alla base della concezione illuministica della storia. Le filosofie illuministe avevano dei limiti: conservarono l’impianto teologico, tradotto in termini secolari nonostante rifiutassero l’idea di un’intrinse- ca superiorità occidentale, mostravano la propria incapacità di apprezzare le differenze culturali e di concepirle in termini diversi da scarto dalla norma o arretratezza. Nonostante ciò la filosofia illuminista ebbe il merito di ampliare gli orizzonti della storia, infondendole una connotazione cosmopolita, utilizzando la ricchezza delle fonti disponibili all’epoca. Un gruppo d’intellettuali dell’università di Göttingen si fecero promotori di un nuovo genere di storia universale, incline a privilegiare gli aspetti culturali, antropologici e sociali del di- venire storico a scapito di quelli puramente diplomatici e militari, caratterizzato dunque da un notevole interesse nei confronti di popoli e culture extraeuropee. Questo gruppo però, non condivideva la concezione dei philosophes della storia intesa come la progressiva ascesa della razionalità umana. Questa concezione emerse ancora di più nello storicismo delle origini, in particolare nella categoria di individualità storica, messa appunto da Her- der. Johann Gottfried Herder (Mohrungen 1744-Weimar 1803 filosofo, teologo e letterato tedesco) pur sottoscrivendo l’idea illuminista di matrice francese di una natura umana uni- ca e universale, concepiva questa come multiforme e dinamica, ammettendo quindi la possibilità di differenti tipi, tutti ugualmente degni. Riconobbe pari dignità a tutti i sistemi di valore e a tutte le epoche storiche, in un reale apprezzamento della diversità culturale. La filosofia della storia universale di Hegel può essere considerata esemplificativa in tal sen- so, in quanto identificava il fine ultimo della storia il conseguimento della libertà dello spiri- to costruendo un paradigma evolutivo della civiltà umana con al centro la civiltà cristiano- germanica e per estensione quella europea occidentale. Corollario di questa interpreta- zione del divenire storico fu la tendenza a partire dal secondo quarto dell’Ottocento, ad espellere dai territori della storiografia occidentale i popoli non europei, che venivano fatti oggetto di banali generalizzazioni in luogo di analisi approfondite e semplicisticamente liquidati come “stagnanti” o “senza storia”. Nel primo Novecento alcuni storici e soprattutto filosofi della storia, si fecero portavoce delle nuove richieste di analisi di popoli e culture extraeuropei. Entrano in crisi le entusiastiche certezze che avevano dominato l’Europa del lungo ottocento. Il contributo di questi filosofi della storia nella prima metà del ‘900 allo svi- luppo della World History va individuato nella loro tendenza a trascendere la cornice con- cettuale dello stato nazione e ad elaborare un concetto di società complessa su larga sca- la e di istituirla come categoria adeguata per l’analisi storica globale. Oswald Spengler (1880-1936 filosofo, storico, scrittore tedesco) scrisse, tra il 1918 e il 1922 scrisse “ Il Tra- monto dell’Occidente” (Der Untergang des Abendlandes) polemizzò apertamente con lo schema eurocentrico e unilaterale della storia universale tradizionale; a lui va il merito di essere stato tra i primi a sancire il passaggio da una storia della “Civiltà”, declinata al sin- golare dalle filosofie della storia sette-ottocentesche, a una storia plurale di molteplici civil- tà. Queste ultime erano immaginate come autonome e indipendenti (non c’era un dialogo tra culture diverse). Arnold Joseph Toynbee (Londra 1889 – York 1975 Storico inglese) ap- partenne alla corrente britannica dello storicismo diffusasi nella seconda metà dell’800 e che vide in lui uno dei suoi massimi esponenti; autore di “A Study of History,” una storia universale di dodici volumi, riconosciuto come uno dei padri spirituali dell’odierna World di 2 14 diale) è quello di un mondo all’epoca della rivoluzione industriale, policentrico sul piano dello sviluppo economico. MA COSA È SUCCESSO ALLORA NEL XIX SECOLO? Perché, come ha detto Gunder Frank, L’OCCIDENTE HA VINTO? SEPPUR TEMPORANEAMENTE? Frank nel suo ReO- rient, sostenendo la tesi del primato delle economie asiatiche in una dimensione globale fino al 1800, ha risposto che in realtà una serie di crisi fortuite alla base del declino dei paesi extra-europei anticipò e contribuì a far risaltare l’ascesa dell’Occidente. Una risposta può essere quella dell’IBRIDAZIONE ESPERIENZA STORICA, realizzatasi at- traverso un: TRASFERIMENTO DI CONOSCENZE TECNOLOGICHE. Ciò va inteso come processo dialettico in cui le innovazioni tecnologiche non vengono recepite passivamente ma adottate, rielaborate, potenziate sulla base delle strutture politiche e socio-economiche peculiari di ciascuna società della compatibilità con i diversi sistemi culturali e con le va- rie condizioni ambientali. Numerosi contributi hanno evidenziato la profonda interconnes- sione tra i livelli tecnologici conseguiti dall’Occidente e il patrimonio di conoscenza Asiati- ca. METICCIATO. La creazione di forme ibride frutto della mescolanza di idee e tradizioni di- verse rappresenta il prodotto più interessante degli incontri trans-culturali. Questa è una prospettiva che guarda gli incontri interculturali in alternativa alla retorica dell’alterità e del- l’incompatibilità culturale. Bently ha evidenziato come le dinamiche del conflitto, negozia- zione e compromesso messe in moto dagli incontri culturali non si realizzano mai come mere riproduzioni culturali, ma prodotti ibridi dell’interazione tra diverse culture. Un’altra categoria è quella di métissage, che domina il più recente studio di Serge Gruzin- ski secondo procedimenti delle monarchie cattoliche il 1580 e il 1640 costituiscono un ec- cellente osservatorio delle interazioni che cominciano a svilupparsi tra le quattro parti del mondo, sotto un'unica sovranità, analizza il processo di mondializzazione iberica. Fautore delle Historie connectée, si propone untentativo di storia globale immune da tentazioni di carattere totalizzante. Numerosi studi hanno privilegiato la prospettiva transatlantica per lo studio dello scambio culturalee degli scambi commerciali che vede l’Atlantico come spazio transitorio e circola- zione di beni, persone, idee e culture: contatti culturali condotta in una dimensione atlanti- ca. Dimensione della dialettica e dell’ibridazione che attribuisce particolare rilievo alle inte- razioni creative e adattive tra Europei – Africani – Indiani nel contesto emergente del “mondo Atlantico”. Il MONDO ATLANTICO dei XVII e XVIII secolo è segnato dal radica- mento degli Europei e dalla massiccia presenza di schiavi africani, si contraddistingue per nuovi modelli culturali. Un ruolo centrale è dato al concetto di CREOLIZZAZIONE (in parti- colare di creolo atlantico), discenti di Europei o Africani nati sul suolo del nuovo continen- te. Ira Berlin l’ha chiamato CULTURAL BROKEN ! individuo poliglotta in grado di muover- si agilmente in contesti culturali diversi e per questo con funzione di mediazione nei mo- menti di conflitto tra individui di differenti culture di appartenenza. entangled history : L’i- dea di contaminazione è stata tematizzata in modo più radicale dall’entangled history tesa a valorizzare nell’ambito dell’espressione storica atlantica la dimensione delle concorrenti aspirazioni, nonché delle dominazioni, imperiali Europee configuratesi in termini di entan- gle empires , ovvero imperi aggrovigliati caratterizzati da interconnessione da giungere a costruire un unico sistema o comunità emisferiche. La prospettiva trans-nazionale della world history si rivela funzionale ad un’analisi incentra- ta sui fenomeni migratori in quanto consente di seguire le persone che si spostano all’in- di 5 14 terno di una spazialità non convenzionale identificabile con lo spazio stesso del movimen- to, costruito modellato dall’esperienza stessa dei migranti. Liberandosi dall’analisi dei limiti indotti dal focus esclusivo sull’impatto dei movimenti migratori sul luogo d’origine e o su quello di destinazione, privilegiando il concetto di “rete” al fine di recuperare le interazioni tra i diversi spazi e le varie dimensioni dell’esperienza storica implicate nei fenomeni mi- gratori e diasporici. Campo di analisi relativo al movimento delle persone è stato preco- cemente esplorato nell’ambito della world history ad opera di uno dei suoi fondatori Philip Curtin (1922-2009) che rilanciò il dibattito sul numero effettivo degli africani che attraversa- rono in catene l’Atlantico, tra il XVI e il XIX, (1969 The tratta atlantica degli schiavi) sottoli- neò la funzione svolta dal commercio transatlantico di schiavi in relazione al processo di integrazione del nuovo mondo e oceanico. The Black Atlantic è un’articolata e complessa riflessione di Paul Gillory sul dibattuto tema dell’identità nera. Il suo obiettivo principale è quello di delineare i contorni storici di una cultura nera transatlantica e delocalizzata pro- dotta e riprodotta dalla circolazione intercontinentale di migranti, merci, idee, immagini e oggetti artistici iniziata con la schiavitù. Una (contro)cultura diasporica intesa come forma transnazionale di creatività e quindi irriducibile alle singole fonti – Africa, Americhe, Carai- bi, Europa – da cui trae origine. L world history non manca di ricostruire i movimenti di chi si è spostato dal luogo d’origine, non in un contesto schiavistico. Le diaspore commerciali ovvero Comunità di mercanti or- ganizzati su base famigliare, etnica o religiosa per sostenere gli scambi sulla lunga distan- za. Sono costituiti da reti commerciali su base fiduciaria. Che si trattasse di mercanti dis- seminati tra l’Impero Ottomano, l’India e l’Iran, a caratterizzare queste comunità commer- ciali, era la capacità dei loro membri di muoversi agevolmente tra almeno due culture data la funzione di intermediazione culturale che essi erano chiamati a svolgere. La world histo- ry è interessata al tema delle migrazioni perché esso fa emergere l’interazione tra il livello locale e quello globale consentendo l’analisi dei processi di integrazione dei migranti al- l’interno della società di approdo a loro volta modificate dal loro arrivo e dall’impatto del loro ritorno ai luoghi d’origine, e al tempo stesso di cogliere le dinamiche di portata globa- le messe in moto dal movimento delle persone nello spazio. “Cross comunity migration” attribuendo alla mobilità che oltrepassa confini di uno spazio culturale un potenziale inno- vativo. Oggi lo studio della globalizzazione la colloca come un processo dinamico caratterizzato da una serie di fasi e da vari livelli di interconnessione globale, dominate da diversi prota- gonisti in cui anche nel periodo segnato dall’egemonia Europea, altri soggetti continuaro- no a svolgere una funzione che non può essere ridotta a quella della passiva ricezione di modelli e pratiche occidentali, al contrario si connota di tratti di spiccata autonomia: essi vanno individuati sia in tentativi di inserimento all’interno delle nuove logiche dominanti sia nella rielaborazione di paradigmi caratteristici della globalizzazione e leadership europea. La dimensione liminare tra globale e locale è quella più appropriata ad una storia della globalizzazione. Altra prospettiva della World History è la relazione tra storia umana e storia naturale. Que- sta relazione rappresenta l’oggetto di analisi privilegiato della environmental history e della big history che, costituiscono due prospettive di ricerca con lo stesso focus tematico. ….. Environmental history si definisce come analisi dell’interrelazione tra mondo umano e mondo naturale, in una prospettiva in cui la natura, intesa come physis, perde il ruolo pas- sivo di mero contesto del divenire storico per assurgere a quello di soggetto di una rela- di 6 14 zione dinamica con la comunità umana. C’è una forte consapevolezza dell’impossibilità di analizzare le vicende storiche dell’essere umano come qualche cosa di indipendente e separato dall’ambiente fisico. Questa Dialoga con altre discipline ! genetica, biologia molecolare, geologia, archeologia, paleontologia ecc,. Il processo di istituzionalizzazione della environmental history fu avviato sul suolo statuni- tense con la fondazione nel 1976 della American Society for Environmental History e della relativa rivista “Environment Review . Pioniere della environmental history fu Alfred Crosby che lesse l’incontro tra il Vecchio e il Nuovo Mondo in termini di movimento bidirezionale di specie vegetali e animali, nonché di malattie. Una prima direzione è quella intrapresa da Jared Mason Diamond (1937 – biologo e fisiologo statunitense): Determinismo ambientale: interpretazione di matrice geografica e biologica dei motivi alla base della supremazia oc- cidentale a livello planetario. Enric Jones invece si confronta con l’interrogativo chiave sul- le origini dello straordinario “sorpasso” europeo in età moderna su un’Asia che appariva per molti versi ad un livello più progredito di sviluppo economico e tecnologico, riconosce che la struttura topografica del continente europeo ha favorito la nascita di una pluralità di stati –nazione, per un altro con la sua peculiare e complementare distribuzione di risor- se, ha assicurato lo sviluppo di un commercio su lunga distanza di beni di uso comune. Egli individua un altro fattore per comprendere il diverso destino dell’Europa e delle grandi società asiatiche dalla prima età moderna (Cina dei Ming e dei Manciù, l’India moghul e il Medio Oriente dell’Impero ottomano, nelle differenti forme di governo da cui esse erano rette. Una seconda direzione della Environmental History pone Al centro dei suoi interessi i cambiamenti indotti dall’azione umana sull’ambiente naturale e il modo in cui gli effetti di tali mutamenti si ripercuotono sulle stesse società umane. Altra strada della seconda dire- zione è la storia evoluzionistica centralità riconosciuta al “ruolo dell’evoluzione nella storia umana”. È una visione dinamica degli esseri umani, della natura e della loro evoluzione, rifiuta la dicotomia tra una natura “eterna” e una società storica, la storia evoluzionistica indaga i processi che coinvolgono simultaneamente gli esseri umani e organismi naturali. Ultimo campo d’indagine in cui si è sviluppato il rapporto tra l’uomo e la natura concerne la storia del pensiero umano in relazione all’ambiente, la storia delle politiche ambientali. Da ricordare il carattere politico inerente problematiche di natura ambientale poiché, data la centralità delle risorse naturali in ambito economico, il confronto sulle questioni ecologi- che sottende molto spesso un conflitto tra interessi in gioco. La Big history: si configura come una storia totale dell’esistenza umana a partire dalle ori- gini dell’universo, laddove il rapporto tra l’uomo e l’ambiente naturale in una prospettiva storica viene declinato in maniera diversa rispetto alla environmental history, o storia am- bientale. David Christian sollecitava nel 1991 i world historians a compiere una scelta ra- dicale a livello temporale riconoscendo la scala cronologica adeguata allo studio della sto- ria nel Tempo considerato nella sua totalità, dalla nascita dell’universo a oggi, ovvero lun- go una pluralità di scale temporali. A differenza della environmental history, la big history dilata il tempo storico fino al massimo consentito e, soprattutto, si ammanta di una pretesa olistica estranea alla storia ambientale. Big ed environmental history sollecitano dunque un notevole ampliamento della prospettiva storica che muove verso la direzione di un tentati- vo di superamento di una visione eurocentrica della storia. La definizione di spazi regiona- li, da un tipo di spazialità nuova e non convenzionale, che oltrepassa i confini delle tradi- zionali costruzioni geopolitiche. Inoltre l’idea di rapportarsi all’uomo come entità biologica di 7 14 Francis Bacon: le tre stelle della scienza moderna sono la stampa, la polvere da sparo e il magnete, tutte invenzioni cinesi. 1492 ➢ Data che nei nostri manuali divide il Medioevo (nostro) dall’età moderna. sensazione che la modernità sia una virtù solo europea (occidentale), che da quella data in poi la storia sia segnata da un racconto binario tra l’ascesa del West e il declino del Rest. ➢ Lo sviluppo capitalistico conosciuto dall’Europa durante l’età moderna è stato reso possibile dalla contestuale espropriazione delle ricchezze dal resto del mondo. Waller- stein-Amin Teoria dipendentista: vede nello sviluppo europeo la causa principale del sottosviluppo degli altri continenti. Contrapposizione Rise of West, Fall of the Rest, dinamismo europeo VS staticità delle società di altri continenti. ➢ Il grande dinamismo europeo dell’età moderna non derivò da forze che operavano nel profondo della cultura e della politica occidentale, ma dalla necessità di inseguire og- getti del desiderio: spezie e prodotti di lusso orientali, desiderati dall’élite occidentale. Il potere delle economie occidentali con la scoperta del Nuovo Mondo si accrebbe: India e Cina ne trassero profitto e ricchezza; ipotesi che la Cina avesse una vera e propria cen- tralità, alternativa a quella europea, nelle dinamiche dell’economia-mondo dell’età moder- na. Pomeranz e la “grande divergenza” Kenneth Pomeranz (storico statunitense, esperto di Cina 1958) scrive un saggio la cui tesi di fondo è che sotto il profilo delle coordinate economiche fondamentali (densità di popo- lazione, agricoltura intensiva, livelli di consumo, attività protoindustriali, speranza di vita) fino alla metà del 700 non esistevano differenze apprezzabili tra le aree più sviluppate del- l’Asia e il nucleo centrale dello sviluppo economico dell’Europa. Il decollo che ha avuto l’Europa non è riconducibile a fattori “genetici” della tradizione e della civiltà europea.Secondo l’autore i fattori della molla che attivò le dinamiche del capi- talismo industriale sono stati 2: 1. Fatto occasionale: l’agevole disposizione di combustibili fossili in alcune aree della Gran Bretagna 2. Risorse offerte dall’agricoltura intensiva praticata dagli europei nel Nuovo Mondo ”Senza il cotone, lo zucchero e altri prodotti primari del Nuovo Mondo la prima rivoluzione industriale sarebbe stata ecologicamente insostenibile”. Pomeranz pone al centro del suo studio le “scale spaziali regionali”, piuttosto che gli stati o le nazioni: le “regioni più avanzate dell’Europa” (alcune regioni della Gran Bretagna), il “delta dello Yangzi”, le “regioni di Osaka e di Kyoto”, la “pianura Bengalese” ➢ è un approccio rappresentato dalla world e dalla global history. ➢ opportunità di affrontare i problemi storici a partire da una definizione dello spazio che non coincide con lo stato o la nazione. (orientamento definito spatial turn) È erroneo ritenere quindi, secondo l’autore della Grande divergenza, l’idea che quest’ulti- ma non sarebbe che il dispiegarsi delle differenze che si erano andate creando nel corso dei secoli. Questa divergenza ci fu, ma essa fu anche un fatto nuovo e imprevedibile, che va considerato come l’effetto causale transitorio e accidentale. Gruzinski e le “quattro parti del mondo” Serge Gruzinski: nel suo affresco “le quattro parti del mondo” analizza la corono spagnola e i suoi domini nel periodo di unificazione della penisola iberica tra il 1580 e il 1640: di 10 14 si tratta di una storia della mondializzazione, analizzata con uno sguardo che abbraccia simultaneamente parti dell’Europa, dell’Africa, dell’Asia e dell’America e la cui trama è in- tessuta dalla circolazione di merci, uomini e culture. ➢ Il fine è esaminare i modi e i contenuti della circolazione dei flussi umani e culturali e decentrare lo sguardo alle periferie, luogo in cui l’ispanizzazione produce nuove com- binazioni. ➢ Il meticciato è quindi il concetto chiave, un fenomeno che si realizza lontano dalle fron- tiere dell’Europa. Si scopre così che si può essere differenti senza essere barbari e, al tempo stesso, che dal contatto con quel mondo lontano la cultura spagnola ritorna alla base arricchita. ➢ Ne deriva una trasformazione “meticcia” anche degli europei: il sistema imperiale di- venta veicolo di una circolazione pluridirezionale incrociata tra ciascuna delle sue sin- gole parti e ciascuna delle altre. Il riguarda tanto il centro quanto le periferie del siste- ma. Partita come europeizzazione, si finì per ricavare identità composite e complementari, anticipando esperienze che si è soliti attribuire in esclusiva alle odierne modalità della globalizzazione. Se Gruzinski tracci i confini di un perimetro di circolazione di persone e merci all’interno di una stessa sovranità politica, nel saggio di SANJAY SUBRAMANYAM scandisce con uno schema differente il tema della connessione, che per entrambi si configura come elemento qualificante della prospettiva metodologica. Anche in questo cosa lo spazio preso in con- siderazione e trans-continentale, va dal Portogallo all’India, ma le sovranità che vi si eser- citano appartengono a imperi diversi, molto spesso in contrasto o in aperto conflitto. A rappresentare un tratto di connessione è l’utilizzo sincronico da parte di questi imperi di un’ideologia paragonabile al millenarismo di stato, che annuncia l’avvento della monarchia universale di un’istituzione capace di ridurre ad una le sovranità multiple che si esercitano su quegli spazi sterminati. La conclusione a cui arriva l’autore, è che se una caratteristica cui giunge il mondo dopo il 1942 è l’intensificazione delle connessioni culturali tra le sue varie parti, raggiunta attraverso non solo l’avanzamento tecnologico della navigazione ma anche da una visione del mondo imbarazzatamente medievale. La leggerezza istituzionale degli imperi antichi Tra la fine del 700 e prima metà del 900 epoca in cui si è assistito alla “statalizzazione” degli imperi fluidi e all’estensione di quelli di matrice europea fino alla prima guerra mon- diale. ➢ Svolta di fine 700: grande divergenza tra Nord e Sud del mondo. Edward Said (1935-2003): “orientalizzare” le civiltà extraeuropee significa svalutarle e consegnarle alla dimensione della stagnazione e del passato, equiparando il modello oc- cidentale di modernità (capitalismo industriale, scienza e tecnologia, secolarizzazione, ra- zionalità burocratica e secolare, liberalismo politica (in casa) e supremazia militare con esercizio coercitivo del potere (fuori casa) a canone esclusivo dell’idea di progresso. ➢ Le filosofie della storia dell’800 enfatizzavano l’idea di progresso e ne identificavano l’Europa come unico testimone. ➢ Hegel: fine ultimo della storia è il conseguimento della libertà dello spirito, l’Occidente ha raggiunto lo stadio ultimo del processo di realizzazione dell’ideale del genere uma- no. di 11 14 ➢ Weber riteneva che solo in Occidente si fossero dati i presupposti di ordine culturale per l’affermazione del modello di razionalità e del progresso il resto del mondo è rimasto ad uno stadio “infantile” “missione civilizzatrice/colonizzatrice” dell’uomo bianco, considerando il presente che veniva percepito come il naturale punto di approdo nel percorso della storia europea. In realtà questo è un quadro a forte connotazione ideologica: ➢ K. Pomeranz: Weber e Marx non avevano un’adeguata conoscenza delle società ex- traeuropee. In realtà ci sono varie categorie oltre alle vecchie contrapposizioni tra “libertà” e “dispoti- smo orientale”. ➢ C. Bayly e J. Osterhammel (studiosi rispettivamente dell’India e della Cina) hanno come idea centrale quella di dinamismo, differenziazione, movimento. Il mondo è inteso come macroregione, a denso tasso di intreccio e di collegamento tra le sue parti. ➢ Già durante l’800 emigrazioni e diaspore mostrarono che i confini degli stati nazione fossero permeabili e che non vi fosse unità etnolinguistica e culturale. ➢ Nel 900 queste tendenze si sono accentuate. ➢ Oggi il locale convive con il globale, la compattezza della nazione è messa alla prova dalla multiculturalità indotta dalle diaspore, vengono riconsiderate nuove religioni e fi- losofie orientali come adatte ai valori dell’economia moderna. Tutto ciò provoca la crisi degli orientamenti culturali che hanno guidato l’Europa (e l’Occi- dente) fino ad ora. CAPITOLO IV- Incontri, ambivalenze, conflitti. Le storie ribelli Storie ribelli Il pensiero moderno ha sfiducia nella storia, mentre privilegia il frammento, la dimensione micro, la non linearità, la decentralizzazione, le prospettive multiple. Subaltern Studies: la rivista indiana in cui alcuni studiosi hanno proposto di non accettare l’idea di tempo lineare e continuo caratteristica della narrazione storica occidentale, in cui il passato è inteso come diffusione del progresso dal West al Rest. > valorizzare i temi come i vuoti, le discontinuità, la natura ritmica del tempo. La storia come la conosciamo è solo UNA delle possibili modalità di attivare un confronto con il passato Area Studies rispondono all’esigenza di diffondere le conoscenze storiche delle culture non occidentali. Caratteristiche: - Focus su spazi non occidentali. - Prospettiva sovranazionale. - Enfasi sull’agency extraeuropea. - Centralità riservata al metodo comparativo e all’approccio interdisciplinare, caratteriz- zato da un orientamento antropologico. Resistenza a collaborare con la World Hisotry: ➢ Potrebbe costituire una minaccia all’autonomia dello spazio accademico faticosamen- te conquistato dagli studiosi di aree non occidentali. (già accusati, dopo l’11 settem- bre, di tradimento e antipatriottismo dal governo degli USA). di 12 14
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