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riassunto del manuale di letteratura italiana dalle Origini al Cinquecento, Appunti di Letteratura Italiana

riassunto del contesto storico, degli autori e delle opere del manuale di letteratura italiana dalle Origini fino alla prima metà del Cinquecento

Tipologia: Appunti

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Scarica riassunto del manuale di letteratura italiana dalle Origini al Cinquecento e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! IL MEDIOEVO:CONTESTO STORICO-POLITICO.CULTURALE • 476 d.C-1492/1453 (alto medioevo V-X secolo-basso medioevo X-VI) • età di mezzo (nome coniato dagli umanisti) • curtis, società feudale, vassalli, società suddivisa in bellatores, oratores e laboratores • sacro romano impero, feudalesimo • aumento demografico-->nascita comuni, società borghese e mercantile, figura del podestà 1. CHIESA • donazione di Costantino (base giuridica per il potere temporale della chiesa) • lotta per le investiture-->si conclude con il concordato di worms 1122 • impulsi riformatori, eresie, nascita ordine DOMENICANO E FRANCESCANO • Bonifacio VIII (istituzione giubielo, 1300, dante alighieri lo colloca nell'inferno). 2. MENTALITA' MEDIEVALE • ordine del mondo voluto da Dio, disegno provvidenziale, cultura medievale enciclopedica • mentalità dogmatica, atteggiamenti ascetici ( povertà, castità, rifiuto dei piaceri) • millenarismo( movimento e credenza dell'avvento di Gesù sulla terra prima del giudizio universale) • simbolismo=la natura è uguale ad un libro sterminato, in cui leggere simboli da decifrare (es. tommaso d'aquino, bonaventura da bagnoregio, san girolamo, sant'Agostino) • il patrimonio dell'umanità viene rielaborato e reinterpretato secondo insegnamenti morali e validi (processo di cristianizzazione dei poeti antichi tra cui virgilio) • scrittura è definita polisemica-->ovvero piena di significati diversi:letterale, allegorico, morale,anagogico (interpretazione che vuole scoprire nella lettera il significato spirituale) 3. CULTURA • chiesa=sviluppo di scuole parrocchiali, vescovili, monastiche, biblioteche ricche di volumi e scriptoria • sette arti “liberali”: trivio ( grammatica, retorica, dialettica) e quadrivio ( aritmetica, geometria, musica e astronomia) in contrapposizione alle arti meccaniche (finalizzate a scopo pratico) • Rinascita CAROLINGIA=carlo magno, schola palatina ad Aquisgrana con alcuino di York, progetto di riorganizzazione culturale • NASCITA delle UNIVERSITA'= scuole laiche di tipo giuridico e medico ( Bologna, Padova e Salerno), centro di studi e aggregazione di maestri e studenti -->si forma il CETO INTELLETTUALE MEDIO 4. VALORI NUOVI • civiltà cortese-cavalleresca= coraggio, forza, lealtà, nobiltà d'animo e senso dell'amore • difesa della cristianità=crociate (chanson de geste-->lingua d'oil) • generosità, finezza, disinteresse per il denaro, amore per la donna • Servitium amoris per la donna, trovatori-->nuovo concetto di amore in lingua d'oc • INSERIRE ANDREA DA CAPPELLANO E BONSEVINNNN 5. LINGUE • Nascita lingue romanze=bilinguismo, uso dei volgari • giuramento di Strasburgo (lingua francese e tedesca) e placito di Capua • nascita tarda della letteratura in italia determinata da: difficile convivenza del latino con i dialetti, frammentazione e particolarismo politico; essa nasce intorno al 200' con i ritmi benedettini, il volgare umbro e la poesia siciliana. LETTERATURA CORTESE-CAVALLERESCA • Scomparsa del latino classico-->nascita delle LINGUE ROMANZE (lingua scritta vs parlata) • nascita dei VOLGARI =esigenze pratiche, diventate poi utilizzate per elaborazioni artistiche • fioritura di nuovi generi= epico, romanzo, lirica LINGUA D'OIL NORD FRANCIA • materia di francia=chansons de geste, carlo magno+paladini vs musulmani, ciclo carolingio, visione centripeta e statitica; componimenti cantati poi rielaborati in forma scritta, Chansons de Roland (battaglia di Roncisvalle 778, dimensione fantastica del racconto, Orlando emblema del valore e della fede per dio e re)-->interesse del pubblico, attualità del tema (crociate e reconquista), autore ignoto, tramandata per via orale. • materia di Bretagna=re Artù e i cavalieri della tavola rotonda, ciclo bretone amore+avventura, visione centrifuga e dinamica. Folklore celtico, fatti Historia Brittaniae, incantesimi di merlino, regina ginevra+re Artù con i cavalieri della tavola rotonda seguono un percorso formativo, cavaliere perfetto amore, nobiltà d'animo e generosità • pubblico di riferimento=raffinato ambiente della corte, forma di intrattenimenti piacevole LINGUA D'OC SUD FRANCIA (trovatori) • amore cortese= De amore di andrea cappellano, fin amor ( amore perfetto), elevazione spirituale del poeta; rapporti feudali, servitium amoris per la domina (devota sottomissione), senhal, amore de lohn, portata sensuale e carnale • tipi di trobar: clus=stile difficile ermetico, virtuosismo retorico, parole rare, struttura complicata, artifici retorici, trobar leu= stile piano, armonioso, accessibile a tutti. • Generi: sirventese ( carattere politico, satirico, trovatore si fa portavoce di un'idea di un signore in una disputa); planh (compianto, lamento funebre), tenso (vicenda politica dibattuta tra due interlocutori), plazer (elenco di desideri e piaceri), enueg ( catalogo di fastidi, alba e pastorella • autori=Guglielmo d'aquitania, Jaufrè rudel, Bernart de ventadorn, Arnaut Daniel-->eredità in italia con sordello bolognese, scuola siciliana, dante. Grazie a varie vicissitudine politiche la poesia provenzale giunge in italia settentrionale, poi presso la corte di Federico ii in Sicilia e raggiunge il suo acme in toscana. CHANSONS DE ROLAND composte intorno al 1100, l'opera è costituita da 4002 versi in decasillabi e tratta un episodio militarmente irrilevante della guerra tra saraceni e franchi, ovvero lo scontro di Roncisvalle 778 al confine tra spagna e francia quando la retroguardia di carlo magno al comdao della quale vi era orlando, viene assalita e annientata. Vi è una distorsione della realtà, i franchi erano convinti di combattere contro il nemico musulmano, in realtà essi si scontrano contro i baschi cristiani che recano loro un'imboscata. Per quanto riguarda l’autore del testo, l’unico riferimento che possediamo si trova nell’ultimo verso del poema, che recita: La gesta scritta qui da Turoldo ha fine. Il nome potrebbe riferirsi a un letterato della scuola episcopale di Reims, ma non sappiamo se si tratti del compositore del poema o di un suo rielaboratore, o ancora del copista o di un esecutore. Inoltre, considerando la distanza cronologica tra l’evento storico e la sua riscritttura letteraria, è da ipotizzare l’esistenza di cantari epici popolari nella storia della trasmissione della vicenda. Tutto ciò è fatto dall'autore per sostenere le aspirazioni aristocratiche tese verso la conquista della Spagna e la cacciata dei musulmani dall'Europa attraverso le crociate. La Chanson de Roland è divisa in tre parti: frequentato l'Università di Napoli fondata da Federico II di Svevia nel 1224, benché non vada trascurato il fatto che era possibile accedere al notariato nella corte federiciana anche senza aver compiuto studi universitari. Emerge comunque dalle rime una preparazione solida nel campo della retorica e delle arti liberali in genere, oltre ai più specifici interessi letterari. G. fu al servizio dell'imperatore svevo in qualità di notaio e scriba. Il servizio più prezioso reso da G. all'imperatore resta comunque la sua produzione poetica, che si iscrive interamente all'interno del progetto federiciano di dar vita a una lirica d'ispirazione laica e in lingua volgare che desse lustro allo Stato e al tempo stesso ne fosse il simbolo riconoscibile. La laicità, segno dell'indipendenza dello Stato dalla Chiesa, si tradusse nella trattazione esclusiva di tematiche d'amore, essendo fuori luogo discussioni politiche in una lirica promossa da un potere assoluto. La scelta del volgare - il siciliano illustre - non fu compiuta solo a scapito del latino, ma anche e soprattutto in opposizione al provenzale dei trovatori, al francese antico dei trovieri e al medioalto tedesco dei Minnesänger, cioè alle lingue della lirica europea contemporanea che pure fornì ai poeti federiciani il modello di riferimento. Benché forse altri "siciliani" abbiano composto rime prima di lui, tradizionalmente G. incarna il punto d'inizio della storia poetica italiana, perché le sue canzoni e i suoi sonetti aprono le sezioni a essi rispettivamente dedicate nel codice Vat. lat. 3793 (Bibl. apost. Vaticana). L'opera di G. è interamente concentrata sul tema amoroso. Emergono in particolare aspetti quali la sofferenza dell'amore non corrisposto, l'incomunicabilità tra amante e amata, lo stato d'animo in genere dell'amante-poeta, la riflessione teorizzante dai toni parafilosofici sulla natura dell'amore. Folti i riscontri puntuali con i trovatori provenzali della fin'amor quali Folchetto da Marsiglia (il più imitato), Aimeric de Péguilhan, Jaufré Rudel. le sue canzoni sono infatti tutte prive della tornada finale e non vi è presenza di alcun senhal. Manca cioè il luogo poetico in cui il trovatore provenzale poteva rivolgersi direttamente alla donna e il nome in codice col quale chiamarla senza denunciare pubblicamente un amore adulterino. La scomparsa nella poesia di G. e dei siciliani in genere di ogni accompagnamento musicale potrebbe essere effetto di questo ritirarsi del poeta in se stesso, oltre che dell'assenza della musica nel curriculum degli studi notarili. Inoltre l'assenza di accompagnamento musicale può inserirsi tra gli elementi di novità della poesia di G. che danno un tratto caratteristico alla lirica della Magna Curia. Federico II, infatti, pur conoscendo la musica, non dette spazio ai trovatori provenzali nella sua corte, preferendo invece promuovere, per ragioni di prestigio, una lirica tipicamente "imperiale", coltivata da funzionari di formazione giuridico-oratoria. il corpus delle liriche di G. si presenta come un discorso di carattere intellettualistico e dai toni più raziocinanti che passionali, in cui si avverte l'ambizione di toccare i più vari luoghi del dominio amoroso per fornire un paradigma del cantare d'amore che abbia in se stesso la propria ragion d'essere: quasi a emblema di quell'orgogliosa autonomia cui Federico II volle improntare la sua politica culturale. SONETTO=Composizione metrica, (dal francese antico sonet «canzone, canzonetta»), di carattere prevalentemente lirico, composta di 14 versi (quasi sempre endecasillabi nella letteratura italiana), distribuiti in 2 quartine e 2 terzine, con rime disposte secondo precisi schemi. Nel suo schema originario il s. si compone di una prima parte costituita da 8 endecasillabi rimati alternativamente ABABABAB e di una seconda parte costituita da 6 endecasillabi rimati CDECDE o CDCDCD. L’ideazione del s. è attribuita a Giacomo da Lentini, che secondo la tesi romantica l’avrebbe costruito unendo due strambotti, metro popolareggiante; tale tesi è stata per lo più abbandonata a favore dell’ipotesi, espressa già nel 16° sec., che individua nella stanza di canzone la fonte d’ispirazione.Lo schema originario subì presto modificazioni. Nella prima parte prevalse, verso la fine del 13° sec., la forma a rime incrociate ABBA ABBAIl s. doppio, inventato, pare, da Guittone d’Arezzo, è ottenuto con l’inserzione di un settenario, rimante con il verso precedente, dopo ciascuno degli endecasillabi dispari delle quartine e dopo ciascuno degli endecasillabi pari delle terzine. Se l’inserzione si effettua anche dopo il primo endecasillabo delle terzine si ha un s. rinterzato. Il s. comune o misto presenta invece un’alternanza di endecasillabi e settenari entro la misura/">misura dei 14 versi. Il s. minore è composto di versi più brevi dell’endecasillabo. CIELO D’ALCAMO Ignoto poeta, cui è attribuito il contrasto in 160 settenarî Rosa fresca aulentissima (composto tra il 1231 e il 1250), dialogo realistico, sicuramente un mimo, tra l'amante che incalza e la donna, che, prima sdegnosa, finisce col cedere. Non si sa neppure con certezza se sia da leggere "d'Alcamo" o "dal Camo", comunque pare certo che l'autore fosse siciliano; e siciliana è da considerarsi la lingua del contrasto che Dante stesso, nel De vulgari eloquentia (I, XII, 6), cita come esempio di siciliano, ma non di siciliano illustre, bensì "secundum quod prodit a terrigenis mediocribus", cioè un siciliano che, come è stato giustamente osservato, appare caratterizzato da "quell'espressionismo vernacolare che durerà fino all'età barocca". STEFANO PROTONOTARO Fu un poeta del XIII secolo, traduttore dal greco al latino di due trattati arabi di astronomia dedicati a manfredi di svevia. Compose 3 canzoni tra cui “pir meu cori allegrari”, unico testo pervenutoci in siciliano. Nativo di Messina; non si conosce la data di nascita di questo poeta della scuola siciliana, che comunque è menzionato in documenti datati tra il 1261 e il 1280. Tratta il tema dell’amore come gioia e dolore. RINALDO D’AQUINO Originario di montella ad avellino, fu un grande uomo di cultura, attivo tra il 1220-1230, scrisse canzoni e sonetti. tra quelle di attribuzione sicura, una canzone amorosa lodata da Dante (De vulgari eloquentia II, v, 4) e una canzone-lamento per una crociata (forse quella di Federico II del 1227 interrotta subito dopo la partenza).tema trattato è il lamento d’amore. LA POESIA SICULO-TOSCANA Essa comprende tutti i poeti attivi nella seconda metà del 200’, il modello ovviamente è quello della scuola siciliana, sviluppata in maniera innovativa. In toscana avevamo una diversa situazione politica, si sviluppano comuni e municipi, vi è maggiore libertà di espressione rispetto alla corte di federico ii. I temi privilegiati sono quelli amorosi e la tematica politica, frutto della nuova coscienza intellettuale. La lingua utilizzata presenta tratti siciliani e meridionali considerati come una scelta intenzionale, veri e propri tecnicismi, di ripresa della produzione sveva, imitazioni delle forme originarie, il siciliano e il toscano convivono insieme con l’aggiunta di una matrice provenzale e latina. GUITTONE D’AREZZO Nacque nel 1235 da una famiglia borghese guelfa, ebbe una crisi spirituale ed entrò a far parte dei milites beatae virginis mariae (frati gaudenti), morì nel 1294. Tra le opere più importanti ricordiamo 50 canzoni e 250 sonetti, le lettere ovvero il primo epistolario della storia della letteratura italiana, in cui emerge una personalità etica e civile forte, prosa in volgare con scopi artistici. I temi = argomento amoroso, moraleggiante e religioso, inventore della ballata sacra la lauda. Grande conoscitore della poesia provenzale, esponente del trobar clus (poesia aspra, dura e oscura), caposcuola per tutti i poeti di transizione tra la scuola siciliana e lo stilnovo. Dante oppone al volgare proprio, volgare illustre, quello più basso e popolare di guittone. BONAGIUNTA ORBICCIANI 1120-1290, vissuto a Lucca, condusse attività di giudice e di notaio, è il primo poeta ad innestare il siciliano illustre nel toscano. Di lui conosciamo circa 38 componimenti tra cui sonetti, ballate, canzoni e discordi. Riprende i temi della produzione siciliana e lo stesso vale anche per lo stile utilizzato. Fiorì intorno a lui una piccola scuola di ispirazione siciliana. Dante lo giudica negativamente nel de vulgari eloquentia; nella divina commedia lo pone come rappresentante della generazione precedente allo stilnovo e lo istruisce sul nuovo modo di fare poesia, superiorità dello stilnovo. LA POESIA RELIGIOSA NEL 200’ Nel 200’ si sviluppano due ordini religiosi: -francescano: fondato da francesco d’assisi, ordine dei frati minori, intento caritativo e assistenziale, religiosità aperta, positiva, bontà del creato e di dio. -domenicano=fondato da Domenico da Guzman, ordine dei frati predicatori, intento teologico- culturale, visione cupa e pessimistica del mondo, dominato dalla colpa e dal peccato (flagellati), Jacopone da Todi (più importante prima di dante). In Umbria si sviluppa una nuova concezione religiosa (si allontanano dall’ascetismo e dagli eremiti per entrare nella vita sociale/mondana nella società). Si passa dall’idea di un dio vendicatore a quello di dio misericordioso, rinnovamento dell’istituzione ecclesiastica (fino ad allora troppo lontana dal popolo), necessità di un linguaggio comprensibile a tutti, linguaggio nuovo=uso del volgare (in questo caso umbro). FRANCESCO D’ASSISI Egli, figlio di un mercante, nasce ad assisi nel 1182, dopo essere stato in prigione si converte al cristianesimo, espresse il suo voto di castità assoluta, aiuto ai lebbrosi, proibisce l’elemosina, si scaglia contro la chiesa poiché metteva in discussione gli stili di vita agiati e di lusso dei chierici. 1223 papa Onorio iii accetta le regole di francesco e approva le regole francescane, 1224 francesco riceve le stimmati di gesù, muore nel 1226. Dopo la sua morte l’ordine si divide in conventuali (modo più morbido di francesco) vs spirituali (seguono le regole pedissequamente). Opere: opere scritte in latino (la prima, la seconda regola, il testamento); testo più importante è una poesia in volgare umbro “Il cantico delle creature” o “laudedes creaturarum”, composto nel 1224, poi finito nel 1226, inno e ringraziamento a dio per l’utilità e lo splendore del creato, lode a dio attraverso tutte le creature create. PRIMO DOCUMENTO LETTERARIO ITALIANO IMPORTANTE. IACOPONE DA TODI La sua biografia è incerta, nacque tra il 1230/36, esercitò la professione legale e fu amante dei piaceri mondani. Dopo la morte della moglie si convertì e vestì l’abito dei terziari francescani, entrò a fra parte dei frati minori. Si scagliò contro Bonifacio VIII e la sua elezione, venne imprigionato e incarcerato fino alla morte di Bonifacio, dopodiché viene liberato e si ritirò in un convento e muore solo nel 1306 a Todi. Opere: 90 laude (componimento poetico di argomento religioso e di carattere popolare, tipico della letteratura italiana medievale), forma primitiva in lassa monorima contenenti le lodi di dio, della madonna, tipica del gruppo dei flagellati. Successivamente iniziano ad essere musicate, divise in dialoghi, prime rappresentazioni sacre del teatro italiano. Temi frequenti sono la lode di dio, rifiuto dei beni terreni, mortificazione del corpo, invettiva vs corruzione del mondo e contrapponeva a tutta la poesia precedente, era indirizzato ad un nuovo pubblico di lettori, un pubblico borghese, seppur costituito da una ristretta cerchia di personaggi. È dubbia la definizione dello stilnovo come sodalizio o come scuola di pensiero, è tuttavia innegabile la presenza di temi, motivi e linguaggi molti simili tra di loro, scelti e selezionati da una cerchia di poeti che aderiscono a tale pensiero. La definizione di “dolce stil novo” ci viene data per la prima volta da Dante all'interno del canto XXIV del purgatorio dove è descritto l'incontro con Bonagiunta Orbicciani, il quale viene rappresentato dal poeta fiorentino come uno dei maggiori esponenti della vecchia generazioni di poeti. Parlando di se stesso, invece,Dante farà coincidere i suoi versi all'ispirazione poetica della nuova corrente letteraria dello stilnovo. I temi: vengono abbandonati i temi politici e comunali, l'unico tema ammesso è l'Amore, che diviene un'esperienza intellettuale per tutti i poeti. Le poesie non mostrano situazioni autobiografiche dei poeti o almeno così pare, ma tutto viene elevato ad un raffinato gioco letterario-->si indagano approfonditamente manifestazioni, effetti, insomma la fenomenologia tutta della passione amorosa sull'uomo. L'amore ci viene presentato come qualcosa di inafferrabile, irraggiungibile, indicibile così come la donna amata, che viene sublimata ad essere miracoloso, la cosiddetta “donna angelo”, una donna bella come un angelo, la quale assurge al compito di essere un tramite, un collegamento tra dio e gli uomini secondo una visione filosofica. Sempre l'amore pone al centro la virtus, la virtù del poeta presente solo in un “cor gentil”: esso è espresso attraverso qualità umane, intellettuali, cultura profonda e raffinata, si parla infine di nobiltà, in questo caso non di stirpe come era accaduto fino a quel momento, ma di nobiltà d'animo; essa è l'insieme di virtù personale e virtù. L'amore dunque è in grado di trasformare una qualità potenziale in realtà (vd. Poesia di Guinizzelli). Stile: si punta su particolari effetti musicali, metrica e sintassi piana, soavità stilistica. I poeti si allontano dal linguaggio complesso ed oscuro, ne utilizzano uno più semplice e chiaro. Per la prima volta si utilizza il volgare illustre fiorentino, fondato sulla scia di quello siciliano. Autori: guido guinizzelli, guido cavalcanti, dante alighieri, lapo gianni, cino da pistoia. GUIDO GUINIZZELLI (protostilnovista) Egli nasce a Bologna nel 1230, muore nel 1276, è figlio di guinizzello da magnano, appartiene ad una famiglia borghese ed incarna tutti i valori della borghesia del suo tempo. Partecipa spesso alle lotte politiche del comune di Bologna come ghibellino, dopo il trionfo guelfo decide di ritirarsi a Monselice, vicino Padova. Egli sarà ricordato da dante “padre dei poeti stilnovisti”, che anticipò e influenzò la corrente dello stilnovo. Opere: si ricordano 20 componimenti poetici di cui 5 canzoni e 12 sonetti, tra cui una lode della donna salvezza dell'anima. Nelle sue poesie possiamo riscontrare 3 diverse fasi : una prima fase tipicamente guittoniana dal punto do vista stilistico e tematico, una seconda fase siciliana e un'ultima rinnovata dove si possono notare già i primi tratti dello stilnovo. Tra i sonetti più importanti ricordiamo “al cor gentile rempaira sempre amore”, dove è presente la tematica dell'amore e della nobiltà d'animo. GUIDO CAVALCANTI Egli nasce a Firenze nel 1258, muore nel 1300, figlio di una ricca famiglia guelfa, fu promesso sposo a Bice, figlia del partito ghibellino (maggiore esponente farinata degli uberti) allo scopo di pacificare le parti opposte. Prende parte alla vita pubblica di firenze, si schiera a fianco dei guelfi bianchi (famiglia dei Cerchi) vs guelfi neri (famiglia dei Donati). Dopo alcuni tumulti e la vittoria dei neri sui bianchi, verrà condannato all'esilio nel 1300 a Sarzana; richiamato in patria, morirà nello stesso anno di malaria. Produzione letteraria caratterizzata da rime filosofiche, ballate malinconiche, teoria degli spiritelli. Opere: Le Rime, sono costituite da 39 sonetti, 11 canzoni e 2 ballate, forte è la visione spirituale e angosciosa dell'amore per la donna amata. Temi: amante fedele d'Amore, tono malinconico, conseguenze negative del timore amoroso. È presente un io lirico drammatico, il quale prova un grande senso di sbigottimento di fronte alla bellezza e alle qualità delle donne, frequente è la raffigurazione dei moti psico-fisici che provoca amore. Egli segue la filosofia di Averroè: ogni facoltà dell'uomo ha degli “spiritelli”, ovvero delle entità aeree, compromesse e messe in fuga da una forte emozione-->gli effetti dell'amore sono diretta conseguenza di questo movimento di corpi. Di fatti la scena teatrale delle opere di cavalcanti è formata da personaggi che personificano le facoltà dell'anima, i sentimenti e le emozioni. Approfondimento filosofia Averroè= le sue idee sono inconciliabili con la religione cristiana, la fede viene vista come un complesso di miti e norme pratiche, necessarie per il popolo, ma non per il filosofo. Tra gli assunti più importanti troviamo l'eternità della materia e del mondo, la negazione dell'immortalità dell'anima., ammiratore di Aristotele; la mente è parte dell'anima sensitiva, luogo della memoria e dell'immaginazione; l'intelletto può conoscere le verità universali senza i sensi, esiste un intelletto unico ed universale, comune all'intera umanità ed immortale, detto intelletto potenziale e impersonale; la don a per cavalcanti rappresenta la manifestazione di alcune qualità, ma la qualità di queste idee non può essere raggiunta tramite la mente e neppure tramite l'intelletto, bisogna Andare oltre le apparenze per conoscere le qualità dell'anima; la mente non porta l'uomo innamorato alla conoscenza, ma anzi lo allontana da essa e gliela preclude. DANTE ALIGHIERI Egli nasce a Firenze nel 1265, muore nel 1321, appartiene ad una famiglia di piccola nobiltà da Alighiero degli Alighieri e Bella degli Abati. Orfano della madre fin da piccolo, studia a Firenze latino, grammatica e filosofia presso le scuole degli ordini mendicanti e una volta morto il padre, si occupa di affari come mercante. A 18 anni inizia a scambiare poesie con i maggiori poeti del tempo, scrive versi amorosi per Beatrice (pseudonimo di Bice Portinari, sposata all'epoca con Simone de Bardi e morta per malattia nel 1290). la prima svolta poetica per dante avviene con la stesura di versi amorosi per Beatrice all'interno della Vita nova, opera in cui si esplicita l'adesione di dante alla corrente del dolce stil novo. A 20 anni sposa Gemma Donati da cui avrà 3 figli: Pietro e Iacopo ( futuri commentatori della commedia) e Antonia ( futura monaca a Ravenna con il nome di suor Beatrice). Compone le Rime Petrose, opera, sappiamo, propedeutica alla commedia. Nel 1289 si svolge la battaglia di campaldino vs i ghibellini di arezzo, 1293-1304 dante è attivo politicamente a Firenze, all'epoca la città era divisa tra guelfi bianchi e guelfi neri; si iscrive alla corporazione dei medici e speziali. Dante viene eletto come priore di magistratura nel 1300 per cercare di pacificare le parti manda in esilio i corpi principali delle due fazioni, tra cui anche l'amico cavalcanti. Nel 1301 a causa di alcune ingerenze da parte del papa Bonifacio VIII , dante decide di schierarsi dalla parte dei bianchi, dante viene inviato a Roma presso il papa per scongiurare l'arrivo del re francese Carlo di valois, che vuole favorire la vittoria dei neri della chiesa sulla toscana, Carlo riuscirà nel suo intento, richiamando in patria i capi della parte nera, che erano stati esiliati. Nel 1302 dante viene accusato di baratteria, esiliato per due anni, non essendosi presentato come colpevole durante il processo vien condannato a morte e confisca di tutti i beni. Nel 1310 avviene la discesa in Italia di Arrigo vii di Lussemburgo, il cui obiettivo era portare l'Italia sotto il controllo imperiale, tutto ciò accende in dante la speranza di tornare a Firenze, ma Arrigo muore durante la missione. Nel frattempo il poeta fiorentino è ospite a Verona presso Cangrande della Scala, vicario imperiale in Italia, poi a Ravenna, dove morirà di malaria nel 1321. OPERE • Vita nova= 1292/3-94, rime composte per beatrice insieme al racconto in prosa delle vicende che hanno ispirato le poesie, è un prosimetro; • Convivio=trattato incompiuto, 1303-1307, opera enciclopedia doveva raccogliere 17 trattati tra cui una introduzione, 14 trattati di commento a delle canzoni, ma il libro è interrotto al 4 trattato. l'intento è quello di celebrare la conoscenza , opera apologetica ovvero di difesa di se stesso dalle accuse fattegli post esilio. Abbiamo una lettura allegorica dei testi trattati: - introduzione: intendo dell'opera, dare conoscenza a coloro che non hanno potuto studiare a causa di impegni politici e familiari; -si dà conto dell'universo, del cielo, delle gerarchie angeliche, immortalità dell'anima, come si possono interpretare le sacre scritture, passaggio dall'amore per beatrice a quello per la filosofia; -”amore che ne la mente mi ragiona”, inno alla sapienza vista come massima aspirazione dell'uomo -”le dolci rime d'amore che io solia”, la vera natura della nobiltà d'animo, necessità di un impero universale per la pace e l'ordine del mondo. Il sapere è investito dalla fantasia e dal sentimento di dante. • De vulgari eloquentia=opera incompiuta scritta in latino, progettata in 4 libri, dante ne scrive solo uno, il primo e parte del secondo. Opera per specialisti, di qui la scelta di scrivere in latino, indicando implicitamente un pubblico preciso di riferimento. I libri: -origine del linguaggio, le 3 lingue derivate dal latino, distinzione di 14 dialetti italiani, è necessario un volgare illustre comune in tutta la penisola per la produzione letteraria, ricerca di un volgare illustre, cardinale, aulico e curiale (vd. Specificazioni). -modi in cui io volgare illustre va utilizzato in poesia, distinzione in 3 stili-->tragico, comico ed elegante, quello più conveniente per la poesia è lo stile tragico, adatto ai temi amorosi, epici e morali; la forma da preferire è la canzone. • Divina commedia=capolavoro di dante, composto dal 1306-1321 • De monarchia= trattato in latino, databile al 1312/1313, rivolto ad un pubblico di dotti, unico trattato completo e costituito da 3 libri, il tema è il rapporto tra la chiesa e l'impero: - necessità della monarchia universale per il benessere del mondo; -popolo romano è per elezione divina il depositario del potere imperiale; -reciproca indipendenza tra impero e papato, metafora dei due soli, splendenti ciascuno di luce propria. Espone tre tesi: teocratica, imperialista e regalista, il sovrano è più importante della chiesa e dell'impero, preferisce la monarchia all'impero e alla chiesa, in questo caso il re è Filippo IV il bello. Dante contesta la legittimità della donazione di Costantino, dimostra come Costantino non avrebbe potuto alienare una parte dell'impero e come la chiesa non fosse legittima a riceverla. È un trattato nuovo con tematiche mai trattate prima, con ragionamenti speculativi e dimostrativi, capisce che la monarchia universale non è realizzabile a quei tempi; viene considerata come un'opera di indottrinamento di una nuova classe dirigente. Incoronazione di Arrigo VII di lussemburgo sono lo sfondo dell'opera, elezione dell'imperatore risponde a dio. • Rime=componimenti poetici giovanili+liriche dell'esilio, 54 testi, opera non strutturata dal poeta, ma dagli editori moderni. Troviamo temi e toni diversi tra di loro. 1 gruppo=componimenti legati allo stilnovo, contenuto dottrinale e allegorico; 2 gruppo= detto delle Petrose, scritte 1295 per una donna, Petra/Pietra o donna dura come una pietra, oggetto di amore non corrisposto; 3 gruppo=tenzone con l'amico Forese Donati. Opere minori= 13 epistole in latino ( 5,6,7 dedicate ad Arrigo VII, 13esima a cangrande della scala, dedica del paradiso); 2 ecloghe in esametri latino,; libello in latino “Quaestio de Aqua et terra”, dove si confuta la teoria aristotelica; “Fiore”, poemetto di dubbia attribuzione, 232 sonetti dove si rielabora il “Roman de la rose” “Detto d'amore”, pometto didattico in distici di settenari. TEMATICHE GENERALI DI DANTE Dante inizia la sua produzione poetica ispirandosi a guittone, come la maggior parte dei poeti del suo tempo, pii subisce l'influsso di guinizzelli e di cavalcanti con la completa adesione allo stilnovo, il quale si conferma un importante apprendistato poetico per il poeta e una ricca esperienza umana. Nella fase stilnovistica sviluppa due tematiche principali: amore e amicizia, concezione del classica e modello di umanità. Petrarca si occupa di riportare i testi classici al loro originale con grande rigore filologico; grande ricercatore di testi in tutta Europa, biblioteche conventuali di tutta Europa; cultura classica vitale per Petrarca+ attività filologica. L'AMORE : SENTIMENTO E AMORE Intricata condizione interiore: impossibilità di cambiare vita--> contrasto tra una vita volta ad una mera contemplazione spirituale e la scelta di vivere nel mondo. Amore=espressione strettamente personale, proprio intimo rovello individuale, caricando le virtù di Laura e mostrando i lati negativi di questa passione come l'infelicità, il senso del peccato e la disgregazione morale. Petrarca è il primo a parlare di se stesso, i poeti medievali tendevano ad avere come tema centrale solo la donna. Importante per il poeta aretino è l'effetto dell'amore su chi prova il sentimento. Accidia= malessere interiore che toglie la voglia di vivere, il male di Petrarca, difficoltà di liberarsi dal meccanismo distruttivo dell'amore. LA TENSIONE SPIRITUALE Temi portanti per Petrarca=descrizione del proprio tormento, incapacità di risolvere il dissidio profondo tra vita spirituale e passione mondana, tra scelta religiosa e gloria letteraria. Religiosità tutta interiore, nutrita di esperienze e bellezze offerte dalla vita umana. Nuova visione di intellettuale laico che vive all'interni di un orizzonte laico. Per Petrarca non conta tanto la teologia e la pratica della religione, quanto la scelta di una nobile occupazione con la conoscenza di sé e del proprio ruolo nel mondo. Isolamento=è la chiave per liberarsi dai vincoli mondani e raggiungere una profondità di riflessione, dovere di ogni intellettuale laico; la solitudine e il silenzio-->vita terrena dedita alla meditazione e alla gioia dello spirito. AUTORITRATTO IDEALIZZATO Petrarca crea un auto descrizione come scrittore sulla base di cicerone-->egli si auto celebra, fa un monumento a se stesso, attraverso i propri scritti,le lettere che riorganizza e rivede per pubblicarle e creare una certa immagine di sé ( alcune sono lettere fittizie), di conseguenza abbiamo un'esibizione pubblica di dover essere esemplare per gli altri. Luci ed ombre del poeta= superiorità della vita dell'uomo di lettere, vita dedicata ai libri è ascetica come quella religiosa, indica i propri limiti personali come la schiavitù nei confronti di certe passioni. Per empatizzare con i lettori, crea un ritratto più umani rispetto alla sua figura idealizzata IL TRECENRO: L'EPOCA E LE IDEE • Guerra dei cento anni ( 1137-1453)= pretese dinastiche da parte del re di Inghilterra sul regno di Francia (vittoria francese) • si assiste al declino dell'impero=gli imperatori rinunciano alle proprie prerogative territoriali, fallisce la discesa in italia di Arrigo Vii di Lussemburgo 1310, indipendenza imperiale dalla chiesa e impero istituzione germanica (carlo IV boemia con la bolla d'oro). • Declino del papato= giubileo 1300 con bonifacio VIII, nascita degli stati nazionali, re francesi costringono papa clemente v a spostare la sede papale in francia ad avignone -- >cattività avignonese finita nel 1377 con Gregorio XI. 1378 divisione nella chiesa-->scisma di occidente, abbiamo due papi: uno italiano, sostenitori italia, germania e inghilterra, e un altro europeo, sostenitori francia, regno angioino, stati iberici. La situazione si risolve solo nel 1417 con il concilio di costanza. LA CRISI ECONOMICA E LA PESTE • Carestie ed epidemie di peste 1348-->panorama socioeconomico drammatico • Produzione manifatturiera e commercio diminuiscono sensibilmente, falliscono le banche, tra cui quella fiorentina, più importante in europa e che aveva finanziato l'inghilterra • Si moltiplicano insurrezioni e sommose (Jacqueries e Ciampu) DAL COMUNE ALLA SIGNORIA Il governo delle città passa nelle mani di pochi (oligarchia)= aristocrazia formata da poche famiglie ricche-->regime signorile Formazione degli stati regionali determina il frazionamento politico della penisola L'ETICA DEL MERCANTE • Società sempre più competitiva, posizione del singolo è determinata dall'operosità ed oculatezza finanziari • etica del mercante=valori laici e borghesi dell'intelligenza e individualità-->l'uomo deve farsi da sé, capace di dominare la realtà grazie alle proprie virtù • il mercante conquista la propria posizione sociale ed economica con il lavoro e il rischio personale (disinteresse cortese per i beni materiali non è possibile)-->masserizia, ovvero amministrazione oculata del proprio capitale, capacità di risparmiare, il calcolo avveduti che evita ogni sperpero, riproposizione nostalgica della generosità e nobiltà d'animo LA SCOPERTA DELL'INDIVIDUO Mentalità borghese= nuova concezione dell'individuo, materialismo e laicismo: uomo che modifuca la realtà grazie alle proprie possibilità e alle proprie azioni concrete. MARSILIO DA PADOVA “Defensor Pacis”= si sostiene l'autonomia dello stato, principio di volontà popolare come bene supremo vs potere temporale del papa; la chiesa deve astenersi da qualsiasi ingerenza in campo politico e sociale; religione non ai margini della vita individuale e associazione, tramonta la concezione provvidenzialistica della realtà; visione teocentrica contraddetta dall'interesse per l'uomo del mondo e dei piaceri terreni; crisi della filosofia scolastica, divisione tra ragione e fede (ricerca sperimentale e studio scientifico), Guglielmo di ockham (dio è conoscibile solo attraverso la fede e non la ragione). Riscoperta dei classici antichi=Petrarca e Boccaccio, testi sconosciuti, spalanca nuovi orizzonti, alimenta il desiderio di leggere, importa degli studi per l'uomo-->uomo capace di accedere autonomamente alla conoscenza (PRE-UMANESIMO). LA POESIA (oltre ai capolavori di Petrarca e Boccaccio) ambito poetico= franco sacchetti ( libro delle rime, madrigali e cacce, poesia amorosa); antonio pucci ( spunti di riflessione dalla vita comunale, poesia comico. Realistica), Fazio degli uberti (poesia in terzine, viaggio condotto nella terra dei vivi, poesia didattico-religiosa), cecco d'ascoli (poema enciclopedico in terzine, definita anti-commedia, poesia didattico-religiosa) poesia epica in ottava=vengono rielaborati materia epica e romanzesca, cantastorie itineranti. LA PROSA Storiografia=Dino Compagni, Giovanni Villani epistola= Caterina da Siena, testimonianza di un mistico, schema costante, grande forza realistica e drammatica (Petrarca scopre insieme a coluccio salutati le lettere di cicerone, epistolario in latino di Petrarca) novellistica=decameron di Boccaccio. Città più importanti-->Firenze, Milano, Roma, Ferrara, Mantova, Napoli. BOCCACCIO Nasce nel 1313 a Certaldo, vicino Firenze, muore nel 1375, figlio di un mercante e di una donna di umili condizioni, di cui non sappiamo nulla. Il padre lo avvia agli studi, lo affida all'età di 6 anni presso un mercante per imparare il mestiere, ma ben presto uscì fuori la sua vocazione letteraria. Nel 1327 Boccaccio insieme a suo padre arrivano a Napoli, il padre è un rappresentante della compagnia fiorentina dei bardi, spera che il figlio segua la sua carriera. Questi sono anni di intense letture per Boccaccio=latini, greci, produzione cavalleresca e opera dantesca; stringe rapporti presso la corte di Roberto II di Angiò, vita spensierata ed elegante, in cui il poeta ha la possibilità di osservare la varietà umana, pii rappresentata nel decameron. A Napoli incontra fiammetta, il cui incontro è descritto nel Filocolo. Nel 1340 vi è il fallimento della compagnia dei bardi-->Boccaccio + padre sono costretti a tornare a Firenze (poi a Ravenna e Forlì). Nel 1348 torna a Firenze, dove ha modo di constatare gli effetti della peste nera (descritti poi nel decameron, opera databile al 1349- 53). avviene la morte del padre, si trova costretto a gestire l'esiguo patrimonio familiare. Boccaccio si adatta ala vita borghese fiorentina, ormai scrittore noto e conosciuto. Durante il periodo della peste fa una riflessione spirituale, dovuta anche all'amicizia con Petrarca incontrato per la prima volta nel 1330 a Firenze, poi a Bologna, Milano e Venezia, vi troviamo infatti un fitto scambio epistolare. Da questa riflessione nasce una nuova idea di letteratura= non solo piacere e intrattenimento per i lettori ma impegno di tipo morale e religioso (ordinazione sacerdotale). Nel 1360 partecipazione di alcuni suoi amici in una congiura vs il governo, viene messo in cattiva luce e decide di rifugiarsi a Certaldo, dove si dedica alle letture, agli studi e alla composizione di opere erudite. Contrapposizione della vita di città vs campagna = afferma di essersi adattato alla seconda. Nel 1373 ottiene il suo ultimo incarico fiorentino ovvero il commento alla commedia dantesca, definita divina dallo stesso poeta, missione interrotta a causa della salute malferma di Boccaccio; nel 1375 muore a Certaldo, la sua tomba si trova nella chiesa dei santi Michele e Iacopo. OPERE PERIODO NAPOLETANO produzione letteraria in versi e in prosa, che trae spunto dalla sua biografia , propensione per la narrativa, tentativo di conciliazione tra la tradizione cortese provenzale e quella classica greco- latina. • Rime= 150 componimenti tra sonetti e ballate, mai raccolte in maniera organica, testi di ispirazione stilnovistica e dantesca, argomenti amorosi, esistenziali, spirituali, politici, abile nella descrizione paesaggistica e psicologica • Filocolo ( fatica d'amore)= prima opera in prosa, sterminato romanzo in 5 libri, amore contrastato di Florio, figlio del re di Spagna e Biancifiore, discendente di una nobile famiglia. Tematiche sono l'avventura, il viaggio e la passione amorosa. • Caccia di Diana= poemetto mitologico, 18 canti in terzine dantesche, contrasto tra diana vs venere, da cui esce vincitrice venere poichè le ninfe la preferirono a Daina, seguono la dea dell'amore; esse rappresentano due diverse concezioni della vita femminile. • Filostrato (vinto d'amore)= storia di Troilo e Criseida, donna volubile e scaltra, poemetto in ottave, vicende relative agli anni napoletani, poema in ottave in 12 libri con tematica amorosa PERIODO FIORENTINO influenzato dalla letteratura toscana, maggiore maturità espressiva, minore autobiografismo, poesia allegorica di dante • Commedia delle ninfe fiorentine (ninfale d'ameto)= composto tra il 1341/2, prosimetro, poesia bucolica e allegorico-didattica, amore del pastore Ameto per la ninfa Lia. Grazie all'incontro con le ninfe, il pastore si ingentilisce, influsso concezione stilnovistica dell'amore-->la bellezza e la virtù delle ninfe/donne non porta più all'avvicinamento a dio, quanto al godimento edonistico della contemplazione della bellezza e al piacere delle parole. Gusto per miscelare classicità, poesia allegorica, valori e temi per-umanistici. • Amorosa visione= composto tra 1342/3, poema allegorico in terzine, poeta racconta di un sogno in cui una donna lo conduce all'interno di un castello, all'uscita si imbatte in • Fortuna = caso fortuito, laico, costituito da un insieme di forze, eventi e accidenti incontrollabili da parte dell'uomo, che però può capire come contrastare quelle forze opponendo loro le forze dell'intelligenza. • Amore =rappresentazione oggettiva delle passioni amorose, polemica vs ascetismo medievale e spiritualismo, satira vs ipocrisia dei religiosi, amore e sessualità sono cose assolutamente naturali, accusato di immoralità e oscenità, la novella delle papere mostra una visione laica e naturalistica del sentimento amoroso. • Ingegno = poema dell'intelligenza, grande esaltazione dell'intelligenza degli uomini, ingegno/industria, volgere le situazioni a proprio favore, Boccaccio critica la stoltezza e i creduloni a vantaggio di personaggi che mostrano finezza, ingegno e astuzia. ESALTAZIONE DELLE QUALITA' UMANE inno che Boccaccio innalza all'uomo, alle sue capacità intellettuali e pratiche: • segni di ingegno sono la consapevolezza della realtà e l'accettazione delle sconfitte • celebrazione della parola, se la cavano i personaggi che sono in grado di affidarsi alla parola, all'esperienza e all'umana conoscenza • valori di generosità e magnanimità: proposti al nuovo pubblico borghese • universo feudale aveva dato origine a vere e proprie aberrazioni • adesione ai valori borghesi mercantili, valori della società cortese, aristocratica e feudale • capacità di osservare la realtà, costante sentimento di adesione alla vita (esistenza umana in tutti i suoi aspetti) • celebrazione della vita terrena. NOVITA' DELLO STILE • narratori intermediari, presa di distanza da parte di Boccaccio, molteplicità di punti di vita • delineare con precisione i caratteri dei personaggi, ambiente mai trascurato, scrittore accorto e padrone della tecnica narrativa • adeguare il linguaggio alla situazione e ai personaggi a partire dal volgare fiorentino di dante si intrecciamo i vari registri linguistici, varietà linguistica molto preziosa, PLURILINGUISMO E PLURISTILISMO • prosa modellata sui classici latini di Livio e Cicerone, complessità costruzione del periodo. INTERPRETAZIONE autunno del medioevo, vede il tramonto della civiltà comunale • carattere borghese dell'opera, quasi rivoluzionario, dal medioevo alla società più moderna e mercantile • grande romanzo, protagonisti sono i giovani narratori delle novelle. Per Vittore branca troviamo un grande legame dello scrittore con il suo tempo. UMANESIMO E RINASCIMENTO • Declino Chiesa e impero, consolidamento delle monarchie nazionali controllate da una forte amministrazione centralizzata • inghilterra e francia -->guerra dei 100 anni 1337-1453, formazione coscienza nazione (inghilterra, francia, portogallo e spagna) • italia divisa in piccole entità=ducato di milano, rep. Venezia, rep. Firenze, stato pontificio, regno di napoli, formazioni piccole e deboli; continua instabilità, conflitti e guerre=importante è la pace di lodi 1454 con la politica dell'equilibrio, dopo la morte di lorenzo il magnifico, la pace di lodi sembra non aver più alcun valore. Nel 1494 discesa in italia del re di francia Carlo VIII, guerre d'Italia fino al 1559 pace di cateau-cambresis egemonia spagnola della penisola. EPOCA CONTRADDITORIA =GRANDE FIORITURA CULTURALE CELA GRANDE DEBOLEZZA POLITICA • 1527= sacco di roma da parte dei mercenari italiani, i lanzichenecchi, trama insanabile per i contemporanei • 1530= carlo V riceve la corona di re d'italia dal papa e poi anche quella imperiale • 1377=finisce la cattività avignonese-->scisma d'occidente, che si conclude con il concilio di costanza e l'elezione di martino V • chiesa= giudicata corrotta, immorale, vendita delle indulgenze; rivolta hussiti-->clima di riforma politica e religiosa, 1717 martin lutero+ 95 tesi vs indulgenze “RIFORMA” UMANESIMO • studia humanitatis, discipline filosofico-letterarie, mito di una nuova epoca, splendore e rinascita . classici latini e greci= modelli da imitare; medioevo =periodo buio, di decadenza • uomo deve avere fiducia assoluta nei propri mezzi (approccio pragmatico e laico), desiderio di conoscenza -->ANTROPOCENTRISMO (visione del mondo conquistata grazie ad uno spirito critico nei confronti della realtà); uomo è dotato di libero arbitrio, atteggiamento scientifico, analisi diretta della natura= scoperta; • fine 400=movimento artistico, rinascimento, perfezionamento visione filosofica, storica e culturale. RINASCIMENTO (1492-1527/30/45) Nome=rinascita della cultura e delle arti dopo l'oscurità medievale (prima attestazione giorgio vasari) La più grande figura dell'epoca è Leonardo Da Vinci. REALTA' TERRENA atteggiamento diverso e positivo verso il valore e la bellezza dell'esistenza terrena • uomo libero da angosce mistiche e preoccupazione e teologiche, nuova morale= concezione edonistica del piacere e del corpo umano con rifiuto della tradizione cristiana • individuo umanesimo persegue l'obiettivo di una beatitudine serena, Lorenzo Valla sostiene che la tendenza al piacere sia naturale e insita nell'uomo, concezione ottimistica della realtà • valori cristiani vengono rinnovati ed integrati con i principi dei filosofi classici, in particolare Platone-->neoplatonismo • uomo composto di corpo e anima è il vero motore dell'universo, fulcro più importante accademia platonica di Firenze. PEDAGOGIA • nuovo sistema educativo, la libertà si guadagna attraverso lo studio, applicazione del sapere e spirito critico • promozione della cultura finalizzata allo sviluppo di una personalità globale, attraverso scuole, cenacoli, accademie, circoli liberi • prassi didattica che mira all'intesa e alla condivisione, kalokagatia, lettura dei classici, tendono a formare l'uomo buono. PRIMATO VITA ATTIVA • vita terrena deve essere sfruttata, occasione per realizzare se stessi • ideale pragmatico e attivo che porta l'uomo al successo, attività mondane e non vengono viste come fonte di distrazione • utilità del matrimonio, della famiglia, attività economica ben vista, profitto rivendicato come un diritto dell'uomo • sebbene l'uomo sia artefice del proprio destino, deve fare i conti con i colpi della fortuna, conflittualità tra virtù e fortuna • umanesimo più positivo, rinascimento più pessimistico, impotenza dell'uomo dinanzi alla sorte. PATRIMONIO DELLA CLASSICITA' • passione della ricerca e della scoperta=filologia (esegesi di ogni passo controverso) • immenso patrimonio di opere classiche viene recuperato, prima periodizzazione storica • filologia esprime un atteggiamento scientifico, spirito anti-dogmatico • falsa donazione di Costantino=dimostrata da Lorenzo valla, metodo filologico che prefigura la scientificità dell'indagine moderna. PROSA • sforzo di sintesi e sistemazione filosofica, trattato in forma di dialogo, dibattito intellettuale=confronto aperto e tollerante • per difendere e divulgare un'idea si usa l'invettiva e l'orazione • epistolografia pensata per una dimensione pubblica; prosa storiografica dei cronisti fiorentini. POESIA • umanisti compongono rime in volgare e in latino, petrarchismo • opposizione al petrarchismo è la tradizione burlesca, gusto comicità e parodia • grande sperimentalismo, a corte tornano il ciclo carolingio e bretone. TEATRO • recupero letteratura teatrale, tragedia cerca di imitare le opere dei grandi autori greci e di Seneca. MECENATISMO E DIVERTIMENTO POPOLARE i medici prendono il potere a Firenze nel 1454 con Cosimo il vecchio-->proficua collaborazione tra potere e cultura, in particolare con lorenzo il magnifico (mecenatismo)il quale si circonda di amici e scrittori, favorisce le arti più nobili: la corte diviene un luogo di festa, di divertimento , pubblico di selezionati aristocratici. UNA PRODUZIONE CAMALEONTICA sviluppo di una poesia elegante ed elitaria vs sviluppo di forme gioco, parodiche e comiche rinascita lirica lirica del volgare, recupero della tradizione stilnovistica, esaltazione della fugura femminile, oggetto di ammirazione sensuale e al tempo stesso spirituale-->edonismo umanistico fiorentino (ricerca del piacere attraverso la sublimazione dei sentimenti). DUPLICITA' DI TONI E DI STILE Lorenzo il magnifico+ Angelo Poliziano= temi della bellezza, della giovinezza, aperto godimento dei sensi con una vena di malinconia, dovuta alla percezione dello scorrere del tempo; tendenza alla mescolanza=rielaborazione di opere classiche, ricerca di espressività comica; la mescolanza di generi sarà poi sostituita dalla volontà di codificare la lingua volgare scritta con il rispetto dei modelli nelle forme e nei contenuti. LORENZO DE' MEDICI nato a Firenze, 1449-1492, figlio di Piero di Cosimo, egli è una personalità multiforme=politico, protettore e poeta, porta la corte al massimo splendore. Congiura dei pazzi durante la quale il fratello di lorenzo, giuliano, trova la morte. Lorenzo sarà un grande moderatore della politica italiana, la sua morte segna la fine di un'epoca e la discesa di Carlo VIII in italia. moglie è necessario farle bere una pozione di mandragola. C'è però una controindicazione, dopo aver bevuto la pozione, il primo che giacerà a letto con la donna morirà. Licurgo era di fatti stato chiamato proprio per assolvere questo compito, alla fine sarà l'amico Callimaco a giacere con la giovane quella notte, la quale si era convinta mossa dalla madre e da Fra Timoteo. • L'argomento affrontato provoca il riso tra gli spettatori, riflessioni sull'apatia dei fiorentini, sull'inerzia, atteggiamento rinunciatario indotto dalla religione. • Stile= fiorentino parlato della sua epica, capacità di utilizzare diversi registri linguistici in base ai personaggi. • Epistolario=oltre 200 lettere, vero e spontaneo documento di vita, non sono state scritte con l'intendi di essere pubblicate, nessuna trasfigurazione della realtà, movimentata esistenza umana e politica, ritratto vivido e concreto del poeta, mescolanza tra serio e facezia. IL PRINCIPE: IL CAPOLAVORO Esso è un libro breve, scritto in un arco di tempo ridotto, trattato politico, dotato di grande organicità. Il titolo originario De Principatibus dedicato a Lorenzo di Piero de Medici, nipote del magnifico; mette in atto tutti gli anni di politica e di studioso=il libro è di grande attualità politica, pone la propria candidatura come collaboratore dei nuovi signore di Firenze; spera di rientrare nel gioco politico, ma la sua è tutta un'illusione. STRUTTURA E CONTENUTI troviamo prima una dedica, poi 26 capitoli piuttosto brevi-->I-IX tipo di principato; XII-XIV ordinamento delle milizie mercenarie; XV-XXIII virtù e comportamenti adatti al principe; XXIV- XXVI situazione italiana. La prima sezione= si discute la natura ereditaria, mista e nuova dei principati (esempio Cesare Borgia) come fondare e governare un principato nuovo: o con la violenza o con il consenso dei sudditi (principato civile). La seconda sezione= inaffidabilità delle milizie mercenarie, necessitò di milizie proprie la terza sezione=qualità del principe-->egli deve essere parsimonioso, temuto, spregiudicato, capace di usare la forza e la frode se queste sono necessarie al funzionamento del governo la quarta sezione=crisi contemporanea dell'Italia, fortuna arginata dalla virtù di uomini forti, esortazione a un nuovo principe di restituire la libertà agli italiani. TEMI ritratto principe medievale= modello ideale ispirato all'etica cristiana; ritratto del principe umanistico= virtù attinte dalla morale laica degli antichi saggi; • per Machiavelli la morale non deve interferire con l'efficace gestione dello stato e del potere, i concetti di bene e male non rientrano più nella riflessione, ciò che interessa è soltanto il successo dell'azione, gli interessi dei sudditi e dello stato • uomo di stato deve fare sempre i conti con gli oscuri eventi del caso, unica arma che l'uomo può opporci è la virtù • volontà di analizzare la realtà nella sua effettiva materialità attraverso un realismo nudo e crudo • unica realtà utile per conoscere l'azione politica è l'esperienza, l'osservazione empirica, utilizzo del metodo induttivo dal particolare al generale. • Obiettivo è inseguire la verità effettuale della cosa, in politica è bene quel che è utile, utile può essere anche la crudeltà se in nome del bene comune e della collettività • tecnico a servizio dello stato, non si era mai schierato nella lotta politica di fazioni, svolge un ruolo per il bene della collettività • non rinuncia all'impegno civile, continua ad avere fiducia e si impegna nella ricerca continua di una via di uscita e di una soluzione • unica soluzione= esorta i medici a mettersi a capo di tutti i principi italiani per cacciare gli stranieri, • opera= manifesto operativo con uno scopo da realizzare, desiderio di contribuire a trasformare l'Italia • stile= ordinato, razionale, argomentativo, originalità della propria scrittura, metodo dilemmatico, similitudini e immagini metaforiche, va avanti per opposizioni, ricerca espressività e prosa scientifica. TEMI AUTORITRATTO Studio degli antichi, dialogo con i suoi autori esige serietà e rispetto ( indossa gli abiti “buoni” per dialogare con gli autori antichi); esistenza privata e militanza politica sono sempre intrecciate tra di loro, tragico e comico della vita, realtà composita e contraddittoria che la curiositas di Machiavelli investiga e considera come parte si sé. LA LEZIONE DELLA STORIA Scopo dell'opera è fornire indicazioni utili per superare la crisi che l'Italia sta vivendo, finalità pratiche=evita speculazioni dottrinali e teoriche • tentativo di illuminare il presente, norme e strategie che hanno una validità universale; • metodologia empirica, affidata allo studio delle circostanze e dell'esperienza • storia=valenza pedagogica=magistra vitae, dal passato è possibile ricavare una lezione per il presente; concezione della storia secondo sui anche in epoche lontane, l'uomo conservasse il medesimo comportamento e le stesse pulsioni; concezione naturalistica dell'uomo=gli uomini non si trasformano nei secoli, ma rimangono immobili • si deve imitare il passato, ma non passivamente-->principio dell'imitazione (che deve essere selettiva),l'imitazione è il motore del rinnovamento, spinta decisiva a recuperare nuova vita e nuova virtù, forte carica polemica • secondo Machiavelli la soluzione politica più giusta è solo quella che sa meglio conformarsi alle particolari circostanze del momento • repubblica o monarchia=una scelta che dipende dalle circostanze (vd principe vs discorsi). VISIONE PESSIMISTIVA DELLA VITA UMANA • amaro e radicale pessimismo antropologico, corruzione e degrado dei personaggi di Machiavelli, logica del tornaconto personale; • Machiavelli crede ancora nel valore e nelle possibilità della singola persona di realizzare i propri scopi e le proprie ambizioni; egli confida che l'uomo sia capace di fronteggiare e risolvere i problemi, dotato di temperamento, audacia e pazienza; • rapporto tra virtù e fortuna=il caso cieco che incide sulle vicende umane, non la provvidenza cristiana; virtù e fortuna sono la sintesi della forza d'animo, del temperamento, discernimento e capacità di contrastare le diverse situazioni; • Fiducia nell'uomo, esaltazione della responsabilità umana, corruzione della chiesa, devozione mercantile al profitto e al denaro; vi è un amaro pessimismo nei confronti della chiesa e profondo sconforto di chi vede le virtù calpestate proprio da chi le dovrebbe seguire e far seguire (vd mandragola). LUDOVICO ARIOSTO Egli nasce a Reggio Emilia nel 1474, muore nel 1533, i primi studi li compie a Ferrara, destinato a intraprendere la carriera pubblica del padre, abbandona gli studi per dedicarsi alla materia letteraria, preferisce lo studio delle lettere. Nel 1500 il padre muore, egli deve prendersi cura della famiglia, intraprende la carriera militare al servizio di Ippolito d'Este, diviso tra due attività: quella del poeta e del funzionario di corte. Nel 1513 inizia a far parte degli ambienti fiorentini, conosce una donna Alessandra Benucci , nasce un grande amore grande amore tra i due. Nel 1516 uscirà la prima edizione dell'Orlando furioso e nello stesso anno egli prese l'ordine di chierico, si rifiuta di seguire il cardinale in Ungheria e perde il posto da di funzionario: decise di lasciare questo incarico perché riteneva che questi incarichi fossero negativi, non gli consentivano di dedicarsi all'otium letterario, nel 1518 Ludovico si trova presso la corte di Alfonso I d'Este, governatore della Garfagnana e nel 1521 torna a Ferrara, insieme alla moglie Alessandra e al figlio Virginio. OPERE scritte quasi esclusivamente in latino, epica cavalleresca • Satire= 7 componimenti in rima dantesca, il punto di riferimento è Orazio, hanno carattere prosastico, stile colloquiale, capacitò di analizzare la psicologia della società umana, atteggiamento di bonaria ironia, insoddisfazione del cortigiano, ricerca dell'otium, tratto realistico di Ariosto. Essa sarà un'opera propedeutica per l'Orlando furioso. • Rime volgari e carmi latini= liriche di amore, risente dei classici latini, toni scherzosi, diviene amico di Bembo, scrisse opere imitando lo stile di Petrarca, non amore stilizzato di Petrarca, tende all'erotismo, amore indirizzato alla donna conosciuta a Firenze. Anche questa opera propedeutica all'Orlando furioso. • Commedie= 5 commedie in endecasillabi sciolti, riprende gli schemi delle commedie di Plauto e Terenzio, amore per lo spettacolo assai vivo a Ferrara, regista e scenografo di corte. • Lettere= 214 lettere, aprono uno squarcio sulla vita privata del poeta • Erbolato= diverssiment, gustosa caricatura dei medici del tempo. ORLANDO FURIOSO: IL CAPOLAVORO Trama avvincente e struttura labirintica, occhio iconico, crea continue illusioni. Essa riprende l'opera di Boiardo dove era stata interrotta. Il poema si presenta in ottave di endecasillabi, siamo a conoscenza di ben 3 edizioni dell'opera: 1516 in cui forte era l'impostazione linguistica del padovano illustre e molti latinismi; 1521 la lingua diventa più toscaneggiante; 1532 la lingua si avvicina pienamente al fiorentino illustre, secondo i canoni standardizzati da Bembo in quegli anni. Dal punto di vista linguistico e contenutistico egli adotta un grande labor limae di tutta l'opera facendo riferimento a Bembo; concetto dell'amore, esasperato in quando Orlando impazzisce a causa dell'amore; nella terza edizione vengono aggiunti 6 canti, in cui troviamo una visione più pessimistica di Ariosto, episodi di tradimento, gelosia, visione pessimistica nei confronti della Fortuna (la quale non può essere affranta dall'uomo anche se dotata di ingegno), riflette la politica e la situazione instabile del tempo. Allargamento del pubblico (enigma 5 canti, pubblicati postumi sul tradimento di Gano di maganza al posto di roncisvalle, per alcuni rappresentano una parte del poema, per altri essi sono l'inizio di una nuova opera mai scritta. Ariosto nei momenti di maggiore suspense interrompe il racconto per narrarne un altro e riprendere quello più tardi, tecnica definita dell'intreccio, ci sono vari filoni narrativi, fusione tra ciclo bretone e ciclo carolingio. Tono encomiastico riferito alla corte esistente, troviamo la voce narrante che di tanto in tanto interviene nella storia per fare un'introspezione psicologica dei personaggi (tecnica dello straniamento) ; voce narrante onnisciente per commentare le vicende umane, spesso con ironia. Orlando dopo aver seguito Angelica in tutto il mondo per cercarla impazzisce per amore perché la principessa si era sposata con Medoro. Ci soni tanti luoghi che fanno da sfondo alle storie; prevalgono forze centrifughe, difatti ogni personaggio tende a fuggire dal luogo in cui si trova alla ricerca di qualcosa/qualcuno in luoghi lontani, luoghi reali e luoghi magici. La ricerca si rivela spesso inutile e il viaggio un'esperienza frustrante; i personaggi rappresentano una grande varietà umana;. Il tema fondamentale è l'INCHIESTA= ricerca di qualcosa come nel ciclo bretone, ricerca di un qualcosa di profano, una ricerca mai pienamente soddisfatta, emblema è proprio angelica che non verrà mai raggiunta da Orlando, in quando lui diventerà invisibile. L'amore è una forza che distrugge e può portare alla follia, latri temi affrontati sono quelli spezzato e a volte faticoso. Tormento del suo amico e si assicura allo stile e al contesto delle rime petrose di dante. IL PETRARCHISMO idea di cultura basata sull'imitazione e sulla fedeltà alla tradizione, prendere a modello la poesia amorosa di Petrarca significa acquistare un'identità artistica riconosciuta e apprezzata dalla civiltà aristocratica delle corti. 400'=eclettismo 500'= modello unico della poesia, ovvero Petrarca, grazie a Bembo (edizione Canzoniere, asolani, prose della volgar lingua, rime). Il movimento porta avanti il monolinguismo, temi della donna stilizzata, carnale e spirituale, porta l'uomo al tomento interiore perché lo allontana da Dio. La poesia è una pratica sempre più diffusa nelle corti, mezzo di elevazione sociale per distinguersi dalla massa, strumento per raggiungere la perfezione e la bellezza; diffusione non solo in Italia, ma in tutta Europa tra gli intellettuali professionisti e anche dilettanti e autodidatti; il petrarchismo condiziona costumi e plasma immaginari, moda egemone tra i nobili, ampia produzione di sonetti di corrispondenza. Ideale della classe colta=decoro, misura, ricerca del bello assoluto, amore platonico, amore sublimato, dissidio tra amore spirituale e amore profano, stereotipo femminile di retorica. Mancanza di originalità, temi e linguaggio sempre uguale, imitazione sterile di petrarca vs anti- classisimo ( troviamo opere irriverenti nei confronti di Petrarca, natura reale, concreta, amore carnale e terreno; sonetto caudato ovvero parodia di Petrarca, 2 terzine e 2 quartine+ coda; donna “brutta”, figure emarginate, lontane dalla Laura di Petrarca. Caratteristiche lingua di Petrarca: • monolinguismo; vocabolario selezionato, omogeneo, astratto, aristocratico, indistinto, espedienti retorici, sonetto, monotonia, mancanza di originalità. Poeti: luigi tonsillo (sessualità) galeazzo di tarsia (drammatizzazione dei sentimenti) iacopo sannazzaro ( musicale elaborazione linguistica e trasfigurazione sentimento amoroso) michelangelo buonarroti (rifiuto concezioni e regole) Giovanni della casa ( malessere interiore) vittoria colonna (petrarchismo spirituale) isabella di morra( dolore della prorpia esistenza) Gaspara Stampa ( spontanea narrazione amorosa) LA MATERIA CAROLINGIA La materia carolingia e arturiana vengono rielaborate in chiave popolare e recitate nella forma di cantari, ovvero di narrazioni basate sull'ottava accompagnata dal musica e scenografia. Il pubblico semplice determina il superamento della motivazione etica, che si trovava alla base dei poemi carolingi. Essa si configura come una parodia dei vecchi poemi cavallereschi, personaggi più umani e concreti, viene meno il motivo religioso e più quello terreno dell'amore. In età umanistica il pubblico sofisticato delle corti diviene più sensibile nei confronti delle gesta degli eroi. PROTAGONISTI Il poema cavalleresco avrà grande successo presso la corte, in particolare quella medicea, dove si rafforzò e si arricchì di un intento encomiastico. Direttamente patrocinato e finanziato da Lorenzo de Medici, luigi pulci scrisse il Morgante, vera e propria parodia del mondo cavalleresco: utilizzo di una lingua originale, frutto di contaminazioni colte e popolaresche. Il poema cavalleresco assume connotati diversi alla corte di Ferrara degli estensi, storie legate al ciclo bretone, nascono l'Orlando innamorato di Boiardo, in cui il motore dell'azione è la passione amorosa e l'Orlando furioso, addirittura capace di reggere con Virgilio ed Omero. LUIGI PULCI Egli nasce a Firenze nel 1432 e muore nel 1484, entra a far parte della famiglia dei medici, quando arrivano a corte personaggi come Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, egli viene messo da parte. Costretto a lasciare Firenze, si mette alle dipendenze di Roberto Sanseverino, capitano di ventura fino alla sua morte. Egli sarà accusato di magia e per questo verrà sepolto in terra sconsacrata. OPERE produzione letteraria ha carattere irriverente e stravagante, cultura popolaresca toscana e vena laica ed irriverente • Morgante=commissionato dalla madre di Lorenzo il Magnifico, obiettivo è l'esaltazione religiosa di Carlo Magno, ma invece Luigi Pulci rielabora la tradizione dei cantari popolari innalzandola a quella della poesia giocosa con toni dissacranti. Il poema è scritto in ottave, ha come protagonisti il gigante Morgante, convertito al cristianesimo, che segue il paladino Orlando, i due iniziano delle avventure insieme, gesta iperboliche e incontri stravaganti, tra cui quello con un semigigante Marguette, entrambi ben presto trovarono la morte. La trama è abbastanza disordinata, senza un vero e proprio ordine, insieme dei canti che scaturiscono l'uno dall'altro, in questo caso il monolinguismo di Petrarca viene messo in contrapposizione con il volgare fiorentino. L'obiettivo di Pulci è portare una produzione volgare e popolare di fronte ad un pubblico più raffinato; il morgante si ispira ad opere comico realistiche dell'epoca, in cui si prendevano in giro tutti i valori della società. MATTEO MARIA BOIARDO Egli nasce a Scandiano nel 1441 e muore a Reggio Emilia nel 1494. orfano di padre e cugino di Pico della Mirandola, si trasferisce a Ferrara presso il duca Ercole I. Ebbe un'educazione umanistica, diviene governatore, assistente alla discesa di Carlo VIII in Italia; a causa della sua morte improvvisa, egli dovette interrompere il romanzo, l'Orlando Innamorato, il quale sarà continuato da Ariosto successivamente. OPERE scrisse molte opere, apprezzato fin da giovane alla corte ferrarese. • Amor libri tres=canzoniere di Rime, sul modello di Petrarca, dedicato ad Antonia Caprara, scritto in volgare; i temi privilegiati sono l'amore non ricambiato, la sofferenza per il tradimento subito, l'indifferenza della donna, rassegnazione e patimento. La novità di Boiardo sta nella schietta sensualità, l'abbandono completo ai piaceri terreni, non c'è nessun tormento interiore. • Innamoramento di Orlando/Orlando Innamorato=il pubblico di riferimento è alla corte di Ferrara, si narrano le imprese dei paladini di Francia. Il protagonista è Orlando, paladino di Carlo Magno, Boiardo introduce novità tra cui il tema dell'amore e un mescolamento tra il ciclo bretone e quello carolingio, definita opera caleidoscopica. La trama è confusa a causa dei molti personaggi e di molte situazioni; contenuto principale=amore per Angelica, donna sensuale, lontana dalla donna dello stilnovo, concetto edonistico dell'amore. Tutta l'opera si mostra come uno sfoggio di cultura e di erudizione, l'amore è il vero motore dell'azione. A differenza di Pulci, egli crede che i valori cavallereschi possano essere riportati in auge seppure in maniera diversa; egli è consapevole della distanza spaziale e temporale tra età feudale ed età umanistica per questo promuove il valore della prodezza, tipico della feudalità, facendolo coincidere con la capacità da parte dell'individuo di far fronte ai colpi della sorte, riportando il termine alla visione umanistica del suo tempo. I cavalieri di Boiardo sono uomini rinascimentali, padroni del proprio destino, non sono approfonditi dal punto di vista psicologico; l'obiettivo è di renderli personaggi fiabeschi di un'epoca felice e serena, riflesso di una visione positiva e ottimistica della vita. Lo stile è caratterizzato da un periodare semplice e complesso allo stesso tempo, tipico della varietà tra mescolanza di nuovo e vecchio, stile ibrido abbandonato poi in favore di quello di Ariosto. TRAMA Orlando innamorato Poema cavalleresco (1483-95) in ottave di M.M. Boiardo (1441-1494); i primi due libri, di sessanta canti complessivi, completati nel 1482, vennero pubblicati da Boiardo nel 1483, mentre il terzo libro, interrotto all’ottava 26 del nono canto, fu stampato postumo, insieme ai primi due, nel 1495. Orlando e il cugino Rinaldo, durante una giostra indetta da Carlo Magno, si innamorano di Angelica, fanciulla bellissima alla quale viene ucciso il fratello, Ferraù. Da qui ha origine una lunga serie di avventure, tra mostri e incantesimi, che coinvolgono i due cavalieri, che si contendono l’amore di Angelica, intrecciandosi con le gesta di altri valorosi eroi, tra cui Agricane, Bradamante, Rodamonte e Ruggiero, durante la guerra tra l’imperatore e i Mori, fino all’assedio da parte di questi ultimi di Parigi, dove si è asserragliato il sovrano. Dal punto in cui l’opera è rimasta incompiuta prende avvio la narrazione di L. Ariosto (1474-1533) nell’Orlando furioso (1516). APPROFONDIMENTO OTTAVA  Metrica. - È una strofa di otto versi endecasillabi, di cui i primi sei a rime alternate, gli ultimi due a rima baciata. Molto si è discusso sulla genesi di essa, né ancora la questione si può dire risolta. Secondo l'opinione più comune e forse più persuasiva, l'ottava deriverebbe dallo strambotto o ottava siciliana, che è anch'essa di otto endecasillabi tutti a rime alternate, ma che in Toscana assunse la forma dell'ottava classica. Secondo altri la sua origine sarebbe o dalla stanza di canzone (Casini) o da quella della ballata (Flamini), qual è nel tipo strofico della lauda. Ma è certo che l'ottava appare primamente nella poesia religiosa e giullaresca degli ultimi del sec. XIII e dei primi del sec. XIV, e continua poi ad essere usata nelle sacre rappresentazioni e nei molti cantari cavallereschi o di materia classica del Tre e Quattrocento. Il Boccaccio fu il primo a innalzarla a dignità artistica nel Teseida, nel Filostrato e nel Ninfale fiesolano. Poi seguirono il Poliziano, il Pulci, il Boiardo, coi quali l'ottava divenne il metro esclusivo dei poemi epici o narrativi, e toccò con l'Ariosto la perfezione per l'intima fusione del ritmo col pensiero. L'ottava nel Seicento decade coi molti imitatori dell'Ariosto e del Tasso, ma ancora brilla talvolta nell'Adone del Marino e nella Secchia rapita del Tassoni. Dopo si può dire ch'essa sia finita come metro narrativo, sebbene non ne manchino esempî in poemetti, novelle, cantiche e brevi composizioni epico-liriche. Nell'Ottocento scrissero ottave di bella fattura Niccolò Tommaseo nelle sue narrazioni Una serva, La Contessa Matilde, e Giovanni Marradi nella Sinfonia del bosco. IL TRATTATO Opere utili sia perla crescita morale che per quella pratica, testo argomentativo in cui vengono codificate regole di comportamento, forma di dialogo, scritti in volgare. Il trattato è il luogo che si presta meglio a definire gli ideali di un'umanità nuova, desideroso di sviluppare le proprie attitudini, si tratta di voci provenienti dall'ambiente della corte, che attraverso la conversazione e lo scambio tra diversi punti di vista può parlare di sé. Come lingua viene utilizzato il latino per la dissertazione filosofica e scientifica, il volgare, invece, per le idee sull'amore, sulla bellezza e sul comportamento sociale. In questo periodo vengono seguite le filosofie di Platone e di Aristotele, sviluppo dell'amore platonico-->dall'amore terreno si arriva a quello spirituale e dunque alla bellezza di Dio (negli Asolani di Bembo troviamo la funzione benefica della donna). La letteratura diventa una pratica sociale che razionalizza bisogni e tendenze letterarie e culturali. PIETRO BEMBO Marche sotto la guida di un certo Paglierino, C. fa l'augurio di ogni sorta di fastidio: in gennaio acqua e vento, letti scomodi, la compagnia di donne vizze; di febbraio neve a volontà, servitori scimuniti, terremoti, mogli petulanti; e poi, in aprile, tafani, montoni, asini e ramarri; in maggio torme di villani "scapigliati e gridatori" e ragionar "di pecore e di porci"; così di male in peggio fino al fango e alla ghiaccia di dicembre fra cibi disgustosi di cuochi sciagurati e l'ospitalità di osti maremmani. C. finisce in tal modo per canzonare i nuovi riti di una aristocrazia cittadina che ama riscoprire i suoi valori e modellare i costumi sui codici etici e mondani della pratica cortese, e che per questa via arriva a prospettarsi una sorta di manuale del "bel vivere" - oltre che del "ben vivere" -, in cui ricchezza e liberalità restino gli attributi senza i quali è impedito l'esercizio di ogni cortesia: l'amore, i bei ragionamenti, la caccia, i cani, i cavalli, le danze, i cibi raffinati. DINO COMPAGNI Uomo politico e scrittore (Firenze 1246-47 circa - ivi 1324). Guelfo bianco, partecipò attivamente all'amministrazione del Comune: fu tra l'altro due volte priore, nel 1289, quando si ebbe la vittoria di Campaldino, e nel 1301, al momento dell'ingresso in Firenze, come paciere, di Carlo di Valois, del quale egli ebbe a sperimentare dolorosamente la malafede (evitò l'esilio fruendo di una disposizione che non permetteva la condanna di chi avesse da meno di un anno ricoperto il priorato); gonfaloniere di giustizia nel 1293 e, prima, console nell'arte della seta, capitano di Orsanmichele, consigliere del Comune. Probabilmente appartengono alla sua gioventù le rime che vanno sotto il suo nome e, se suo, il poemetto allegorico L'intelligenza. Ma l'opera cui è legato il suo nome è la Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi, che abbraccia la storia di Firenze dal 1280 al 1312, assai significativa per la sincerità e la passione con cui il C. esprime il suo sdegno di uomo onesto e amante della patria contro i politicanti della fazione dei Neri: atteggiamento analogo, ma più ingenuo e limitato, a quello di Dante nella Commedia. Più che storico e cronista il C. è un politico che sogna una soluzione dei problemi che angustiano la patria e il risentimento dell'uomo di parte è tutt'uno con la pena del cittadino che vede troppo lontana tale soluzione e di ciò si accora e amareggia. I dubbi sull'autenticità della cronaca, sollevati nell'Ottocento, sono stati poi abbandonati. COMPIUTA DONZELLA Nome convenzionale di una rimatrice fiorentina della seconda metà del sec. XIII. Mancano notizie della sua vita. Dei tre sonetti che ci rimangono, veramente grazioso e vago d'ingenua freschezza è quello ove con voce mite si duole, nel dolce tempo che tutti rallegra e invita all'amore, e lei rattrista, che il padre voglia darle marito contro sua voglia (A la stagion che'l mondo foglia e fiora). In un altro, guasto un po' dal tono sentenzioso qua e là, trepida per le oscure nozze che il padre le prepara, vorrebbe dedicarsi tutta al servizio di Dio. Fu in corrispondenza con maestro Torrigiano, cui indirizzò, per ringraziarlo dei molti e sperticati elogi, un sonetto assai mediocre. FOLGORE DA SAN GIMIGNANO Uomo d'armi e poeta, figlio di un Michele che risulta già morto nel 1305, nacque a San Gimignano (presso Siena), forse tra il 1265 e il 1275, da famiglia di cui ignoriamo, per il silenzio delle fonti, le condizioni economiche e lo stato sociale. F., nome con cui egli fu conosciuto dai suoi contemporanei, con cui appare sempre indicato nei documenti coevi e con cui è ancora universalmente e unicamente noto alla storia e alla critica letteraria, è in realtà un onorifico e deve intendersi come fulgore, splendore. Il nome di battesimo di F., lacobo, ci è stato conservato soltanto da un atto del 25 luglio 1367 relativo agli eredi del figlio Stefano che vi sono appunto indicati come "heredes Stefani quondam Domini Jacobi vocati Folgori de sancto Geminiano". F. si impegnò per la parte guelfa, soprattutto negli anni di predominio in Toscana di Uguccione della Faggiola (1313-1317). La sua morte deve essere collocata tra il 1317 e il 1332. Pochissimo altro si sa di lui. PIER DELLA VIGNE Pur essendo quasi certo che P. abbia svolto un'attività propriamente poetica, oltre al suo incarico a capo della cancelleria imperiale, è estremamente delicato determinarne nei dettagli l'estensione e attribuirgli con sicurezza gli scritti che ci sono giunti sotto il suo nome. Le lettere di P. ‒ così come sono state raggruppate dopo la sua morte ‒ contengono numerosi documenti scritti da suoi collaboratori o discepoli, e in special modo da Nicola da Rocca, ma gli si può ragionevolmente attribuire una buona parte dei virtuosismi linguistici presenti, in particolare, nel terzo libro, o certe lettere di deplorazione del quarto, che partecipano di una dimensione già pienamente letteraria e privata, piuttosto che pubblica. Del resto, le invenzioni ritmiche di un gran numero di passaggi delle più celebri lettere politiche del primo o del secondo libro, gli stretti legami tra le tecniche dell'ars dictaminis, praticata nella corte imperiale, e la capacità di scrivere in un latino virtuoso rithmice, prosaice et metrice, secondo gli schemi retorici delle artes poetrie, inducono a supporre che P., al pari di altri letterati della cerchia di Federico II, abbia potuto esercitare i suoi talenti nelle composizioni metriche o ritmiche latine, come pure che abbia potuto partecipare, insieme ad altri familiari dell'imperatore, alla creazione della Scuola poetica siciliana (v.). In realtà i problemi di attribuzione di alcune composizioni in latino o in italiano tramandate a suo nome sono tali da non consentire di pronunciarsi con certezza in merito alla loro autenticità. All'interno di queste vestigia, si possono distinguere tre gruppi dallo statuto diverso: i primi due con le composizioni in latino e in italiano di autenticità problematica, il terzo con le creazioni posteriori o fantasiose in latino o in italiano, legate alla leggenda letteraria di Pier della Vigna. Per quel che concerne le composizioni in latino di autenticità problematica, spiccano due pezzi ritmici, attribuiti a P. nei manoscritti, che provengono senz'altro dalla corte di Federico II e, a rigore, potrebbero essere opera del maestro capuano. La prima composizione, che tratta dei dodici mesi dell'anno (Sunt in ianuario maximi algores), è estremamente banale e non si discosta da una cultura media che non dà spazio ad alcuna originalità di tono o di idee. Non si può dire altrettanto della seconda, una satira mordace contro la Chiesa e gli Ordini minori (Vehementi nimium commotus dolore), che, per le idee che esprime, potrebbe essere accostata a certi pamphlets o satire scritte alla corte imperiale dopo la seconda scomunica dell'imperatore, per esempio Collegerunt pontifices  (Pier della Vigna, 1740, I, 1). Nondimeno, in mancanza di allusioni personali, è assolutamente impossibile attribuire con certezza l'uno o l'altro pezzo a P., in quanto i vincoli del genere ritmico rendono a priori perfettamente inutile la ricerca di paralleli con le lettere, per non parlare dei problemi di attribuzione sollevati da queste ultime. In compenso, si può avvicinare in particolare il secondo pezzo al celebre poema ritmico dedicato da Terrisio di Atina (v.) a Federico II. Si tratta della medesima tecnica di composizione ritmica ispirata ai componimenti del Primat e alla poesia goliardica francese del XII sec., che, come è noto, era praticata con una certa vivacità nell'Italia meridionale degli ultimi Svevi. Si può forse aggiungere a queste due composizioni dallo statuto incerto un breve prosimetro di tono elegiaco che mescola prosa, esametro e pentametro, conservato in due manoscritti, che per il tema trattato evoca le composizioni di scuola siciliana (Cum plurima tempora sint transcursa). Non troppo diverso è il discorso che riguarda le poesie in volgare. Gli studiosi italiani concordano, se pure con una certa cautela, nell'attribuire tre poesie in volgare a P., secondo le indicazioni di più antichi e attendibili canzonieri che contengono le opere della Scuola poetica siciliana. Queste canzoni d'amore, i cui temi sono ispirati alla lirica provenzale, non si discostano nelle tematiche o nella struttura da produzioni analoghe. L'attribuzione di Amore, in cui disio ed ho speranza appare un po' più plausibile, mentre Amando con fin core e con speranza può, a rigore, essergli accostato sul piano linguistico e stilistico: i due pezzi presenterebbero una facies molto particolare nel complesso della produzione poetica siciliana. Lo statuto di Uno piasente isguardo comunica, partendo dagli stessi criteri, maggiori inquietudini. Comunque sia, questi tre pezzi, che non sfigurano tra gli altri poemi della Scuola siciliana, non presentano, neppure loro, tratti che li ricolleghino concretamente, e in maniera stringente, alle altre attività di Pier della Vigna. La poesia cortese in lingua siciliana, per i suoi temi e la sua tecnica, forma un universo a sé stante, le cui regole formali si accordano con quelle del dictamen latino, o anche della poesia ritmica latina, solo per alcune analogie retoriche molto generali. In questo senso l'accostamento talvolta prospettato con il pastiche del XIII canto dell'Inferno dantesco, dove il poeta fa parlare P. in un linguaggio che imita, in parte, i tratti caratteristici della retorica delle lettere di Federico II, non dovrebbe essere un'allusione alle poesie in volgare del logoteta; è pur vero che nelle cerchie toscane che si ispiravano, nella generazione di Brunetto Latini e dello stesso Dante, alle tecniche di scrittura in voga nel Meridione sotto Federico e Manfredi, queste stesse poesie erano state ricondotte alle virtù retoriche e oratorie di Pier della Vigna. È d'altronde proprio a questa fama di P. che si deve far risalire la profusione di pezzi apocrifi, in versi o in prosa, che gli sono stati attribuiti. Pur senza contarli nella loro totalità, si può menzionare, per esempio, la celebre poesia ritmica in latino del Pavo naturalis, opera di Alexander von Roes, e, nell'ambito delle produzioni in lingua volgare, una canzone particolarmente popolare che fece di P. e di Federico II i nuovi protagonisti di un racconto d'origine orientale, in cui l'imperatore si giustificava di fronte al suo cortigiano tradito dell'accusa di adulterio. Questi componimenti poetici si aggiungono quindi alla leggenda del Livre des trois imposteurs, prodotto della propaganda papale, e alla moltiplicazione delle lettere attribuite al logoteta, illustrando sia il rilievo assunto dopo la morte dalla figura del grande stilista in Italia, e addirittura in Europa, sia la difficoltà di attribuire con certezza a P. testi letterari, nella sfera epistolare come in quella poetica. Questa difficoltà, in ultima istanza, si spiega ampiamente tenendo conto delle modalità di produzione sia delle lettere della cancelleria, frutto di un autentico lavoro d'équipe, sia dei poemi d'intrattenimento, anch'essi risultato di un'interazione fra le diverse cerchie della corte e del potere siciliano: è senz'altro vano voler spingere troppo in là il gioco delle attribuzioni in un mondo in cui i criteri d'autorità erano radicalmente diversi da quelli vigenti attualmente. JAUFRE' RUDEL È uno dei più antichi trovatori, nato a Blaye nella Saintonge, a cui uno dei manoscritti e la biografia danno il titolo di principe; era dunque dei signori di Blaye, forse un cadetto di Jaufre Rudel I, fratello di Gerardo II ricordato nel 1160 e 1164. La sua biografia, del sec. XIII, narra di lui che "s'innamorò della contessa di Tripoli (della Siria), senza vederla, pel bene che ne sentì dire ai pellegrini reduci da Antiochia, e compose per lei più canzoni con bella musica e povere parole. E per volontà di vederla si crociò e si mise in mare; e ammalò nella nave e fu portato a Tripoli per morto in un albergo. E lo fecero sapere alla contessa, che si recò da lui, al suo letto, e lo prese fra le braccia, onde egli seppe chi era e riebbe i sensi e lodò e ringraziò Dio che lo aveva mantenuto in vita sin che l'ebbe vista. E così morì fra le sue braccia, ed ella lo fece seppellire con grande onore nella Magione del Tempio; e poi quel giorno si rese monaca pel dolore che ebbe della morte di lui. A questo racconto accennò Petrarca dicendo di lui "che usò la vela e il remo a cercar la sua morte" (Trionfo d'amore, IV), e tardivi trovatori; in tempi a noi vicini ne furono inspirati Heine, Uhland, Carducci, Rostand. Ma è una mera leggenda. Innegabile è che R. si recò con la seconda crociata del 1147 in Terrasanta, dove gli mandò una sua composizione il trovatore Marcabruno; forse partì con amici, quali Ugo Bruno conte della Marche, menzionato in Quan lo rius, il conte di Tolosa Alfonso Giordano e Bertrando suo figlio naturale, in No sap chantar, che salparono da Bouc (Aigues-Mortes), e arrivarono ad Acri il 15 aprile 1148. Ma quella contessa non può essere né Odierna, moglie di Raimondo I che, quarantenne nel 1148, sopravvisse al marito ucciso dagli Assassini, e morì nel 1161, senza essersi monacata; né sua figlia Melisenda, fidanzata all'imperatore Manuele Commeno e datasi, dopo l'abbandono nel 1162, ad opere di pietà, senza mai essere la contessa di Tripoli; nel 1148 era una fanciullina. La leggenda, che deve la sua fortuna come tipica dello spirito di cavalleria e di avventura e di fanatismo amoroso attribuito a quell'epoca, fu inventata per saccenteria giullaresca (come accadeva sempre in tali biografie) sulle poesie stesse di R., pochissime, non più di sei accertate, ma notevolissime. Sono tutte di amore, ma non si dirigono mai alla donna, non esprimono adorazione e supplicazione, sibbene raccoglimento nel desiderio e nel ricordo, dove ella è sempre lontana, e irraggiungibile; la felicità sta nel pensare e nel sognare e in una speranza, che purtroppo non si crede attuabile. Egli dice che suo destino è di amare senza essere amato. I versi "Amors de terra lonhdana Per vos totz lo cors mi dol" (in Quan lo Iniziatosi alla corte di Poitiers, dove era ormai fiorente la tradizione lirica, il M. ne risenti le idealità cavalleresche e amorose sotto gli aspetti religiosi e moralistici, ma non già con coscienza ricostruttiva, bensì con atteggiamento negativo e pessimistico, che si traduceva nel disprezzo, nell'ironia, nel misoneismo. Ma poiché la sua morale si fonda sulla realtà passionale, finiscono col dominare anche nel suo canzoniere i grandi sentimenti aristocratici e trovadorici, tutti però idealizzati e allegorizzati come mitiche forze della società umana che dispensano la luce e le tenebre. Si delinea perciò una poesia a duplice piano: ora di tono intellettualistico, con note semplici e riposanti; ora di sensibilità realistica, senza falsi pudori, con un linguaggio crudo, plebeo e non di rado inintelligibile per la sua rarità lessicale e per il suo senso allusivo ed ermetico. Sono esperienze umane e formali che saranno riprese dalla poesia posteriore; ma la figura poetica del M., sebbene irregolare e troppo indulgente alla realtà empirica, rimarrà tra le più singolari del mondo trovadorico, per la violenta e tormentata vigoria del suo temperamento. DANTE DA MAIANO Nacque presumibilmente poco prima della metà del XIII secolo. Oltre al nome della località di cui era originario, Maiano appunto, un borgo del circondario fiorentino, niente altro conosciamo di lui se non quanto ci viene dal suo stesso canzoniere, tramandatoci in un'unica redazione nei libri VII e XI della cosiddetta Giuntina di rime antiche, l'importante silloge dell'antica poesia toscana pubblicata a Firenze presso i Giunti nel 1527. La circostanza anomala dell'assenza di testimonianze manoscritte anteriori alla succitata edizione ha fatto mettere in dubbio, soprattutto sul finire dell'Ottocento, la stessa reale esistenza del rimatore, essendosi supposto che il gruppo di rime iscritte a suo nome fosse il frutto di un'abile falsificazione umanistica. Fu il Borgognoni a impegnarsi nella dimostrazione di questa tesi, a cui si opposero dapprima il Novati poi il Bertacchi e il Debenedetti. Il Bertacchi in particolare, che fu anche il primo editore moderno del canzoniere maianesco, nel tentativo di dare consistenza storica all'autore, riuscì a produrre un documento custodito presso l'Arch. di Stato di Firenze (M 293: Prot. di Ser Matteo Biliotto da Fiesole, 1300-1314, c. 22r), da cui risulta che nel 1301 in Firenze un tal Dante, detto Magalante, figlio di ser Ugone da Maiano e abitante nel popolo di S. Benedetto, fu richiesto in mundualdum, cioè come tutore, da una Lapa sua cognata, vedova di Vanni di Chello Davizzi. Che questo Dante, detto Magalante, fosse la stessa persona del Dante dei componimenti della Giuntina non poteva dirsi con certezza; se tuttavia quell'identità fosse stata riconosciuta, la data del 1301, come quella in cui era caduta la richiesta di tutorato, e quindi la deduzione che una siffatta richiesta non avrebbe potuto essere rivolta a persona di età non matura lasciavano intravedere una collocazione di D. compresa tra la seconda metà del sec. XIII e il primo decennio del successivo: dunque se non proprio coincidente in termini anagrafici con quella dell'Alighieri, con il quale sempre secondo la testimonianza della Giuntina D. avrebbe scambiato dei sonetti in tenzone, di poco anticipata. La scoperta del Bertacchi valeva comunque a dimostrare che un Dante da Maiano era realmente vissuto a Firenze proprio negli anni in cui la lingua e lo stile del canzoniere tramandatoci dalla silloge giuntina suggerivano la collocazione biografica del rimatore. La questione dell'esistenza di D. fu poi risolta definitivamente, e in senso positivo, dal Debenedetti, mediante l'accertamento dei caratteri originali, assolutamente non falsificabili, delle componenti grafiche e linguistiche dei testi maianeschi; risoluzione confortata dal reperimento di due sonetti in lingua provenzale ascritti a D. in un ms. del sec. XV (Firenze, Bibl. Medicea- Laurenziana, Laur. Plut. XCinf. 26, c. 138v), risalente dunque ad anni che in nessun modo potevano esser giudicati sospetti. Di D. restano sconosciuti anche l'anno e il luogo della morte. Il posto occupato da D. nel panorama della poesia toscana tardo-duecentesca è per molte circostanze singolare. Infatti, se le referenze cronologiche, per quanto incerte, ne suggeriscono l'apparentamento a quel nutrito gruppo di rimatori toscani attivi tra il 1260 e il 1280, come Monte Andrea, Guido Orlandi, Compiuta Donzella, Rustico di Filippo e altri, impegnati per un verso a continuare i modi dell'antica poesia provenzaleggiante, per un altro a recepire i segnali del rinnovamento poetico lanciati dal nascente Stilnovo, le rime di D. (quarantotto sonetti, di cui nove in tenzone, cinque ballate e due canzoni; più un altro gruppetto di rime di dubbia attribuzione), proprio nel momento in cui era più acuta la tensione per il passaggio dalla vecchia alla nuova maniera, si dimostrano del tutto sbilanciate nel senso della tradizione. Avendo D. un'idea della poesia come esclusivo esercizio retorico, perciò al di qua di ogni impegno umano e personale, impegno che rappresentava una delle novità sostanziali dello Stilnovo, il suo metodo compositivo finisce per essere soltanto centonistico. Le fonti si allargano a ventaglio da Bernard di Ventadorn a Chiaro Davanzati, attraverso i siciliani (soprattutto il Notaro) e Guittone; ma la loro utilizzazione coincide con un gioco esasperante di scomposizione e ricomposizione, condotto fino a sazietà su materiali poetici declassati alla funzione di comodo trovarobato. Quindi non più che documentaria l'importanza che riveste il canzoniere maianesco, sia che lo si voglia definire con la Bettarini "un pastiche didattico formulato verso la fine del sec. XIII per congelare una cultura che andava scomparendo" (p. XXII), sia che lo si dica con le parole del Quaglio "una silloge archeologica della produzione anteriore e contemporanea" (p. 329). Del resto questa tendenza arcaizzante è anche documentata dai due sonetti in lingua provenzale, un provenzale molto approssimativo, che tuttavia richiama esperimenti consimili praticati nello stesso periodo in Toscana, per es. dal pistoiese Paolo Lanfranchi. Ma la ragione principale della notorietà di D. consiste probabilmente nel fatto che ben sei dei suoi sonetti sono in tenzone con sonetti di Dante Alighieri. La tenzone, una pratica diffusa soprattutto nel sec. XIII, consisteva in una disputa in versi (sonetti o canzoni) tra chi proponeva una questione, generalmente di argomento amoroso, e chi ad essa rispondeva, conservando per lo più le stesse rime del componimento di proposta. Sono ben quattro le tenzoni oggi documentate tra D. e l'Alighieri. L'unica avviata dall'Alighieri, con il son. "A ciascun' alma presa e gentil core", a cui oltre a D. rispondono Guido Cavalcanti e come pare Terino da Castelfiorentino (il sonetto di proposta diventerà poi quello d'apertura della Vita nova), è probabilmente anche la più tarda delle quattro; le restanti sono tutte promosse da Dante da Maiano. Di queste, una muove dal son. "Provedi, saggio, ad esta visione" e concerne appunto la spiegazione di una visione: a cui risponderanno anche Chiaro Davanzati, Guido Orlandi, ser Cione, Salvino Doni e Ricco da Varlungo. Un'altra si distende per ben cinque sonetti (tre di D., due dell'Alighieri), ed è quella che dal Pellegrini in poi è stata chiamata la tenzone del "Duol d'amore", essendo oggetto del discutere quale sia il maggior dolore amoroso. In un'altra ancora, D. chiede con il son. "Amor mi fa sì fedelmente amare" se sia vero che contro Amore non valga alcun riparo, opinione su cui l'Alighieri sostanzialmente concorda con il son. "Savere e cortesia, ingegno e arte". Tuttavia, al di là della convenzionalità che questi scambi comportavano, le tenzoni in questione suggeriscono qualche elemento utile a formulare delle ipotesi sulla biografia del nostro rimatore: anzitutto il fatto che l'Alighieri dimostra di non conoscere D., al quale egli si rivolge con tono apparentemente ossequioso; quindi la maggior età di D. tra i due, che si desume anche da un certo atteggiamento di superiorità da lui esibito nei confronti del futuro autore della Commedia. E ciò rimanda evidentemente agli esordi dell'attività poetica dell'Alighieri, iscrivendosi dunque questa corrispondenza in versi negli anni iniziali del penultimo decennio del XIII secolo. Non più che una curiosità risultano infine i tre sonetti scambiati da D. e da una monna Nina, detta senza alcun fondamento "siciliana" dall'Allacci, che rappresentano secondo la Bettarini (p. 168 n.) "un contrasto fittizio tra madonna e messere", ma che nei secoli scorsi fecero addirittura favoleggiare di un'amante lontana del poeta. GIUSTO DE' CONTI Nacque, probabilmente a Roma, intorno al 1390. Di certo della biografia del C. si sa solo l'anno della composizione del canzoniere, alcune notizie sulla sua presenza in Rimini poco prima della morte e la data della morte. Il nome stesso del poeta è tramandato in forme diverse: lo troviamo di volta in volta menzionato come "Giusto Romano", "Giusto da Valmontone", "Iustus nat. de Comptis", mentre Celso Cittadini lo chiama "Iacopo Giusto Conti Romano". L'anno della nascita non è sicuro, e si congettura possa essere il 1389 0 il 1390 (Salfi); a ragione non la si può far risalire molto indietro fino a rendere il poeta coetaneo del Petrarca (come invece riteneva Celso Cittadini) o comunque fino ad ipotizzare una qualche forma di contatto tra il Petrarca anziano e Giusto giovanetto, come è affermato in un articolo, forse dello Zeno, apparso nel Giornale de' letterati d'Italia del 1721-22, nel quale viene accettata come vera la data della composizione del canzoniere trascritta dal Corbinelli (1409 invece di 1440). Anche il luogo d'origine del poeta è incerto, come pure il suo casato. Alcuni lo vollero nato a Valmontone, ma, in assenza di documenti specifici e attenendosi all'appellativo con cui è quasi sempre indicato (appunto "Romano"), lo si deve considerare nativo di Roma; sulla scorta del Ratti, si ritiene Giusto un illegittimo della famiglia Conti del ramo di Valmontone. La condizione di illegittimo spiegherebbe l'assenza del suo nome dagli alberi genealogici della famiglia Conti e, insieme, la sua partenza da Roma e la mancanza del cognome nell'iscrizione che Sigismondo Malatesta fece apporre al suo sepolcro ("Iustus orator Romanus iurisque consultus d. Sigismundo Malatesta Pan. F. rege hoc saxo situs est") e la dicitura "nat[uralis] de Comptis" con la quale è indicato in alcuni manoscritti.Anche ammessa l'appartenenza del poeta alla nobile casata romana, resta da precisarne la paternità. Il Ratti nel suo accurato lavoro fa a questo proposito il nome di Ildebrandino, che, unico tra i suoi fratelli, "ebbe feconda, e numerosa prole". Particolare curioso, ma che può comunque avere una certa importanza e che di certo l'ebbe agli occhi del Ratti, i figli di Ildebrandino portarono tutti nomi stravaganti e in ogni caso del tutto nuovi rispetto alle tradizioni della famiglia: vi troviamo infatti un Alto, un Grato, un Lucido e un Sagace: un Giusto non avrebbe potuto trovare migliore compagnia. Si sa che il C. fu interpres utriusque iuris, ma frutto di sola congettura è l'affermare che abbia studiato a Bologna, dal momento che nulla di simile risulta dalle testimonianze dei contemporanei o dalla documentazione di quella università. Altrettanto infondata la notizia che lo vuole senatore romano: essa risale al Corbinelli (che defini Giusto "romano senatore" nella sua edizione de La bella mano) ed è stata propagata a lungo tanto che ancora nel 1846, in un'incisione premessa ad una raccolta di lirici pubblicata nel Parnaso italiano, il poeta è rappresentato nella veste tipica dei senatori romani. Se è incerto che a Bologna abbia condotto i suoi studi, sembra fuori di dubbio che in tale città si sia svolta la storia d'amore cantata dal poeta nel suo canzoniere. Molte le ipotesi con le quali si cerca di dare un nome ed un cognome alla sua "amasia" o, al contrario, di cancellarla del tutto facendone un mero frutto di fantasia. Già in epoca contemporanea al poeta alcuni manoscritti recavano scritto il nome dell'amata (D. Iustus de Valmontone ad Ysabettam Bononiensem; Canzonitia Cl. V. Iusti De Valmontona ad Ysabettam Bononiensem Amasiam suam), ed il Manchisi ha visto nella quinta stanza della III canzone del canzoniere ("In quella parte, dove i miei pensieri") un acrostico che dà "Isabeta mia gentile". L. Frati (1908) propose di identificare l'Isabeta cantata dal poeta con un'Elisabetta Bentivoglio, andata in sposa il 22 ott. 1441 a Guido de' Pepoli, dottore in legge. In precedenza però il Mazzuchelli, traendo lo spunto da un "sacro loco" menzionato in un sonetto, aveva ipotizzato che l'amore del C. fosse per una giovane monaca. mentre il Ratti aveva concluso "che nella sola poetica di lui fantasia esistesse l'oggetto amato". Su una strada del tutto diversa il Renazzi, quando scrive che del C. "si sa solamente che esso in Roma nel 1409 s'accese d'amore per una fanciulla". Dell'attività letteraria del C. non si ha alcuna documentazione al di là di uno scambio di sonetti con Rossello Rosselli e con Angiolo Galli. Né documenti più precisi si hanno del resto fino al 1446 (al di là di un soggiorno fiorentino tra il 1438 ed il 1440 al seguito di Eugenio IV), anno in cui è presente nella Marca anconitana come tesoriere pontificio. Da allora è possibile seguire la sua opera di mediatore, come inviato di Niccolò V, tra Sigismondo Pandolfo Malatesta e Federigo da Montefeltro, ed il successivo trasferimento alla corte di Rimini, al seguito del Malatesta, in veste di consigliere segreto, giudice e uditore. Nella corte malatestiana, benvoluto dal suo signore e ben accetto dalla comunità dei dotti e degli artisti, il C. morì il 19 nov. 1449 e, dopo una prima sepoltura "a' Francescani" (Battaglini, p. 87), fu onorato con un sepolcro sulla fiancata del tempio di L. B. Alberti. rinsaldare i legami con le famiglie del patriziato fiorentino, contribuendo a risollevare gli Strozzi al rango dei grandi mercanti e imprenditori della città, dal quale erano stati estromessi trent’anni addietro. L’operazione, condotta a Firenze dalla madre e dal cognato, insieme ad altri familiari e amici, rientrava quindi in una più ampia strategia di reinserimento nella gerarchia sociale della città d’origine. Dopo una lunga fase di indagini e negoziati l’accordo, per quanto riguarda Filippo, fu trovato nel 1466, quasi in contemporanea con il richiamo in patria. La scelta cadde su Fiammetta, una giovane donna di casa Adimari, antico e prestigioso lignaggio, benché un po’ declinato rispetto ai fasti due- trecenteschi. Il 30 novembre Filippo Strozzi fece finalmente ritorno a Firenze e in gennaio celebrò le nozze. In modo simile si concluse pochi anni più tardi, nel 1470, la ricerca per Lorenzo, cui toccò in moglie Antonia Baroncelli, appartenente anch’essa a una schiatta di illustri tradizioni. Si trattò in entrambi i casi di operazioni che obbedivano all’imperativo di imparentarsi con ottimati fiorentini, ma che nel contempo venivano incontro alle aspettative del mondo aristocratico napoletano. Dopo gli avvenimenti del 1434-35, l’anno 1466 rappresentò nella vita di Filippo Strozzi una nuova cesura, stavolta benigna. La svolta fu repentina, ma costituì lo sbocco finale di una lunga fase di ricostruzione portata avanti con ben venticinque anni di tenace operosità nel campo degli affari, durante i quali egli riuscì a imporsi come uno dei principali mercanti-banchieri del Regno di Napoli. Per gran parte di questo periodo, tuttavia, Filippo Strozzi continuò a sottostare al cugino Niccolò, che lo aveva preso sotto la sua protezione, ma che nel contempo ne limitava l’indipendenza. Nella stessa condizione venne a trovarsi Lorenzo, rimasto a Bruges alle dipendenze di Jacopo Strozzi fino alla morte di questi, sopraggiunta nel 1461. A quel punto, piuttosto che mettersi in proprio nella città fiamminga, egli preferì raggiungere il fratello maggiore a Napoli. La riunione dei due fratelli giovò probabilmente alla loro autonomia da Niccolò, ultimo superstite dei tre figli di Leonardo Strozzi, i cui affari si stavano peraltro trasferendo a Roma. Negli anni Sessanta le individualità di Filippo e Lorenzo Strozzi emersero più chiaramente nel panorama imprenditoriale napoletano. È del 28 gennaio 1463 un atto del re Ferrante d’Aragona che concedeva a Filippo il privilegio di poter condurre affari nel Regno di Napoli. Due anni più tardi Lorenzo fu nominato console della ‘nazione’ fiorentina sulla piazza napoletana, a riprova della considerazione di cui godeva fra i mercanti suoi concittadini, malgrado lo status di esule. Perfino i Medici, dopo la morte di Cosimo, mostrarono una crescente stima nei confronti dei due fratelli facendo spesso affidamento su di loro per funzioni di rappresentanza presso la corte regia napoletana. Nel maggio del 1465, ad esempio, Piero de’ Medici si servì di Filippo Strozzi per consegnare in dono una galea al re Ferrante, e un anno più tardi, pochi mesi prima della revoca dell’esilio, fu ancora lo Strozzi ad accogliere e accompagnare il giovane Lorenzo de’ Medici nella sua visita a Napoli. D’altronde, fin dal 1455 Filippo Strozzi, benché ancora sotto l’egida di Niccolò, agiva come uno dei corrispondenti dei Medici per i loro affari nel regno. Ma il rapporto di collaborazione si spinse ben oltre, se è vero che verso la metà degli anni Sessanta si costituì una sorta di joint venture fra i Medici, il banco napoletano di Filippo Strozzi e il locale gruppo mercantile dei Coppola per l’acquisto e l’esportazione del grano di Puglia verso Venezia, Firenze e altri lidi. All’epoca la compagnia dei due fratelli Strozzi si era già assicurata una posizione di primissimo piano nell’orizzonte economico e finanziario del Regno di Napoli. Determinante fu il credito che Filippo Strozzi seppe guadagnarsi presso Ferrante d’Aragona, che lo fece suo consigliere, e il di lui figlio Alfonso duca di Calabria, divenuto suo amico personale: un patronato di altissimo livello che gli garantì il conseguimento della grazia nel 1466 e un ruolo centrale nell’amministrazione delle finanze del Regno, ma che nel contempo fu ampiamente ripagato con l’erogazione generosa e tempestiva di forti prestiti alla Corona, in anni di elevatissime spese militari per contrastare il revanscismo angioino e l’aggressività dei baroni. La compagnia Strozzi, il cui capitale era di 16.000 monete di Napoli (tre quarti investiti da Filippo e un quarto dal fratello Lorenzo), si articolava in due gestioni separate: il fondaco, ovvero l’impresa commerciale, diretto dal fratello minore, e il banco guidato dal maggiore. Il banco non era incorporato nel fondaco, come di consueto, ma indipendente, configurandosi come una pura azienda di credito dedita alla raccolta del risparmio e al suo investimento. Tale fisionomia è ben riconoscibile fin dal 1466, quando inizia la documentazione aziendale superstite. L’attività commerciale aveva come cardini da un lato l’acquisto di prodotti agricoli e materie prime provenienti da varie aree del Regno, che venivano collocati nella capitale o nei maggiori centri della penisola italiana e, dall’altro, l’importazione di manufatti, soprattutto toscani. Fu tuttavia il banco a far registrare il successo più eclatante, al punto da affermarsi come il più importante del Regno. L’aspetto qualificante della sua attività fu il servizio di cassa per conto dello Stato, come si evince chiaramente da due libri-giornale del banco del 1473 e 1476, che documentano i rapporti sistematici con la tesoreria generale e l’ufficio del percettore generale del Regno. I sovrani aragonesi si affidarono al banco Strozzi non solo per la sua capacità di fornire prontamente il necessario sostegno finanziario, ma anche per la razionalizzazione dei conti pubblici che esso era in grado di assicurare con la sua organizzazione e il suo avanzato know-how tecnico-contabile. Un decisivo impulso alla compagnia fu impresso dall’eredità di Niccolò Strozzi, il quale, venuto a mancare verso la fine del 1469 senza lasciare né moglie né figli, nominò Filippo e Lorenzo Strozzi suoi successori. Essi ne acquisirono non soltanto l’immenso patrimonio, ma anche la vasta clientela. Gli anni Settanta videro perciò una forte crescita dell’azienda, in controtendenza con il trend generale del periodo, quando molte banche fiorentine, compresa quella dei Medici, entrarono in crisi e, in molti casi, chiusero del tutto. Gli effetti sono ben visibili nell’espansione del patrimonio di Filippo Strozzi, che si accrebbe di quasi quattro volte (da 31.000 a 112.000 fiorini d’oro) fra il 1471 e il 1483. Nei successivi otto anni – gli ultimi nella vita di Filippo Strozzi – si registrò un assestamento (fino a 116.000 fiorini), che tuttavia ne consolidò l’altissimo livello malgrado le ingenti spese sostenute in campo edilizio. Sull’onda del successo il raggio d’azione di Filippo Strozzi si allargò oltre il Regno di Napoli. Nel 1470 egli aprì una filiale a Firenze, di cui prese personalmente le redini, lasciando a Lorenzo la direzione dell’azienda napoletana. Benché qui fosse ancora concentrata la gran parte delle risorse, neppure la morte del fratello, avvenuta il 9 ottobre 1479, lo indusse a cambiare i suoi programmi, cosicché la compagnia di Napoli fu affidata a Gioacchino Guasconi, già socio degli Strozzi. Nel 1482 l’impero finanziario di Filippo Strozzi si arricchì di una terza filiale a Roma. Per Filippo Strozzi il destino futuro del suo patrimonio e delle sue aziende, alla cui crescita aveva affidato il pieno rilancio del casato dopo la prolungata esclusione, furono fonte di costante preoccupazione. Indubbiamente egli fece del suo meglio per assicurarsi una discendenza, diventando padre per ben tredici volte. Da Fiammetta Adimari nacquero sette figli, tre dei quali raggiunsero l’età adulta: il maggiore, Alfonso, nato nel 1467, ebbe come padrino di battesimo il duca di Calabria, dal quale trasse il nome; le sue sorelle, Marietta e Fiammetta, andarono in moglie rispettivamente a Simone Ridolfi e a Tommaso Soderini, figure di primissimo piano dell’élite fiorentina. La morte della moglie il 23 agosto 1476, probabilmente per le conseguenze del parto dell’ultima figlia (che perciò ne assunse il nome), spinse Filippo Strozzi a risposarsi. La scelta cadde su Selvaggia, figlia di Bartolomeo Gianfigliazzi, con la quale convolò a nozze già nel settembre del 1477. Dal secondo matrimonio nacquero altri sei figli, quattro dei quali andarono oltre l’infanzia: due femmine, Alessandra (1479) e Caterina (1485), destinate a unirsi in matrimonio con due membri della famiglia Capponi, Niccolò e Gino; e due maschi, Lorenzo (v. la voce in questo Dizionario), che avrebbe raggiunto una certa notorietà come letterato e come biografo del casato, e Giovan Battista, al quale due anni più tardi, a causa della morte del padre, sarebbe stato mutato il nome in Filippo (v. la voce in questo Dizionario). Protagonista della storia politica fiorentina dei primi decenni del Cinquecento, quest’ultimo divenne noto come il Giovane per distinguerlo dal padre, indicato come il Vecchio. L’integrazione nella Firenze medicea passava naturalmente dalle buone relazioni con Lorenzo il Magnifico e con il suo entourage. Le fonti non lasciano molti dubbi sulla stima reciproca che intercorreva fra il signore de facto di Firenze e il facoltoso banchiere, grazie anche alla prudenza del secondo al quale la lunga esperienza napoletana aveva insegnato a trattare con i capi di Stato. Strozzi era l’unico fiorentino che potesse competere con Lorenzo de’ Medici in fatto di ricchezza, ma proprio questa consapevolezza lo indusse probabilmente a dimostrarsi sempre leale nei suoi confronti. Ciò potrebbe spiegare la perdurante marginalità di Strozzi nella vita politica attiva, frutto verosimilmente di una scelta ben precisa. La sua partecipazione agli uffici, benché di alto livello, appare infatti molto ridotta, limitandosi a un mandato con gli Ufficiali del banco nel 1478, un bimestre nella Signoria (novembre-dicembre 1485) e un’elezione fra i Sei di Mercanzia nel 1486. Fu inoltre per due volte console dell’Arte di Calimala (1484 e 1488). La sua assenza dagli elenchi delle balìe straordinarie e dell’importante magistratura degli Otto di Pratica ne certifica la scarsa rilevanza nei ruoli strategici di governo. Tuttavia, gli stretti rapporti con i vertici politici di tanti Stati italiani – a cominciare, ovviamente, dalla monarchia napoletana – fecero di lui un prezioso elemento di raccordo per l’azione diplomatica del regime laurenziano, pur senza dar luogo al conferimento di ambascerie. L’esempio più noto in questo senso è la delicata missione che Filippo Strozzi svolse a Napoli nel novembre 1479, quando fu inviato da Lorenzo de’ Medici con il compito di preparare la storica visita che egli stesso avrebbe reso al re Ferrante d’Aragona per negoziare la pace dopo la guerra scaturita dalla congiura dei Pazzi. Intorno alla metà degli anni Settanta Filippo Strozzi si pose a ricostituire il patrimonio immobiliare di famiglia, dopo che nei decenni antecedenti l’eredità paterna, a eccezione della casa in città, era stata gradualmente alienata per favorire gli investimenti imprenditoriali. In particolare, egli rivolse lo sguardo verso la Val di Bisenzio, nella campagna a ovest di Firenze, procedendo all’acquisto di case e terreni a Capalle (1475), Santuccio (1477) e Maglio (1484), dove in breve tempo sarebbero sorte altrettante ville signorili, conformi al rango sociale del loro proprietario. Negli stessi anni, e a breve distanza, nel territorio di Lastra a Signa, Filippo fece anche i suoi primi investimenti pro remedio animae, acquisendo il giuspatronato sull’oratorio di Lecceto (1475) e su due cappelle di S. Maria delle Selve (1476), per la cui ristrutturazione e decorazione furono impiegati artisti del valore di Domenico Ghirlandaio, Benedetto da Maiano e Neri di Bicci. Tali imprese non erano tuttavia sufficienti ad appagare le aspettative di un uomo che con il suo straordinario successo personale aveva saputo riscattare l’esclusione sofferta dalla sua famiglia e che ora – come egli stesso scrisse al fratello Lorenzo nel 1475 – desiderava «fare qualche chosa di memoria» (Borsook, 1970, p. 14, doc. 16). Con questo spirito negli ultimi anni della sua vita egli concepì i due progetti più ambiziosi, di cui poté seguire solo i primi passi: la cappella di famiglia in S. Maria Novella e, soprattutto, il grandioso palazzo. Pur disponendo già di un luogo di sepoltura nella grande basilica domenicana, Filippo Strozzi volle assicurare ai propri resti e a quelli dei suoi discendenti uno spazio più onorevole, ottenendo, nel 1486, di subentrare alla famiglia Boni nei diritti di patronato sulla cappella posta alla destra del coro. Nella primavera dell’anno seguente aveva già ingaggiato i due artisti che avrebbero dovuto eseguire le opere più significative: Benedetto da Maiano, per la realizzazione del monumento funebre, dell’altare e del pavimento, e Filippino Lippi per gli affreschi delle pareti e della volta e per i cartoni della vetrata istoriata, la cui fattura fu affidata ai frati gesuati. Alla morte di Filippo Strozzi nel 1491 il ciclo pittorico era stato appena abbozzato, mentre una parte delle opere scultoree, fra cui il sarcofago, erano state ultimate. Per il completamento dei lavori sarebbero occorsi altri dodici anni. Per un periodo ancor più ridotto – poco più di venti mesi – fu concesso a Filippo di assistere alla sua varie legazioni a Venezia e lo condusse con sé al congresso di Bologna. Carlo V lo creò conte palatino. Visse il resto della sua vita nella sua stupenda villa di Cricoli, a Padova, a Milano e a Roma. OPERE Egli volse la sua attività a ricreare le forme letterarie classiche: di qui la tragedia Sofonisba di stampo greco (composta a Roma tra il 1514 e il 1515, stampata nel 1524, rappr. nel 1556). Di qui anche L'Italia liberata da' Gothi (1547-48), poema in 27 libri, sulla guerra tra Goti e Bizantini: fonte ne è Procopio, guida la Poetica di Aristotele, modello Omero. Anche la commedia I Simillimi (1548) è derivata da Plauto e da esempi ellenici, che T. si illuse di fondere tra loro. Ma tutte queste opere testimoniano che in T. il talento poetico non era pari all'ardore e alla dottrina del letterato. Nel 1529 egli pubblicò la traduzione del De vulgari eloquentia di Dante, in cui credette di trovare il più autorevole sostegno a favore delle sue idee linguistiche esposte nel Castellano. Tra le altre cose, propose d'introdurre nell'ortografia italiana anche lettere greche (ε, ω), e di utilizzare in senso funzionale certe varianti tipografiche di lettere latine (j, ʃ, v) e certe lettere altrimenti inutili (ç, k), in modo da rappresentare adeguatamente tutti i fonemi. Tali innovazioni apparvero per la prima volta, parzialmente, nella stampa della Sofonisba; T. ne difese i criteri in una Epistola a Clemente VII dello stesso 1524 e poi in uno scritto, Dubbii grammaticali (1529), col quale replicò a vari oppositori; e seguitò a scrivere in ortografia riformata le opere successive (raccogliendo molte critiche, ma ottenendo anche, alla lunga, d'imporre la necessaria distinzione tra u e v). A lui si deve il recupero del De vulg. Eloquentia, ignorato o negletto per due secoli. Umanista provetto, il T. non ritenne che il testo di D. potesse vincere l'impazienza di lettori ormai assuefatti a un latino tutt'altro: già si stentava in Italia a leggere il latino del Petrarca; quello di D. doveva considerarsi illeggibile da un umanista.Pertanto il T. allestì e pubblicò un volgarizzamento (Vicenza 1529), premettendo una lettera dedicatoria al cardinale Ippolito de' Medici, da lui senza dubbio scritta ma firmata da un suo giovane amico, Giovan Battista Doria, forse figlio di quell'Arrigo Doria che compare in altra opera del T., il Castellano. È probabile che il T. stimasse compito indegno di un letterato del suo rango il volgarizzamento di un'opera, che per il contenuto era importante, ossia utile, ma che non si prestava a un uso retorico: onde l'anonimato del volgarizzamento e l'attribuzione ad altra persona della dedica. Comunque sulla responsabilità e proprietà del T. non poteva sorgere dubbio, perché il volume faceva corpo con quelli delle altre sue opere, stampate via via in quello stesso anno a Vicenza dal suo stampatore domestico, Tolomeo Ianicolo. La finzione tuttavia bastò perché un qualche dubbio sorgesse sull'autenticità dell'opera attribuita a D.; mancando il riscontro dell'originale, era possibile, se non lecito, supporre che il T. lo avesse, volgarizzando, rimanipolato a suo modo, o che addirittura avesse perpetrato un falso. Era una supposizione assurda, ma che faceva comodo a quelli che nella scottante questione della lingua repugnavano alla tesi del T. e che, facendosi essi stessi forti dell'autorità di D., volevano a ogni costo impedire che questa, inaspettatamente, risultasse favorevole alla parte avversa. Si spiega così che non soltanto in Toscana, dove l'interesse e la passione erano più forti, ma anche altrove la riesumazione del De vulg. Eloq. non riuscisse a mutare i termini del dibattito, e che finalmente a Parigi, non in Italia, sia pure a opera di un geniale filologo fiorentino, apparisse il testo originale del De vulg. Eloq., poco meno di quarant'anni dopo la stampa del volgarizzamento. Questo fu ristampato a Ferrara nel 1583, luogo e data notevoli, quando si pensi al Tasso e ai rapporti dell'opera di lui con quella di D. da un lato, del T. dall'altro. Il dibattito che si appuntò sul T., sulle sue idee e proposte linguistiche, piuttosto che su D. e sul De vulg. Eloq., indirettamente però contribuì, come nel Tasso per l'appunto si vede, a rinvigorire l'influsso dell'opera maggiore di D. sulla nuova letteratura. Il T. fu indotto a riesumare il De vulg. Eloq. perché ne risultava autorevolmente confermata, con un sorprendente anticipo di due secoli, quella dottrina di una lingua e letteratura volgare, ma non dialettale, aristocratica e aulica, comune all'aristocrazia e alle corti di tutta Italia, che da più parti era stata proposta fra Quattro e Cinquecento e alla quale il T. stesso era propenso. Nell'ambito di questa dottrina o scuola, comunemente detta cortigiana, si era da ultimo aperta una frattura a opera del Bembo, le cui Prose della volgar lingua, stampate a Venezia nel 1525, ma offerte in esemplare di dedica al papa l'anno prima e senza dubbio già allora note e discusse a Roma, dove il T. si trovava, includevano un violento attacco polemico alla dottrina cortigiana e la proposta di una letteratura rigorosamente fedele, nella lingua e nello stile, ai modelli toscani del Trecento, con assoluta preferenza per il Petrarca e per il Boccaccio e con forti riserve su Dante. Per più motivi il T. era risolutamente, se anche rispettosamente, avverso al Bembo. A Roma, in quello stesso anno 1524, con altre sue opere in verso e in prosa, egli pubblicò una proposta di riforma ortografica da cui risultava la sua adesione alla scuola cortigiana e il proposito, esemplificato da altra sua opera (la tragedia Sofonisba) di battere una via diametralmente opposta a quella raccomandata dal Bembo. Al tempo stesso, come risulta dalle reazioni che la sua proposta ebbe, egli dovette nella discussione orale addurre l'autorità del De vulg. Eloq. e in genere di Dante. Si spiega che poco dopo il dibattito letterario fosse interrotto dalla tragica crisi politica abbattutasi su Roma e conseguentemente su Firenze, e che, riaprendolo nel 1529 con la stampa o ristampa a Vicenza delle sue opere, il T. attenuasse la sua adesione alla scuola cortigiana e insistesse invece nel dialogo Il Castellano sul carattere italiano della sua tesi linguistica e sulla conferma che il De vulg. Eloq. gli forniva. Allora e poi sempre, come risulta dal poema L'Italia liberata (1547-48) e dalle ultime due parti della Poetica, apparse postume (1562), il T. perseguì con scarso successo poetico ma con eccezionale vigore e rigore critico il miraggio di una letteratura italiana che, pur sviluppandosi secondo i modelli classici raccomandati dalla nuova scuola umanistica, riconoscesse in D., non nell'amoroso Petrarca e nel lascivo Boccaccio, il suo primo e maggiore maestro di lingua e di poesia: D. che, com'è detto nei Dubbi grammaticali (ediz. Maffei, p. 217), " per dottrina, ingegno et arte ottiene ne la nostra lingua il principato " e che, come è conclusivamente detto nella Poetica (p. 112), sta nel novero degli " eccellentissimi poeti di ogni lingua " con Omero e Virgilio. Il rapporto fra D. e Omero, al di sopra dell'intermedio Virgilio, torna e si precisa e giustifica nella Poetica del T., che erede in ciò dell'umanistica riscoperta di Omero nel tardo Trecento (e per quanto attiene D., del commento di Benvenuto), in ciò anche anticipa la successiva riscoperta dell'uno e dell'altro poeta nel tardo Settecento. LUIGI ALAMANNI Nacque a Firenze il 6 marzo 1495 da Piero di Francesco (1434-1519), filomediceo e gonfaloniere nel 1490 e nel 1512, e dalla sua quarta moglie, Ginevra di Iacopo Paganelli, e fu battezzato con il nome di Luigi Francesco. Studiò grammatica sotto l’umanista Niccolò Angelio da Bùcine; nello Studio fiorentino frequentò i corsi di Francesco Cattani da Diacceto. Ma la vera formazione dell’A. ebbe luogo nella società degli Orti Oricellari, dove il Diacceto occupava una posizione simile a quella di Ficino nell’Accademia Platonica. In questi anni l’A. si occupava già della sua professione di lanaiolo, ma trovava tempo per l’attività letteraria e per lo studio del latino e del greco. Intanto nel 1516 aveva sposato Alessandra di Battista Serristori, che gli dette vari figli, tra cui Battista e Niccolò. Nel 1518 copiava antichi scoli in margine a un esemplare dell’Omero fiorentino del 1488, ora a Eton College, e fu probabilmente allora che cominciò a tradurre in italiano l’Antigone di Sofocle. Nel 1522 alcuni dei frequentatori degli Orti Oricellari, animati da ideali antitirannici, che coniugavano istanze politiche e ispirazione letteraria, tentarono di concretizzarli: tra questi l’A., che in quell’anno fece parte, insieme con Zanobi Buondelmonti, Iacopo da Diacceto e altri, della congiura che si riprometteva di uccidere il cardinale Giulio de’ Medici e di cambiare il governo di Firenze. La congiura venne però scoperta: Luigi di Tommaso Alamanni, un congiunto del poeta, e Iacopo da Diacceto furono decapitati il 7 giugno 1522, mentre l’A. e il Buondelmonti riuscirono a fuggire. Dichiarati ribelli, chiunque li uccidesse avrebbe ricevuto 500 ducati. L’A. trovò il suo primo rifugio a Venezia. Durante l’estate del 1522 era però già a Lione. Al servizio di Francesco I, fu inviato in settembre in missione a Venezia, ma, passando per i Grigioni, venne imprigionato dagli svizzeri, che lo rilasciarono soltanto alla fine dell’anno, dopo il pagamento di un riscatto. Nel gennaio 1523 era tornato a Lione, ma in agosto era di nuovo in viaggio per l’Italia, con le truppe condotte dal maresciallo di Montmorency. Pochi mesi dopo, alla fine dell’anno, si trovava in Provenza, dove gli giungeva la notizia dell’elezione del cardinale Giulio de’ Medici al trono pontificio, con il nome di Clemente VII. Appartengono a questi anni liriche amorose per varie figure femminili e due egloghe scritte per la morte di Cosimo Rucellai (rimpianto anche da M. all’inizio dell’Arte della guerra), redatte certamente nel 1519. Nel 1522-25 compose tre libri di Elegie, sul modello di Properzio e di Tibullo; con l’esilio compaiono sue poesie piene di amor di patria, di nostalgia e di amarezza, ma anche di speranza in Francesco I per la libertà di Firenze, nonché testi di ispirazione moraleggiante, dove ha accenti personali di sconforto e di dolore (per la esecuzione dei congiurati del 1522, per la morte del fratello Ludovico, avvenuta nel 1526, per quella del Buondelmonti). Ad Ariosto è fatta esplicitamente risalire l’ispirazione delle tredici Satire in terzine (1524-27), la seconda delle quali costituirebbe per Carlo Dionisotti «l’atto di nascita dell’antimachiavellismo» (Dionisotti 1980, p. 153): per Domenico Chiodo (2008) piuttosto l’attestazione di un’attardata ispirazione savonaroliana. L’espulsione dei Medici da Firenze, nel 1527, pose termine a questo suo primo esilio; in maggio era già tornato in patria. Ai concittadini che contavano, allora, di ottenere aiuti dalla Francia, l’A., al corrente della situazione politica, consigliò invece un’alleanza con l’imperatore, restando però inascoltato; ma considerate le sue relazioni d’oltralpe, fu nominato commissario generale presso i luogotenenti del re di Francia, con il compito di soddisfarli e allo stesso tempo salvaguardare gli interessi fiorentini. In novembre era di nuovo a Firenze, dove intanto la peste gli aveva tolto il suo amico e compagno d’esilio, Zanobi Buondelmonti. Durante questo soggiorno fiorentino l’A. fu impiegato specialmente in negozi diplomatici. Nel 1530 si rifugiò di nuovo in Francia, dove gli giunse notizia della resa di Firenze e del ritorno dei Medici, che si affrettarono a bandirlo in Provenza per tre anni. Rendendosi conto che la sua vita ormai doveva svolgersi in Francia, volle conquistarsi il favore di Francesco I: già nel 1531 il re gli concedeva il Jardin du Roi ad Aix, cedendogli poi la signoria di Tullins nel Delfinato per dieci anni, con altre munifiche largizioni. L’edizione delle Opere toscane, che l’A. pubblicò nel 1532-33 a Lione, fu dedicata al re, che non mancò di compensarlo generosamente. Nel 1539, tornato in Italia al seguito del cardinale Ippolito d’Este, intrecciò importanti contatti letterari: nelle sue visite a Padova, Roma e Napoli s’incontrò con Benedetto Varchi, Daniele Barbaro, Sperone Speroni, Pietro Bembo e Vittoria Colonna. Il grande favore di cui l’A. godeva a corte continuò sotto Enrico II e Caterina de’ Medici, dalla quale nel 1544 fu nominato Maître d’Hôtel, carica che tenne anche dopo che la delfina diventò regina. Gli ultimi anni della vita dell’A. furono caratterizzati da un’intensa attività letteraria. Gli scritti più significativi furono sicuramente tre poemi: quello didascalico in versi sciolti, la Coltivazione, inviato nel 1546 a Caterina de’ Medici; quello cavalleresco, Girone il Cortese, 3590 stanze in ventiquattro libri (rimaneggiamento del Guiron le Courtois), dedicato il 1° gennaio 1548 a re Enrico II; e quello epico, ispirato all’Iliade e all’Eneide, l’Avarchide, pubblicato post mortem dal figlio Battista con dedica a Margherita, duchessa di Savoia e di Berry. Dopo un’ultima missione diplomatica a Genova nel 1551 e un viaggio in Inghilterra nell’autunno 1553, con lo scopo di portare doni e congratulazioni a Maria Tudor in occasione della sua incoronazione, l’A. si dedicò alla revisione delle sue opere. Nel 1555 terminò quella della commedia Flora, d’ispirazione terenziana, che fece rappresentare a Fontainebleau durante il carnevale di quell’anno. Il 1° aprile 1555 fece testamento. Era ancora intento alla revisione dell’Avarchide, quando morì ad Amboise, dove era allora la corte, il 18 aprile 1556.cv
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