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Riassunto del manuale "Filologia romanza. 1. Critica del testo" di Leonardi, Dispense di Filologia romanza

Riassunto del manuale utile per sostenere l’esame di Filologia Romanza del prof.Barbieri: il riassunto infatti seleziona e contiene gli argomenti che quasi sempre il professore tende a chiedere nei suoi scritti

Tipologia: Dispense

2021/2022

Caricato il 11/01/2023

ammatxe
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Scarica Riassunto del manuale "Filologia romanza. 1. Critica del testo" di Leonardi e più Dispense in PDF di Filologia romanza solo su Docsity! LA LINGUISTICA E LA FILOLOGIA ROMANZA ● La linguistica romanza studia il complesso degli idiomi romanzi, non solo quindi le lingue vive ma anche il loro sviluppo storico. ● La filologia romanza studia tutte le lingue e le letterature romanze, medievali e moderne ed è in particolare quella disciplina che si occupa, attraverso l’analisi di testi letterari, della genesi delle lingue e dei dialetti romanzi, in particolare nella loro fase medievale IL DOMINIO ROMANZO Il dominio romanzo è un concetto strettamente linguistico che va a indicare quel territorio in cui si parlano le lingue romanze, chiamato Romània. ● Non è un concetto culturale perché quell’idea diffusa di un patrimonio culturale dato da un ‘eredità latina e cristiana condivisa dai popoli vicini a quelli romanzo e da popoli slavi è totalmente sbagliata: ad esempio la Romania è differente, poiché la religione diffusa è l’ortodossia e non il cristianesimo ● Non è un concetto antropologico perché non c’è e non c’è mai stata un’identità e una correlazione tra i popoli e le lingue, né tra lingue e razze in quanto un popolo può identificarsi per un determinato periodo con una lingua ma poi i fatti storici rimescolano e le carte e tutto cambia LE LINGUE ROMANZE Con il termine lingue romanze si riferisce a quelle lingue che sono derivate dal latino volgare a seguito dell’espansione dell’impero romano. Le lingue romanze costituiscono quindi un continuum romanzo del latino volgare. Il territorio in cui si parlano le lingue romanze è chiamato Romània e si tratta di un’area continua che va dal Portogallo all’Italia, comprendendo quindi Portogallo, Spagna, Francia e Italia, e la zona isolata della Romania e della Moldova. Inoltre vi sono zone in cui il artino scompare durante il corso del tempo come per esempio nell’Africa Nord-Occiedentale, nei territori che hanno dalle Alpi Italiane al Danubio, in Gran Bretagna: queste aree vengono dette Romània perduta. Grazie alla scoperta dell’America e al contatto delle lingue europee con quelle dell’Asia si verifica un’espansione della lingua romanza, e i territori in cui se ne parla ma solo in un secondo momento vengono chiamati Romània nuova. LA CLASSIFICAZIONE DELLE LINGUE ROMANZE Sebbene sia abbastanza chiaro quali lingue possono essere classificate come romanze, sulla base principalmente delle somiglianze lessicali (vocabolario) e morfologiche (strutturali), il sottogruppo delle lingue all'interno della famiglia è meno diretto. La maggior parte delle classificazioni sono, apertamente o di nascosto, storico-geografiche, così che lo spagnolo e il portoghese sono ibero-romanza, francese e franco-provenzali sono gallo-romanzi e così via. Si presume che le caratteristiche condivise in ciascun sottogruppo che non si vedono in altri gruppi simili siano in ultima analisi riconducibili alle lingue parlate prima della romanizzazione. La prima suddivisione dell'area Romance è di solito in West e East Romance, con una linea di demarcazione tracciata in tutta Italia tra La Spezia e Rimini. Ancora più interessanti, però, sono le somiglianze e gli accoppiamenti tra varietà linguistiche che non sono vicine, ma che si trovano agli estremi della Romània: già Jules Gilliéron aveva osservato che spesso forme un tempo comuni a tutto il dominio romanzo, che più tardi sono state sostituite da forme più recenti nell'area centrale, sono conservate nelle aree più periferiche, dette aree laterali. Così, per esempio, il portoghese e spagnolo rogar, il romeno a ruga 'pre gare' continuano il latino classico ROGARE. Tuttavia nella zona centrale della Romània abbiamo il tipo lessicale rappresentato dal fr. prier e dal l'it. pregare, che continuano il latino più recente PRECARE. Come si spiega questo fenomeno? Per rispondere a questa domanda lo studioso italiano Matteo Bartoli (1873-1946) ha elaborato una serie di norme (cioè di regolarità, non assolute però) per interpretare queste ed altre apparenti anomalie nella distribuzione spaziale dei fenomeni osservati da Gilliéron. La teoria del Bartoli prende il nome di linguistica spaziale. La forma antica, afferma una delle norme stabilite da Bartoli, era un tempo diffusa in tutta l'area, ma ha poi subìto la concorrenza di un'innovazione partita dal centro, che si è diffusa su un largo territorio ma non ha guadagnato tutta l'area, non riuscendo a raggiungere le aree più lontane, che si trovano così oggi a coincidere tra di loro perché, lontane. Con criteri come quello adottato qui sopra, tuttavia, non potremmo agevolmente raggiungere una classificazione delle lingue romanze, o dare loro un raggruppamento: le forme da osservare, appartenendo al lessico, che conta migliaia e migliaia d i voci in ogni lingua, sono moltis sime, infinite o quasi. Sarebbe quindi difficile dire quali accoppiamenti e raggruppamenti di lingue siano più frequenti e quali più rari. Ci baseremo allora su un altro criterio, quello grammaticale. Vi sono fenomeni morfologici e sintattici, che non sono meno numerosi di quelli lessicali ma presentano sempre degli elementi di somiglianza. Le varietà romanze verranno caratterizzate a seconda che siano conservatrici o innovatrici. Il dominio romanzo apparirà anzitutto diviso in: romania geograficamente continua e due spezzoni: il romeno (conservativo) e il francese (innovativo). LE LINGUE ROMANZE NELL’AREA IBERO ROMANZE Le lingue ibero-romanze sono un ramo delle lingue romanze sviluppate nella penisola iberica. Le lingue considerate ibero-romanze sono principalmente il portoghese, il galego, lo spagnolo (castigliano) e il catalano; poi c’è il basco, a nord dei Pirenei, a ridosso con la Francia ma non è una lingua nè romanza nè indoeuropea Il punto di partenza storico delle lingue iberiche è la conquista della zona meridionale della penisola da parte degli arabi tra il 711 e il 720; allora nella penisola esistevano già le lingue romanze formate e divise in diverse aree. Con la conquista araba si formò un nord limitato cristiano e un sud molto esteso musulmano, divisione che sfociarono in diverse resistenze avere). In generale, possono sussistere delle varianti in grammatica (oltre che pronuncia e vocabolario) in base a quale varietà di portoghese si parla (e.g. portoghese brasiliano VS portoghese africano). Un tratto caratteristico del portoghese e del galego è l’infinito che ammette desinenze personali costituite da morfemi verbali spesso ridotti nella forma. es: cantarmos sarebbe cantarnoi, cantarem è cantar loro. In questo modo l’infinito può essere usato in costruzioni in cui le altre lingue romanze possono usare solo una forma finita del verbo. LO SPAGNOLO Lo spagnolo, detto anche castigliano, ad oggi è la terza lingua più parlata al mondo ed è la lingua romanza più diffusa. La lingua deriva da un dialetto del latino parlato sviluppatosi nella parte centro-settentrionale della Penisola Iberica, in quella che adesso è la Spagna settentrionale, subendo anche l’influenza delle altre lingue del territorio romanizzato della Penisola (il basco, il celtico, l’iberico,ecc..), dell’arabo e degli altri idiomi neolatini (occitano, catalano, italiano, portoghese, ecc…). Con la Reconquista Cristiana, il dialetto si diffuse anche nelle regioni della Penisola Iberica e a partire dal XVI secolo venne introdotto anche in America e in alcune isole dell’Asia e dell’Oceania. Solo nel XX secolo il castigliano si diffuse anche nelle colonie africane della Guinea e del Sahara Occidentale Caratteristiche tipiche della fonologia diacronica spagnola sono la lenizione (latino vita, spagnolo vida), la palatalizzazione (Latino annum, spagnolo año), la trasformazione in dittonghi delle vocali latine brevi e/o (Latino terra, spagnolo tierra; Latino novus, Spagnolo nuevo). Fenomeni simili si possono trovare anche nelle altre lingue romanze. La morfologia verbale spagnola continua a usare alcune forme sintetiche, sostituite da quelle analitiche in francese e in italiano, e il modo congiuntivo spagnolo mantiene separate le forma del presente e del passato. La sintassi spagnola fornisce una traccia evidente di alcuni oggetti diretti: il cosiddetto a “personale”. Lo spagnolo, unico tra le lingue romanze, mantiene l’uso del pronome oggetto indiretto (le, les) anche in presenza di un sintagma nominale oggetto indiretto. In merito ai pronomi soggetto, lo spagnolo (come l'italiano) è una lingua pro-drop, vale a dire che il sintagma verbale può spesso stare da solo senza l'uso di un pronome soggetto (o sintagma nominale soggetto). Confrontato ad altre lingue romanze, lo spagnolo ha una sintassi alquanto più libera, con restrizioni relativamente minori per quanto concerne l'ordine dei costituenti della frase soggetto-verbo-oggetto. A causa del prolungato contatto linguistico con altre lingue, il lessico spagnolo contiene prestiti dal basco, dall'arabo e dalle lingue indigene delle Americhe. Gli accenti (acuti) — usati nello spagnolo moderno per marcare la vocale della sillaba tonica in parole dove l'accento non è previsto di norma — entra in uso in modo sporadico nel XV secolo, e più massicciamente nel XVI secolo. Il loro uso inizia ad essere standardizzato nel XVIII secolo con l'avvento della Accademia Reale Spagnola. IL CATALANO Il catalano fu una lingua all'epoca molto importante grazie alla corte di Aragona in quanto fu una lingua amministrativa, letteraria e culturale tra il XIII e il XV secolo. Quando nel 1479, con L’unificazione del regno di Castiglia, il catalano fu sopraffatto dallo spagnolo: la rinascita della lingua fu soltanto nell’800’. Dal 1979, il catalano è riconosciuto come lingua all’interno della comunità autonoma della Catalogna e ne viene promosso ufficiale e l'insegnamento nelle scuole LE LINGUE NELL’AREA GALLO-ROMANZA: IL FRANCESE Il francese è una lingua appartenente al gruppo delle lingue romanze ed è il risultato delle contaminazioni linguistiche che il latino volgare ha subito nella Gallia romanizzata, a partire dal V secolo. Le lingue romanze sviluppatesi in Francia furono influenzate durante l’epoca tardoantica da due principali idiomi: la lingua celtica e il francone occidentale. Sulla base di queste influenze, queste lingue romanze si articolavano in un ramificato sistema di varianti regionali. I linguistici riconducono ciascuno di questi idiomi all’interno di tre grandi famiglie distinte: 1. Le lingue d’oïl , parlate a nord nella regione della Loira e le più importanti erano il franciano a Parigi, il vallone del Belgio e l’anglo-normanno in seguito alla conquista della Normandia nel 1066. 2. Le lingue d’oc parlate a sud della Loira e tra essere la più importante è il provenzale 3. Il francoprovenzale, parlato soprattutto nell’area geografica compresa tra la Savoia, la Svizzera, la Valle D’Aosta e le valli arpitane piemontesi Il franciano, grazie all’affermazione di Parigi, si diffuse in maniera evidente influenzando gli altri diletti fino alla Rivoluzione francese, in cui divenne ufficialmente una lingua popolare e nazionale grazie ad alcuni decreti emanati dal Governo Repubblicano. Il francese letterario ha subito una forte differenziazione durante la storia: si distingue in francese antico (dal XII al XIV secolo) e francese moderno; il francese medio invece è nella seconda metà del XIV secolo. La lingua inoltre ha subito una serie di cambiamenti radicali: un francese odierno, per esempio, non capisce la chanson de roland —> il francese moderno, infatti, si lega all’antico solo con la grafia che non è fonetica ma etimologizzante. Anche il greco antico ha avuto un certo ruolo, si mantengono i grafemi ph e y. Oggi il francese viene parlato da 80 milioni parlanti, 3⁄4 in Francia, il resto in Svizzera romanza, Belgio, Lussemburgo, principato Monaco, Valle d’Aosta, fuori da Europa in Québec (Canada), in USA e ex colonie americane, africane e d’Oceania. Alcune particolarità grammaticali della lingua francese è innanzitutto la pronominalizzazione obbligatoria, cioè il soggetto deve essere sempre specificato: questa caratteristica può apparire come compenso per la perdita delle desinenze verbali. Anche la formazione della negazione è differente nella lingua francese: se in tutte le altre lingue romanze la negazione è posta prima del verbo, il francese moderno obbliga la presenza del “ne” della negazione preverbale insieme a un secondo elemento “Pas” (je ne sai pas = non lo so) Il francese, solo insieme ad alcuni dialetti italiani settentrionali, mantiene nella formazione di un’interrogazione l'inversione: se le altre lingue romanze perdono il procedimento latino, il quale esprimeva il senso interrogativo grazie a degli avverbi inseriti nella frase, ricorrendo invece all’anteposizione del verbo al sintagma nominale, il francese conserva il l’inversione latino. Anche i partitivi francesi conservano la forma latina, ovvero con l’assenza degli articoli, ma solo nella forma negativa (le altre lingue romanze usano come partitivo la preposizione “di” seguita dall'articolo definito). Il francese moderno non possiede più un processo produttivo di diminutivizzazione, ma si antepone l’aggettivo pepit. Accanto al dacoromeno ci sono anche: 1. L’aromeno, parlano nelle aree balcaniche meridionali ma è riconosciuta ufficialmente solo nella Macedonia del Nord. 2. Il meglenorumeno, parlato nel nord della Grecia a confine con la Macedonia del Nord, in alcuni villaggi all’estremo sud della macedonia del Nord e in una località della Dobrugia in Romania 3. L’istrorumeno, parlato da poche centinaia di persone nella parte centro-orientale dell’Istria. Dai tratti comuni di tutte e 4 le lingue, è possibile ricostruire un protoromeno o romeno comune. Il romeno ha un forte influsso slavo, e per questo motivo è stato scritto in caratteri cirillici fino al 1840 in Romania, fino al 1989 in Moldavia. Dal punto di vista linguistico romeno è caratterizzato: ● da un’appartenenza alla lega linguistica balcanica, con fenomeni comuni a neogreco, bulgaro, albanese, serbo ● dall'influenza francese (anche italiana e tedesca) la quale dall’800 ha aggiunto un lessico neologistico, processo parallelo a occidentalizzazione della Romania che segue in particolare modelli culturali e linguistici francese. - Il Romeno ha tre generi: maschile, femminile e il neutro ma quest’ultimo non ha la stessa forma del latino classico —> al singolare, i nomi neutri erano divenuti maschili e al plurale femminile (come in italiano con “osso” e “ossa”) - Il romeno presenta una grammatica, particolare, diversa dalle lingue romanze occidentali: l’articolo determinativo si mette alla fine della parola, si parla quindi di articolo enclitico. - Gli avverbi romeni possono essere classificati in base alla loro origine, infatti possono esserci avverbi: primari, cioè ereditati dal latino o presi in prestito; formati da derivazione lessicali di nomi, verbi o di avverbi interrogativi, o formati da una conversione lessicale di aggettivi e nomi. - Inoltre esistono le declinazioni per i casi dativo, genitivo e vocativo, diverse dalle forme per il nominativo e l’accusativo. - Il romeno ha otto modi verbali: indicativo, congiuntivo, imperativo,condizionale, gerundio, participio, supino e infinito. I verbi sono divisi in quattro coniugazioni, a seconda di come termina l’infinito: -a, -era, -e, -i. L’infinito del verbo si forma con la particella “a” (di) messa prima del verbo, mentre il condizionale dall’unione dell’imperfetto di habere con l’infinito ma l’ausiliare è posto prima del verbo. Il romeno ha tre forme di futuro: uno utilizza il latino volere+infinito (voleo cantare), un secondo habere+congiuntivo (am sa cant), la terza volere+congiuntivo, ma tutte e tre le persone dell’ausiliare volere sono neutralizzate nel solo “o” (o sa cant’) LA FORMAZIONE DEL PLURALE NELLE LINGUE ROMANZE Parlando del plurale dei nomi: l’alternanza di numero è espressa nella Romània in due modi: 1. con -s (plurale sigmatico), che presenta una “s” derivante dall’accusativo plurale latino (cavallum —> cavallos) 2. alternanza vocalica (plurale vocalico), presente nell’italiano e nei suoi dialetti, nel dalmatico e nel romeno, in cui il plurale è contraddistinto dai morfemi “i” per il maschile ed “e” per il femminile: questo li fa derivare dal nominativo latino (caprae —> capre). Ma questa ipotesi della derivazione dal latino ha delle obiezioni: infatti ci aspetteremmo che “amicae” facesse in italiano”amice” e non “amiche”; un’altra ipotesi è che “amiche” derivi da “amicas” accusativo usato anche come nominativo = come si vede, il plurale dell’area centro-orientale proviene in parte da forme che avevano funzione sia nominativa che accusativa, in parte dal nominativo. Questa divisione scinde la Romània in due parti, riconducibili al mantenimento o alla caduta della “s” del plurale, la “s” infatti è stata conservata molto meglio in Occidente. Sia nel campo del plurale sigmatico che in quello di quello vocalico, alcune lingue, nei loro sviluppi ulteriori, si sono staccate dal quadro di origine: questo è in primo luogo il francese, poichè in genere la -s finale del plurale non si pronuncia piu, dogit e dogits (dito, dita) ma si pronunciano uguali. La “s” appare poi nella cosiddetta liaison (legamento), per cui nei sintagmi del tipo ‘les amis’ si pronuncia, ma perché si verifichi la liaison la “s” deve essere seguita da vocale; anche quando la liaison non è possibile, l’articolo permette di distinguere singolare e plurale: ‘les garçon” > e chiusa di les; “le garçon” > e come indistinta. Infine in francese c’è una classe ristretta di parole in cui il plurale si oppone al singolare per un’alternanza all’interno del tema, come cheval e chevaux. Anche il plurale vocalico non ha sempre mantenuto la forma originaria, spesso, come sappiamo, le vocali finali sono cadute e qualche volta prima di cadere hanno influenzato la vocale tonica precedente per effetto della metafonesi. IL PARADIGMA CLASSICO Nasce in cultura greco romana, e rappresenta una visione statica della lingua, che deve obbedire ad un modello assoluto fuori dal tempo, dove la letteratura è divisa in generi esemplari e immobili. Gli Alessandrini avevano studiato a lungo le opere classiche degli antichi, come Omero per cercare di preservare e far restare immutata la lingua greca nella sua perfezione, visto che per loro la lingua scritta era nettamente superiore a quella parlata, e consideravano una possibile trasformazione linguistica una deviazione e una corruzione alla lingua originale greca (concetto definito “Classical Fallacy” da John Lyons); ma il cambiamento linguistico ci fu, perché le lingue si evolvono ed è impossibile conservarle intatte. Da ciò si evidenza un altro problema, ovvero che il pensiero greco aveva un carattere strettamente ellenocentrico, ovvero si concentrava prevalentemente sulla propria cultura. Infatti si cercò di universalizzare tutte quelle categorie grammaticali che però non prendevano mai in considerazione le altre lingue parlate come quelle barbare che comunque entravano in contatto sia con il greco sia con il latino. L’ANALISI DI ARISTOTELE Aristotele, nelle Categorie e nell’interpretazione, esamina il linguaggio come un riflesso del pensiero umano. La sua è un’analisi che per la prima volta unisce la linguistica con la logica, dove la prima è subordinata alla seconda, in cui esamina sia la lingua così come si presenta sia il modo in cui essa esprime quelle che, secondo lui, sono le corrette operazioni del pensiero umano, la quali sono strumenti necessari per il raggiungimento della verità filosofica GLI ALESSANDRINI Gli studiosi della scuola di Alessandria riprendono il genere di analisi di Aristotele ma applicandolo ai testi letterari in particolare a quelli di Omero. Il loro obiettivo era quello di recuperare,spiegare e commentare i testi antichi e allo stesso tempo preservare o restituire il loro stato linguistico originario. Così facendo, lo studio della lingua e lo studio della letteratura si incontrano dando vita alla filologia. Grazie a ciò, essi sviluppano pienamente la grammatica, la quale diventa una vera e propria tèchne e conoscenza letteraria del greco, considerata la “lingua pura”. Per questo motivo la grammatica assume particolare importanza al tal punto che viene definita la figlia del paradigma classico. LA RIVOLUZIONE DI LEIBNIZ La lingua e la logica rimasero unite per molti secondi, finché alla fine del 600’, il filologo tedesco Leibniz non pensò a riedificare la logica sotto forma di matematica, definita da lui logica simbolica. Grazie a ciò chi decideva di studiare le lingue naturali, era esonerato dal cercare al loro interno tutte le operazioni del pensiero. Inoltre Leibniz superò quella prima classificazione delle lingue effettuata nel 500’, classificazione che che era stata fatta a partire dalla Bibbia e che quindi comprendeva solo le lingue note all’antichità classica e le lingue moderne, senza alcun criterio di classificazione. Il filologo tedesco, invece, provò a riunire le lingue note in base alle loro somiglianze, organizzandole in famiglie genetiche, cioè in gruppi di lingue che condividono la stessa origine da una lingua più antica. In questo modo si inaugura un nuovo modo di fare filologia, meno filosofico e più empirico. idioma originario (ovvero il latino volgare) oppure con le altre lingue del ceppo al fine di ricostruire l’idioma di partenza, di cui non ci sono attestazioni (le lingue slave e germaniche). LA LINGUISTICA STORICA-COMPARATIVA Parliamo di linguistica storica-comparativa perchè: 1. Storica poiché prende in esame la lingua nel suo divenire e ne esamina l’evoluzione continua attraverso il tempo e attraverso i mutamenti storici al fine di capire perchè avviene un determinato cambiamento 2. Comparativa perché mediante il confronto, mira a raggruppare le lingue affini in famiglie e a definire, attraverso la creazione di un diagramma ad albero i rapporti intercorrenti tra esse. E anche perché si mettono a confronto due scritti di due epoche storiche diverse per poter evidenziare eventuali evoluzioni di una determinata lingua. IL CEPPO INDOEUROPEO E L’ORIGINE COMUNE DELLE LINGUE Un importante risultato del metodo storico-comparativo è stato quello di ipotizzare la derivazione di molte lingue dell’Europa e di alcune dell’Asia da un unico ceppo chiamato Indoeuropeo. Si comincia, infatti, a comparare lingue diverse dell’Europa e scoprire delle somiglianze tali da poter affermare che hanno avuto un’origine comune, come per esempio la lingua danese e la lingua islandese a seguito degli studi di Franz Bopp e dopo di lui Rasmus Rask. Successivamente, nel 1819 e nel 1837, Jacob Grimm, tramite sempre il metodo storico-comparativo, trovò una grammatica comparata delle lingue germaniche: egli ipotizzò la derivazione dell’intera famiglie delle lingue germaniche da una sola lingua originaria non documentata detta germanico primitivo. GLI STUDI NEL CAMPO DEL ROMANZO Nel campo del romanzo, i risultati portarono a considerare il provenzale come una fase intermedia tra il latino e le lingue romanze moderne, ma si scoprirà più avanti che così non è. Perché il nuovo metodo storico-comparativo venga applicato con rigore alla lingue romanze, bisogna aspettare Friedrich Diez, il quale scrisse diversi dizionari e grammatiche delle lingue romanze: ● Nella “Grammatica delle lingue romanze”, egli adatta la metodologia di Bopp, Rask e Grimm al dominio romanzo al fine di studiare i meccanismi che regolano l’evoluzione di una lingua ben nota come il latino verso nuovi sistemi linguistici ● Nel “Dizionario etimologico delle lingue romanze” rapporta al latino le sei principali lingue romanzi di cultura romantica: l’italiano, il valacco (ovvero il rumeno), il portoghese, lo spagnolo, il provenzale e il francese. Queste opere sono rimaste gli strumenti fondamentali della filologia romanza fino alle rielaborazioni di Meyer Lübke, filologo considerato il più importante esponente della scuola dei Neogrammatici, il quale aveva ulteriormente codificato e disciplinato i principi del metodo storico-comparativo e, successivamente, nel “Dizionario etimologico romanzo”, aveva rifatto, in proporzioni maggiori, i grandi repertori romanzi di Diez. LE LEGGI FONETICHE Il metodo si fonda sull’idea che ci sia una regolarità nei cambiamenti fonetici, così come c’è nei fenomeni naturali: la formulazione delle leggi fonetiche, che i Neogrammatici assimilano a quelle fisiche, impone l’assenza di eccezioni. Tuttavia le leggi fonetiche non sono autosufficienti, ma devono essere integrate dai cambiamenti avvenuti a tutti i livelli della lingua (morfologia, sintassi, fonologia, semantica) Il punto di partenza è il latino volgare mentre quello d’arrivo è la forma romanza, quindi vi è un unico inizio ma molteplici evoluzioni: 1. Le vocali toniche “i” breve ed “e” breve si trasformano —> nella vocale romanza “e” chiusa (regola generale) Regola particolare: anafonesi = la “i” breve e la “e” si trasformano—> nella vocale romanza “i” davanti a “-nj”, “-lj”, “-skj”, “-nc”, “-ng” come per esempio FAMILIAM>FAMIGLIA, LINGUAM>LINGUA Diverse eccezioni della regola generale, come per esempio DIGITUM > DITUM> DITO, oppure SARDINIA>SARDEGNA poiché sono trasformazioni non derivanti da un esito toscano La regola generale riguarda moltissime lingue romanze, la regola particolare solo il fiorentino 2. L’evoluzione della sillaba “a” tonica latina in francese: ● Se la “a” è in sillaba chiusa resta tale (PARTEM>PART) ● Se la “a” è in sillaba aperta possono presentarsi diversi casi= Se la sillaba “a” è seguita da una consonante nasale (“n” o “m”) abbiamo —> “ai” FAMEM>FAIM Se la sillaba “a” è seguita dalla consonante palatale “c” in francese diventa —> “je” che si riduce in francese moderno CAPRAM>CHIÈVRE> CHÈVRE Se nessuno dei casi precedenti si verifica, abbiamo la regola generale ovvero che la vocale “a” diventa —> nella vocale romanza “e” PATREM>PÈRE L’ANALOGIA L’analogia è un’attrazione che una forma subisce da parte di un’altra (ad esempio CUI>CUI, ma ILLUI>LUI dove ILLUI è modellato analogicamente sul termine CUI). È un fenomeno molto attivo nella flessione verbale perché tutte le lingue romanze hanno paradigmi ricchi: - in Italiano ad esempio i congiuntivi in “-i” della prima coniugazione sono modellati su quelli delle altre coniugazioni, - oppure per esempio sempre in Italiano l’ imperfetto “io cantava” (regola della continuazione del latino CANTABAM) diventa —> io cantavo= responsabile di ciò è l’analogia (1 persona in “a” è passata a “o” come nel presente indicativo) L’analogia tende a regolarizzare i verbi irregolari , soprattutto quelli che presentano allomorfia, ovvero quelli che presentano più radici nel paradigma - ad esempio in italiano il verbo “andare” comprende due radici: “vad-“ e “and-“: vado, vai, va, andiamo, andate, vanno – entrambe le radici sono di origine latina. È possibile che si presenti un’influenza analogica anche da un verbo all’altro - ad esempio in italiano il verbo “posto” regolare è una continuazione del latino POSITUM (participio perfetto di PONERE) ma participi i passati come “rimasto” sono il risultato di un’analogia con forme precedenti (in italiano avevamo infatti “rimaso” esito regolare del lat. REMANSUM) In alcuni casi l’analogia rende simili tra loro alcune forme verbali annullando il risultato regolare delle leggi fonetiche I CULTISMI E I PRESTITI Cultismi = sono parole apparentemente irregolari a causa di uno sviluppo fonetico insolito ma sono invece rimaste uguali o più vicine alla forma di partenza —> non vi è stata una trasmissione nel tempo per via popolare (oralmente) che è il mezzo con cui leggi fonetiche agiscono. Nel vocabolario spesso due parole hanno una stessa origine latina: quella di tradizione popolare e quella dott —> si tratta di due allotropi (parole che risalgono a una stessa etimologia ma che hanno una diversa forma e/o significato) - es. oculare(cultismo) / occhio(popolarismo) entrambi dal latino OCULUM Prestiti = sono parole giunte in lingua romanze non direttamente dal latino ma attraverso un’altra lingua, che non è obbligatoriamente romanza. - in italiano per esempio, il verbo “mangiare” non è spiegabile come una normale evoluzione fonetica italiana dal latino MANDUCARE (che da invece nel toscano “manicare”) ma solo postulando che la forma italiana deriva da quella francese “mangier” (francese moderno “manger”) LA METAFONESI È un processo fonetico di assimilazione per cui la vocale tonica di una parola cambia regolarmente per effetto della vocale finale. Questo processo è presente in due varietà italiane: settentrionale (veneto) e meridionale (napoletano) - In veneto, a causa della “i” finale, una “o” lunga diventa —> una “u” breve, mentre la “e” diventa —> “i”. Ad esempio, la 1ª persona singolare del verbo “correre” è “coro” mentre la 2ª persona singolare è “curi”. A volte la metafonesi persiste dopo la scomparsa vocale finale che l’aveva provocata, simile all’inglese in cui certe forme isolate cambiano al plurale come la vocale radicale in foot/feet, goose/geese - In napoletano e nell’area meridionale il fenomeno è più vasto perchè è causato non solo dalla “i” finale ma anche dalla “u”. La vocale che origina metafonesi non è più visibile ad oggi poichè tutte le vocali finali che non provocano metafonesi sono confluite in un unico suono detto schwa. Da latino PLENUM, le forme femminili e singolari napoletane non presentano metafonesi e sono “chiena”, “chiene”; mentre al maschile singolare e plurale abbiamo le forme di metafonesi “chinu” e “chini”. FENOMENI GENERALI i Neogrammatici chiamano "accidenti generali" questi fenomeni evolutivi, che si trovano in tutte le lingue del mondo ● Assimilazione: un segmento vocalico o consonantico diviene simile a un segmento adiacente (non per forza contiguo) assumendone in tutto o in parte i tratti fonetici (esempio la “d” diventa —> “r” in AD-RIPARE > in italiano ARRIVARE, in francese ARRIVER testo; infine se nessuno dei criteri risulta utile ad accordare la preferenza a una delle due lezioni, si ha una condizione di adiaforia (indifferenza) in cui si sceglie la lezione qualitativamente migliore nel complesso. 3. A seguire vi è l’examinatio che comporta l’esame del testo parola per parola, e si ricollega immediatamente all’ultima fase 4. Ovvero la emendatio, cioè la correzione di un errore presente nel testo, che può essere ope ingenii (per congettura) quando è frutto di un’intuizione dell’editore, oppure ope codicum mediante il confronto di altri codici 5. Finisce con la costruzione dello stemma codicum, che rappresenta i rapporti di parentela tra i codici, e permette la scelta delle varianti. Lo stemma viene costruito proprio a partire dagli errori. Prima di Lachmann vigevano diversi metodi classificati sulla base di procedure non scientifiche e dunque soggettive: ● Il criterio dei codices plurimi, ovvero la scelta di un testo attestata dal maggior numero di manoscritti indipendentemente dalla loro classificazione. ● Il criterio del codex vetustissimus, che sceglie la lezione attestata dal manoscritto più antico, giudicata dal critico più affidabile, ● Il criterio del codex optimus, il manoscritto considerato migliore. ● Il criterio del textus receptus, un testo che ha avuto prevalenza sugli altri per pura casualità, non implicando in alcun modo fedeltà all’originale. Il metodo di Lachmann ebbe molta fortuna poiché si affermava nell’epoca del Positivismo, il cui clima culturale era basato sulla fiducia di dati oggettivi. E’ tuttavia necessario affermare che il metodo, per funzionare correttamente, ha bisogno di tre condizioni base: 1. che abbia una tradizione passiva, ovvero che il copista durante l’atto di copia non abbia avuto intenzioni innovative; 2. che abbia precedentemente un archetipo (un manoscritto esemplato direttamente dall’originale da cui si presume derivi la tradizione); 3. e che abbia rapporti di tipo verticale, escludendo dunque la possibilità che un manoscritto sia stato contaminato da altre lezioni. Dopo Lachmann pochi filologi hanno cercato di percorrere una via alternativa, tra questi il più importante è Joseph Bédier, filologo romanzo francese. Bédier, preoccupandosi di definire attraverso il metodo di Lachmann lo stemma della tradizione di un testo narrativo in francese antico il “Lai de l’Ombre”, formulò diverse ipotesi che si scontrarono con quelle del maestro. Successivamente riesaminando nuovamente la tradizione, scoprì che, seppur indimostrabile, lo stemma da lui definito era plausibile. Sostanzialmente i dubbi di Bédier si fondavano sul fatto che ogni tradizione di testi ricostruiti dai filologi fosse sempre a stemma bipartito, azzardando l’ipotesi che i filologi operassero in questo modo per aver maggior libertà nella scelta delle varianti. La soluzione da applicare dunque era quella del Bon Manuscrit, un criterio che si avvicina per sommi capi a quello del codex optimus, con la differenza che la scelta non doveva avvenire su basi impressionistiche, bensì su uno studio analitico dei testimoni. —> Alla teoria alternativa di Lachmann si avvicinarono anche altri filologi come il tedesco Paul Maas, che in verità suggerì delle correzioni al metodo stemmatico come la necessità di affidarsi agli errori-guida, e la suddivisione dei momenti fondamentali: recensio, examinatio ed emendatio. —> Un contributo alla rivalutazione del metodo di Lachmann arrivò in Italia grazie al filologo Giorgio Pasquali che non ne demoliva il criterio, ma ne correggeva la meccanicità: secondo Pasquali non si poteva giungere alla ricostruzione testuale senza una base di storicismo (studio delle condizioni, ambienti, natura in cui hanno avuto origine determinate scelte); —> Il filologo Michele Barbi che, sebbene avvertisse un’insufficienza nel metodo come gli altri, non riteneva opportuno disconoscere una procedura parzialmente sicura, per inseguire strade incerte; per Barbi introdurre elementi di soggettività non doveva essere motivo di preoccupazione, dal momento che in un’edizione critica è necessario che il lavoro del filologo non sia del tutto meccanico. É importante soprattutto specificare che nell’esercizio della critica testuale il vero pilastro è il criterio di plausibilità, perché solo scegliendo ciò che è più plausibile si avrà la possibilità di cogliere nel segno il maggior numero di volte. IL PARADIGMA STRUTTURALE E LO STRUTTURALISMO Nasce a partire dalle teorie linguistiche innovatrici, le quali criticano il metodo storico-comparativo, dello studioso Ferdinand de Saussure con la sua opera “Corso di linguistica generale” nel 1916. Con lo il paradigma strutturale di Saussure, lo studio dei caratteri generali della lingua viene concepito come un sistema complesso, una struttura, in cui la lingua torna ad essere studiata più nella sua forma statica ma anche attraverso il suo sviluppo storico. SINCRONIA E DIACRONIA Nell’analisi strutturale, la lingua è rappresentata come una realtà statica in quanto il fine è quello di descrivere una determinata lingua in un preciso stato, cioè in un momento cronologico determinato, ed è definito da Saussure sincronico. L’analisi sincronica diviene così il punto di partenza per lo studio della lingua in quanto obbliga lo studioso a considerare i rapporti tra tutte le parti che la compongono in un preciso momento. Lo strutturalismo, tuttavia, non ha compiuto un semplice ritorno al punto di vista classico in quanto il cambiamento, detto diacronico, è l’altro punto di vista necessario per cogliere la natura del linguaggio. Nell’analisi del linguaggio: 1. Il primo approccio è sincronico e punta a descrivere lo stato di una lingua 2. A seguire viene lì approccio diacronico, ovvero lo studio del cambiamento linguistico che viene concepito come un confronto di due o più stati sincronici di una lingua “LANGUE” E PAROLE Secondo Saussure, la lingua è un sistema di segni che esprimono idee: se si ipotizza l’esistenza di una scienza generale dei segni sociali (scienza allora ancora non esistente e che Saussure battezzò col nome di semiologia) allora la linguistica verrà ad essere una parte di quest’ultima e in particolare sarà la scienza che si occuperà di quel specifico segno che è il “segno verbale”; la semiologia, dal canto suo, studierà anche i segni non verbali. Ma la linguistica non ha come oggetto specifico il linguaggio- il quale nella sua complessità è una massa eterogenea analizzabile sotto diversi punti di vista come quello fisico, psichico, fisiologico, ecc… - ma piuttosto quella sua parte essenziale che è la lingua. Ed è a questo proposito che Saussure distingue nettamente la “lingua” e la “parola”: ● La “langue” rappresenta il momento sociale del linguaggio ed è costituita dal codice di strutture e da delle regole che ciascun individuo assimila dalla comunità di cui fa parte, senza poterle inventare o modificare ● La parola è il momento individuale, cangiante e creativo del linguaggio, ovvero la maniera in cui il soggetto parlante “utilizza il codice della lingua in vista dell’espressione del proprio pensiero personale” Il fatto che lingua e parola siano realtà distinte è suffragato, ad esempio, dalle afasie (il malato coglie i messaggi linguistici, ma ha perso l’uso della parola) o dalle lingue morte (assimilabili anche se non si parlano più). Un’altra importante conseguenza che discende dalla separazione della lingua dalle parole è che “si separa a un sol tempo: 1. ciò che è sociale da ciò che è individuale; 2. ciò che è essenziale da ciò che è più o meno è accidentale”. SIGNIFICATO E SIGNIFICANTE In antitesi con la teoria “realistica” della lingua, Saussure spiega che il segno linguistico unisce un “concetto” a un' “immagine linguistica”, e non una “cosa” a un “nome”, come sostiene una tradizione che va dalla Bibbia alla modernità. Su questo presupposto, Saussure distingue: ● Il significato, che è ciò che il segno esprime ● Il significante, che è il mezzo utilizzato per esprimere il significato Ma il significato e il significante non sono separabili: come dice Saussure, sono come le due facce dello stesso foglio. Ma pur essendo inseparabili, il rapporto tra i due è arbitrario: ciò è dimostrato dal fatto che, per esprimere uno stesso significato (ad esempio, sorella), le diverse lingue usano significanti diversi (sorella in italiano, soeur in francese, e così via). Ma per Saussure “arbitrario” non vuol dire soggettivo e libero: ma piuttosto “immotivato”, cioè non necessario in rapporto al significato che viene espresso. LA GEOGRAFIA LINGUISTICA E’ una corrente della linguistica che si occupa di studiare l’estensione nello spazio dei fenomeni linguistici, di ordine fonetico, morfosintattico, lessicale e la loro distribuzione geografica. I mezzi principali della geografia linguistica sono gli Atlanti linguistici —>Gli atlanti linguistici, strumento fondamentale e tradizionale della geografia linguistica, sono costituiti da una serie ordinata di carte, che riportano i diversi modi in cui si dice una certa cosa in un determinato territorio. Nella loro forma più diffusa, le carte che costituiscono gli atlanti linguistici, in scala più o meno ridotta, riportano, per lo più in trascrizione fonetica, i termini che esprimono, nelle varie parlate del territorio, un dato concetto. I materiali si raccolgono sul campo nel corso di inchieste svolte da uno o più raccoglitori con uno o più informatori sulla scorta di questionari appositamente elaborati. Le carte linguistiche offrono pertanto il quadro sinottico di un fenomeno linguistico nella sua estensione e distribuzione geografica e, a seconda del tipo di fenomeno rappresentato, si distinguono in carte fonetiche (o fonologiche), lessicali e linguistiche. 1. Le carte fonetiche o fonologiche presentano gli esiti di un’unità fonetica o le varie realizzazioni di un fonema in una determinata area e consentono lo studio della loro distribuzione areale e dell’evoluzione e dei mutamenti fonetici subiti nel tempo dai suoni. Esiste uno stretto rapporto tra la filologia romanza e la critica testuale, ovvero la disciplina che si occupa dell’edizione dei testi fin dalle sue origini ottocentesche: per studiare i testi antichi, la filologia ha bisogno di conoscere la linguistica storica e viceversa. La critica del testo fonda la sua ricerca su testimonianze scritte del passato, infatti sono proprio i testi il punto di partenza per qualsiasi ricerca di carattere storico. Servono nozioni di paleografia (la scrittura della storia), di codicologia (i materiali degli scrittori e la struttura del libro antico) e della diplomatica (disciplina che ha come oggetto di studio i caratteri principali di un documento medievale di carattere documentaristico). E’ necessario dunque fornire al testo antico un’edizione che si accessibile al lettore moderno e al tempo stesso conforme alla volontà del suo autore. MATERIALI E SCRITTURE NEL MEDIOEVO Durante il Medioevo i testi antichi erano sotto forma di manoscritti, solo nel XV inizia la stampa a caratteri mobili. Per scriverci si usa il calamo o una penna di volatile nell’inchiostro. Due supporti: la pergamena (fatta di pelle bovina, ovina, caprina resa liscia e sottile grazie a particolari procedimenti) e la carta (di origini arabe e si produce in Europa a partire dalla fine del XIII secolo). I fogli volanti o i fogli da includere in fascicoli e poi in libri veri e propri erano detti manoscritti o codici, i quali tramandano un testo e per questo detti testimoni di quel testo (l’insieme dei testimoni costituisce la tradizione). Esistevano molti tipi di scrittura : ● La scrittura merovingica in Francia durante il regno dei Merovingi ● La visigotica in Spagna ● La scrittura beneventana nei ducati longobardi ● La minuscola Carolina (IX-XIII secolo) introdotta a partire dalle riforme di Carlo Magno, la quale si diffuse in gran parte d’Europa. Nel 200’ e nel 400’ in Italia si usavano 3 tipi di scrittura in caratteri latini: 1. Gotica per un uso librario 2. Minuscola cancelleresca usata da notai e politici 3. Mercantesca usata dai mercanti toscani dal 300’ Solo nel 400’ si diffuse la scrittura umanistica da cui derivano i nostri caratteri a stampa LA TRASMISSIONE DEI TESTI La trasmissione dei testi avviene attraverso il processo di copia, dove l’unico sistema era quello di trascriverlo a mano e copiare significa sbagliare. La tradizione di un testo è l’insieme delle sue copiature. Ogni copia contiene gli errori del suo esemplare, detto antigrafo, e una quantità variabile di errori propri. A chi vuol pubblicare scientificamente un testo medievale possono presentarsi 3 situazioni: ● Testimonianza originale: esiste l’originale autografo dell’opera in testimonianza unica come nel caso del Canzoniere di Petrarca e il Decameron di Boccaccio ● Testimonianza unica non originale: unica testimonianza è una sola copia, di solito si tratta di testi che hanno avuto poca diffusione ● Testimonianza plurima non originale: opera trasmessa da due o più testimoni che sono copie dirette o indirette dell’originale come là Chanson de Roland e la Divina Commedia TIPI D’INTERVENTO DELL’EDITORE CRITICO Fornire un testo che sia il più vicino possibile all’ultima volontà dell’autore ma anche leggibile al pubblico moderno A) Quando esiste l’originale l’editore critico si limita a fornire un’edizione interpretativa (trascrizione con criteri moderni). B) Uno invece dei casi più frequenti è che l’opera trasmessa da un unico testimone non sia originale. Una volta fatta la trascrizione interpretativa potremmo renderci conto che qualcosa non torna (il senso, la misura di un verso, una rima) —> errori che vanno attribuiti ai copisti—> il testo dovrà essere corretto ma non è sempre facile, a volte non si avrà un alternativa certa, altre sarà impossibile la ricostruzione e quindi si segnalerà un guasto in quel punto e basta. C) Più frequente ancora è l’opera tramandata da 2 o più testimoni, nessuno dei quali è l’originale. I testimoni presentano tra loro delle varianti. L’editore deve decidere quale delle testimonianze sia da preferire e unico modo per valutare l’affidabilità dei singoli testimoni è quello di confrontarli sulla base degli errori comuni (operazione detta recensio)
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