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Fonetica e evoluzione del latino volgare in italiano, Schemi e mappe concettuali di Storia della lingua italiana

Una panoramica dettagliata delle caratteristiche fonetiche del latino volgare e dell'evoluzione della lingua italiana, con un focus sulle consonanti e sulle vocali, sulle affricate, sulle laterali, sulle nasali e sulle palatali. Vengono inoltre esaminate le innovazioni del latino volgare, come il collasso delle declinazioni e del sistema dei casi, il condizionale, la chiusura delle vocali toniche e la protonia sintattica.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2022/2023

Caricato il 20/03/2024

annie.rossi
annie.rossi 🇮🇹

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Scarica Fonetica e evoluzione del latino volgare in italiano e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia della lingua italiana solo su Docsity! Preliminari fonetici la fonetica è la scienza che studia e classifica i vari suoni del linguaggio. È importante distinguere tra foni e fonemi. I Foni sono costituiti da qualsiasi suono normale. I Fonemi sono quei foni che possono liberamente presentarsi in un dato contesto fonico determinandone il significato, in opposizione a tutti gli altri fonemi di quella lingua che, al loro posto, darebbero un senso diverso o un non-senso. [Esempio. In Italiano abbiamo un solo fonema /n/, ma diversi foni corrispondenti, ciascuno del quali articolato in modo diverso a seconda della consonante successiva. La (n) della parola angolo è diversa dalla (n) della parola andare. Questa distinzione non ha importanza linguistica; anche se scambiassimo tra loro le due (n), non identificheremmo due parole diverse. In altre lingue, questa distinzione può servire ad identificare due parole distinte, e ha perciò piena rilevanza linguistica, come in inglese si(n)g “cantare” si(n) “peccato”. ] Si può arrivare a precisare quanti sono i fonemi dell’italiano; ossia quanti e quali sono i foni davvero significativi linguisticamente perché in grado di produrre significati diversi. La verifica principe sulla fonematicità di un fono è la prova della sostituibilità. Le coppie di parole che si distinguono sono per la presenza di un diverso fonema si dicono coppie minime (care-dare). Può cambiare il rendimento funzionale di ciascuna coppia di fonemi, ossia il numero di parole diverse ottenute dalla sostituzione di due fonemi dati. [Esempio. Proviamo a mettere in contrapposizione i fonemi /d/ e /f/. Dare-Fare; Data-Fata; Dune- Fune; Linda-Linfa; Drenare-Frenare; ecc. invece, contrapponendo l’esse sorda (di scala; simbolo fonetico /s/) e l’esse sonora (di sveglia; simbolo fonetico /z/) nei contesti in cui la scelta non è condizionata automaticamente dal contesto, cioè in posizione intervocalica, verificheremo che il rendimento funzionale è bassissimo, e per giunta delimitata al solo uso toscano, dove si distinguono fuso con /s/ ‘arnese per filare’ - fuso con /z/ participio di fondere e presente con /s/ indicativo del verbo presentire- presente con /z/ ‘non assente’]. Vediamo ora quali sono i fonemi dell’italiano. Quasi tutte le lingue del mondo, e così anche la nostra, utilizzano per produrre i suoni l’area polmonare nella fase dell’espirazione. Dai polmoni l’aria passa nella trachea e nella laringe, e a livello della cartilagine tiroidea incontra le corde vocali. Le corde vocali, uno degli organi centrali della fonazione, sono costituite da due pliche muscolari con margini liberi: lo spazio ivi compreso prende il nome di glottide. Le corde vocali possono vibrare, accostandosi e rilassandosi molte volte nell’unità di tempo e producendo così un suono, o meglio un fenomeno acustico che si avvicina alla vibrazione regolare periodica descritta dai fisici come suono, in opposizione al rumore. Oltre alla vibrazione, le corde vocali possono restare inerti, ovvero chiudersi e restare accollate per qualche istante. A livello della glottide si produce dunque la prima grande partizione dei fonemi: sordi sono quelli che si realizzano senza vibrazioni delle corde vocali, sonori quelli che richiedono tale vibrazione. In italiano sono sonore le vocali e un certo numero di consonanti, e precisamente: /b/, /g/ (gatto), /d/, /m/, /n/, /v/, /z/ (sveglia, tosc. e settentrionale rosa), (gli, figlia), (gnomo, vigna). Dai polmoni arriviamo alla faringe, qui si ha un’altra importante distinzione tra i vari fonemi. L’aria infatti può uscire all’esterno solo attraverso la bocca (se il velo palatino – ossia la parte posteriore, mobile, del palato molle – è sollevato contro la volta superiore della faringe, impedendo l’accesso dell’aria nelle fosse nasali): si hanno allora i fonemi orali. Oppure, se il velo palatino è abbassato, può uscire sia dalla bocca sia dal naso: i fonemi, detti nasali, acquistano così una caratteristica risonanza. In Italiano i fonemi nasali sono appena tre: /n/, /m/, /ɲ/. Altre lingue, per esempio il francese, hanno un numero più alto di fonemi nasali. Nella cavità orale prende corpo un’altra distinzione quella tra vocali e consonant. In realtà, la distinzione tradizionale, seconda la quale le vocali potrebbero pronunciarsi da sole mentre le consonanti “con- suonano”, cioè potrebbero pronunciarsi solo con l’appoggio di una vocale, è una distinzione fallace, o meglio valida solo per alcune lingue storiche, il greco e il latino. In effetti, nulla vieta di pronunciare isolatamente una consonante come /p/ o /s/; alcune lingue non hanno nessuna vocale, come il nome sloveno della città di Trieste, Trst. Le diverse vocali si realizzano mediante i movimenti della lingua, che potremmo definire l’organo fonatorio per eccellenza. Per realizzare una /a/ la lingua si appiattisce sul pavimento della bocca. Se la lingua si solleva verso il palato duro realizza una e aperta /ɛ/ (è, prendo), una e chiusa /e/ (e, vedo), una /i/. Queste tre vocali si dicono palatali perché articolate in corrispondenza del palato duro, o anteriori perché articolate in posizione avanzata rispetto alla vocale media o centrale, la /a/) se la lingua si solleva verso il palatino, darà luogo in sequenza alla o aperta /ɔ/ (ho, però), alla o chiusa /o/ (o, monte), alla /u/. Sono le tre vocali velari posteriori, che possono anche essere dette labiali perché vengono articolate con la protrusione, cioè con l’arrotondamento e la spinta in fuori delle labbra. Le vocali italiane toniche e, cioè sotto accento, sono le sette che abbiamo appena indicato e possono essere raggruppate ai nostri fini in uno schema, il cosiddetto triangolo vocalico. Si tratta di un triangolo col vertice rovesciato in cui le singole vocali si collocano approssimativamente nella posizione occupata dalla lingua all’interno della cavità orale per realizzarle. Il sistema a sette vocali toniche è caratteristico del toscano, estraneo ai dialetti dell’estrema Italia meridionale (Salento, Calabria centromeridionale e Sicilia), in cui mancano le vocali /e/ e /o/. Fuori d’accento l’opposizione di aperte e chiuse si neutralizza dovunque: le vocali italiane, che sono sette in posizione tonica, diventano cinque in posizione atona, sia prima dell’accento (protoniche), sia dopo di esso (prostoniche). Una vocale si dice in sillaba libera o aperta quando è posta alla fine della sillaba stessa; in sillaba implicata o chiusa quando la sillaba termina per consonate Una consonante viene definita in base a tre parametri: - Modo di articolazione: a seconda del tipo di ostacolo che si frappone alla colonna d’aria ascendente. Quando c’è chiusura del canale si hallo le occlusive; quando c’è un semplice restingimento, che non interrompe l’uscita dell’aria, le costrittive. Le affricat possono considerarsi intermedie tra occlusive e costrittive; • - Luogo di articolazione, vale a dire livello del canae articolatorio in cui si produce il diaframma (per esempio: a livello delle labbra, degli alveoli dentali, del velo palatino e così via.) • - Tratti accessori, consistenti nella presenza o assenza di vibrazioni delle corde vocali e nel carattere orale o nasale del suono. Se il latino volgare ha la sua essenza fondamentale nel latino parlato, è evidente che gli storici non possono ricostruirlo se non indirettamente o marginalmente. Per la ricostruzione del latino volgare ci sono diverse fonti: • • Le iscrizioni di carattere privato, in cui il lapicida può facilmente incorrere in qualche volgarismo, e in particolare i graffiti; • • Testmonianze di grammatci che spesso offrono testimonianza di usi “sbagliati”, vale a dire di testimonianze popolari in atto nella lingua parlata. Ricordiamo l’Appendix Probi, così chiamata perché trascritta in calce a un manoscritto contenente opere del grammatico Valerio Probo. Siamo probabilmente a Roma, nel III secolo d.C.: si tratta di una lista di 227 copie di parole secondo lo schema SPECULUM non SPECLUM. Altre testimonianze ci sono date da Varrone, Svetonio, dal grammatico Velio Longo; • • Testmonianze di scrivent popolari o di seminalfabet . Nel generale naufragio delle testimonianze scritte del passato è comprensibile che siano stati copiati più volte, arrivando siano a noi, testi ai quali contemporanei attribuivano un particolare valore, artistico o giuridico; • • Testmonianze di autori letterali che tendono ad accostarsi all’uso popolare (Plauto) o a riprodurlo con intento caricaturale (Petronio); • • Confronto tra le lingue romanze, ci consente di ricostruire una forma non documentata, ma ragionevolmente attribuibile al latino volgare. • • Fenomeni più notevoli: caduta della –M fin da età repubblicana ( se una parola terminante per vocale era seguita da un’altra parola cominciante per vocale, le due vocali si fondevano prosodicamente (sinalèfe). ora è notevole il fatto che, se la prima parola terminava per –M, questa consonante finale non impedisce la sinalefe); monottongazione dei dittonghi AU e AE, raramente OE. Il risultato delle tre monottongazioni non poteva dare se non una vocale lunga. Quanto ad AE la sua monottongazione ha dato luogo a una E lunga ma pronuncia con timbro aperto; col collasso del sistema quantitativo • • Perdita della quanttà vocalica in favore della qualità o tmbro. Il latino distingueva le vocali in base alla quantità breve o lunga. Ma nel latino parlato le vocali lunghe cominciarono a essere pronunciate chiuse, le brevi aperte: si venne così a creare un sistema sovrabbondante, giacché per garantire un’opposizione fonetica è necessario ma anche sufficiente un singolo tratto linguistico. Il riassunto del riassestamento delle vocali toniche latine ne modifica il numero (da 10 a 7) ed è espresso dal seguente schema, che vale sia per l’italiano e per la grande maggioranza della Romania. L’evoluzione delle vocali non riguarda la totalità delle parole italiani derivanti dal latino, ma sono quelle di tradizione popolare, ossia quelle che hanno fatto stabilmente parte del patrimonio linguistico dei parlanti e sono state trasmesse di generazione in generazione senza soluzione di continuità. La quota numericamente più rilevante è rappresentata invece dalle parole dotte (o latinismi o cultismi). L’etichetta di “parole popolari” e “parole dotte” si riferisce esclusivamente al modo in cui una certa parola è arrivata in italiano, per trafila orale o scritta. Non è raro il caso che da una stessa base latina muovano due distinte parole italiane, la prima per via popolare, la seconda per via dotta. I membri di ciascuna coppia si chiamano allòtropi. La forma popolare è collegata alla base latina da un segmento, a simboleggiare una tradizione interrotta, quella dotta da una linea tratteggiata, per indicare discontinuità. Si può notare come la forma oggi più coerente è quella dotta poiché ha un significato più generale, astratto. Sono generalmente di trafila dotta anche gli aggettivi di relazione, cioè quelli che indicano un semplice riferimento al nome da cui derivano. [Esempio. MESEM > mese (mensile); VITRUM> vetro (vitreo); AURUM> oro (aureo) ecc..] Radicali risultano essere le innovazioni del latino volgare: Collasso delle declinazioni e del sistema dei casi. Delle 5 declinazioni del latino classico, le due più deboli sono la quinta e la quarta, scompaiono quasi completamente confluendo nella prima. Viene meno il sistema delle desinenze: ciò comporta anche conseguenze tipologiche. Le parole italiane e romanze derivano quasi sempre dal caso accusativo. L’accusativo è l’unico caso che riesce a spiegare la totalità delle derivazioni, almeno per il singolare. Perdita del neutro. La confusione tra neutro e maschile è largamente attestata già in latino. Nelle lingue romanze il neutro è scomparso. L’italiano mantiene traccia dell’antico plurale neutro in una serie di plurali femminili come le ossa (<lat. OSSA), le corna (<lat. CORNUA), le uova (<lat. OVA). lOMoARcPSD|36079835 • Il verbo. Delle quattro coniugazioni del latino classico (i tipi AMARE, MONERE, LEGERE,AUDIRE) restano produttive la prima e la quarta. Anche la seconda coniugazione mostra qualche vitalità. Molte forme organiche scompaiono senza lasciar traccia, sostituite da forme perifrastiche. Il passivo AMOR è sostituito dal tipo AMATUS SUM e i deponenti escono presto dall’uso. Il futuro organico è sostituito da varie perifrasi. Nasce un modo verbale del tutto nuovo, estraneo al latino: il condizionale. Si tratta di un futuro del passato, formato da una perifrasi costituita dall’infinito e da un tempo storico di HABEO. Dittongamento toscano 3. FENOMENI PIU’ NOTEVOLI È uno dei più tipici fenomeni che contrassegnano la toscanità dell’italiano letterario; nessun altro dialetto italiano, né settentrionale né meridionale, presenta il dittongamento di una E o O breve latina tonica in sillaba libera in posizione incondizionata, cioè indipendentemente dalla presenza di un determinato fono successivo o di una certa vocale nella sillaba finale. Diverso dal dittongamento toscano è il dittongamento metafonetico, caratteristico di molti dialetti del Mezzogiorno. In questi dialetti una E o una O si dittongano, tanto in sillaba libera quanto in sillaba implicata, solo a condizione che nella sillaba finale della base latina si trovasse una –I o una –U. Come al solito, il fenomeno non si produce nei latinismi. Dall’aggettivo DECIMUM, per esempio, di ha decimo. Il dittongamento non è sistematico nel proparossitoni (cioè nella parole accentate sulla terzultima sillaba). Così, accanto a LEVITUM > lievito, HOMINES> uomini, SOCERUM> suoceri si registrano OPERAM>opera (invece ci *uopera), PECORA> pecora (invece di *piecora). Da ERAT, ERANT si è avuto regolarmente, nel fiorentino dugentesto, iera, ierano. Successivamente, il dittongo è stato eliminato per effetto della cosiddetta regola del dittongo mobile. [I dittonghi /je/ e /wɔ/ si dicono dittonghi mobili perché tendono a ridursi alla sola vocale. Il fenomeno è particolarmente evidente all’interno dei paradigmi verbali: siede/sediamo, viene/veniva, può/potere. Nel caso di iera, ierano dobbiamo tener conto dell’accento di frase. Le due parole non si pronunciano normalmente prima di una pausa, ma in stretta relazione con una parola successiva sulla quale cade un accento ben percepibile.] In tre parossitoni (cioè in parole accentate nella penultima sillaba) il dittongamento non si produce. In due casi l’italiano antico recava un dittongo che successivamente si è monottongato: a) dopo un gruppo consonante + r: BREVEM> brieve; PREMITI> prieme. Si tratta di una tendenza che si diffonde a Firenze <<sotto la spinta dei dialetti toscani occidentali in cui, fin dall’inizio, erano costanti le forme con vocale semplice>>. La riduzione /je/ si è avuta verso la metà del ‘400, quella di /wɔ/ alla metà del secolo successivo. b) dopo un fono palatale /j/, /λλ/, /ɲɲ/ si manifesta molto presso una tendenza alla riduzione, che tuttavia non ha completamente eroso certe forme dittongate Per effetto della stretta unione tra l’articolo e la parola i parlanti possono interpretare come un articolo una /I/ iniziale, che viene così “separata” dalla parola stessa. Quanto alla sincope, vanno segnalate due sincopi avvenute già nel latino volgare e ben rappresentate, quindi, anche in italiano: a) Sincope della vocale postonica del suffisso –ULUM, -ULAM: VET(U)LUM> vecchio, SiT(U)LAM> secchia; b) Sincope della vocale intertonica: CER(E)BELLUM> cervello; UL(U)LARE> *UR(U)LARE> urlare. Apocope Bisogna fare una distinzione tra apocope vocalica e sillabica. Quest’ultima vive, nell’italiano moderno, solo in gran (gran giorno accanto a grande giorno) e san (san Giuseppe e non *santo Giuseppe). Nel caso delle proposizioni articolare si avrà una semplice apocope vocalica piuttosto che sillabica: la vocale finale, cadendo, ha determinato automaticamente la riduzione d’intensità della laterale precedente. L’italiano antico presentava qualche altro caso di apocope sillabica, come ver ‘verso’ e me’ ‘meglio’. L’apocope vocalica può essere obbligatoria o facoltativa. L’apocope facoltativa ha una distribuzione regionale assai diversa: abbastanza frequente in Toscana e nell’Italia settentrionale, è rara o addirittura inusitata a Roma e nel Mezzogiorno. Le condizioni che consentono l’apocope vocalica nell’italiano moderno sono le seguenti: • • La parola non deve trovarsi in fine di frase o comunque davanti a pausa. Nell’italiano poetico era possibile anche l’apocope in fin di verso; • • La vocale deve essere atona; • • La vocale deve essere preceduta da liquida (/l/ e /r/) o da nasale (/n/, /m/): fil di ferro, fin qui; • • La vocale non deve essere né /a/, né /i/ ed /e/ quando abbiano valore morfologico. È importante insistere su un punto. L’apocope vocalica facoltativa è un tipico fenomeno impredicibile. Nulla ci dice se, verificandosi le quattro condizioni che abbiamo indicato, un’apocope abbia effettivo corso oppure no: in moltissimi casi l’apocope, pur teoricamente possibile, non avviene. Si badi a non confondere l’apocope e l’elisione. Quest’ultima è la perdita – fonetica e grafica – della vocale finale atona di una parola davanti alla vocale iniziale della parola seguente. L’apocope dà vita a una parola relativamente autonoma, l’elisione no. Raddoppiamento fono sintattico Quando un italiano centromeridionale legge la sequenza < a casa> pronuncia in realtà (ak’kasa), con una velare sorda di grado intenso. Per spiegare questo fenomeno dobbiamo far ricorso alla nozione di assimilazione consonantica. Nell’incontro di due consonanti non ammesse da un dato sistema linguistico, la reazione più frequente è l’assimilazione di una consonante all’altra; ossia il fenomeno per il quale una delle due consonanti “rende simile” a sé l’altra. Possono aversi due possibilità: o è la prima consonante che assimila la seconda (assimilazione progressiva: si impone l’elemento che sta “davanti”) o è la seconda consonante ad assimilare la prima (assimilazione regressiva: si impone l’elemento che sta “dietro”). Nel passaggio dal latino volgare all’italiano si hanno assimilazioni regressive: ad esempio: FACTUM>fatto, RUPTUM> rotto. Un esempio di assimilazione progressiva è offerto dai dialetti centromeridionali, in cui il nesso –ND- passa a /nn/: così in romanesco annà ‘andare’, quanno ‘quando’ e simili. Il raddoppiamento fono sintattico è un’assimilazione regressiva all’interno di frase. Come ADVENIRE è passato ad avvenire, allo stesso modo AD VOS, realizzato come se fosse un’unica parola, è diventato [av’voi]. Dal punto di vista descrittivo il raddoppiamento dono sintattico si produce in tre casi fondamentali: • • dopo un monosillabo cosiddetto “forte”: è, dà, né ma anche a, che, chi, da, do, e, fra, fa ecc.; • • dopo un qualsiasi polisillabo ossitono: virtù somma, partì subito; • dopo le parole barìtone (cioè non accentate sull’ultima sillaba) come, sopra, dove, qualche: come me, qualche cosa. Labiovelare Chiamiamo labiovelare il nesso costituito da un elemento (/k/ o /g/) e da un’appendice labiale, la semiconsonante “wau”. Si distinguerà tra labiovelare sorda e labiovelare sonora. La labiovelare sonora in posizione iniziale è indizio di germanismo: guerra, guardare, guarire ecc. Quanto alla labiovelare sorda, va osservato che in posizione iniziale essa si è conservata solo davanti ad /a/; davanti alle altre vocali ha perso l’appendice labiale, riducendosi a /k/. Esempi: QUANTUM > quanto QUASI > quasi QUID > che QUALEM > quale La labiovelare secondaria (cioè non esistente in latino, ma prodottasi in età tarda in seguito a vari fenomeni fonetici) si mantiene sempre. Spirantizzazione della labiale sonora intervocalica Fin dai primi secoli dell’era volgare -B- latina si è trasformata da occlusiva in costrittiva; questo fono, sconosciuto all’italiano si è conservato nello spagnolo. In area italiana, la costrittiva labiale del latino volgare ha presto modificato il luogo di articolazione, dando vita a una labiodentale sonora /v/, cioè a una costrittiva spirante. Esempi: HABERE> avere DEBERE> dovere FABULA> favola I casi di conservazione di -B- sono cultismi: abitare < HABITARE, subito < SUBITO. La labiale sonora si conserva anche nei germanismi, entrati troppo tardi perché -B- potesse spirantizzarsi: roba, rubare, Roberto. Sonorizzazione consonantica Le consonanti sorde in posizione iniziale restano generalmente intatte. Un certo numero di sonorizzazioni si ha solo nel caso della velare /k/. Ma non mancano parole di origine latina, anch’esse probabilmente con sonorizzazione da attribuire al latino volgare. Di ben altra importanza la sonorizzazione delle consonanti in posizione intervocalica. La sonorizzazione della sibilante interessa la grande maggioranza dei casi in Toscana; ma, per la mancata registrazione grafica, non è riuscita a diffondersi nella restante Italia centromeridionale, dove è abituale (s) intervocalica in ogni posizione. Nessi di consonante (diversa da R e da S) + “iod” Davanti a una “iod” del latino volgare gran parte elle consonanti precedenti si rafforzano. Se la consonate è un’affricata prepalatale sorda e sonora la “iod” viene assorbita da quella consonante, in quanto omorganica ad essa. Dopo una nasale dentale e una laterale, la “iod” produce una palatalizzazione, cioè fa arretrare l’articolazione della consonante precedente, determinando rispettivamente una nasale palatale /ɲɲ/ e una laterale palatale /λλ/: VINEAM > calcagno FILIUM > figlio Infine, dopo una dentale sorda e sonora, la “iod” intacca la consonante determinando la cosiddetta assibilazione, cioè trasformandola in affricata alveolare, rispettivamente sorda e sonora. Già nei primi secoli della nostra era le iscrizioni latine offrono un certo numero di grafie in cui singole forme presentano il raddoppiamento della consonante davanti a una I in iato. I dati del materiale epigrafico coincidono con quel che si ricava dalla cronologia relativa Nesso di R + “iod” In Toscana e nelle aree limitrofe il nesso -RJ- ha perso la vibrante, riducendosi al solo “iod”: AREAM> aia; CORIUM> cuoio. Nella maggior parte degli altri dialetti italiani l’esito di -RJ- è /r/. di qui la presenza, nell’italiano contemporaneo di suffissati in –aro come paninaro e casaro. Nesso di S + “iod” L’esito del nesso -SJ- in Toscana è duplice: sibilante palatale sorda di grado tenue /f/ (si tratta di un fono esistente anche in altre varietà regionali, ma non nella pronuncia ufficiale, che lo rappresenta con l’affricata prepalatale sorda /rf/; sibilante palatale sonora /Ʒ/ (come per l’esito galloromanzo di -TJ-, la pronuncia ufficiale ricorre qui all’affricata prepalatale sonora /dƷ/. Esempi: BASIUM > bacio; CASEUM > cacio Nessi di consonante + L Nei nessi di una consonante + L, la laterale si palatalizza, trasformandosi in “iod”; in posizione intervocalica il risultato è quello di una consonante intensa. BLASIUM > Biagio; CLAMAT > chiama (posizione iniziale o postconsonantica); OC(U)LUM > occhio, SUFFLAT > soffio (posizione intervocalica) Articolo È noto che il latino non possedeva articoli, né determinativi né indeterminativi. Tuttavia precoci attestazioni del numerale ordinale UNUS semanticamente degradato a semplice articolo si rinvengono già in Plauto. Anche per l’articolo determinativo già in epoca arcaica o classica non manca qualche avvisaglia di indebolimento dell’aggettivo dimostrativo ILLE. Prima che si possa parlare di un vero e proprio articolo determinativo passa diverso tempo.
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