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Riassunto del manuale per il concorso a cattedra, Sintesi del corso di Pedagogia

Sintesi del manuale per il concorso. Consiglio sempre la lettura del manuale, ma qui si trova una buona sintesi per chi vuole una lettura sintetica e concisa.

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

In vendita dal 19/10/2023

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Scarica Riassunto del manuale per il concorso a cattedra e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! Manuale per la prova scritta del concorso scuola Capitolo 1 Lo sviluppo sociale e le relazioni di gruppo 1.1 La società è l’insieme di azioni fatte da individui, che sono rivolte intenzionalmente verso gli altri. Per questo, la psicologia sociale studia le attività mentali e i comportamenti dei soggetti all’interno della loro vita sociale, dunque vengono analizzati: pensieri, comportamenti e sentimenti condizionati dalla presenza degli altri. La psicologia sociale non vuole solo descrivere i comportamenti ma analizzare i processi mentali che stanno dietro di essi. Per questo si occupa di: - rapporti competitivi; - rapporti cooperativi; - relazioni d’ aiuto; - sviluppo morale che comprende: reazioni all’ingiustizia e alla giustizia, comportamento prosociale ed equità (intesa come accesso all’educazione, all’istruzione e al mondo del lavoro). Il comportamento umano deriva da un contesto sociale, per questo vi sono alcune regolarità nate da un tacito accordo tra i soggetti della collettività e dall’eredità lasciata dal passato. Per questo si può parlare di struttura sociale che è l’insieme di modelli e aspettative di una società, che vanno oltre la mutevolezza della vita quotidiana, che sono dunque abbastanza stabili. 1.2 I tre contesti primari di cui fa parte ogni soggetto sono: - famiglia - scuola - lavoro Da ognuno di essi nascono relazioni con gli altri soggetti che determineranno lo sviluppo individuale. Se si prende in considerazione la fascia di età scolastica (infanzia fino alla fine della scuola dell’obbligo), i contesti sono: famiglia, sistema educativo e mezzi di comunicazione di massa. La famiglia è il primo dei contesti anche a livello cronologico, in quanto rappresenta la prima fonte di soddisfazione dei bisogni del bambino. Essa rappresenta una base sicura, che per lo psicologo britannico Bowlby, è il luogo in cui il bambino inizia ad esplorare il mondo e in cui torna in un momento di difficoltà o quando ne ha bisogno. La scuola può entrare a far parte della vita del bambino già dalla tenera età con gli asilo nido, in cui egli può sperimentare la socialità e acquisire autonomia. La scuola si organizza in modo ciclico. Il bambino entra in contatto anche con il lavoro, tramite i genitori, anche se spesso si inizia a lavorare già in tenera età. Il tre sistemi devono interagire tra di loro, in modo da avere una coerenza educativa. Così si possono distinguere diversi periodi dello sviluppo legati alle fasce di età. - Prima infanzia : va da 0 ai 3 anni e riguarda principalmente il contesto familiare, a volte anche il nido dai 4 mesi. - Prescolare : da 3 a 6 anni e comprende anche il contesto scolastico. - Scolare : da 6 a 11 anni, in questa fase i bambini acquisiscono maggiore autonomia e consapevolezza di relazionarsi con gli altri. - Preadolescenza e adolescenz a: fase di crisi che va dalla secondaria di primo grado alle superiori. - Età adulta . A tale proposito, lo psicologo Bronfenbrenner, definisce lo sviluppo del soggetto come un ambiente ecologico, inteso come un sistema complessivo che viene dato dall’intersecarsi di diversi contesti. Questo è un sistema a cerchi concentrici in cui al centro vi sono i microsistemi, come la classe, la famiglia e il gruppo dei pari. L’insieme di più microsistemi forma il mesosistema, che è più ampio, infatti è rappresentato da ambienti come la scuola, che sono insieme di famiglia, amici e docenti. Il mesosistema è dentro l’esosistema, che influenza il soggetto che non è coinvolto direttamente, come il lavoro dei genitori. Ed infine il macrosistema che è il più ampio, esso è la condizione sociale, economica e politica del paese in cui il soggetto vive. (Modello ecologico: microsistemi, mesosistema, esosistema e macrosistema). 1.2.1 La famiglia influenza in modo profondo il sé e i valori dei suoi membri, da qui derivano delle norme familiari che possono essere comandate o tacite, il loro numero e il loro contenuto è legato al confronto sociale, ovvero al modo in cui viene regolamentato dai genitori il contatto con i coetanei da parte dei figli, questo non deve essere troppo rigido, non devono essere applicate eccessive restrizioni, né deve essere data troppa libertà. Le punizioni, ad esempio, non devono mai essere troppo aggressive e continuative; sono molto più efficaci le tecniche orientate verso l’amore che quelle esclusivamente punitive. All’interno dell’equilibrio familiare vi è anche la sfera delle aspettative da parte dei genitori, che devono essere ben ponderate. La famiglia rappresenta una comunità e un ancoraggio affettivo che permette poi di affrontare il mondo, acquisendo la propria indipendenza. Durante l’infanzia, il soggetto raccoglie valori e norme, da cui poi svilupperà giudizi e opinioni proprie, per questo la famiglia deve lasciare un margine di autonomia e indipendenza, favorendo così un’emancipazione emotiva e fisica. Anche il rapporto con i coetanei favorisce l’emancipazione. La vita della famiglia nasce già dal momento del concepimento, per questo ci sono diverse fasi: - Momento dell’attesa: che rappresenta come la coppia si prepara alla genitorialità. - Nascita : ha un grande impatto emotivo sui genitori, e da qui si sviluppa la relazione primaria con chi si prenderà cura di lui. La coppia madre- bambino, già dai primi due mesi, instaura un dialogo che fa da base al futuro adattamento sociale del bambino, perché in questa fase le interazioni non sono legate solo ai bisogni biologici. Questa relazione è di tipo diadico, termine che Spitz usa per indicare che madre e figlio sono in simbiosi nei primi anni di vita di quest’ultimo. La madre rappresenta la chiave di lettura della realtà. A tale proposito, Bowlby sviluppò la sua teoria dell’attaccamento che analizza la costruzione di tale legame madre-figlio. Bowlby usa il termine “attaccamento” per indicare il bisogno del bambino di esplorare il mondo che però ha alla base la certezza che i propri genitori rappresentino un punto di riferimento emotivo saldo, accogliente e sintonico. Vi sono tre tipi di attaccamento: ansioso evitante, in cui la relazione caregiver-bambino è caratterizzata da una scarsa reciprocità; attaccamento sicuro, quando si ha una forte relazione con il caregiver; attaccamento ansioso ambivalente, in cui la relazione non è ben definita. La Ainsworth, collaboratrice di Bowlby, creò la strange situation, una procedura per individuare quale tipo di attaccamento ci sia tra caregiver e bambino, che consiste nel lasciare quest’ultimo in una stanza con uno sconosciuto e far allontanare il caregiver per poi farlo tornare. Da qui la Ainsworth pone tre attaccamenti: insicuro-evitante in cui il piccolo è distaccato; sicuro in cui vi è il giusto equilibrio; insicuro-ansioso- ambivalente in cui la relazione è molto intrusiva e iper-controllante, in cui il bambino ha una brutto reazione all’allontanamento e al riavvicinamento; disorganizzato, quarto stile aggiunto dalle studiose Main e Solomon, in cui il bambino mostra segnali di incoerenza sia in presenza che in assenza del caregiver. - Verso i cinque mesi: il bambino usa gli oggetti per stabilire relazioni, dunque acquisisce le capacità di manipolazione e coordinazione oculo- manuale. - Dopo il nono mese: il bambino sarà in grado di concentrare la propria attenzione sulla madre e sull’oggetto e farà delle azioni per cercare attenzione su di sé. - Dai dodici mesi ai due anni: il bambino riuscirà a riconoscere la sua immagine dentro lo specchio, questo gli permetterà di distinguere tra sé e l’altro. Ma anche l’acquisizione del linguaggio è un aspetto importante, poiché permette di comunicare in modo più complesso. - Dai due ai cinque anni , o età prescolare: il bambino allarga le sue relazioni sociali al di fuori della famiglia in senso stretto, infatti inizia ad avere contatti con fratelli e coetanei, ma anche altri membri della famiglia e così si avvia verso maggiore autonomia, aiutata anche da capacità motorie più sviluppate, come quella di camminare. La relazione con i fratelli funge da preparazione per quella con i coetanei in cui vi è una simmetria di potere, invece nella relazione con i genitori vi è una asimmetria. Il bambino qui oscilla tra autocontrollo e controllo esterno. Una funzione molto importante è svolta dalla routine che permette al bambino di comprendere la prevedibilità delle azioni e la capacità di attesa; la routine permette di parlare, gli esseri umani hanno dovuto sviluppare un apparato fonatorio, secondo l’ipotesi evoluzionista, il linguaggio è nato con il genere umano, secondo quella emergentista, il linguaggio sarebbe nato con l’homo sapiens moderno, dopo milioni di anni in cui si è sviluppato il cervello ed è avvenuto come evento originario e unico, ciò spiegherebbe il fatto che le lingue hanno tutte la stessa architettura, nonostante le differenze storiche e sociali. Il linguaggio si fonda sull’insieme di: - Significato : i l contenuto semantico, cioè ciò che vuole trasmettere; - Significante : l’espressione verbale, cioè l’insieme di suoni prodotti. Insieme i due producono il segno linguistico. Il linguaggio offre un sistema di risposte, ovvero permette di pensare in modo più facile perché attribuisce nomi ad oggetti, dunque li identifica, dà loro identità e univocità, ma allo stesso tempo lo rende universale perché crea delle categorie che sono usate dal soggetto parlante ma anche da tutta la collettività. Per il linguista Lee Whorf, pensiero e linguaggio sono strettamente collegati, in quanto diversi linguaggi generano visioni del mondo diverse, questa è l’ipotesi della relatività linguistica, a cui molti psicologi si sono opposti in quanto sono le esperienze acquisite a fornire la visione del mondo a determinati membri di una popolazione che parlano una determinata lingua, ad esempio nelle Filippine vi sono moltissime parole per indicare le moltissime varietà di riso, in altri paesi, non è necessario. Il linguaggio è fondamentale per la vita sociale umana e svolge quattro funzioni: - espressiva , permette di eliminare la tensione interna perché dà uno sfogo; - comunicativa , consente le interazioni tra soggetti; - cognitiva , permette la rielaborazione interna delle conoscenze e permette così memorizzazione, astrazione e altre funzioni cognitive; - regolativa , permette di assumere diversi comportamenti in base alle situazioni, dunque ha una funzione di regolazione morale. Secondo il linguista Jakonson, il linguaggio ha ben sei funzioni: - emotiva : esprime il vissuto; - fàtica : legata al canale e ne monitora il funzionamento; - conativa : cerca di indurre un comportamento nel destinatario; - poetica : quando è legata al messaggio; - metalinguistica : un linguaggio impiegato per descrivere un altro linguaggio, dunque si basa sulla costruzione del codice per comprendere un dato linguaggio; - referenziale : è legata al contesto. 2.3 La comunicazione verbale è quella parlata e anche scritta, e il codice usato è quello digitale, nel senso che viene usata una combinazione di segni che hanno significati dati. La comunicazione non verbale riguarda l’apparato sensoriale, che infatti rispecchia il messaggio emotivo, che molto spesso viene recapitato in modo inconscio, e per questo essi sono in codice analogico poiché sono rappresentate in modo palese, come ad esempio la distanza personale, se è molto ampia, indica un distacco emotivo dalla persona con cui si comunica. Il linguaggio non verbale svolge quattro funzioni: - espressiva perché manifesta emozioni e sentimenti; - interpersonale perché è specchio del tipo di relazione che si ha con l’interlocutore; - regolazione dell’intenzione perché tiene sotto controllo lo scambio; - supporto del linguaggio , in quanto lo rafforza. Nonostante la comunicazione non verbale risulti più spontanea, anche questa può essere controllata come quella verbale, per questo può esprimere anche delle conoscenze. L’insieme di comunicazione verbale e non verbale genera diversi elementi che rafforzano la trasmissione del messaggio, come: forza vocale (l’intensità della voce), intonazione vocale, velocità di eloquio, ritmo (la cadenza data dalla distribuzione degli accenti) ed enfasi. La prossodia è l’insieme di regole della collocazione dell’accento delle parole, essa fa parte della paralinguistica che studia i segnali non verbali legati al canale uditivo-vocale, ad esempio le pause, le interruzioni e le esitazioni. La prossemica invece studia l’aspetto spaziale del linguaggio, ovvero come gli interlocutori si muovano nell’ambiente che li circonda, dunque la regolazione della distanza reciproca. I processi prossemici, sembrano essere fortemente inconsci e determinano aspetti come la postura, l’orientamento e la consapevolezza del proprio corpo. Questi segni possono essere dunque decodificati e studiati. I gesti che vengono compiuti dagli interlocutori possono essere: simbolici, che sostituiscono direttamente le parole, come ad esempio i segni con le dita, tipo quello per dire “okay”; di auto-manipolazione come mordersi le unghie; illustratori che accompagnano i discorsi per essere più comprensibili. 2.4 Il linguaggio è fondamentale nello sviluppo del bambino, ma non solo quello verbale, infatti i bambini hanno risorse non verbale sin dal momento della nascita, come ad esempio il pianto che indica il desiderio di mangiare. Anche gli adulti adottano un linguaggio specifico e semplificato per comunicare con i neonati, che viene detto baby talk o motherese. 2.5 Ci vogliono i tre anni di vita per poter parlare, servono tre caratteristiche fondamentali: - semanticità cioè la possibilità di tradurre in parole riferimenti a oggetti, emozioni e concetti; - dislocazione , padroneggiare i parametri temporali, cioè sapersi muovere tra passato, presente e futuro; - produttività , poter produrre messaggi di senso tramite frasi. Le fasi di sviluppo linguistico del bambino si possono riassumere così: - prime settimane : pianto e vocalizzi. - 2-6 mesi : vocalizzi che sono proto-conversazioni con gli adulti. - 5-6 mesi : suoni consonantici. - 6-7 mesi : lallazione canonica cioè ripetizione di vocali e consonanti. - 9-13 mesi : lallazione variata cioè combinazione di vocali e consonanti che producono suoni più complessi come “pa… pà”. Comparsa di gesti deiettici, cioè indicare, mostrare o dare, azioni che esprimono significato. - 13 mesi : gesti referenziali che hanno un preciso significato come fare “ciao” con la mano. - 16 mesi : aumento del vocabolario e diminuzione dei gesti, con acquisizione di circa 50 parole. - 17-24 mesi : acquisizione di circa 600 parole e comprensione del proprio nome. - 2 anni : aumenta la comprensione delle parole. - 2-3 anni : maturazione più completa del linguaggio. Tuttavia ogni bambino è verso, alcuni parlano prima e altri dopo, secondo la Nelson, chi ha un’acquisizione di stile referenziale parlerà prima a livello lessicale cioè tramite la nominazione di oggetti, mentre chi di stile espressivo parlerà dopo ma con più precisione a livello sintattico, esprimendosi meglio nelle relazioni sociali. La piena acquisizione del linguaggio si ha sotto tre aspetti: fonetica cioè capacità di produrre suoni, riconoscerli e distinguerli; semantica capire il significato delle parole e delle frasi; pragmatica comprendere il contesto e la socialità del messaggio. 2.6 Diversi studiosi hanno formulato teorie sul linguaggio infantile, tra i più importanti vi sono: - Piaget , secondo cui l’acquisizione del linguaggio è indipendente dallo sviluppo sociale, questo tipo di approccio viene detto cognitivo, perché non pone legame tra il rapporto che il bambino ha con gli oggetti e quello con le persone. Lo sviluppo cognitivo (il pensiero) precede il linguaggio, che non è necessario dunque, esso è il fine dell’interiorizzazione del concetto di fine/mezzo che viene dato nel periodo senso-motorio, che permette di fare esperienza del mondo per la prima volta intorno ai diciotto mesi e viene poi superato con il linguaggio, che ha solo funzione sociale e comunicativa, non regola il pensiero. Infatti Piaget osserva in bambini nella loro individualità, non quando sono in gruppo. - Vygotskij invece crede che i rapporti sociali influenzino il linguaggio del bambino, addirittura permettono le funzioni mentali superiori che compaiono ben due volte nello sviluppo dell’infante: nell’interazione con gli altri che permettono le funzioni inter-psicologiche e nell’interiorizzazione di tali funzioni che così diventano intra-psicologiche, tale processo finisce intorno ai sette anni. Per questo il linguaggio permette l’organizzazione interna del bambino, media tra pensiero e socialità. La linea sociale di sviluppo indica l’acquisizione del linguaggio che entra in relazione con la linea naturale di sviluppo e impone una riorganizzazione della dicotomia mezzi/fini. Pensiero e linguaggio sono in continua interazione tra loro, e la socialità influenza entrambi. Vygotskij osservava i bambini in gruppo per valutare le capacità cognitive del bambino che si vedono nella zona prossimale di sviluppo, che è il risultato tra la reciprocità di due comportamenti: livello potenziale di sviluppo e livello effettivo di sviluppo, il primo è il comportamento del bambino sotto i suggerimenti degli adulti, mentre il secondo rappresenta come il bambino risolva i problemi da solo. Il linguaggio permette il passaggio dall’una all’altra e il risultato è l’autonomia di pensiero e azione. - Bruner si accoda a Vygotskij e sottolinea l’importanza della socialità per il linguaggio e pone l’accento sul contribuito dato dagli adulti, che riescono ad interpretare il primo linguaggio del bambino e ad insegnarlo a loro volta, ad esempio tramite giochi o filastrocche. - Skinner pensa che il linguaggio venga appreso nello stesso modo di altre forme, ad esempio con stimolo-risposta, dunque non è un’abilità innata. Egli infatti è comportamentista. - Chomsky invece supporta la teoria innatista secondo cui il linguaggio è competenza innata. - Karmiloff e Smith supportano la teoria neuro-costruttivista secondo cui il linguaggio si costruisce tramite esperienza e processi biologici come la specializzazione di aree del cervello. - Rogers sostiene il modello di comunicazione assertiva secondo cui il linguaggio si acquisisce nel contesto relazionale e in funzione della comunicazione poiché implica che l’emittente sappia far valere il proprio punto di vista ma rispetti le idee degli altri. - Rosenberg pone il linguaggio giraffa alla base poiché simboleggia l’empatia e il rispetto (dato che la giraffa ha un cuore grande) e in opposizione pone il linguaggio sciacallo, violento e senza rispetto. 2.8 I disturbi della comunicazione possono essere diversi, ad esempio legati a problemi fisici, psicologici, sociali o strumentali, queste ultime indicano incapacità di usare alcune tecniche comunicative e nella comprensione dei codici. Altri fattori di disturbo possono essere distrazione, saturazione (impossibilità di accogliere per fattori interni come la stanchezza), la mancanza di canali (canali difettosi) e codici incompatibili (parlare lingue diverse). Capitolo 3 Comunicare con gli adolescenti 3.1 Nel periodo dell’adolescenza le difficoltà comunicative si acuiscono, in quanto è un periodo delicato della vita in cui si mettono in discussione i propri modelli e la propria identità. L’adolescente necessita di oggetti mediatori come adulti significativi, un gruppo di pari e figure inter-familiari. Spesso l’adolescente trova la sua identità per opposizione ovvero tramite il conflitto, molto spesso con le figure genitoriali, con cui vi è un oscillazione tra indipendenza e bisogno. In questo periodo, i ragazzi sviluppano nuove capacità di astrazione e maturano nuove forme di pensiero riflettendo sul senso più profondo della vita; inoltre vengono messe in discussione le certezze, per questo non si riescono a prendere decisioni o si vivono periodi problematici cadendo in condotte negative. 3.2 Lo studioso Thomas Gordon ha sviluppato un metodo per un’efficiente comunicazione che si basa sulla fiducia e sull’empatia. Tale metodo è stato sviluppato negli anni ’60 e rivisto in tempi recenti per adattarlo all’istruzione, in particolare viene presa in considerazione la relazione tra educatore e studente, in modo da ridurre le conflittualità e aiutare la collaborazione. L’educatore deve avere il ruolo di facilitatore, in quanto deve agevolare il processo di formazione del sé nello studente, in modo che quest’ultimo possa apprendere in modo autentico ciò che è. Il facilitatore usa come strumento l’empatia e per farlo necessita di due competenze fondamentali: ascolto attivo e messaggio io, la prima consiste nel sentire non solo con le orecchie, ma con il cuore, nel far sentire l’interlocutore capito e mostrarsi realmente interessati a ciò che si ascolta. Il messaggio io è una tecnica che consiste nel comunicare un problema partendo dall’io e non dal “tu”, è un modo di porsi meno forte, in quanto permette di comunicare a qualcuno un suo “difetto” ma in modo gentile, ad esempio “io mi sento triste quando tu non mi ascolti” è un esempio di messaggio io, mentre “tu sei egoista perché non mi ascolti mai” è un esempio di un uso del “tu” aggressivo. azione, rappresentazione iconica o immagine mentale e rappresentazione simbolica o linguaggio. 3 - Psicanalitico. Qui il soggetto viene considerato come organismo simbolico che dà un significato a sé stesso e all’ambiente. 4.3 Vi sono tre grandi domande a cui gli studiosi della psicologia dello sviluppo hanno provato a rispondere. 1) Qual è la natura del cambiamento? Secondo alcuni studiosi, il cambiamento ha una natura quantitativa, cioè lo sviluppo viene visto come un accrescimento, di questi fanno parte i comportamentisti; secondo altri studiosi che seguono le teorie organismiche, il cambiamento ha natura qualitativa cioè è in trasformazione conseguente a specifici cambiamenti. 2) Quali processi causano il cambiamento? I comportamentisti credono che siano le influenze ambientali, mentre gli innatisti li attribuiscono a fattori genetici ed infine i sostenitori delle teorie organismiche credono che sia un insieme di entrambe le cose, dunque fattori ambientali e genetici. 3) Si tratta di un cambiamento continuo e graduale o discontinuo e improvviso? Se si vede il processo come quantitativo, il cambiamento diviene graduale e continuo (comportamentisti), se invece si vede come qualitativo, il cambiamento è discontinuo (organismico). Vi sono però posizioni intermedie che vedono il cambiamento come continuo e discontinuo insieme. Un importante ambito che la psicologia dello sviluppo indaga è quello del perspective talk ovvero la capacità di assumere la prospettiva altrui, questo coinvolge più aspetti e dimensioni della mente umana ed è fondamentale per le relazioni sociali perché permette di uscire dalla propria visione egocentrica per vedere come vede l’altra persona in tre dimensioni: cognitiva, emotiva e percettiva. Robert Selman ritiene che questo aspetto sia particolarmente importante perché ciò permette di vedere il mondo da un’altra prospettiva. La competenza del role talking si apprende dai 6 agli 11 anni per Selman. Vi sono cinque stadi del perspective talk: Livello 0 - Egocentrismo Il bambino non distingue tra mondo oggettivo e soggettivo, dunque pensa che il suo POV sia quello assoluto. (3-6 anni). Livello 1 - Soggettivo Il bambino distingue i due livelli ma rimane comunque nel suo sé, distingue tra caratteristiche fisiche e psicologiche, cosa che non faceva prima. (6-8 anni) Livello 2 - Autoriflessivo Il bambino riconosce il POV degli altri come diverso da suo e che l’altro ha pensieri e sentimenti simili ai suoi. (9 anni). Livello 3 - Reciproco Il ragazzo comprende il POV altrui e quello più generale che riguarda molte persone. (11 anni). Livello 4 - Sociale e convenzionale Il ragazzo riesce ad essere empatico ed è in grado d acquisire una morale sociale. (Oltre i 12 anni). 4.4 e 4.5 Per Freud lo sviluppo del bambino è legato alla sfera sessuale che riguarda anche lo sviluppo dell’identità. Per Freud vi sono due istinti fondamentali nei bambini: quelli libidici che riguardano dei bisogni fisiologici legati alla sopravvivenza e quelli aggressivi che poi si evolveranno in istinto di morte. I primi anni del bambino sono vissuti nel narcisismo e nella soddisfazione degli istinti fisiologici, il bambino infatti mostra affetto ai genitori perché lo nutrono. Freud inoltre teorizza due tipi di processi che regolano le idee: processi primari e secondari, i primi sono liberi dalla logica mentre i secondi sono razionali e logici. L’istinto libidico poi tende a concentrarsi in alcune zone del corpo dette erogene e da qui Freud sviluppa la sua teoria dei cinque stadi in cui l’energia libidica si concentra in diverse parti del corpo: 1) Stadio orale Corrisponde ai primi diciotto mesi e si sviluppa nel rapporto con la madre. Il bambino usa la bocca come mezzo per conoscere il mondo, infatti in essa si manifestano libido e aggressività, nella forma dell’allattamento e del mordere il seno. Questo stadio finisce con lo svezzamento. 2) Stadio anale Arriva fino ai trentasei mesi e la libido si concentra sull’espulsione delle feci. Ciò porta il bambino in crisi tra il volere autonomia e il controllo dei genitori che diventano ossessivi nel controllo del suo sfintere. 3) Stadio fallico Arriva fino ai cinque anni e si manifesta con il complesso di Edipo, cioè desideri incestuosi verso il genitori del sesso opposto e competizione con quello dello stesso sesso, da qui poi nasce il tabù dell’incesto. Il superamento di questo complesso porta, nel caso dei maschi al complesso di castrazione, egli infatti ha paura di essere evirato dal padre ma allo stesso tempo si identificherà con lui, introiettandolo nel suo sé. Nel caso della bambina si avrà l’invidia del pene, dove la piccola capirà di essere già stata castrata perché non possiede il pene. In questo periodo il bambino avrà già le tre strutture della sua personalità: Io, Es e Super-Io, dove il primo è la parte inconscia e libidinosa, il secondo è la mediazione con le parti aggressive e il terzo è la rigida morale. 4) Stadio di latenza Va dai sei agli undici anni e la libido non viene espressa. 5) Stadio genitale Dai dodici ai diciotto anni, le pulsioni sessuali vengono orientate verso il partner e corrisponde con la pubertà. Gustav Jung fu uno degli allievi più importanti di Freud, che però prese le distanze dal maestro e fondò la psicologia analitica in cui egli estende il campo dal singolo alla collettività umana, infatti egli teorizza la presenza di un inconscio collettivo che si esprime negli archetipi. L’individualizzazione è il percorso degli esseri umani durante l’arco della vita e consiste nella realizzazione personale a confronto con l’inconscio individuale e collettivo. Alcuni tra i concetti più importanti di Jung sono: Persona, Ombra, Animus, Anima e Sè. La Persona è l’aspetto pubblico, ciò che un individuo mostra di sé nella società. L’Ombra sono gli istinti che vengono repressi ma per questo si manifestano come aspetti sgradevoli del carattere che sono incompatibili con la parte conscia; tuttavia questa è fonte di creatività e permette di ampliare la personalità. Animus e Anima rappresentano l’immagine maschile nella mente femminile e viceversa, si manifesta in sogno e nelle fantasie, questa viene proiettata sulle persone del sesso opposto di cui ci si innamora, questa è la parte inconscia della Persona, la compensa. Il Sé è il culmine del percorso di realizzazione della personalità, in cui si uniscono tutti gli aspetti consci ed inconsci. 4.6 Erik Erikson ha fornito una visione che coprisse l’intera durata della vita umana, non si è fermato solo all’adolescenza, è arrivato fino alla vecchiaia. Egli fu allievo di Freud, infatti mantiene la visione dell’inconscio, tuttavia dà maggiore attenzione agli aspetti sociali e culturali. Gli esseri umani sono alla ricerca della propria identità, che si può definire come bisogno di coerenza dell’Io che permette di avere un buon rapporto con l’ambiente sociale. Secondo Erikson, il soggetto passa per diversi stadi evolutivi ed ognuno è caratterizzato dalla coppia fallimento/conquista, questa antinomia, insieme ad altre, viene definita come qualità dell’Io, che sono esperite come vissuti, come modalità comportamentali e come strutture del mondo intero, dunque in modo introspettivo, modo osservabile e inconscio. Vi sono dunque otto stadi: 1) Fiducia vs. sfiducia Dalla nascita al primo anno, la fiducia nasce dal rapporto con i genitori e il nucleo familiare rappresenta il contesto sociale. 2) Autonomia vs. vergogna o dubbio Da 1 a 3 anni, il periodo di acquisizione del linguaggio che rende il bambino autonomo ma lo espone alla paura di non essere capito, dunque prova vergogna. 3) Iniziativa vs. senso di colpa Da 4 a 5 anni, periodo in cui si è più autonomi ma anche iperattivi, ciò porta a manifestazioni violente con i giocattoli e i coetanei, inoltre vi è anche un atteggiamento di sfida nei riguardi dei genitori. Se si fanno vivere al bambino le manifestazioni violente come qualcosa di cattivo, questo svilupperà un senso di colpa perché in questo periodo si inizia a formare la morale. 4) Industriosità vs. senso di inferiorità Da 6 a 11 anni, qui inizia il contattato con il contesto scolastico e l’industriosità serve ad ottenere l’approvazione sociale ma ciò porta anche a sentirsi inadeguati e inferiori. Qui il bambino diventa più diligente e impegnato. 5) Identità vs. confusione dei ruoli Da 12 a 18 anni, questo è il periodo dell’adolescenza, in cui si cerca la proprietà identità e si arriva ad una maturità sessuale. 6) Intimità vs. isolamento Dai 19 ai 25 si è nella fase in cui si è trovata la propria identità e si sviluppano rapporti sociali con partner e colleghi di lavoro o studio. 7) Generalità vs. stagnazione Dai 26 ai 65, qui si arriva alla maturità e la generalità riguarda la trasmissione delle proprie opinioni es esperienze, sia a dei figli che agli altri. 8) Integrità dell’Io vs. disperazione Oltre 65, questa è l’ultima fase in cui l’Io è forte e riesce ad accettare che il tempo sia trascorso, tuttavia potrà anche non accettare ciò e vivere nella disperazione dei rimorsi. Sullo stesso filone di Erikson si pone James Marcia, che afferma come l’identità del soggetto si raggiunge dai momenti di crisi perché essa porta alla scelta. Invece Gordon Allport parte dai tratti della personalità che secondo lui sono innati, tuttavia la personalità è flessibile, dinamica e aperta, per questo è impossibile che due personalità siano identiche, in quanto ogni personalità è un mix di tratti unici. I tratti sono soggetti a continuo cambiamento perché sono a contatto con l’ambiente sociale. Vi sono dei tratti comuni con gli altri ma anche dei tratti individuali, che si dividono in tre categorie: cardinali che sono totalizzanti e influenzano la maggior parte delle azioni; centrali sono costituiti da elementi secondari ma influenzano in modo netto le azioni e i pensieri, determinano la coerenza del soggetto; secondari riguardano gusti e preferenze. 4.7 Eric Fromm è stato un allievo di Freud. Egli distingue tra istinti e pulsioni, i primi sono bisogno ancestrali e legati al mondo animale, dunque sono fisiologici, mentre i secondi sono frutto di evoluzioni ontogenetiche che riguardano i bisogni psichici e spirituali, dunque sono legati alla vita sociale. Vi sono otto bisogni psicologici fondamentali: 1) Relazione 2) Trascendenza 3) Radicamento 4) Identità 5) Orientamento 6) Stimolo 7) Unità 8) Realizzazione Da qui, la personalità per Fromm è l’insieme delle qualità psichiche acquisite con l’esperienza ed ereditate dal soggetto, che formano un temperamento che risulta essere il compromesso tra richieste esterne e bisogni interni. L’essere umano dunque forma la sua personalità sia nella dimensione sociale che in quella individuale, è per questo necessario che si abbiano relazioni positive in entrambi i casi, anche se la socializzazione può essere disturbata da quattro possibili atteggiamenti: masochismo, sadismo, distruttività e conformismo. Per avere delle relazioni positive con il mondo è necessario il compromesso tra ragione e amore. 4.8 Un aspetto molto importante dello sviluppo è quello del senso morale. Una norma morale è una guida per la condotta perché determina quali siano i comportamenti giusti e quali quelli sbagliati, ma essa contiene in sé un’indicazione emotiva ed affettiva, inoltra la sua realizzazione porta orgoglio, invece la sua trasgressione senso di colpa. Le tre grandi teorie incontrare fin ora, comportamentista, psicanalitica e cognitiva si concentrano su diversi aspetti della morale, la prima sul giudizio morale, la seconda sulla dimensione emotiva e il controllo morale, mentre la terza sul comportamento morale. Andando più nel dettaglio: - Teorie cognitive Piaget si focalizzò sulla morale dei bambini e capì che anche essa è soggetta ad un processo di evoluzione, infatti divide lo sviluppo morale in diverse fasi: 1) Anomia, va dalla nascita ai 4 anni, in questo periodo vi è assenza completa di regole. dell’evoluzione dei popoli, ponendo l’età dell’intuizione, della fantasia e dell’immaginazione. Rousseau Nel Discorso sulle scienze e sulle arti, Rousseau introduce lo stato di natura che è andato perso con l’avanzare della cultura e della scienza. L’uomo naturale è puro e buono perché creato da Dio, invece la scienza lo ha reso cattivo e violento, così egli introduce il mito del buon selvaggio e pensa che si debba tornare allo stato naturale per rendere di nuovo gli esseri umani puri. Nel Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza fra gli uomini, Rousseau afferma come lo stato di natura possa essere realmente esistito ma non si sa dove e quando. Nell’Emilio, Rousseau mostra la sua visione pedagogica completa, in questo romanzo (diviso in cinque libri), il protagonista viene tolto dalla società sin da neonato e cresciuto in campagna. Emilio viene cresciuto dal suo educatore che sin dall’infanzia tralascia i capricci e i desideri frivoli, in seguito allo sviluppo del linguaggio, Emilio entra in contatto con l’altro e il gioco viene usato come strumento educativo. Nel periodo dell’adolescenza, l’educatore cerca di mitigare gli istinti di Emilio, per farlo arrivare all’età adulta e all’introduzione alla società dove incontra Sophie dopo aver compiuto un lungo viaggio per scoprire culture diverse. Rousseau mette in evidenza l’educazione naturale che si rifà al buon selvaggio ed è sciolta dalla corruzione della scienza e delle usanze. L’educatore applica una educazione negativa cioè rimozione degli elementi che possono essere dannosi e legati alla società. Rousseau afferma che il fanciullo non è un uomo in miniatura, ma ha le sue regole e la sua natura, diversa da quella dell’adulto. 5.3 Pestalozzi Proiettò l’idea dello stato naturale di Rousseau ma nella chiave del Romanticismo, che al contrario dell’Illuminismo mette prima l’irrazionale, il sentimento e l’intuizione. Per Pestalozzi, l’educazione deve risvegliare gli aspetti morali della natura umana presenti nel fanciullo che deve agire secondo amore e fiducia, lasciando gli istinti egoisti e violenti, il tutto contornato dalla fede. Il precettore è come un giardiniere deve permettere la cresciuta delle piante e prendersene cura. Lo sviluppo umano passa per tre fasi: stato di natura, stato sociale e stato morale, tali stati si rispecchiano in sentimento, pensiero e volontà, che sono incarnati da cuore (che rappresenta amore, fece e gratitudine), mente (giudizio razionale, memoria e immaginazione) e mano (attività pratiche, professionali, tecniche e artistiche). Pestalozzi propone un metodo elementare che favorisca lo sviluppo di questi tre aspetti: il primo principio è quello di necessità meccanica che consiste nel non forzare l’alunno, ma nel insegnare in modo naturale e morale; il secondo principio è di organicità e continuità che prevede una guida graduale in base all’età del discente; il terzo è di vicinanza e lontananza, cioè esaminare la realtà dagli aspetti che sono più vicini all’alunno per poi giungere a quelli più generali e astratti. Pestalozzi elabora un altro metodo, quello intuitivo che serve allo sviluppo delle mente. Tale metodo parte dall’intuizione fatta sull’esperienza e in tale sensorialità, il bambino deve estrarre tre concetti: forma, numero e nome, usando rispettivamente geometria, matematica e linguaggio, la prima serve per studiare le forme della realtà, la seconda per qualificare i fenomeni e loro rapporti, mentre la terza per identificare bene gli oggetti. Fr ö bel Fu pedagogo ed entrò in contatto con Pestalozzi, egli conia il termine kindergarten cioè “giardino dei bambini” per indicare l’asilo come luogo di gioco e attività. Egli raccoglie il suo pensiero in L’educazione dell’uomo. Egli si concentra maggiormente sull’infanzia che divide in tre fasi: lattante, fanciullo e scolaro, queste tre fasi sono collegate a diverse facoltà dell’essere umano, cioè sensi, linguaggio e intelletto, che devono incontrare religione e scienze. Herbert La morale è il fine ultimo degli esseri umani e il percorso per arrivarci è diviso in tre tappe: piano di governo in cui l’educatore domina lo studente per sedare gli istinti e le passioni, ma stimola la sua forza di volontà, inoltre l’educatore deve anche impartire la morale dall’esterno, inoltre deve usare autorità e amore intese come capacità di porsi con un alto valore morale e unità di intenti, queste aiuteranno l’allievo, mentre minaccia e sorveglianza non avranno un buon effetto su di lui; il secondo piano è di istruzione in cui il docente aiuta l’allievo a maturare le sue concezioni morali; il terzo è l’autogoverno che determina una sintesi tra volontà e giudizio. Herbert classifica gli interessi, che sono essenziali all’apprendimento e sono di due tipi: conoscitivi e partecipativi. I primi sono: interesse empirico (contatto diretto con gli oggetti tramite i sensi), speculativo (che deriva da ragionamenti e riflessioni sugli oggetti) ed estetico (interesse per armonia e bellezza della natura); i secondo sono: simpatetico (interesse ai sentimenti altrui), sociale e religioso. I primi sono stimolati dalle discipline scientifiche mentre i secondi da quelle umanistiche. Per Herbert l’insegnamento si sviluppa in gradi formali: chiarezza, l’insegnante deve rappresentare l’oggetto in modo che l’allievo riesca a vederlo, imitando l’esperienza diretta; associazione con cui l’insegnante collega l’oggetto reale alle rappresentazioni mentali e così si riesce a scomporre l’oggetto nelle sue parti essenziali e poi vengono fatte associazioni intuitive di queste parti; sistemazione, le associazioni vengono collegate e si creano dei legami tra queste, l’insegnante deve far cementare queste conoscenze ordinate e sistematiche; metodo, si applica quanto appreso in modo ordinato. 5.4 Comte Grande esponente del Positivismo che esalta il progresso scientifico (termine coniato Henri de Saint-Simon). La conoscenza si fonda sull’esperienza ed essa permette di capire come siano collegati cose e anche fatti. L’osservazione è fondamentale per la conoscenza, essa permette di cogliere il reale con le sue leggi e tale leggi si devono applicare anche alla società, dunque la nuova società di Comte si deve basare sulle leggi della natura e la scienza non più su religione e filosofia. Ardigò Padre della psicologia scientifica italiana. Si soffermò sulle abitudini come comportamenti sedimentati e certi che non devono essere metafisici e astratti. Con il termine confluenza mentale, egli vuole indicare che le abitudini sono educative e da essere può nascere un’etica laica. 5.5 Funzionalismo Lo psicologo William James è padre del funzionalismo con la sua opera Principi di psicologia (1890) in cui egli afferma che la mente è un flusso di coscienza, che sono un continuo di esperienze e pensieri, questi portano a mutamenti incessanti; con queste basi, il funzionalismo si occupa dello studio della funzione del pensiero. Tale corrente di pensiero attinge dalla teorie dell’evoluzione di Darwin, in quanto afferma che le attività umane contribuiscano alla sopravvivenza della sua specie e adattamento all’ambiente. Il funzionalismo si contrappone allo strutturalismo che ha una visione olistica, in quanto scompone tutte le attività mentali per poi studiare le relazioni tra loro, invece il funzionalismo ha un approccio analitico, cioè che dà peso alle singole attività. La scuola di Chicago rappresenta il funzionalismo in ambito psicologico. Verso la fine dell’Ottocento e inizio Novecento, si diffondono le new school, queste sono scuole destinate a formare la nuova classe dirigente, dunque sono di stampo borghese e pongono l’attenzione sulle materie scientifiche e sull’esperienza diretta. L’alunno viene coinvolto in modo attivo, partecipa con la sua mente e le sue idee. Nel 1917, Bovet usa per la prima volta il termine scuole attive per riferirsi alle nuove, questo termine fu poi diffuso da Ferrière, nel 1921 al Primo congresso dell’educazione nuova. A tale congresso furono elencati i principi fondamentali delle scuole attive: l’alunno deve essere al centro della scuola (puerocentrismo); ogni alunni ha i suoi interessi e bisogni che vanno assecondati; si deve favorire la cooperazione; ci deve essere piena libertà; le attività devono essere impostate sul piano della scoperta; è importante che venga insegnata educazione alla cittadinanza. Da qui nasce il termine attivismo, di cui furono maggiori esponenti Montessori e Dewey. Claparàde È stato esponente del funzionalismo, in particolare attinse dal darwinismo, affermando che la mente è in equilibrio con l’ambiente che la circonda e la rottura di tale equilibrio permette l’evoluzione dell’organismo perché fa instaurare la necessità di ristabilire equilibrio. In Educazione funzionale (1931), Claparàde analizza le tappe evolutive del bambino dividendole in sei leggi di sviluppo funzionale: 1) Legge della successione genetica: le fasi di sviluppo del bambino sono determinate e ordinate e gli permettono di crescere e diventare adulto, queste ripercorrono le tappe di evoluzione degli esseri umani. 2) Legge di esercizio funzionale: ogni funziona si sviluppa se viene esercitata. 3) Legge dell’esercizio genetico: se le funzioni si sviluppano, creano le condizioni per sviluppare ulteriori funzioni. 4) Legge dell’adattamento funzionale: un’azione si manifesta che se deve soddisfare un bisogno, dunque nell’educazione, per far svolgere un’azione, si deve creare un interesse o un bisogno. 5) Legge di autonomia funzionale: il bambino va considerato autonomo e perfetto, non imperfetto e lontano dall’adulto come nella pedagogia precedente. Il bambino ha solo una mancanza di esperienza rispetto all’adulto. 6) Legge dell’individualità: l’educazione deve essere individualizzata e personalizzata per ciascun individuo. In La scuola su misura (1920) Claparède presenta la sua idea di organizzazione scolastica, egli propone delle classi parallele e omogenee, cioè classi formate da alunni che sono allo stesso livello, ad esempio quelli che hanno bisogno di recupero. Inoltre propone delle classi mobili, cioè non composte sempre dagli stessi alunni, ma che cambiano in base alla disciplina. Claparède propone anche un sistema di opzioni, ovvero far scegliere la materie da studiare agli alunni, lasciando comunque una parte obbligatoria di lezioni da seguire. Decroly Fondò una scuola per bambini con disabilità. Egli riprende la teoria funzionalista secondo cui si devono soddisfare i bisogni degli alunni e ne individua quattro fondamentali, che chiama esigenze soggettivo- psicologiche e sono: nutrirsi, lottare contro il freddo, difendersi dai pericoli e dai nemici, lavorare e rilassarsi. Da questi nascono gli interessi, per questo si deve impostare la didattica sui centri di interesse, in modo da attirare l’attenzione e anche per favorire l’associazione di idee e concetti intorno a tali centri di interesse. Vi sono tre attività che si possono svolgere intorno ai centri: osservazione, associazione e espressione (riprodurre quanto visto e associato in qualcosa di nuovo, come un disegno). Per Decroly, è importante che le conoscenze abbiano carattere globale, cioè vengano presentate nelle loro complessità, rispecchiando così la realtà, perché la semplificazione porta confusione nell’alunno e nono stimolano l’interesse. L’ambiente è un altro elemento fondamentale perché promuove lo sviluppo sociale del bambino. Decroly in particolare si concentra sulla classe, sui rapporti docente-alunno e su quello tra gli alunni, tuttavia egli afferma che l’ambiente di campagna sia più stimolante per l’alunno. Don Bosco Contribuì al cattolicesimo liberale e fu fautore della pedagogia povera, cioè dare supporto ai giovani in condizioni di disagio, infatti egli creò degli oratori come luogo di studio, lavoro e anche svago. Il principio educativo è di tipo preventivo, ovvero incentrato sulla prevenzione in quanto formare i giovani permette che da adulti non facciano una vita dissestata. L’amorevolezza è il principio fondamentale che gli educatori devono usare. Don Milani Egli avviò il primo tentativo di scuola a tempo pieno nella scuola di Barbiana, dove accolse giovani in situazioni di disagio e lì iniziò a sperimentare il metodo della scrittura collettiva. Il principio fondamentale delle scuola era l’uguaglianza e portare tutti gli alunni ad un livello minimo di istruzione. In Lettera ad una professore (1967), Don Milani e i suoi studenti denunciarono la scuola come classista e borghese e sviluppando il motto “I care” in opposizione al “Me ne frego” fascista. Don Milani abolì la punizione corporale, inoltre sviluppò la concezione del professore-amico, che non doveva essere per forza autoritario. Inoltre applicò la tecnica del mutuo insegnamento che consisteva prima nell’insegnare agli studenti più capaci e poi questi avrebbero fatto lo stesso con gli altri. Maria Montessori È stata la prima donna a diventare medico. Le sue convinzioni hanno radici nel positivismo e nel funzionalismo, unendole in un attivismo pedagogico con aspetti originali. La Montessori capì che servivano materiali appositamente studiati per permettere al bambino di comprendere, ciò porta la puerocentrismo e non più all’adultismo. Il maestro deve osservare Pavlov. Watson sperimentò sul fatto che uno stesso stimolo possa generare delle risposte differenti, per cui si chiede quale sia la più probabile man mano che ripete lo stimolo. Da qui, Watson formulò due leggi: la legge della frequenza che afferma come la probabilità di una risposta è direttamente proporzionale al numero di volte in cui questa risposta si manifesta allo stimolo; la legge di recenza secondo cui la risposta più recente è quella più probabile. Watson fece un esperimento su un bambino di nome Albert, che amava giocare con un topolino bianco e che aveva paura quando sentiva rumori forti, facendo quei rumori mentre il bambino giocava con il topo, alla fine Albert aveva paura anche del topolino. Watson sosteneva che i genitori dovessero mantenere sempre un certo distacco emotivo dai figli, per il bene della loro educazione. Egli arrivò ad affermare che un bambino potesse diventare qualsiasi cosa grazie al condizionamento, ma anche che per questo non vi dovevano essere differenze razziali. Thorndike Usò come strumento scientifico la gabbia-problema o puzzle-box in inglese, dove pose un gatto che poteva osservare il cibo che si trovava all’esterno della gabbia, in un primo momento il gatto non riesce ad uscire ma poi capisce che vi sono delle leve per aprire la gabbia. Da qui Thorndike teorizza l’apprendimento per prove ed errori per raggiungere un determinato obiettivo, dunque il comportamento è un’associazione di stimolo e risposta, perché dalla prima scoperta casuale, il gatto impara ad abbassare la leva, non solo in quel caso, ma anche in altri casi simili. Si possono formulare tre leggi: - La legge dell’effetto che afferma come da un’associazione S/R si può arrivare a soddisfazione e dunque tale associazione si verificherà più spesso, fino a diventare un comportamento frequente. Se invece l’associazione porterà svantaggio, il comportamento non sarà più adottato, fino a sparire. - La legge dell’esercizio afferma che se un’associazione viene ripetuta spesso, tende ad essere appresa, se non viene ripetuta, tende a scomparire. - La legge della prontezza che afferma come un soggetto compia una determinata associazione quando è maturo e pronto, se non lo è, il fatto di portarla compiere lo porta ad uno stato di disagio. Inizialmente Thorndike fa degli esperimenti solo sugli animali, ma in seguito li fa anche sugli esseri umani e ottiene i medesimi risultati, lo mostra in Human learning (1931), in cui abbandona la legge dell’esercizio quando chiede a dieci persone di disegnare bendati una linea retta, questa ripetizione non sarà fonte di apprendimento. Dunque per l’apprendimento è necessario un rinforzo positivo, ovvero una ricompensa legata a S/R. Skinner Egli riprende il concetto di rinforzo di Thorndike. In Il comportamento degli organismi (1938), introduce il concetto di condizionamento operante, che è un comportamento che non viene scaturito da stimoli esterni ma che ha il fine di ricevere un premio, cioè un rinforzo positivo, che è uno stimolo a posteriori rispetto all’azione, questo è un comportamento attivo in quanto il soggetto opera di sua iniziativa sull’ambiente esterno per ricevere un premio. Questo è diverso dal comportamento rispondente che è quello del condizionamento classico studiato da Pavlov e Watson. Skinner chiama shaping o modellaggio, le tecniche che possono modificare un comportamento, e lo paragona ad un ceramista che modella l’argilla, ma non si riesce a trovare il momento preciso in cui la forma compare perché è frutto di un processo di continua formazione, dunque lo shaping è il rinforzamento differenziale dei comportamenti che piano piano si avvicinano all’obiettivo. Ad esempio, un alunno può studiare volentieri se riceve come premio un buon voto. Il comportamentismo di Skinner viene detto radicale perché si avvale dell’oggettività scientifica in quanto vi sono delle variabili filogenetiche e ontogenetiche nel soggetto. In realtà non vi sono variabili interne al soggetto perché tutto si può spiegare come rinforzo e stimolo, anche aspetti personali come il carattere. Skinner scrive anche di punizione negativa e punizione positiva, entrambe servono per eliminare un comportamento inadatto, la prima consiste nell’allontanare da una situazione negativa, come vietare ad un figlio di uscire la sera per allontanarlo da una situazione sgradevole che è l’uscita; mentre la seconda punizione consiste nel procurare una situazione di disagio al soggetto, come sgridare un figlio perché non fa i compiti. Tuttavia il rinforzo ha una maggiore efficacia della punizione, esso infatti ha tre fattori cruciali: quantità, qualità e ritardo, quest’ultimo è il tempo che trascorre tra la manifestazione del comportamento e la manifestazione del successivo stimolo/rinforzo, se il tempo è troppo ampio, l’efficacia del rinforzo sarà meno forte. Il rinforzo può anche essere primario o incondizionato quando si soddisfano bisogni primari come sete e fame, e può essere secondario o condizionato quando si ha dopo un certo comportamento. Dopo aver ottenuto l’apprendimento tramite rinforzo, è necessario continuare con altri rinforzi per mantenere efficace il comportamento ottenuto. Skinner propone due schemi: - Schema a intervallo fisso: il rinforzo viene fornito ad intervalli regolari. - Schema a rapporto fisso : il rinforzo viene fornito dopo un numero fisso di comportamenti. I due schemi possono anche essere combinati tra loro. Quando il rinforzo non viene fornito si ottiene l’estinzione di quel comportamento, infatti il soggetto tende progressivamente ad abbandonarlo, che però è un nuovo tipo di apprendimento, non una cancellazione dell’apprendimento precedente. Invece il recupero spontaneo è il riapparire di un comportamento nel momento in cui ricompare il rinforzo. Nel romanzo Walden due (1948), Skinner presenta il suo modello di utopia. Il protagonista è professore Burris che si reca nella comunità del suo collega Frazier, che si chiama Walden due, in questa comunità tutti vivono in armonia con la natura e non sono mai in conflitto tra loro, ciò avviene tramite un condizionamento che porta ad un miglioramento umano, viene adottato il controllo condizionante sin dalla tenera età, infatti i bambini vengono guidati dagli insegnanti ad applicare le tecniche di insegnamento, per il resto sono liberi, non vi sono lezioni frontali, lo studio è libero e non ci sono punizioni. Skinner vuole mostrare come sia meglio produrre comportamenti positivi che reprimere quelli negativi, in una critica al sistema scolastico vigente. Skinner propone che la scuola l’uso del rinforzo, che si esprime con i buoni voti quando si studia e con quelli cattivi quando non avviene, ma anche con le lodi degli insegnanti e le prese in giro dei compagni. Inoltre Skinner suggerisce che i feedback degli insegnanti siano più immediati, che durante una verifica vengano dati quesito per quesito. Serve anche che i percorsi di apprendimento siano personalizzati per ogni alunni ma che abbiano tutti lo stesso fine. Skinner è consapevole delle difficoltà pratiche di questo tipo di insegnamento, per questo perla di teaching machine, nell’omonima opera del 1958, in cui propone l’uso di macchine che dessero subito un feedback, come quella inventata nel 1920 da Pressey. Queste macchine però dovrebbero avere anche la capacità di cambiare le domande e porle in base alle risposte dell’alunno, in modo che siano davvero personalizzate. Queste macchine per insegnare non sminuiscono il lavoro dell’insegnante che controllano comunque le attività di gruppo, infatti le macchine devono essere usate solo in solitaria. 5.7 Skinner ha introdotto molte novità nel comportamentismo classico, tuttavia il vero punto di rottura è rappresentato dal neocomportamentismo di Tolman e Hull, che fa da ponte verso le teorie cognitiviste. Tolman Affermò che il comportamento va osservato nella sua totalità non come una serie di conseguenze di stimolo/risposta. Tolman critica così Watson e Thorndike per aver analizzato un comportamento molecolare, invece che uno globale, che lui chiama comportamento molare, perché la mole contiene un alto numero di molecole. Tolman condusse esperimenti sui topi in un labirinto, pose tre gruppi in tre labirinti identici, tutti inizialmente andavano per prove ed errori, in seguito, a quelli del gruppo A è stato fatto trovare del cibo all’uscita, a quello del gruppo B no, questo ha portato i primi ad imparare ad uscire più velocemente, ma anche i secondi hanno imparato come uscire. Sul gruppo C si è posto il cibo fuori solo dopo qualche giorno e la scoperta consiste nel fatto che abbiano raggiunto dopo pochissimo tempo il livello del gruppo A. Questo ha portato a: - Confermare che l’apprendimento può avvenire senza rinforzo ; - Che l’apprendimento può avvenire senza variazione di comportamento mentre prima si pensava il contrario, infatti i topi del gruppo C apprendono come uscire all’inizio e lo fanno senza comportarsi diversamente, dunque vi è un apprendimento latente cioè che non viene manifestato fino a quando non si trova un rinforzo positivo; - Si deve distinguere tra apprendimento e performance , infatti il cibo non determina un cambiamento di apprendimento, ma un miglioramento nel tempo, dunque il rinforzo aiuta la performance. I topi dunque hanno memoria di quanto appreso, e gli apprendimenti emergono a tale memoria quando servono per ottenere un rinforzo. Ma non è solo il rinforzo a fare ciò, ma emergono anche se la volontà entra in campo, dunque percorrere il labirinto diventa un atto intenzionale e si parla per questo di comportamento intenzionale. Tuttavia vi sono delle variabili che Tolman introduce: - Variabili indipendenti, sono quelle manipolabili dall’esterno, possono essere ambientali o legate al soggetto, nel primo caso sono relative agli stimoli forniti, nel secondo dipendono dal soggetto e sono ad esempio: l’età del topo, fattori ereditari, condizioni di salute, etc. - Variabili dipendenti , sono legate alle indipendenti, infatti sono ad esempio il tempo di percorrenza del labirinto. - Variabili intervenienti, sono nel mezzo tra le due precedenti perché dipendono dal soggetto e non possono essere controllate dal manipolatore, come ad esempio l’appetito del ratto. Bandura Autore di passaggio tra comportamentismo e cognitivismo. Egli fece un esperimento detto della bambola BoBo su 36 bambini e 36 bambine dai 3 ai 6 anni, divisi in tre gruppi misti, il primo viene condotto in una stanza con dei giochi, il secondo in una stanza con dei giochi e un adulto che dovrà picchiare in modo aggressivo una bambola BoBo, cioè che torna sempre in piedi perché ha un baricentro basso, il terzo gruppo invece ha un modello/adulto che gioca in modo non aggressivo. L’esperimento vuole dimostrare che l’aggressività non deriva da imitazione, ma avviene quando si determinano le condizioni, infatti al secondo gruppo, vengono sottratti i giochi e sgridati, da qui scaturisce l’aggressività. Il modello non aggressivo viene comunque imitato ma in modo minore rispetto a quello aggressivo e i maschi sono più aggressivi delle femmine. Questo esperimento apre al concetto di apprendimento osservativo o vicario, cioè che avviene osservando un modello. Bandura esegue di nuovo l’esperimento, ma nel gruppo A viene lodata la violenza, nel gruppo B viene criticata e nel gruppo C non viene dato alcun giudizio. Il risultato è che nel primo gruppo la violenza è più forte, mentre nel secondo di meno. Da qui Bandura arriva a concepire il rinforzo vicario che indica che se viene dato un rinforzo positivo al modello influenza il comportamento di chi osserva. Dunque non si apprende solo per errori e tentativi e neanche per stimolo/rinforzo/risposta, ma anche per osservazione. Bandura introduce altri tipi di rinforzo: - Rinforzo anticipato che serve per migliorare l’attenzione dell’osservatore. - Rinforzo vicario che proviene dall’osservazione del modello e avviene come conseguenza del comportamento del modello. - Auto-rinforzo viene generato dall’osservazione da parte dell’individuo che associa in modo positivo a sé, il rinforzo vicario che ha visto. Dunque vi è anche un determinismo reciproco perché il comportamento dei soggetti può influenzare l’ambiente e non sempre il contrario. Questo viene chiamato apprendimento sociale. Bandura chiama il processo di osservazione e imitazione con il nome di modeling, che indica proprio come sia più immediato ispirarsi ad un modello piuttosto che andare per errori e tentativi. Il tipo di osservazione che fornisce lo stimolo può essere di tre tipi: - Osservazione fisica , questa è diretta sul modello, questa è la più diffusa tra i bambini, soprattutto quelli che ancora non hanno sviluppato il linguaggio. - Descrizione verbale di un comportamento , cioè la possibilità di seguire la regole di un manuale, qui è fondamentale il linguaggio. - Rappresentazione pittorica o simbolica , l’uso di arti grafiche come disegni e filmati. Il modeling si divide in diverse fasi: processi di attenzione, momento in cui il soggetto presta la sua attenzione su cosa osservare; processi di ritenzione, affinché un processo sia ricordato deve imprimersi nella memoria, deve essere trattenuto; processi di esecuzione, anche se il processo è nella memoria, il soggetto ha bisogno di tentativi per riprodurlo bene; processi motivazionali e di rinforzo, quando il soggetto decide se eseguire o no quell’azione immagazzinata, ma alla presenza di un rinforzo positivo, l’azione può essere compiuta. Si può dunque arrivare all’auto- efficacia, cioè quando un allievo affronta ed esegue bene un’azione, dunque acquisisce padronanza e migliora, questo esercita effetti sulla motivazione. La non riuscita può anche essere stimolo alla motivazione perché è oggetto di sfida. Dunque l’autoefficacia è la fiducia nelle proprie capacità. soggetti. Per questo Piaget parla di epistemologia genetica perché la conoscenza si evolve insieme alla vita biologica. Tra ambiente e organismo vi è un rapporto dinamico di influenza reciproca, che viene detto trasformazione, che il processo che porta un soggetto ad una conoscenza purché questa agisca in modo attivo sull’ambiente, per questo si parla anche di azione che può essere di due tipi: reale e interiorizzata, la prima ha una realtà fisica, mentre la seconda è mentale agisce sulle rappresentazioni degli oggetti, non sugli oggetti stessi, anche questa azione ha conseguenza sull’ambiente, come ad esempio catalogare degli oggetti. Quindi la conoscenza viene costruita da soggetto perché una parte cognitiva e una affettiva, che corrispondono ad una parte individuale e una sociale, per questo l’apprendimento è un atto creativo, in quanto il soggetto destruttura, assimila e ricostruisce la materia secondo le proprie strutture mentali. Nonostante il comportamento vari in base alle tappe evolutive della vita del soggetto, vi sono degli invariabili funzionali che non mutano, come il principio di organizzazione che afferma come le strutture mentali abbiano una certa coerenza e armonia, come le parti del corpo, l’organizzazione delle strutture migliora con il tempo; un altro invariabile è il principio di adattamento, ripreso dal funzionalismo, secondo cui il soggetto si adatta all’ambiente, questo causa un cambiamento nelle strutture mentali, e tale adattamento avviene in due processi che stanno in equilibrio tra loro: assimilazione e accomodamento, il primo è quando le conoscenze vengono inglobate nelle strutture mentre il secondo è quando le nuove conoscenze sono inserite in modo coerente e armonioso in quelle vecchie; l’equilibrio tra i due è sinonimo di intelligenza per Piaget, che si può definire come la capacità di adattarsi all’ambiente, essere in equilibrio e sopravvivere. Vi sono però la strutture variabili che descrivono lo sviluppo mentale del soggetto, sono modalità o meccanismi di pensiero, come il soggetto si approccia alla conoscenza. Le prime strutture dei neonati sono dette schemi d’azione e riguardano sensazione, percezione e motricità, la loro combinazione forma gli schemi mentali che organizzandosi in modi più complessi formano le strutture mentali. Piaget teorizzò quattro stadi di sviluppo della vita psichica, che sono frutto dell’adattamento intelligenza all’ambiente, ogni stadio è propedeutico al successivo e fa scaturire il successivo da un punto di rottura dell’equilibrio. 1) Stadio senso-motorio , va dalla nascita ai 2 anni, e si suddivide in sei sotto-stadi ciascuno caratterizzato da strutture mentali semplici. Il primo sotto-stadio copre il primo mese di vita ed è il periodo dei riflessi, meccanismi innati che si trasmettono con la genetica, ad esempio sono il rooting, cioè volgere il viso verso un dito dell’adulto e poggiarlo sula guancia o sulle labbra, o il riflesso di Moro (dallo studioso) che consiste nell’aprire le braccia quando il bambino viene messo supino. Il secondo sotto-stadio copre fino ai quattro mesi, il neonato inizia ad avere delle reazioni circolari primarie che sono le prime coordinazioni degli schemi, sono più riflessi innati ma azioni coordinate, come quelle mano-bocca o vista-udito. Questi primi due stadi sono caratterizzati da un egocentrismo radicale, in quanto il neonato non distingue tra sé e l’ambiente. L’egocentrismo finisce con terzo sotto-stadio, che porta a riconoscere l’ambiente esterno, infatti vi sono delle reazioni circolari secondarie che sono azioni coordinate che hanno un effetto sull’ambiente, come spingere una palla. Il quarto va dagli otto ai dodici mesi e vi è un coordinamento delle reazioni circolari secondarie in schemi più complessi e con intenzionalità, cioè le azioni sono compiute per un fine. Qui si ha coscienza della permanenza dell’oggetto, ovvero quest’ultimo esiste anche se non è nel campo visivo del bambino. Il quinto arriva fino ai diciotto mesi e ha delle reazioni circolari terziarie in cui il bambino usa altri oggetti per compiere azioni, ad esempio si avvicina la palla con una cordicella. Il sesto arriva fino ai due anni ed emerge la funzione simbolica che porta a delle rappresentazioni mentali, che sono immagini di oggetti e azioni. Tali rappresentazioni permettono di compiere ripetizioni in differita, cioè azioni viste compiere ad altri e gioco di finzione. 2) Stadio preoperatorio dai 2 ai 7 e si divide in due sotto-stadi. Tale stadio si caratterizza di azioni che il bambino ancora non riesce a compiere bene, infatti il primo sotto-stadio è la fase simbolica che va fino ai quattro anni e serve per comprendere bene il simbolismo, tuttavia ancora non vi è una delineazione netta tra concetto generale ed evento singolare, un bambino sa dire lumaca e sa cosa sono, ma non riesce a collegarlo bene quando ne vede una, perché dice “la lumaca” e non “una lumaca” se ne vede due a distanza di tempo, dirà che sono la stessa. Il secondo sotto-stadio è il pensiero intuitivo, in cui il bambino usa tale intuitività al posto della logica, che ancora si deve sviluppare, infatti vi sono delle difficoltà nella classificazione degli oggetti e con la deduzione. Ad esempio, il bambino con tre bastoncini dirà che A è più lungo di B e B è più lungo di C, ma non che A è più lungo di C, perché è una deduzione logica. Vi sono due limiti in questo periodo: il primo è l’egocentrismo del pensiero che consiste nel pensare che tutto sia riconducibile ad azioni fatte dal bambino o dagli adulti vicino a lui, ad esempio crede che il Sole si sforzi di sorgere. Questo è legato all’animismo perché il bambino attribuisce un’anima agli oggetti, ma anche all’artificialismo cioè credere che sia tutto frutto della mano degli esseri umani e anche finalismo che fa credere che qualsiasi fenomeno abbia un fine. Il secondo limite è l’irreversibilità perché il bambino non riesce ad immaginare che delle azioni possano tornare al loro stato di partenza. Inoltre il bambino non riesce a concepire la conservazione, il concetto del tutto e della parte, il concetto di funzione (mettere in relazione due grandezze). Per dimostrare ciò Piaget condusse diversi esperimenti sui bambini. 3) Stadio delle operazioni concrete dai 7 ai 12 anni, qui le criticità vengono superate e la logica sostituisce l’intuizione, infatti il bambino riesce a classificare in modo gerarchico e si riescono a fare anche operazioni inverse di classificazione. Inoltre il bambino riesce a costruire una classe da zero, raggruppando elementi secondo nuovi criteri. Il bambino riesce anche a compiere una seriazione additiva cioè ordinare oggetti in base a due caratteristiche contemporaneamente. A questi si aggiungono le operazioni infralogiche che riguardano spazio e tempo tra un oggetto e le sue parti. 4) Stadio delle operazioni formali dai 12 ai 16 anni, l’adolescente riesce a fare operazioni di classificazione e di seriazione più complesse, perché riesce ad applicarle anche su cose non visibili. Nasce qui il pensiero ipotetico deduttivo che permette di condurre ragionamenti senza un dato dell’esperienza e di controllare il risultato nella realtà. Dunque si è in grado di fare deduzione ed induzione, con quattro strutture cognitive: identità, negazione, reciprocità e correlatività. In Psicologia e pedagogia (1969), Piaget afferma che gli insegnanti dovrebbero avere preparazione in psicologia per essere efficienti nella pedagogia, l’insegnante dovrebbe anche diventare un ricercatore. Vygotskij Il massimo esponente della scuola socio-culturale. Vygotskij riprende l’insight di Kohler, infatti afferma che la comparsa del linguaggio, i bambino abbandonano l’uso degli strumenti, analogo a quelle delle scimmie di Kohler. Il bambino, quando deve svolgere un compito, parla e descrive quello che sta facendo, ciò mostra un carattere di spontaneità nel bambino, che si traduce in una necessità per svolgere quel compito, infatti quando si interrompe il parlare, si interrompe anche l’suo degli strumenti. Vygotskij osserva che durante lo svolgimento di azioni comandate, i bambini tendono a parlare di più, anzi sembra raddoppiare l’uso delle parole, questo viene detto linguaggio egocentrico, dimostrato dal fatto che il bambino usa molto spesso il pronome “io” e lo fa anche in presenza di altri coetanei, questo perché non è in grado di mettersi nei panni degli altri. Dunque tale linguaggio esteriore corrisponde ad un linguaggio interiore, che negli adulti si manifesta dentro la mente, nei bambini all’esterno, è un ragionare ad alta voce. Il linguaggio è molto importante perché il linguaggio crea ulteriori stimoli per il bambino che svolge un compito, altrimenti sarebbe uguale alle scimmie. Il linguaggio può essere auto-stimolazione perché proviene dal bambino stesso, inoltre ha funzione auto-regolativa perché rende il bambino più riflessivo e meno impulsivo. Quando un bambino non riesce a risolvere una situazione, chiede aiuto, usa un linguaggio sociale, che può anche essere rivolto ad un estraneo. Vi sono così linguaggio egocentrico e linguaggio sociale, che rappresentano funzioni interpersonale e intrapersonale. Vygotskij condusse un esperimento su dei bambini che consisteva nel mostrare un’immagine su uno schermo e far premere il tasto corrispondente, in un primo momento i risultati sono stati scarsi, ma con l’introduzione di un simbolo corrispondente alla figura, sul tasto, i bambini sono riusciti perfettamente a coordinarsi. Vygotskij chiama barriera funzionale che divide sistema percezione/memoria e sistema motorio e viene introdotta dai simboli applicati sui tasti, inoltre tale simbolo permette di compiere una scelta perché viene espressa volontà tramite attenzione. I simboli permettono di passare da un comportamento per natura ad uno per cultura, nel primo caso si tratta di applicazione di funzioni psichiche inferiori, mentre nel secondo caso sono funzioni psichiche superiori poiché entrano in gioco il simbolo e il linguaggio permettendo uno sviluppo storico, culturale e sociale. In Thinking and speech (1934), Vygotskij studia anche la formazione dei concetti, lo fa tramite diversi esperimenti e nota che alla presenza di un doppio stimolo, i bambini reagiscono meglio, il primo stimolo è visivo mentre il secondo è una parola (gur che indica l’insieme di oggetti). Quando il bambino è più piccolo, vi è una fase di sincretismo o dei mucchi, cioè tende a collezionare oggetti a caso o per preferenze personali; la seconda fase è quella dei complessi, in cui gli oggetti sono messi insieme secondo una certa logica, è una fase intermedia verso la formazione dei concetti, infatti vengono formati degli pseudo-concetti perché il bambino associa la parola al reale significato dell’oggetto. Vygotskij analizza il rapporto tra sviluppo e apprendimento delineando tre maggiori correnti di pensiero: 1) Di Piaget : sviluppo e apprendimento sono separati e indipendenti. 2) Di Thorndike: i due coincidono. 3) Di Koffka : appoggia entrambe le visione, di Piaget e di Thorndike. Egli afferma che l’istruzione può sia essere acquisizione di abilità (scrivere alla tastiera) e sia mutazione di abilità (ragionare creando schemi), dunque l’istruzione precede lo sviluppo. Vygotskij si rifà a quest’ultimo approccio, ma comunque in modo diverso poiché afferma che sviluppo e istruzione sono legati ma non coincidono, da qui egli concepisce la zona di sviluppo prossimale che è la distanza tra il livello reale di sviluppo di un singolo e il livello di sviluppo potenziale. Ad esempio, se un bambino di 8 anni riesce a svolgere problemi di uno di 12 grazie all’aiuto di un adulto o di altri bambini, egli ha una zona di sviluppo prossimale pari a 4 (12 – 8 = 4). Tale fattore indica il nesso tra sviluppo e apprendimento in quanto l’istruzione (o apprendimento) favorisce lo sviluppo poiché lo precede, fa confluire un certo bagaglio cognitivo nello sviluppo. In classe, i problemi devono favorire lo sviluppo del bambino tramite la presenza nella ZSP, infatti devono essere posti poco sopra il livello del bambino e guidati dal docente e in collaborazione con i pari. Vygotskij sostiene inoltre che esistano due tipi di concetti: scientifici e spontanei, i primi sono organizzati in un sistema di conoscenza e sono collegati tra loro, sono di tipo astratto; mentre i secondi sono quotidiani, nati dall’esperienza e non collegati tra loro, hanno uso empirico, ad esempio un concetto scientifico è la temperatura mentre il corrispondente spontaneo è il caldo e il freddo, i due non sono conciliabili. Il concetto scientifico usa il metodo deduttivo (dall’alto verso il basso o dal grande al piccolo), mentre quello spontaneo l’opposto, il metodo induttivo. Tuttavia vi può essere un passaggio da un concetto all’altro, i due si possono unire tramite la ZSP. Il gioco viene analizzato da Vygotskij in Play and its role in the mentale development of the child (1933) e in Il processo cognitivo (1987). In età prescolare, i giochi si basano sull’immaginazione e sulla base di ciò che viene osservato, tali giochi hanno sempre delle regole, così crea una situazione immaginaria. Le regole del gioco sono completamente diverse da quelle reali imposte al bambino, per questo lo sviluppo morale si basa su due tipi di regole, quelle reali e quelle del gioco. Nel gioco immaginario, il significato di alcuni oggetti viene associato ad altri, questo è un primo livello di astrazione perché comunque il bambino ha bisogno fi un perno, cioè un altro oggetto a cui dare quel significato, non riesce ad astrarlo in modo netto. Il mezzo usato è sempre il linguaggio perché l’oggetto cambia nome ma non aspetto. Il gioco aiuta anche la ZSP. Bruner La cultura è il fattore che dà forma alla mente e lo fa tramite i concetti che sono gli strumenti che permettono agli esseri umani di interagire con la realtà, infatti Bruner parla spesso di concettualismo strumentale. La narrazione è uno dei meccanismi psicologici fondamentali, soprattutto in infanzia, infatti l’essere umano è predisposto a narrare perché ha bisogno di ricostruire la realtà dando un significato. Le proprietà principali della narrazione sono: - Sequenzialità perché vi è un processo temporale. - Particolarità e concretezza perché riferiti a dei protagonisti che sono i soggetti della trama. parte fisica del computer e si divide in RAM (random access memory) dove sono contenute le informazioni e la CPU (central processing unit) il processore che elabora mediante i programmi. Gli esseri umani sono paragonati ai computer perché ricevono informazioni dall’esterno, le elaborano e producono azioni sull’ambiente esterno. La memoria può così essere paragonata ad un archivio che non è però statico e passivo, ma fa un processo di elaborazione attiva, che ha tre fasi: codifica, ritenzione e recupero, la prima è il modo in cui l’informazione viene messa nel contesto delle informazioni precedenti, la seconda permette che il ricordo sia conservato, la terza recupera quel ricordo a lungo termine per usarlo. Su queste basi è stato elaborato il modello multi-magazzino di Atkinson e Shiffrin, tale modello pone la memoria umana come un sistema di tre magazzini che si scambiano informazioni: 1) Memoria sensoriale : riesce a contenere tutti gli stimoli esterni, è ampia ma trattiene per poco tempo, una parte selezionata giunge alla memoria a breve termine. Essa è organizzata in registri sensoriali, vi è la memoria sensoriale uditiva e la memoria sensoriale ecoica (traccia dei suoni). 2) Memoria a breve termine : è detta anche di lavoro e contiene le informazioni per breve tempo. 3) Memoria e lungo termine: sono conservate esperienze ed informazioni per tutto l’arco della vita. Si divide in esplicita ed implicita, la prima riguarda ciò che può essere descritto in modo consapevole dal soggetto, mentre la seconda contiene abilità motorie, cognitive e percettive che fanno parte della routine e sono inconsce. La memoria esplicita si divide in: episodica che riguarda gli eventi che l’individuo ha vissuto; semantica che riguarda i concetti e le conoscenze acquisite da esperienze; autobiografica riguarda i ricordi dell’esistenza e il rapporto con il mondo. La memoria implicita è un sapere come fare qualcosa, è una predisposizione automatica all’azione. Un altro modello è quello di Baddeley e Hitch che consiste nella memoria di lavoro o working memory (WM) che è una forma di memoria a breve termine. Un altro modello ancora è quello di Meacham e Singer, detto della memoria prospettica che fa riferimento a quella dei processi e delle abilità nel ricordo di intenzioni che devono realizzarsi in futuro, è un ricordarsi di portare a termine. Tali studi sulla memoria hanno fatto emergere che i processi mnestici sono responsabilità di due strutture del sistema nervoso: ippocampo e amigdala, il primo fa formare la memoria a breve termine, mentre la seconda controlla le informazioni sensoriali e dà un significato affettivo. 5.10 Negli anni 70 nasce l’approccio meta-cognitivista che riguarda l’autoriflessione che accompagna il processo cognitivo per renderlo più consapevole e valutarlo, in modo da rendere l’apprendimento più efficace. L’attività metacognitiva si può dividere in: - comprendere la natura del compito - scegliere la strategia adeguata - gestire il tempo disponibile - prevedere gli esiti - controllare l’esecuzione - valutare il risultato 5.11 Il costruttivismo è considerato il punto di arrivo delle teorie dell’apprendimento precedenti, Piaget, Bruner e Vygotskij sono infatti considerati precursori. Alla base vi è che le strutture psichiche permettono di costruire un modo personale di interpretare la realtà. Ogni individuo ha dunque una visione personale e che gli è più funzionale. Un concetto chiave del costruttivismo è l’accomodamento che prevede che un bambino sia in grado di imitare un comportamento altrui per modificare il proprio. Spesso di parla di costruttivismi al plurale, come indicato da Chiari e Nuzzo che considerano tale movimento come in mezzo tra realismo e nominalismo, il primo considera la realtà come esterna agli esseri umani e indipendente da loro, mentre il secondo considera la realtà come frutto della conoscenza personale umana, non può essere dunque oggettiva. I diversi tipi di costruttivismo per Raskin sono: realismo limitato che indica una realtà esterna e oggettiva che si può conoscere ma in modo imparziale e imperfetto; costruttivismo epistemologico in cui la realtà è indipendente dagli umani e si può conoscere solo tramite costruzione personale; costruttivismo ermeneutico che vede la realtà come indipendente e oggettiva, qui la conoscenza è frutto del linguaggio. Molti costruttivisti si sono occupati anche di cibernetica, una scienza che studia i meccanismi di autoregolazione e controllo di un sistema, che può essere naturale (un vivente), sociale (un individuo) o artificiale (una macchina). I concetti fondamentali di tale scienza sono: omeostato che è un sistema che in grado di auto-organizzarsi e di mantenere costante la sua organizzazione e sopravvive grazie a ciò; il feedback che è l’informazione interna che il sistema riceve dopo un suo comportamento per attuare comportamenti migliori in futuro. Kelly Fu tra i maggiori esponenti del costruttivismo, egli ritiene che gli esseri umani abbiano spesso il comportamento dello scienziato perché formulano ipotesi sulla realtà e tentano di confutare tali ipotesi, inoltre è anche importante il confronto con gli altri che porta ad un costante progresso e revisione delle proprie ipotesi, ma ogni umano deve essere consapevole che ci può sempre essere una costrizione alternativa alla sua, da qui l’alternativismo costruttivo. La psicologia di Kelly si basa su un postulato fondamentale che afferma che i processi sono canalizzati da un punto di vista psicologico dalle modalità con le quali la persona anticipa gli eventi. Dunque si può interpretare il comportamento di un soggetto mediante il modo in anticipa o prevede ciò che può avvenire. Il soggetto formula tali anticipazioni con i costrutti che sono le interpretazioni che danno agli eventi oppure i termini con cui si cerca la replicabilità tra eventi. Il costruttivismo di Kelly è anche detto costruttivismo personale. Da tale postulato vi sono undici corollari: 1) Corollario della costruzione : una persona anticipa gli eventi costruendo la loro replica, perché cercare la regolarità è una tendenza umana. 2) Corollario dell’individualità: le interpretazioni che le persone danno agli eventi sono diverse tra loro. 3) Corollario dell’organizzazione : i costrutti sono organizzati in sistemi gerarchici, ad esempio quello di buono comprende l’intelligenza, ma l’intelligenza non comprende il buono. 4) Corollario di dicotomia : il sistema di costrutti è formato da dicotomie di cose opposte come buono-cattivo. 5) Corollario della scelta: una persona sceglie il costrutto dicotomico che anticipa maggiormente l’elaborazione del suo sistema. 6) Corollario del campo di applicabilità: un costrutto è utile e applicabile solo in un campo finito di eventi. 7) Corollario dell’esperienza : il sistema di costrutti varia in base all’esperienza. 8) Corollario della modulazione: il sistema di costrutti può cambiare sotto determinate condizioni, ogni individuo ha una modalità per cambiarlo in modo diverso. 9) Corollario della frammentazione: una persona può costruire dei sotto- sistemi che sono incompatibili tra loro. 10) Corollario della comunanza : se due umani hanno esperienze simili, avranno dei sistemi di costrutti simili. 11) Corollario della socialità : se una persona aiuta un’altra a costruire il suo sistema di costrutti, la prima gioca un ruolo nei processi della seconda. Von Glasersfeld Il suo approccio al costruttivismo viene definito da lui come costruttivismo radicale. Egli ripropone una lettura delle teorie di Piaget, ridefinendo assimilazione e accomodamento, la prima diventa riconoscimento di una situazione, agire in base alla situazione e confermare l’azione con un risultato; mentre il secondo viene visto come conoscenza costruita attivamente dai soggetti in cui vi è un adattamento, inteso come tendenza alla praticabilità di un’azione che si deve adeguare al contesto esterno. Questi principio causano una ricostruzione radicale del concetto di realtà. La conoscenza è insieme di esperienza e rielaborazione personale, l’aspetto soggettivo è molto forte perché due soggetti possono fare la stessa esperienza ma elaborarla in modo completamente diverso. Dunque non vi è una realtà che è costruita dal soggetto mediante l’esperienza. In Cognition, Constrution of knoeloge and teaching (1988) Von Glasersfeld analizza il rapporto tra costruttivismo ed educazione, in primis distingue tra addestramento e apprendimento, il primo riguarda ciò che è utili saper fare, mentre il secondo le conoscenze dei concetti con cui si entra in contatto. Inoltre egli afferma che non sempre il linguaggio può trasmettere conoscenza perché spesso possono non essere compatibili con l’esperienza del soggetto che deve apprendere. L’apprendimento è prodotto da auto-organizzazione di concetti da parte di chi apprende, quando viene introdotta una nuova conoscenza si ha una perturbazione ed è importante per questo mettere l’alunno davanti a tali conoscenze perturbarti, che possono essere favorire dai gruppi di studio, che rendono il tutto un processo ancora più attivo. Inoltre il docente non deve mai etichettare le risposte degli studenti come sbagliate, ma vanno considerate come modi per capire come ragiona quello studente. Maturana Per lui si possono identificare le caratteristiche di un essere vivente per darne una definizione, per farlo si deve partire dal concetto di sistema come insieme di parti in relazione tra loro che rendono il sistema intero come unità organizzata. Da qui egli definisce un sistema vivente come un insieme di parti che partecipano alla stessa costruzione che ha generato quelle singole parti ed è delineato e definito da uno spazio fisico, un esempio di tale sistema è la cellula che produce molecole che a loro volta si uniscono al sistema che ne crea di nuove. Questo tipo di organizzazione viene detta autopoietica, derivata da autopoiesi che è l’auto-creazione. Maturana riprende anche l’evoluzione di Darwin, affermando che i viventi si adattano all’ambiente ma che tale adattamento è reciproco, da qui la chiave di lettura è della coevoluzione, poiché sia ambiente che organismo interagiscono tra loro e danno luogo ad evoluzioni e cambiamenti. Così l’apprendimento viene anche esteso all’ambiente, anche le piante, gli animali e i batteri apprendono per esempio, questo apprendimento è diviso in due livelli: ontogenetico e filogenetico, il primo è l’esperienza in prima persona, il secondo è la conoscenza ereditaria, sono le caratteristiche innate e istintive. Un altro concetto introdotto da Maturana è il multiverso, che riguarda le molteplici visioni di universo da parte degli osservatori, mentre prima vi era un Universo oggettivo e con l’iniziale maiuscola, ora si è arrivati a capire che ogni singolo essere umano ha una percezione diversa dell’universo e nessuna è più oggettiva di un’altra, vi sono degli aspetti oggettivi, ma lo sono perché sono comuni agli osservatori, non di per sé. Dunque Maturana parla di (oggettività), mettendola appunto tra parantesi, indicando che non vi sia oggettività univoca e la realtà è solo frutto di chi la osserva. Von Foerster Aderì al costruttivismo radicale e diede contributi alla cibernetica, egli era un fisico. In On Construction a reality (1973) propose la sua definizione di processo cognitivo, che indica la computazione di descrizioni della realtà. Von Foerster riprende il termine computare e lo toglie dalle operazioni numeriche per metterlo ad indicare l’elaborazione che tuttavia non si fa solo una volta, ma le cole elaborate vengono a oro volta rielaborate e così via, dunque ci si trova davanti ad un ciclo ricorsivo di computazioni. Von Foerster pensa che vi sia un problema di banalizzazione dell’istruzione, per questo usa dei concetti della cibernetica per spiegare come si dovrebbe cambiare l’istruzione. La macchina è un’entità astratta che svolge funzioni, da qui si parla di macchina banale che segue uno schema rigido, entrano delle informazioni e altre escono, questo descrive un sistema deterministico, in cui ogni operazione deve andare in un determinato modo, è prevedibile. Invece una macchina non banale lavorare dando risposte nuove combinandole con le precedenti, è un sistema non prevedibile. Le macchine costruite dagli umani sono sempre banali perché devono svolgere delle funzioni, mentre la natura è non banale, gli umani invece credono lo sia estraendo da essa delle regolarità, che sono banalizzazioni. Il sistema d’istruzione tende a banalizzare in questo modo gli studenti. Vi sono domande illegittime di cui si conosce già la risposta e domande legittime di cui ancora non si sa dare risposta, quest’ultime stimolano lo studente e lo pongono in un atteggiamento di ricerca. 5.12 Freire Introdusse il concetto di problem solving nel processo educativo, esso è la concettualizzazione di un problema attraverso la riflessione in una situazione di sfida in cui l’alunno si trova, questo mostra le capacità di pensiero dell’alunno. Egli inoltre credeva che andasse superata la rigida dicotomia tra docente e studente perché rendeva lo studente come un conto vuoto da riempire (educazione bancaria). Serve invece una do- discenza, cioè un unione tra studente e docente. Le emozioni provocano anche dei pattern fisiologici, cioè delle reazioni da parte dell’organismo, vi sono tre tipi di cambiamento: - reazioni espressive : sono manifestazioni involontarie come arrossire. - tendenze: sono azioni che vengono fatte come imperativi dettate da quelle emozioni, come ad esempio continuare a colpire un aggressore anche dopo che è inoffensivo. - comportamenti specifici : avvengono prima di riuscire a ritornare ad una fase di equilibrio. Le emozioni non sono fenomeni irrazionali, ma il contrario perché si usano strategie e tecniche di controllo per riprendere l’equilibrio, ma anche coping cioè rifinitura nell’attuazione di piani. Le emozioni mettono a dura prova il controllo. Il contagio emotivo è parte del confronto sociale che serve a fare da sostegno tra individui. Secondo Bion, ogni conoscenza è un’impresa emotiva. Darwin Studiò le emozioni come eventi innati, a cui si associano tre principi generali: il principio delle abitudini utili (che danno sollevo a emozioni forti); dell’antitesi (si tende ad eseguire comportamenti e azioni opposte alle emozioni che sono opposte); degli atti determinati alla costituzione del sistema nervoso (azioni involontarie dell’organismo). Nussbaum Sviluppa una teoria delle emozioni nel suo pensiero etico, lo fa in L’intelligenza delle emozioni (2001) affermando che le emozioni disegnano il paesaggio della vita spirituale e sociale degli esseri umani, dunque non si possono separare dal pensiero e sono reazioni intelligenti alla percezione dei valori attribuiti alle cose, alle persone e alle situazioni. Per Ekman esiste delle espressione facciali innate e involontarie che esprimono emozioni e sono comuni a tutto il genere umano. Vi sono però delle display rules delle regole sociali su come esprimere emozioni in base alla cultura e alla circostanza. Vi sono cinque possibili operazioni: mascheramento di un’emozione con un’altra; intensificazione; de- identificazione cioè mostrare emozioni meno intese; neutralizzazione e falsificazione. Madga Arnold Creò la teoria del cognitive appraisal, cioè valutazione cognitiva, fu la prima ad usare questa espressione negli anni ’60. Questa indica il processo di valutazione fatto dagli umani per capire se uno stimolo è benevolo o nocivo, in modo da compiere azioni di conseguenza. Tale valutazione è molto rapida a livello di tempo, ma molto complessa a livello cognitivo, vi sono quattro aspetti fondamentali della valutazione: - Differenza tra percezione e valutazione , la prima è capire come un’oggetto è fatto, la seconda è metterlo a confronto con sé stessi. - Immediatezza , i giudizi vengono fatti in mood automatico. - Tendenza all’azione, viene automatica e prima di percepire l’oggetto. - Invariabilità , l’umano tende a pensare che tutto rimane uguale, questo porta a sofferenza perché non è reale. Il reappraisal cognitivo è il cambiamento del modo in cui la persona pensa e valuta una situazione critica dal punto di vista emotivo, per modificare l’impatto emotivo che avrà. Tomkins Creò la teoria degli ambienti emotivi genitoriali, che sono quattro: monoplastico (famiglie in cui i genitori non esprimono emozioni positive nei riguardi dei bambini; intrusivo (famiglia in cui generalmente va tutto bene ma vi sono situazioni di ansia che influenzano i figli); dell’emozione competitiva (competizione tra genitori); emotivamente equilibrati (entrambi i genitori manifestano emozioni sane). La Feshbach Creò il modello multidimensionale dell’empatia o FASTE. Hoffman Partì dal modello FASTE per estendere l’empatia ad un campo più ampio, egli la considera come l’attenzione umana verso l’altro, essa rende possibile la vita sociale. Nell’empatia vi è una componente cognitiva, una affettiva ma anche una terza, la motivazione perché implica la condivisione di emozioni con l’altro per aiutare, per portare ad uno stato di benessere e dare così soccorso, la scelta di non farlo può portare a senso di colpa. Vi possono essere cinque forme di sentimento empatico: 1) Distress empatico globale: si prova da piccoli quando non si riesce a concepire l’altro, si provano le emozioni viste all’esterno, vengono viste come proprie. 2) Distress empatico egocentrico : al primo anno di vita i bambini distinguono l’altro da sé, ma non dividono emozioni proprie da quelle altrui. 3) Distress empatico quasi-egocentrico: al secondo anno si coglie la differenza tra stati d’animo propri ed esterni e si inizia così a confortare l’altro, ma sempre mettendo sé al centro, ad esempio consolare un bambino che piange con il proprio gioco. 4) Vera empatia : dopo i due anni. 5) Distress empatico oltre la situazione : dai 9 anni inizia la conoscenza della vita dell’altro, qui vi è empatia matura, ha pieno compimento verso i 13 anni. L’effetto spettatore avviene quando un individuo non offre il minimo aiuto all’altro, qui vi è apatia. Janet Strayer Secondo lei vi sono dune tipi di empatia: per condivisione parallela, quando chi guarda richiama alla mente esperienze simili a chi le sta vivendo; per condivisione partecipatoria, quando si rappresenta il vissuto altrui, questa è più complessa. Davis affermò che l’empatia è composta da quattro componenti, due cognitive e due affettive: le prime sono la prospective taking (abilità di adottare il POV altrui) e la fantasia (capacità di immaginare situazioni fittizie), le altre due sono la considerazione (tendenza alla compassione e preoccupazione per l’altro) e il disagio personale (consapevolezza dei propri stati di ansia in situazioni relazionali). Quest’ultima è una componente egoistica perché si aiuta l’altro al fine di stare meglio, invece la considerazione empatica è altruistica. I processi cognitivi dell’empatia possono essere in tre modi per Davis: 1) Processi non cognitivi: sono legati alla prima fase dello sviluppo e sono automatici ed involontari, come la reazione circolare primaria che porta i neonati a piangere se sentono piangere l’imitazione motoria che fa prendere le stesse espressioni facciali di chi osservano. 2) Processi cognitivi semplici : sono il condizionamento classico, l’associazione diretta e l’etichettamento (quando uno stimolo riesce ad essere così forte da essere evocato in futuro dopo solo una volta che si è presentato). 3) Processi cognitivi avanzati : sono l’associazione mediata (quando si prova empatia solo dalla descrizione verbale) e il role taking (quando ci si mette nel POV altrui). Karla McLaren Per lei vi sono sei livelli di empatia: contagio empatico (quando si empatizza in modo inconscio e non controllato); accuratezza empatica (capire emozioni in sé e nell’altro); regolazione emotiva; cambio di prospettiva; preoccuparsi per gli altri; coinvolgimento intuitivo (prendere decisioni intuitive basate sull’empatia, è il livello più alto perché aiuta gli altri in base alle proprie intuizioni). Alan Sroufe Assume un punto di vista evolutivo cioè che lo sviluppo delle emozioni segua lo sviluppo biologico e ogni stadio si frutto di evoluzioni del precedente. Le emozioni sono legate anche allo sviluppo cognitivo e sociale perché l’individuo è una totalità. I precursori delle emozioni sono elementi che permettono lo sviluppo delle emozioni, che altrimenti non potrebbe avvenire. Per Sroufe si parla di emozione vera e propria quando la reazione emotiva nasce nel bambino perché egli attribuisce un significato all’evento che l’ha generata, e tale associazione avviene solo quando il bambino mette intenzionalità, e quando vi è quest’ultima si passa dai precursori alle emozioni. Alla nascita si possiede quando un corredo emozionale indifferenziato che si diversifica con la crescita cognitiva e sociale, per portare poi alle emozioni. Lo sviluppo tramite precursori avviene per tre canali: piacere-gioia, circospezione-paura e frustrazione-rabbia, i primi sono precursori mentre le seconde sono le emozioni che si sviluppano da essi. È il significato inteso come elemento psicologico che permette il passaggio. Vi sono otto stadi di sviluppo delle emozioni: 1) Barriera assoluta alla stimolazione: da 0 a un mese, sono invulnerabili alla stimolazione esterna. 2) Girarsi verso: da 1 a 3 mesi, la vulnerabilità allo stimolo aumenta, c’è curiosità verso le cose. 3) Emozione positiva: da 3 a 6 mesi, il bambino sperimenta la frustrazione ma anche un coinvolgimento positivo con l’esterno. 4) Partecipazione attiva: da 7 a 9 mesi, il bambino prende parte a giochi sociali grazie a vocalizzi e moine degli adulti, compare l’intenzionalità nelle azioni, inizia ad essere consapevole di gioia, paura e rabbia. 5) Attaccamento : da 9 mesi a un anno, vi è un interesse per il caregiver e paura dell’estraneo. 6) Sperimentazione : da 12 a 18 mesi, esplorazione che nasce dalle emozioni positive, capisce di avere un potere sulle cose ma è frustrato perché è limitato. 7) Emergere del concetto di sé e autoregolazione guidata dal caregiver: da 18 a 2 anni, la fase di deambulazione che porta all’autoregolazione delle emozioni, che si realizza completamente nella fase successiva. Qui sono maggiori intenzionalità e autodeterminazione. Cerca il caregiver per avere un riferimento affidabile. 8) Autocontrollo : dopo i due anni, si riesce a gestire la frustrazione e modulare l’espressione emozionale, ma si ha comunque bisogno del caregiver. Si vede la regolazione nelle relazioni con i pari, in cui mostra i valori dati dai genitori che sono stati interiorizzati. Izard e altri colleghi, elaborarono la teoria differenziale, che mostra come gli umani possiedano un corredo genetico di emozioni fondamentali che sono innate e soddisfano i bisogni primari. 7.2 L’aspetto cognitivo delle emozioni si sviluppa in tre processi: interpretazione, valutazione e concettualizzazione. Scherer considera l’emozione formata da componenti: cognitiva, periferica fisiologica, motivazionale, dell’espressione della memoria e sentimentale soggettiva. Il funzionalismo si interessa del ruolo regolatore tra ambiente e soggetto che le emozioni hanno, il primo fu Darwin. Gli studiosi di oggi, collegano le emozioni di base alle relazioni sociali e interpersonali, che però non vanno confuse con le emozioni primarie, lo psichiatra Siegel chiarisce la differenza, le seconde sono i cambiamenti di stati cerebrali generati dall’esterno, sono poco definite e si provano all’inizio della vita, mentre le prime sono emozioni vere e proprie nate da queste emozioni rudimentali. La scaffolding, letteralmente impalcatura è la funzione di guida che il caregiver dà al bambino, come teorizzato da Bruner. In tale funzione vi è anche quella di modulare e orientare le emozioni nel contesto sociale, così avviene la socializzazione delle emozioni che è la capacità di attribuire significato ad eventi dell’esperienza. I sentimenti sono diversi dalle emozioni perché non sono stimolati dall’esterno, per questo sono più duraturi. Ad esempio amicizia e amore sono due sentimenti positivi, mentre invidia e gelosia sono negativi. Gardner Noto teorico della teoria delle intelligenze multiple, esplicata in Forma mentis: saggio sulla pluralità dell’intelligenza (1983) e poi riformulata nel ’99. Egli si propone di trovare tali intelligenze nella biologia poiché frutto di operazioni neurali identificabili. Egli critica l’intelligenza monolitica che è misurabile dai test come quello del QI perché in realtà si concentrano solo su alcuni aspetti dell’intelligenza, quelli verbali e logico-matematici, ma la considerano come se fosse unica. Gardner inizia il suo lavoro con adulti colpiti da danni cerebrali che avevano alcune funzioni annullate ma altre erano intatte, inoltre studiò i bambini che in alcuni campi erano brillanti e in altri normodotati. Nonostante l’intelligenza sia multipla, Gardner ne fornisce una definizione generale l’intelligenza è l’abilità di con cui si risolve un problema o con cui realizzare un prodotto che ha valore in uno o più contesti culturali. Gardner così pone l’attenzione sulla produzione, come ad esempio scrive un poema, aspetto mai pensato dai sostenitori del QI. Inoltre egli sottolinea l’ambiente culturale perché magari un indigeno può essere considerato non intelligente dai razzisti, ma invece nel suo contesto lo è perché si riesce ad orientare nei boschi. Dunque l’intelligenza fa anche fronte alla richiesta della cultura e dell’ambiente sociale. Gardner pone nove tipi di intelligenze: 1) Intelligenza linguistica: di chi padroneggia e ama il linguaggio, è tipica di poeti, oratori, scrittori e linguisti. 2) Intelligenza logico-matematica : di chi sa valutare concetti e fare astrazione, è tipica di matematici, logici, scienziati e filosofi. 3) Intelligenza musicale : di chi compone ed esegue musica. 8.5 La frustrazione è uno stato emotivo che si verifica da un disagio per delle sconfitte o come conseguenze di situazioni frustranti. Questa fa aumentare l’aggressività che si sfoga come attacco e con la ricerca di un capro espiatorio che è tipico dell’aggressione dislocata. Però altre risposte alla frustrazione possono essere l’apatia e il ritirarsi in sé, ma anche la stereotipia che è la ripetizione ossessiva di un comportamento. Altro sintomo della frustrazione è la retrogressione che consiste nel riprendere atteggiamenti del passato ma anche la primitivizzazione che è assumere comportamenti che non si sono fatti in passato ma ancestrali. Davanti alla frustrazione si attivano spesso dei meccanismi di difesa, che per Freud sono strumenti inconsci volti a proteggere l’Io dalle richieste degli istinti. Tali atteggiamenti sono spesso di autoinganno ma inconscio poiché partono da un rifiuto. Un meccanismo è ad esempio il fenomeno dell’amnesia per rimuovere quelle situazioni di angoscia. Tali meccanismi non sono sempre negativi, dipende dalla loro frequenza e forza, se sono eccessivi possono causare danni. Un meccanismo positivo può essere la razionalizzazione che giustifica la condotta tramite la logica, un altro è la proiezione, un tipo di razionalizzazione che è attribuzione di caratteristiche proprie ad altri. La formazione reattiva è invece tendenza a negare qualcosa che si desidera tramite attività repressiva. Questa è come una scissione dell’attività globale del cervello che porta a dissociazione, che spesso si manifesta in movimenti coatti, cioè azioni compiute come se si fosse costrutti, che vengono ripetute continuamente. Quando invece l’impulso proprio viene negato completamente, avviene la rimozione che è inconscia, un tipo di rimozione è anche la sostituzione, che ha due forme: la sublimazione che sostituisce gli impulsi dannosi con quelli socialmente accettati, come il pugilato per sublimare l’aggressività; e la compensazione che è il tentativo di compensare brutti risultati in qualcosa, diventando brillanti altri campi. Bion Analizzò i meccanismi di difesa all’interno dei gruppi sociali, questi hanno due componenti: una conscia e una inconscia, la prima è prendere parte al gruppo stesso e la seconda sono gli assunti di base, che servono a mitigare le ansie che il lavorare in gruppo porta con sé. Vi possono essere tre tipi di assunti di base: 1) Assunto di dipendenza : dove il gruppo diventa passivo al leader che viene idealizzato. 2) Assunto di attacco e fuga : si attiva davanti ad una minaccia interna o esterna al gruppo. 3) Assunto di accoppiamento: quando il gruppo riversa le aspettative su una coppia all’interno del gruppo stesso. 8.6 Davanti alla frustrazione vi possono essere anche comportamenti di impotenza, o meccanismi di difesa così forti da non poter più affrontare la realtà, mostrando un disadattamento del soggetto, da questi si possono generare: nevrosi e psicosi. Le nevrosi sono incapacità di affrontare le proprie ansie, che porta allo sviluppo di sintomi, che servono al tentativo di superamento dei conflitti, ma sono così gravi da rendere difficile la quotidianità. I sintomi sono strettamente legati ai meccanismi di difesa, poiché sono dei compromessi assunti dall’Io. Il sintomo prevalente della nevrosi è l’angoscia, ma si possono distinguere diversi tipi di conflitto nevrotico: - nevrosi d’angoscia, che è uno stato cronico di ansia e attacchi di angoscia che è spesso diffusa cioè non legata a determinati stimoli, ma vi è anche quella legata che invece si attiva in determinate situazioni. - nevrosi ossessive , in cui è presenza di pensieri ossessivi e azioni coatte, che si manifestano in combinazione tramite rituali. Il nevrotico riconosce l’irrazionalità della sua condotta, ma non riesce a smettere di compierla. - fobie , sono paure per oggetti o situazioni che non sono un pericolo reale o sono timori sproporzionati rispetto alla realtà. - isteria di conversione, sono manifestazione di sintomi fisici senza causa organica. Le psicosi sono malattie mentali in cui il paziente presenta una grave alterazione della personalità che possono sfociare in allucinazioni o deliri. Le psicosi possono essere organiche se si manifestano con sintomi fisiologici e funzionali se si manifestano con sintomi psicologici. Le due forme di piscosi funzionale sono: - maniaco-depressiva : caratterizzata da oscillazioni nell’umore, che passa da euforia a malinconia. - schizofrenia: vi è una separazione tra processi del pensiero ed emozioni, essa deteriora le capacità di adattamento e non ha molte probabilità di guarigione. Nei momenti più acuti si può arrivare a disturbi di affettività (affievolimento dell’espressione emotiva, ad esempio parlare di cose tragiche con un sorriso); indebolimento d’interesse verso la realtà; autismo (stare nel proprio mondo interiore e smarrire spazio e tempo nel reale); allucinazioni e deliri ma anche comportamento bizzarro. La psicosi può essere causata da lesioni cerebrali, dall’ambiente o da fattori ereditari, è molto difficile decretare la causa precisa. Lo psicotico è un individuo molto asociale che ha bisogno di immediata soddisfazione dei desideri e per questo sviluppa una condotta incoerente e impulsiva, senza morale e conformazione ai costumi sociali. Le tecniche per trattare questi disturbi possono essere di due tipi: psicoterapie e terapie somatiche, le prima si fanno tramite strumenti psicologici, le seconde con medicinali. Spesso le due sono associate perché i farmaci calmano le allucinazioni e gli atteggiamenti di agitazione, ma serve una psicoterapia per risolvere comunque determinati problemi. Carl Rogers Sviluppò la psicoterapia centrata sul cliente, che implica un atteggiamento di sicurezza e fermezza da parte del terapeuta, che così fa nascere una certa fiducia nel paziente. Tale metodo è detto non direttivo perché, con un aiuto, ogni umano può arrivare da solo a chiarire i propri problemi, per questo il terapeuta deve usare l’ascolto attivo. Per Freud il trattamento psichico è un trattamento dell’anima e un metodo usato spesso da lui è quelle delle associazioni libere che sono espressione verbale di sentimenti e pensieri inconsci. Lo psicanalista deve interpretare le associazioni e prestare attenzione al trasfert, che è proiezione di determinati aspetti sull’analista da parte del paziente. Durante la terapia vi sono tre esperienze fondamentali: catarsi, insight e working through, la prima è una purificazione emozionale; la seconda è comprensione dell’origine del conflitto che porta a conoscenza di sé; la terza è processo rieducativo con la terapia, per affrontare il mondo reale. I sogni sono oggetto di studio della psicanalisi perché contengono materiale rimosso come impulsi e desideri vietati dal Super-Io. L’Io viene infatti pressato da Super-Io ed Es, quest’ultimo genera pulsioni e desideri che il Super-Io blocca, uno di questo è il complesso di Edipo, che mostra anche l’importanza della sessualità all’interno della psiche. La terapia del comportamento invece, si basa sulla teoria dei rinforzi positivi che possono essere utili a rafforzarne uno e annullarne un altro. Anche la terapia di gruppo può avere la sua utilità grazie ai rapporti empatici tra membri. La differenza tra psicologia e psichiatria si basa sul fatto che prima è considerata come sapere (loghia) e la seconda come cura (iatria). Capitolo 9 Linee di sviluppo ed educazione in adolescenza 9.1 L’adolescenza è il periodo di mezzo tra infanzia ed età adulta, è caratterizzata dallo sviluppo corporeo, dal confronto con un gruppo di pari, innamoramento e costruzione d’identità. Questo periodo dovrebbe finire a 18 anni, ma spesso vi è la cosiddetta sindrome del ritardo che per i demografi è la lentezza con cui si acquista autonomia e responsabilità. L’acronimo NEET indica i giovani tra 15 e 29 anni che non lavorano e non frequentano nessun corso di istruzione. La pubertà è l’insieme dei cambiamenti fisici e ormonali che portano alla maturazione sessuale. Margaret Mead e Stanley Hall Furono tra i maggiori studiosi dell’adolescenza, dimostrando che le crisi adolescenziali sono dati culturali e non universali, infatti non è detto che vi siano sempre, perché l’ambiente può anche fornire i mezzi per raggiungere l’autonomia, l’autostima e le abilità di coping, cioè “fronteggiare” in inglese, qui si intende saper domare le situazioni difficili e controllare le proprie emozioni. Un aspetto fondamentale dell’adolescenza è l’identità personale, che si può riflette nell’immagine di sé che è la descrizione che ognuno ha di sé, anche se vi è sempre un sé reale e un sé ideale. Per Horton Cooley, la costruzione di sé implica l’interiorizzazione degli altri significati, che sono gli atteggiamenti che gli altri esprimono nei confronti del sé. 9.2 In psicanalisi, l’adolescenza corrisponde all’abbandono nelle pulsioni infantili all’investimento della libido delle zone erogene. Per Anna Freud tuttavia, vi sono anche dei meccanismi di rifiuto di tale spostamento e ciò porta ad ascetismo e intellettualizzazione, il primo è spostamento dei desideri verso grandi ideali, mentre la seconda è spostamento verso discussioni intellettuali per avere l’illusione di poter controllare il conflitto psichico. 9.3 Erik Erikson Sviluppa otto stadi di sviluppo che uniscono dimensione sessuale e psicosociale. In questi stadi, l’Io si organizza e cresce, superando anche i momenti di crisi legati all’ambiente. I fattori culturali influenzano lo sviluppo e sono diversi in ogni società. L’adolescenza è il periodo in cui si necessita di identità, infatti quell’Io è proprio la sua funzione organizzatrice, che mitiga nel conflitto tra identità e confusione. Marcia Rielabora la teoria di Erikson e pone quattro stadi di identità dell’adolescente: 1) diffusione; 2) esclusione; 3) moratoria; 4) raggiungimento dell’identità. Questi quattro stadi si manifestano nella dimensione dell’esperienza e in quella dell’impegno (seguire la scelta fatta nell’esperienza con responsabilità e coinvolgimento). Se non si superano i quattro stadi vi è un blocco d’identità. 9.6 Diana Baumrind Per lei vi sono quattro stili educativi correlati a caratteristiche sviluppate da adolescenti e bambini. Alla base dei quattro stili vi è l’incrocio diverso di quattro dimensioni della relazione tra genitori e figli: 1) Permissività-severità : il grado di libertà e di rispetto delle regole che i genitori danno. 2) Sollecitudine-ostilità: il calore affettivo dei genitori. 3) Chiarezza comunicativa: capacità di comunicare. 4) Aspettative: quello che il genitore si aspetta dai figli. Dalle dimensione vi sono i quattro stili: 1) autoritario; 2) permissivo; 3) autorevole; 4) trascurante. Per Copes invece ci sono tre stili genitoriali: 1) Genitore relazionato: relazioni con i figli basata su ascolto e comprensione reciproca. 2) Autocentrato : non muta mai la sua posizione e pensa di sapere cosa sia meglio per il figlio. 3) Evasivo : assente, deluso e arrabbiato. Capitolo 10 Creatività e pensiero divergente 10.1 La creatività è la capacità di esprimere intuizioni (insight) davanti a situazioni nuove o impreviste e risolvere problemi. Essa è inoltre una caratteristica multidimensionale perché permette un approccio multi- logico alle situazioni. La creatività dunque introduce qualcosa di nuovo e originale. Per Winnicott, la creatività è un modo di vedere la realtà, non è legata per forza alla produzione di qualcosa, ed è propria di ogni essere umano, per questo è potenziabile. La creatività deriva dalla plasticità mentale, che tocca il pensiero divergente che genera ipotesi e soluzioni nuove, al contrario di quello convergente non può generare nulla. bambino può esprimersi, deve essere sicuro e accogliere ognuno di quei cento linguaggi che egli è in grado di usare. Joseph Renzulli e Sally Reis Concepiscono il SEM (modello di arricchimento scolastico) che vuole valutare il potenziale degli alunni e le loro competenze logiche ma anche creative. I plusdotati vengono aiutati ma rimangono in classe insieme agli altri dove non sono importanti i voti. Mario Mencarelli Definisce la creatività come interfunzionalità, poiché è una caratteristica generale della personalità e permette il continuo rinnovamento dell’individuo, che deve essere promosso dall’intera società, non solo da scuola e famiglia. Duccio Demetrio Pone un nesso forte tra scrittura e creatività, in particolare la scrittura autobiografica come cura del sé. La scrittura ha dunque funzione maieutica e la narrazione è fondamentale per la sua azione educativa, l’insegnante deve anche fare auto-narrazione per migliorarsi. Freud La creatività deriva dalla sublimazione, che è immettere delle energie frustranti in una direzione produttiva, ciò avviene quando il principio di piacere viene sostituito da quello di realtà. Koestler Parla di bisociazione che è l’atto di creare ovvero prendere due cose che non associate e incrociarle, da qui può nascere qualcosa di utile, originale e funzionale. Fa l’esempio della composizione delle musica come associazione di note. Runco Fa spazio al concetto di flessibilità che è l’elemento più importante della creatività perché permette di trovare nuove soluzioni, anche tramite la contaminazione tra diverse discipline, ciò aiuta in particolare il progresso scientifico. Gordon Creatore della sinettica, una tecnica dello sviluppo del pensiero creativo che prende il nome dal greco e significa unione di elementi diversi, dunque essa è sia una teoria che un metodo. Sia basa su due principi: - rendere familiare ciò che è insolito; - rendere l’insolito come familiare. Nelle sedute di sinettica, con l’aiuto di un esperto, si affrontano problemi senza cercare di trovare una soluzione immediata. Tale metodo ha nove fasi: presentazione problema, brainstorming su di esso, riformulazione del problema, isolamento di un’analogia e si aggiungono idee personali, identificazione di idee fantasiose, formazione di analogie dirette, connessione, soluzione. Steiner La sua è detta pedagogia Waldorf, da cui prendono il nome diverse scuole ancora oggi. Steiner fece nascere tali scuole con la rivoluzione della Montessori ai primi del Novecento, quando la Germania usciva dalla Prima Guerra Mondiale. La prima scuola steineriana fu fondata nel 1919 a Stoccarda per accogliere i figli dei lavoratori di una fabbrica di sigarette. L’insegnamento adottato era di tipo co-educativo poiché vi erano contemporaneamente bambini e bambine. Questo tipo di scuola si diffuse in tutto il mondo, compreso in Italia, a Milano nel 1950. I principi fondamentali della scuola sono: libertà di cultura, uguaglianza sociale e politica, e fratellanza nella vita economica, quella che Steiner chiama triarticolazione sociale che richiama corpo, anima e spirito, per cui le facoltà intellettuali, quelle creative e quelle pratiche devono avere pari dignità, per questo in tali scuole, l’arte e la pratica hanno molta importanza. Steiner punta sul concetto di antroposofia cioè sapienza dell’essere umano. La prima infanzia va fino ai 18 anni e il soggetto attraversa tre cicli fondamentali: - primo ciclo : da 0 a 6 anni, l’apprendimento deve puntare sulle immagini. - secondo ciclo: da 6 a 13 anni, si deve dare importanza alle fiabe popolari che fanno sviluppare la fantasia e comprendere le emozioni, ma anche comprendere meglio la realtà. - terzo ciclo : da 14 a 21 anni, bisogna sviluppare le conoscenze logiche, ma anche artistiche e pratiche, che hanno funzione di liberazione. È anche importante una competenza di cittadinanza. La scuola deve innescare un processo di antropologia evolutiva sugli alunni, e un buon mezzo è lo story telling, non solo di fiabe ma anche di racconti in generale che riescono a far immedesimare in realtà diverse e provare ciò che i protagonisti provano. Nella scuola di Waldorf non si assegnano voti e non vi sono bocciature, per non dare la pressione del rendimento. 10.3 È molto importante che la scuola di oggi non usi il metodo delle ricompense per le risposte “giuste” e la punizione per quelle “sbagliate” perché ciò potrebbe limitare gli alunni dal dare risposte diverse e originali, limitando la creatività e il pensiero divergente, che invece va incentivato dall’insegnante. Ciò era sostenuto anche da Bruner, favorevole al pensiero olistico. È importante che gli alunni siano incoraggiati anche a trovare più ipotesi, non una sola, ma una pluralità di possibilità, che è alla base del problem solving. Un modo per farlo è stimolare con il gioco e il pensiero immaginativo. Alcune delle tecniche più diffuse sono: - tecnica della falsa regola: consiste nell’usare regole di altre discipline per risolvere un problema in mood nuovo, tale regola introdotta da altri campi, è “falsa” perché non era mai stata presa in considerazione per risolvere quel problema. - mappe mentali: tramite disegni si possono accedere a parti nascoste del cervello, stimolando la memoria visiva. - tecnica dei sei cappelli, introdotta da De Bono nel 1991, mira al superamento del pensiero dialettico per contraddizioni e a pensare in modo consapevole. I cappelli incarnano diversi punti di vista e chi lo indossa deve incarnare quel ruolo anche se è molto lontano dalla sua personalità, questo permette di liberarsi dagli schemi impostati dalla propria mente. - pausa creativa, sempre di De Bono, che è l’interruzione di un flusso uniforme di pensieri. - stimolazione casuale , entrata di una parola casuale nei pensieri, sempre di De Bono. - concassage o scuotimento in italiano, indica la tecnica della frantumazione che si riferisce all’idea, che viene così scomposta per crearne di nuove e stimolare il pensiero laterale. - brainstorming, è una tecnica creativa di gruppo che permette di far emergere idee. Fu introdotta per la prima volta da Osborn. Capitolo 11 Stili di apprendimento, mediazione didattica e strategie innovative 11.1 Secondo Alfredo Giunti, la scuola è un centro di ricerca, per indicare che l’educazione è un contesto sempre in evoluzione, per questo l’osservazione è uno strumento di ricerca molto importante. Si può distinguere tra osservazione diretta e indiretta, la prima è quella che avviene in tempo reale, alla presenza dell’osservatore, che può essere partecipata se egli svolge le attività o non partecipata; la seconda ha bisogno dell’uso di strumenti che facciano vedere le azioni in differita. Vi sono altri tipi di osservazione come quella distaccata che si concentra sul comportamento, mentre quella mirata o intenzionale permette di cogliere nel dettaglio alcuni aspetti di ciò che si osserva dell’alunno. L’osservazione guidata coglie l’evoluzione dell’alunno nell’arco del tempo. Osservare non è uguale a guardare, ciò che distingue le due azioni è l’acquisizione di senso e l’avere un fine, cosa tipica dell’osservazione, dunque serve consapevolezza e intenzionalità per poter osservare e non semplicemente guardare. L’osservatore deve essere un partecipante, cioè porsi in contatto con la realtà che osserva, inoltre tale compito può essere aiutato da alcuni strumenti come diari, schede, materiale audio-visivo e test. Il diario in particolare rappresenta un ottimo strumento perché permette di esprimere delle emozioni anche nel contesto scolastico. 11.2 In campo educativo, il metodo è un insieme ordinato di procedure didattiche al fine di operare in classe e trovare fondamento nelle teorie dell’apprendimento. Tale metodo d’insegnamento deve anche avere una tecnica, cioè saper far raggiungere un fine. Il termine curricolo indica il percorso di apprendimento flessibile e programmato, dunque è il percorso di apprendimento nella sua interezza. Il curricolo si può dividere in moduli, poi unità didattiche ed infine lezioni. Nel 600 nasce la didattica moderna con Comenio che propose di istruire gli insegnanti non solo sulle loro discipline ma anche sui percorsi di apprendimento, poiché il metodo usato fino a quel momento consisteva nel far imparare ai discenti a memoria le nozioni. 11.3 La rivoluzione della didattica vera e propria inizia nei anni ’90, fino a prima era stato impiegato un modello neopositivista a partire dagli anni ’50, che si basava sull’insegnamento logico-razionale e sull’intelligenza come unicamente logico-deduttiva. Tuttavia nel anni ’80, tale tipo di didattica inizia a vacillare grazie alla nascita del costruttivismo che affonda le radici in Husserl, Freud e Nietzsche, in questo periodo nascono nuove teorie dell’intelligenza come quelle multiple di Gardner, che dimostrano come non vi sia un solo modo di apprendere. Alla base del costruttivismo vi sono tre idee: - La conoscenza è costruzione attiva del soggetto . - La conoscenza è influenzata dal soggetto e dal contesto in cui avviene, è situata dunque. - La conoscenza si svolge anche attraverso collaborazione sociale . 11.4 La didattica di oggi affonda le radici nel costruttivismo degli anni ’80, come mostra la commissione Unesco nel 1996, descrivendo i quattro pilastri delle didattica contemporanea, in quanto la scuola deve insegnare a conoscere, fare, vivere insieme ed essere, per promuovere così la pace e la coesistenza ma anche ad avere consapevolezza di sé. Il soggetto così diviene centrale ed è su di esso che si deve costruire l’apprendimento, ma allo stesso tempo anche il contesto prende importanza. La conoscenza non deve essere rigida ma flessibile e anche circolare. È stata superata la visione di Gentile secondo cui basta sapere le nozioni per saper insegnare. 11.5 Particolarmente efficace è il metodo euristico, che consiste nella circolarità del processo “osservazione-valutazione-azione”, in cui le tre sono sempre in continuità e in ciclo, introducendo nuovi elementi. Un’altra forma di ricerca è l’indagine critica e autoriflessiva che pone l’osservatore come attivo e che osserva cambiando sempre prospettiva e riflettendo sulla sua stessa pratica. 11.6 Ci devono dunque essere nuove metodologie volte non solo all’insegnamento ma anche ad imparare ad imparare, che il deutero- apprendimenti teorizzato da Bateson. Inoltre l’apprendimento non si limita solo al periodo scolastico, ma dura per tutto il corso della vita, per questo si parla di lifelong learning. Gli obiettivi della pedagogia contemporanea dovrebbero essere: - know what : sapere cosa cioè i contenuti o le conoscenze; - know why: sapere perché cioè i valori e la morale, queste sono le competenze, ovvero l’agire personale; - know how: sapere come fare cioè avere abilità pratiche. L’apprendimento è il processo psichico che consente modificazioni durevoli del comportamento per effetto dell’esperienza. Vi sono due tipi di apprendimento: - associativo: fondato su stimolo-risposta, con condizionamento classico, operante e apprendimento per risposte combinate. - cognitivo : è complesso perché va oltre la percezione, con funzioni psichiche superiori. Può essere di due tipi: il primo è acquisizione di contenuti mentali e l’esperienza non va a modificare direttamente i comportamenti o in modo subitaneo; il secondo tipo è dato dall’intuito o insight. Ma molto spesso l’apprendimento di comportamenti è misto, dunque vi sono diverse strategie comportamentali per facilitare l’apprendimento. Una strategia è il prompting che consiste nel dare alla persona stimoli o aiuti per arrivare al comportamento desiderato, ad esempio dire ad un alunno di prendere un libro sullo scaffale e indicarlo con il dito, tale gesti è un prompt. Un’altra strategia è il fading che è letteralmente dissolvenza per indicare l’attenuazione graduale di uno stimolo fino alla completa eliminazione, la gradualità è fondamentale poiché tale rimozione avvenga. Con l’espressione “stile cognitivo” si intende, secondo la definizione di Petro Boscolo del 1981, una modalità di elaborazione dell’informazione giustificazione, che sono dunque quelli non dettati dalla cultura, ma dalla natura umana, che però non trova mai una soddisfazione completa e piena. - Bisogni fisiologici: sono alla base della piramide e possiedono gli impulsi più potenti perché sono legati al mantenersi in vita, poiché sono respirare, dormire, magiare, etc. - Di sicurezza : sono al secondo livello e sono anche importanti come avere una casa e una stabilità economica. - Di appartenenza : sono anche detti “di affetto” poiché implicano il ricevere e dare amore. - Di stima : ha due categorie: autostima e stima da parte degli altri. - Di autorealizzazione : è quello che si sviluppa meno di frequente ed è riassunto dalla frase “ciò che un può essere, deve esserlo”, ad indicare che ognuno dovrebbe fare ciò che è adatto a fare. Per Maslow l’apprendimento, non è mutamento del comportamento ma mutamento dello sviluppo personale, della struttura personale. Candy L’apprendimento può esse anche autodiretto e viene così concepito in due modi: autoistruzione e autodidassi, la prima avviene quando gli alunni assumono il controllo delle tecniche con cui istruire sé stessi, la seconda è una forma di autonomia individuale. Le due modalità dipendono molto dal contesto per Candy, i quanto l’autoistruzione deriva da un contesto formale in cui sono assegnati dei compiti, mentre nell’autodidassi il contesto è informale poiché l’alunno sceglie in libertà. Tale tipo di apprendimento ha come vantaggio il poter stabilire il proprio ritmo di studio e permette di avere un ruolo attivo. Candy individua quattro dimensioni di tale studio: - autonomia personale : indipendenza e libertà di scelta. - autogestione dell’apprendimento: capacità di tradurre in pratica la propria autonomi, ha aspetti anche motivazionali. - controllo della parte del discente : controllo del contesto di apprendimento. - Realizzazione indipendente dell’apprendimento : capacità di formazione nel contesto informale. Dunque l’autoapprendimento coinvolge dinamiche cognitive ma anche affettive. 11.7 La didattica è ricerca consapevole delle strutture e degli obiettivi del setting di apprendimento che produce cambiamenti significativi. La didattica si distingue in didattica generale che individua nuove strategie valide trasversalmente (per tutte le discipline), mentre la didattiche disciplinari si occupano di trovare strategie per discipline specifiche. Alla base della didattica disciplinare c’è la consapevolezza che non basta conoscere le nozioni della disciplina ma essere in grado di usare metodi specifici che sia tecnici e la rendano comprensibile. 11.8 Gli aspetti più importanti per la comprensione delle dinamiche della pratica educativa sono: narrazione, autoriflessione (strumento di analisi usato anche dal ricercatore, che deve documentare le sue azioni), riflessività (interrogarsi costante sul senso dell’azione educativa e avere un confronto con gli studenti), apprendimento significativo (sono le conoscenza nuove che si integrano con le vecchie), mappe concettuali, appercezione (partire dalle conoscenza vecchie per arrivare alle nuove come nel concetto aristotelico), mediazione didattica (semplificazione da parte dell’insegnante dei concetti complessi, che non vanno semplificati troppo per poter permette agli studenti di riflettere e interrogarsi), organizzazione del tempo scolastico, motivazione (si deve creare un clima didattico per favorirla e anche tenere contò dell’emotività dello studente) e flessibilità (adeguarsi ad obiettivi e metodi di volta in volta senza schemi troppo rigidi). Autorealizzazione Stima Apparenza Sicurezza Fisiologici Ausubel Per lui, l’apprendimento efficace è quello che collega le vecchie conoscenze con le nuove, dunque è organizzato in mood propedeutico. L’insegnante, per fare ciò, deve introdurre brevemente ogni nuovo argomento per costruire le basi al fine di collegare molti argomenti tra loro. Per fare ciò serve anche uno stretto legame con la realtà e con l’ambiente, questo è detto da Ausubel “compito di realtà” o “compito autentico” perché è necessario all’apprendimento stesso e permette allo studente di collaborare e trovare risorse, si avvicina al learning by doing di Dewey. Novak Sostenitore dell’importanza delle mappe concettuali come formalizzazione di conoscenza. Le mappe mettono in gioco delle abilità metacognitive. Queste fanno leva sulla memoria visiva, poiché i concetti appaiono sotto forma di gestalt poiché immagini unitarie composte da figure e sfondo, un unione che rimane impressa più facilmente nella memoria. Lewin Teorizza tre tipi diversi di leadership di un insegnante: - Autoritaria : ha un rapporto maggiore con i singoli, anche se divide la classe in sottogruppi. - Democratica : lascia spazio alla discussione e fa prendere decisioni al gruppo pur facendo la guida. Questo è il comportamento che produce di più. - Permissiva : l ascia eccessiva libertà al gruppo, commenta e suggerisce raramente. 11.9 Vi sono diverse metodologie didattiche in uso oggi, alcune tra le principali sono: - Didattica per concetti : si fonda sul principio di informazione organizzata che permette la costruzione di percorsi di apprendimento, anche interdisciplinari. Uno strumento usato è la mappa concettuale. - Didattica metacognitiva: pone come obiettivo l’acquisizione di quelle facoltà di cui porta il nome, un imparare ad imparare. - Didattica dell’errore : si fonda sul concetto di errore come qualcosa di positivo e potenziante, in quanto porta all’autoriflessione e all’autocorrezione, ma non si riferisce agli errori per distrazione. - Didattica orientata : mira a favorire la scelta autonome degli alunni. Questa ha un forte legame con il lifelong learning poiché tale percorso permette lo sviluppo personale del soggetto, toccando anche l’ambito extra-scolastico. Dunque l’alunno compie l’azione e l’insegnante funge principalmente da supporto. - Didattica speciale : riguarda i bisogni personali degli alunni diversamente abili con interventi di sostegno. - Didattica multimediale : usa le nuove tecnologie come mezzi di comunicazione e apprendimento. Si parla di TIC (tecnologie dell’informazione e della comunicazione), grazie ad essa si può fare un blendend learning ovvero un apprendimento misto che prevede metodi tradizionale e metodi multimediali. - Didattica laboratoriale: il laboratorio è un ambiente attrezzato ma anche uno spazio mentale attrezzato, una forma mentis che permette di interagire con la realtà e modificarla. La didattica laboratoriale applica il learning by doing e di conseguenza è lavoro produttivo poiché porta alla manipolazione concreta in quanto si deve portare a termine un progetto o un compito, ma stimola anche la creatività, non è solo pratica ma anche simulazione mentale e sociale, poiché necessita dell’interazione tra pari. L’insegnante deve fare da tutor, dare supporto e aiutare ad organizzare, ma il lavoro deve essere autonomo per l’alunno. Questo tipo di didattica è fortemente attiva. - Didattica per competenze: comporta un dialogo costante, in ogni fase della vita scolastica, ovvero: insegnamento, apprendimento e valutazione. Tale didattica sposta l’attenzione sullo sviluppo dei saperi e sulla globalità dell’individuo, poiché questa ha un ruolo attivo in quanto si scambia e si confronta continuamente con l’insegnante, questa è la differenza tra diligenza e competenza, la prima implica un essere passivi. Anche nella valutazione lo studente deve essere attivo, cioè capace di auto-valutarsi. 11.10/11.11 Le metodologie didattiche sono procedure di insegnamento i cui passi sono chiari, definiti e ciclici. Ad esempio, la lezione frontale è una metodologia didattica. Ma negli ultimi anni si sono sviluppate metodologie innovative che prevedono forme attive di apprendimento e mettono al centro lo studente. Alcuni di queste metodologie sono: - Cooperative learning : è un insieme di tecniche di conduzione della classe, in cui gli studenti lavorano in piccoli gruppi, meglio ancora se eterogenei. La presenza dei gruppi permette al riflessione, la discussione e anche il conflitto socio-cognitivo ovvero la dinamica di costruzione di risposte attraverso la messa in discussione dei rispettivi punti di vista dei partecipanti di un gruppo, tale concetto è stato introdotto da Mugny e Doise negli anni ’70. Il conflitto crea incertezza e instabilità serve alla risoluzione perché rappresenta una forma di apprendimento tra pari, perché il singolo deve per forza superare il suo egocentrismo e aprire alle idee dell’altro. Uno dei maggiori studiosi del fenomeno è Comoglio. - Peer education : letteralmente significa “educazione tra pari”. Tale approccio risale ai primi dell’800 grazie al monitor system che consisteva nel far tenere ad alcuni alunni delle lezioni ad altri studenti. Veniva fatto per ragioni economiche, per non pagare insegnanti, mentre negli anni ’70 diventa un modo per rende i giovani responsabili e sviluppare le proprie abilità, inoltre negli Stati Uniti viene usato tale metodo non solo in ambito scolastico ma anche in carceri, ospedali e comunità terapeutiche. - Brainstorming: introdotto dal pubblicitario Osborn negli anni ’30, questo è finalizzato alla produzione di idee e a trovare soluzioni creative ai problemi. Tale processo di brainstorming si può dividere in due fasi: divergente e convergente, la prima è un esprimere le prime idee così come vengono in mente, la seconda è selezionare, elaborare e organizzare le idee. L’insegnante qui deve fare da moderatore e spingere la produzione di idee senza giudizi di valore, che altrimenti inibirebbero il processo. Eberle fu studente di Osborn e rielaborò il brainstorming con il modello SCAMPER che corrisponde a: substitute, combine, adapt, modify, put to another use, eliminate e reverse. Vi è anche il brainwriting che è il complementare su carta teorizzato da Geschka. - Problem solving : pone una questione da risolvere con indizi e pone gli alunni nella posizione di detective. - Role play : permette agli studenti di sviluppare l’immedesimazione e di sviluppare l’intelligenza emotiva grazie agli psico-drammi che consiste nell’interpretare un personaggio e farsi osservare dagli altri che sono coinvolti emotivamente, vi è una catarsi da parte di tutti. - Circle time: è una tecnica di gruppo traversale e consiste nel sistemarsi in cerchio e dare la parola a tutti nello scorrere circolare del turno, nessuno si può sottrarre, neanche l’insegnante e si deve porre con gli altri ed esporsi, ciò aiuta i più timidi e chiusi. - Mastery learning : è un metodo di insegnamento individualizzato che si basa sul testare l’apprendimento del singolo per frame, ovvero frammenti di piccole informazioni, Bloom fu fautore di ciò. - Service learning : consiste nel far compiere agli studenti delle azioni solidali, infatti service viene inteso come volontariato. - Lezione partecipata: è una lezione costruita in itinere che si adatta alle domande degli alunni, qui l’insegnante deve essere particolarmente preparato e pronto a ogni domanda. - Community of learners: è un modo di organizzare la classe teorizzato da Brown e Campione, che ha come scopo la responsabilizzazione degli alunni poiché diventa anch’egli insegnante, ha il compito di trasmettere le sue conoscenze. - Metodo Jigsaw : sviluppato da Aronson negli anni ’70, consiste nel dividere gli studenti in gruppi e dare ad ognuno singole parti di lavoro e di materiale, in modo da avere il lavoro completo solo mettendo insieme tutte le parti, come se fosse un puzzle. - Reciprocal teaching : consiste nell’imparare da altri membri di un gruppo tramite una richiesta di spiegazioni con l’aiuto di una persona più esperta nel gruppo stesso. - Team teaching : prevede due docenti che collaborano tra loro nel realizzare una didattica per molti studenti, generalmente di due classi. - Ricerca-azione : interazione costante e di parità tra docente e alunno, questa è efficace se vi sono problemi nell’apprendimento da parte degli alunni. - Bussiness game; giochi di ruolo che hanno però anche un ambiente simulato, che è più importante del personaggio in cui si è calati, funziona bene in contesti di marketing perché pone lo studenti a comportarsi come farebbe quella persona nella sua mansione, non la persona in sé. - Metodologia EAS : (episodi di apprendimento simulato) è stata introdotta da Rivoltella nel 2014, e si basa su tre fasi: preparatoria, operatoria e ristrutturativa. formativo per orientale le decisioni dei responsabili dei programmi. Vi sono quattro tipi di decisioni da prendere nella valutazione: planning decisions (per la pianificazione e si tratta di analizzare il contesto), structuring decisions (per la strutturazione che valutano le risorse del sistema), implementing decisions (per la realizzazione e si concentrano su come il programma procede in modo da poterlo modificare in corso d’opera) e recicling decisions (per il riciclaggio che riguardano il momento finale dell’intervento formativo). Ognuno dà il nome al modello Context evaluation, Input evalution, Process evalution e Product evalution (CIPP). La valutazione responsiva di Stake Afferma che il valore di un programma non può essere espresso da un punteggio. Egli pone due fasi di elaborazione teorica: countenance evalution (tiene conto degli obiettivi) e responsive evalution (tiene conto del contesto). La goal-free evalution di Scriven È la valutazione libera da obiettivi, questa ha due funzioni: formativa (è la valutazione che sulla fase di attuazione di un programma, al fine di una valutazione parziale) e sommativa (valutazione su un programma concluso). Il valutatore deve stare fuori dal contesto di osservazione, in modo da essere imparziale, e non deve neanche conoscere gli obiettivi del programma. Il modo per valutare deve essere il sistema check-list ovvero un insieme di domande-guida per porre un giudizio comprensivo. Valutazione formativa di Calonghi e Hadji Il loro modello è di tipo personalistico, il cui scopo è la promozione della persona e l’orientamento dell’agire didattico. La valutazione deve saper infondere fiducia, sicurezza e ottimismo nello studente. Il giudizio è sempre condizionato dall’intenzionalità di chi valuta. Si possono distinguere valutazioni: continua, formativa e complessiva, la prima si svolge ad ogni fine di una sequenza di apprendimento, la seconda per vedere se gli obiettivi di partenza siano stati raggiunti e l’ultima è alla fine. In Calonghi prevale la dimensione finalistica della valutazione con una chiave comportamentista, mentre in Hadji quella utilitaristica con una chiave di lettura soggettivistica. Per Hadji, la valutazione emerge tramite lo scarto tra rèfèrent e rèfère, che sono rispettivamente attese o standard e realtà di riferimento. Valutazione autentica di Wiggins È un modello più simile ad movimento di pensiero che si diffonde nei USA negli anni ’90, e il suo scopo è valutare non ciò che lo studente sa ma ciò che sa fare con ciò che sa. I test tradizionale non sono in grado di riconoscere questa meta-conoscenza, che deve mettere al centro l’alunno in modo oggettivo ma soggettivo. I test devono richiedere processi cognitivi complessi, non essere verifica di nozioni. La valutazione autentica apre anche alla discussione in classe, con grande importanza al coinvolgimento e all’ascolto, in modo che ognuno si possa esprimere senza paura, dunque il rapporto tra insegnante e alunni deve essere paritetico, permettendo all’alunno di essere libero e autonomo. La valutazione riflessiva Ad essa sono collegate le auto-valutazioni e le autoregolazioni, in quanto tale tipo di valutazione è secondo la studiosa Perla, un processo interno di monitoraggio del cammino formativo, nel quale il divenire da soggettivo diviene oggettivo. L’obiettivo di tale valutazione è la crescita in consapevolezza e metacognizione per questo la valutazione riflessiva si divide in tre tipologie: - autoregolazione degli apprendimenti : è l’autoesame messo in atto dallo studente sugli apprendimenti acquisiti, l’insegnante qui fa da regia e supporto tecnico. Di questa valutazione fa parte la peer-education, l’apprendimento cooperativo (l’apprendimento è risultato di collaborazione tra tutta la classe) e l’insegnamento reciproco. - autovalutazione delle azioni insegnative : che così diventa strumento per migliorare l’insegnamento stesso, si può ottenere da due approcci: non strutturato cioè con annotazioni personali raccolte ad esempio su un diario e strutturato con annotazioni di tipo oggettivo come check-list o registrazioni. - autovalutazione d’istituto : espressione introdotta da Sheerens per indicare la valutazione interna ai docenti e ai capi d’istituto. Tale valutazione punta a giudicare la qualità ed è stato possibile grazie all’autonomia delle scuole avuta nel 1997, invece con la legge costituzione n.3/2001 si è dato importanza sia ai processi che ai risultati di valutazione, mentre prima lo si faceva solo ai risultati. Le variabili prese in considerazione per tale autovalutazione sono: variabile di contesto, di input e di risorse (le caratteristiche cognitive e affettivo-motivazionali della popolazione scolastica), di processo (legate all’organizzazione spazio- temporale della didattica) e di prodotto e outcome (livello complessivo degli apprendimenti degli alunni). 12.7 Le prove di valutazione sono di diversa tipologia e variano in base allo stimolo e alla risposta possibile, questi possono essere aperti o chiuso e in base alla loro combinazione dare vita a diversi tipi di prove: - Prove tradizionali (stimolo aperto e risposta aperta): per avere una valutazione devono essere stabiliti dei criteri valutativi o delle griglie, resi noti agli studenti e che devono essere rispettati per tutti gli alunni da parte dell’insegnante, rischiano però di essere ambigue. Ad esempio sono i temi o le interrogazioni verbali. - Prove strutturate o oggettive (stimolo chiuso e risposta chiusa): danno un risultato esatto senza lasciare ambiguità interpretativa poiché seguono criteri oggettivi di valutazione. Esempi sono i quesitivi vero/falso (detti anche dicotomici), test a risposta multipla (detti politomici, in cui solo una è corretta e le altre sono dette distrattori), quesiti a completamento (riempire spazi vuoti con un parola o una frase da scegliere tra un elenco), quesiti a corrispondenza (vanno abbinati i termini di due liste) e di riordinamento. Da questi possono scaturire tre tipi di valutazione: criteriale (comparare la prestazione dell’allievo con quella attesa), normativa (comparare l’allievo con un gruppo di riferimento) e di progresso (confrontare il rendimento dell’allievo con il suo iniziale). - Prove semi-strutturate (stimolo chiuso e risposta aperta): sono la via di mezzo delle due precedenti, in quanto gli stimoli sono chiusi ma le risposte aperte, seppur limitate da vincoli che permettono la valutazione. Esempi di queste sono: domande strutturate (domande su contenuti specifici e una serie di sotto-domande, ma che devono essere molto chiare per evitare fraintendimenti), saggi brevi, riassunti, rapporti di ricerca, colloquio strutturato (si fa oralmente), colloquio libero (scambio di opinioni tramite la lettura di un testo da parte dell’alunno che lo deve anche commentare) e riflessione parlata (si pone un problema da risolvere). 12.8 I bias valutativi sono gli errori di giudizio dovuti a dinamiche psicologiche che si attivano nel contesto scolastico, spesso dovuti da pregiudizi degli insegnanti. I più comuni sono: - Bias di conferma , quando si vuole essere d’accordo con gli altri, ad esempio valutando male un alunno valutato male dai colleghi. - Bias di genere , legati al genere pensando per esempio che le donne siano meglio nelle discipline umanistiche e gli uomini in quelle scientifiche. - Fallacia di Gabler tendenza a dare importanza al giudizio del passato nel presente. - Bias dello status quo , data dalla resistenza al cambiamento. - Bias di somiglianza , legata al dare voti positivi agli alunni simili all’insegnante e negativi a quelli diversi. - Bias della negatività : quando si dà troppa attenzione agli aspetti negativi. - Bias di proiezione : proiettare le proprie convinzioni sugli altri. - Dell’ancoraggio : porta a valutare un insieme limitato di elementi. - Dell’indulgenza: chi si ritiene comprensivo dà valutazioni eccessivamente alte, al contrario dell’effetto severità. - Di contrasto : si presenta quando un docente finisce di interrogare un studente brillante e passa ad un altro, dunque è causato dalla successioni di allievi interrogati. - Effetto alone : quando il docente tende a trasferire in altri contesti il suo giudizio, ad esempio valuta negativamente un alunno poco curato e che parla in modo semplice. È influenzata dunque da precedenti prestazioni. - Effetto stereotipia : quando si applicano degli stereotipi. - Errore di tendenza centrale: usare i valori centrali nella scala di valutazione, cioè dal 3 all’8. Evitare i bias è importante poiché gli studenti percepiscono le ingiustizie e in loro si potrebbe creare l’effetto Pigmalione, ovvero convincersi di essere incapaci se si ricevono troppi feedback negativi, questo fu teorizzato da Rosenthal. Il burnout è un disagio psico-fisico connesso al lavoro, dovuto ad uno stress cronico di cui gli insegnanti sono spesso vittima. Capitolo 13 La progettazione del curricolo 13.1 I programmi sono le prescrizioni ministeriali sui contenuti e sulle metodologie dell’insegnamento. Negli anni ’70, grazie alla legge n.517/1977, gli insegnanti dovevano fare 20 ore mensili di programmazione per progettare percorsi didattici e disciplinari all’interno di quelli ministeriali, cioè però era valido solo per elementari e medie. Per la scuola materna, diventata statale nel 1968, si sceglievano degli orientamenti per fronteggiare il delicato periodo dell’infanzia. Nel 2001 si è arrivati alle prime autonomie territoriali, con il principio di sussidiarietà derivato dal trattato di Maastricht (secondo cui le decisioni vanno prese il più possibile vicino ai cittadini), in cui la sussidiarietà viene riconosciuta in modo verticale con l’autonomia scolastica riconosciuta da Stato e regioni, e sia in modo orizzontale con il primato alle famiglie, ma le responsabilità educative alla scuola. La riforma Moratti del 2003 ha posto le nuove norme generali della scuola, facendo direttamente superare lo Stato come emanatore di programmi ministeriali. Il curricolo è il percorso di studi di ogni scuola. La conoscenza è il possesso di dati di fatto, nozioni, idee e concetti acquisiti con studio, ricerca, osservazione ed esperienza. L’abilità è l’uso appropriato, consapevole ed efficace delle proprie conoscenze, mentre le competenze sono i requisiti che permettono di svolgere un compito. L’autonomia scolastica è lo strumento che le scuole hanno per garantire il successo formativo degli studenti, ma anche di dare competenze per il mondo reale. L’autonomia delle singole scuole si stanzia dal PTOF (Piano triennale dell’offerta formativa), documento nell’art.3 c.1 del D.P.R. 275/1999. Il PTOF sancisce che debba essere delineata la progettazione curricolare, extracurriculare, educativa e organizzativa della scuola, cioè specificare: gli obiettivi generali del processo formativo, quelli dell’apprendimento e delle competenze degli alunni, le discipline e le attività costituenti la quota nazionale dei curricoli e relativo al monte ore annuale, l’orario, i limiti di flessibilità per realizzare compensazioni tra discipline. Dunque il Ministero pone così degli obiettivi da raggiungere alla fine di ogni percorso formativo, per garantire omogeneità, ma sempre rispettando l’autonomia delle scuole, in modo che l’istruzione sia unitaria ma venga comunque valorizzato il pluralismo territoriale e culturale. Infatti la quota che tocca gestire alle scuole viene detta quota d’autonomia, a cui possono partecipare anche le regioni, come previsto dalla legge del 2003, mentre la legge del 2005, aumenta il potere delle regioni sulla scuola al 20% sulla scuola di secondo grado, tuttavia deve essere sempre rispettato il PECUP (profilo educativo, culturale e professionale dello studente in uscita dal percorso di studio). Nel 2006, Fioroni sanciva che tale 20% di autonomia valeva per ogni istituto d’istruzione, anche scuola dell’infanzia e di primo ciclo. Con l’art. 8 del D.P.R. 275/1999, viene espresso come la quota di autonomia possa essere determinata da: richieste di alunni e famiglie (per permettere ai genitori di esercitare i loro diritti e il loro doveri sulla prole, ma anche per permettere agli alunni di decidere per sé), istanze del territorio (che possono essere culturali, produttive, economiche o sociali, in modo da avere uno scambio bidirezionale con la scuola), istanze di enti locali (come il Comune o la Provincia), osservazioni dei docenti, bisogni di alunni disabili, necessità di orientamento per dopo la scuola dell’obbligo (per aiutare gli alunni nella scelta del futuro). 13.2 Gli attuali ordinamenti della scuola dell’infanzia e del primo ciclo sono quelli del Decreto 16 novembre 2012, n.254, detti anche Nuove Indicazioni nazionali, firmate dalla Moratti. Il testo è diviso in tre parti comuni: 1) Cultura, scuola, persona : mette così al centro la persona, ispirandosi all’Umanesimo, ma anche la cittadinanza per tenere conto della collettività. Inoltre ciò prevede che si superi il confine tra discipline per fare spazio all’interazione. 2) Finalità generali : che sono rivolte alla scuola, alla Costituzione e all’Europa, ciò implica che sia insegnata una lingua straniera, che vi siano delle competenze sociali e civiche, ma anche aperture alle nuove tecnologie. 3) Organizzazione del curricolo : le indicazioni del curricolo, le competenze, le valutazioni e la cittadinanza. Qui si collocano le Indicazioni Nazionali per visione collaborativa. Gli OS sono organizzati in reposity, cioè per criteri che rendono più facile la ricerca. La LIM permette una didattica: laboratoriale, collaborativa, partecipativa ed esperienziale. Un learning management system (LMS) è una piattaforma interattiva per scopi didattici, che si trova sul web, l’amministratore può anche solo occuparsi di come gestire gli utenti e i contenuti. L’LMS si serve di diversi strumenti per permettere la comunicazione tra studenti: forum di discussione, il wiki (documento che può essere scritto, corretto e ampliato da tutti, un ipertesto che così risulta vivo), blog, chat-line, video conferenza e condivisione di materiali. Tale piattaforma prende le mosse dal costruttivismo e il docente funge da tutor. Con l’introduzione della LIM, i learning objects non sono più chiusi e di auto-apprendimento, ma prendono connotazione di flessibilità ed apertura, per questo si è passati dagli OS al digital asset, frammenti di contenuto digitale, che può essere modificato e assemblato insieme ad altri a piacimento, un insieme di digital asset forma un learning object, inteso come unità di apprendimento, però in questo caso personalizzata e costruita tramite ricerca, senza reposity rigide, ma tramite banche dati multi-materiali. La LIM favorisce proprio i digital asset, mentre programmi come PowerPoint favorisco gli OS. Negli ultimi anni si sono sviluppati sistemi di istruzioni gratuiti e liberi, le Risorse educativa aperte o Open educational resources (OER) che sono di livello mondiale e stanno approdando anche in Italia, come mostra il D.M. 781/2013. Di solito sono gratuite ma vi sono diverse licenze d’uso, la più comune è la Creative Commons, che permette di usare le risorse ma citando l’autore e senza scopi commerciali. 14.2 La LIM può essere usata in modo: - Tradizionale: legata alla trasmissione di contenuti e abilità, tramite testi e linguaggio scritto e parlato, con un percorso lineare che vede l’alunno come passivo ascoltatore. La LIM viene usata come la lavagna di ardesia, ma vi può essere un passo successivo, cioè aggiungere immagini e filmati presi sul web, che continuano però a rendere l’alunno passivo. - Innovativo: sviluppo di un pensiero critico e originale, uso di contenuti interattivi e di tecnologie, in modo da rendere l’alunno partecipante attivo. Qui la LIM si può usare con gli OS che permettono agli alunni di interagire, a questi si possono integrare i digital asset. 14.3 Negli ultimi anni vi è stata una migrazione dai libri cartacei ai libri misti, ovvero sia cartacei che digitali. Il primo passo è stato il D.L. 112/2008 che li ha introdotti, ponendo la possibilità di scegliere tra libri cartacei, libri misti e libri online, per poi obbligare agli ultimi due tipi dall’anno scolastico 2011/2012 (spostato poi a 2014/2015), ma è solo per le nuove adozioni, le vecchie possono rimanere cartacee, anche se ogni cinque anni è obbligatorio cambiare libri nelle primarie e ogni sei nelle secondarie, tuttavia però questo obbligo è stato abrogato. Il D.M. 21/2009 impone che i libri di testo debbano rispettare: - Criteri pedagogici : devono essere rispettati e i libri dunque devono essere adatti alla didattica e rispettare il rigore scientifico ma anche essere aggiornati rispetto ai tempi. Vi devono anche essere allegati di altre discipline per favorire il fatto che la cultura sia una sola. Vi devono essere schede per il lavoro individuale e anche contenuti multimediali, non solo di testo. - Caratteristiche tecniche per i libri a stampa : indicano la grandezza del carattere, il numero di pagine, la copertina, il peso del volume e il costo. - Caratteristiche tecnologiche per i libri online e misti: leggibile con software gratuiti e diffusi a tutti, deve essere interattivo, avere link esterni ed essere in continuo aggiornamento. Il D.L. 179/2012 fa variare le norme per l’adozione dei libri, per limitare il fenomeno comune della versione cartacea uguale a quella digitale. Qui viene abrogato l’obbligo di adottare nuovi libri ogni cinque o sei anni. Il D.M. 781/2013 pone tre tipologie di possibilità di adozione: - cartaceo con contenuto digitale integrativo (CDI), questi sono contenuti di apprendimento prodotti in formato digitale, usando appositi software e fruibili mediante dispositivi hardware. - versione cartacea e digitale con CDI. - digitale con CDI. Tuttavia è stato abrogato dopo sei mesi. Nei nuovi libri di testo, si possono così trovare; storytelling multimediali (tecnica narrativa che include diverse modalità narrative come filmati, audio e immagini, ma anche quella tradizionale in forma scritta); infografia (testo insieme a diagrammi ed immagini, grafici in generale come mappe concettuali e diagrammi di flusso); forma animata ed interattiva di informazioni. Tutti questi strumenti puntano ad andare oltre il solo testo scritto all’interno dei libri. Nell’Allegato del D.M. 781/2013 vengono descritti i contenuti di apprendimento integrativi o CAI, di cui fanno parte gli CDI, che hanno sostituito gli audiovisivi analogici degli anni ’80 e ’90. I CDI possono essere parte del libro o comprati separatamente, altri si possono trovare gratuitamente in rete. I CDI hanno caratteristiche comune agli OS, ma le loro specifiche sono: modularità (indipendenza da altro o autoconsistenza che è la presentazione di contenuti in modo organico e completo, ciò rende possibile associare i singoli moduli tra loro per creare percorsi personalizzati); molecolarità (derivata dalla autoconsistenza in quanto devono essere bastevoli anche da soli); riutilizzabilità (va intesa come riadattabilità, cioè uso di un metodo che vada bene per più spiegazioni); strumenti interattivi e simulazioni (in modo da favorire l’esercitazione in forma multimediale); personalizzazione (per generare motivazione nello studente); interazione collaborativa (fare in modo che lo stesso contenuto sia fruibile contemporaneamente da più studenti per favorire il lavoro di gruppo); interconnessione con la rete (collegamento con risorse già esistenti nel web); reperibilità (avere dei metadati ovvero sintesi disponibili in rete). Le piattaforme di fruizione sono gli ambienti in cui utilizzare i testi digitali, per questo devono avere la interoperabilità, cioè permettere di usufruire di CDI di più produttori e di più libri digitali, ma questa è una cosa molto rara, in realtà tali piattaforme non comunicano tra loro e si ritrovano ad offrire gli stessi servizi, nel D.M. 78/2013 viene proposto un tavolo di tecnici per mettersi d’accordo sull’interoperabilità delle piattaforme. I dispositivi di fruizione sono hardware che possono essere utilizzati per fruire contenuti di apprendimento, alcuni di questi sono: computer, notebook, netbook, tablet, e-reader e smartphone. La Buona Scuola prevede un Piano nazionale scuola digitale (PNSD) al fine di migliorare ed implementare le competenze digitali degli studenti. Il D.M. 851 del 2015 prevede dunque una serie di innovazioni, ed è articolato in quattro passaggi fondamentali: strumenti, competenze e contenuti, formazione e accompagnamento. 14.5 Con l’arrivo della pandemia di Covid-19 è stato necessario passare da una didattica in presenza ad una didattica a distanza, che si può svolgere in due modi: sincrona (quando avviene in diretta) e asincrona (quando avviene in differita). È stato anche introdotto un modello di didattica mista, tra la presenza e la distanza. Capitolo 15 La scuola inclusiva 15.1 Negli ultimi anni si è definito il concetto di bisogni educativi speciali (BES o SEN in inglese cioè special educational needs), passando da un modello educativo di integrazione ad uno di inclusione. Tale dizione fu usata per la prima volta nel rapporto di Warnock nel 1978, in Inghilterra al fine di abolire il termine “handicap”. In Italia invece per la prima volta viene sottolineato nella legge n.104/1992, ma con la dichiarazione di Salamanca (1994) si fece un’estensione non solo agli studenti con disabilità ma anche a quelli con difficoltà di apprendimento e difficoltà psico-sociali che hanno bisogno di percorsi educativi individualizzati, ciò amplia la 104, anche se per i casi esclusi da essa non è previsto l’insegnante di sostegno, ma viene comunque dato un aiuto. La dichiarazione di Salamanca dunque punta a riconoscere anche le diversità culturali e a tutelarle. La matrice teorica di ciò è la pedagogia dell’inclusione, che esclude il concetto di normalità e lo sostituisce con normale specialità, che indica come tutti gli alunni abbiano bisogno di percorsi individualizzati. Ogni diversità va considerata come risorsa da valorizzare e non come un problema da livellare. La dizione “l’educazione è per tutti” si trova alla base della scuola italiana ed è stata introdotta per la prima volta dall’UNESCO nel 2000, al fine di sostituire “handicap” o BES, in modo da includere anche i disagi solo temporanei, in modo da superare la dicotomia tra alunno disabile e non, ma anche tra docente e docente di sostegno. La dichiarazione di Salamanca del 1994, è stata promossa dall’UNESCO in 92 paesi del mondo al fine di garantire un’educazione inclusiva. Con diversità si intendono: quelle personali (l’indole, il talento, la personalità) quelle derivanti dal contesto sociale e quelle dal background culturale. In Italia tali direttive sono state assimilate bene con la legge n.170/2010 per essere rivolta agli alunni con DSA (disturbi specifici di apprendimento), al fine di dare sostegno con un didattica personalizzata. Tale legge prevede delle fasi che coinvolgono: 1) la scuola che deve attivare interventi di identificazione precoce di disturbi, con l’attivazione di corsi di recupero e comunicazione alla famiglia; 2) la famiglia che deve attivare l’iter diagnostico; 3) l’ASL che deve rilasciare la certificazione alla famiglia; 4) la famiglia che deve consegnare alla scuola e 5) la scuola che deve attivare dei provvedimenti di aiuto e un PDP. Il D.M. 12 luglio 2011, che fa pare dalla 170/2010, prevede che dirigenti e docenti vengano istruiti su tali argomenti. Il D.M. 30 settembre 2011, che fa parte della 170/2010, pone i criteri e le modalità di svolgimento per i corsi di formazione per la specializzazione nel sostegno. Questa avviene presso le università. La direttiva del MIUR del 27/12/2012, l’educazione inclusiva viene estesa ad altre categorie di BES, con anche attenzione agli alunni stranieri e con DDAI (disturbo deficit attenzione ed iperattività o ADHD), DSA, deficit del linguaggio, delle abilità non-verbali, della coordinazione motoria, alcuni di questi non rientrano nella 104, che prevede l’insegnante di sostegno, per questo è necessaria una didattica che vada bene per tutti, ma anche con percorsi individualizzati. Questa direttiva propone di superare la dicotomia tra alunni con disabilità e alunni senza. Tale dicotomia si fonda sulla convinzione che i deficit di apprendimento siano di origine neuro-biologica, ma il modello diagnostico dell’international classification of fuctioning o ICF ha cambiato la prospettiva, inserendo la disabilità ina una prospettiva bio-psico-sociale, secondo cui l’origine della diversità sta anche nel contesto sociale, per cui si deve trovare la giusta strategia per ogni alunno per garantire un buon inserimento nella società e una buona qualità della vita. L’ICF è la classifica internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute. Il C.M. n.8 del 6 marzo 2013, chiarisce che tutti gli alunni con BES possono accedere ai piani didattici personalizzati (PDP) senza certificazione clinica, poiché la personalizzazione è applicabile a tutti, come da legge 53/2003. Ciò prevede che anche alunni con svantaggi economici, difficoltà con la lingua italiana possano accedervi. E con la normativa del 13 aprile 2017, n.66 è stata semplificata e riordinata la precedente normativa, introducendo gruppi per l’inclusione territoriale (GIT), che fanno parte dei CTS o centri territoriali di supporto, composti dal dirigente, tre docenti sia curricolari che di sostegno, un rappresentante USR e un operatore sanitario, questi hanno il compito di attuare tutte le direttive per includere gli alunni con BES. Questi centri sono stati istituiti nel 2006 e il loro compito è fare consulenza, informazione, gestione di ausili in comodato d’uso, attività di ricerca e aiuti. Il rischio di tutto ciò è la micro-esclusione secondo Dario Ianes, poiché le leggi inclusive non garantiscono l’inclusività, poiché il bullismo è un fenomeno sempre diffuso, spesso anche dagli insegnanti stessi. Un modo per combattere ciò, secondo Ianes, è quello di istruire il corpo docente, formare dei GLI (gruppi di lavoro per l’inclusione), dei PDP (piano didattico personalizzato), PEI (piano educativo individualizzato) e PAI (piano annuale d’inclusione). In particolare il PEI è il documento nel quale vengono descritti gli interventi integrati predisposti per l’alunno in situazione di handicap ai fini della realizzazione del diritto all’educazione e all’istruzione. Questo viene elaborato dal gruppo di lavoro operativo per l’inclusione (GLO) composta da tutti i docenti o dal consiglio di classe. Il PEI accompagna l’alunno dalla materna alla fine del percorso scolastico, viene cambiato ai passaggi di scuola, sia di grado e sia fisici. Ha una validità annuale. L’index fo inclusion (testo di Booth e Ainscow del 2002 pubblicato in Inghilterra) propone un superamento del concetto di BES e la sostituzione di concetti di ostacoli d’apprendimento e alla partecipazione. Il modello bio-psico-sociale dell’index interpreta la difficoltà come risultato di interazione tra soggetto e contesto, secondo tale visione, cambiando il contesto si può anche aiutare a risolvere le difficoltà. Per questo la parola “deficit” viene sostituita da “ostacoli” che indica un problema fuori dal soggetto, non innato. Inoltre non si parla più di “bisogni” che secondo Ianes umani uguali, ma di fatto vi sono tante disuguaglianze, come quella che vede l’occidente come dominante, ciò mostra come esista la contraddizione in questo mondo. La realtà è multidimensionale perché tutto è collegato, ad esempio la globalizzazione ha portato ad una produzione senza limiti che ha condotto alla crisi climatica e al pericolo dell’umanità stessa, mentre gli Stati stanno dalla parte dell’economia senza fare niente, questo mostra come non si possa considerare un problema senza collegarlo in modo trasversale. Questa multidimensionalità viene spesso ignorata e infatti nell’ambito della formazione si guarda molto alla specializzazione in un settore, portando ad una cecità cognitiva per tutto il resto, che porta a non occuparsi delle questioni globali. Per Morin gli umani sono interazione tra tre triadi: cervello-mente-cultura, ragione-effetto-pulsione e individuo-società-specie. Gli umani sono unitas multiplex, cioè unità molteplice, ciò lo porta a fare azioni contraddittorie e il mondo ne è riflesso perché infatti pace e guerra riescono a convivere. Nella società prevale la cecità poiché si compiono azioni senza tenere conto della conseguenze, tuttavia le cose improbabili possono succedere e cambiare le cose, Morin ripone la fiducia nelle minoranze che possono cambiare le cose, porta l’esempio di Galilei che ha dato un contribuito enorme alla rivoluzione scientifica, cosa che risultava molto improbabile. Le piaghe del mondo moderno sono: le guerre e la razionalizzazione, quest’ultima ha portato a pensare di predire il futuro e controllarlo, di avere tutto in mano e che tutto sia lineare, ma il contrario non deve neanche deresponsabilizzare gli esseri umani, poiché ognuno è artefice del suo destino, per questo si deve andare controcorrente in un contesto di ecologia dell’azione, cioè scommettere sul futuro. Per questo i sistemi formativi devono riformarsi e mettere al centro gli obiettivi deducibili dalle controcorrenti che sono: ecologica, qualitativa, resistenza al consumo e all’utilitarismo, pacificazione e contro la tirannia del denaro. Serve per Morin un’antro-etica che sia fondata su solidarietà e amore. Alla base di tale etica vi è la comprensione che va cercata nella forma intellettuale e in quella umana intersoggettiva, la prima si applica alle cose astratte, mentre la seconda per capire gli altri, tramite empatia, apertura e generosità. Gli ostacoli della comprensione sono egocentrismo, razzismo e sociocentrismo. L’incomprensione devasta le relazioni familiari e spesso porta ad aggressioni, calunnie e persino omicidi. La base dell’incomprensione è lo spirito riduttore che riduce gli altri umani a ciò di cui sono accusati. La comprensione si può avere solo tramite la tolleranza, solo con essa si può comprendere l’incomprensione. Le riflessioni di Morin danno grande contribuito alla scuola contemporanea, gli elementi principali sono: la multidimensionalità del soggetto e della realtà; la multidisciplinarità, antropo-etica, l’incertezza nella apprendimento e la critica dello spirito riduttore. Si devono presentare sempre problemi globali e non parziali. Il bambino apprende nei campi di esperienza, ovvero nei luoghi del fare, le singole esperienze devono essere unita in una globale. L’educazione emotiva mette l’accento sulle relazioni di gruppo e interpersonali durante la giornata scolastica, indirizzando gli alunni verso il dialogo e la comprensione del POV altrui e ampliare la sfera emotiva e dell’empatia. Nel parlare di riforma del pensiero e dell’insegnamento, Morina usò l’espressione “testa ben fatta” ad indicare la disposizione di un’attitudine a trattare i problemi e approfondirli e a collegare i saperi tra loro conferendo senso. Con la famosa frase “è meglio una testa ben fatta che una ben piena” di Monatigne. Husserl Fornisce un approccio scientifico allo studio delle emozioni. Egli fu grande esponete della fenomenologia, il cui obiettivo è spiegare il comportamento umano e il rapporto con gli altri. Husserl considera gli individui come unici e per questo la comprensione è un atto interpretante che va verso l’altro, ma per poterlo fare è necessario che sia il soggetto tenga la sua “porta” aperta e che l’altro faccia la stessa cosa. Husserl si rifà alla dialettica tra cause ed effetto per spiegare ciò. Binswager Combina la fenomenologia con la scienza, ma supera la dialettica causa/effetto, egli punta ad interpretare i casi limite per renderli comprensibili e interpretare tutti gli altri casi. Egli applica ciò alla salute mentali, analizzando in particolare i casi psicotici. Egli vede presente, passato e futuro come insieme di un unico filo del tempo e nei casi psicotici spesso si spezza tale filo del tempo, rendendo il futuro vuoto. Un soggetto si realizza solo nella relazione con l’altro. Heidegger L’essere umano è esser-ci, per il fatto che è manifestazione dell’essere nel mondo, qui, ora e con gli altri. La relazione con gli altri va coltivata nella sua autenticità, infatti una relazione autentica avviene quando si rispetta l’altro e ci si prende cura di sé stessi, ma allo stesso tempo vi è condivisione con l’altro, pur lasciandolo libero di agire e di esprimersi. Se gli umani si sottrarrebbero da tali relazioni finirebbero per essere monade e solitudine. Le relazioni di dominio sull’altro non sono autentiche. Rogers Psicologo americano che ha sviluppato la sua teoria del counseling, ovvero la relazione educativa che necessita di tre elementi chiave: - autenticità cioè apertura verso l’insegnante con fiducia, che deve essere ricambiata, inoltre l’insegnante deve essere comprensivo e autentico, cioè coerente e costante nel tempo, in modo da produrre sicurezza emotiva. - considerazione positiva incondizionata: fiducia dell’insegnante nell’alunno e nella sua capacità di agire bene. - comprensione empatica: capacità di immedesimarsi in modo parziale nell’altro senza giudicare. L’insegnante deve dunque possedere le capacità di: - ascolto attivo - assertività educativa - autorevolezza - capacità di contenimento del gruppo classe seguendo le regole. In particolare Rogers, analizza la relazione assertiva caratterizzata da fermezza che permette l’autorevolezza non l’autorità tirannica. Per Alberti e Emmons, l’assertività è il punto di equilibrio tra passività e aggressività, anche se per i due psicologi esistono solo azioni che possono essere assertive, passive o aggressive, non persone. Il comportamento aggressivo ha come base il voler prevaricare sugli altri e provoca altra aggressività o la fuga, impedendo comunicazione e comprensione. Il comportamento passivo è l’incapacità di manifestare i propri bisogni e agire sulla base di essi, è un comportamento di chi si fa trascinare dalle cose. Sia il passivo che l’aggressivo nascono dalla paura del no, il primo di dire no mentre il secondo di sentirsi dire no. Il comportamento assertivo non teme il no, né il dialogo perché non lo vede come pericoloso per il proprio equilibrio interiore, né teme di riconoscere l’alterità. Tale comportamento permette di rispettare le regole e portare a termine gli impegni. Berne Nella sua teoria dell’analisi trasversale, analizza le relazioni scolastiche disfunzionali, che sono: - Relazione simbiotica: ciò toglie energie all’insegnante e impedisce l’autonomia dell’alunno, qui i ruoli sono quelli di aiutante e aiutato. Vi è anche una relazione simbiotica funzionale, in cui vi è un effettivo bisogno di aiuto da parte dell’altro poiché non ci si riesce ad autosostenersi, un esempio è la relazione tra adulto e bambino o medico e paziente. Invece la relazione simbiotica disfunzionale si basa sull’incapacità di autonomia di una delle due parti, questa può nascere dalla svalutazione del sé e dal fatto che il soccorritore si senta utile. Esiste un pattern (azioni ripetitive sempre uguali) tra i due che impediscono di uscire da tale relazione, che è conflittuale senza soluzione. La questione non viene mai affrontata sul piano razionale, ma su quello emotivo, ciò rende ancora più difficile risolverla. Secondo Karpman tale tipo di relazione può avere tre pattern: persecutore/vittima, salvatore/vittima e entrambi persecutori ed entrambi vittime. - Pregiudizi educativi o ordini : qui vi sono cinque relazioni disfunzionali derivate in primis da messaggi genitoriali appresi dalla prima infanzia, che sono degli ordini interiori che poi diventano pregiudizi che sono: “Compiaci!”, “Sii perfetto!”, “Sii forte!”, “Spicciati!” e “Tenta disperatamente!”. Un individuo può aver interiorizzato uno o più di questi ordini, rendendoli vettore dell’azione. Questi sono imperativi ipotetici che vengono trasmessi dai genitori hanno come fine il compiacere l’altro, mentre quando vengono interiorizzati diventano imperativi categorici, di una morale non più eteronoma ma autonoma, per cui da “agisco per compiacere” si passa a “è giusto compiacere”. I categorici sono più difficili da sradicare e si manifestano nelle relazioni più significative. Nel caso dell’insegnante, tale tipo di ordini si innescano quando l’obiettivo diventa essere ubbiditi e non i bisogni degli alunni, infatti l’interiorizzazione degli ordini si accompagna all’interiorizzazione di un ruolo di subalternità. Per Berne gli ordini erano in precedenza dei divieti imposti dai genitori, verbali e non, che non sono stati rispettati, infatti gli ordini diventano un modo per rimediare agli errori passati. - Giochi psicologici: relazioni che si sviluppano sotto la slealtà, in quanto entrambe le parti seguono un copione con azioni ripetitive, il cui fine dovrebbe essere risolvere un problema quando invece, quello celato è mantenere un conflitto, prodotto da vecchia rabbia repressa che non è stata risolta. Spesso queste relazioni non vengono concluse, ma portate avanti solo per ferire l’altro. Vi sono tre livello di questo gioco per Berne: amarezza che può portare a spezzare un rapporto o comprometterlo; si fa ricorso alla legge, come nel caso delle separazioni tra sposi chiamando un avvocato; al terzo livello si può finire in ospedale o peggio al cimitero. Alcuni esempi di tali giochi sono: “l’aiuto e il suo rifiuto” che prevede una richiesta di aiuto e quando viene dato, questo è delegittimato e non seguito; un altro esempio è “io non sono capace” porta ad un non agire e a pretendere che chi l’ha accusato di ciò, agisca per lui, ciò porta ad uno scarico di responsabilità, e anche se ci si svaluta, si ha il vantaggio di non essere giudicati. Un esempio di ciò sono gli studenti bocciati che non provano più a rimettersi in carreggiata perché preferiscono il fallimento senza impegno. Un altro esempio è degli alunni diversamente abili che si cullano sui genitori che dal canto loro si sentono colpevoli per la disabilità del figlio e fanno tutto al posto loro. 16.3 La continuità scolastica viene introdotta con il DM 16/11/1992 e il CM 339/1992, poiché furono creati dei percorsi formativi che fungessero da agganci tra loro. Vi è una continuità verticale che si pone tra classi terminali ed iniziali di uno stesso percorso e gruppi di alunni della stessa scuola di età diverse; vi è anche una continuità orizzontale tra gruppi di alunni di età uguali ma classi o sezioni diverse e tra scuola e territorio. La continuità educativa è la pianificazione di percorsi didattici aventi le stesse finalità educative, che hanno la stessa visione del mondo di valori, riguarda dunque gli obiettivi specifici. Mentre invece la continuità didattica è la pianificazione di percorsi didattici con metodi affini e criteri di valutazione comuni, con contenuti di apprendimento sequenziali, riguarda dunque obiettivi trasversali. L’accoglienza e l’orientamento sono modi per favorire la continuità, ad esempio viene fatta vedere la nuova struttura in cui andranno ai bambini più piccoli e viene assegnato loro un bambino più grande per fare da guida. Per questo vi sono anche gli istituti comprensivi, proprio per unire tutti i gradi di scuola. La continuità si garantisce anche formando nuove classi che siano omogenee e concordandole con gli insegnanti della scuola uscente. Capitolo 17 Modelli e strategie educative per lo sviluppo di una scuola interculturale 17.1 La pluralità di etnie in uno stesso territorio viene affiancata dal multilinguismo ovvero la compresenza di più lingue su uno stesso territorio ma senza scambi comunicativi per mancata conoscenze delle altre lingue. Per passare ad uno società multietnica ci dovrebbe essere un passaggio dal multilinguismo al plurilinguismo, cioè la padronanza di ogni individuo di più lingue, almeno tre, in questo modo si favorisce anche lo scambio culturale, cosa che non fa il multilinguismo che invece favorisce la divisione come una sorta di “torre di Babele”. Il sistema scolastico deve favorire tale passaggio e ci possono essere due modi per farlo: corsi di lingua straniera per insegnanti e alunni ma anche corsi per insegnare italiano ai docenti. Le regioni possono anche attivare dei corsi di italiano per stranieri adulti (EDA). Il 27 dicembre 2012, il MIUR fa rientrare nei bisogni educativi speciali le difficoltà di integrazione per alunni stranieri. 17.2 È fondamentale riconoscere la differenza come tratto distintivo degli esseri umani, accoglierla ed accettarla. Dall’UE sono arrivate delle direttive per favorire la cittadinanza attiva con: complessità, fluidità e flessibilità. Non serve più fare accoglienza ed integrazione, serve intercultura cioè cultura costruita in modo condiviso, nata dal confronto reciproco e dall’innesto di istanze valori e visioni del mondo di tutti gli individui che appartengono proposto di promuovere una società dell’informazione, ricerca e sviluppo, investendo sulle risorse umane e combattendo l’esclusione sociale, con un contesto economico sano. Nel successivo Consiglio europeo di Stoccolma del 23 e 24 marzo 2001, la Strategia di Lisbona viene delineata nel dettaglio, vengono posti degli obiettivi da raggiungere entro il 2010, in particolare viene elaborata una strategia per rilanciare l’istruzione, detta ET 2010 (education and training 2010) con tre obiettivi strategici e tredici concreti, ognuno con degli indicatori per valutare la loro riuscita e che vengono fissati nel consiglio europeo di Barcellona nel 2002. Gli obiettivi strategici sono: - obiettivo strategico 1 : aumentare la qualità del servizio di istruzione. - obiettivo strategico 2: facilitare l’accesso di tutti all’istruzione. - obiettivo strategico 3: aprire al mondo esterno i sistemi di istruzione. Al Consiglio europeo di Bruxelles del 2003, vengono definiti i parametri di riferimento per i sistemi di istruzione, di cui va fatta una media di tutti i paesi europei. Si è anche elaborata una ISCED ovvero International standard classification of education, divisa in sei livelli partendo dall’asilo alla formazione post-laurea. Nel 2010, la Strategia di Lisbona viene rilanciata con il programma Europa ET 2020, in cui si è preso atto dei progressi ottenuti e si sono fissati nuovi obiettivi strategici, in cui ognuno ha parola “crescita” essi sono: - crescita intelligente: sviluppare economia su intelligenza e innovazione. - crescita sostenibile: promuovere un’economia più verde. - crescita inclusiva: promuovere un alto tasso di occupazione senza disuguaglianze. In tutto ciò il concetto di apprendimento permanente o Longlife learning è fondamentale poiché intende l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita. È uno degli obiettivi fondamentali della comunità europea. L’apprendimento permanente non va diviso dall’apprendimento formale ovvero quello che avviene nei primi 20/30 anni di vita fino all’università, erogato cioè da un’istituzione di formazione e che dà una certeficazione, in realtà i due sono legati insieme poiché l’apprendimento formale crea un atteggiamento positivo e aperto alla conoscenza e all’apprendimento permanente. Nella Comunicazione della commissione europea del 21 novembre 2001, l’apprendimento permanente viene definito come qualsiasi attività di apprendimento avviata in qualsiasi momento della vita, volta a migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze in una prospettiva personale, civica, sociale e occupazionale. L’apprendimento non formale invece non è erogato da un’istituzione di formazione, né dà una certificazione, ma è intenzionale dal punto di vista dello studente. L’apprendimento informale è invece quello di matrice quotidiana, legato a lavoro, famiglia e tempo libero, di solito è casuale, non intenzionale. Il longlife learning prende le mosse da questi due tipi di apprendimento. Il 20 dicembre 2012, il Consiglio europeo formula delle Raccomandazioni ai paesi membri per offrire ai cittadini l’opportunità di dimostrare quanto appreso al di fuori dell’istruzione, a tale proposito nelle Raccomandazioni vengono riformulate le definizioni di apprendimento formale, informale e non formale, il primo rimane abbastanza uguale, mentre l’apprendimento non formale viene definito come apprendimento erogato mediante attività pianificate con una forma di sostegno dell’apprendimento, ad esempio il rapporto tra studente e professore, ma questo riguarda anche l’apprendimento per adulti o il conseguimento di abilità professionali. Invece l’apprendimento informale è quello della vita quotidiana che può essere intenzionale per lo studente, come ad esempio una lingua straniera in Erasmus o il volontariato. Questi ultimi due tipi di apprendimento possono essere convalidati e certificati al fine di guadagnare competenze, questo è stato sottolineato dalla legge 92/2012, art. 4 c. 52, che prospetta tali convalide come motivo di crescita e anche che debbano essere fatte da enti pubblici titolari, tra cui il MIUR. 19.3 Nel 2000, si tiene a Tokyo, la quarta assemblea generale relativa agli indicatori per l’educazione, organizzata dalla OCSE (organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). Il resoconto si conclude con l’articolo “Defination and selection of key competencies” di Rychen e Salganik, dove vengono esposte le competenze chiave. Queste sono definite nelle Raccomandazioni del 2006 come una combinazione di conoscenze, attitudini e abilità appropriate al contesto, danno flessibilità ai lavoratori e sono fondamentali nella società, esse sono tutte interdipendenti e pongono il pensiero critico, la creatività, il problem solving e l’iniziativa. Queste stanno alla base dei diritti democratici e dell’autonomia di ogni singolo individuo. Rychen e Salganik definiscono anche la parola conoscenza come il possesso di dati di fatto, nozioni, idee e concetti acquisiti con lo studio, la ricerca, l’osservazione e l’esperienza. Invece le competenze consentono di partecipare pienamente alla società e gestire con successo transazioni nel mercato del lavoro. Le abilità sono le capacità di eseguire processi ed applicare le conoscenze esistenti al fine di ottenere risultati. 19.4 Vi sono otto competenze chiave: 1) alfabetica funzionale: la capacità di individuare, comprendere ed esprimere concetti, sentimenti, fatti e opinioni sia in forma scritta che orale, è l’abilità di comunicare con ogni mezzo. 2) multilinguistica: capacità di usare diverse lingue in modo appropriato al fine di comunicare. 3) in matematica, scienza, ingegneria e tecnologie : la capacità di usare la matematica per risolvere problemi quotidiani, mentre le altre tre implicano il saper applicare metodologie, ricerche e sperimentazioni per identificare problemi e risolverli. 4) digitale: l’interesse per le tecnologie digitali e saperli usare in modo efficace. 5) personale, sociale e capacità di imparare ad imparare: capacità di riflettere su di sé, gestire le informazioni e il tempo e di lavorare con gli altri in armonia. 6) in cittadinanza: capacità di agire come cittadino responsabile e partecipare alla vita sociale e civica. 7) imprenditoriale: capacità di gestire opportunità e trasformarle in valori per gli altri. 8) in materia di consapevolezza ed espressione culturale: comprensione e rispetto per altre culture. 19.5 Il 23 aprile 2008 viene introdotto in Parlamento europeo il Quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente o EQF (european qualitfications framework), che viene aggiornato con le Raccomandazioni del 22 maggio 2017. L’obiettivo del EQF è di collegare le qualifiche (certificazioni) a livello di tutti i paesi europei, anche se è molto difficile visto i diversi piani di formazioni degli Stati d’Europa, ma l’EQF individua otto livelli in cui inserire le qualifiche, che sono certificate in base alle conoscenze, le abilità e le responsabilità. L’EQF definisce in modo nuovo questi termini, in particolare le conoscenze diventano il risultato di assimilazione di informazioni attraverso apprendimento in un settore di studio o lavoro, mentre le abilità diventano le capacità di applicare conoscenze e di utilizzare know-how per portare a termine compiti e risolvere problemi. Mentre le competenze sono le capacità di utilizzare conoscenze e abilità. Il 20 dicembre 2012 è stato sottoscritto un Accordo nella Conferenza dei rapporti tra Stato, Regioni e province autonome di Trento e Bolzano, al fine di delineare il Sistema italiano delle qualificazioni al EQF, con la corrispondenza dei gradi di istruzione italiani a quelli dell’ISCED, creato dall’UNESCO. - Licenza media corrisponde all’ISCED 2. - Il diploma di qualsiasi indirizzo corrisponde all’ISCED 3. - Il diploma di tecnico superiore corrisponde all’ISCED 4. - Laurea triennale e magistrale all’ISCED 5. - Il dottorato di ricerca all’ISCED 6. 19.6 Il Decreto legislativo 16 gennaio 2013 n.13, definisce le norme generali e i livelli essenziali per le certificazioni degli apprendimenti informali e non formali, dunque vi devono essere degli standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze. Da qui viene istituito il Repertorio nazionale dei titoli di istruzione e delle formazioni professionali. Il DM del 8 gennaio 2018 crea così un Quadro nazionale delle qualificazioni o QNQ che rilasci le certificazioni e faccia le veci nazionali del EQF. 19.7 Il 26 febbraio 2021 viene emanata la Risoluzione del Consiglio 2021/C 66/01 per la cooperazione europea nell’istruzione, che deve presentare un piano strategico nel decennio 2021-2030. Le priorità sono inclusione, qualità, equità, longlife learning, rafforzare competenze e motivazioni, transizioni al verde e al digitale e istruzione superiore.
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