Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Teorie e fattori che influenzano le interazioni sociali e il comportamento umano - Prof. B, Sintesi del corso di Psicologia Sociale

PsicologiaComportamento UmanoInterazioni sociali

Il tema delle interazioni sociali, analizzando due problemi che possono emergere: ansia sociale e solitudine. Vengono discussi fattori che influenzano la forza dell'atteggiamento e la relazione tra comportamento ed atteggiamento, come informazione, coinvolgimento personale ed esperienza diretta con l'oggetto dell'atteggiamento. La teoria del comportamento pianificato e la discriminazione intergruppi sono spiegate, così come il razzismo avversivo e il pregiudizio implicito. Il documento si sofferma anche sulla teoria della categorizzazione del sé e sull'influenza sociale, inclusa l'influenza sociale online.

Cosa imparerai

  • Cosa si intende per razzismo avversivo e pregiudizio implicito?
  • Quali sono i due problemi che possono emergere dalle interazioni sociali?
  • Cosa spiega la teoria del comportamento pianificato?
  • Come vengono influenzati la forza dell'atteggiamento e la relazione tra comportamento ed atteggiamento?
  • Che cos'è la discriminazione intergruppi e come si manifesta?

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 02/07/2019

federico-boran
federico-boran 🇮🇹

4.1

(11)

18 documenti

1 / 94

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Teorie e fattori che influenzano le interazioni sociali e il comportamento umano - Prof. B e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Sociale solo su Docsity! AFFILIAZIONE E ATTRAZIONE Le persone passano la maggior parte del proprio tempo insieme e dall’affiliazione sembrano trarre piacere e giovamento. AFFILIAZIONE (socievolezza) La tendenza all’affiliazione è presente sin da piccoli. La mancanza di affiliazione può avere effetti negativi sulle capacità cognitive e sul sistema ormonale per affrontare lo stress. Quando e perché cerchiamo affiliazione Secondo un’interpretazione evoluzionistica, la tendenza a cercare compagnia e a stringere relazioni intime è una tendenza ereditaria → è utile per la sopravvivenza e la riproduzione poiché assicura una rete di aiuti indispensabili nel momento del bisogno. Determinanti psicologiche dell’affiliazione Secondo la teoria di regolazione della privacy, il livello ideale di privacy (opposto alla affiliazione) oscilla nel tempo ed è influenzato da due principi: • per il principio dialettico il desiderio di privacy può subire dei cambiamenti anche in poche ore da apertura a chiusura verso gli altri • per il principio di ottimizzazione si adegua il livello livello di contatto desiderato con gli altri al livello di contatto reale→ se si hanno pochi contatti ci si sente isolati, se ne si hanno troppi ci si sente oppressi→ la sensazione di isolamento e oppressione è soggettiva e relativa, ma oscilla a seconda del livello desiderato di contatto. Secondo il modello di affiliazione sociale il bisogno di affiliazione non cambia in maniera rilevante, perché il nostro comportamento obbedisce al principio dell’omeostasi → si cerca di mantenere il livello di conta o stabile e regolarlo il più possibile vicino al livello desiderato. Differenze individuali nell’affiliazione La teoria di regolazione della privacy e il modello di affiliazione sociale non considerano le differenze individuali nel bisogno fondamentale di affiliazione. Le differenze individuali nel desiderio di affiliazione sembrano avere una causa biologica nel SNC → le persone introverse hanno un livello di eccitabilità più alto (attivando di più il SNC) rispetto alle persone estroverse → le persone introverse evitano le interazioni sociali per far si che l’eccitazione non raggiunga un livello troppo alto; le persone estroverse invece devono cercare le interazioni sociali per raggiungere il livello desiderato di attivazione. L’affiliazione è inoltre influenzata dalla cultura → nelle culture individualiste gli individui cercano maggiormente l’affiliazione→ le relazioni sociali sono numerose e in vari contesti ma superficiali; nelle culture collettiviste le relazioni sociali sono poche ma profonde e durature. Problemi nell’affiliazione La tendenza di cercare la compagnia degli altri non va sempre a buon fine perché si potrebbero non possedere i requisiti per esercitare attrazione fisica ed essere respinti, provocando disagi ed ansia. Anche l’assenza di interazione sociale, cioè l’incapacità di soddisfare il bisogno di affiliazione, può essere dannoso. Ci sono due problemi che possono emergere dalle interazioni sociali: l’ansia sociale, un’emozione negativa in grado di indurre a sua volta comportamenti negativi e reazioni di rifiuto da parte degli altri e il conseguente evitamento delle situazioni sociali; la solitudine, esito dell’incapacità di stabilire delle relazioni sociali soddisfacenti. L’ansia sociale o la solitudine possono colpire saltuariamente molte persone, ma per alcuni questi problemi sono durevoli. • Ansia sociale: emozione negativa provata quando si è preoccupati per una valutazione intrapersonale. Può sorgere nel corso o prima di un’interazione interpersonale, con conseguenze negative: parlare meno, balbettare, evitare le interazioni sociali. Molte persone provano ansia sociale solo in certi momenti, ma molte soffrono di ansia sociale cronica → fobia sociale: aspettativa di essere rifiutati, reazioni immediate e intense se si viene rifiutati. Le persone che soffrono di ansia sociale prestano maggiore attenzione ai volti con espressione severa e meno a quelli con espressione positiva o neutra→ sono più predisposti a rilevare un feedback negativo nelle interazioni→ manifestano nervosismo e si sentono a disagio→ il loro comportamento porta ad una profezia che si autoavvera. Secondo la teoria bi-fattoriale (Schachter) l’esperienza emotiva è fondata su due fattori: l’attivazione fisiologica e la ricerca di indizi ambientali che motivino l’attivazione → se si è ansiosi si può attribuire l’ansia al comportamento di persone che vengono percepite che non hanno una buona stima per sé (attribuzione erronea dell’attivazione). • Solitudine: assenza di contatti. Chi si considera solo valuta la qualità limitata nelle relazioni e non la quantità di relazioni, che può essere alta. Ci sono quattro fattori predittivi (Maxwell e Coebergh) della solitudine: livello di intimità con la persona più cara della propria vita, numero di amici intimi, livello di soddisfazione nelle relazioni, presenza di contatti quotidiani con altre persone. Secondo altri ci sono tre fattori principali connessi alla solitudine (Berscheid, Reis): 1. alcune caratteristiche di personalità presenti nelle persone sole (timidezza, depressione, introversione, consapevolezza di sé, bassa autostima) 2. il ruolo delle circostanze sociali: le persone sole (indipendentemente dal genere) passano meno tempo con le donne e hanno minore intimità e apertura verso gli altri 3. tendenze socio-cognitive delle persone sole (es. giudicare gli altri con severità) La solitudine può essere passeggera o durevole, a seconda di come la si interpreta e di come si reagisce→ chi incolpa se stesso per la solitudine (attribuzione interna stabile) tende maggiormente a soffrire di solitudine cronica rispetto a chi fa attribuzioni esterne situazionali (es. sono appena arrivato in questo posto) BOX Ostracismo Il bisogno di affiliazione è importante è forte nelle persone. La sensazione di esclusione è tormentante. L’ostracismo è la forma più grave di esclusione sociale. In un esperimento un partecipante pensa di giocare ad un videogioco con altre due persone, che in realtà è l’IA, a lanciarsi la palla. Dopo alcune prove gli altri due giocatori (IA) cominciano a lanciarsi la palla escludendo il partecipante. I partecipanti sono molto preoccupati anche se non sanno chi sono gli altri giocatori e intuiscono che possa essere l’IA→ anche l’ostracismo di gruppi a cui non si tiene affatto dà fastidio. L’ostracismo determina l’attivazione delle stesse aree del cervello coinvolte quando una persona viene ferita fisicamente. Quindi ci può essere una spiegazione evoluzionistica: dato che il gruppo è più forte dell’individuo, è vitale stare in gruppo per la sopravvivenza→ il bisogno di affiliazione è così importante da poter essere considerato innato. ATTRIBUZIONE INTERPERSONALE E’ necessario essere disposti a creare delle occasioni di incontro con altri per sviluppare relazioni intime. La propensione alla socialità può variare da persona a persona e nel tempo e nelle situazioni. Non tutti però soddisfano il desiderio di stare in compagnia. L’attrazione interpersonale è il desiderio di prossimità con gli altri e il tentativo di interagire tra loro. Determinanti dell’attrazione centrate sulla persona bersaglio Secondo il principio di reciprocità tendiamo a preferire le persone a cui si piace e non preferire le persone a cui non si piace. La reciprocità può essere più o meno aperitivo dell’attrazione a seconda delle caratteristiche personali. La reciprocità è più importante per le persone con autostima bassa rispetto a quelle con l'autostima alta -> Le persone con autostima bassa fondano sulla rassicurazione degli altri il proprio concetto di sé. Una spiegazione dell’importanza della reciprocità è data dalla teoria dell’equilibrio, secondo cui si preferiscono le persone che ritengono importanti le stesse cose che sono importanti per se stessi-> si è attratti dalle persone che hanno una considerazione simile a quella che si ha di loro-> se si sa di piacere ad una persona, l’attrazione reciproca può aumentare secondo la profezia che si autoavvera: se si pensa di piacere ad una persona con cui si interagisce, è più probabile che ci si comporti in modo amichevole aumentando la probabilità di piacergli. Determinanti dell’attrazione centrate su chi percepisce Dopo aver analizzato i fattori centrati sulla persona oggetto, bisogna tenere presente che che ci sono due fattori basati su chi percepisce: familiarità, ansia. • Familiarità: un fattore importante nelle relazioni è la prossimità: le persone che vivono o lavorano vicine sono più familiari → secondo l’ipotesi della mera esposizione (Zajonc) l’attrazione aumenta se si è esposti ripetutamente a qualcuno o qualcosa anche se non si ha nessuna informazione su di essa (fattore importante nei media). • Ansia: l’ansia e lo stress aumentano l’affiliazione con le altre persone. Questa è ansia generale e non ansia sociale (porta ad evitare l’affiliazione). L’ansia può portare a cercare compagnia di altre persone che vivono la stessa esperienza per distrarsi e attenuare l’ansia→ si cerca un confronto sociale per comprendere meglio la reazione. BOX Gli uomini diventano stupidi quando parlano con una bella donna? A volte è difficile comportarsi in modo normale quando si ha un’interazione con una persona che si trova attraente. Karremans studia l’effetto dell’interazione con il sesso opposto sul funzionamento cognitivo. Metodo Dei partecipanti maschi e femmine sono accoppati a caso e devono avere una conversazione. Inoltre si presentano ai partecipanti delle parole di colore blu, verde o bianco. Se la parola è bianca, i partecipanti devono indicare il più velocemente possibile se la parola è positiva o negativa; se la parola è verde o blu devono indicare il colore→ compito cogni vo complesso (svolgere più compiti insieme). Risultati I risultati dei maschi erano peggiori quando interagivano con il sesso opposto che con lo stesso sesso. Sia maschi che femmine, più cercavano di fare buona impressione con il partner d’interazione, peggiore era la prestazione. Solo i maschi però avevano un maggiore desiderio di fare buona impressione con il sesso opposto. Interpretazione dei risultati Quando si conosce qualcuno del sesso opposto si tende a dare una buona impressione di sé, ma gli obiettivi sessuali emergono più negli uomini che nelle donne→ gli uomini si impegnano con un maggiore sforzo cognitivo per fare buona impressione sulle donne→ le risorse cogni ve per regolare il proprio comportamento sono limitate→ hanno risulta peggiori nel compito. Attrazione in Internet Come avviene la ricerca di un partner in rete e ci sono differenze con l’interazione reale? Ci sono due fattori importanti nell’instaurare una relazione online: la descrizione del proprio sé vero e la presentazione di sé. Descrizione del proprio sé vero Il sé vero sono le caratteristiche che si possiedono ma che si trova difficile esprimere apertamente quando si interagisce con gli altri. Il sé reale sono le caratteristiche che si possiedono e che si riescono ad esprimere negli ambienti sociali. Dopo un’interazione online il sé vero è più accessibile alla memoria rispetto a quando si ha un’interazione reale→ si riesce a rivelare il proprio sé vero più online che nella vita reale. Secondo alcuni studi le persone che rivelano il proprio sé vero online stringono relazioni in rete più solide e che più facilmente si trasformano in relazioni nella vita reale durature. Inoltre le persone che soffrono di ansia sociale ritengono di riuscire ad esprimere meglio il proprio sé vero online e non nella vita reale. Presentazione di sé online Dallo studio dei profili online secondo la grounded theory sono emersi tre temi: la costruzione di un profilo attraente online, la presentazione insincera di sé, la valutazione dei profili dei partner potenziali. • Costruzione di un profilo attraente online: nella costruzione di un profilo attraente, l’attrazione fisica è il fattore più importante (es. foto belle). C’è una differenza di genere: le foto delle donne sono più numerose di quelle degli uomini e in più casi erano scattate da professionisti→ come nelle relazioni reali, l’attrazione fisica è importante per conquistare un partner, soprattutto per le donne. Il secondo fattore è la descrizione di propri interessi che rendono il profilo spiritoso o unico e distinguibile. • Presentazione insincera di sé: molte persone danno una rappresentazione di sé non vera per rendersi più attraenti. Spesso si inseriscono foto vecchie per mentire sull’età o relazioni in corso. Inoltre moltre persone sottolineano di esagerare solo un po’, più che dire vere bugie. • Valutazione dei profili dei partner potenziali: le persone in genere considerano più importante l’aspetto fisico nella ricerca di un partner online, seguito da interessi e valori simili, situazione socio- economica e personalità. Non ci sono prove dello scambio aspetto/status → online le possibilità di incontro sono più numerose→ si ha più scelta percepita→ si hanno preferenze più rigide. Inoltre di solito le persone si offendono quando sono ingannate con una presentazione insincera di sé, soprattutto sulle caratteristiche fisiche, anche se loro stesse avevano fatto uguale. AMICIZIA E AMORE Ciò che si ama non è solo ciò che ci colpisce, e ciò che ci colpisce è solo una piccola parte di ciò che determina l’innamoramento. AMICIZIA Teoria della penetrazione sociale La teoria della penetrazione sociale (Altman, Tylor, ‘73) spiega come e perché si sviluppa un’amicizia, prestando attenzione al concetto di apertura di sé, cioè confidare i propri sentimenti intimi a un’altra persona. Nelle fasi iniziali di un’amicizia si scambiano informazioni superficiali, e se l’interazione è soddisfacente, si incominciano rivelare informazioni sempre più riservate. Più si rivelano informazioni personali su di sé più aumenta l’intimità nella relazione. Lo sviluppo di un’amicizia segue la norma della rivelazione di sé reciproca: gli individui hanno uno stesso livello di rivelazione solo se si confidano reciprocamente informazioni sempre più intime. Ciò consente uno sviluppo progressivo della relazione e impedisce un rifiuto per un’insufficiente rivelazione, oppure a un’invadenza eccessiva. quando la relazione ha raggiunto un grado elevato di intimità, il livello di rivelazione si stabilizza e alla rivelazione si sostituisce lo scambio di aiuto e comprensione. La rivelazione di sé è importante anche per la fine di una relazione. Quando una relazione vive una fase difficile, si verifica la depenetrazione (contrario della progressiva rivelazione di sé). L'allontanamento emotivo si manifesta con la riduzione della quantità e dell'intimità delle informazioni comunicate, oppure con l'aumento dell’intimità delle informazioni ma offensive, dirette che feriscono direttamente l’altra persona. La teoria della penetrazione del sé però non è sempre applicabile. Tra alcuni partner gli amici si salta il processo di apertura progressiva di sé e si passa subito alla rivelazione reciproca informazioni molto intime. Ci sono delle differenze a seconda della cultura. Nelle culture individualiste si tende a rivelare molte informazioni di sé in più contesti rispetto alle culture collettiviste differenze di stili di comunicazione: nelle società occidentali l’espressività sociale è segno di competenza sociale, mentre ha meno importanza nelle società orientali, dove essere riservati è segno di energia emotiva e affidabilità. Differenze di genere nell’amicizia Le determinanti fondamentali nello sviluppo delle relazioni interpersonali sono i tempi, la quantità e il livello di rivelazione del sé. L'amicizia tra persone dello stesso sesso è notevolmente diversa in base a due caratteristiche: l'intimità emotiva e livello di contatto fisico.  Intimità: l'amicizia tra donne tende a essere più intima ed emotivamente coinvolgente di quella tra uomini. Gli uomini hanno amicizie cameratesche con colleghi di lavoro oppure con persone con cui fanno le stesse attività nel tempo libero. Le donne preferiscono il confronto e condividono più spesso gli stessi interessi. Altre ricerche hanno evidenziato che le differenze non sono così nette: Anche se le donne sono emotivamente più comunicative mescola anche gli uomini come le donne si incontrano con gli amici dello stesso sesso per chiacchierare. Inoltre le donne, come gli uomini, tendono a incontrarsi per fare assieme le stesse attività nel tempo libero. Le donne parlano molto di più di sé rispetto agli uomini nelle relazioni intime con le amiche ma non c'è differenza nella rivelazione di sé agli amici maschi rispetto agli uomini. Per di più gli uomini nelle società occidentali tendono a non mostrarsi vulnerabili o dipendenti per via delle norme culturali: un uomo è considerato più equilibrato se tiene nascosto il suo problema, mentre per le donne è il contrario gli uomini tendono a evitare di rivelare troppo il proprio sé.  Contatto fisico: gli uomini hanno meno contatti fisici con gli amici dello stesso sesso rispetto alle donne. Nella maggior parte delle culture occidentali si considera l'abbraccio fra maschi eterosessuali meno adeguato rispetto ai contatti tra amici di sesso diverso o tra amiche donne. Inoltre i maschi tendono più delle donne a interpretare il contatto fisico come la manifestazione di un desiderio sensuale. Quando si ha una relazione sentimentale importante, la propria rappresentazione mentale si sovrappone alla rappresentazione mentale del partner le proprie caratteristiche si possono confondere con quelle del partner o interferire l’una con l’altra nelle relazioni intime i partner iniziano a vedersi come un’entità risultante da una somma, con meno caratteristiche individuali e più attributi condivisi. Sviluppo delle conoscenze culturali sull’amore Come si sviluppano le conoscenze culturali sull’amore per avere un concetto dell’amore fondamentale per una relazione? In genere l’amore romantico diventa tema di conversazione frequente intorno ai 13 anni (soprattutto nelle femmine). Da un’intervista a ragazzine americane (Simon, Eder, Evans, 1992) è emerso che ci sono quattro norme:  Amore e non solo: moderazione in amore; in genere le ragazze danno sì importanza ai ragazzi, ma anche ad altre cose i ragazzi non devono essere considerati più importanti di tutto  Farsi da parte se un ragazzo è già impegnato: soppressione di sentimenti verso gli altri; se un membro del gruppo di ragazze ha già dichiarato apertamente in propri sentimenti verso un certo ragazzo, non è accettabile che altre ragazze si interessino di lui.  Monogamia: non è ammissibile provare un sentimento d’amore per più di una persona alla volta.  Amori successivi: in genere le ragazze pensano che dopo la loro prima relazione sentimentale stiano in una condizione permanente di innamoramento non appena si accorgono che il loro partner perde interesse, ridirigono il loro interesse verso qualcun altro a volte sembra più importante essere innamorati per conservare la popolarità e status che l’oggetto del proprio amore. SODDISFAZIONE E IMPEGNO NELLA RELAZIONE Come una relazione progredisce e si modifica e a volte finisce? Soddisfazione nella relazione Le relazioni sono molto complesse: ci sono molti fattori che determinano il grado di soddisfazione di una relazione. I fattori principali sono: il contributo paritario di entrambi i partner, il livello di intimità della relazione, avere dei segreti, come viene interpretato il comportamento reciproco, il confronto sociale, quanto le reti sociali dei partner coincidano, lo stile di attaccamento. BOX 9.3 Scambio sociale ed equità E’ importante il contributo che ogni partner dà alla relazione e se viene percepito equo. Per alcuni psicologi le relazioni sociali sono simili ad accordi commerciali secondo la teoria dello scambio sociale le persone monitorano i beni che si scambiano e valutano i costi e benefici una relazione è mantenuta se è gratificante e la gratificazione supera i costi. Quindi le persone cercano relazioni in cui i vantaggi superano i costi e il bilancio complessivo è positivo, mentre pongono fine a quelle in cui il bilancio è negativo. Inoltre le persone confrontano la propria relazione con costi e benefici di una relazione alternativa se non ci sono relazioni alternative con maggiori gratificazioni, la relazione sarà portata avanti: per questo a volte si mantiene una relazione anche se è distruttiva. All’interno della relazione un partner si può sentire in colpa se riceve molto di più di quanto dà, oppure può provare risentimento se dà molto di più di quanto riceve le situazioni di non equità hanno conseguenze negative sulle relazioni. Infatti le coppie che percepiscono una situazioni di equità sono le più soddisfatte. Il ruolo della non equità nella relazione è però da considerare meno importante di altri fattori combinati, secondo alcuni, come: amore, informazioni e soddisfazione sessuale. Intimità Le relazioni intime sono caratterizzate da interessamento e comprensione e implicano conferme. L’interessamento indica che il partner ama e si interessa dell’altro, ed è una componente essenziale dell’intimità. La comprensione è percepire come il partner vede l’altro (se stessi)importante per comprendere sentimenti, bisogni, convinzioni e circostanze della propria vita. E’ dimostrato che più un partner dimostra all’altro di identificarsi con lui, più è felice. Le coppie infelici invece tendono ad evitare le questioni problematiche. Avere dei segreti La tendenza dei partner ad avere dei segreti consente di prevedere la soddisfazione e il benessere di una relazione. In un esperimento si chiede a delle coppie appena sposate di rispondere a un questionario circa un mese dopo il matrimonio e nove mesi dopo il matrimonio, indicando quante cose secondo loro nascondeva il partner i partecipanti che credevano che il partner nascondesse informazioni personali fin dall’inizio del matrimonio dimostravano uno scarso adattamento alla vita di coppia, una maggiore frequenza di conflitti col partner e una minore fiducia verso il partner nove mesi dopo.  la rivelazione di informazioni personali accresce l’intimità della relazione. Invece non rivelare le informazioni personali è un segno di distanza sociale e separazione e porta a credere che non si piace al partner o non ha fiducia in se stessi. Interpretazione L’interpretazione delle caratteristiche e del comportamento del partner è diversa a seconda che la relazione sia felice o problematica in una relazione felice, i problemi che si creano sono di solito attribuiti a se stessi e si pensa che il partner possa risolverli; in una relazione infelice, i problemi che si creano sono di solito attribuiti al partner e i comportamenti problematici sono considerati in modo globale e si pensa che non possano migliorare nel tempo invece di affrontare i problemi progressivamente e singolarmente, sono considerati come problemi insiti nella relazione. Confronto sociale Le coppie felici, quando si confrontano con altre coppie, sono in genere soddisfatte della propria relazione. Nelle coppie innamorate e con alti livelli di soddisfazione, in genere il partner è considerato meglio del partner tipico o c’è ottimismo nel futuro della relazione. Le coppie infelici invece prestano più attenzione alle conseguenze negative del confronto sociale con altre coppie provano invidia e si preoccupano quando incontrano coppie con problemi più gravi dei loro, temendo di andare incontro allo stesso destino. Reti sociali In genere la coppia è più soddisfatta della relazione quando i membri della rete sociale di un partner sono connessi con quelli della rete sociale dell’altro partner conoscenze e amicizie comuni. Attaccamento L’attaccamento è il legame emotivo tra bambino e caregiver (di solito la madre). Il tipo di attaccamento da bambini influenza lo sviluppo psicologico della persona e sullo stile di attaccamento in età adulta con conseguenze sulla soddisfazione delle relazioni interpersonali. Secondo Bowlby (’69), i bambini e i caregiver sono predisposti geneticamente a sviluppare l’attaccamento. Secondo una spiegazione evoluzionistica, i bambini rimangono vicini ai caregiver per difendersi dai predatori, mentre i caregiver li proteggono per assicurare la trasmissione dei geni. La natura della relazione con il caregiver può determinare tre stili di attaccamento nel bambino: 1. Attaccamento sicuro: il caregiver è premuroso e si preoccupa di soddisfare i bisogni del bambino il bambino ritiene di meritare l’amore e di potersi fidare delle altre persone hanno più competenza sociale e hanno maggiore autostima 2. Attaccamento evitante: il caregiver non è sensibile ai bisogni del bambino e non li soddisfa con coerenza il bambino trova difficile fidarsi degli altri (attaccamento insicuro) 3. Attaccamento ansioso/ambivalente: il caregiver non dimostra interesse nell’interazione con il bambino il bambino desidera formare una relazione intima, ma non crede di essere amato Lo stile di attaccamento nell’adulto è simile a quello del bambino. Bartholomew, invece delle tre categorie di attaccamento, propone due dimensioni dell’attaccamento a seconda che le persone 1) pensino che gli altri siano degni di fiducia oppure no; 2) abbiano un’autostima elevata e si considerino meritevoli d’amore oppure no. Le due dimensioni sono attaccamento-evitamento (disagio con intimità e dipendenza) e attaccamento-ansia (timore della separazione e abbandono). 1. Le persone con attaccamento-evitamento alto cercano di mantenere la distanza dagli altri per conservare la propria indipendenza e autostima sono meno coinvolte, meno impegnate, cercano meno aiuto nelle relazioni e non sono a proprio agio a confidare aspetti del proprio Sé sono a disagio nell’intimità e cercano la dipendenza del Sé 2. Le persone con attaccamento-ansioso alto cercano aiuto, accettazione e intimità con gli altri per reagire alla paura del rifiuto compiono grandi sforzi per avere il sostegno e mantenere la prossimità con le persone e prestano troppa attenzione sulla paura dell’abbandono e sulle minacce alla relazione o al proprio Sé Il livello di attaccamento-evitamento e attaccamento-ansioso può essere alto o basso e dar vita a quattro diversi stili di attaccamento nell’età adulta da cui è possibile prevedere il comportamento nelle relazioni interpersonali. a) Attaccamento sicuro (livello basso sia nell’attaccamento-evitamento che nell’attaccamento-ansioso): hanno un’autostima elevata e generale fiducia negli altri affrontano le relazioni con facilità: stanno facilmente vicino agli altri, stringono relazioni più affettuose e durature, hanno più frequentemente un amore affettuoso. b) Attaccamento preoccupato (livello basso di attaccamento-evitamento e alto di attaccamento-ansioso): anche se hanno una rappresentazione positiva degli altri, hanno autostima bassa e temono di non essere amati perché non lo meritano si preoccupano dei partner con cui hanno una relazione intima e hanno paura che le persone che piacciono/amano non contraccambino i sentimenti. Si innamorano facilmente, ma hanno relazioni emotivamente instabili e infelici. c) Attaccamento respingente-evitante (livello alto di attaccamento-evitamento e basso di attaccamento- ansioso): anche se hanno grande autostima, trovano difficile fidarsi degli altri e sono a disagio nell’intimità, non capiscono quando gli altri esprimono loro affetto e tendono a ritirarsi dai conflitti nelle relazioni sociali invece di affrontare i problemi si fidano solo di se stessi. d) Attaccamento pauroso-evitante (livello alto di attaccamento-evitamento e attaccamento-ansioso): hanno scarsa autostima, non si fidano degli altri, rilevano maggiormente la negatività negli altri e quindi rafforzano la convinzione di non fidarsi di nessuno. Sono più attenti alle espressioni di rabbia e tristezza soffrono di più per le esperienze interpersonali negative. Teoria dell’interdipendenza Per comprendere il comportamento nelle relazioni intime è importante tenere in considerazione tutti i fattori già discussi fattori situazionali, fattori individuali (es. stile di attaccamento), processi interpersonali (es. interazione tra partner). ATTRIBUZIONE La spiegazione del comportamento altrui è l’attribuzione della causalità alle azioni che osserviamo. L’attribuzione riguarda come si applicano le regole e i modelli al comportamento sociale quotidiano più che ai fatti. LO SCIENZIATO INGENUO (Heider) Senso comune→ esseri umani come esseri razionali (vedi più vanti euristiche). Heider: gli individui, razionali, sono motivati da due bisogni primari: 1. bisogno di una visione coerente del mondo 2. bisogno di avere controllo sull’ambiente → l’uomo tende alla coerenza, stabilità, capacità di prevedere e controllare→ si comporta come scienziato ingenuo: sottopongono a verifica razionale e logica le proprie ipotesi sul comportamento degli altri→ bisogno di attribuire le cause (attribuzione causale) agli effetti per creare un mondo stabile e con significato (dare significato al mondo). TEORIA DELL’ATTRIBUZIONE L’attribuzione causale è un bisogno fondamentale→ dà significato al mondo e lo rende comprensibile, prevedibile riducendone l’incertezza. Esperimento Heider e Simmel: si chiede ai partecipanti di descrivere il movimento di forme geometriche astratte → tendenza a descrivere i movimen secondo intenzioni e mo vazioni umane→ attribuzione dell’intenzionalità umana a cose (o animali). I tipi di attribuzione = conclusioni per spiegare comportamento individuale Ci sono diversi tipi di attribuzione, secondo il locus, la stabilità, la controllabilità. Locus: distinzione tra interno-esterno • attribuzione interna (personale, disposizionale): spiegazione che individua una causa interna all’individuo (personalità, umore, capacità, attitudini…) • attribuzione esterna (situazionale): spiegazione che individua una causa esterna all’individuo (azioni deglialtri,situazioni, pressioni sociali, il caso…) Stabilità: quanto le cause sono stabili e permanenti rispetto a condizioni temporanee e transitorie. Controllabilità: quanto le cause sono influenzate dagli attori (es sforzo) o essere imprevedibili (es il caso). Attraverso queste tre dimensioni gli individui traggono le conclusioni per spiegare il comportamento individuale. COMPIERE ATTRIBUZIONI Come si giunge alle conclusioni? Due modelli principali del processo di attribuzione (‘70): la teoria dell’inferenza corrispondente e il modello della covariazione. Teoria dell’inferenza corrispondente (Jones, Davis) Nel fare inferenze sociali si cerca di attribuire l’azione compiuta dall’attore ad una caratteristica stabile della personalità → si preferiscono le attribuzioni interne perché più affidabili→ bisogno di coerenza, stabilità, prevedibilità (Heider). Si stabilisce una corrispondenza tra comportamento e personalità (attribuzione interna) attraverso tre tipi di informazioni→ per arrivare all’a ribuzione c’è bisogno di: 1. Desiderabilità: quanto il comportamento rispetta oppure viola le norme sociali. Per i comportamenti indesiderabili è più probabile un’attribuzione interna (chi rispetta le norme sociali può farlo per adeguarsi alla maggioranza ma non per una sua personalità, che viene mostrata invece più probabilmente nei comportamenti devianti). 2. Scelta: quanto il comportamento è una scelta libera oppure no. Per le scelte libere l’attribuzione del comportamento è interna→ più probabile che sia una scelta secondo la propria personalità. 3. Effetto non comune: quando un comportamento ha un’unica conseguenza ha degli effetti non comuni→ più probabile attribuzione interna. Recentemente questa teoria ha perduto sostegno per dei limiti: fa riferimento a singoli esempi di comportamento, presta attenzione solo alle attribuzioni interne→ limi tra a dal modello della covariazione (teoria dell’attribuzione più autorevole). Modello della covariazione (Kelley) Spiega comportamenti molteplici. Considera sia attribuzioni interne che esterne. La causalità è attribuita secondo il principio di covariazione→ qualcosa viene considerato la causa di un dato comportamento se è presente quando il comportamento è presente, e assente quando il comportamento è assente (deve co- variare). Per arrivare all’attribuzione c’è bisogno di tre 3 tipi di info. Questi fattori determinano un’attribuzione interna oppure esterna. 1. Consenso: quanto la reazione delle persone nella scena è simile a quella della persona target Presenza: attribuzione esterna Assenza: attribuzione interna 2. Coerenza: quanto la persona target reagisce in modo simile in situazioni diverse Presenza: attribuzione interna Assenza: attribuzione esterna 3. Distintività: quanto la persona target reagisce in modo simile in contesti sociali diversi Presenza: attribuzione interna Assenza: attribuzione esterna La presenza o assenza dei fattori non è sempre ben definito. E’ importante che gli individui si comportino davvero da scienziati ingenui nell’attribuire la causalità in questo modo. Questo modello non è universalmente applicabile→ si dà maggiore importanza alle info di coerenza e distintività (informazione della persona target) che all’info consensuale (informazione delle altre persone nel contesto). Inoltre questo modello è applicato quando tutta l’informazione è a disposizione e quando si ha tempo per usare questo modello complesso. Quando mancano delle info, si possono ancora compiere attribuzioni in modi alternativi. GLI ERRORI DI ATTRIBUZIONE Molto spesso non si usa la logica per esprimere giudizi sulle altre persone, ma ci si basa su delle scorciatoie alternative. A volte queste scorciatoie portano ad errori compiuti con regolarità→ errori di attribuzione: tendenza a compiere un’attribuzione interna o esterna invece di un’altra in situazioni particolari→ queste attribuzioni possono essere giuste e sono più veloci dei metodi prima descritti. Tre errori più frequenti: 1. Errore fondamentale di attribuzione: le attribuzioni interne sono più frequenti di quelle esterne, anche se ci sono evidenti cause esterne, se riguarda il comportamento degli altri. Studio di Jones, Harris (‘60). Viene chiesto a degli studenti di leggere dei temi scritti dai loro compagni che si esprimevano pro o contro il regime di Fidel Castro. Viene detto che alcuni avevano scelto liberamente il tema dello scritto, mentre ad altri era stato detto dallo sperimentatore a pronunciarsi pro o contro. Si chiede di intuire quale atteggiamento l’autore del tema avesse nei confronti di Castro. Nella condizione di libera scelta, i partecipanti ritennero che gli studenti liberi di scegliere avessero espresso le proprie opinioni. Ma anche nella condizione senza libera scelta, i partecipanti ritennero che il testo riflettesse l’opinione dell’autore→ anche se c’era una causa esterna che riduceva la probabilità che lo scritto riflettesse l’opinione dell’autore, i partecipanti compivano un’attribuzione interna. Il motivo di questo errore è la salienza percettiva: la persona osservata è l’informazione più accessibile nella situazione→ più probabile attribuzione interna. Questo errore ha dei limiti culturali: nelle società collettiviste si presta meno attenzione all’individuo rispetto alla collettività→ meno a ribuzioni interne. 2. Effetto attore-osservatore: tendenza ad attribuire il comportamento di altre persone a cause interne e il proprio comportamento a cause esterne. Esperimento di Storms (‘70). Due partecipanti ‘osservatori’ guardano altri due conversare. Viene chiesto di attribuire la causalità delle opinioni dei conversanti a cause interne o esterne. Gli osservatori attribuiscono le opinioni degli altri due a cause interne, mentre i conversanti a cause esterne quando spiegavano il proprio comportamento. Effetto spiegato ancora dalla salienza percettiva: l’attenzione di chi conversa è rivolta alla situazione (attribuzione esterna più accessibile); l’attenzione degli osservatori è rivolta verso gli attori (attribuzione interna più accessibile). L’effetto è rovesciato quando la prospettiva è opposta (si fa vedere un video degli osservatori a quest’ultimi, che attribuiscono i loro atteggiamenti internamente). 3. Attribuzione a vantaggio del sé (self-serving bias): le attribuzioni interne sono più probabili per i successi, le attribuzioni esterne sono più probabili per i fallimenti→ rafforza l’autoefficacia, protegge e conserva l’autostima. Questo errore può riguardare allo stesso modo il gruppo (attribuzioni intergruppo) e a volte possono diffondere il pregiudizio e la discriminazione verso i gruppi minoritari. In generale: salienza percettiva è più semplice e veloce dei processi complessi. ATTRIBUZIONE E PROCESSI SOCIALI Formazione degli atteggiamenti Un importante elemento del processo di percezione del sé (vedi IL SE’) è l’attribuzione. Influenza sociale A volte si crede alle minoranze perché si attribuisce loro credibilità poiché irremovibili nelle loro idee→ se le minoranze resistono ad adeguarsi, si pensa che forse sono davvero convinte e hanno capito come stanno le cose. Amore romantico Attribuzione errata dell’eccitazione (vedi AMICIZIA E AMORE). RAPPRESENTAZIONI SOCIALI (Moscovici, ‘60) La teoria delle rappresentazioni sociali non usa regole complesse di attribuzione per dare senso alla realtà. Le rappresentazioni sociali sono le convinzioni e spiegazioni condivise tra ampi gruppi (es. conoscenze riguardo le relazioni causali)→ a raverso la comunicazione si trasforma e trasmette la comprensione della causalità → diventa una rappresentazione sociale: conoscenze condivise riguardo dei temi (possono derivare da teorie formali che vengono trasformate in conoscenza popolare attraverso la comunicazione; es. psicanalisi). Le rappresentazioni sociali sono fluide e dinamiche (comunicazione)→ sono studiate con metodologie qualitative. Le rappresentazioni sociali riguardo la causalità possono essere condivise e trasmesse a tal punto da diventare le teorie comuni per comprendere i mondi sociali→ oltre a capire il mondo con la ragione a raverso la t. dell’attribuzione (scienziati ingenui), si utilizzano scorciatoie per formulare giudizi (errori di attribuzione) o anche rappresentazioni sociali create attraverso la comunicazione. 1. tempo: quando è poco si è economizzatori cognitivi→ u lizzo di euris che rapide e semplici per risparmiare tempo (anche se sono meno precise) 2. carico cognitivo: quando le risorse cognitive sono impegnate in altre processi ci si comporta da economizzatore cognitivo, perché essere degli scienziati ingenui richiede molte risorse 3. importanza: se la decisione da prendere è ritenuta personalmente importante, ci si comporta da scienziati ingenui per una maggiore accuratezza 4. informazione: solo quando si hanno tutte le informazioni ci si comporta da scienziati ingenui (vedi T. di attribuzione) Figura 3.2 LA CATEGORIZZAZIONE SOCIALE Tipo di euristica molto utilizzata che definisce gli atteggiamenti e il comportamento sociale. E’ il processo di comprensione di qualcosa sapendo a cosa è equivalente e a cosa è differente→ classificare ed etichettare gruppi; i gruppi sono tutti collegati in una certa misura. Le categorie sono accompagnate da aspettative. MA molte categorie non sono ben definite→ non sono gli attributi a definire una categoria ma la somiglianza con il prototipo → elemen più rappresentativi di una categoria. Più qualcosa è tipico (somiglia al prototipo), più veloce è la categorizzazione perché più disponibile. La categorizzazione per somiglianza al prototipo (tipicità) può portare ad errori categorizzazione. Il contenuto delle categorie Le categorie sono definite dai prototipi. I prototipi delle categorie sociali sono gli stereotipi. La correlazione illusoria è la convinzione che due variabili siano associate tra loro, anche se ciò non avviene o è debole→ degli stereo pi negativi possono essere associati ai gruppi di minoranza. Esperimento Hamilton e Gifford. Nella prima fase viene chiesto ai partecipanti di leggere le informazioni sui membri dei gruppi A e B. Sul gruppo A (maggioranza) vengono fornite il doppio delle informazioni rispetto al gruppo B (minoranza). Le informazioni riguardanti i comportamenti desiderabili erano il doppio rispetto a quelli indesiderabili per entrambi i gruppi→ non ci sono correlazioni reali tra l’appartenenza di un gruppo e la proporzione di info positive o negative. Nella seconda fase viene chiesto ai partecipanti di attribuire ai due gruppi i comportamenti visti→ al gruppo B (minoranza) vengono attribuiti più comportamenti negativi rispetto al gruppo A→ si era percepita una correlazione illusoria: si riteneva che i comportamenti negativi fossero più caratteristici del gruppo più piccolo e meno del gruppo più grande→ caratteristica/distintività condivisa: sia le caratteristiche del gruppo di minoranza risaltavano di più perché infrequenti. La struttura delle categorie Le categorie variano sia nel contenuto (ben definite/non definite) e anche nella struttura: • eterogenea: costituita da molti tipi diversi di persone • omogenea: costituita solo da pochi tipi di persone Effetto di omogeneità dell’outgruoup: tendenza a percepire i membri di un gruppo come tutti simili (es. difficile distinguere i volti dei giapponesi, vale anche al contrario)→ si ha un’impressione più dettagliata di chi fa parte dell’ingroup perché si condividono maggiori esperienze (familiarità). Perché categorizziamo? Le categorie sono l’euristica perfetta → applicate a ogni aspe o della vita. La categorizzazione serve a: • risparmiare tempo e risorse cognitive (economizzatore cognitivo)→ gli stereo pi sono facili da applicare e forniscono info su persone che non si conoscono • generare significato, ridurre l’incertezza, prevedere comportamenti (scienziato ingenuo) Quando categorizziamo? Alcuni fattori inducono all’uso della categorizzazione inconsciamente→ a volte si è costretti a categorizzare (no tattici motivati). Tre fattori: 1. priorità temporale: si categorizza in base alle caratteristiche che sono incontrate per prime 2. salienza percettiva: quando la differenza è saliente (es. unico maschio in classe di femmine) 3. accessibilità cronica: la categorizzazione secondo alcune categorie (etnia, età, genere) è così frequente che diventa automatica. Inoltre cercare di sopprimere uno stereotipo può far si che venga utilizzato→ il solo cercarlo di sopprimere implica che è stato pensato in modo consapevole. BOX Quando gli stereotipi ritornano/rimbalzano (effetto rebound) Alcuni studi hanno dimostrato che cercare di sopprimere certi pensieri può aumentare la probabilità che essi ritornino alla mente quando si cerca di sopprimerli. Studio sull’uso della soppressione per evitare il ricorso agli stereotipi (Macrae et. al). Studio 1: effetto della soppressione degli stereotipi sulla stereotipizzazione Nel primo stadio ai partecipanti è mostrata una foto si uno skinhead e viene chiesto di scrivere un testo su una sua giornata tipica. Condizione di soppressione: i partecipanti cercano di evitare di pensare alla foto in maniera sterotipica. Condizione di controllo: non vengono date indicazioni. Nel secondo stadio viene chiesto di scrivere un altro testo su un altro skinhead, ma senza istruzioni precise. I partecipanti della condizione di controllo nello scrivere il secondo testo aveva usato di più gli stereotipi rispetto al gruppo di controllo. Studio 2: effetto della soppressione degli stereotipi sul comportamento Si distinguono nuovamente i partecipanti in condizione si soppressione e condizione di controllo e viene chiesto di scrivere un testo (come nello studio 1). Dopo aver scritto il testo, viene detto di incontrare lo skinhead della foto (che non avverrà) in una stanza con un giubbotto e borsa lasciati su una sedia (viene detto che erano dello skinhead). Nel dover scegliere dove sedersi, i partecipanti della condizione di soppressione si sedettero più lontani, mostrando un atteggiamento discriminatorio. Interpretazioni dei risultati Per sopprimere uno stereotipo si deve avere controllo sulla propria coscienza→ facendo ciò aumenta l’accessibilità dello stereotipo→ anche se non si sta più cercando di sopprimere uno stereotipo,si ha un comportamento più stereotipizzante maggiore che se non si fosse cercato di sopprimerlo→ a volte si è costretti a utilizzare euristiche, soprattutto per fattori come la salienza percettiva. Le conseguenze della categorizzazione La categorizzazione porta a: • maggiore accessibilità di informazioni coerenti con lo stereotipo • codifica selettiva di informazioni acquisite, soprattutto per info negative relative ai gruppi di minoranza Quindi la categorizzazione può essere dannosa perché orientata al pregiudizio. Gli stereotipi possono influenzare l’attenzione e la memoria in un contesto sociale. Categorizzazione e pregiudizio I pregiudizi si applicano anche alla razza e all’etnia. Le persone ricordano più aspetti positivi riguardo ai membri del gruppo di appartenenza (ingroup) e al contrario per i membri di altri gruppi (outgroup)→ gli stereotipi positivi e negativi possono creare forti divisioni e creare problemi di pregiudizio razziale e discriminazioni. Ci sono delle eccezioni in cui vengono ricordate meglio le informazioni non coerenti con lo stereotipo→ le informazioni non coerenti sono salienti e catturano l’attenzione e a volte ricordate meglio (anche se richiede maggiore risorse cognitive). Sottotipizzazione: a volte invece le informazioni incoerenti con lo stereotipo vengono memorizzate come eccezione alla regola (sottotipo)→ può mantenere lo stereotipo MA se le eccezioni alla regola sono numerose viene modificato il prototipo della categoria (stereotipo). Categorizzazione e comportamento automatico Pensare alle categorie può indurre a comportarsi inconsciamente in base agli stereotipi associati a quelle categorie → assimilazione comportamentale: fenomeno secondo il quale quando si pensa alle categorie si può agire in base allo stereotipo associato a queste in modo automatico (vedi BOX). → l’a vazione di informazioni sulla categoria può influenzare il comportamento e le impressioni, perché anche le risposte comportamentali sono rappresentate mentalmente come concetti di tratti, stereotipi e atteggiamenti. Successivi studi hanno dimostrato che l’effetto assimilazione comportamentale può influenzare anche comportamenti sociali complessi. BOX Quando pensare agli anziani può far camminare più lentamente Studio classico di Bargh e collaboratori: l’attivazione dei partecipanti con una categoria sociale (anziani) può indurre i partecipanti a comportarsi in base alle caratteristiche associate allo stereotipo della categoria. Metodo Dei partecipanti completano un test di riordinamento della frase. Nella condizione anziani erano inserite nel testo delle parole associate allo stereotipo dell’anziano (vecchio, solitario, grigio, saggio). Nella condizione di controllo erano inseriti nel testo termini neutri. Al termine dell’esperimento, i partecipanti raggiungono l’ascensore per uscire, mentre un ricercatore nascosto misura il tempo impiegato nel tragitto. Risultati I partecipanti attivati con lo stereotipo dell’anziano camminavano molto più lentamente rispetto ai partecipanti della condizione di controllo. Interpretazione dei risultati L’attivazione di una categoria sociale (anziani) associata ad una particolare caratteristica stereotipica (lentezza) fa aumentare il comportamento in accordo con quella caratteristica→ assimilazione comportamentale. Categorizzazione e autoefficacia L’assimilazione comportamentale può avere effetti negativi (es. prestazione accademica) quando il proprio gruppo (ingroup) è definito da stereotipi negativi (es. di prestazione negativa)→ minaccia dello stereotipo: disagio percepito dalle persone in situazioni in cui potrebbero conformarsi agli stereotipo negativi associati al proprio gruppo (ingroup) → la paura di conformarsi agli stereotipi può far ottenere risultati meno buoni in compiti che riguardano l’oggetto della minaccia (es. donne con matematica) (vedi BOX). COMPORTAMENTO PROSOCIALE Il comportamento prosociale sono quelle azioni che in generale sono apprezzate dagli individui in certe società. Ci sono due tipi di comportamento prosociale: il comportamento d’aiuto e l’altruismo. • Il comportamento d’aiuto sono azioni volontarie e intenzionali ritenute a beneficio di altri, anche se potrebbero allo stesso tempo essere vantaggiose per se stessi (no azioni vantaggiose per altri in modo casuale o egoistici). • L'altruismo è un’azione a beneficio di altri ma non per sé, comportamento d’aiuto più specifico. Si tende ad aiutare chi è simile a se stessi, i membri dell’ingroup, le persone attraenti, le persone ritenute meritevoli di aiuto. ORIGINI DEL COMPORTAMENTO PROSOCIALE Ci sono tre teorie principali che cercano di spiegare il comportamento prosociale. 1. Prospettiva evoluzionistica: si ha una predisposizione innata ad aiutare gli altri per un carattere evoluzionistico 2. Norme sociali: si ha una predisposizione ad aiutare gli altri perché il comportamento prosociale è legato a convinzioni interiorizzate riguardo alle norme sociali 3. Modellamento: si imita (modella) il comportamento apprendendo per osservazione il comportamento prosociale da altre persone (modello) 1) PROSPETTIVA EVOLUZIONISTICA Secondo questa prospettiva si è predisposti biologicamente ad aiutare gli altri→ è una tendenza innata anche se non comporta nessun vantaggio evidente. Questo comportamento si sarebbe evoluto per assicurare la sopravvivenza dei propri geni→ aiutando i consanguinei si aumenta la probabilità della loro sopravvivenza e della trasmissione dei geni→ selezione dei geni responsabili del comportamento prosociale. Ci sono tre critiche principali. 1) non si aiutano solo i familiari, ma anche amici e persone che non si conoscono (non ha a che fare con la trasmissione dei geni).Inoltre a volte si reca violenza ai membri della stessa famiglia. 2) non ci sono studi empirici a sostengo di questa prospettiva (no osservazione in laboratorio). 3) non spiega perché si è solidali in alcune circostanze e non in altre. 2) NORME SOCIALI (processi interni→ a eggiamen ) Le norme sociali sono un riflesso di ciò che è considerato normale e accettabile in un gruppo, cultura o società→ a eggiamen , credenze e comportamen condivisi che influenzano il proprio modo di comportarsi. Inoltre le persone ottengono una gratificazione (da approvazione e accettazione sociale) da un comportamento che segue le norme sociali e ricevono una punizione (con disapprovazione e rifiuto) quando il comportamento viola le norme. La norma che impone di aiutare gli altri quando possibile è in pratica universale. Tre norme sociali spiegano la tendenza ala solidarietà: • principio di solidarietà: si dovrebbe restituire il favore quando si riceve un aiuto→ è un principio universale MA non un aiuto automatico: si tende ad aiutare qualcuno che ha compiuto in precedenza un sacrificio verso i propri confronti • responsabilità sociale: si dovrebbe aiutare chi è in difficoltà indipendentemente dal fatto che si abbia ricevuto un aiuto in precedenza da questa persona o se potrebbe prestare aiuto in futuro→ tu avia c’è una selezione per chi aiutare: dipende se si pensa che la persona sia stata artefice della propria sfortuna → ipotesi del mondo giusto • equità → ipotesi del mondo giusto: convinzione in genere condivisa che il mondo sia giusto ed equo e che le persone hanno ciò che si meritano→ ‘’ai buoni va bene, ai ca vi va male’’→ quando si è di fronte ad una persona che sembra soffrire ingiustamente (solo se si pensa che non sia per sua responsabilità) si presta aiuto per ristabilire la fiducia nel mondo giusto Critiche. Non tutti gli psicologi sono d’accordo sull’importanza delle norme sociali per quanto riguarda il comportamento prosociale→ non sempre gli individui si comportano secondo i loro a eggiamen (discrepanza atteggiamenti-comportamenti, cap 5). Inoltre alcuni fattori situazionali esterni influenzano il comportamento d’aiuto→ effetto di persistenza del bisogno (durata nel tempo dell’aiuto prestato): es. di dona più facilmente denaro a famiglie rifugiate quando avevano bisogno di assistenza solo nell’immediato e non nel lungo periodo→ aiuto quando è ritenuto efficace. 3) MODELLAMENTO (APPRENDIMENTO OSSERVAZIONALE) (fattori esterni) Secondo il modellamento (apprendimento osservazionale) si hanno comportamenti altruistici perché si è imparato a farlo osservando il comportamento di altri. Esperimento Bryan e Test (1967). Alcuni automobilisti passano davanti ad una donna con l’auto con una gomma a terra. Nella condizione di modellamento c’è un altro automobilista che si è fermato e cerca di aiutare. Nella condizione di controllo nessuno si ferma ad aiutare. Gli automobilisti poi passano davanti ad un’altra donna con un’auto con la gomma a terra e non si era ancora fermato nessuno→ chi aveva osservato un comportamento d’aiuto (condizione di modellamento) tendeva maggiormente a fermarsi rispetto a chi era della condizione di controllo. Secondo la teoria dell’apprendimento sociale (Bandura) l’osservazione del comportamento (altruistico) in altre persone favorisce a comportarsi allo stesso modo perché aumenta la percezione dell’autoefficacia e perché tale comportamento è premiato (rinforzo come lodi e ringraziamenti)→ il modellamento produce il comportamento altruistico solo se è rinforzato positivamente. Anche i mass media possono essere utilizzati per incentivare un comportamento prosociale. Esperimento di Greitemeyer (2009). I partecipanti ascoltano una canzone prosociale o una neutrale (condizione di controllo). Dopo l'ascolto, si chiede ai partecipanti se volessero donare il rimborso ottenuto per partecipare allo studio ad un’organizzazione benefica→ chi aveva ascoltato il brano prosociale manifestavano maggiore empatia e donavano maggiormente→ si ipo zza che l’esposizione ripetuta alla musica con contenuto prosociale possa favorire un comportamento d’aiuto. DETERMINANTI DEL COMPORTAMENTO D’AIUTO CENTRATE SULLA SITUAZIONE A volte non si presta aiuto. Ci sono importanti fattori situazionali. La maggior parte delle ricerche considerano il comportamento di intervento dello spettatore: comportamento di aiuto prestato in caso di emergenza. Ci sono due modelli principali che cercano di spiegare i processi che guidano la decisione a intervenire in aiuto di un’altra persona in certe occasioni e non in altre: il modello cognitivo di Latané e Darley e il modello del calcolo dello spettatore di Piliavin. Il modello cognitivo di Latané e Darley Secondo questo modello un astante (persona che si trova in un determinato luogo) attraversa diverse fasi cognitive prima di decidere di intervenire o no in aiuto di un’altra persona che è in uno stato di emergenza. 1. Attenzione (essere presente all’incidente): l’astante deve notare che sta avvenendo l’incidente. Possono esseri altri stimoli dall’ambiente che portano a non prestare attenzione all'incidente (‘sovraccarico di stimoli’, specie nelle aree urbane). 2. Interpretazione (definire l’incidente): dopo aver notato l’incidente, l’astante deve capire che si tratta di un’emergenza. Se la situazione è ambigua si tende a guardarsi intorno per vedere come si comportano gli altri (influenza sociale informativa, cap 10)→ se le altre persone sono coinvolte e definiscono la situazione come emergenza, si tende a fare lo stesso. 3. Responsabilità (assumersi la responsabilità): la decisione dell’astante di intervenire dipende dalla presenza di altre persone che potrebbero intervenire al suo posto e da quanto si percepisce la propria competenza nel fare qualcosa a riguardo→ se vicino è presente un’autorità, si pensa che la sua competenza sia migliore e ci si auto assolve. 4. Decidere cosa fare: deciso che la responsabilità di intervenire è propria, l’astante decide se è possibile intervenire e cosa può fare a riguardo. Il comportamento degli altri può avere una notevole influenza sul comportamento dell’astante. Il risultato delle 4 fasi è la decisione definitiva: intervenire oppure no. L’apatia dello spettatore Latané e Darley sottoposero a verifica il proprio modello per vedere se la presenza di altre persone influenzasse il comportamento dello spettatore astante nel caso di emergenza. I partecipanti compilano un questionario da soli o con altri partecipanti. Per creare una situazione di emergenza la stanza viene invasa di fumo. I soggetti sono molto influenzati dalle persone presenti nella stanza. Il 75% dei partecipanti che erano da soli davano l’allarme. Il 38% dei partecipanti con altre due persone (non complici) davano l’allarme. Il 10% dei partecipanti con altre due persone e complici che ignoravano il fumo davano l'allarme. → nelle situazioni di emergenza le persone tendono a da aiutare meno in presenza di altre persone e di più quando sono sole→ effetto di apatia dello spettatore (simile al modellamento MA il comportamento imitato è di inazione). Lo stesso effetto si ha quando la situazione di emergenza riguarda un’altra persona e non c’erano altri astanti. In un esperimento ci sono gruppi di due, quattro o sei persone. I partecipanti sono chiusi in cubicoli separati e comunicano con microfoni. Uno dei partecipanti (complice) dice di soffrire di epilessia. Ad un certo punto il complice epilettico dice i sentirsi male e non risponde più→ quando i partecipan pensavano di far parte di un gruppo numeroso tendevano a non intervenire per aiutare, mentre quando erano da soli intervenivano la maggior parte delle volte. L’effetto dello spettatore è così forte che basta solo immaginare la presenza di altre persone per inibire l’azione. Processi alla base dell’effetto di apatia dello spettatore Secondo l’effetto di apatia dello spettatore più sono gli astanti presenti, meno è probabile che una persona in difficoltà riceva aiuto da un astante in particolare. Ci sono due spiegazioni per l’effetto di apatia dello spettatore: la diffusione di responsabilità e l’inibizione da pubblico. • Diffusione di responsabilità: la presenza di altre persone in una situazione di emergenza porta gli astanti a trasferire sugli altri la propria responsabilità di aiuto. E’ sufficiente la consapevolezza che anche altri siano al corrente della situazione e che potrebbero assumersi la responsabilità di intervenire→ se ci si trova da soli si tende maggiormente ad aiutare una persona in difficoltà perché non c’è nessun altro su cui far ricadere la propria responsabilità. • Inibizione da pubblico: spesso ci si sente a disagio ad agire di fronte agli altri, soprattutto in una situazione di emergenza in cui non ci sono indicazione chiare su come comportarsi. L’inibizione da pubblico deriva dall’influenza sociale normativa (cap 10): in un gruppo spesso ci si adegua all’atteggiamento della maggioranza, anche se in privato non si è d’accordo, per paura di essere messi in ridicolo, derisi o esclusi dagli altri→ il timore porta all’inazione. Inoltre le persone si adeguano al gruppo a causa dell’influenza sociale informativa:quando non ci si è mai trovati in una situazione di un certo tipo e non ci sono indicazioni chiare su come comportarsi, si tende più del normali a basarsi sul comportamento delle persone che sono vicine Latané e Darley hanno verificato questi processi con un esperimento complesso ma ingegnoso. I partecipanti devono osservare la reazione di un’altra persona a stimoli verbali e valutare se avesse ricevuto o no una scossa elettrica. I partecipanti osservano il soggetto su un monitor su un altra stanza. In tute le condizioni tranne una i ma non si fa nulla per aiutarla, non ci si riuscirà a liberare delle emozioni negative legate al pensiero della vittima che soffre. L’effetto di apatia dello spettatore si verifica perché la presenza delle altre persone riduce i costi del non aiuto perché si pensa che anche se non si interviene lo farà probabilmente qualcun altro. Piliavin creò una matrice per spiegare l’interazione tra costi di aiuto e costi di non aiuto. Ci sono quattro tipi di interazione possibili • costi dell’aiuto bassi, costi del non aiuto alti → si aiuta direttamente nella situazione d’emergenza (es. vedere un ragazzino esanime in un vicolo deserto) • costi dell’aiuto bassi, costi del non aiuto bassi → si è guidati dalle norme personali (es. se il ragazzino sta solo barcollando, se si ha un forte senso di responsabilità, gli si chiede come stia) • costi dell’aiuto alti, costi del non aiuto bassi → si tende ad ignorare la vittima (es. vedere un ragazzino litigare con i coetanei; potrebbe essere solo una lite e se si intervenisse si potrebbe essere aggrediti) • costi dell’aiuto alti, costi del non aiuto alti → aiutare indirettamente oppure abbassare i costi del non aiuto in un altro modo, come reinterpretare e giudicandola meno d’emergenza o decidere che la vittima merita ciò che gli accade (es. se il ragazzino è picchiato da una gang, si chiama la polizia o si pensa che anche il ragazzino faccia parte di una gang che ha fatto lo stesso ad altri) Studio di Shotland e Straw (‘76) P 222 Il modello cognitivo di Latané e Darley e il modello di calcolo dello spettatore cercano dispiegare i fattori situazionali che influenzano il comportamento d’aiuto. Secondo alcuni c’è un terzo fattore→ gli indizi ambientali che inducono la paura di morire. Vedi Box BOX La paura della morte può favorire il comportamento prosociale? Jonas et al. Hanno condotto degli studi per verificare l’ipotesi che il comportamento prosociale sia favorito dalla consapevolezza della morte. Studio 1 Dei passanti vengono fermati e invitati a partecipare a un’indagine sulle organizzazione benefiche. I partecipanti vengono fermati di fronte ad un’impresa funebre oppure lontano da questa (variabile indipendente) per manipolare la salienza della mortalità. La variabile dipendente è il gradimento nei confronti delle istituzioni di beneficenza. Si chiede quanto siano attive, apprezzate e necessarie le organizzazioni oggetto di indagine→ i partecipan erano più favorevoli alle organizzazioni benefiche quando la mortalità era saliente. Studio 2 Degli studenti vengono assegnati a delle condizioni. Nella condizione di salienza della mortalità viene chiesto di descrivere la emozioni che si provano penando alla propria morte e ciò che accadrà. Nella condizione di controllo le domande non riguardano la propria morte. In seguito viene data l’opportunità di fare una donazione a una delle due organizzazioni benefiche (una lavora negli USA e una all’estero). Nella condizione di salienza della mortalità le persone donavano maggiormente all’organizzazione che apparteneva alla propria cultura, mentre nella condizione di controllo le donazioni erano simili. Interpretazione dei risultati La teoria della gestione del terrore (Greenberg, ‘86) afferma che gli esseri umani hanno un fortissimo istinto di sopravvivenza. Diversamente dagli animali, possiedono le capacità intellettuali di comprendere che un giorno moriranno. Questo pensiero della propria morte provoca una paura che può paralizzare. Per evitare ciò, l’uomo si costruisce una visione culturale del mondo (sistema di valori, credenze religiosi, norme sociali) che dia significato al mondo e confermi l’idea che la propria vita è importante e significativa. Questa visione culturale del mondo è importante perché permette di trascendere la morte: si può credere in una vita terrena, lasciare un segno culturale nel mondo per non essere dimenticati… Il comportamento prosociale, con il suo valore culturale, aiuta a gestire la paura della morte→ quando si è costretti a pensare alla propria morte e si è consapevoli quindi della mortalità, si adotta un comportamento prosociale per dominare la paura. Tuttavia questo comportamento è direzionato verso chi appartiene e promuove la propria cultura e non verso tutti gli altri (vedi Cap 13). DETERMINANTI DEL COMPORTAMENTO D’AIUTO CENTRATE SU CHI PERCEPISCE Una personalità altruistica è un tipo di personalità che caratterizza le persone che tendono ad avere comportamenti d’aiuto più di altre. Personalità Esiste una personalità altruistica? Ci sono dimostrazioni di differenze individuali nel comportamento d’aiuto che sono stabili nel tempo nelle persone altruistiche. Il comportamento prosociale spontaneo nei bambini è predittivo della disponibilità ad aiutare nrgli anni successivi fino all’età adulta. Inoltre può esserci una base genetica per queste differenze (studi su gemelli monozigoti). Il comportamento d’aiuto è in parte causato dalla norma di responsabilità sociale, che è universale ma in misura diversa a seconda della persona→ le persone altruiste sono più socialmente responsabili perché si sentono maggiormente in obbligo ad intervenire in situazioni di emergenza. Inoltre queste persone hanno un locus di controllo interno maggiore→ il locus di controllo di un individuo è come egli pensa che si svolgano gli eventi della vita→ chi ha un locus di controllo interno ha la sensazione di avere controllo sugli eventi e tende a prestare maggiormente un comportamento d’aiuto perché possiede maggiore autoefficacia, al contrario di chi ha un locus di controllo esterno che si ritiene maggiormente vittima delle circostanze. Inoltre chi ha maggiore empatia disposizionale ha una maggiore tendenza a provare empatia e ad assumere la prospettiva della vittima e quindi a prestare aiuto. Nonostante è probabile che ci sia una differenza tra gli individui nella predisposizione ad aiutare gli altri, anche i fattori situazionali hanno un ruolo importante nel comportamento d’aiuto. Competenza Se l’astante ritiene di poter affrontare con competenza una situazione di emergenza, allora è più probabile che interverrà (come nel modello del calcolo dello spettatore) → se l’astante si sente competente, i costi dellaiuto saranno più bassi. Esperimento Cramer et al. In un corridoio attendono insieme delle infermiere (competenza elevata) e degli studenti (competenza scarsa) con un complice. Ad un certo punto lì vicino si fa male un operaio. Il complice non interviene. Le infermiere tendevano ad aiutare di più degli studenti perché avevano le competenze necessarie per farlo (risultati ovvi). Anche solo la percezione della competenza è sufficiente per provocare un comportamento d’aiuto. Inoltre ritenersi competenti in un campo può portare a prestare aiuto in un settore diverso. Infatti concedere una posizione di leadership aumenta le probabilità di un comportamento d’aiuto. Esperimento Baumeister et al. Alcuni partecipanti eseguono un compito in gruppo del quale sarebbero stati il leader o un membro. I partecipanti comunicano tra loro con un interfono. Quando sentono uno dei membri del gruppo (complice) soffocare, l’80% dei capogruppo interviene per aiutarlo, mentre il 35% dei membri lo fa→ essere leader aumenta la responsabilità personale, impedendo la diffusione di responsabilità. Umore In generale il l’umore positivo favorisce il comportamento prosociale e viceversa, con eccezione del senso di colpa. Comunque gli effetti dell’umore non sono durevoli → in genere il buonumore favorisce il comportamento prosociale entro circa 7 minuti (vedi esperimenti Isen P 228). Ciononostante l’effetto del buon umore è affidabile. Secondo il modello dell’attivazione dell’emozione quando si è di buonumore, le informazioni nella memoria congruenti con l’umore sono più accessibili → pensieri e sensazioni posi ve sono attivati più facilmente, compresa la tendenza al comportamento prosociale. Una spiegazione alternativa è data dal modello dell’emozione come informazione: l’umore provato al momento è utilizzato come informazione per capire cosa si prova nell’ambiente → se un’astante di buonumore si trova in una situazione di emergenza può dedurre dal proprio umore positivo che potrà intervenire e che andrà bene. Uno stato psicologico negativo in genere porta a non avere un comportamento prosociale, ma non sempre. Secondo l’ipotesi della salvaguardia dell’immagine chi si sente in colpa desidera riparare al danno fatto, ma non spiega perché a volte si aiuta chi non c’entri con il danno. Un’altra spiegazione è data dal modello del sollievo dallo stato d’animo negativo: dato che il senso di colpa porta ad uno stato affettivo negativo, le persone aiutano gli altri per sentirsi meglio con se stesse→ il comportamento prosociale migliora l’umore. Empatia-altruismo L’ipotesi empatia-altruismo (Batson ‘91) spiega perché a volte si presta aiuto a scopi egoistici e altre a scopi altruistici→ quando si vede qualcuno soffrire si possono avere due tipi di reazioni emotive diverse: disagio personale o empatia (preoccupazione empatica) • il disagio personale è lo stato di attivazione negativo incentrato su se stessi che si prova nel vedere la sofferenza di qualcuno→ è la preoccupazione di come ci si senta difronte alla sofferenza, anziché pensare a cosa può provare la vittima→ come per il modello di calcolo dello spettatore, i lmalessere personale può indurre ad avere un comportamento d’aiuto ma egoistico • l’empatia (preoccupazione empatica) è lo stato di attivazione orientato sulla vittima e implica simpatia e compassione→ maggiore è la preoccupazione empatica, più altruistico darà il comportamento Le due ipotesi di Batson ampliano il modello di calcolo dello spettatore→ quando si prova attivazione fisiologica, questa può essere definita disagio personale oppure preoccupazione empatica e l’emozione provata influenza il comportamento determinando se sarà egoistico o altruistico. Esperimento Batson. I partecipanti osservano un complice ricevere scariche elettriche (per finta). Quando il complice sembrava soffrire di più, lo sperimentatore chiede al partecipante di aiutarlo prendendo il suo posto. Per manipolare la preoccupazione empatica viene detto che il complice ha atteggiamenti molto simili o molto diversi da quelli del partecipante→ si prova maggiore empatia nei confronti delle persone ritenute simili a se stessi. Inoltre viene manipolata la difficoltà di fuga. Nella condizione difficoltà di fuga il partecipante deve stare a guardare la vittima fino al termine dell’esperimento, se non fossero intervenuto in aiuto. Nella condizione facilità di fuga, ai partecipanti viene detto che sarebbero potuti uscire subito. → se la vi ma era ritenuta simile al partecipante, la maggior parte prendeva il suo posto, anche se sarebbero potuti uscire subito ( condizione facilità di fuga). Se la vittima era ritenuta diversa dal partecipante, la maggior parte offriva aiuto sono se non potevano sottrarsi ( condizione difficoltà di fuga) → ipotesi empatia-altruismo: i partecipanti motivati da empatia (si consideravano simili alle vittime) reagivano con altruismo per alleviare la sofferenza della vittima. Invece i partecipanti che non erano motivati da empatia (si consideravano poco simili) reagivano con egoismo per alleviare la sofferenza personale se erano costretti a restare, se no sene andavano per alleviare la sofferenza personale. Ciononostante questo esperimento non fornisce prove dirette a sostegno di un legame diretto tra disagio personale o empatia e comportamento osservato. In un esperimento successivo si è visto che chi ha maggiore empatia è più disposto ad aiutare una persona in difficoltà indipendentemente dal fatto di poter fuggire o no, mentre chi ah maggiore disagio personale aiuta maggiormente solo in assenza di una via di fuga. è maggiore quando degli stimoli avversivi sono associati a parole prive di significato invece che a parole familiari→ l’apprendimento associa vo è più potente quando si dispone di poca conoscenza (poca familiarità) sull’oggetto dell’atteggiamento (si è più influenzati dall’esposizione ad informazioni se non si ha già una conoscenza)→ uno dei mo vi per cui si sviluppa il pregiudizi razziali è la mancanza di conoscenze su altri gruppi dovuta all’assenza di contatti interraziali. 2. Condizionamento operante: il comportamento è rinforzato se seguito da una ricompensa e indebolito se seguito da una punizione. L’autopercezione (Bem) Secondo la teoria dell’autopercezione la formazione degli atteggiamenti può avvenire dall’osservazione del proprio comportamento, e non attraverso l’esposizione o l’apprendimento associativo→ gli a eggiamen si formano attraverso l’osservazione della propria condotta e poi con l’attribuzione a cause interne od esterne (le cause interne sono più probabili quando il comportamento è scelto liberamente; vedi processo di attribuzione). Anche questo tipo di formazione degli atteggiamenti avviene quando si ha poca conoscenza o non si ha atteggiamenti precedenti (come per condizionamento classico). Studio Chaiken e Baldwin: verificare se l’autopercezione di atteggiamenti attraverso i comportamenti si verifica solo quando le persone hanno una poca conoscenza/opinioni su una questione. I partecipanti rispondono a domande su comportamenti ecologici e antiecologici e in seguito si chiede qual’è il loro atteggiamento verso i comportamenti relativi all’ambiente→ i partecipan indo a a parlare dei loro comportamen impronta al rispetto dell’ambiente tendevano di più a considerarsi persone con comportamenti a a favore dell’ambiente, mentre i partecipanti che erano stati indotti a riferire di comportamenti non ecologici tendevano di più a considerarsi persone prive di comportamenti a a favore dell’ambiente→ solo quando il loro precedente atteggiamento non era convinto. Ipotesi del feedback facciale (fa parte della t. dell’autopercezione): i comportamenti facciali (espressioni facciali), come gli altri comportamenti, influenzano gli atteggiamenti successivi. Studio Strack et al. I partecipanti devono valutare delle vignette umoristiche. Un gruppo lo fa con una penna tra i denti, un altro con una penna tra le labbra→ i partecipan con la penna tra i den valutavano più positivamente le vignette rispetto all’altro gruppo→ i partecipan con la penna tra i den sembravano che ridessero, mentre quelli con la penna tra le labbra sembravano accigliati→ i partecipan consideravano la loro espressione facciale come rivelatrice delle loro opinioni nei confronti della vignetta (es. attribuzione errata per attrazione romantica). La teoria vascolare dell’emozione (Zajonc) dà un’altra interpretazione dello studio di Strack→ spiegazione fisiologica. Il sorriso determina un maggiore afflusso di sangue al cervello attraverso i muscoli del viso→ fa migliorare l’umore perché raffredda la regione talamica. Al contrario, la contrazione dei muscoli facciali fa diminuire l’afflusso di sangue al cervello→ peggiora l’umore perché riscalda la regione talamica. Anche articolare i suoni vocalici (es. ‘o’, ‘u’) fa assumere un’espressione accigliata→ aumenta la temperatura della fronte→ peggiora l’umore; invece ar colare i suoni vocalici (‘a’, ‘e’) fa assumere un’espressione sorridente→ diminuisce temperatura fronte→ migliora umore. L’approccio funzionale Le tre modalità di formazione degli atteggiamenti viste prima operano apparentemente fuori dalla consapevolezza→ la formazione degli atteggiamenti è un processo passivo (economizzatore cognitivo). Ma a volte si riflette consapevolmente su un tema per formarsi un atteggiamento (scienziato ingenuo)→ modalità più complessa→ formazione di atteggiamenti per ragioni funzionali. Per l’approccio funzionale la formazione degli atteggiamenti dipende da quanto riescono a soddisfare bisogni psicologici diversi→ processo attivo. Ci sono quattro bisogni psicologici di base: utilitaristico, conoscitivo, ego-difensivo, espressione di valori. 1. Funzione utilitaristica: a volte si formano gli atteggiamenti perché permette di ottenere il consenso degli altri → a eggiamen strumentali che aiutano a rendere la vita migliore (es. conformismo, impedire di essere ridicolizzati es esclusi dal proprio gruppo). 2. Funzione conoscitiva: alcuni atteggiamenti possono aiutare a organizzare e prevedere i mondi sociali dando un senso all’esistenza→ a eggiamen come schemi cognitivi →semplificano e danno significato e struttura al mondo (es. stereotipi sono atteggiamenti che definiscono le proprie aspettative su gruppi sociali diversi). 3. Funzione ego-difensiva: alcuni atteggiamenti aiutano le persone a proteggersi da verità sgradevoli per mantenere una visione positiva di sé (es. avere un atteggiamento negativo verso un collega che ha più successo per evitare un possibile confronto dannoso per sé). 4. Funzione di espressione di valori: alcuni atteggiamenti possono esprimere valori che si considerano importanti (es. preferenza per un caffè coltivato in condizioni eque e solidali). ATTEGGIAMENTI E COMPORTAMENTO Gli atteggiamenti consentono di prevedere i comportamenti degli individui. Studio classico di LaPiere (1934): verificare se gli atteggiamenti intergruppo permettono di prevedere il comportamento (non è sempre vero). Studia il pregiudizio etnico. Nella prima fase viaggia per gli USA per vedere quanti hotel si rifiutassero di ospitare una coppia cinese→ 1/250 hotel si rifiutò→ questo basso livello di discriminazione era incoerente con i pregiudizi etnici diffusi dell’epoca. Nella seconda fase, dopo il viaggio La Piere spedì una lettera ai gestori degli hotel per chiedere se averebbero accettato una coppia cinese→ il 90% si rifiutava→ a volte gli atteggiamenti non possono far prevedere i comportamenti. BOX 5.2 P133 Le determinanti della relazione atteggiamento-comportamento Ci sono diversi fattori che spiegano la discrepanza tra atteggiamenti e comportamenti (osservata da LaPiere). 1. Specificità: gli atteggiamenti consentono di prevedere il comportamento se hanno lo stesso livello di specificità. Nell’esperimento di LaPiere si valutava un comportamento specifico (accoglienza di quella coppia di cinesi), mentre l’atteggiamento successivo dichiarato era generico (ospitare una coppia di cinesi in generale) → quegli a eggiamen generali non erano connessi a comportamen specifici. Quindi la relazione tra gli atteggiamenti e il comportamento presuppone che il livello di specificità sia lo stesso. 2. Tempo: più l’intervallo di tempo tra l’atteggiamento e il comportamento è ampio, più è probabile che l’atteggiamento cambi e non ci sia più corrispondenza. 3. L’autoconsapevolezza: l’autoconsapevolezza precedente ad un comportamento può influenzare l’intensità della relazione tra atteggiamento e comportamento. Le persone che hanno un’autoconsapevolezza privata si comportano seguendo i propri atteggiamenti; le persone che hanno un’autoconsapevolezza pubblica si comportano seguendo gli atteggiamenti della maggioranza, soprattutto se in presenza di altre persone. Quindi il proprio atteggiamento privato può prevedere un comportamento. 4. L’accessibilità dell’atteggiamento: l’autoconsapevolezza privata o pubblica dipende dall’accessibilità degli atteggiamenti privati o pubblici (vedi euristica della disponibilità: piùqualcosa è richiamato alla mente facilmente, più influenza il comportamento). Per valutare l’accessibilità degli atteggiamenti si misura il tempo di risposta. 5. La forza dell’atteggiamento: la forza dell’atteggiamento è connessa con il concetto di accessibilità→ più un atteggiamento è forte, più influenza il comportamento. Non sempre gli atteggiamenti forti sono accessibili. Tre fattori possono influenzare la forza dell’atteggiamento e la relazione tra comportamento e atteggiamento (coerenza): • informazione: più informazioni si dispongono sull’oggetto dell’atteggiamento, più sarà la forza dell’atteggiamento e la coerenza del comportamento • coinvolgimento personale: più una persona è coinvolta riguardo ad un tema, più si comporterà seguendo i suoi atteggiamenti. • Esperienza diretta con l’oggetto dell’atteggiamento: gli atteggiamenti formati con l’esperienza diretta dell’oggetto dell’atteggiamento sono più forti e coerenti con il comportamento La teoria del comportamento pianificato La teoria del comportamento pianificato spiega i processi con cui le persone decidono consapevolmente di intraprendere comportamenti specifici. Le determinanti più vicine del comportamento dono le intenzioni comportamentali, costituite da tre fattori: 1. atteggiamenti: determinati dalle proprie convinzioni sulle conseguenze possibili 2. norme soggettive: determinate dalle aspettative percepite degli altri significanti e delle proprie motivazioni ad aderire a quelle aspettative 3. controllo percepito: determinato dalla propria percezione di quanto facile o difficile sia attuare un comportamento. Questi tre fattori si combinano interagendo e determinano l’intenzione comportamentale che a sua volta determina il comportamento. E’ l’interazione di questi tre fattori che permette di prevedere gli atteggiamenti. Figura 5.5 BOX Norme di gruppo e intenzioni comportamentali Secondo la teoria del comportamento pianificato, l’attuazione di un comportamento specifico è determinata dall’intenzione di attuare quel comportamento, che a sua volta è influenzata da tre fattori indipendenti: atteggiamenti nei riguardi del comportamento, norme soggettive, controllo percepito. In certi casi le norme soggettive sono le norme del gruppo: serie di convinzioni condivise su come i membri di un gruppo dovrebbero pensare e comportarsi. Studio Terry et al. (1999): verificare se le norme del gruppo possono influenzare le intenzioni comportamentali quando le persone si definiscono membri di un particolare gruppo. Metodo Viene chiesto ai partecipanti quanto fosse probabile che avrebbero fatto la raccolta differenziata nelle settimane successive. Le norme del gruppo percepite erano misurate chiedendo ai partecipati quanto probabile fosse che i loro amici e colleghi avrebbero fatto la raccolta differenziata e quanto i loro amici e colleghi avrebbero approvato che loro stessi la facessero. L’identificazione con il gruppo era misurata chiedendo ai partecipanti quanto si sentissero parte e a proprio agio nel gruppo di amici e colleghi. Risultati I partecipanti che si identificavano molto con il gruppo avevano delle intenzioni comportamentali più decise se pensavano che il loro gruppo avesse forti norme riguardo la raccolta differenziata. I partecipanti che non si identificavano con il gruppo non erano influenzati dalle norme. L’elaborazioni delle determinanti dei percorsi Oltre a i fattori generali dell’uso dell’euristica (sovraccarico cognitivo, informazioni insufficienti sul tema, bassa rilevanza per il sé, tempo limitato, cap 3), ci sono altri fattori che influenzano il percorso per l’elaborazione dei messaggi persuasivi: 1. la velocità del discorso rende difficile da elaborare il contenuto del messaggio persuasivo→ percorso periferico: ci si basa sulla quantità degli argomenti (euristica) 2. l’umore positivo tende a far usare il percorso periferico, quello negativo tende a far usare il percorso centrale → l’umore nega vo segnala che qualcosa non va→ aumenta l’attenzione per identificare il problema 3. se il coinvolgimento riguardo al tema è alto per il Sé si presterà più attenzione e si seguirà il percorso centrale 4. le differenze individuali influenzano il percorso di elaborazione a seconda del proprio bisogno di cognizione (necessità di elaborare con cura un’informazione mediante un’attività di pensiero impegnativa)→ se il bisogno di cognizione è alto si sceglierà il percorso centrale. Anche l’automonitoraggio è importante (importanza attribuita dagli individui a ciò che le altre persone pensano di loro)→ se l’automonitoraggio è alto si sceglierà il percorso centrale 5. l’umorismo rilevante porta all’uso del percorso centrale, quello irrilevante all’uso del percorso periferico Gli indizi periferici (per percorso periferico) Quando si sceglie il percorso periferico, ci sono molti fattori a cui si presta attenzione e che se presenti porteranno ad un cambiamento di atteggiamento: • fonte fisicamente attraente • la somiglianza della fonte negli atteggiamenti, aspetto e categorie sociali condivise • la credibilità della fonte è fondamentale→ una fonte è percepita come credibile se è un esperto, privo di giudizi e attendibile. Da notare l’effetto latente (sleeper effect): le differenze nella persuasione dovute a differenze nella credibilità tendono a diminuire nel tempo→ le persone più credibili lo diventano meno nel tempo, le persone meno credibili lo diventano di più nel tempo→ effetto della fonte: nel tempo la memoria della fonte diminuisce e quindi qualunque influenza della credibilità della fonte diminuisce BOX I messaggi elettorali negativi Molti politici italiani usano messaggi elettorali negativi: si concentrano sull’attacco dell’avversario invece di presentare il proprio programma e i punti di forza. Non è chiaro se sia una strategia persuasiva o meno (danneggiare l’avversario oppure effetto di ritorno backlash). Studio Carraro e Castelli su tre diversi tipi di messaggi negativi: attacchi ideologici, attacchi personali, attacchi politici. Verificare se questi messaggi producessero un effetto backlash. Nel primo stadio viene presentato ai partecipanti un candidato fittizio al quale venivano attribuiti deei messaggi politici di tipo diverso a seconda della condizione sperimentale: attacchi ideologici, attacchi personali, attacchi politici, messaggi positivi (condizione di controllo). Nel secondo stadio, dopo aver letto i messaggi, i partecipanti dovevano valutare un dipinto d’arte e sapevano anche la valutazione data dal candidato (ancora, punto di riferimento da cui partire per esprimere la porpria valutazione). Nel terzo stadio i partecipanti danno una valutazione esplicita del candidato. Infine viene chiesta il loro orientamento politico. Risultati. Non tutti i tipi di messaggi negativi hanno lo stesso effetto. I partecipanti valutano più in modo negativo il candidato se ha usato attacchi personali (soprattutto se il candidato è dello stesso orientamento politico). BOX 5.5 socialmente indesiderabili. Può accadere che qualcuno non desideri ammettere di avere pregiudizi radicati neppure con se stesso. Gli atteggiamenti impliciti sono attivati in modo non intenzionale dalla presenza di un oggetto dell’atteggiamento (reale, simbolico)gli atteggiamenti impliciti possono essere attivati in mono non intenzionale dalla sola vista di qualcuno che fa parte dell’outgroup o di qualcosa associato all’outgroup (es. icona o simbolo religioso). Per misurare gli atteggiamenti impliciti si usa il tempo di reazione in ms. Uno dei metodi più usati è il test di associazione implicita (IAT): compito che misura la velocità con cui i partecipanti riescono a categorizzare stimoli positivi o negativi assieme a stimoli legati all’ingroup o all’outgroup. In generale le persone manifestano un bias intergruppi implicito: è più semplice associare degli stimoli positivi all’ingroup rispetto all’outgroup e degli stimoli negativi all’outgroup rispetto all’ingroup. Si sa che gli eventi attuali possono avere un potente effetto sugli atteggiamenti impliciti (vedi BOX). Il pregiudizio esplicito può portare a comportamenti consapevoli e deliberati (es. porsi in modo sgradevole nei confronti dei membri dell’outgroup). Il pregiudizio implicito può portare a comportamenti di pregiudizio non verbali, poco evidenti, indiretti e spontanei (es. evitamento contatto visivo, aumento distanza fisica e evitamento nel parlare con i membri dell’outgroup)questi comportamenti sottili possono danneggiare in modo inconsapevole l’interazione tra membri di gruppi diversi. BOX L’effetto Obama: l’esposizione a una figura politica opposta allo stereotipo riduce il pregiudizio implicito? La maggioranza dei bianchi (75-80%) manifesta un pregiudizio in favore dei bianchi rispetto ai neri. Obama nel 2008 condusse una campagna politica di alto profilo che lo portò a diventare presidente. Durante la campagna il livello di esposizione degli americani a Obama fu molto alto. Le caratteristiche di Obama (cultura, motivazione, capacità di comunicare) contraddicono gli stereotipi negativi rivolti agli afroamericani. L’esposizione alta a Obama ha cambiato gli atteggiamenti impliciti degli americani bianchi nei confronti degli afroamericani? Quale potrebbe essere una causa? Studio di Plant et a. (2009) Metodo Test IAT bianchi-neri a partecipanti bianchi durante la campagna. Risultati In contrasto con i precedenti risultati relativi a un bias implicito contro le persone di colore, non sono emerse evidenze con il test IAT. Conclusione La campagna mediatica di Obama può aver indotto un cambiamento generale nelle risposte implicite dei partecipanti bianchi nei confronti dei neri, in seguito ad un’esposizione ripetuta ad un individuo contro- stereotipico. La durata di questo effetto non è chiara. DIFERENZE INDIVIDUALI NEL PREGIUDIZIO La personalità autoritaria Ci sono persone che più di alte tendono al pregiudizio? E’ probabile che il pregiudizio sia connesso al tipo di personalità. Teoria del pregiudizio come tipo di personalità (Adorno et al. ’50): alcune persone hanno più pregiudizi di altre a causa del tipo di educazione (influenza di Freud)una personalità autoritaria si manifesta come risposta di difesa contro genitori troppo severiil figlio non riesce ad esprimere l’ostilità verso i genitori e trasferisce l’aggressività su qualcun altro (obiettivi più facili e deboli), in genere gruppi di minoranza. Questa teoria del pregiudizio ha due critiche principali: 1. Non ha un supporto empirico abbastanza forte 2. Non spiegava il razzismo del Sud Africa negli anni ’50 problema concettuale: le teorie della personalità spiegano le differenze individuali negli atteggiamenti e nei comportamenti MA è difficile spiegare un pregiudizio uniforme e diffuso (es. apartheid). Orientamento alla dominanza sociale Secondo Sidanius (’93) le persone si differenziano in base all’orientamento alla dominanza socialela società attuale è definita in parte da ideologie implicite che sostengono o attenuano le gerarchie di stato intergruppi; e che le persone si differenziano per la forza con cui accettano o respingono queste ideologie profondamente radicate nella societàle persone con uno elevato orientamento alla dominanza sociale favoriscono le gerarchie intergruppi: gli individui dovrebbero favorire i gruppi di condizione elevata (spiegando sia il favoritismo verso l’ingroup che l’outgroup). L’orientamento alla dominanza sociale è predittivo del sessismo, del nazionalismo e del pregiudizio etnico; inoltre sostengono la sospensione delle libertà civili e si oppongono all’immigrazione e ai diritti ai gay. l’orientamento alla dominanza sociale spiega perché esistano differenze individuali nella tendenza nell’espressione del pregiudizio. Ma ci sono differenze nelle persone rispetto a quanto esse sono motivate a seguire le norme sociali egualitarie? Pregiudizio e autoregolazione Ci sono prove che dimostrano come le persone possono sviluppare una motivazione a controllare il pregiudizio. Quando ci si rende conto di essere condizionati dal pregiudizio, ci si può sentire in colpa per aver violato altre convinzioni basate su valori egualitari condivisidissonanza cognitiva (cap.5): questo genere di discrepanze tra atteggiamenti e comportamenti può motivare a cambiare i propri atteggiamentile persone possono cambiare atteggiamento ed essere meno prevenute e seguire meno i pregiudiziprocesso volontario di autoregolazione per controllare e inibire sistematicamente i pensieri correlati al pregiudizio, fino a quando pensieri e comportamenti non sono più influenzati da pregiudizi. Regolazione del pregiudizio attraverso il dialogo sociale La regolazione sociale del pregiudizio non avviene solo a livello individuale, ma è un processo dialogico che coinvolge due o più persone. Ci sono almeno due tipi di soppressione del pregiudizio interattiva:  Oltre a negare il pregiudizio, le persone spesso difendono anche gli assenti che sono accusati di averne.  Inoltre, c’è una tendenza ad agire per conto di altri individui presenti per far sì che non sembrino avere pregiudizi. la soppressione del pregiudizio può avvenire in maniera collaborativa e interattiva. RIDURRE IL PREGIUDIZIO L’ipotesi del contatto Secondo l’ipotesi del contatto (Allport, ’54), la conoscenza tra membri di gruppi sociali diversi, in condizione adeguate, può ridurre i pregiudizi intergruppi. Ci sono però alcune condizioni:  Devono esserci delle norme sociali che favoriscano l’eguaglianza: tutte le istituzioni sociali devono promuovere l’integrazione. Riprendendo la dissonanza cognitiva, le leggi che impediscono il comportamento discriminatorio possono cambiare l’atteggiamento.  Il contatto deve avvenire in condizioni di status sociale paritario.  Il contatto deve implicare la collaborazione allo scopo di raggiungere un obiettivo comune. Oggigiorno il contatto tra gruppi è tra gli interventi psicologici più utilizzati per ridurre il pregiudizio e migliorare le relazioni intergruppi. Nonostante i successi, l’ipotesi del contatto ha due critiche principali:  Non specifica come gli effetti del contatto si estendono oltre la situazione immediata e all’intero outgroupinfatti il contatto può portare ad una sottotipizzazione degli individui coinvolti, che è diversa dalla rappresentazione del gruppopotrebbe restare il pregiudizio. Il contatto può essere generalizzato all’intero outgroup quando i membri dell’ingroup e dell’outgroup sono considerati tipici (rappresentativi del proprio gruppo) e non possono essere facilmente sottotipizzatiperché ciò avvenga, l’appartenenza al gruppo deve essere saliente durante il contatto: i membri dei gruppi devono essere consapevoli dell’appartenenza al proprio gruppo durante il contatto.  La complessità dell’ipotesi è eccessiva e crescente per le troppe condizioni aggiunte in seguito (atteggiamenti intergruppi iniziali siano favorevoli, linguaggio comune, economia prospera, contatto volontario…)la teoria è diventata infalsificabile (solo poche condizioni sono soddisfatte). Recentemente secondo alcuni nessuna delle condizioni è essenziale, perché facilitano l’effetto del contatto nella riduzione del pregiudiziol’effetto del contatto è massima se sono soddisfatte le condizioni, ma può verificarsi anche in assenza di queste condizioni. Alcuni tipi di contatto, come l’amicizia extragruppo, può ridurre il pregiudizio? È sostenuto empiricamente che le persone con amici membri di un outgroup tendono ad avere atteggiamenti più positivi verso quell’outgroup. In che modo avviene ciò? Studio di Voci et al. (2004). Si chiede ad alcuni irlandesi, cattolici e protestanti, di compilare un questionario sulle proprie esperienze ed atteggiamenti nei confronti dell’altra comunitàsi è riscontrata una relazione positivi tra amicizia extragruppo e atteggiamento verso l’outgroup e amicizia extragruppo e variabilità percepita dell’outgroup. C’è un meccanismo sottostante a queste relazioni: l’ansia intergruppiattivazione negativa che si prova in vista del contatto quando si ha poca familiarità con l’outgrouppiù numerosi erano gli amici che i partecipanti avevano nell’altra comunità, meno erano ansiosi all’idea di interagire con i membri IL SE’ Il pensiero riflessivo è la capacità unica dell’uomo di riflettere su se stessi. Il Sé è una parte fondamentale dell’uomo ed è la consapevolezza che ciascuno ha della propria identità. Ci sono 4 tipi di teorie che spiegano il Sé a seconda: a) delle osservazioni sul proprio comportamento b) del confronto con i propri standard interni c) del confronto con altri individui e gruppi. CONSAPEVOLEZZA DI SE’ = AUTOCONSAPEVOLEZZA Il livello di consapevolezza del Sé vari a seconda della situazione e della personalità. La consapevolezza di Sé è uno stato psicologico caratterizzato dalla coscienza dell’individuo dei propri tratti, sentimenti e comportamento→ perme e di accedere alle informazioni che si ha su se stessi. La consapevolezza di Sé può essere privata o pubblica e temporaneo o duratura. Lo sviluppo dell’autoconsapevolezza La consapevolezza di Sé appare verso i 18 mesi (esperimento macchia rossa sul naso, specchio). Le basi neurologiche della consapevolezza di Sè La consapevolezza di Sé appare verso i 18 mesi perché in questo periodo si ha una rapida crescita delle cellule fusiformi (neuroni specializzati nel lobo frontale della corteccia→ cingolo anteriore) che hanno un ruolo importante nel regolamento e controllo del comportamento intenzionale. BOX Presupposti biologici della percezione di Sé e dell’assunzione di prospettiva Attraverso la fMR si è visto che la corteccia prefrontale è attiva quando si cerca di capire le caratteristiche psicologiche delle persone, ma non quando si esprimono idee più generali sugli altri. Differenze temporanee transitorie della consapevolezza di Sé La consapevolezza di Sé privata si ha in situazioni in cui un individuo è per un periodo di tempo limitato consapevole di aspetti privati (es. guardarsi allo specchio o riflettere sull’attivazione fisiologica ed emozioni). La consapevolezza di Sé privata ha tre conseguenze sul modo in cui si agisce: 1. si esprime una risposta emotiva più intensa→ es. se un individuo è già di buon umore, la consapevolezza lo porterà ad un benessere più intenso. Esperimento Scheier e Carver (‘77). Si ciede ai partecipanti di leggere ad alta voce delle frasi ottimistiche o pessimistiche→ i partecipan che si guardavano allo specchio durante la le ura erano più estremi nelle loro risposte emotive 2. si ha una conoscenza più approfondita→ concentrandosi su eventi intimi si è in grado di parlarne con più accuratezza. Esperimento Scheier, Carver, Gibbons (‘79). Si somministra un placebo dicendo che ci sarebbero stati effetti collaterali. I partecipanti di fronte ad uno specchio (maggiore consapevolezza di Sé privata) riferivano meno effetti collaterali 3. si seguono modelli personali di comportamento→ essendo più consapevoli dei propri pensieri veri, ci si comporta in accordo con questi pensieri invece di essere influenzati dall’esterno. La consapevolezza di Sé pubblica si ha quando si è consapevoli per un periodo di tempo limitato degli aspetti pubblici del Sé osservati e giudicati dagli altri→ associata alla paura di essere valutati in modo negativo→ può causare tensione e perdita di stima (soprattutto se la propria immagine percepita non è l’immagine pubblica desiderata). La consapevolezza di Sé pubblica può portare ad un’adesione a modelli sociali di comportamento→ conformismo alle norme del proprio gruppo, anche se non corrispondono alle proprie idee. Modificazioni stabili nell’autoconsapevolezza La coscienza di Sé è la consapevolezza di Sé stabile nel tempo. Anch’essa può essere pubblica o privata. La coscienza di Sé privata elevata è caratterizzata da un’elevata consapevolezza, emozioni più intense, percezione di Sé più precisa, fedeltà alle proprie idee (tre fattori, vedi prima). Può avere delle conseguenze positive: meno probabile che si soffra di problemi di salute legati allo stress; e negativi: più probabile che si soffra di depressione e nevrosi (si riflette su qualunque sensazione di infelicità o disagio avvertita). La coscienza di Sé pubblica elevata è caratterizzata da un’alta preoccupazione del modo in cui sono percepiti dagli altri→ più probabile che si aderisca alle norme del gruppo, che si eviti situazioni imbarazzanti, che ci si preoccupi di più del proprio aspetto fisico e che si giudichi gli altri in base al loro aspetto fisico. ORGANIZZAZIONE DELLA CONOSCENZA DI SE’ Come sono organizzate le informazioni su se stessi nella mente? Le conoscenze sul mondo sono immagazzinate in schemi. Uno schema di Sé rappresenta le aspettative che si hanno sui propri pensieri, sentimenti e comportamenti in una situazione→ è formato dal come si percepisce se stessi e contiene le esperienze riguardo alle dimensioni (pensieri, sentimenti, comportamenti)→ è la conoscenza di Sé immagazzinata in memoria. Una persona è schematica riguardo ad una caratteristica se quest’ultima riflette/mostra molto il Sé→ quell’aspetto è molto importante e la persona pensa di possederlo in modo estremo (e non di possedere quello contrario). Gli aspetti su cui si è schematici tendono ad essere attivati soprattutto in ambiti importanti (vedi esperimento Markus,’77, p87→ i partecipanti schematici sono più veloci a decidere se una parola corrisponde alla descrizione di Sè rispetto ai partecipanti aschematici). Al contrario una persona è aschematica se una caratteristica non è importante e non riflette/mostra chi si è. Il concetto di Sé è costituito da una serie di schemi separati. IL MANTENIMENTO DEL SE’ Qual è il contenuto degli schemi? Ci sono sei teorie che spiegano come il concetto di Sé è organizzato e mantenuto. Il modo in cui il Sé si confronta con altri elementi influenza la definizione del Sé e come il Sé influenzi il comportamento. Ci sono tre tipi di teorie del confronto: ognuna si concentra su u termine di paragone→ il Sé può essere confrontato rispetto a: 1) tra Sé (come dovrebbe essere) 2) altri individui 3) altri gruppi. 1) Teorie del confronto tra Sé Confronto del Sé con come vorrebbe essere. Ci sono due teorie del confronto tra Sé: la teoria dell’autoregolazione e la teoria della discrepanza del Sé→ secondo entrambe la consapevolezza di Sé consente all’individuo di comprendere se è il tipo di persona che vuole essere o se ci sono elementi che desidera cambiare (si stanno seguendo o no i propri obiettivi). • Teoria dell’autoregolazione si basa su un anello di retroazione cognitivo di quattro fasi: controllo, esecuzione, controllo, uscita. 1. Controllo: il Sé si confronta con uno dei due modelli: chi è consapevole di sé privatamente si confronta con un modello privato (es. valori ritenuti importanti); chi è consapevole di sé pubblicamente con un modello pubblico (es. valori di amici e famiglia). 2. Esecuzione: se si ritiene di essere inferiori al modello, si mette in esecuzione un cambiamento nel comportamento per raggiungere il modello. 3. Controllo: il Sé si riconfronta con il modello→ se il Sé non corrisponde ancora al modello, il ciclo si ripete. 4. Uscita: se il Sé corrisponde al modello, si esce dall’anello di retroazione. (fiura 4.3). Esperimento Baumeister (‘98, pg 88)→ le risorse cogni ve per l’autoregolazione sono limitate→ quando ci si autoregola in una situazione, le risorse che rimangono per resistere ad una tentazione sono temporaneamente esaurite. • Teoria della discrepanza del Sé (Higgins) si basa sul confronto del Sé con uno standard di riferimento importante→ considera la discrepanza tra il sé reale e quello ideale (standard). Inoltre considera la risposta emotiva a tale discrepanza. Le persone hanno tre tipi di schemi: 1) il Sé reale (come si è nel presente); 2) il Sé ideale (come si vorrebbe essere ); 3) il Sé imperativo (come si deve essere)→ le persone sono motivate a far coincidere il Sé reale con il Sé ideale e il Sé imperativo→ maggiore è la discrepanza tra i Sé, maggiore è il disagio psicologico→ la discrepanza reale-ideale provoca depressione, delusione, tristezza (no emozioni positive); la discrepanza reale-imperativo provoca ansia, rabbia, paura, irrequietezza (emozioni negative)→ le discrepanze provocano emozioni negative → le persone attuano dei cambiamenti per ridurre le discrepanze (e ridurre così il disagio). A volte però le emozioni negative ostacolano i cambiamenti, distogliendo dagli obiettivi a lungo termine. 2) Teorie del confronto individuale Si conosce il proprio Sé confrontandolo con altri individui. Ci sono due teorie del confronto individuale: la teoria del confronto sociale e la teoria del mantenimento dell’autovalutazione. • Teoria del confronto sociale (Festinger): le convinzioni, i sentimenti e i comportamenti sono soggettivi e non c’è un punto di riferimento oggettivo interno con cui confrontarli→ il confronto con gli altri è il punto di riferimento oggettivo esterno con cui paragonare i pensieri, sentimenti e comportamenti→ dà il senso di conferma. I confronti possono essere effettuati verso l’alto (qualcuno che si ritiene superiore) o verso il basso (qualcuno che si considera peggiore). Le strategie per conservare l’autostima positiva quando ci si confronta con gli altri sono spiegate dalla teoria del mantenimento dell’autovalutazione. • Teoria del mantenimento dell’autovalutazione (Tesser): spiega come ci si comporta difronte alla riuscita degli altri → due modi: 1. se la propria autostima dipende dalla realizzazione di coloro che sono vicini e non dai propri risultati in quel settore si ha il riflesso sociale (es. genitori orgogliosi dei risultati positivi dei figli). Per avere il riflesso sociale (e non il confronto sociale) ci devono essere due condizioni: (a) il settore nel quale l’individuo consegue buoni risultati è irrilevante per se stessi→ non minaccia il Sé (b) si deve essere certi delle proprie capacità in quel settore 2. si ha un confronto sociale verso l’alto invece quando: a) il settore in cui l’altra persona ha successo è importante → minaccia il Sé b) si è incerti delle proprie capacità in quel settore → il confronto verso l’alto può avere effetti negativi sulla propria autostima. Ci sono quattro strategie disponibili per conservare un concetto di Sé positivo in queste situazioni: I. esagerare le capacità possedute dalla persona che consegue risultati migliori dei propri (es. è un ‘genio’→ categoria diversa dalla propria) II. cambiare l’oggetto del confronto→ confronto verso il basso (es. si ma sono stato più bravo di altri)→ aumenta l’autostima III. prendere le distanze tra sé e la persona che consegue risultati migliori dei propri (es. è un po’ strano, non abbiamo nulla in comune, mi siederò lontano) IV. ridimensionare l’importanza del confronto (es. la vita sociale è più importante dei voti) 3) Teorie del confronto con il gruppo Il Sé è formato da molti schemi e alcuni riguardano le relazioni (famiglia, amici, gruppi sociali…)→ condividiamo alcuni aspetti del Sé con altre persone. Esistono tre tipi di Sé che riflettono gli aspetti condivisi e non (Brewer, Gardner): Si pensa che l’autoaccrescimento sia la motivazione più importante del Sé perché è adattivo avere una grande autostima (ma stabile e non eccessiva) → l’autoregolazione è migliore e si affrontano gli eventi della vita in modo più costruttivo. Come si mantiene un’autostima positiva? Due classi di strategie: ricavare un concetto positivo di sé da aspetti personali o sociali del Sé. Strategie per accrescere il Sé personale Secondo la teoria di autoaffermazione (Steele, ‘75) quando l’autostima è stata danneggiata o minacciata, gli individui reagiscono spesso concentrandosi di più su aspetti positivi di sé stessi e affermandoli pubblicamente→ mantenimento di un conce o di Sé posi vo. Studio di Steele sulle donne mormoni. Nella condizione di minaccia del concetto di Sé il ricercatore contatta telefonicamente le donne e afferma che in generale i mormoni non sono collaborativi nei progetti che riguardavano la comunità. Nella condizione di affermazione del concetto di Sé il ricercatore afferma che i mormoni in generale sono collaborativi nei progetti che riguardavano la comunità. Nel secondo stadio, in un altro giorno, un altro ricercatore chiede alle donne mormoni se fossero disposte ad elencare i contenuti della loro dispensa per una ricerca della comunità. Il 95% delle donne in entrambe le condizioni di minaccia (rilevante e irrilevante, vedi p95) acconsentirono a collaborare. Invece il 65% delle donne nella condizione di affermazione del concetto di Sé acconsentirono→ le donne che si erano sen te minacciate volevano riaffermare un aspetto positivo del proprio concetto di sé (dimostrando lo spirito comunitario). Un altro fenomeno che indica la tendenza delle persone all’autoaccrescimento è il bias egocentrico, che si verifica quando gli individui fanno attribuzioni su se stessi sulla base del proprio comportamento→ quando si ha successo si tende al bias di autoaccrescimento: si attribuisce il successo a caratteristiche interne (attribuzione interna); quando le cose non vanno bene si tende al bias autoprotettivo: si attribuisce il fallimento a ragioni esterne (attribuzione esterna). Inoltre si ha un bias di memoria in favore delle informazioni di autoaccrescimento (si ricordano meglio le info positive) e si è più critici riguardo le info negative e meno riguardo le info di apprezzamento. Strategie per accrescere il Sé sociale Oltre che dalle strategie per accrescere il sé personale, un’immagine positiva del sé può essere ottenuta dall’appartenenza ad un gruppo. Secondo la teoria dell’identità sociale (Tajfel), quando il Sé sociale di una persona è saliente, la persona incorpora le caratteristiche che sono ritenuti parte del gruppo (a prescindere che siano positivi o negativi)→ per i membri del gruppo è importante che il gruppo sia valutato in modo positivo (così lo sono anche loro)→ i membri sono motivati un’identità sociale positiva confrontandosi in senso favorevole con i membri di altri gruppi (confronto verso il basso?). Questo desiderio di mantenere un’identità sociale positiva può spiegare il perché del bias verso l’ingroup → preferenza per il proprio gruppo rispetto l’outgroup. Inoltre il bias verso l’ingroup può essere causato dall’assenza di legami tra il Sé e l’outgroup→ è possibile che la creazione di legami tra il Sé e l’outgroup possa ridurre il bias (VEDI BOX) Esprimendo la superiorità del proprio gruppo rispetto agli altri, l’individuo che fa parte del gruppo e la cui identità sociale è saliente è rafforzato in modo positivo dal confronto. → il gruppo di appartenenza (ingroup)può essere fonte di autostima → si cerca di dare un’immagine positiva dell’ingroup per godere di essa se la propria identità sociale è saliente. I membri di un gruppo usano delle strategie per mantenere un’identità sociale positiva e per ridurre gli effetti negativi dell’appartenenza a un gruppo di minoranza (o meno prestigioso)→ i membri di un gruppo di alto status mantengono facilmente l’identità sociale positiva confrontandosi con i gruppi di basso status; i membri di un gruppo di basso status usano delle strategie per mantenere l’identità sociale positiva: 1. strategia di cambiamento sociale: entrano in competizione con il gruppo di alto status per migliorare la propria considerazione all’interno del gruppo 2. strategia di creatività sociale: trovano nuove dimensioni in cui il confronto è più favorevole 3. smettere di identificarsi con il gruppo: non considerano più l’appartenenza con il gruppo un aspetto importante della propria identità Studio Cialdini (‘76, vedi p.108), scopre il fenomeno detto crogiolarsi nella gloria riflessa: le persone ricavano un concetto di sé positivo dai risultati ottenuti da altri membri del gruppo, anche se non hanno avuto parte nel conseguimento dei risultati. Un altro fenomeno è detto prendere le distanze dall’insuccesso riflesso: quando il gruppo di appartenenza non ottiene buoni risultati, i membri del gruppo si distanziano dalle caratteristiche o elementi (es. vestiti) del gruppo. BOX Ridurre il pregiudizio comprendendo gli altri nel Sé Le persone tendono a vedersi sotto una luce positiva (es. si è fieri dei propri successi e li si attribuiscono internamente, ma si attribuiscono gli insuccessi a cause esterne. Studio di Wright et al.→ effetto del contatto esteso: il semplice conoscere membri dell’ingroup che hanno amici in un outgroup riduce il pregiudizio. Le persone ritenute vicine, compresi i membri dell’ingroup, vengono incorporate spontaneamente nel sé (inclusione degli altri nel Sé). Inoltre si ha la tendenza a riunire persone che si percepiscono come amiche. Quando i partecipanti osservano un membro dell’ingroup in un rapporto stretto con un membro di un outgroup, si percepisce una sovrapposizione tra i due→ quel membro dell’outgroup, e alla fine l’outgroup in generale, sarà percepito come parte del Sé. Metodo Si fa credere ai partecipanti di essere stati assegnati a uno di due gruppi in base ai risultati ottenuti in una prova d’ingresso. I partecipanti osservano poi un membro ingroup e uno outgroup (due collaboratori) interagire su una risoluzione di un problema. Risultati e discussione L’outgroup era valutato in modo più positivo quando l’interazione tra i due complici era amichevole, anziché neutra o ostile→ il partecipante percepiva una sovrapposizione dell’altro nel Sè quando il membro ingroup e quello outgroup erano amici→ solo tra amici si percepisce il conce o di sé come sovrapponibile/condiviso. DIFFERENZI CULTURALI NEL SE’ E NELL’IDENTITA’ Ci sono alcune differenze culturali nel concetto di Sé a seconda della società. Culture individualiste e collettiviste Nelle culture individualiste sin da bambini si è incoraggiati a considerarsi individui unici. Nelle culture collettiviste sin da bambini si è incoraggiati a essere ubbidienti e rispettosi della famiglia e ad adeguarsi alle norme sociali e si ha un senso di sé più rispettoso della comunità. → ci sono diversi valori a seconda delle culture (vedi studi p.111). Biculturalismo Le persone che sono capaci di gestire entrambe le identità dovute alle due culture sono biculturali. Secondo il modello di alternanza un individuo può gestire identità diverse derivanti da culture diverse e usarle come guida per il comportamento a seconda della situazione. Le persone biculturali hanno numerosi vantaggi, tra cui: • sentirsi a proprio agio nelle interazioni con altri individui di cultura diversa • hanno migliori strategie di problem solving • hanno migliori capacità interpersonali • hanno migliore salute mentale, funzionamento cognitivo, autostima Secondo alcuni chi riesce ad alternare le due identità culturali non risulta più legato né al gruppo di origine né al gruppo dominante. → per alternare con successo le due identità culturali bisogna avere un atteggiamento positivo nei confronti di entrambe le culture, la capacità di comunicare in modo efficace e che la cultura di origine sia rappresentata in modo adeguato nella società ospite. BOX Comunicazione e linguaggio P114 2. Influenza normativa: il conformismo dovuto al desiderio di ottenere accettazione e approvazione per evitare l’esclusione e giudizi negativi le persone desiderano essere accettate dagli altri. Le persone sanno che quando non ci si conforma alla maggioranza, si possono avere critiche più o meno gravi, fino all’esclusione sociale per evitare ciò le persone sono indotte ad adeguarsi alla norma sociale del gruppo (vedi Asch). Deutsch e Gerard fecero un esperimento simile a quello di Asch per dimostrare sia l’influenza normativa che informativa. Oltre alle condizioni dell’esperimento di Asch, introdussero una condizione in cui ai partecipanti si diceva che il gruppo doveva essere più preciso possibile. Inoltre cambiava la modalità di valutazione della lunghezza della linea: metà partecipanti dava il giudizio con le linee ancora visibili; l’altra metà dava il giudizio con le linee nascoste. l’influenza normativa e l’influenza informativa producono tipi diversi di conformismo.  L’influenza normativa modifica l’atteggiamento pubblico (atteggiamento di una persona verso gli altri), ma non ha effetti sull’atteggiamento privatol’individuo si adegua alla maggioranza solo per evitare l’esclusione socialequesto tipo di conformismo è definito accondiscendenza (compliance).  L’influenza informativa modifica sia l’atteggiamento pubblico che l’atteggiamento privatole opinioni degli altri sono usate come informazioni per formarsi un proprio atteggiamentoquesto tipo di conformismo è definito conversione. Nelle situazioni di certezza delle proprie opinioni, il compito è semplice o le informazioni sono molte, l’individuo sarà soggetto a influenza normativacambiamento dell’atteggiamento pubblico ma non privatoaccondiscendenza. Nelle situazioni in cui c’è incertezza sul comportamento da tenere, il compito è difficile o le informazioni sono scarse, l’individuo sarà più soggetto a influenza informativacambiamento sia dell’atteggiamento pubblico che privatoconversione. Figura 10.3 p308 Fattori moderatori del conformismo Fattori moderatori dell’influenza normativa Ci sono state molte repliche ed estensioni degli esperimenti di Sheriff e Achconferma dell’influenza normativa e informativa. Inoltre sono stati individuati diversi fattori che in qualsiasi situazione possono aumentare o diminuire il livello di influenza sociale:  Coesione del gruppo: quanto è percepito il senso di interconnessionepiù il gruppo è coeso, più i membri sono interconnessi, più rapidamente si manifesta il conformismo. E’ conseguenza dell’influenza informativa un gruppo coeso, i cui membri sono interdipendenti, creano delle condizioni nelle quali i membri del gruppo fanno ciò che ci si aspetta da loro (es. nell’esperimento di Deutsch e Gerard l’obiettivo comune del gruppo aumenta il senso di interconnessione e la coesione).  Dimension e del gruppo: più membri ci sono, più il livello di conformismo è alto, ma fino a tre membri. Superati i tre membri, il livello di conformismo rimane stabile quando si è in tre, il numero di individui è sufficiente a far percepire al singolo che è in minoranza e si uniformerà per evitare l’esclusione sociale.  Supporto sociale: all’aumentare del supporto sociale, il livello di conformismo diminuisce (contrario della coesione e dimensione del gruppo). In un’estensione dell’esperimento di Ach, se anche un solo complice era d’accordo con il partecipante, il livello di conformismo scendeva molto; lo stesso succedeva anche se un complice non era d’accordo con l’opinione comune qualsiasi rottura del consenso sociale è sufficiente a far diminuire il conformismo; inoltre il supporto sociale deve essere coerente. E’ importante anche la competenza percepita: il conformismo aumenta se chi ha un’opinione contraria è ritenuto non vere competenze. Fattori moderatori dell’influenza normativa  Fiducia in se stessi (fattore interno): minore è la fiducia in se stessi, più si è soggetti all’influenza informativase si è insicuri si tende a seguire gli altri per orientare il giudizio personale  Difficoltà del compito (fattore esterno situazionale): più è difficile compito, più si soggetti ad influenza informativapiù è difficile il compito, meno probabile è che si abbia un’idea chiara sul giudizio da dare, più si seguirà gli altri per dare un giudizio.  Norme culturali (fattore esterno situazionale): gli studi di Ach in culture collettiviste hanno evidanziato un più alto livello di conformismo. (vedi Box) BOX Anarchia nel paradigma di Ach Secondo la teoria dell’identità sociale (Abrams, Hogg), il conformismo è influenzato anche dall’appartenenza al gruppoquando si categorizza se stessi come membri di un gruppo, si tende a seguire le norme prevalenti di quel grupposi è influenzati dagli atteggiamenti e dai comportamenti che si ritiene gli altri si aspettino dai membri del gruppo Metodo A dei partecipanti viene chiesto di guardare dei materiali usati in un altro studio verificando chiarezza e rilevanza (in realtà è questo l’esperimento). Nella condizione contabile devono guardare la foto di un uomo ordinato, con capelli corti, con completo a giacca e occhiali (con didascalia ‘’contabile’’). Nella condizione punk devono guardare la foto di un uomo con capelli a punta, abiti strappati (con didascalia ‘’punk’’). Nella condizione di non attivazione non eseguono il compito. I partecipanti entrano quindi in una stanza con quattro complici per eseguire un compito di discriminazione uditiva, nel quale devono riferire quanti segnali avevano contato. I segnali erano 100, mai complici riferiscono 120-125. Risultati Nella condizione di non attivazione si verificava l’effetto di conformismole risposte erano sbagliate e si uniformavano al giudizio degli altri partecipanti (complici). I partecipanti della condizione contabile riferivano un numero maggiore di segnali; i partecipanti nella condizione punk riferivano meno segnali. Interpretazione dei risultati Le categorie sociali del punk e del contabile sono associate alla norma del conformismo e del non conformismo. A volte le persone possono comportarsi inconsapevolmente come i membri del gruppo a cui stanno pensando, anche sen non ne fanno parte (vedi cap3) i partecipanti che avevano pensato ad un punk erano meno conformisti di coloro che avevano pensato ad un contabile. Impatto dell’influenza sulle norme sociali L’influenza sia normativa che informativa riguarda anche i gruppiimpatto dell’influenza sociale sulle norme socialipolarizzazione di gruppo. La polarizzazione di gruppo (= esagerazione rispetto ad atteggiamento inziale) Secondo la teoria dell’autocategorizzazione (Turner ’92) la polarizzazione è descritta in termini di depersonalizzazione: tendenza a categorizzare se stessi in base alla salienza della propria appartenenza al gruppoquando in un contesto si è consapevoli della propria appartenenza a una categoria, si assegna automaticamente il prototipo (stereotipo) della categoria a se stesso per autodefinirsi. Se ciò avviene quando un gruppo sta discutendo la propria opinione su un tema e la sua posizione su ciò è chiara, i membri del gruppo fanno convergere le proprie opinioni su questa norma sociale del gruppocosì il consenso del gruppo si rafforza ed è probabile che si verifichi la polarizzazione: l’atteggiamento inziale esagerato e adottato più nettamente dal gruppo. La polarizzazione può essere spiegata sia l’influenza normativa che l’influenza informativa:  Influenza normativa: per adeguarsi alla maggioranza ogni membro si avvicina alla norma del gruppo es esprime un atteggiamento pubblico coerente con quello del gruppo.  Influenza informativa: il gruppo è una valida fonte di informazioni da usare per dare un giudizio. Nelle discussioni in gruppo gli individui apprendono più informazioni a sostegno della posizione inziale del gruppo (atteggiamento inziale) e quindi i membri sono ancora più convinti della loro posizione. (vedi Box). BOX Le decisioni nel sistema di giudizio penale I processi di gruppo hanno un ruolo importante nella giustizia. La testimonianza oculare L’accuratezza della testimonianza oculare dei testimoni è importante e ha una forte influenza. Quando a dei testimoni viene chiesto di ricordare dei fatti mentre sono in un gruppo rispondono diversamente da quando sono da soli. Alper et al (’76) inscenano un furto davanti a degli studenti e poi chiedono ai singoli individui di descrivere la scena. In seguito, gli studenti sono divisi in gruppi e viene chiesto di giungere ad un accordo sull’accaduto. I gruppi ricordano più informazioni rispetto ai singoli, ma fanno anche più errori perché tendono ad aggiungere particolari inesistenti. Questo forse perché ci si sente costretti a fare inferenze aggiuntive quando si è in gruppo, probabilmente per le pressioni verso la polarizzazione di gruppo. Lo stesso tipo di pressioni si può notare nei processi decisionali di giuria. I verdetti giudiziari E’ importante capire come le giurie prendono le decisioni e assicurarsi che siano il più obiettive e accurate. Ci sono diversi problemi che rendono il processo decisionale di giuria fallibile:  Anche le giurie, come gli altri gruppi, sono soggette a polarizzazione di gruppo: il loro atteggiamento inziale tende a estremizzarsi verso una certa opinione nel corso delle discussioni.  Data la grande quantità di informazioni a cui sono sottoposti i giurati, spesso si verifica un effetto recency (recenza): le informazioni ricevute alla fine del processo hanno maggiore influenza rispetto alle informazioni iniziali.  Le informazioni sono a volte molto complesse (es. testimonianze di esperti e periti, uso di termini legali) e L’allievo deve imparare coppie di parole e associarle a quelle dette dall’insegnante. Ogni volta che l’’’allievo’’ sbagliava, riceveva apparentemente una scossa dal partecipante ‘’insegnante’’. L’intensità della scossa aumentava ad ogni errore. Il complice diceva allora di soffrire di problemi al cuore, ma lo sperimentatore affermava che non era un problema e legava il complice alla sedia. A questo punto, il partecipante riceveva una piccola scossa da 15 volt per rendere la situazione realistica (anche se nessuna delle scosse date al complice era vera). Il complice e il partecipante comunicano in due stanze diverse attraverso un interfono. Ogni volta che il partecipante chiedeva qualcosa allo sperimentatore, gli veniva detto di continuare. Il complice faceva molti errori voluti, in modo che lo sperimentatore potesse verificare se il partecipante avrebbe continuato a somministrare scosse. Il copione dello sperimentatore e del complice era importante nell’esperimento perché permetteva il controllo sperimentale: tutti i partecipanti passavano la stessa situazione. Il copione consisteva in punti chiave:  A 150v l’allievo gridava di essere slegato e gridava di voler uscire.  A 180v l’allievo gridava di non riuscire più a sopportare il dolore.  A 300v l’allievo si rifiutava di rispondere ancora e lo sperimentatore diceva di considerare il suo rifiuto come risposta sbagliata.  A ogni successiva scossa l’allievo gridava di dolore. Oltre i 330v non reagiva più. L’ultimo interruttore, di 450v, aveva l’etichetta di pericolo. Milgram voleva scoprire fino a che punto i partecipanti si sarebbero spinti. Secondo degli psichiatri, solo lo 0,1% delle persone si sarebbe spinto fino ai 450v, segno di un problema mentale. Milgram però scoprì dei risultati assai diversi:  A 210v si era previsto che la maggioranza dei partecipanti (86%) si sarebbe rifiutata di continuarein realtà nessun partecipante si sottrasse al compito. Dopo questo voltaggio solo pochi chiesero allo sperimentatore cosa si sarebbe dovuto fare.  A 315v quasi tutti i partecipanti avrebbero dovuto concludere l’esperimento (96%), ma lo fece solo una parte (22,5%).  Nonostante i forti lamenti del complice, il 65% dei partecipanti (24/30) obbedì allo sperimentatore fino ai 450v. Le spiegazioni dell’obbedienza Nei contesti dove il livello di obbedienza è elevato ci sono tre fattori fondamentali:  Esiste una norma culturale diffusa secondo la quale si obbedisce all’autorità e gli individui sono in genere premiati quando obbediscono (rinforzo). Ci si aspetta che le autorità siano giuste e degne di fiducia.  Nell’esperimento le richieste di obbedienza erano graduali: prima di rendersene conto, i partecipanti stavano somministrando scariche molto forti (finte).  Avviene un cambiamento nello stato di agente: i partecipanti non si consideravano più responsabili personalmente, ma attribuivano la responsabilità ad altri individui nel contesto (vedi diffusione della responsabilità). Determinanti dell’obbedienza Inizialmente, dato che nell’esperimento originale di Milgram i partecipanti erano tutti maschi, si pensava a una differenza di genere come probabile fattore, dato che forse i maschi sono più aggressivi per natura delle femmine; ma ciò fu confutato da successivi esperimenti. Un altro fattore considerato era il contesto. Gli studi originali erano stati fatti presso l’università di Yale e lo sperimentatore era Milgram, rispettabile scienziato in camice bianco che comunicava autorevolezza e fiducia. L’esperimento ripetuto in una modesta palazzina di uffici ha riportato un forte abbassamento del livello di obbedienza. Lo stesso effetto avveniva quando lo sperimentatore era trasandato, non sicuro di sé e incerto. il contesto ambientale e dello sperimentatore in parte spiega il livello alto di obbedienza dell’esperimento originale (attribuzione di credibilità, cap2). Un altro fattore porta all’abbassamento del livello di obbedienza: se c’era un secondo partecipante che si ribellava allo sperimentatore, il livello di obbedienza sin riduceva al meno del 20% come negli esperimenti di Ach, il confronto sociale riduce la forza dell’influenza sociale. Al contrario, se c’erano altri ‘’insegnanti’’ complici ed obbedienti, il livello di obbedienza si alzava molto. Un ultimo fattore è la prossimità tra la fonte di influenza (sperimentatore) e l’’’allievo’’. Quando il partecipante e la vittima complice erano nella stessa stanza, il livello di obbedienza si abbassava, per ridursi ancora se il partecipane toccava fisicamente la vittima. Quando lo sperimentatore dava ordini dal telefono, il livello di obbedienza scendeva molto. Gli effetti della prossimità sono importanti per la teoria dell’impatto sociale, che riunisce tutti gli effetti del conformismo e dell’obbedienza visti. TEORIA DELL’IMPATTO SOCIALE La teoria dell’impatto sociale (Latané, ’81) è una teoria generale dell’influenza sociale che tiene conto di tutte le scoperte sul conformismo e sull’obbedienza e tenta di unificare e spiegare i risultati emersi dalle ricerche in questi campi. Secondo la teoria, la portata dell’influenza sociale delle persone dipende dal loro numero, forza e immediatezza nei confronti di coloro che stanno cercando di influenzare.  Numero: numero di persone che costituiscono il gruppo di potere che è la fonte di influenza socialepiù sono i membri del gruppo di influenza, più potente è l’influenza.  Forza: status, potere e/o esperienza della persona o gruppo che esercita influenza.  Immediatezza: vicinanza nel tempo e nello spazio del gruppo di potere che esercita l’influenza. La teoria dell’impatto sociale spiega l’effetto di livellamento del conformismo dopo un certo numero di persone emerso dagli studi di Ach: ogni individuo successivo contribuisce sempre meno all’effetto generale. La forza spiega il livello alto di obbedienza nello studio di Milgram quando lo sperimentatore si presentava come uno scienziato rispettabile e il basso livello quando era trasandato e insicuro. Questo spiega anche la forza della minoranza che sono coerenti e fiduciose, a cui vengono attribuite credibilità, potere sociale e forza sociale. L’immediatezza spiega l’alto livello di obbedienza nello studio di Milgram quando lo sperimentatore era nella stessa stanza del partecipante. L’AGGRESSIVITA’ TEORIE SULL’AGGRESSIVITA’ Le teorie sull’aggressività sono divise in due categorie: secondo le teorie biologiche tutti nascono con la tendenza a comportarsi in modo aggressivo; secondo le teorie sociali l’aggressività è un comportamento sociale appreso dal contesto sociale 1) Teorie biologiche Le persone sono geneticamente predisposte a essere aggressive. Due prospettiva affermano ciò: la teoria psicodinamica e la teoria evoluzionistica • la teoria psicodinamica (inizi ‘900) afferma che l’individuo ha in sé due istinti innati e opposti: un istinto di vita (Eros) e un istinto di morte (Thanatos). Secondo Freu l’istinto di morte è inizialmente all’autodistruzione, ma più il bambino cresce più è capace di indirizzarlo verso gli altri sotto forma di comportamento aggressivo→ il comportamento aggressivo è il risultato di un naturale accumulamento di tensione fisica, che deve essere liberata/espressa per ristabilire l’equilibrio. Non ci sono molte prove empiriche a sostegno di questa teoria • la teoria evoluzionistica afferma che il comportamento sociale si è evoluto nel tempo ed è stato trasmesso da una generazione all’altra→ il comportamento sociale esiste per assicurare la sopravvivenza e trasmissione dei geni di un individuo→ il comportamento aggressivo per assicurare la sopravvivenza dei geni è evidente negli animali (accoppiamento, caccia…); nell’uomo il comportamento aggressivo può essere usato a vantaggio sociale ed economico. Critiche: è difficle fornire prove a sostegno di questa teoria: inoltre le persone a volte sono aggressive proprio verso i familiari e discendenti più stretti, anziché difenderli 2) Teorie sociali Un fattore importante per spiegare l’aggressività è il contesto sociale. Queste teorie non negano l’esistenza di una tendenza biologica al comportamento aggressivo, ma evidenziano il ruolo dell’ambiente sociale (contesto) nel modellarlo • l’ipotesi frustrazione-aggressione (‘30) afferma che l’aggressività deriva dalla frustrazione verso una persona/evento particolare, e per questo si ha un comportamento più aggressivo in certe situazioni e non in altre→ se l’aggressività non può essere rivolta direttamente alla causa della frustrazione può essere deviata verso un obiettivo più realistico. La frustrazione causata da un declino economico (causa situazionale) produce aggressività che viene indirizzata verso obiettivi vulnerabili, come i gruppi di minoranza (anche se non ne sono la causa). Molte critiche: poche prove empiriche a sostegno delle ipotesi e del legame tra economia e crimini d’odio; anche quando questo legame è presente, difficilmente è spontaneo o diretto→ anche se la frustrazione è un fattore rilevante, non basta a spiegare il comportamento aggressivo. • l’ipotesi catartica è legata all’ipotesi frustrazione aggressione e afferma che quando l’individuo è in una frustrazione frustrante o irritante prova un aumento delle emozioni negative→ per scacciare queste emozioni le esterna e torna ad una situazione di equilibrio (simile a Freud). Gli studi sono contraddittori riguardo a questa teoria • il modello cognitivo neoassociazionista (Berkowitz) considera anche le condizioni ambientali (i segnali) in una situazione frustrante che determinano un comportamento aggressivo. Come per l’ipotesi frustrazione-aggressione, anche questo modello afferma che la frustrazione genera rabbia, e la rabbia aumenta la probabilità di un comportamento aggressivo. Ma l’aggressività è presente solo se dall’ambiente provengono segnali adeguati. Se un oggetto/persona è stato associato ripetutamente in passato alla sensazione di rabbia e aggressività, può diventare uno stimolo (segnale) per causare FATTORI CENTRATI SULLA PERSONA Esistono differenze individuali nel modo in cui le persone manifestano aggressività in generale. Ci sono due fattori che spiegano le differenze individuali nell’aggressività: genere e personalità. Inoltre anche l’uso di certe sostanze, come l’alcol, ha effetti sulla tendenza delle persone a comportarsi in modo aggressivo. Differenze di genere Gli uomini tendono più delle donne a manifestare aggressività fisica, anche senza alcuna provocazione. Questo può essere dovuta al livello più alto nei maschi di testosterone (ormone), legato al livello di aggressività→ gli uomini con livelli più alti di testosterone tendono di più a manifestare aggressività. Però le differenze ormonali non bastano a spiegare del tutto le differenze di genere nell’aggressività→ ci sono anche influssi sociali (interazione natura-cultura). Maschi e femmine sono diversi anche nella socializzazione di genere. Maschi e femmine sono trattati in modo molto diverso dalla famiglia, istituzioni sociali, gruppo dei pari, media...→ questo tra amento ha effetti sul comportamento→ le femmine sono incoraggiate ad essere remissive e gen li; i maschi sono incoraggia ad essere diretti ed aggressivi→ le femmine sono meno aggressive in modo diretto e usano altre forme di aggressività indiretta come quella verbale, giudicate socialmente più accettabili. Quindi le differenze di genere possono emergere in relazione all’apprendimento di comportamenti ritenuti appropriati in funzione del genere più che a causa di differenze ormonali. Le differenze riguardano sia la quantità che il tipo di aggressività. Inoltre i maschi possono usare l’aggressività come strumento per realizzare i propri obiettivi, per esempio il controllo sugli altri, mantenere una posizione di potere, acquisire autostima positiva mentre le femmine percepiscono l’aggressività come un comportamento negativo e antisociale, legato a stress e mancanza di controllo. Personalità Alcuni tipi di personalità sono associati maggiormente all’aggressività. Secondo alcuni ci sono dei tratti di personalità associati all’aggressività: • irritabilità: tendenza ad andare in collera molto facilmente • suscettibilità emotiva: tendenza a provare sensazioni di disagio e inadeguatezza • ruminazione: tendenza a trattenere e a rimuginare sulle sensazioni di rabbia Alcuni studi confermano il legame tra aggressività e amabilità (tendenza a porre l’armonia con gli altri al proprio interesse personale): chi ha scarsa amabilità e tende ad essere scontroso e irritabile ha elevati livelli di aggressività diretta e indiretta. Secondo Friedman ci sono due tipi di personalità legati all’aggressività: • personalità di tipo A: persone in genere ambiziose, perfezioniste, competitive, fretta di raggiungere i propri obiettivi→ tendenza all’aggressività, soprattutto in circostanze percepite come minacciose (e maggior rischio di cardiopatia cronica) • personalità di tipo B: persone rilassate, non competitive, creative Infine ci sono prove sul legame tra autostima e aggressività: chi ha un’autostima elevata tende maggiormente a comportarsi in modo aggressivo→ queste persone tendono a non sen rsi in colpa se tra ano male chi considerano meno importanti di loro e sono convinte che il comportamento aggressivo serva ad ottenere risultati positivi, adottandolo spesso, soprattutto quando sentono minacciato il proprio Sé Alcol I vari livelli di alcol assunti possono causare differenze individuali nel comportamento aggressivo. Molti studi hanno dimostrato che l’assunzione di alcol aumenta l’aggressività. Esperimento Giancola e Zeichner (‘97). Ai partecipanti, dopo aver bevuto, viene detto che avrebbero gareggiato contro un uomo seduto nella stanza accanto in un compito sul tempo di reazione (in realtà non c’era nessun avversario). Quando il partecipante ‘vinceva’, poteva somministrare una scossa elettrica all’avversario, quando ‘perdeva’ il partecipante riceveva la scossa che credeva fosse somministrata dall’avversario→ gli uomini che avevano bevuto alcol somministravano scosse più forti (erano più aggressivi). Ciò si verificava solo quando il tasso alcolemico era in aumento (non quando l’organismo metabolizzava l’alcol). Quando il tasso alcolemico è in diminuzione si ha l’effetto opposto: si è rilassati e privi di energia. Quando il tasso alcolemico è in aumento si è più aggressivi per due motivi: 1. maggiore arousal (attivazione fisiologica)→ vedi modello cognitivo neoassociazionista e di trasferimento dell’eccitazione 2. deficit della funzione neuropsicologica→ ridotta capacità di elaborare le informazioni + utilizzo di risposte automatiche e meno faticose + difficoltà a prestare attenzione agli stimoli esterni Una spiegazione alternativa all’effetto dell’alcol sull’aggressività è data dalla teoria delle aspettative dell’alcol: le persone hanno aspettative riguardo agli effetti dell’alcol sul comportamento→ si crede che l’alcol induca a essere più estroversi, meno inibiti e più aggressivi → un comportamento fuori dal comune in seguito all’assunzione di alcol è spesso giustificato → si dà la colpa all’alcol invece che alla persona→ le persone possono tendere a comportarsi in modo aggressivo perché hanno una giustificazione (alcol). Inoltre chi pensa di aver assunto alcol (senza in realtà averlo fatto), si comporta con maggiore aggressività (effetto placebo). Ci sono incertezze su quest’ultimo aspetto. FATTORI CENTRATI SULLA SITUAZIONE Anche le diverse situazioni influiscono sull’aggressività: l’ambiente fisico, il posto che gli individui pensano di avere nella società, la cultura o subcultura. Ambiente fisico Tre aspetti dell’ambiente fisico influenzano il livello di aggressività: temperatura, affollamento, rumore. 1. Temperatura: più è alta la temperatura, più è alta l’aggressività. Il caldo porta ad arousal (attivazione fisiologica), irritabilità, disagio → aggressività. In uno studio si è visto che più il clima era caldo e umido, maggiore era il numero di aggressioni→ il numero di crimini aumentava con l’aumento delle temperature di giorno + quando fa molto caldo aumenta la violenza collettiva MA questa tendenza si interrompe con temperature estremamente elevate (clima eccessivamente caldo e umido)→ quando la temperatura sale sopra i 24° gradi, l’aggressività diminuisce→ le temperature molto elevate inducono spossatezza e rendono difficile fare qualsiasi cosa. Inoltre il legame tra caldo e aggressività è maggiore nella sera perché durante il giorno la maggior parte delle persone lavora in edifici con l’aria condizionata. Per di più il rapporto caldo-aggressività non vale per tutti i tipi di crimini→ è più forte per l’aggressività affettiva (lo scopo è spaventare) che per l’aggressività strumentale (scopi diversi, es. rapina). Studio di DeWall e Bushman (2009): verificare se il priming delle persone con termini relativi ad alte temperature potesse indurre aggressività. I partecipanti eseguono un compito di problem solving legato a parole di caldo o freddo (gruppo di controllo). In seguito eseguono un compito di completamento delle parole, in cui devono completare frammenti ambigui di parole, come ‘’k---’’, che potevano essere sia termini aggressivi (kill) o non aggressivi (kiss)→ i partecipan a va con parole legate al caldo tendevano a usare termini aggressivi per completare le parole più di coloro che erano stati attivati con parole legate al freddo→ c’è uno stretto legame nella memoria tra parole legate al caldo e pensieri aggressivi. 2. Affollamento: un’elevata densità di persone può indurre aggressività (es. tifosi di calcio, discoteche…). Come il caldo, trovarsi in mezzo a molte persone causa arousal, stress, irritazione, frustrazione. Inoltre le persone in mezzo alla folla tendono a sentirsi anonime e meno responsabili delle proprie azioni→ processo di deindividualizzazione. Per di più in mezzo alla folla è più probabile che accada un comportamento secondo il principio di reciprocità: gli individui tendono di più a comportarsi in modo aggressivo se ritengono di essere stati provocati→ è più probabile quando è affollato. 3. Rumore: i rumori indesiderati e soprattutto ad alto volume o imprevedibili possono determinare un aumento di aggressività. Come il caldo e l’affollamento, il rumore induce aggressività perché aumenta l’arousal e lo stress Svantaggio sociale I gruppi socialmente svantaggiai possono reagire alla loro situazione nella società con un comportamento aggressivo, ma dipende dal loro senso di deprivazione relativa: se un individuo o gruppo si sente ingiustamente svantaggiato rispetto ad altri individui/gruppi e non crede di poter migliorare la propria posizione di svantaggio in modo legittimo, può comportarsi in modo aggressivo. Influenze culturali Il livello di aggressività è diverso nelle varie culture. Per esempio in paesi destinatari di guerre come Afghanistan e Iraq si considerano le società occidentali molto aggressive. Per questo si studia l’effetto della cultura sull’aggressività in una particolare società anziché tra le diverse società. Studio delle differenze culturali nell’aggressività negli USA (Nisbett e Cohen, 1996). Gli Stati del Sud e dell’Ovest hanno livelli di violenza superiori agli Stati settentrionali. Inoltre negli Stati del S e dell’O si giustifica di più la violenza e si reagisce con più rabbia e aggressività agli insulti. Ciò si può spiegare riflettendo sull’economia→ negli Sta del S e O i coloni allevavano il bestiame, mentre al N si coltivava la terra→ il bestiame (bene degli allevatori) è più soggetto al furto rispetto alla terra (bene dei coltivatori)→ gli allevatori dovevano reagire rapidamente e con forza per difendere il bestiame dai ladri→ cultura dell’onore: proteggere i propri beni usando la violenza. Questa cultura dell’onore è sopravvissuta e continua fino ad oggi. Inoltre in certe aree urbane ci sono gang violente (gruppi di minoranza) che hanno una sottocultura della violenza: l’aggressività è uno stile di vita (norme e valori) che serve per migliorare la propria condizione e potere nella società; l’aggressività è diretta sia verso l’outgroup che l’ingroup. La sottocultura della violenza esiste anche nella mafia e nelle comunità carcerarie. DISINIBIZIONE L’aggressività è in genere condannata→ nella maggior parte delle società ci sono norme sociali che incoraggiano e premiano un comportamento amabile e prosociale, mentre scoraggiano e puniscono un comportamento aggressivo e antiscoiale. Perché nonostante queste norme le persone a volte si comportano in modo aggressivo? → a volte si ha disinibizione: indebolimento degli obblighi normativi che solitamente portano ad evitare un comportamento aggressivo. Ci sono due motivi per cui gli individui diventano disinibiti: la deindividualizzazione e la deumanizzazione. Deindividualizzazione Quando un individuo è in mezzo alla folla o agisce come membro di un grande gruppo sociale tende a considerarsi come membro del gruppo ma anonimo→ processo di deindividualizzazione: si è meno responsabili del normale per il proprio comportamento. → le norme sociali non vengono più applicate. Per questo si può verificare aggressività collettiva: atti violenti commessi da un gruppo di persone , indipendentemente dal fatto se queste persone si conoscessero. Un esempio sconvolgente di aggressività collettiva si verifica a volte quando una persona che minaccia di suicidarsi lanciandosi da un edificio molto alta e la folla di astanti in strada la incita a buttarsi→ sopra u o quando c’è molta gente, una grande distanza tra la folla e la vittima e si svolge di notte → c’è più deindividualizzazione e ci si sente più protetti dall’anonimato. Inoltre queste situazioni si verificano più spesso quando fa caldo (vedi fattori situazionali). La deindividualizzazione ha un ruolo importante, ma alcuni psicologi respingono quest’idea. Secondo la teoria della norma emergente le persone si comportano in modo aggressivo quando si trovano in gruppo perché aderiscono a una diversa norma di gruppo dell’aggressività, che può manifestarsi in certe situazioni MA non perché ignorano la norma sociale della non violenza. stretta che porta all’atto terroristico sul tetto. Gli individui che saranno terroristi attraversano diverse fasi fino ad arrivare al tetto. Ad ogni piano il numero di opzioni da scegliere si riduce, fino a che non rimane solo l’opzione di far del male agli altri. 1. Piano terra – percezioni di deprivazione relativa: molte persone credono nell’onestà e nell’eguaglianza, ma hanno la percezione di non ricevere ciò che spetta di diritto→ deprivazione relativa: spesso i terroristi sono persone che, indipendentemente da quanto benestanti e colte siano, percepiscono l’ingiustizia riguardo la posizione nella società del proprio gruppo di appartenenza (ingroup) rispetto ad altri gruppi. 2. Primo piano – percezioni di giustizia procedurale: una piccola parte salirà al primo piano per cercare soluzioni per le ingiustizie percepite. Un fattore importante a questo livello è la percezione di giustizia procedurale: quanto giusto viene ritenuto il governo e quale opportunità hanno gli individui di poter decidere o esprimere la propria insoddisfazione. 3. Secondo piano – spostamento dell’aggressività: quando gli individui non possono esprimere pubblicamente la propria insoddisfazione, salgono al secondo piano e usano l’aggressività per incolpare altri gruppi dei propri problemi. Gli individui che cercano attivamente l’opportunità di aggressione nei confronti di altri gruppi salgono al terzo piano per cercare modi in cui agire direttamente contro il nemico. 4. Terzo piano – adozione di un codice morale alternativo: gli individui vengono reclutati dalle organizzazioni terroristiche e adottano una versione alternativa di norme morali: il nemico è considerato immorale e i terroristi sono pronti al martirio per una giusta causa→ teoria della norma emergente: le persone si comportano in modo aggressivo perché aderiscono alle norme sociali che emergono dall’appartenenza ad un nuovo gruppo e non perché ignorano le norme della società. 5. Quarto piano – pensiero categorico e legittimità percepita: le reclute delle organizzazioni terroristiche entrano a far parte di piccole cellule → viene insegnato a pensare in maniera categorica e a evidenziare la differenza tra ingroup e outgroup (noi e loro) → legittimazione degli obiettivi del terrorista (vedi deumanizzazione). A questo punto la recluta ha poche possibilità di sottrarsi all’azione: di solito passa poco tempo dal reclutamento all’atto terroristico. Prima dell’atto, le reclute vengono stimolate e incoraggiate, diventando oggetto di attenzione da parte degli altri membri della cellula. Il leader della cellula non ammette disubbidienza e slealtà→ le azioni della recluta sono sottoposte a stretti controlli. 6. Quinto piano – l’atto terroristico: ci sono due processi che portano l’individuo all’atto terroristico: • i civili sono categorizzati come outgroup • la distanza psicologica tra ingroup e outgroup viene esagerata → i civili sono considera come membri del gruppo nemico e sono sogge al processo di deumanizzazione e delegittimazione. Sono principalmente le condizioni del piano terra che portano al terrorismo→ secondo Moghaddam solo cambiando le condizioni del piano terra è possibile fermare efficacemente il terrorismo. LE RELAZIONI INTERGRUPPI In questo capitolo si studia il pregiudizio non come atteggiamento (vedi cap.12) ma come categorizzazione sociale e rappresentazione psicologica della relazione ‘noi/loro’ (ci sono punti di convergenza col cap. 12). La categorizzazione sociale (cap. 3) serve per spiegare le relazioni intergruppiè la causa di conflitti o difficoltà tra gruppi diversiquando le relazioni intergruppi non funzionano è per una visione negativa di ‘loro’ rispetto ‘noi’ perché si riconosce che alcune persone non fanno parte della propria categoria socialedistinzione tra ingroup e outgroup. TEORIE DELLE RELAZIONI INTERGRUPPI Gli studi di Sherif sul campo estivo Sherif et al. hanno fatto studio su un campo estivo per ragazzi: 20 ragazzi bianchi di classe media di 11-12 anni prendono parte a delle attività all’aperto. Tre fasi dello studio. Nella fase 1 Sherif osserva gli effetti immediati della formazione dei gruppi. I ragazzi sono appena arrivati al campeggio e non si conoscono. Da subito vengono suddivisi in gruppi in modo casuale (che rimangono per la durata del campeggio). Gli effetti osservati dall’inizio sono la denigrazione spontanea e incitamenti spontanei alla competizione tra i due gruppi, confronti sociali spontanei, individuazione di simboli per i gruppi. Nella fase 2 osserva gli effetti causati dall’inizio dell’antagonismo intergruppo. Appena vengono assegnati ai gruppi il proprio simbolo e logo, iniziano le contrapposizioni intergruppi (all’inizio solo sfide verbali). Inoltre la creazione di simboli creati dagli stessi ragazzi per rappresentare il nome del gruppo indicano la nascita di una norma di gruppo e un’identità sociale. Sherif quindi introduce un fattore importante per l’ostilità intergruppiintroduzione di giochi competitivi tra gruppiaumenta la rivalità (culmina con l’attacco fisico dei simboli avversari) + aumento pregiudizio. All’inizio della fase 2 il 93% delle amicizie era definito dall’affiliazione ingroup (amici quasi esclusivamente ingroup)conferma l’ipotesi di Tajfel (’78): ci sono due modi di definire gli incontri sociali: dall’interpersonale all’intergruppo (continuum)nel campo estivo le amicizie erano per la maggior parte intergruppo. Etnocentrismo: intensificazione della lealtà verso l’ingroup + aumento dell’ostilità verso l’outgroup. Nella fase 3 ipotizza se certi fattori avessero ridotto il conflitto delle fasi 1 e 2elabora un modello di comportamento integruppi in tutte le fasi (dalla formazione del gruppo all’interazione fino allo scioglimento). Fa in modo che il bus dei ragazzi rimanesse in panne (finzione)solo se i due gruppi avessero collaborato sarebbero riusciti a ripartire per il pranzointroduzione di un obiettivo comune per ottenere un premio per entrambi i gruppila collaborazione tra i gruppi ridusse il conflitto intergruppo e la denigrazione reciproca. Teoria del conflitto realistico tra gruppi Grande influenza degli studi di Sherif sul campo estivoprimo studio sistematico sulle conseguenze psicologiche e comportamentali della formazione dei gruppi, della competizione e della collaborazione con controllo di fattori (variabili indipendenti)i risultati confermano la teoria del conflitto realistico tra gruppi che cerca di spiegare il pregiudizio, la discriminazione e il conflitto intergruppi: il conflitto tra gruppi deriva dalla percezione di una scarsità di risorse (ad es. in una condizione di deprivazione economica si ha un aumento del conflitto intergruppo), per certi aspetti simile all’ipotesi frustrazione-aggressività (cap. 6)una volta introdotta la competizione (fase 2) il conflitto aumentava di moltocompetizione reale per le risorse limitate. La pura e semplice categorizzazione (suddivisione in gruppi) è sufficiente a suscitare il bias intergruppi e il pregiudizioverificato qualche anno dopo da Tajfel. Il paradigma del gruppo minimo Tajfel cercò di individuare in modo sistematico le condizioni base in cui gli individui preferiscono il proprio gruppo rispetto ad altriquali sono le condizioni minime necessarie perché avvenga il pregiudizio (gli studi di Sherif sul campo estivo erano basati sull’osservazionemeno affidabili rispetto a un contesto sperimentale controllato). Tajfel voleva verificare se la categorizzazione fosse sufficiente per essere categorizzati in un gruppo o in un altro per suscitare il bias intergruppi in assenza di qualunque differenza ideologica, economica o conflitto preesistentescopre che le condizioni che possono indurre il bias intergruppi sono veramente minime. Il paradigma del gruppo minimo di Tajfel descrive un contesto sperimentale in grado di creare una base ideale per la categorizzazione e comprende misure di valutazione e di discriminazione tra i gruppi implicati. Nell’esperimento originale i partecipanti (alunni delle elementari) vengono suddivisi in due gruppi (quasi come esperimento Sherif)per la suddivisione vengono mostrate ai partecipanti delle immagini di dipinti di Klee o Kandinsky (sconosciuti ai ragazzini)i partecipanti segnano la propria preferenza e vengono assegnati al gruppo ‘’Klee’’ o ‘’Kandinsky’’ in realtà l’assegnazione ai gruppi è casuale. I partecipanti completano un compito in cui devono assegnare dei punti (con numeri in codice) ai soggetti dei due gruppi. I punti rappresentavano un premio in denaro (a ogni partecipante viene detto che alla fine riceveil denaro datogli con i punti). L’assegnazione dei punti veniva in modo anonimo (inoltre non potevano attribuire punti a se stessi). I punti vengono assegnati attraverso delle matricida ciò si capisce se c’è o no tendenza a favorire l’ingroup. Questi gruppi in realtà non rappresentavano la forma elementare di categorizzazione socialediversamente dai veri gruppi sociali, non c’erano squilibri economici, motivazioni politiche, interazioni passate ecc…rappresentavano solo la forma minima dell’appartenenza basata sul fatto di trovarsi in un gruppo o in un altro. L’unica cosa che i partecipanti sanno nell’assegnazione dei punti è l’appartenenza degli altri al proprio gruppo o all’altroanche in un contesto di gruppo minimo come questo c’è la tendenza ad assegnare più punti ai soggetti dell’ingroup rispetto all’outgroupla mera categorizzazione è sufficiente a indurre un bias intergruppi. La diversa assegnazione dei punti aveva una motivazione psicologica perché non era legata all’obiettivo del compito (accumulare più punti possibili). L’effetto della mera categorizzazione è stato riprodotto molte volte con diversi modi di categorizzazioneeffetto solido e importanteconferma l’esistenza di una componente psicologica nel pregiudizio che va oltre fattori economici, politici, storici. La semplice consapevolezza dell’appartenenza di qualcuno a un gruppo diverso dal proprio è sufficiente per farlo risultare estraneo, indipendentemente dagli obiettivi apparenti del compito del momentoalla base c’è una motivazione psicologica che porta le persone a differenziare il proprio gruppo dagli altri. In seguito vengono presentate le teorie che cercano di spiegare l’effetto della semplice categorizzazione. stereotipizzazione di sé e come questi processi cognitivi influiscano su dei comportamenti intergruppo (es. pregiudizio e discriminazione). La teoria ipotizza che, quando il contesto è di salienza del gruppo, si ha la spersonalizzazione degli individui, che assumono le caratteristiche associate agli elementi prototipici del proprio gruppo (vedi cap. 3). Come nel modello della differenziazione categoriale (Doise, ’76), la teoria dell’autocategorizzazione individua un principio di metacontrasto che descrive la percezione di una maggiore somiglianza entro le categorie ingroup e outgroup e una maggiore differenza tra di esse. Secondo la teoria dell’autocategorizzazione la categorizzazione sociale e la discriminazione intergruppo sono:  Dipendenti dal contesto  Implicano una ricerca di significato Hogg (2001) elabora la componente motivazionale della teoria dell’autocategorizzazione con l’ipotesi della riduzione dell’incertezza soggettiva. La categorizzazione sociale spiega e definisce le situazioni sociali, dà un mezzo per prevedere i futuri comportamenti dei membri dell’outgroup e dà delle norme dell’ingroup per guidare la percezionei membri sono motivati a mantenere la distinzione tra ingroup e outgroup per ridurre l’incertezza soggettivala motivazione a ridurre l’incertezza attraverso l’autocategorizzazione e il metacontrasto porterà i membri di gruppi stimati e prestigiosi a confrontare l’ingroup con l’outgroup (soprattutto quando positività e distintività sono minacciate). Il favoritismo verso l’ingroup viene spiegato come un riflesso delle conseguenti differenze percepite nella positività intergruppi. La teoria della distintività ottimale (Brewer, ’81) elabora l’ipotesi che le persone abbiano bisogno di differenziare le loro identità sociali. Secondo la teoria le persone sono motivate a soddisfare due bisogni in conflitto tra di loro:  il bisogno di assimilazione  il bisogno di differenziazione Le persone cercano i gruppi che riescono a soddisfare in modo equilibrato queste due motivazioni. Il pregiudiziosi verificherebbe quando il bisogno di differenziazione non è soddisfattoil pregiudizio stesso può essere un’ulteriore specificazione delle motivazioni alla distintività viste prima. Teoria dell’ancoraggio di sé La teoria dell’ancoraggio di sé è una spiegazione del pregiudizio intergruppo riguardo in particolare il paradigma del gruppo minimo. La proiezione sociale è la tendenza a predire sentimenti, pensieri e comportamenti altrui sulla base dei propri sentimenti, pensieri e comportamenti (sistema specchio?; vedi cap. 2)il sé può essere usato come base informativa nel giudizio sociale. La proiezione sociale è più forte quando la persona bersaglio è simile al sé. In un contesto integruppi gli individui tenderanno a proiettare gli attributi del sé sull’ingroup più che sull’outgroupquesta asimmetria di proiezione ingroup-outgroup può contribuire a spiegare il pregiudizio intergruppi nel paradigma del gruppo minimodato che le persone hanno in genere un conetto di sé favorevole (autostima), la proiezione di opinioni positive di sé sugli altri membri dell’ingroup (ma non sull’outgroup) porta a ritenere che l’ingroup possieda attributi più favorevoli rispetto all’outgroup. Questa teoria risulta più applicabile quando i gruppi sono nuovi. La teoria della gestione del terrore La teoria della gestione del terrore (Greenberg, ’96) ha un approccio diverso. Secondo la teoria gli umani hanno un fortissimo istinto di sopravvivenza. A differenza degli altri animali, inoltre, hanno la capacità di comprendere di essere mortaliil pensiero della morte può paralizzare dalla pauraper affrontare questa paura, gli uomini adottano una visione culturale del mondo (valori, credenze, norme sociali) che dà significato al mondo e fa credere che la propria vita sia importante e significativala visione culturale del mondo permette di trascendere la morte, sia con credenze sulla vita dopo la morte sia con tracce culturali durature per non essere dimenticati. Le persone che sono convinte di vivere rispettando i valori della propria visione culturale del mondo hanno un’autostima alta (pensano di raggiungere in qualche modo l’immortalità). Quindi credere in una visione culturale del mondo aiuta a vincere la paura della morte. Invece ricordare la mortalità fa aumentare il bisogni di ricorrere alla visione culturale del mondoaumentare gli sforzi per proteggere quella visione culturale del mondo da coloro che non la rispettano. In queste situazioni gli individui valutano in modo positivo i membri dell’ingroup perché confermano la propria visione culturale del mondo, mentre valutano in modo negativo i membri dell’outgroup perché diversi e quindi sono una minaccia alla propria visione culturale del mondo. In un esperimento Greenberg et. al chiesero a dei partecipanti cristiani di esprimere le proprie impressioni su soggetti cristiani ed ebrei, dopo aver ricordato ai partecipanti la prospettiva della morte (accentuazione della salienza della mortalità). Greenberg et. al scoprirono che la salienza della mortalità era predittiva di una valutazione positiva degli individui cristiani (ingroup) e negativa degli ebrei (outgroup)in una condizione di salienza della mortalità si ha maggior pregiudizio intergruppi. Questa teoria può contribuire a spiegare il comportamento intergruppo estremo ma anche la semplice denigrazione dell’outgroup. Nel corso di gravi conflitti tra membri di gruppi con visioni del mondo opposte, i membri di un gruppo possono ricorrere all’annientamento dell’outgroup per due ragioni:  se i membri dell’outgroup muoiono mentre quelli dell’ingroup continuano ad esistere, i membri dell’ingroup possono pensare di avere la visione del mondo corretta, dato che la visione del mondo dell’outgroup non è stata sufficiente a proteggerlo dalla morte.  Uccidendo i membri dell’outgroup, il numero delle persone con la visione del mondo considerata minacciosa può essere ridotto o addirittura azzerato l’annientamento dei membri dell’outgroup può ridurre l’ansia della morte perché protegge la propria visione culturale del mondo e la propria concezione della realtà. Riflessione personale: la visione culturale dell’outgroup può sminuire quella dell’ingroup, rendendo vane le credenze e la fiducia nelle proprie norme sociali, compresi i sacrifici ‘fatti per niente’ se la visione dell’outgroup fosse più corretta. In uno studio di Hayes et. al fatto per verificare questa teoria, alcuni partecipanti furono assegnati a tre condizioni. Nella condizione di minaccia della propria visione del mondo, i partecipanti leggevano un articolo di cronaca su come i musulmani stessero minacciando la popolazione cristiana di Nazareth. Nella condizione di annientamento, i partecipanti leggevano lo stesso articolo ma alla fine veniva detto che dei musulmani erano morti in un incidente mentre viaggiavano su un aereo verso Nazareth, Nella condizione di controllo, i partecipanti leggevano un articolo neutrale. Subito dopo i partecipanti completavano un test di misurazione dell’‘’accessibilità al pensiero della morte’’ e veniva chiesto di indicare quanta simpatia avessero in generale per gli islamici. I partecipanti della condizione di minaccia alla propria visione del mondo tendevano molto a pensare alla morte e avevano meno simpatia per gli islamici; invece i partecipanti della condizione di annientamento tendevano molto meno a pensare alla morte e avevano la stessa simpatia per gli islamici come il gruppo di controllo. sapere dell’annientamento di membri dell’outgroup allontanava le persone dall’ansia correlata al pensiero della morte e portava a una minore denigrazione dell’outgroup. Questi risultati possono far capire perché a volte degli individui compiano azione estreme per proteggere la propria visione culturale del mondo. Nonostante questa dimostrazione, la teoria della gestione del terrore ha due critiche principali: 1. Ci sono delle possibili interpretazioni alternative per gli effetti legati alla salienza della mortalità. Gli effetti osservati sarebbero dovuti ad una minaccia generica più che ad una minaccia collegata in specifico alla morte. È dimostrato che rendere saliente il senso di incertezza è più predittivo, rispetto alla salienza della mortalità, delle reazioni individuali alla violazione della propria visione del mondo. 2. Questo effetto dipende dal contesto: le valutazioni negative sull’outgroup sono accentuate quando c’è una situazione di salienza della mortalità. Tuttavia non è chiaro quanto spesso si pensi effettivamente alla propria morte. La maggior parte delle persone non pensa alla propria morte così spesso da spiegare la vasta diffusione del pregiudizio e della discriminazione nella società. la teoria della gestione del terrore non spiega del tutto perché le persone hanno pregiudizi, ma può spiegare solo come si può accentuare il pregiudizio in contesti in cui si ha salienza della mortalità. MIGLIORARE LE RELAZIONI INTERGRUPPI Nel cap. 11 si è visto l’uso del contatto intergruppo come mezzo per ridurre il pregiudiziomigliora le relazioni intergruppi cambiando il modo di pensare e i sentimenti riferiti all’outgroup. Ci sono altri approcci alternativi per migliorare le relazioni intergruppomodificano la percezione del rapporto tra l’outgroup e l’ingroup. Questi approcci sono: il modello dell’identità dell’ingroup comune, la categorizzazione incrociata e la categorizzazione multipla. Il modello dell’identità dell’ingroup comune Secondo il modello dell’identità dell’ingroup comune (Gaertner, Dovidio, 2000) le relazioni intergruppi possono essere migliorate attraverso la ricategorizzazione da una rappresentazione duale (‘’noi’’ e ‘’loro’’) a una rappresentazione unica di un solo gruppo. Il modello della complessità dell’identità sociale (Roccas e Brewer, 2002) è connesso a questo approccio. Secondo il modello poter cambiare il modo in cui si percepisce se stessi (e quindi definirsi con identità multiple) può portare vantaggi per le relazioni intergruppi. La rappresentazione che gli individui hanno della propria appartenenza a gruppi multipli può variare in base a una dimensione detta complessità dell’identità sociale: rappresentazione soggettiva da parte di un individuo delle interrelazioni tra le proprie identità multiple all’interno dei gruppi ai quali appartieneè il grado si sovrapposizione percepita tra i gruppi a cui una persona fa parte contemporaneamente. Una bassa complessità è rappresentata da un’alta sovrapposizione tra appartenenza al gruppo e caratteristiche. Un’alta complessità è, al contrario, rappresentata da ciascuna categoria dell’ingroup distinta dalle altre per appartenenza e caratteristiche (appartenenza incrociata a più categorie)è associata a una maggiore tolleranza verso l’outgroup e un maggior consenso verso il multiculturalismo. Solo recentemente si è iniziato ad applicare questo approccio della categorizzazione multipla ai contesti educativi per mettere a punto gli interventi per ridurre il pregiudizio. Secondo la teoria cognitivo-evolutiva il processo di categorizzazione è abbastanza rigido nella prima infanzia, specie riguardo alla classificazione di oggetti in categorie. BOX L’identità è multidimensionale? Mancini e Montali (2009) hanno ipotizzato che il costrutto dell’identità sociale sia caratterizzato da molteplici componenti. Secondo alcuni, ci sono varie dimensioni:  Dimensione cognitiva: legata al processo di auto-categorizzazione (definizione di sé come appartenente a un determinato gruppo)  Dimensione valutativa: legata agli atteggiamenti positivi o negativi che derivano dal confronto social  Dimensione affettiva: legata ai legami emotivi con il gruppo di appartenenza Mancini e Montali hanno esaminato la relazione tra la dimensione comportamentale e le componenti cognitive e valutative dell’identità sociale attraverso due studi (partecipanti sardi). Attraverso il confronto tra appartenenze categoriali diverse (etnico-culturale, nazionale e professionale) sono stati considerati gli aspetti cognitivi, valutativi e comportamentali. 157 impiegati di un’azienda e 360 adulti residenti o provenienti dalla Sardegna hanno compilato un questionario con delle scale relative agli aspetti cognitivi (es. importanza per il soggetto di una certa appartenenza), valutativi (es. quanto il soggetto si ritiene un buon membro di un gruppo) e comportamentali (riferiti all’identità professionale e all’importanza di sentirsi parte dell’org.). I risultati evidenziano il fatto che il costrutto dell’identità sociale è caratterizzato da molteplici componenti che riflettono diverse funzioni. Le tre dimensioni considerate, seppur distinte, sono strettamente correlate tra loro. La dimensione comportamentale dà il contributo maggiore. PROCESSI DI GRUPPO Si è vista l’influenza che le altre persone esercitano sul modo in cui si pensa, si sente e ci si comporta. Cosa accade quando qualcuno è inserito all’interno di un gruppo e interagisce con le altre persone? In questo caso l’influenza riguarda la produttività, il processo decisionale e la leadership. I GRUPPI Cos’è un gruppo? Un gruppo è caratterizzato dal fattore di coesionequando i pensieri e le azioni di un individuo tendono a coincidere con quelli di un aggregato di altre persone, la coesione sociale aumenta. I gruppi coesi esercitano un’influenza sociale maggiore (vedi cap. 10 influenza sociale) e i loro membri sono in genere più coinvolti. La coesione è inversamente proporzionale alla dimensione del gruppo: più membri ci sono, più è difficile conservare la coesione. Inoltre, i gruppi sono caratterizzati dalla somiglianza e dall’interconnessione. La formazione di categorie (vedi cap. 3) mette in risalto le somiglianze e riduce le differenze all’interno di un gruppociò avviene in genere per i gruppi perché hanno un obiettivo comune che è la reale base della somiglianza. Entitatività L’entitatività è un concetto usato per definire i gruppi che riassume le caratteristiche visteè il grado per cui un gruppo di individui è percepito come ‘’gruppalità’’. Comprende concetti come coesione, interconnessione, somiglianza, obiettivi comuni, importanza del gruppo e interazione fisica (ma non solo, internet?) tra i membri del gruppo. Secondo Lickel et al. I gruppi si possono suddividere in quattro classi con entitatività crescente (dal più basso al più alto di seguito):  Aggregati di persone (bassa entitatività): es. le persone che vivono in una stessa strada, chi ascolta lo stesso genere…  Categorie sociali: nazionalità, etnia, religione  Gruppi di lavoro: hanno un obiettivo comune, es. colleghi, associazione…  Gruppo intimo (alta entitatività): famiglia, partner in una relazione sentimentale, amici. LA PRODUTTIVITA’ DI UN GRUPPO Facilitazione e inibizione sociale Ora si vedranno i gruppi con bassa entitativitàper un certo senso non sono gruppi. Studi di Allport (’20) sull’impatto della presenza di altre persone sulla prestazione individuale. Allport introduce il termine facilitazione sociale: tendenza delle persone a migliorare la propria prestazione quando si è in presenza di altri individui (osservato inizialmente da Triplett nel 1897). La facilitazione sociale era uno degli effetti più studiati in psicologia inizialmente, perché era riscontrato sia nell’uomo che negli animali. Il tipo di compito è una determinante essenziale perché avvenga la facilitazione sociale. Infatti a volte di ha una reazione oppostainibizione sociale: in presenza di altre persone la prestazione peggiora. la presenza di altri migliora la prestazione di compiti semplici mentre peggiora la prestazione di compiti difficili. (legge Yerksen-Dodson, presenza di altriaumento arousal ?) Spiegazioni della facilitazione e dell’inibizione sociale Ci sono tre principali teorie che spiegano perché la presenza di altri facilita la prestazione nei compiti semplici e la inibisce nei compiti complessi: la teoria della pulsione, l’apprensione per la valutazione, il conflitto di attenzione. 1. La teoria della pulsione Zajonc (vedi cap. 5 atteggiamenti) ipotizzò che la facilitazione e l’inibizione sociale possano essere spiegati dall’attivazione fisiologica (arousal). Si basa su due assunti: 1) la presenza di altri porta ad attivazione fisiologica. Quest’idea è di tipo evoluzionistico: gli organismi provano attivazione fisiologica per essere pronti alla risposta quando sono in presenza di altri, perché possono essere una minaccia alla sopravvivenza oppure un’opportunità di riproduzione. 2) l’attivazione fisiologica migliora la prestazione sia delle tendenze dominanti sia di quelle apprese alla rispostal’arousal può portare ad affidarsi e dipendere di più dalle risposte dominanti o apprese (vedi cap. 2 e 12 per automatismo). Se si avrà facilitazione sociale oppure inibizione sociale dipende dal fatto che la risposta dominante provocata dall’attivazione fisiologica sia corretta oppure no per il compito che si sta affrontandose il compito consiste in un’attività ben appresa (quini si presume sia facile), la presenza di altri (pubblico) aumenterà l’attivazione fisiologica e la risposta appresa (dominante) sarà migliore; se il compito consiste in un’attività non ben appresa, l’attivazione fisiologica provata in presenza di altri (e la scarsità di risorse cognitive) inibirà la risposta per risolvere il compito. (Yerksen-Dodson?) Da notare che non è solo la semplicità o complessità del compito che determina la facilitazione o inibizione sociale, ma la corrispondenza tra risposta dominante e richieste del compito. Spesso questi due aspetti sono legati e variano insieme (covariano): le risposte dominanti e apprese saranno più probabili nei compiti semplici, ma non nei compiti più complessi. Per questo gli esperti, ritenendo il compito in questione facile, sono avvantaggiati dalla presenza di altre persone, perché l’attivazione migliora la prestazione del compito per loro semplice. 2. Apprensione per la valutazione Questa spiegazione non mette in discussione il fatto che l’attivazione fisiologica aumenti la tendenza a dare risposte apprese (in genere corrette nei compiti semplici ed errate nei compiti complessi), ma nega l’ipotesi che sia la semplice presenza degli altri a causare l’attivazione. Quali caratteristiche ha un leader? Bisogna ricordare che i leader e i gruppi sono influenzati dal contesto. Le caratteristiche di personalità Secondo credenze generalizzate, i leader hanno caratteristiche di personalità particolari che li rendono adatti a esercitare una forte influenza sugli altri membri di un gruppo. Le caratteristiche di un leader sono:  Sicurezza: i membri di un gruppo tendono maggiormente a seguire un leader che sembra sicuro delle proprie capacità ed è convinto di come guidare il gruppo.  Eloquio: i membri di un gruppo con buone capacità di parlare sono in genere scelti come leader del gruppo, forse perché le persone più loquaci attirano maggiormente l’attenzione su di sé e sono più riconosciuti dal resto del gruppo.  Intelligenza: in genere i leader tendono ad avere un’intelligenza superiore alla media, necessaria per affrontare in maniera efficace i problemi che il gruppo affronta.  Altro: estroversione, apertura ad esperienze, consapevolezza, altezza, attrattività. Critiche: nonostante queste evidenze, ci sono molte critiche per due ragioni: 1. Molti altri studi non hanno trovato la relazione tra leadership e personalità. 2. Pochi leader conservano la loro leadership in modo duraturose la personalità fosse il fattore chiave della leadership, i leader rimarrebbero popolari e potenti invece di essere messi in discussione e sostituiti. l’altro fattore importante da considerare sono i fattori situazionali. Le determinanti situazionali Il successo della leadership dipende dall’interazione tra le caratteristiche di personalità del leader e della situazione. La personalità di un individuo possono renderlo adatto alla guida del gruppo in alcune situazioni, ma non in altre. Le caratteristiche necessarie affinché un leader risulti efficace possono essere diverse a seconda che la cultura sia collettivista o individualista. Nelle culture collettiviste i leader migliori favoriscono le relazioni positive tra i membri del gruppo e incoraggiano un’atmosfera di cooperazione e coesione. Al contrario, nelle culture individualiste i leader migliori sono considerati coloro che si concentrano sul raggiungimento degli obiettivi comuni più che sulle dinamiche del gruppo, premiando i successi ottenuti dai singoli membri del gruppo. Lo stile di leadership La leadership autocratica, democratica e permissiva (teorie sulla personalità) Lippitt e White (’43) hanno svolto una ricerca classica sullo stile di leadership. I ricercatori formarono dei complici ad adottare tre diversi stili di leadership (autocratico, democratico, permissivo) prima di affidare loro l’incarico di leader.  Leader autocratici: distaccati, organizzano e danno ordini.  Leader democratici: intervengono direttamente nelle attività, discutono con i membri del gruppo facendoli sentire partecipi.  Leader permissivi: hanno poco interesse, lasciano che il gruppo si organizzi da solo, intervengono solo se necessario. Ad ogni gruppo era assegnato uno stile diverso di leadership, che ruotava dopo alcune settimane (per non far confondere lo stile con le caratteristiche personali del complice). Infine, i ricercatori valutarono il gradimento, l’atmosfera e la produttività del gruppo. I leader democratici sono preferiti dai membri del gruppoquesti leader creano un’atmosfera amichevole, di cooperazione e orientata al compito, associata ad alta produttività del gruppo indipendentemente dalla presenza del leader. I leader democratici e i leader permissivi piacevano meno, ma per ragioni diverse. I leader autocratici creano un’atmosfera conflittuale legata ad alta produttività ma solo se il leader è presente. I leader permissivi creano un’atmosfera distesa e di cooperazione, ma il livello di produttività è basso e aumenta solo in assenza del leader. La leadership orientata al compito e socio-emotiva Bales (’50), fondandosi su studi successivi a quelli di Lippitt e White, ipotizzò due tipi di leadership: una orientata al compito e una socio-emotiva. I leader orientati al compito si occupano principalmente di raggiungere i fini e gli obiettivi del gruppo, concentrandosi su quanto necessario per farlo; sono intelligenti, risoluti, efficienti, ma tendono a tenersi a distanza dagli altri membri del gruppo. I leader socio-emotivi prestano maggiore attenzione alle dinamiche del gruppo e si adoperano perché i membri per creare coesione e un’atmosfera amichevole; sono affidabili, empatici e capaci di risolvere tensioni. Secondo Bales non è possibile essere entrambi i tipi di leader contemporaneamenteun gruppo ha bisogno idealmente di due leader: uno orientato al compito (per avere una guida ed essere produttivo), e uno socio- emotivo (per avere armonia e coesione). Questi due tipi di leadership possono essere applicati agli stili di leadership di Lippitt e Whitei leader autocratici sono molto orientati al compito e poco al livello socio-emotivo; i leader permissivi sono molto orientati all’aspetto socio-emotivo e poco al compito; i leader democratici sono sia orientati al compito che all’aspetto socio-emotivosecondo Lippitt e White, e confermato da ricerche successive, l’aspetto del compito e socio-emotivo possono essere presenti entrambi allo stesso momento in un leader e non sono separati rigidamente l’uno dall’altro. i leader più efficaci sono quelli che riescono meglio a integrare i due aspetti del compito per gli obiettivi e quello socio-emotivo per creare un’atmosfera positiva e buone relazioni nel gruppo. La leadership trasformazionale I leader trasformazionali sono in grado sia di dirigere il gruppo che di cambiarne radicalmente la direzione influenzando gli atteggiamenti e il comportamento. I leader orientati al compito o socio-emotivi possono essere anche trasformazionali. I leader trasformazionali hanno la capacità di motivare gli altri membri a rinunciare ai propri interessi personali a vantaggio degli interessi di gruppo. (Mandela esempio di leader trasformazionale). Secondo Bass (’85) ci sono tre caratteristiche comuni ai leader trasformazionali: 1. Carisma: la loro personalità ispira e motiva i membri (seguaci) a impegnarsi nel raggiungimento degli obiettivi del gruppo, sanno parlare bene, usano il contatto visivo e i segnali non verbali. 2. Considerazione individuale di ciascun membro con rispetto, dando a tutti la possibilità di apprendere e affidano a ciascuno compiti importanti. 3. Stimolo intellettivo sui membri del gruppo per pensare in modo diverso a risolvere i problemi inerenti al gruppo. Però la leadership trasformazionale non è adatta a tutte le situazioni: è utile in situazioni turbolente quando il futuro del gruppo è incerto; invece uno stile democratico è più adatto in situazioni stabili. Comunque, sono pochi i leader puramente trasformazionalidifficile trarre conclusioni. Teorie situazionali e dello stile Queste teorie sottolineano l’interazione tra lo stile di leadership (personalità) e gli elementi della situazione. Queste teorie sono divise in due tipi: 1. Teoria delle contingenze: spiega come lo stile di leadership interagisce con la situazione e ne determina il grado di successo della leadership. 2. Teoria dello scambio leader-seguaci e teoria dell’identità sociale: studiano l’interazione tra lo stile di leadership e i membri del gruppo. L’interazione leader-situazione Secondo la teoria delle contingenze (Fiedler,’65) l’efficacia di un leader dipende da quanto lo stile di leadership è adatto alla situazione in cui viene a trovarsi un gruppo. Per questa teoria, i leader hanno la tendenza a essere: socio-emotivi oppure orientati al compito (come per Bales). Fiedler sviluppò la scala di valutazione del collaboratore meno preferito (LPC) per determinare verso quale stile di leadership sono orientate le persone. I partecipanti devono valutare le dimensioni di tutte le persone con le quali hanno lavorato. Gli individui che valutarono anche il loro collega meno preferito in modo abbastanza positivo avevano un LPC altoleader socio-emotivi (orientati alla relazione), che riescono a gestire anche dipendenti difficili. Gli individui che valutarono il loro collega meno preferito in modo negativo erano classificati con un LPC bassoleader orientati al compito, considerano gli obiettivi del gruppo più importanti delle loro relazioni con i singoli membri del gruppo. Il grado di controllo sulla situazione posseduto dal leader determina se sarà più efficace lo stile socio-emotivo o lo stile orientato al compito. Il controllo della situazione è determinato da tre fattori:  Relazioni leader-membri devono essere armoniose.  Struttura dei compiti del gruppo deve essere chiara e gli obiettivi ben definiti  Autorità legittima del leader sui membri del gruppo. In queste condizioni è relativamente facile guidare un gruppo in modo efficace.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved