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riassunto del periodo primo dopoguerra e biennio Rosso, Dispense di Storia

riassunto esaustivo del periodo primo dopoguerra e biennio Rosso

Tipologia: Dispense

2019/2020

Caricato il 14/06/2020

adriano-cuozzo
adriano-cuozzo 🇮🇹

4.3

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22 documenti

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Scarica riassunto del periodo primo dopoguerra e biennio Rosso e più Dispense in PDF di Storia solo su Docsity! Adriano Di Gregorio Il primo dopoguerra e il biennio rosso La Prima guerra mondiale, oltre ad essere stata una carneficina, aveva provocato dei grandissimi cambiamenti e aveva creato quella che fu definita la “Società di massa”. I popoli erano definitivamente entrati nella storia: avevano combattuto, erano morti e ora volevano essere ascoltati. Per la prima volta si erano organizzati in gruppi, come le associazioni, i partiti e i sindacati. Ogni nazione europea, dopo la guerra, dovette affrontare tutta una serie di enormi problemi, che erano di difficilissima soluzione. Primo fra tutti fu il problema del reinserimento dei reduci, i quali, una volta tornati a casa, trovarono una situazione completamente diversa rispetto a prima. Molti erano feriti e inabili al lavoro, altri si ritrovarono disoccupati e quindi i loro sacrifici non solo non furono premiati, ma furono addirittura nocivi. Per questo motivo nacquero le associazioni di combattenti che chiedevano i loro diritti; purtroppo però, siccome gli stati erano indebitati, non assecondarono mai le loro richieste. Tutti gli Stati, sia vincitori sia vinti, avevano speso cifre enormi per la guerra e quindi, per far fronte a questa situazione, dovettero aumentare le tasse e indebitarsi con gli Stati Uniti d'America che non erano stati toccati dalla guerra. Siccome non bastavano né le tasse né i prestiti, gli stati si misero a stampare moneta e quindi l’inflazione salì. Un altro grande problema fu quello della riconversione industriale. Durante la guerra molte industrie si erano arricchite grazie alle commesse (gli ordini) che arrivavano da parte degli stati. Invece di produrre scarpe, facevano anfibi, invece di produrre vestiti, facevano divise e così via; l'industria mondiale, di conseguenza, produceva a ritmi altissimi, perché gli Stati in guerra avevano bisogno di tante cose e in fretta. Per far fronte velocemente alle richieste degli stati in guerra, molte aziende assunsero altra manodopera. Quando la guerra finì, però, gli industriali persero una grandissimo cliente, come lo stato, e quindi ridussero la produzione e licenziarono moltissimi operai assunti durante la guerra. Tra il 1918 e il 1920, licenziamenti, inflazione e disoccupazione provocarono una serie di scioperi, di proteste e di lotte che gli storici hanno chiamato “Biennio Rosso”. Nelle elezioni avanzò fortemente il partito socialista, sia perché si era schierato a fianco degli operai, sia perché, in quegli anni, era entusiasta per le notizie che arrivavano dalla Russia, nella quale gli operai avevano preso il potere e avevano fatto sognare un nuovo mondo. Gli operai riuscirono ad ottenere molte rivendicazioni sindacali ma, nelle stesso tempo, spaventarono le classi borghesi, terrorizzate dallo spettro del comunismo e dalla Russia. Le democrazie più stabili e con una classe borghese forte, come l'Inghilterra e la Francia, resistettero meglio, le democrazie più traballanti e con una borghesia debole, come la Germania e l'Italia, furono travolte. I partiti operai, però, si divisero: dopo la presa del potere dei bolscevichi in Russa, il problema era: fare come in Russia, con la rivoluzione, oppure portare avanti le riforme. I rivoluzionari furono chiamati comunisti e i riformisti, invece, socialisti. In Germania ad esempio ebbe la meglio la via rivoluzionaria e i comunisti tedeschi, raggruppati in quella che fu chiamata “Lega di Spartaco”, tentarono una rivoluzione come quella russa, ma furono sconfitti perché la borghesia tedesca era molto forte e si oppose con ogni mezzo a questa rivoluzione. Nelle città tedesche, nel caos più totale, erano persino sorti dei soviet. Nella notte tra il 5 e il 6 gennaio del 1919, nonostante il gelo berlinese, migliaia di operai scesero in piazza e la lega di Spartaco ne approfittò per prendere il potere. La reazione di tutti i partiti, anche della socialdemocrazia tedesca – socialisti riformisti – fu durissima. La rivoluzione fu repressa ferocemente e la leader della rivoluzione comunista tedesca, Rosa Luxemburg, fu uccisa insieme agli altri capi. Poco dopo a Weimar, in questo clima da guerra civile, nacque la nuova repubblica tedesca a base socialdemocratica, chiamata Repubblica di Weimar, che raccoglieva i cocci della Germania. Oltre al pericolo che proveniva dai comunisti, anche i nazionalisti tedeschi protestarono in maniera violenta e molte volte si arrivò allo scontro. I nazionalisti portarono avanti la stupidaggine della “pugnalata alla schiena”, secondo la quale, se i generali tedeschi non si fossero arresi, avrebbero di sicuro vinto la guerra. Di conseguenza i generali tedeschi – visto che si erano arresi – dovevano essere ebrei o comunisti, ma sicuramente non potevano essere tedeschi. Nonostante tutti questi problemi, la Repubblica di Weimar stava riuscendo a normalizzare la situazione sia dal punto di vista economico sia da quello politico. Nel frattempo aveva cominciato persino a pagare le folli rate annuali imposte dalla Francia alla fine della Prima guerra mondiale. Quando si seppe l'ammontare delle rate, però – cifra assolutamente spropositata che doveva essere pagata in 42 rate annuali – la Germania si ritrovò di nuovo nel caos. Non ancora sazia, nel 1923, quando il pagamento di una rata ritardò, la Francia occupò il bacino minerario della Ruhr, per umiliare i tedeschi. Il gruppetto di estrema destra che protestò in maniera più violenta degli altri, proprio nei confronti del pagamento dei danni di guerra, fu quello dei nazionalsocialisti, capeggiati da Adolf Hitler, i quali organizzarono un colpo di stato a Monaco di Baviera. Il colpo di stato fu represso facilmente e nonostante tutto la Germania riuscì a riprendersi. Dopo la pressione degli Stati Uniti, la Ruhr fu restituita e Germania e Francia fecero addirittura una timida pace. Nel 1928 la situazione parve più distesa, ma poi arrivò la crisi del 1929 che fece saltare tutto per aria. L'Italia, sebbene vincitrice, era uscita dalla guerra in maniera disastrosa e lo stato “giolittiano”, cioè la vecchia classe dirigente che gli storici definiscono liberale, non era riuscito a gestire la grave crisi. Proprio per questo motivo, nelle prime elezioni dopo la guerra le masse popolari avevano premiato quei partiti che non erano compromessi né con lo Stato liberale, né con la guerra, come i socialisti e i cattolici che nel frattempo erano tornati a fare politica. Infatti, dopo che Giolitti aveva firmato il “Patto Gentiloni”, con il quale i cattolici italiani avevano il permesso del papa di partecipare alla politica italiana, nel 1919, su iniziativa di don Luigi Sturzo, nasceva il Partito Popolare italiano, una grande novità per il panorama politico italiano. Anche il partito socialista crebbe velocemente, ma crebbe maggiormente la parte rivoluzionaria, cioè quella che voleva fare come la Russia – chiamata massimalista perché erano di più, capeggiata da Antonio Gramsci – e non quella riformista, più moderata. I socialisti rivoluzionari volevano cambiare la situazione prendendo le armi, facendo la rivoluzione e cacciando la vecchia classe dirigente. I problemi che l'Italia dovette affrontare dopo la guerra furono: la ricostruzione, le centinaia di migliaia di pensioni di guerra che lo stato doveva pagare, la “vittoria mutilata” e la riconversione industriale. Ora vediamo uno ad uno cosa vogliono dire. La “Ricostruzione” è semplice da capire: l'Italia, soprattutto quella settentrionale, aveva subito ingenti danneggiamenti a causa della guerra e quindi ora doveva essere ricostruita. I reduci avevano avuto la sensazione che i loro sacrifici per la patria fossero stati inutili, anche perché, tornati a casa, avevano trovato una situazione completamente diversa rispetto a prima. Molti avevano perso braccia o gambe, altri si ritrovarono disoccupati e quindi i loro sacrifici non solo non furono premiati ma furono addirittura nocivi. Nacquero quindi le associazioni di combattenti che difendevano i diritti dei reduci, ma siccome gli stati erano indebitati per via della guerra, non ascoltarono le loro richieste; molti, siccome non potevano più lavorare, chiesero l'elemosina: se lo avessero saputo non sarebbero mai andati al fronte. Cosa vuol dire “Vittoria mutilata”? Secondo il Patto di Londra – quel patto stipulato per convincere l'Italia ad entrare in guerra a fianco dell'Inghilterra e della Francia – in caso di vittoria, all'Italia sarebbero andate molte terre, tra cui la città di Fiume, abitata da italiani. La conferenza di Pace che aveva sancito la fine della Prima guerra mondiale aveva riconosciuto all'Italia solo parte delle terre promesse dal Patto di Londra – Trento, Trieste, l'Alto Adige – ma non la città di Fiume e quindi i nazionalisti cominciavano ad alzare i toni per chiedere la città di Fiume. Il leader della “vittoria mutilata” fu Gabriele D'Annunzio che, con 2600 uomini, occupò militarmente Fiume. Per evitare uno scontro armato con la Jugoslavia, poco tempo dopo, D'Annunzio fu fatto sgombrare dalle truppe italiane stesse. A Fiume si cominciarono a vedere i metodi fascisti, come adunate, marce e dialoghi con la folla. Furono soprattutto gli Stati Uniti d'America, che non avevano firmato il Patto di Londra e che ormai comandavano, a non voler dare la città di Fiume all'Italia. In questo quadro politico – la vittoria mutilata, il problema dei reduci di guerra, la crisi
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