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Riassunto del saggio di M. Baxandall, Sintesi del corso di Storia dell'Arte Moderna

Riassunto del saggio di M. Baxandall

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

Caricato il 17/06/2024

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Scarica Riassunto del saggio di M. Baxandall e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! Pitture ed esperienze sociali nell’Italia del Quattrocento In questa ricerca Baxandall esamina contratti, lettere e registrazioni contabili per individuare le strutture del mercato dell’arte quattrocentesco. Mostra com e il modo di guardare della vita quotidiana nei suoi momenti sociali, religiosi e commerciali si rifletta negli stili pittorici. Il libro ricostruisce i criteri interpretativi e i modi di fruizione dell’opera d’arte figurativa facendo ricordo a quella che è stata definita come archeologia del giudizio: una storia delle esperienze percettive e delle abitudini di una società. Il capitolo primo esamina la struttura del mercato dell’arte nel XV secolo per individuare dati economici che stanno alla base del culto del talento artistico di chi ha la capacitò tecnica e l’abilità pittorica. Il capitolo secondo spiega come la capacità visive sviluppatesi nella vita quotidiana di una società divengano parte determinante dello stile di un pittore. Ciò implica la necessità di mettere in relazione lo stile della pittura con l’esperienza derivante dall’attività di predicazione, danza e la misurazione delle capacità dei barili. Giunge infine alla definizione delle abitudini visive del pubblico del Quattrocento, proponendo inoltre un esame dei termini usati dal migliore critico d’arte dell’epoca, Landino, per descrivere la pittura di Masaccio, Filippo Lippi, Andrea del Castagno e Beato Angelico. La storia sociale e la storia dell’arte sono strettamente connesse in quanto si chiarificano a vicenda. Ribaltando infatti tale equiparazione possiamo suggerire che le forme e gli stili della pittura possono acuire la nostra percezione della società: è molto difficile, essendo i materiali della storia sociale molto scarsi, comprendere cosa significasse essere una persona di un certo tipo in una certa epoca e in un certo luogo. Dunque lo stile pittorico è utile: una società sviluppa le proprie capacità e abitudini, eminentemente visive essendo la vista il principale organo di esperienza ed esse divengono parte degli strumenti espressivi del pittore. Dunque un dipinto antico è un documento di un’attività visiva e lo si deve imparare a leggerlo alla stregua di un testo; illustrano infatti la possibilità di intuire cosa volesse dire intellettualmente e sensibilmente essere una persona del Quattrocento. I. Le condizioni del mercato Un dipinto del XV secolo è la testimonianza di un rapporto sociale che vede da un lato un pittore, dall’altro qualcuno che lo commissionava (egli verrà chiamato cliente). Entrambi lavoravano all’interno di istituzioni e convenzioni: commerciali, religiose, percettive e sociali, diverse dalle nostre e che influivano sulle forme dell’opera che artista e committente creavano insieme. La pittura di migliore qualità in questo Secolo veniva infatti realizzata su commissione e il cliente ordinava un prodotto specificandone le caratteristiche; il cliente e l’artista stipulavano di comune accordo un contratto legale in cui quest’ultimo i impegnava a consegnare quanto il primo- in modo più o meno dettagliato- aveva concepito. I criteri adottati nel quattrocento per stabilire il prezzo dei manufatti così come le diverse forme di pagamento in uso per maestri e prestatori d’opera, hanno entrambi una profonda incidenza sullo stile dei dipinti che vediamo noi oggi: i dipinti sono infatti fossili della vita economica. Non risulta particolarmente utile indagati i motivi individuali che spingevano i committenti a ordinare i dipinti: c’è un complesso di molteplici motivazioni che varia leggermente da caso a caso. Il piacere del possesso, un’attivazione devozione, un certo tipo di coscienza civica , il desiderio di lasciare un ricordo di se e forse anche di farsi pubblicità, la necessità di un uomo ricco di trovare una forma di riparazione che gli desse insieme merito e piacere, un gusto per i dipinti (si pensi a Giovanni Rucellai: tutte le cose mi hanno dato contentamento perchè riguardano in parte all’onore di Dio e all’onore della città e a memoria di me). Il cliente inoltre non aveva bisogno di analizzare le proprie motivazioni soprattutto perchè in genere si serviva di forme istituzionalizzate- la pala d’altare, la Madonna nella stanza da letto, la cappella di famiglia- che gli razionalizzavano implicitamente i suoi motivi. È sufficiente dunque sapere che l’uso primario del dipinto era quello di essere osservato e ammirato: il suo scopo era quello di fornire stimoli piacevoli, indimenticabili e proficui. Nel XV secolo la pittura è ancora troppo importante per essere lasciata ai pittori: il mercato dell’arte era abbastanza diverso da come si presenta oggi nella nostra concezione tardo romantica (e post industriale), in cui i pittori dipingono ciò che ritengono meglio e solo dopo vanno alla ricerca di un acquirente; al contrario il quattrocento fu un periodo di pittura su commissione. Una distinzione tra pubblico e privato non si addice molto alla pittura del XV secolo. Le commesse dei privati infatti avevano spesso un ruolo decisamente pubblico, erano destinate a luoghi pubblici. Una distinzione più pertinente si ha tra le commesse controllate dalle grandi istituzioni corporative come le fabbriche delle cattedrali e le allogagioni di singoli individui o piccoli gruppi di persone. Il pittore di solito veniva assunto e controllato da un piccolo gruppo o da un singolo; ciò significa che si trovava ad avere un rapporto diretto con il cliente profano: un privato cittadino, un priore o un funzionario del principe, comunque sia anche nei casi più complessi lavorava per qualcuno chiaramente identificabile. In questo differiva dallo scultore che spesso lavorava per grandi imprese comunali dove il controllo del profano era molto meno stretto. Il pittore era più esposto dello scultore, sebbene nella maggior parte dei casi non ci sia testimonianza dell’interferenza del cliente. Vi è una lettera di Filippo Lippi a Giovanni de Medici che è uno dei casi più rari in cui ci si può rendere conto del peso del committente: nel 1457 dipinse per lui un trittico destinato in dono al re Alfonso V di Napoli, un mossa del quadro della diplomazia medicea. In esso descriveva dettagliatamente il trittico secondo il progetto, compresa la cornice, della quale chiedeva approvazione. In quali settori tuttavia il cliente interventi a direttamente? C’è una categoria di documenti legali che riportano gli elementi essenziali relativi al rapporto che stava alla base dei dipinti, accordi scritti circa i principali obblighi contrattuali delle due parti; alcuni di essi sono contratti notarili veri e propri, altri sono invece ricordi meno elaborati dalla minore retorica notarile. Uno degli accordi meno atipici fu quello stipulato dal Ghirlandaio e il priore dello spedale degli innocenti a Firenze, che si riferisce all’Adorazione dei Magi (1488), ancora oggi in locu. Tale contratto tiene conto di tre temi principali di questi tipi di accordo: specifica ciò che il pittore deve dipingere, sulla base di un disegno concordato; si esplicitano modi e tempi di pagamento da parte del cliente e i termini di consegna del pittore; si insiste sul fatto che il pittore debba stare colori di buona qualità: specialmente il blu e l’azzurro ultramarino. La quantità di dettagli e la loro precisione variava tra i diversi contratti. Le istruzioni circa il soggetto del dipinto in genere non entrano nei particolari: alcuni elencano le singole figure ma la richiesta del disegno è in genere più frequente ed efficace. Una forma forfettaria versata a rate, come nel caso del Ghirlandaio, era di solito la forma con cui veniva effettuato il pagamento, ma talvolta le spese del pittore erano distinte da quelle del lavoro: il cliente poteva fornire al pittore i colori più costosi e pagati il pittore per il tempo impiegato e le sue capacità: quando Filippino dipingeva la Cappella Carafa nella chiesa della Minerva il cardinale gli diede 2000 ducati per il suo apporto personale e pagò a parte per i suoi assistenti e l’azzurro ultramarino. Nel caso del contratto del Ghirlandaio si insiste sul fatto che il pittore usi colori di buona qualità, soprattutto per l’azzurro u e dell’oro: ciò è ampliamento giustificato dal fatto che dopo oro e argento questo colore era quello più costoso e di più difficile impiego usato dal pittore (vi erano anche dei sostituti più economici noti come azzurro d’alemagna, carbonato di rame, meno brillante e resistente). Esso si otteneva dai lapislazzuli importanti in polvere a caro prezzo dall’oriente, tale polvere veniva filtrata diverse volte per ricavare il colore e il primo prodotto- di tonalità azzurro-violetta- è molto intenso e il più caro. Alcuni contratti arrivano addirittura a specificare una specifica qualità (es. da 4 fiorini l’oncia). Arriviamo a comprendere abbastanza bene come esso venga usato solo per sottolineare la figura principale del cristo o della madonna in una scena biblica, ma gli usi più interessanti sono più sottili. Nel pannello del Sassetta San Francesco Rinuncia ai suoi beni della National Gallery la tunica che san francesco rifiuta è azzurro u. Nella crocifissione di Masaccio il gesto del barrico destro di san Giovanni, essenziale nella narrazione, è sottolineato dall’azzurro ultramarino. Non tutti gli artisti lavoravano con contratti di questo tipo, in particolare alcuni artisti lavoravano per dei principi per i quali percepivano uno stipendi, come nel caso di Mantegna per Ludovico Gonzaga, dal 1460 sino al 1506. Tuttavia la posizione del Mantegna è peculiare: ciò che più comunemente regolava il carattere del mecenatismo del Quattrocento era la pratica commerciale documentata dai contratti. Interessante è notare come nel corso del secolo si verificano graduali cambiamenti: ciò che era importante in una tavola del 1410 lo era talvolta meno nel 1490: un aspetto molto importante che costituisce una delle chiavi di lettura per comprendere il Quattrocento sta nel fatto che mentre i colori preziosi perdono il ruolo di primo piano, la richiesta di abilità pittorica assume maggior rilievo. Nel corso del secolo si parla sempre meno nei contratti dell’oro e dell’azzurro oltremnarino: continuano si ad essere menzionati, ma sono sempre meno il centro dell’attenzione e l’oro viene sempre più riservato alla cornice. Si ha l’impressione che i committenti comincino a badare meno all’esigenza di fare sfoggio della preziosità dei materiali fine a se stessa. Tale evoluzione fa parte di una tendenza generale dell’Europa occidentale dell’epoca verso una sorta di limitazione selettiva dell’ ostentazione che si manifesta anche in altri tipi di comportamento, per esempio nell’abbigliamento. Tale abbandono dello splendore dorato deve aver avuto origini molto complesse e differenziate: la netta diminuzione di oro nel XV secolo, la mobilità sociale che recava con se il problema di doversi distinguere dal nuovo ricco, le tendenze dell’ umanesimo neociceroniano che avvalorava i temi dell’ ascetismo cristiano. Analogo è il caso della pittura: a mano a mano che nei contratti il largo uso di oro e azzurro oltremarino limitava la sua importanza, veniva sostituito dalle indicazioni reali e all’uso altrettanto consistente delle abilità vita sociale e da tutte queste attività acquisiva delle capacità di cui si serviva per osservare i dipinti. Ognuno aveva qualcosa di ciascuna delle categorie, nonostante come abbiamo visto fossero diversificate; il pittore perciò si unificava al comune denominatore delle capacità presenti nel suo pubblico per soddisfarlo. Quindi: alcuni degli strumenti mentali con cui l’uomo organizza la sua esperienza visiva possono variare, buona parte di essi sono relativi al dato culturale, essendo determinati dall’ambiente sociale che ha influito sulla sua esperienza. In esse rientrano le categorie per mezzo delle quali classifica i suoi stimoli visivi, le coscienze cui attingerà per integrare il risultato della sua percezione immediata. Il fruitore deve utilizzare nell’analisi di un dipinto le capacità visive di cui dispone e dato che di questo solo pochissime sono relative alla specifica pittura, egli è incline a usare quelle capacità che sono più apprezzate della società in cui vive. Il pittore è sensibile a tutto questo e deve farne i conti. I tipi di capacità visiva di una persona del XV secolo: La maggior parte dei dipinti del XV secolo sono dipinti religiosi , creati dunque in funzione di fini istituzionali cui fornivano il contributo di una specifica attività intellettuale e spirituale. Altresì significa che i dipinti ricadevano sotto la giurisdizione di una teoria ecclesiastica sulle immagini con regole ormai consolidate da tempo. Quale era la funzione religiosa dei dipinti religiosi? Dal punto di vista della chiesa le immagini dovevano avere un triplice scopro come sottolinea il dizionario della fine del XIII di Giovanni di Genova, Il catholicon: ad instructionem rudium, tu carnationis mysetrium magi’s in memoria nostra essent, ad esercitandum devotionis affectum, quid ex visis efficacius excitatur qual ex auditis. Trasformare queste tre ragioni in istruzioni rivolte al fruitore equivale ad usare i dipinti come stimoli che inducono l’uomo a meditare sulla bibbia è sulle vite dei santi. Se le consideriamo delle disposizioni rivolte al pittore, presuppongono che il pittore debba raccontare una storia in modo chiaro per la gente semplice, utilizzando tutte le emozioni che la vista può suscitare. Vi erano altresì degli abusi del pubblico di fronte ai dipinti e nel modo in cui i dipinti potevano essere fatti. L’idolatria rappresentava pure sempre una preoccupazione costante per la teologia; tuttavia essa non assunse mai le proporzioni di un postante problema di pubblico scandalo, come invece avvenne in Germania; l’opinione pubblica pensava che la si potesse considerare solamente un uso scorretto delle immagini, che non poteva dunque costituire un motivo di condanna dell’istituzione stessa delle immagini. Per quanto riguarda poi i dipinti, la chiesa si rendeva conto che c’erano talvolta nelle loro concezioni degli errori che andavano contro la teologia e il buon gusto: soggetti con implicazioni eretiche, soggetti apocrifi, soggetti resi meno chiari dal fatto di essere trattati in modo frivolo e indecoroso. Ad esempio l’adorazione di gentile per Palla Strozzi ritrae scimmie, cani e costumi elaborati che Sant’Antonio, vescovo di Firenze, considerava vani e superflui. Tuttavia quando Sant’Antonio guardava nel complesso i dipinti del suo tempo, può darsi benissimo che egli abbia sentito che nel complesso le tre funzioni assegnate dalla chiesa venissero rispettate: la chiarezza, l’indimenticabilità, e la rappresentazione toccante delle storie sacre. Dunque riformuliamo la domanda: che tipo di pittura il pubblico religiosa avrebbe trovato lucida, vividamente indimenticabile e toccante? Ad ogni persona devota capitava occasionalmente la stessa operazione di visualizzazione interiore dell’immagine ogni volta che comitiva degli esercizi spirituali per i quali era richiesta una capacità di concepire visivamente almeno gli episodi fondamentali della vita di cristo e di Maria. Adotta to una distinzione teologica si potrebbe dire dunque che le visualizzazioni del pittore erano esteriori, quelle del pubblico interiori. La mente del pubblico non era una tabula rasa in cui si potessero imprimere le rappresentazioni che il pittore dava di personaggi o di una storia. Sotto questo profilo l’esperienza quattrocentesca di un dipintore non si limitava soltanto al dipinto che noi vediamo oggi, ma comprendeva anche il processo di visualizzazione che il fruitore aveva precedentemente operato sull’argomento raffigurato nel dipinto stesso. Un manuale di giovani fanciulle, il Zardino de Oration, scritto nel 1454 e stampato più tardi a Venezia spiega l’esigenza di rappresentazioni interiori e il loro ruolo nell’atto di preghiera.: una meditazione che visualizzi così dettagliatamente le storie da arrivare quasi ad ambientarle nella propria città e ad utilizzare come personaggi i propri conoscenti. Il pittore di conseguenza, di regola, cercava di evitare di caratterizzare nei particolari persone e luoghi: ciò avrebbe costituito un’interferenza nella personale visualizzazione di ognuno. I pittori particolarmente ammirati negli ambienti devoti, come Perugino, dipingevano dai tipi di persone comuni che fornivano una base decisamente concreta e evocativa, strutturati secondo schemi di forte suggestione narrativa, per la tipologia dei personaggi a cui il fruitore devoto potesse imporre il suo dettaglio personale, più particolareggiato. La qualità delle principali esperienze della pittura del quattrocento- come il Tributo di Masaccio o la trasfigurazione di Bellini- deriva in gran parte dalla stessa situazione. Dunque, nel caso di Bellini, la trasfigurazione era in risultato- in seno all’esperienza quattrocentesca- di una azione reciproca tra il dipinto e il processo di visualizzazione della mente del pubblico. Spesso i migliori dipinti esprimono la loro cultura non solo direttamente, ma piuttosto in modo complementare, perché è in quanto complementi della cultura che riescono a sodisfare meglio le esigenze del pubblico: il pubblico infatti non ha bisogno di ciò che ha già. Dunque il predicatore com il dipinto facevano parte dell’apparato dell’apparato di una chiesa. Il XV secolo segnò l’ultima occasione per il predicatore popolare di tipo medievale: il V concilio Laterano del 1512-17 prese delle misure per sopprimerli. Questo è uno degli elementi che in italia differenzia il sostrato culturale del Quattrocento da quello del Cinquecento. I predicatori solvevano la loro funzione di insegnanti in modo insostituibile: addestravano i fedeli ad acquisire una serie completa di capacità interpretative legate a doppia maglia con la pittura del Quattrocento. Il susseguirsi delle festività nel corso dell’anno davano la possibilità ad un predicatore come fra Roberto Caracciolo da Lecce di toccare molti temi trattati dai pittori, spiegando il significato degli avvenimenti e risvegliando nel suo uditorio sedimenti di pietà consoni a ciascun episodio. Il predicatore e il pittore erano in sostanza un repetitur l’uno dell’altro. Fra Roberto predicando l’annunciazione distingue tre misteri principali: l’angelica missione, l’angelica Salutatione, l’angelica confabulatione. Ognuno di essi viene discusso in cinque capitoli principali: per quanto riguarda la missione angelica l’interpretazione di Fra Roberto vi individua: congruita, cioè l’angelo come mediatore tra Dio e il mortale; dignità, poiché Gabriele appartiene all’ordine più alto degli Angeli; chiarita, l’angelo di manifesta materialmente agli occhi di Maria; temporalita, il fatto che venerdì 25 marzo, all’alba o a mezzogiorno, ma sicuramente nella stagione in cui la terra si copre di erbe e fiori; la localita, Nazareth. Per il Saluto Angelico: honoratione, l’angelo si inginocchia dinanzi a Maria; exemptione, l’esenzione dalle doglie del parto; la gratificatione, il conferimento della grazia; l’assumptione, l’unione con dio; benedictione, benedizione di Maria unica vergine e madre. Questo è preliminare e marginale rispetto al dramma di Maria visualizzato dal pittore. Si tratta del terzo mistero, l’angelica confaulatione, che chiarisce il sentimento quattrocentesco per quanto le è accaduto nel momento cruciale che il pittore doveva rappresentare. Fra Roberto individua, analizzando il racconto di San Luca, la successione di cinque condizioni mentali o stati d’animo attribuiti a Maria: la conturbatione, in cui la vergine avendo udito il saluto dell’angelo di conturbò per l’ammirazione (24); la cogitatione, in cui Maria pensa al perché di questo saluto (25); l’interrogatione, in cui la vergine interroga l’angelo, poichè desiderava più essere vergine che concepire il figliolo di dio senza verginità (26); l’humilitas, quando abbassando la testa afferma di essere ancilla del signore; la meritatione, quando dette queste parole l’angelo partì e la vergine ebbe il figlio incarnato nel suo ventre. Quest’ultima fa parte delle rappresentazioni della vergine da sola , annunziata (Antonello). Le altre quattro concordavano invece con le rappresentazioni dipinte. La maggior parte delle annunciazioni del XV secolo sono identificabili con Conturbatione o Humiliatione o- molto meno distinguibili- Cogitatione e Interrogatione. Beato angelico nelle sue annunciazione non si allontana mai dall’ umiliazione, mentre Botticelli (28) predilige la Conturbatione. Lo sviluppo emotivo del 400 avvenne all’interno delle categorie che riassumevano l’esperienza emotiva di quel secolo. L’elemento essenziale delle storie era la figura umana e ciò che caratterizzava più le figure non era tanto la fisionomia, quanto il suo atteggiamento. C’erano delle eccezioni: Cristo primo tra tutti, che lasciava meno spazio di altri all’immaginazione personale perchè il XV secolo aveva la fortuna di essere convito di possedere una testimonianza osculare del suo aspetto, che si trovava in un rapporto apocrifo che un Lenulo, governatore della Giudea, avrebbe inviato al senato romano. La Vergine era raffigurata in modo meno uniforme, nonostante i presunti ritratti di san Luca, e c’era un consolidata tradizione di controversie circa il suo aspetto, per esempio il problema della carnagione. Un tema piuttosto diffuso nei sermoni è quello sulla sua bellezza. Lo stesso dicasi per i santi, sebbene molti avessero segni fisici come elementi emblematici di identificazione- come la calvizie di san Pietro- e generalmente consentivano un margine di intervento al gusto individuale e alle tradizioni proprie di ogni pittore. Ci si accorgerà subito se un pittore dedica molto alla fisiognomica. Occorre cogliere lo stretto stretto rapporto tra il movimento del corpo e i moti dell’animo e della mente: altrimenti non potremmo cogliere un dipinto come la scena dall’odissea di Pinturicchio (30); esso rappresenta Telemaco che informa Penelope della sua ricerca di Ulisse o mostra i Proci che sorprendono Penelope nel suo stratagemma di disfare la tela che vuol far credere di tessere? Non conosciamo abbastanza il linguaggio per poter affermare qualcosa con sicurezza. L’espressione fisica dello stato mentale d’animo e spirituale è una delle maggiori preoccupazioni dell’Alberti nel suo trattato sulla pittura, come di Guglielmo Ebreo nel trattato nella danza: i movimenti dell’animo- si afferma- sono espressione die movimenti del corpo. Alla stregua Leonardo dedica mote pagine a sottolinearne l’importanza nella valutazione della pittura: la più importante cosa sono li movimenti appropriati alli accidenti mentali di ciascun animale. Oggi troviamo ambiguo questo genere di sensibilità, perché non crediamo più all’antica fisiologia dello spirito che ne costituiva una spiegazione razionale. Altresì non ci sono dizionari sul linguaggio dei gesti del rinascimento, anche se vi sono delle fonti che offrono delle indicazioni sul significato di un gesto: Leonardo suggeriva due fonti da cui il pittore potesse attingere per i gesti- gli oratori e i muti; possiamo in parte seguirlo prendendo in considerazione due tipi di persone che hanno lasciato una descrizione di alcuni dei loro gesti- i predicatori e i monaci votati al silenzio. Di questi ultimi abbiamo solo pochi cenni he consistono in elenchi del linguaggio dei segni elaborati dall’ordine benedettino per essere usati durante i periodi di osservanza dal silenzio. Attraverso tali segni, siamo spinti- ad esempio- a leggere La Cacciata dei progenitori dal paradiso terrestre di Masaccio in modo più preciso: Adamo esprime vergogna, Eva soltanto dolore e nella coppia di figure si combinano due aspetti della reazione emotiva (32).È possibile che la stessa gente del quattrocento potesse sbagliarsi sul significato di un gesto e di un movimento: san Bernardino da Siena lamentava che nella natività i pittori mostrassero san Giuseppe con il mento poggiato alla mano, per mostrare malinconia; san Giuseppe era sereno e. Così dovrebbe essere raffigurato. Sebbene questo gesto indichi malinconia, viene anche usato nel senso di meditazione, come dovrebbe suggerire il contesto della natività (49-33). Una fonte più utile e autorevole proviene dai predicatori, attori dotati di una notevole gamma di gesti codificati. Elabora nella propria mente, alla luce di ciò, un elenco dei principali gesti tradizionali e ampliarlo alla luce della propria esperienza nei confronti della pittura, è una operazione indispensabile per l’osservazione dei dipinti del rinascimento. Trattando lo stesso argomento dei predicatori, i pittori inserivano nel dipinto le espressioni Fiche del sentimento secondo lo stile usato dai predicatori. Tale processo lo si può osservare nell’incoronazione delle vergine di Beato Angelico (34): utilizza il gesto delle mani alzate. per diversificare la serie di santi, come nella consegna delle chiavi di perugino della cappella sistina, i gesti erano utili. Questo era il gesto devoto, il gesto laico era molto diverso rispetto ad esso, più difficile da classificare: diversamente dal genere devoto, non veniva insegnato nel libri , era più personale e cambiava a seconda della moda. Un esempio adatto e utile per la lettura di alcuni importanti dipinti è un gesto usato nella seconda metà del secolo per indicare invito e espressione di benvenuto. Può essere studiato in una xilografia del 1493 (36) che illustrava una edizione fiorentina del liber scaccorum di Jacobus de Cessolis, un’allegoria medievale che rappresentava l’ordine sociale sotto forma di scacchiera; nell’allegria l’Alpe re è un oste e uno dei suoi attributi è un gesto di invito: il palmo della mano è leggermente alzato e le dita tendono ad aprirsi a ventaglio verso il basso. Possiamo riconoscere tale gesto in molti dipinti: nell’ affresco di Botticelli un giovane dinanzi ad un consesso di arti (37) la figura principale usa una chiara forma di benvenuto verso il giovane; Mantegna la conferisce a Ludovico nella camera degli sposi; il Pinturicchio in chiave più drammatica nel gruppo delle tre tentatrici in atto di tentare Sant’Antonio Abate. Chiunque avesse ascoltato un sermone su Sant’Antonio di fra Roberto Caracciolo, avrebbe saputo che le fanciulle rappresentavano il secondo die quattro stadi della tentazione di Sant’Antonio, la carnalis simulation e all’occhio attento il carattere delle fanciulle appare molto chiaro dall’uso eccessivamente libero delle mani. Un caso più raffinato è quello della Primavera di Botticelli (39), in cui la figura centrale della venere non sta battendo il tempo della danza delle grazie, ma ci invita con la mano nel suo regno; si coglie il senso del dipinto se questo non si comprende. La differenza tra il gesto religioso e quello profano non è netta: un gesto principalmente religioso veniva utilizzato per un soggetto profano. Nelle strie una figura interpretava la sua parte ponendosi in relazione con le altre e nella composizione nei gruppi e negli atteggiamenti il pittore era solito a suggerire rapporti di azioni. Non era l’unico a ricorrere all’arte di creare gruppi: gli stessi soggetti erano spesso rappresentati anche in drammi sacri di vario genere, anche se ciò non vale per tutte le città; nel corso del XV secolo a Firenze ci fu una grande fioritura di drammi religiosi, mentre a Venezia questo tipo di rappresentazioni era vietato. Dove esistevano, esse dovevano avere contribuito non poco ad accrescere nella gente la capacità di visualizzare gli avvenimenti rappresentati e a quell’epoca venne notato un certo rapporto tra esse e la pittura. Due cose, in merito al modo in cui un attore si rivolgeva fisicamente ad un altro, possiamo evincere da queste sacre rappresentazioni: la prima, negativamente e per lo più presunta, è che le descrizioni he noi abbiamo delle sacre rappresentazioni spesso sottolineano la loro dipendenza da effetti spettacolari che hanno poco a che fare con la raffinata suggestione narrativa del pittore (attori sospesi su dei fili, grandi dischi rotanti); le rappresentazioni delle strie delle strade primo acchito attira l’attenzione per la sua dimensione e il suo sfarzo esagerati, poi in un secondo momento per il disegno paradossale di questa estrema tridimensionalità dei cappelli che si comportano come se fossero bidimensionali, allargandosi piattamente sulla superficie del dipinto; infine sorge l’interrogativo circa il poligono della corona e della sua natura. I concetti geometrici di misurazione e l’attitudine ad esercitarli rende più acuta la sensibilità visiva di un uomo di fronte alla realtà del volume. Egli è portato a comprendere di più il personaggio di Adamo nel dipinto di Masaccio La cacciata dei genitori vedendolo come composto da cilindri o la figura di Maria nella trinità vedendola come un massiccio tronco di cono. Nell’ambiente sociale del quattrocento ciò costituiva uno stimolo per il pittore per utilizzar dei mezzi che aveva a disposizione: Masaccio utilizza la convenzione toscana- cioè d suggerire la massa indicando i toni di luce e ombra, mentre Pisanello, che proveniva da una tradizione dell’Italia settentrionale, rende la massa più con i suoi contorni che con i toni; egli dunque poteva utilizzare figure in atteggiamento di torsione in modo che il contorno presentasse delle spirali attorno ad un corpo come un’emergenza attorno alla colonna (57). L’aritmetica o la geometria erano l’altra branca della matematica commerciale, anch’esse fondamentai per il Quattrocento. Molte nozioni matematiche vennero introdotte in italia dall’Islam all’inizio del XIII secolo dal Pisano Fibonacci. Lo strumento aritmetico usando dai mercanti italiani colti nel rinascimento era la regola del Tre, anche nota come la regola aurea o chiave del mercante. Tale regola esprime una proporzione geometrica: il primo termine sta al terzo come il secondo sta al quarto, il primo termine sta al secondo come il terzo sta al quarto, dunque se si moltiplica il primo per il quarto il prodotto sarà uguale al secondo per il terzo (A sta a B come C sta a D). Si tratta della regola con cui il rinascimento trattava i problemi di proporzione, che riguardavano vari calcoli commerciali, come lo scambio di valuta. Comprendiamo come l’abilità è una sola, sia che venisse usata per problemi commerciali sia che per fare dipinti(55): nei problemi di proporzionalità. Dunque la proporzione geometrica dei mercanti era un metodo di precisa consapevolezza della proporzioni. Nella tavola 61 Leonardo utilizza la Regola del Tre per un problema relativo ai pesi in una bilancia. Nella scuola di Atene di Raffaello l’attribuzione di Pitagora è una tavoletta con lo stesso motivo. La serie armonica di intervalli usata da musicisti e talvolta da architetti e pittori era comprensibile grazie a nozioni impartite dall’istruzione commerciale. Comprendiamo come l’educazione del quattrocento attribuiva un valore eccezionale a carte capacità matematiche come la misurazione o la regola del Tre, che rappresentava in sostanza la parte relativamente più vasta della loro cultura. Questa specializzazione costituiva un’attitudine ad indirizzare l’esperienza visiva, quindi anche i dipinti, nel senso di forme geometriche o intervalli di serie. Dunque erano sensibili ai dipinti che portavano i segni di tali processi. Il terzo punto importante è che c’è una continuità tra le capacità matematiche usate dalla gente di commercio e quelle usate dal pittore. Nel de abaco Piero prova a dare prova di questa continuità. Era anche per questa produzione di attività che il mercante pagava. È dunque possibile che le qualità pittoriche che ci sembrano teologicamente neutrali- proporzione, prospettiva, colore, varietà- in realtà non lo fossero. Ci sono due generi di letteratura devota del quattrocento che forniscono degli accenni su come si possa arricchire la percezione dei dipinti. Uno è un tip di libro o sermone sulle qualità del paradiso e l’altro è un testo in cui le caratteristiche della normale percezione visiva vengono tradotte in termini morali. Secondo la prima la vista è il più importante dei sensi e le delizie che l’arte dono in cielo sono tante: De delicibus sensibilibus paradisi di Rimbertino, stampato a Venezia nel 1498; distingue tre tipi di progressi rispetto alla nostra esperienza visiva di esseri umani: una maggiore bellezza delle cose viste (che si cela nella luce, nel colore più chiaro e nella miglior proporzione), una maggiore acutezza del senso della vista (una maggiore capacità di fare distinzioni tra una forma o un colore e un altro e la capacità di vedere a grande distanza e attraverso i corpi) e una varietà di oggetti da osservare. Dunque l’esperienza terrena che si poteva avvicinare di più a ciò era la rigida convenzione prospettica applicata ad un disegno geometrico, come accade al disegno di Piero della francesca. Nel secondo tipo di testo invece vengono discussi alcuni aspetti della nostra normale percezione terrena: de oculo morali e spirituali (libro dell’occhio morale) di Pietro di Limoges era un libro del XIV secolo: uno dei mediti adottati dall’autore per comprendere la presenza divina è quello di prendere un certo numero di fenomeni ottici comuni, come un bastone immerso nell’acqua e che sembra piegato, per trarne delle considerazioni morali. L’undicesimo meraviglia è un esempio che rinvia alla percezione dei dipinti, più in particolare al significato morale della prospettiva lineare. Il principio fondamentale della prospettiva lineare era il seguente la visione segue delle linee rette e delle linee parallele che vanno in teste le direzioni e che sembrano incontrarsi all’infinito in un unico punto di fuga. Le maggiori difficoltà sorgono nella pratica nelle modificazioni del principio base necessario per evitare che la prospettiva del dipinto appaia troppo schematica. Molta gente del Quattrocento era piuttosto abituata all’idea di applicare la geometria piana a più ampio mondo delle apparenze per delle misurazioni, dunque l’idea della prospettiva rientra nella loro capacità di comprensione. Se si uniscono questi due tipi di pensiero, l’esperienza geometrica sufficiente a percepire una costruzione prospettica complessa e una cultura religiosa per fare di questa una allegoria , emerge una ulteriore sfumatura che caratterizza la rappresentazione narrativa die pittori. Dunque le prospettive- ad esempio- delle annunciazioni vengono concepite come forma di metafora visiva che esprime la condizione spirituale della vergine negli ultimi stadi dell’annunciazione. C’è la possibilità di interpretarlo prima come simbolo analogico di una convenzione morale e poi come una visione escatologica della beatitudine. Non entrando in spiegazioni troppo teoretiche, la meditazione tra l’armonia dello stile della meditazione religiosa di questi libri e l’interesse pittorico in alcuni dipinti del Quattrocento, non ha lo scopo di interpretare opere individuali,ma di ricordarci l’origine dell’inafferrabilità dello stile del XV secolo. Alcuni dunque guardarono tali dipinti con un occhio morale e spirituale di questo tipo. III. Dipinti e categorie Dal capitolo precedente emerge un particolare modo di vedere il pubblico personificato dal mercante che andava in chiesa e danzava. Questo non è proposto come tipo ideale ma ha in sè gli elementi del problema: religione, educazione e affari. Nel XV secolo all’interno della categoria dei committenti nessuno era del tutto privo di questi elementi. Alla luce di questo capitolo alcuni particolari del recinto dell’agente milanese sembrano in parte chiariti: l’aria virile di Botticelli è in parte più chiara sapendo che ha un modo di rappresentare vicino a quello della bassa danza, si può parlare di aere virile. La scarsa chiarezza della lettera inviata a Milano è in parte dovuta all’incertezza lessicale di chi, scrivendo, non ha la capacità di descrivere a parole lo stile pittorico in modo esatto e completo. Una volta che si riesce a ravvisare il significato alle sue parole sono utili. Infatti ciascuno dei termini può essere letto come la su reazione ai dipinti, ma anche come la origine latente dei suoi schemi di giudizio. Su questo, se un testo del genere è utile e comprensibile, un testo scritto da un uomo più abile nell’ usare il linguaggio lo è ancora di più. Cristoforo Landino è il migliore critico d’arte del Quattrocento. Benché dotato di una sensibilità al di sopra della norma , di conoscenze pittoriche e proprietà di linguaggio, si rivolgeva a uomini comuni con lo scopo di essere da loro compreso. Il testo fa parte di un introduzione- intesa ad esaltare la città- al suo commento della commedia di Dante, presentato alla signoria di Firenze nel 1481. In essa intendeva difendere dante dall’accusa di essere anti fiorentino. Sostiene la lealtà di dante e poi l’eccellenza di Firenze parlando degli uomini e della città che si erano distinti in vari campi. Utilizza dei termine, di cui prenderemo in considerazione 16, usati per descrivere quattro pittori fiorentini: alcuni termini sono specificatamente pittorici altri invece tratti da un discorso più ampio e saranno utili a dirci qualcosa circa le più generali origini degli schemi di giudizio del quattrocento. E tutti insieme costituiranno un bagaglio culturale per guardare al Quattrocento. Cristoforo Landino era uno strùsci so di latino e filosofo platonico, un esponente della lingua volgare e docente di poesia e retorica all’università di firenze. Fu amico dell’Alberti (della pittura nel 1435) e traduttore della Naturalis Historia nel 1473. Il primo aveva scritto il primo trattato in Europa sulla pittura che sia giunto finto a noi e che venne diffuso particolarmente tra gli umanisti che si occupavano della pittura o della geometria. L’autore del I secolo d.C. è la più completa stria della critica dell’arte classica che ci sia giunta dall’antichità, riprendendo sia i fatti che il linguaggio critico da una tradizione di critica d’arte sviluppatasi in libri greci oggi andati perduti. Per la descrizione degli artisti da lui perpetuata, ebbe il merito di non servirsi dei termini di Plinio, con il loro riferimento ad una cultura generale molto diversa da quella delle Firenze del 1480, bensì si servì per così dire dei metodi dei termini di Plinio. Come Plinio infatti fece uso di metafore. Ancora come Plinio si serve di termini ricavati dalla bottega degli artisti. La sezione su pittori e scultori si divide in quattro parti: la prima descrive l’arte antica in dieci frasi e si rifà a Plinio. La seconda descrive Giotto e altri pittori e si rifà al Villani. La terza descrive i pittori fiorentini del quattrocento ed è il contributo personale di Landino. La quarta descrive gli scultori. Quali erano i pittori che spiccavano sulla massa? Mentre la pittura del Trecento è stata riassunta in uno schema molto chiaro: Cimabue, Giotto, gli allievi di Giotto, il XV secolo non produsse mai uno schema altrettanto netto. L’elenco più distaccato di informazioni si trova nel componimento poetico di Giovanni Santi, che aveva il vantaggio della conoscenza professionale e una prospettiva neutrale. Il suo poema è una lunghissima cronaca rimata in terza rima, che narra la vita e le gesta di Federico da Montefeltro. Una visita a Federico di Mantova è l’occasione per un excursus sulla pittura. (Schema pag 109). Dunque nel suo schema, diversamente da molti fiorentini santi è consapevole della bella pittura prodotta a Venezia e nel Nord Italia, riconosce la buona qualità della pittura olandese, conosciuta e acquistata ad Urbino. Tuttavia il maggiore peso è attribuito a Firenze: tredici dei venticinque artisti italiani. Abbiamo già incontrato quattro pittori nell’elenco di Santi nel rapporto dell’agente milanese, vedremo ora la definizione del Landino. (Testo pag 112) Masaccio: Trinità Santa Maria novella 25-26; Brancacci in Santa Maria del Carmine; polittico di Pisa sembrato. -imitatore della natura: si tratta di una delle espressioni critiche del rinascimento di cui è più difficile comprendere la portata. Si tratta della più semplice e consueta forma di lode che si potesse usare e proponevano un generico realistico: la realtà e la natura sono cose diverse per ciascuno e a meno che non se ne dia una definizione, non se ne sa molto di più. Senza dubbio la frase indica uno dei massimi valori del rinascimento. Il fatto che Masaccio sia l’unico a cui Landino attribuisca questa qualità fa pensare che per lui ciò dovesse avere un significato. Anche Leonardo Da Vinci attribuisce lui la suddetta caratteristica, esemplificandola in tal modo: il fatto di essere relativamente autonomo verso i libri che presentavano dei modelli e delle formule, dalle figure di repertorio e delle soluzioni ormai accettate che costituivano una parte sostanziale della tradizione pittorica. Altrove Leonardo parla di prospettiva e di luce e ombra attraverso cui noi percepiamo le forme degli oggetti ed è appunto per la sua maestria in prospettiva e in rilievo che Landino continua lodando Masaccio. Così possiamo dire che l’imitatore della natura è il pittore che si distacca dai libri Che presentavano dei modelli con le loro formule e soluzioni precostituite, per cogliere gli oggetti reali cosi come gli si presentano, attraverso la loro prospettiva e il loro rilievo: una realtà riveduta e corretta e una natura selettiva. -rilievo: Masaccio è il principale esponente del rilievo, seguito dal Castagno e Filippo Lippi. Si tratta di un termine tecnico e proprio del linguaggio di bottega e cennino cennini lo usa nel suo trattato della pittura dell’inizio del quattrocento. Il resoconto del Cennini mette in evidenza uno degli aspetti più efficaci del rilievo di masaccio e da indicazioni sul fatto che he di esso si debba fruire alle undici del mattino, quando la luce piena e le ombre vengono percepite come forma solo quando si abbia un’idea chiara di dove venga la luce; se non abbiamo questa idea perfino dei corpi veramente complessi vengon visti come superfici piatte. Anche Alberti spiega che il rilievo è l’apparizione di una forma modellata a tutto tondo, ottenuta trattando abilmente i toni sulla superficie. L’enfasi del Landino sul rilievo degli affreschi di masaccio è rimasta costante nella critica d’arte. -puro: puro senza ornato è quasi pleonastico, dal momento che puro praticamente significa già senza ornato. Si tratta di un latinismo che conserva il senso con cui la critica letteraria aveva usato il termine, per definire uno stile disadorno e laconico: cicerone ad esempio aveva parlato di uno stile puro e chiaro. E ciò fa di un concetto negativo- senza ornato- un positivo conciso è chiaro- con un elemento di connotazione morale. Questa specificazione era dunque necessaria perchè nella concezione della critica classica e rinascimentale al termine ornato si poteva contrapporre tanto il concetto positivo di semplice che quello negativo di povero. Puro ci dice che masaccio non era né ornato né spoglio. Il termine dunque assume il suo significato dal suo contrasto con ornato: ciò si capisce meglio quando Landino usa questo termine in senso positivo per Lippi o l’angelico. -facilita: questo termine è qualcosa a metà tra la nostra facilità e abilità, ma senza la connotazione negativa della prima. Era molto usato nella critica e in senso stretto veniva spiegato come prodotto di talento naturale e capacità acquisibili attraverso l’esercizio. La scioltezza che derivava dalla facilita era una delle qualità più apprezzate del rinascimento, ma anche difficile da definire. Alberti ne individua l’origine nel talento sviluppato con l’esercizio. Essa si manifesta in un dipinto completo ma non rifinito: i suoi nemici sono le correzioni. Tutto ciò riguarda più specificatamente l’affresco che il dipinto su tavola (distinzione operata anche dall’agente milanese) poiché abbiamo l’esperienza diretta di vedere qualcuno lavorare rapidamente sull’intonaco prima che esso si asciughi. Gli affreschi di masaccio sono ciò che si dice buon fresco o autentico affresco, differendo in questo dalla maggior parte dei dipinti del quattrocento, che sono perlopiù dipinti su comuni e quindi attirano facilmente la nostra attenzione. Entrambi questi tipi di interesse attirano la nostra attenzione nel cristo della trinità di andrea. Era il rendersi conto che la difficoltà è qualcosa che impregna sia l’artista che il fruitore, difficili da vedere e da capire, poiché l’abilità del pittore esigeva quella del fruitore, che richiamava attenzione. Una differenza fondamentale tra il Quattro e in Cinquecento consiste che il primo se ne rese conto, il secondo, con il suo gusto per la dolcezza non lo fece. Non a caso Vasari connotava gli scorci nei pittori del XV secolo come andrea troppo studiati e aspri da vedere. -prompto: viene definito da Landino come vivo e prompto, completando la sua caratterizzazione come pittore per i pittori. Attribuisce questa qualità ad altri due artisti: Giotto nella Navicella, poichè ciascun apostolo ha gesti vivi e prompti e Donatello. Il David (79-83-87) di Andrea testimonia la qualità di tale atteggiamento. Si traduce in una più forte diversificazione della figura, in una maggiore suggestione di particolarità di movimenti, rispetto alla gratia di Filippino Lippi. Tuttavia entrambi i termini implicano movimento, un grado di fusione tra due tipi di movimento: il movimento dipinto nelle figure dal pittore e anche il movimento della mano del pittore; l’epitaffio di Lippi parla infatti della gratia della sua mano, Landino si riferisce ai movimenti propri degli apostoli di Giotto. È ancora una volta una concezione quattrocentesca di uno strettissimo rapporto tra copro e mente: come il movimento di una figura esprime pensiero e sentimento,c osi quello della mano riflette la sua mente. È dunque impossibile escludere dal giudizio uno die due sensi. La fusione è la chiave per comprendere la concezione dell’iOS tile personale del Quattrocento. Beato Angelico: san marco, cappella Niccolina (3-34) -vezzoso: significa delizioso in modo carezzevole. Ancora una volta il Landino parla di una qualità che sta a metà tra il carattere dell’abilità di beato angelico e il carattere delle figure umane da lui dipinte. C’è di nuovo un riferimento a Desiderio da Settignano che è anch’egli vezzoso (76). A che tipo di qualità formali ci si riferisce: lasciando da parte il carattere ovviamente vezzoso di figure come angeli danzanti, il termine è riferito specialmente ai valori tonali della sua arte. Infatti l’Alberti utilizza il termine in questo tipo di contesto: si preoccupa che il pittore non enfatizzasse troppo il contrasto chiaroscurale. Alla base di tutto ciò c’è un fattore fisiologico, spiegato in un trattato popolare del quattrocento di Girolamo di Manfredi: in questo senso, di uno stile in cui i contrasti tonali non siano troppo violenti, vezzoso è chiaramente una autentica descrizione dell’ angelico, come pure del rilievo morbido e poco marcato di desiderio: evitano i forti contrasti di pittori di rilievo come andrea. -devoto: per il termine devozione, ambedue scrittore e pittore si sarebbero riferiti alla classica testimonianza di Tommaso d’Aquino: è la coscienza e la volontà di rivolgere la mente a dio; il suo strumento specifico è la meditazione e il suo effetto è la gioia per l’infinità bontà di dio mista a tristezza per la sua inadeguatezza. Abbiamo visto i che il rapporto tra predicazione e pittura era molto stretto; le categorie dei sermoni sono molto pertinenti: vi è uno stile contemplativo, che unisce gioia e tristezza, certamente non elaborato è intellettualmente non complesso. Ciò potrebbe essere una descrizione emozionale del colore dell’ angelico (88). Più in particolare a quali qualità pittoriche sembra corrispondere? In termini positivi certamente al vezzoso, l’ornato e alla facilita che infatti gli attribuisce; in negativo all’assenza di difficultà (scorci, rilievo): ciò che manca alla pittura dell’ angelico viene visto come qualcosa a cui rinunciò volontariamente, come Masaccio rinunciò di proposito all’ornato. Il termine devoto ha la stessa portata del termine puro applicato a Masaccio, e il fatto che il primo appartenga alla classificazione della predicazione cristiana e l’altro alla retorica classica fa parte della ricchezza lessicale e critica di Landino. Termini come quelli di Landino hanno il vantaggio di racchiudere in se l’unità tra i dipinti e la società da cui emergevano. Alcuni collegano la fruizione die dipinti da parte del pubblico a ciò che gli artigiani pensavano nella bottega realizzandoli- prospectivo e disegnatore- altri mettono in evidenza altri aspetti della vita del quattrocento- devozione o grazia; altri ancora indicano una forza che stava cambiano senza scosse la coscienza letteraria dell’epoca. Categorie come puro o ornato attingono al sistema classico della critica letteraria, una complessa e matura categorizzazione dell’attività umana alla quale studiosi come Landino si dedicavano con grande impegno: si tratta di una capacità tipica degli uomini di cultura. Ma nel corso del rinascimento parte di questo processo si estese dagli studiosi e gli scritti ad altre persone, senza alcuna consapevolezza della loro origine classica. Questo processo costituì una parte importante del durevole influsso classico sulla cultura europea del rinascimento: l’esperienza viene ri categorizzata e quindi riorganizzata. Di conseguenza e diverse arti vennero riunite da un sistema uniforme di concetti e termini: ornato era applicabile anche alla musica e alla letteratura. L’affinità che tutto ciò forniva alle diverse arti era talvolta illusoria, tuttavia influì molto sulla pratica.
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