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riassunto del volume la banalità del male di Hannah Arendt, Sintesi del corso di Filosofia della Mente

riassunto completo e sintetico del volume: la banalità del male

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 28/03/2023

nicole-pagani99
nicole-pagani99 🇮🇹

4.7

(3)

3 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica riassunto del volume la banalità del male di Hannah Arendt e più Sintesi del corso in PDF di Filosofia della Mente solo su Docsity! FILOSOFIA DELLA PRASSI UMANA (la filosofia della prassi umana va a riflettere sull’agire degli esseri umani; nascere è certamente un agire, un attraversare perché quando si nasce si attraversa la propria esistenza e quella altrui e ciò implica, al momento della nascita, l’assunzione di responsabilità in prima persona). Gli antichi greci vedevano la nascita come un peccato che verrà espiato con la morte, nel 900 questa idea cambia grazie soprattutto ad… HANNAH ARENDT Nacque nel 1906 e fu una filosofa, teorica politica e storica ebrea tedesca che acquisì la cittadinanza statunitense; ebbe molto successo negli anni 50 del 900 in quanto la sua carriera si interruppe precedentemente per la Shoah, dagli anni 30 agli anni 50 cadde nel dimenticatoio della storia della filosofia per poi essere riscoperta grazie ad alcuni filosofi (Habermas) che diedero importanza ad alcune sue opere. Dagli anni 50 agli anni 70 la sua celebrità aumentò fino a diventare un’icona della filosofia del 900. Arendt rifiuta l’etichetta di filosofa perché la filosofia accademica l’aveva delusa. Lei aveva in mente un’idea di filosofia molto più profonda più alta. Per lei la filosofia non poteva essere una professione, perciò per staccarsi dalla tradizione, in alcune interviste che iniziò a concedere negli anni 50, si definì esclusivamente come teorica politica, fenomenologa per far capire che non aveva nulla a che fare con la filosofia che era stata praticata fino a quel momento. In un’intervista che ha concesso alla tv tedesca nell’ottobre 1964 in uno dei suoi primi rientri in Germania dopo essersi rifugiata negli Stati Uniti per cercare salvezza, l’intervistatore gli disse di considerarla una filosofa e lei gli rispose bruscamente di aver studiato filosofia ma di essersi congedata da quest’ultima una volta per tutte. Questo ci fa capire che non amava essere definita una filosofa forse anche perché la filosofia stava attraversando un momento di crisi e coloro che l’avevano amata stavano cercando di ripensarla, rinnovarla così come voleva dire Arendt nell’intervista e come avrebbe fatto lei stessa in futuro. Per noi tutti però rimane una filosofa in quanto si assunse un grande compito: quando la filosofia sembrava quasi essere finita così come finita la metafisica Anna Arendt mise sul piatto tutti questi problemi e si assunse il compito di riscattare la filosofia. Lei, infatti non era ostile alla filosofia voleva essere libera da questo modo di fare filosofia, dalla filosofia accademica, ma era ostile agli intellettualismi che aveva visto in Germania da giovane studente quando molti intellettuali tedeschi si allinearono al nazismo, grazie a ciò Hannah associa l’intellettualismo all’allineamento all’Hitlerismo. Hannah è una donna tedesca con l’ebraicità che però ha avuto un ruolo decisivo nella sua vita fino a quando non aveva le leggi raziali contro e fu perciò costretta a scappare prima dalla Germania stessa e poi dall’Europa trovando rifugio negli stati uniti dove lavorò come insegnante rimanendo senza cittadinanza fino al 1951. Nella sua vita furono decisive le amicizie i suoi amori e l’esilio dalla Germania. La sua esistenza da ebrea diventa così lo specchio di un secolo difficile, la sua vita è un sunto di quello che è stato il 900, una vita complicata come lo è stato il 900 perciò la sua esistenza è esemplare in quanto la sua vita viene colpita dalle leggi raziali e viene sdradicata. Hannah apparteneva ad una ricca famiglia ebrea e sembrava avere inizialmente una vita privilegiata ma poi non fu così a causa delle leggi e della fuga dall’Europa e dalla Germania. Arendt è uno degli esempi di filosofi pienamente libero in quanto non si fa condizionare dagli ideali, non è una donna di destra nemmeno di sinistra anzi ebbe una difficoltà di schieramento politico simbolo di libertà che la portò però ad un certo punto della sua vita nel dimenticatoio. Era stata testimone del nazismo, di tempi bui perciò aveva fame di libertà voleva pensare senza barriere senza freni assumendosi così la responsabilità del pensare e i rischi che questa libertà implica. Hannah è una pensatrice libera ma ciò non ha a che fare con l’irresponsabilità, con lo scrollarsi di dosso i legami e le dipendenze, per lei noi siamo delle creature plurali in quanto siamo nati da altri esseri umani e la nascita è quindi la prima forma di agire e la prima responsabilità perché quando si nasce si occupa un posto nel mondo di cui bisogna avere cura, perciò per lei la libertà di pensiero non e mai irresponsabilità. Secondo Arendt non bisogna interpretare i fatti umani quando sono già accaduti, il filosofo deve sporcarsi le mani leggendo ciò che accade intorno e denunciandolo. EBRAICITA’ Lei pensava a sè stessa come ebrea tedesca ma sapeva che la sua ebraicità la spingeva verso un pensiero differente rispetto ai canoni e alla normalità, nell’intervista precedente infatti Arendt dice al giornalista che lei da bambina essendo ebrea sapeva di essere diversa ma non si sentiva inferiore, ne era solo consapevole, questo sentirsi diversa, estranea se lo porterà dietro per tutta la vita ed è uno dei temi fondamentali che emerge nelle sue opere insieme a quello della testimonianza storica e della responsabilità come ad esempio Il bambino che nasce, l’infanzia, che viene dall’educazione che ha avuto in famiglia con una madre molto presente che le insegnerà ad essere un ebrea diversa ma non inferiore, le insegnerà un modo di custodire questo ebraismo; questi sono tutti temi che nella maturità filosofica andrà a calibrare. In questo senso la sua ebraicità fu decisiva come fu decisivo per lei l’anno 1937 nel quale aveva 21 anni e il regime nazista le ritirò la cittadinanza. Questa ebraicità emerge nei suoi scritti a fronte di quei modelli educativi che le vennero imposti della madre in quanto venne educata agli ideali della Bildung (termine che rimanda all’educazione spirituale, ad una formazione interiore simile al modello greco della paideia ovvero una tecnica di preparazione alla vita che investirà sugli aspetti spirituali da educare, secondo la bildung la formazione interiore doveva essere una precondizione per chi voleva avere una parte attiva in politica. (HUMANITAS-PAIDEIA-BILDUNG)la bildung tedesca è un modello educativo in cui avevano accesso i soli figli maschi, era un modello educativo vincente, caratteristico della cultura tedesca che si diffuse a partire dall’ottocento nelle università della Germania, successivamente in tutta Europa grazie appunto all’università e grazie ad alcune figure importanti che promuoveranno questo modello educativo; Arendt grazie alla madre estremamente colta ricevette quindi un’ educazione molto alta ma molo maschile secondo l’ideale di un essere umano libero interiormente capace di pensare criticamente e capace di tenere in equilibrio la ragione con una speciale sensibilità artistica e letteraria, la bildung è quindi un’ educazione integrale che ha una sua profondità interiore; da quì si comprende l’interesse di Hannah negli aspetti pedagogici. La pedagogia a quel tempo si era organizzata come scienza e influenzarono reciprocamente. Questo rapporto tra i due venne interrotto bruscamente perché H. era un filosofo compromesso dal regime nazista e Hannah non gli avrebbe mai perdonato una cosa del genere, un’accusa dalla quale H. si sarebbe sempre difeso con molta leggerezza. C’è uno scambio di lettere dove H. cerca di rassicurare la giovane Arendt e di proteggere il loro forte legame che sarebbe stato incontaminato e lontano da qualsiasi vicenda politica (ancora oggi non si sa se H. fu davvero nazista anche se sappiamo per certi che nel 33 assunse la carica di rettore su sollecitazione del partito nazional socialista al quale poi aderì. Secondo alcuni studiosi l’adesione di H. al nazismo fu convinta per altri studiosi no.) Hannah poi lo perdonò e tornò a cercarlo recuperando il rapporto dopo 20 anni ma si dice che infondo non lo perdonerò mai ed è per questo che lei non si è mai considerata un’allieva di Heidegger, da lui ha filosoficamente preso delle nette distanze, una di queste molto evidenti è che H. sostiene che la filosofia abbia investito sulla morte intesa come la vera cifra esistenziale di fronte alla quale l’uomo da prova del suo valore; Hannah invece già dalla sua tesi di laurea aveva costruito una filosofia fondata sulla nascita. I due però, come già detto, si influenzarono molto: Arendt criticò la metafisica ovvero quella parte della filosofia che rincorreva cose alte e che per Hannah si era fatta troppo astratta, aveva perso di concretezza, si era scollata dalla vita reale, Arendt assume questa critica alla metafisica da Heidegger. Dopo aver interrotto il rapporto con Heidegger, Arendt prese le distanze definitivamente spostandosi a Friburgo per seguire un semestre sotto l’ala di Karl Jaspers (primo vero maestro di Hannah; filosofo psichiatra oppositore del nazismo, sua moglie era ebrea e fu poi arrestato per queste sue posizioni nel 45) consigliato da Heidegger, portando a termine la sua tesi intitolata “il concetto di amore in Agostino“ (1929). Il concetto di amore in agostino possiamo considerarlo come prima tappa di pensiero della sua fenomenologia e filosofia della nascita. Arendt considerava Jaspers come suo unico e vero maestro, a lui sarebbe stata sempre legata da un rapporto di grande affetto e gande rispetto intellettuale e a sua volta Karl influenzò molto Hannah Arendt quindi Hannah, dalla prospettiva filosofica di Jaspers, prende molto, ad esempio l’utilizzo della filosofia per investigare sul chi dell’uomo sul CHI SIAMO NOI? , il concetto di identità che per Arendt non deve mai essere conquistata perché altrimenti si resta imprigionati in un CHI e Hannah dice che bisogna essere liberi di riscrivere continuamente la nostra identità. Arendt successivamente si trasferirà a Berlino dove vinse una borsa di studio e portò avanti una ricerca sul romanticismo tedesco e in particolare su una donna ebrea a cui Hannah dedicò una biografia. Arendt sposerà uno degli allievi meno amati di Heidegger (Anders) per ripicca tanto che il loro matrimonio durò poco perché Hannah interruppe questa storia in quanto trovava il marito molto noioso; nel 40 si legò sentimentalmente ad un altro uomo (Blucher), un filosofo marxista con il quale ebbe un sodalizio intellettuale, egli fu decisivo perché sarebbe diventato un interlocutore filosofico costante. Poi l’avvento del nazismo, le grandi persecuzioni nel 33 e la fuga di Arendt che si trasferirà in Francia dove conobbe i campi di lavoro insieme alla madre e dove comprende che la situazione in Europa stava precipitando decidendo di scappare verso gli stati uniti raggiungendo New York nel 1941. Hannah Arendt grazie a questo clima culturale e a queste esperienze intellettuali potè coltivare il suo talento filosofico anche se fu una sorta di intelligenza naturale e spontanea che trovò un nutrimento nella Germania di allora; inoltre fu anche grazie all’opportunità che ha avuto di frequentare filosofi di grande stima. Nella sua formazione ebbero molto peso gli studi classici compiuti nella biblioteca paterna dove lesse i grandi classici, la cultura classica greca latina e soprattutto gli autori cristiani divennero per lei figure di grande rilievo in particolare Agostino che avrebbe appassionatamente amato perché era un filosofo sempre alla ricerca di un equilibrio tra il mondo greco pagano che si stava sgretolando e quello cristiano; Agostino influenzerà molto con il suo lessico evangelico e con le sue immagini la filosofia della nascita di Hannah Arendt. Arendt è profondamente influenzata dal pensiero teologico ma il PENSIERO ARENDTIANO NON è UN PENSIERO TEOLOGICO, Hannah ogni tanto sconfina nella teologia e fa molti riferimenti nelle sue opere ma questo gusto verso il pensiero teologico proviene semplicemente dalla sua cultura ebraica e dal suo amore appassionato per i pensatori cristiani. Nella filosofia della nascita entreranno tutte queste coordinate: il cristianesimo, la classicità, la poesia, la teologia ebraica, il gusto per la letteratura e la storia dell’arte creando così una filosofia molto colta e originale diversa da quella rigida di quei tempi. Un periodo decisivo fu la stagione statunitense dal 41 in avanti prende forma la sua fenomenologia della nascita. Gli stati uniti furono la sua seconda patria malgrado le difficolta inziali sia a livello economico che per quanto riguarda la lingua. Questa stagione americana è però particolarmente feconda in quanto dagli anni 50 da alla luce i suoi più grandi capolavori. Hannah come filosofa ha scritto moltissimo, aveva una grande passione per la scrittura bella (deriva dai classici), per lei scrivere significava comprendere. 12/10 LE OPERE Hannah è stata una pensatrice di fama tarda, a lungo dimenticata, tanto che a 45 anni, nel 1951, scrive “le origini del totalitarismo”, un’opera riconosciuta oggi come la più grande trattazione sul totalitarismo. Quest’opera è fondamentale n quanto presenta un tassello della fenomenologia della nascita e per scoprire ciò bisogna far riferimento alla seconda edizione ovvero quella ampliata e corretta del 1998 in cui sarà inserito come ultimo capitolo “ideologia e terrore”. Questo testo è considerato ormai un classico della filosofia del 900 in quanto è un testo definitivo sul regime totalitario, sul nazismo, sulla shoah, un’opera che inizia con un’analisi dell’antisemitismo e partendo da qui Hannah analizzerà quelle che lei considera le forme più pure di governo totalitario: il Nazismo e lo Stalinismo. Hannah qui commette un errore cin quanto escluderà il Fascismo di Mussolini forse perchè era poco documentata, secondo lei l’obbiettivo del fascismo italiano fu quello di affermare le proprie èlite; Hannah non lo vede come un totalitarismo ma come una dittatura. Secondo Hannah Arendt i totalitarismi sono delle macchine che entrano in funzione nel 900 e che sono facilmente riconoscibili grazie a specifiche caratteristiche:  MASSIFICAZIONE, CONSENSO DI MASSA: gli uomini sono massificati, questo comporta, per quanto riguarda la struttura sociale, secondo Arendt, la disintegrazione delle classi sociali.  L’USO DEL TERRORE E DELLA VIOLENZA (secondo Hannah il fascismo no=errore).  DISTRUZIONE DELLA SFERA PUBBLICA E DI QUELLA PRIVATA: nessun cittadino ha uno spazio privato e tanto meno uno spazio pubblico.  PRESENZA DI UN CAPO CARISMATICO  ASSENZA DI LIBERTA’ Ne “le origini del totalitarismo” Hannah Arendt inaugura una filosofia che è sulla storia, sta cercando di comprendere ciò e come è potuto accadere nel 900 in Europa e, in quest’opera, Hannah Arendt da una prospettiva filosofica arriva a rintracciare una causa nella trasformazione delle classi sociali, questo fenomeno della massificazione insieme all’uso del terrore e al ruolo della propaganda secondo Hannah Arendt hanno fatto sì che si generassero i totalitarismi. Nella prospettiva Harendtiana sarebbe un errore considerare i totalitarismi come una sorta di trasformazione della costruzione dello stato moderno, per Hannah i totalitarismi sono delle vere e proprie macchine con meccanismi propri. Arendt in questa seconda edizione ampliata va a riprende un articolo dal titolo “ideologia e terrore” e fa di questo articolo l’ultimo capitolo della seconda edizione. “ideologia e terrore” ha una caratteristica, è una riflessione sui danni, il che produce l’ideologia, il terrore però è anche interessante perchè ce il primo tassello della sua filosofia dell’avvento in quanto nelle conclusioni Hanna riprende un’immagine agostiniana quella del “inizium” e ripone le sue speranze nel futuro nelle nuove generazioni, nella nascita di quella che lei chiama la dieta novella dell’avvento. È una chiusura molto raffinata dal punto filosofico ma anche potente ed innovativo in quanto per la prima volta nella sua opera si fa riferimento a questa capacità straordinaria dell’agire dell’uomo ovvero il venire al mondo. OGNI NASCITA E’ L’INIZIO, questo è l’epilogo delle origini del totalitarismo con cui va a chiudere la sua opera. “FINCHE CI FOSSE UN INZIO FU CREATO L’UOMO” è un’immagine potente, è la prima volta che Hannah fa rifermento alla nascita come capacità di agire dell’uomo ed e un’immagine agostiniana potente perchè nel messaggio Arendt ci dice che è la nascita che ci salva dal male. Arendt da qui in avanti fa riferimenti puntuali alla nascita e al venire al mondo, sempre attraverso a frammenti in quanto la fenomenologia della nascita è formata da questi ultimi che noi poi andremo a mettere insieme. “Le origini del totalitarismo” sono un’opera molto interessante per la fenomenologia della nascita ma soprattutto perché ci va a spiegare ciò che è successo nel 900 ricostruendo questi scenari complessi dei totalitarismi, secondo Hannah Arendt nei totalitarismi è accaduto che le categorie tradizionali della politica sono ormai inutilizzabili, quando Hannah parla di politica ha in mente la polis greca, il vivere insieme, nella pluralità; questi scenari politici secondo Hannah sono implosi a causa della messa in funzione di queste macchine totalitarie che hanno fatto collassare le categorie tradizionali della politica, della filosofia, della giurisprudenza, quelle categorie che l’uomo ha utilizzato per comprendere se stesso, i legami sociali, lo stare insieme sono ormai inutilizzabili. A causa delle macchine totalitarie non siamo più capaci di interrogarci sul valore uomo. poi aggiunge che tra uno e l’altro ciò che investe di significati l’esistenza umana è la morte. Heidegger però non fa un uso quotidiano dell’hanfang che rimarrà un concetto primitivo, ma utilizzerà di più il concetto di morte; per Heidegger è noto che l’esistenza trova senso autentico non nella vita in sé ma nell’essere per la morte, nell’incontrare la morte. Egli in essere e tempo usa il concetto di inizio ma non investe sull’essere per l’inizio in quanto per lui la pulsione della morte è l’unica forma di comprensione possibile dell’esistenza umana, per Heidegger l’essere umano trova senso e valore di se di fronte alla morte. USA IL TEMA DELL’INIZIO E POI LO COMPRIME. Un’altra idea di Heidegger che suggerisce ad Hannah l’idea del Natality è il termine ………… che Heidegger utilizza in forma avverbiale in “essere e tempo” e che noi potremmo tradurre come NATIVAMENTE, NASCERE. Heidegger in essere e tempo definisce l’essere dell’uomo come un nativo di. Egli comunque non investe di significati il nativo. Si ritrovano dei riferiment alla nascita naturale all’inizio all’esserci dell’uomo come nativo, però l’essere umano qui non è definito dal natale ma dal fatale, dalla morte, è la morte che ci dirà dell’uomo. Perciò quando accostiamo il Natality di Hannah Arendt al concetto di inizio o di nativamente di Heidegger bisogna essere prudenti in quanto è evidente che c’è uno scollamento concettuale. Arendt con la sua filosofia del Natality va a collocarsi in una zona di distanza rispetto alla filosofia di Heidegger e questo è evidente già nella sua tesi di dottorato del 29 su Agostino dove già era evidente che Hannah stesse prendendo le distanze dall’essere per la morte di Heidegger. DOVE APPARE PER LA PRIMA VOLTA IL TERMINE NATALITY DI HANNAH ARENDT? Il primo riferimento documentato al concetto di Natality è nel 1952 quando questa parola compare nel suo diario intellettuale dove annotava le sue riflessioni filosofiche; qui compare un annotazione in cui scrive che la riflessione sull’inizio, sul venire al mondo le era stata suggerita dalla musica, dall’HALLELUJAH DI HAENDEL era stato un compositore tedesco vissuto nel 700 e nell’aprile nel 1952 ad Hannah capita di assistere alla prima di un famoso concerto classico della filarmonica di monaco e ascolta questo oratorio (ovvero un genere musicale di ispirazione religiosa che non prevedeva costumi e mimici). Quando questo compositore scrisse questo testo era stato colpito da un ictus e la sua carriera sembrava essere stata distrutta ma le capitò di leggere alcuni versi di un suo amico poeta che citavano dei passaggi della bibbia in particolare la profezia di Isaia che aveva predetto la nascita di cristo, quindi questo canto è un oratorio che celebra la venuta di Cristo e si racconta che il messia sarebbe venuto al mondo come tutti gli uomini e allora c’è questo inno di consolazione. Quando Haendel lesse questo scritto poetico vide una sorta di segno, una volontà del signore e perciò ritrovò la speranza e si mise a lavorare a questo testo musicale con fatica a causa della malattia. Quando Hannah torna a casa dopo aver assistito al concerto e dopo aver ascoltato quella musica, nel suo diario annota le emozioni che questa musica le aveva suscitato e dice che l’Hallelujah di Haendel è comprensibile solo dal testo “ci è nato un bambino” e poi qui seguirono riflessioni sull’inizio e sulla salvezza. ECCO QUANDO E COME COMPARE IL PRIMO RIMANDO ALLA NASCITA DI ARENDT. Un secondo riferimento compare nel 1952 in una lettera che lei invia dall’EUROPA AL marito rimasto in America e in questa lettera tornerà a riflettere sulla nascita e su quell’evangelico “ci è nato un bambino”. Il termine Natality lo ritroveremo nell’anno successivo nel 1953 nell’articolo intitolato “ideologia e terrore” qui compare il primo tentativo di Hannah per fare della nascita un tema filosofico e in questo articolo scientifico di fatto riconosce, per la prima volta alla nascita un potere salvifico e la descrive come quell’azione che ci salva dalla desertificazione del mondo. Sempre in questo articolo riprende Agostino e la sua frase “affinchè ci fosse un inizio fu creato l’uomo” contenuta all’interno della sua opera “la città di Dio”. Quell’articolo del 1953 dal titolo “ideologia e terrore” sarà poi incluso nella seconda edizione riveduta e corretta delle “origini del totalitarismo” del 1958 e sarà inserito come ultimo capitolo. I TOTALITARISMI (“le origini de totalitarismo” è un test fondamentale, un’opera anticipatoria rispetto alla “banalità del male”). Nel suo testo “le origini del totalitarismo”, Hannah Arendt sostiene che i totalitarismi sono delle vere e proprie macchine messe in funzione nel 900 che essa stessa cerca di smontare pezzo per pezzo nella sua analisi filosofica, politica e storica. Per lei i totalitarismi saranno principalmente 2: il nazismo di Hitler e lo Stalinismo di Stalin; commise il grave errore di non considerare il Fascismo di Mussolini al pari dei Nazismo e dello Stalinismo. Hannah era convinta che i totalitarismi fossero scenari complessi, in quanto arrivano al collasso le categorie tradizionali di comprensione dell’uomo, come ad esempio quelle politiche, giuridiche e filosofiche; da qui Hanna trova la necessità di individuare una nuova categoria che potesse tornare a comprendere l’uomo nella sua autenticità  il NATALITY. Secondo Hannah Arendt, la messa in azione dei totalitarismi ha fatto sì che tutte le categorie della politica, del diritto, dell’etica e della filosofia stessa fossero messe fuori uso ed è quindi da qui che lei propone la sua filosofia della nascita ovvero rintracciare il valore dell’essere umano nel fatto di essere nati. Nella seconda edizione riveduta e corretta del 58 de “le origini del totalitarismo”, precisamente nell’ultima pagina del testo, Hannah conclude con l’immagine agostiniana del bambino che viene al mondo, conclude riponendo le sue speranze nel futuro, nelle nuove generazioni, nella capacità dell’uomo di agire, in quella che lei chiamava “la lieta novella dell’avvento” ovvero nascere. In questa seconda edizione Hanna arriva a scrivere: “OGNI NASCITA E’ UN INIZIO”. Questa frase di agostiniana va a confermare quest’opera monumentale. “INIZIUM UT ESSET CREATUS EST HOMO”  affinché ci fosse un inizio fu creato l’uomo. Quindi per Hannah Arendt i totalitarismi hanno polverizzato l’essere umano, lo hanno precipitato nell’animalità; lei però aggiunge che la forza del mondo è quella di tornare a vivere con le nuove generazioni. Sono le nuove generazioni che combatteranno i totalitarismi! Il termine TOTALITARISMO ha una buona diffusione negli anni 50 e noi si è soliti attribuire ad Hannah Arendt, ma in realtà questo termine si era già affermato negli anni 20 del 900. Storicamente il concetto di totalitarismo nasce all’interno dell’antifascismo italiano e precisamente compare per la prima volta in un articolo de “il mondo” nel 1923, un articolo di Giovanni Amendola. Egli firmerà in realtà ben 2 articoli sul mondo: uno nel maggio del 23 e l’altro nel dicembre del 23, ed è proprio Amendola che nei sui articoli parla di spirito totalitario; usa quindi il termine totalitario per indicare le brutture di mussolini come ad esempio le ambiguità politiche, le astuzie e le frodi elettorali. Successivamente molti altri intellettuali italiani utilizzarono questo termine come ad esempio Gramsci oppure Don Luigi Sturzo. Il termine totalitario ha cominciato ad avere un’ampia diffusione a cavallo degli anni 20-30 del 900 proprio per definire i regimi, gli stati che esercitano un potere totale che limitano le libertà, stati antidemocratici. Il termine TOTALITARIO entra successivamente nel lessico politico per indicare il rafforzarsi del dominio politico, il termine TOTALE entra in uso all’indomani del primo conflitto mondiale per andare ad indicare un’estensione dello scontro bellico. Hanna Arendt comincerà a individuare il termine TOTALITARISMO per andare ad indicare in maniera esclusiva l’Hitlerismo e lo Stalinismo. Quindi quello che Arendt fa è utilizzare il termine totalitarismo in un modo più ristretto perché secondo lei la fenomenologia totalitaria è un fenomeno tipicamente del 900, Hannah si convince che i totalitarismo non sono mai apparsi prima e quindi dal suo punto di vista le macchine totalitarie non possono essere confuse con altre forme di dominio politico come la dittatura, la tirannia, l’oligarchia in quanto questi sono dei semplici regimi autoritari in senso tradizionali e quindi qui è assente la mobilitazione delle masse oppure i processi di identificazione tra stato e società. caratteristiche fondamentali dei totalitarismi per Hannah Arendt:  controllo totale, se questo manca allora saremo di fronte a dei regimi, delle dittature, delle forme di dominio anche molto violente ma che non rispecchia il totalitarismo.  controllo totale della persona, sia nella sua dimensione pubblica sia in quella privata.  Il monopolio dei mezzi di comunicazione per controllare il soggetto e impedirgli la libertà di espressione.  Il controllo centralizzato dell’economia  La repressione poliziesca, ricorso alla violenza fisica, psicologica che riduceva al silenzio gli oppositori del regime IL TOTALITARISMO SECONDO HANNAH ARENDT VA INTESO UN SISTEMA POLITICO AUTORITARIO IN CUI TUTTI I POTERI SONO CONCENTRATI IN UN PARTICO UNICO, IN UN SOLO CAPO GRAZIE AL COLLANTE DELL’IDEOLOGIA CHE PORTA ALL’INDIVIDUAZIONE DI UN NEMICO OGGETTIVO. Il bersaglio della macchina totalitaria è l’essere umano; il loro intento è quello di spogliare la persona dei suoi modi di essere ad esempio nei lager la prima cosa che andava perduta era il nome proprio perché la caratteristica dei totalitarismi è la trasformazione del cittadino in una sorta di “animale”. Nei lager si strappa il nome e si strappano quelle maschere come la personalità giuridica o quella morale che fanno sì che l’essere umano sia vuoto, spoglio, senza protezione per salvaguardarsi  Arendt dice che quando restiamo nudi diventiamo fragili, il senso, l’umanità e quindi l’ideologia che è ciò che trasforma l’essere umano in qualcosa di diverso, di terribile, è quel passaggio stretto che ci massifica, che ci rende uguale agli altri facendo sì che l’ideologia prevalga, prende il sopravvento, produca delle verità che devono essere seguite così come diceva Eichmann: “doveva andare così, bisognava fare così” anche se lui era un uomo colto che però aveva rinunciato a pensare da sé, aveva interrotto il dialogo interiore con se stesso. Eppure, secondo Arendt non era un malvagio, un mostro, il demonio; era un semplice uomo che si accontentava del “si fa così”, un uomo che aveva smesso di riflettere sulle proprie azioni, sulle conseguenze del proprio agire ed è grazie a questa obbedienza che Hitler ha potuto, nei campi di concentramento, distruggere gli ebrei riducendoli a delle NON PERSONE. Secondo Hannah noi dobbiamo continuare a pensare, a ricordare a soprattutto bisogna pensare e ricordare che noi possiamo diventare uno strumento del male; quella capacità di dialogare con noi stessi, di pensare, di tenere amente che ci fanno restare umani, in realtà possiamo perderle da un momento all’altro. RESTARE UMANI, PER HANNAH ARENDT, SIGNIFICA AVERE LA CAPACITA’ DI PRENDERSI CURA DEL MONDO, OVVERO CUSTUDIRE ALTRI ESSERI UMANI “L’OBBEDIENZA NON E’ UN DIRITTO!” “vita Activa, The Human Condition” fu pubblicata nel 58 nel suo periodo statunitense, anche se non fu la sua prima opera statunitense perchè la prima fu pubblicata nel 51: “le origini del totalitarismo”, un’opera che fece risalire Hannah Arendt alla luce come filosofa dopo essere caduta nel dimenticatoio della storia della filosofia per almeno 20 anni; questa era un’opera monumentale che Hannah scrisse con l’aiuto di Blucher, suo secondo marito e suo interlocutore privilegiato nella stesura dell’opera. Oggi quest’opera è una delle opere riconosciuta come grande classico della filosofia del 900, la più grande trattazione del totalitarismo. È inoltre un’opera anticipatoria della “banalità del male”. Arendt nelle “origini del totalitarismo” inizia con un’analisi dell’antisemitismo europeo per poi arrivare a due delle più pure forme di governo totalitario: il nazismo e lo stalinismo  questo per dire che “vita Activa” è un’opera che arriva dopo “le origini” quando ora mai, Hannah si era riguadagnata una fama accademica ed era rientrata nei circoli intellettuali perché “le origini del totalitarismo” era stata un’opera che era saltata di continente in continente, aveva avuto un grosso impatto editoriale tanto più che fu un’opera pubblicata in piena guerra fredda, con il mondo diviso in due e con Hannah che puntava il dito contro lo stalinismo e ciò la espose a molte critiche, quindi quando nel 58 da alle stampe “vita Activa” c’è già molto clamore intorno a lei che si era appena riguadagnata la fama e quindi crea questo testo quando ha già 50 anni. “vita Activa” è un testo straordinario utile a comprendere l’antropologia di Hannah Arendt. Il senso di quest’opera è che, come dice Hannah, l’agire è una peculiarità dell’uomo e che l’uomo non condivide con nessun altro essere vivente. Questo testo quindi è proprio una riflessione sulle azioni dell’essere umano. Secondo Hannah Arendt un’azione diventa politica (ovvero significativa) solo quando si agisce insieme agli altri, con gli altri. IL TITOLO: il titolo originario fu “the Human Condition” ma Hanna già allora volevo intitolarla “vita ctiva” però si scontrò con il suo editore che gli impose quello che è il secondo titolo oggi nell’edizione italiana ovvero “The Human Condition”. Questo desiderio di intitolare l’opera con “vita activa” come primo titolo, venne rispettato 6 anni dopo nella versione italiana con il titolo di “vita attiva e la condizone umana”. PERCHE’ “VITA ATTIVA”? Questo è un titolo colto che in realtà rinvia ad un problema filosofico antico, quello appunto della vita attiva  i filosofi greci attivi avevano fatto una distinzione:  VITA ATTIVA: dimensione alta ma non la più alta in quanto nella vita attiva l’uomo era attivo, lavorava e creava e per i greci quindi l’uomo si occupava della vita terrena; creava cose, le plasmava perché doveva circondarsi di oggetti materiali che gli avrebbero consentito di sopravvivere nella natura, doveva cercare di rendere gli oggetti utili e servirsi di questi oggetti i quali potevano essere anche oggetti che facevano sì che gli esseri umani si guadagnassero una sorta di immortalità come ad esempio un monumento o un libro antico che sarebbero poi magari perdurati nel tempo.  vita necessaria alla sopravvivenza  VITA CONTEMPLATIVA: per i greci la vera vita era appunto quella contemplativa ovvero quella dedicata al pensare, al pensare sulle cose grandi; quella dimensione in cui l’uomo ricercava l’eternità, il divino. Per i greci era il pensare la dimensione per eccellenza, quella che portava all’ascesi, ai misticismi, quella che faceva sì che l’uomo fosse un uomo, superiore agli animali.  la vita vera Hannah fa notare che i greci investivano nella vita contemplativa ritenendo che il pensare fosse una dimensione più alta rispetto alla praxi, al lavoro; però Hannah Arendt faceva notare come pure per gli antichi greci in fondo queste due dimensioni erano tenute in equilibrio. Quindi i greci precisamente quelli della città stato che avevano una precisa idea della politica, in realtà tentavano di tenere in equilibrio queste due dimensioni, la prima necessaria e la seconda che nobilitava l’essere umano. Hannah Arendt riteneva che ad un certo punto l’equilibrio tra vita attiva e vita contemplativa e quindi tutto ciò che era pratico e tutto ciò che era teoretico, si fosse interrotto e che questa frattura si sia storicamente verificata con la caduta della polis, dell’antica città stato. Secondo Hannah Arendt da lì in avanti si sarebbe creato un grave fraintendimento perché l’azione pratica sarebbe stata considerata in dispregio rispetto alla vita contemplativa, quindi considerata tra le mere necessità della vita terrena. Da qui i greci hanno cominciato a guardare come ad una vita superiore alla vita contemplativa perché un solo modo di vivere veramente libero può realizzarsi attraverso la vita contemplativa. “the Human Condition” è quindi un titolo interessante in quanto rinvia a questa crepa che si è verificata nell’antico, ma non solo in quanto Hannah Arendt comincia a nobilitare la vita attiva e soprattutto inizia a riflettere sulla necessità di ricomporre un equilibrio tra vita attiva e vita contemplativa in quanto lei sostiene che non si può agire senza pensare e non si può pensare senza agire. Quest’opera si offre inoltre come un saggio molto frastagliato in quanto Hannah va a riflettere: 1) sulla società di massa 2) sul consumismo 3) è un’opera antimarxista in anni in cui Marx era celebratissimo e dove si era in piena unione sovietica 4) è un’opera antropologica in quanto Hannah Arendt riflette sul chi dell’uomo 5) è un saggio di teoria politica in quanto Hannah si accreditava come una teorica politica 6) è un’opera espressamente filosofica che affronta appunto questa frattura tra vita attiva e contemplativa, una frattura che secondo lei ha deciso anche una crisi dell’essere umano in quanto quando l’uomo smette di pensare accade una cosa molto grave che precipita l’essere umano in una condizione di bestialità, mostruosi 7) saggio di antropologia filosofica in quanto Hannah torna su una delle grandi domande della filosofia  CHE COS’E’ L’UOMO? Una domanda ontologica, sulla quale il filosofo si è sempre interrogato. Arendt con quest’opera va alle radici della questione dell’identità umana, si ricomincia a chiedersi che cos’è l’uomo e perché è così differente dall’animale e quindi si riappropria della domanda ontologica; il tentativo di dare, seppure in chiave esistenziale, una risposta alla domanda “che cos’è l’uomo”; si riappropria di quella questione che nella modernità era scivolata via dalle mani dei filosofi che l’hanno delegata alla scienza ma ciò per Hannah Arendt era stato un atto di vigliaccheria in quanto secondo lei è proprio la filosofia che deve assumersi la responsabilità morale, il compito di dirci chi è l’uomo, non può essere la scienza. Hannah Arendt si mette su questa pista di ricerca tornando a riproporre la domanda antica della filosofia cercando allo stesso tempo una diversa definizione del chi dell’uomo, cerca di raccontare l’uomo in un modo nuovo e originale al di fuori dei parametri della scienza. CHE COS’E’ L’UOMO? Secondo Hannah Arendt ciò che investe di senso l’uomo è che l’essere umano nasce, ma nascita non intesa come semplice riproduzione animale. Hannah non ci dice che l’uomo è un animale ma ci dice che l’uomo è un essere speciale perché nasce tra gli uomini, viene generato da altri uomini, non è semplicemente riprodotto in modo seriale perché la nascita, la nostra origine è anche la nostra unicità secondo Hannah Arendt  l’uomo ha valore in quanto nasce, nasce uomo, da altri uomini e si inserisce tra altri esseri umani e allora da qui la rivalutazione dell’agire  l’uomo come agente. L’UOMO E’ COLUI CHE NASCE Alla luce di questa risposta, Hannah Arendt costruisce una nuova teoria politica che però viene a radicarsi in una sorta di antropologia filosofica. Hannah Arendt nel capitolo quinto di “vita activa” sulla teoria dell’azione, ritiene che per comprendere l’uomo e investigarlo bisognerebbe interrogarsi a partire dalla nascita. Lei preferisce parlare non di natura umana ma di CONDIZIONE UMANA perché per lei l’essere umano non è soltanto u essere biologico in quanto che con l’essere generato si posiziona nel mondo per il tramite delle sue azioni, facendo esperienza nel mondo stesso. Quindi la condizione in cui Arendt ci parla in questo saggio è una condizione fenomenologica. A lei interessa investigare l’essere umano in quanto si mostra agli altri, in quanto è un essere plurale perché la condizione umana ha la particolarità di essere una condizione plurale e senza questa pluralità non si potrebbe nascere e quindi agire  la pluralità è la pre-condizione della nostra umanità; senza gli altri noi non si potrebbe agire, nascere e apparire. spinta a superare il bisogno e a superare l’interesse individuale gli viene dal fatto che è consapevole che non è solo, che è tra altri che la sua vera condizione è la pluralità.  l’uomo nasce libero tra gli altri e il lavoro ci rende schiavi ci togliere la libertà  io devo lavorare per sopravvivere!  i greci sapevano che lavorare era il fondamento della schiavitù infatti quando volevano reprimere i diritti di un cittadino lo schiavizzavano ovvero lo facevano lavorare negandogli la libertà  L’uomo non è solo biologicamente necessitato, il lavoro sì è necessario perché grazie a questo soddisfiamo i nostri bisogni però poi noi dobbiamo portarci fuori da questa attività; non può essere il lavoro a definirci in quanto persona. L’essere umano non può vivere costretto al privato ma è una creatura che ha bisogno di mostrarsi, di apparire, di stare e comunicare con gli altri.  Questa enfatizzazione del lavoro di Marx, secondo Hannah, ha il risultato di distruggere la libertà e di devastare la dimensione pubblica, politica dell’essere umano in quanto noi siamo sempre preoccupati di noi stessi e dalle nostre preoccupazioni private e ciò ci fa rimanere nella nostra condizione animalesca perché ci si appiattisce sulla mera sopravvivenza e così non saremo mai esseri umani in senso autentico; se noi ci preoccupiamo solo di salvaguardare i nostri bisogni stretti allora significa anche che ci si chiude in noi stessi escludendo il mondo esterno, gli altri che però ci sono necessari, ai quali apparteniamo in quanto la condizione umana è quella della relazione, della dipendenza.  Hannah Arendt riconosce a Marx l’opposizione al capitalismo come azione positiva in quando Marx si rende conto che il capitalismo è un veleno sociale che indebolisce la libertà di tutti  Arendt antimarxista ma con punti di contatto con Marx stesso.  Lei si allontana da Marx in quanto non condivide le soluzioni che Marx cerca di trovare a queste società di fine 800 molto complicate; Marx appunto insiste sul lavoro facendone la forma più alta di praxis e giunge anche a proporre come soluzione dei mali delle società di allora la rivoluzione violenta, la dittatura del proletariato (Arendt contro la violenza, non era una soluzione)  Ci sono quindi molte divergenze tra il materialismo di Carl Marx e la filosofia generativa di Hannah Arendt, ma in realtà il punto in cui queste due filosofie vanno a stridere è quando Marx celebra il lavoro come forma di prassi più alta questa celebrazione fa si, secondo Hannah Arendt, che quell’equilibrio salti completamente e quindi l’animal laborans prenda il sopravvento sull’home faber, sull’opera artistica.  Hannah ritiene che il lavoro sta appunto in fondo alla piramide quando l’uomo è in condizioni di schiavo, poi l’homo faber che è in una condizione più nobile nella quale crea le condizioni per la fioritura della civiltà, lo spazio dove i cittadini possono vivere insieme. L’homo faber però non può coincidere cona libertà umana, l’homo faber non può occupare il vertice della condizione umana in quanto sia il lavorare che l’operare portano il rischio di rimanere ancora stretti alla materialità e di essere isolati a causa del lavoro. AGIRE AUTENTICO  stare con gli altri, tra gli altri. Non si può agire da soli; io posso lavorare, operare e soddisfare dei bisogni da solo ma non posso agire da solo. Nell’agire umano è importante il dialogo, un’azione è significativa, dice Hannah, solo se viene raccontata, ascoltata; solo così si entra a far parte del vero mondo NATALITY Hannah Arendt ha costruito un intero corpus filosofico sul venire al mondo e che per comprendere l’essere umano ha investito teoreticamente sul natality facendone una categoria di pensiero in un modo esclusivo. L’essere umano secondo Hannah Arendt non può essere compreso se non a partire dal fatto he nasce e che viene al mondo tra altri esseri umani. Hannah Arendt sente l’esigenza di portarsi fuori dalla tradizione ritenendo il natality come una categoria di comprensione più nuova ed efficace per pensare l’uomo nei tempi bui. Lei opta per il natality proprio perché non è una categoria politica di matrice classica, i filosofi antichi come i greci, infatti non hanno mai dedicato il loro pensiero e investito sulla nascita. COSA SI INTENDE IN FILOSOFIA PER CATEGORIA? CATEGORIA deriva dal greco e significa  io mostro, io accuso, io affermo, io metto in chiaro; questo termine fu utilizzato per la prima volta da Aristotele. Le categorie ci dicono qualcosa di più del soggetto su cui si argomenta, quando ad esempio decimo che l’uomo è mortale, è razionale, è un vivente, è un mammifero, io lo sto categorizzando, sto anche predicando qualcosa del soggetto di quella frase cioè sto dando una serie di informazioni. Le categorie hanno però una duplice funzione in filosofia in quanto da una parte offrono informazione e dall’altra sono strumenti con cui si mette in ordine e si comprende la realtà. I principali autori di riferimento sono: 1) ARISTOTELE  le categorie si riferiscono sempre a cose concrete, egli dice che sono i modi di essere della realtà, lui ricorre alle categorie per ordinare la realtà e comprenderla. La realtà per lui è complessa e difficile da definirla e comprenderla  “l’essere si dice in molti modi” Parmenide invece diceva che l’essere era uno! Egli dice che alla realtà si possono associare vari significati in quanto il mondo che ci circonda è vario e non comprende solo l’essere umano ma anche piante, odori, sapori, colori, suoni… Aristotele per comprendere la realtà introduce 10 categorie e quella principale era quella della SOSTANZA che va a individuare ciò che un ente è in quanto tale; senza di essa le altre non potevano esistere come ad esempio la QUALITA’, la QUANTITA’, la RELAZIONE ecc… queste appunto fanno a fondarsi su questa prima categoria che secondo Aristotele è l’unica che ha sussistenza autonoma, è il fondamento, è ciò che sta sotto all’apparenza delle singole cose per come ci appaiono. Questa preoccupazione di Aristotele avviene perché lo scopo della filosofia, secondo lui, è quello di individuare ciò che sta alle fondamenta, qual è il più importante tra i molti modi per cui diciamo che qualcosa E.’ La categoria necessaria che distingue l’uomo è la RAZIONALITA’ per Aristotele l’uomo è un essere razionale (le caratteristiche accidentali non sono abbastanza ad esempio alto, basso, biondo…) L’impianto categoriale di Aristotele ha resistito fino ad arrivare a Kant 2) KANT  nel 700 filosofo tedesco, matematico, fisico che aprirà la stagione del criticismo della filosofia, in quanto la preoccupazione di Kant come filosofi ra quella di sottoporre a critica le conoscenze e le certezze a cui l’umo può giungere.  Egli concepisce l’uomo come essere razionale e ritiene anche che la ragione umana ha dei limiti e che deve quindi sottoporsi sempre all’auto-critica. Egli sostiene che alle categorie deve essere riconosciuta la funzione di unificare il molteplice; lui dice che noi percepiamo le cose così come ci appaiono ma la ragione deve pur pensare questi fenomeni e l’intelletto dovrà poi maturare questa conoscenza compiuta tramite l’uso delle categorie, ma le categorie per Kant non sono semplici modi di essere della realtà come sosteneva Aristotele, ma sono il modo in cui “l’io penso” conosce la realtà stessa.  la ragione umana per Kant può conoscere, ma per conoscere deve compiere due mosse: da una parte affidarsi ai giudizi e dall’altra deve fare uso delle categorie che ci permettono di costruire una conoscenza universale, compiuta, ci consentono di unificare il molteplice e di comprendere la realtà delle cose. secondo lui noi percepiamo attraverso i sensi che vengono poi aiutati dall’intelletto che deve maturare una conoscenza compiuta spingendosi oltre alla percezione affidandosi alle categorie, egli ne individua 11.  filosofo rivoluzionario Entrambi vedono l’uomo come essere razionale ma si distaccano in quanto Aristotele parla di 10 categorie e Kant di 12 ma soprattutto perché Kant ritiene che l’io sia attivo difronte alla realtà, che le categorie non possono essere concepite come semplici modi di essere della realtà, difronte alla realtà l’uomo con la sua forza della ragione non può solo recepire la realtà ma la pensa  da qu’ la rivoluzione Copernicana-Kantiana; per millenni al centro dell’indagine conoscitiva c’era l’oggetto, Kant sposta l’attenzione sul soggetto che è attivo di fronte alla realtà e non subisce passivamente la realtà ma la esplora, la conosce, la pensa e la giudica; le categorie per Kant non funzionano alla maniera aristotelica. Arendt utilizzerà il termine categoria in un modo esclusivamente politico facendo collassare i categoriali aristotelici e kantiani perché Hannah ritiene che l’essere umano può essere compreso a partire da un’unica categoria di pensiero ovvero LA NASCITA, l’uomo è natale e questa è l’unica risposta possibile alla domanda ontologica “che cos’è l’uomo?”  l’uomo è colui che nasce e può essere compreso solo in virtù del fatto che entra in relazione con il mondo e quindi l’uomo può essere compreso a partire dal fatto che è generato. Arendt inoltre con il termine MONDO intende lo spazio condiviso, plurimo, abitato con gli altri e quindi lo spazio natale in cui si viene alla luce e ci si scopre profondamente umani e ci si assume la responsabilità di rimanere umano. CHE COS’E’ L’UOMO? L’uomo è un CHI, un chi che viene dal nulla, che nasce, inaspettato, un natale e non è possibile comprendere l’uomo se non si parte da questa primordiale forma di agire; la morte non ci dice nulla dell’essere umano la nascita invece sì.  in “vita attiva” nel capitolo quinto sulla teoria dell’azione in un importante passaggio, Hannah Arendt dice “GLI UOMINI, SEBBENE DEBBANO MORIRE, NON SONO NATI PER MORIRE MA PER INCOMINCIARE”  possiamo notare che qui la morte è intesa come un dovere mentre il vivere come finalità positiva. Noi nasciamo perché abbiamo il diritto di vivere, noi siamo i nuovi che erediteremo il mondo e che dovremo salvarlo. Molto spesso la parola nascita è accostata a parole religiose come ad esempio miracolo, promessa, fede, speranza; sono termini che nell’immediato non appartengono al lessico della politica e della filosofia ma alla religione anche se Hannah Arendt insiste in quanto nei suoi testi la nascita è spesso descritta come miracolo, come promessa, fede e speranza e in questo senso sono termini che chiariscono il natality come categoria  venire al mondo è una promessa, è una sorta di atto di fede, di speranza di un nuovo mondo che potrà ripartire da capo con le nuove nascite in quanto la nascita in se interrompe ciò che sembra già dato, strutturato, immobile. Infatti esse pagano reciprocamente la pena e scontano la colpa per l’ingiustizia che hanno commesso secondo la legge del tempo Questo detto ci fa capire come gli antichi filosofi greci guardavano alla nascita come un giorno imperfetto, in cui si compie un peccato perché secondo i greci esistere era una colpa e nascere era un peccato che doveva essere espiato con il morire. Da qui in avanti la nascita come azione del venire al mondo è stata espulsa per millenni dai luoghi colti della filosofia e quindi da qui si guardava con sospetto colui che nasce; inoltre sono scaturite una serie di conseguenza sul piano filosofico perché la filosofia ha ereditato l’espressione MORTALE che è diventata, nel lessico filosofico, sinonimo di essere umano quindi, a causa della filosofia greca, l’uomo è stato pensato come valore solo in funzione del morire e la morte nello specifico è stata pensata come verità ultima dell’esistenza umana. Il venire al mondo, dai greci in avanti, ha finito con l’esercitare una scarsa attrazione teorica. (Ancora oggi quando indichiamo noi stessi ci pensiamo come mortali e indicare viceversa gli uomini come natali suona in modo molto strano)  ecco perché il pensiero di Hannah Arendt, sul piano filosofico, è assolutamente una teoria originale in quanto Hannah Arendt è la filosofa che nel 900 spicca in quanto reagisce alla “meditatio morti” ( essere umano come mortale e non come natale). Hannah Arendt ha costruito il suo racconto filosofico sull’azione del venire al mondo e su quella che lei stessa chiamava in “vita attiva” la lieta novella dell’avvento e quindi mette a segno con molta intuizione quello che il so NATALITY ANASSIMANDRO  fu un filosofo ionico dai forti interessi naturalistici, studiava la natura. Era amico e discepolo di Talete  fondatore della prima scuola di filosofia, Anassimandro si colloca nella fase aurorale della filosofia, è uno dei primi filosofi che noi conosciamo. Fu proprio lui il primo ad utilizzare la parola “archè”, termine che indica il principio di tutte le cose. Anassimandro individua l’archè con una miscela che egli chiamò apeiron che si distingueva per una spiccata indeterminatezza, APEIRON  termine greco che significa illimitato e infinito L’apeiron per Anassimandro è l’inizio di tutte le cose, il principio costituente di tutto l’universo e la immaginava come una sostanza primordiale, una materia indefinita da cui nascono tutte le cose naturali e in cui tutte le cose nate vanno a dissolversi. Il detto anassimandreo è un frammento filosofico che ha una storia antichissima e che ha appassionato molti filosofi tra cui Heidegger, questo frammento è il più antico tentativo di comprensione scientifica della realtà e dell’universo. Questi primi filosofi della storia della filosofia hanno proprio l’ambizione di fare scienza, in quanto la filosofia nasce come affermazione al pensiero razionale. Anassimandro provava quindi a comprendere l’universo, la funzione, l’origine e i meccanismi.  siamo di fronte ad una COSMOLOGIA ovvero un tentativo razionale di spiegazione dell’universo. Anassimandro scrive questo testo nel sesto secolo a.C: che è il più antico testo che parla di nascita che è giunto fino a noi. Questo testo giunge fino a noi grazie ad Aristotele che ne parla ai sui allievi tra cui Teofrasto il quale lo riprende e poi nel sesto secolo d:C questo testo arriva a Simplicio per poi giungere fino a noi (non si sa se è identico all’originale perché è passato di secolo in secolo e sicuramente sarà stato riletto e modificato, ma la maggior parte degli studiosi tendono a definirlo autentico e quindi per convenzione lo si è accolto integralmente). Struttura del testo Ha una struttura ben precisa composta nella prima parte da una forma chiasmatica e incrociata dove si intersecano delle figure di parole. Questa struttura chiasmatica ha anche un contenuto etico, un rapporto causa effetto. CHIASMUS  in latino significa forma incrociata, un incrocio di figure, di parole. Come se questo frammento fosse intersecato da due linee Nella struttura chiasmatica della prima parte si intravede una norma  “è giusto che sia così, è necessario che sia così” Un altro segno poetico è l’uso di una formula identica che va a chiudere le due parti del testo  musicalità, gioco stilistico, un lessico dove le parole poetiche si intrecciano con parole quotidiane della vita del greco di allora; queste parole si intrecciano al contempo con termini giuridici (pena, espiazione, colpa) che vengono usati in senso metaforico. Nell’ultima riga c’è un riferimento a crono divinità che temporalizzava gli eventi degli esseri umani, questi riferimenti ci rivela che questo frammento ha una matrice orfica  ORFISMO  è stato il più grande fenomeno religioso della civiltà greca ed era riferito miticamente ad Orfeo, era un ideale etico che riteneva che il corpo intrappolasse l’anima di un essere umano e che quindi fisse necessario uno sforzo di liberazione dell’anima dal corpo. Il corpo era considerato la tomba dell’anima  “chi nasce si sottomette alle leggi del dio Cronos che vuole che il corpo debba necessariamente disfarsi  chi nasce quindi commette una colpa originaria perchè interrompe quella perfetta armonia ovvero apeiron, guadagna per se stesso la vita ma deve pagare quella colpa originaria e quindi deve disfarsi trasformandosi, invecchiando e ammalandosi per arrivare alla morte perché questa è la legge di Cronos  Cronos vuole che chiunque nasca si sottomette alle sue leggi Inoltre lo si può dividere in due parti: 1) Nella parte superiore si parla di nascita 2) Nella parte inferiore c’è una sorta di spiegazione del principio generale Lo stile è in prosa, quindi è una filosofia molto differente da quella di oggi; è anche molto poetico in quanto i primi tentativo di scrittura filosofica sono ancora sperimentali. Questo frammento presenta infatti, una musicalità che viene dal fatto che c’è ancora una traccia poetica. Nel testo si fa spesso riferimento alla giustizia per cui questi versi contengono anche una sentenza  le creature che nascono hanno commesso un’ingiustizia e quindi la legge del tempo vuole che queste creature paghino l’ingiustizia commessa. Quest’opera presenta anche riferimenti a divinità come quella al Dio Crono che è una divinità orfica e quindi c’è anche un contenuto religioso perché l’orfismo è un fenomeno religioso di straordinaria portata in Grecia; in questo frammento si avverte molto quel pregiudizio culturale rispetto alla corporeità, a ciò che ha una forma materiale e che quindi appare  l’anima intrappolata in un corpo al momento della nascita, dell’espulsione dal corpo nel mondo tra le cose materiali, quell’anima deve pur fuggire da quella tomba che è il corpo. LA NASCITA PER ANASSIMANDRO è contrasto, rottura, turbolenza. Colui che nasce inclina l’equilibrio, la perfetta armonia che è l’apeiron ovvero ciò che Anassimandro vede come perfezione. E allora secondo Hannah Arendt già con Anassimandro si avverte una diffidenza ei confronti della nascita che andrà ad estinguersi con Parmenide che insisterà sull’essere sempre uguale a se stesso che non conosce trasformazioni, modificazioni e invece ciò che nasce non solo appare ma muta e rende forme continuamente differenti, invecchia si ammala e cambia sempre; i greci non accettano il concetto di diverso  ciò che è davvero è ciò che resta sempre fedele a se stesso, che non cambia mai Il natality di Hannah Arendt fa collassare quel categoriale in cui, da Platone fono a Heidegger, era centrale la morte; questo rinnegare il venire al mondo non è propria della filosofia ma prima ancora esisteva nella mitologia perciò la si può rintracciare nelle narrazioni sacre, pagane, greche e quindi nel mito MITOLOGIA  precede la filosofia e nella tradizione viene intesa come quel complesso di narrazioni fantastiche con cui l’uomo greco, l’uomo occidentale si è spiegato l’origine del mondo e dell’uomo  è il primo sforzo che l’uomo ha compiuto per spiegare a se stesso l’origine del mondo e dell’essere umano; non ha nulla di scientifico. La filosofia quindi ha ereditato dal mito questa inimicizia ne confronti del natale e questo in sé è strano perché la filosofia nasce in reazione alla mitologia. Questa ostilità nei confronti del venire al mondo è molto più antica del sapere filosofico in quanto affonda appunto le sue radici nella mitologia. Questa ostilità è evidente nell’ URANISMO CULTURALE  URANO  divinità che personificava il cielo e fu il primo Dio a regnare sull’universo. Proprio lui temendo che i suoi stessi figli potessero sottrargli il potere che egli aveva sull’universo, li nascondeva sotto terra appena nati per impedirgli di vedere a luce. Secondo la tradizione mitica, così fece CRONO, dio del tempo, nonché uno dei figli di uranio che, dopo essersi salvato, temendo che i suoi figli gli rubassero il potere, li divorò. Ciò ci fa comprendere che la nascita, già nell’immaginario mitologico, era rappresentata come un lutto di potere, una minaccia; da qui una serie di conseguenza filosofiche: PERCHE’ LA FILOSOFIA CHE E’ RAZIONALE E CHE E’ NATA PER OPPORSI ALLA MITOLOGIA, CADE NELLA TRAPPOLA DEI MITI SCEGLIENDO DI CATEGORIZZARE L’ESSERE UMANO ATTRAVERSO IL MORIRE E NON IL NASCERE? Secondo Hannah Arendt ciò sarebbe avvenuto non soltanto perché la filosofia ha ereditato una sorta di pregiudizio culturale dai miti, ma secondo Arendt c’è un’altra causa ovvero un processo di DESENSIBILIZZAZIONE messo in atto dalla filosofia che ha fatto sì che tutto ciò che appare, che è plurale, che è mobile, che cambia, che si trasforma, che ha bisogno dei sensi, tutto questo il AGNIZIONE PER HANNA ARENDT  lei conosceva molto bene i testi aristotelici e nelle sue opere si serviva spesso di questo meccanismo che in realtà erano tipici della scrittura greca, della tragedia; il bambino che nasce è una sorta di agnizione, un vero colpo di scena. Spesso abbiamo considerato la filosofia del natality come una filosofia molto frastagliata però si ha come l’impressione che questo bambino si ispiri al classico, alla tragedia. Il bambino arentiano è simile a una sorta di agnizione. Hannah Arendt probabilmente si è ispirata ai meccanismi narrativi tipici della classicità, ha certamente studiato la poetica aristotelica, ovvero un trattato scritto per uso didattico da Aristotele intorno al 330 a.C. nel quale affronta argomenti di carattere artistico- letterario, è il primo lavoro di un uomo di scienza su questo argomento poetico. Nelle sue opere il bambino compare come un colpo di scena ed è descritto alla maniera greca, come un eroe, il protagonista della storia che porta amore attivo e che rompe gli schemi narrativi della vita ma anche delle sue opere, ad esempio in “vita attiva” nel capitolo quinto c’è una paginetta in cui compare il bambino che viene al mondo che va a scomporre quello che sembrava uno schema narrativo consolidato. L’agnizione con Arendt si realizza in due modi diversi: 1) CON LA NASCITA BIOLOGICA 2) CON LA SECONDA NASCITA E’ QUELLA POLITICA, INTESA COME INSERIMENTO IMPULSIVO DATO DALL’AGIRE Questa capacità di qualcosa di nuovo le viene suggerita da Agostino D’Ippona grazie a una sua frase che Hannah Arendt farà sua. La nascita di Arendt è quindi un’agnizione, addirittura una peripezia, il bambino arentiano è un colpo di scena ed è l’esito di un impulso ad agire. Sempre da Agostino prende la distinzione tra:  PRINCIPIUM = lo riconosce solo a Dio con la creazione però è un momento di profonda solitudine. È un atto creativo che si realizza in solitudine. La creazione si realizza fuori dal tempo  INIZIUM = lo riconosce agli uomini con le nascite umane che sono un atto creativo partecipato e condiviso. Si realizza nel tempo LEZIONE 19 Secondo semestre- La banalità del male Il 7 aprile del 1933 il terzo reich emana le leggi razziali, leggi terribile con cui gli ebrei vengono esclusi da molte professioni, da associazioni e così via. Nel 35 seguiranno le leggi di Norimberga, che spianano la strada allo sterminio, gli ebrei a fronte di quelle leggi in Germani saranno distinti in 2 categorie: l’ebreo puro che viene privato di ogni diritto, e la categoria del mezzo sangue. Nel 38 a seguito di queste leggi viene avviato il censimento degli ebrei in Germania, e quindi vengono di fatto schedati e così i loro beni. Si arriva alla notte tra il 9 e il 10 di novembre 38 in cui ci sarà la notte dei cristalli, in cui si scatena il più gigantesco progrom, la più grande devastazione che la storia ricorda. Gli ebrei furono arrestati in massa almeno 26 mila persone, negozi e sinagoghe vennero distrutte, rase al suolo e da qui a poco anche la costruzione dei ghetti. Il 20 gennaio 1942 (da ricordare) una data che segna l’avvio dei lavori della conferenza di Wannsee a Berlino ed è un tavolo di lavoro che vede i vertici del terzo Reich in cui si vara la soluzione finale, tra gli organizzatori il generale Heydrich e il colonello Adolf Eichmann. La Germania diventa lo scenario dello sterminio. Hannah Arendt è intorno agli anni 50 che inizia a riflettere sulla questione dell’obbedienza dei tedeschi e lo fa in 2 opere: la prima con le origini del male 1952 e poi la banalità del male 1964. La banalità del male è un testo particolare perché Hannah da filosofa si interroga sulle ragioni del perché i tedeschi ad obbedire in maniera acritica alle leggi del fuhrer. Giunge a delle conclusioni, delle conclusioni lucide. Comincia a farsi delle domande: perché obbediamo alle leggi? E perché in maniera così acritica? Per un quieto vivere? È possibile parlare ancora di civiltà se i cittadini obbediscono in questo modo senza interrogarsi se una legge sia giusta o no? Hannah cerca di mantenere un atteggiamento critico, oggettivo e razionale. Per lei l’essere umano, il buon cittadino deve porsi sempre criticamente di fronte alle leggi, di fronte alle istituzioni; secondo Hannah ogni cittadino deve fare esercizio di cittadinanza attiva, deve dare prova di saper pensare da sé, la capacità di restare umani e non scomparire nella massa e non farsi semplici ingranaggi di un sistema enorme che conta proprio sul processo di massificazione che annulla la capacità di pensare. Secondo Hannah la massificazione annulla completamente la capacità della singola persona di pensare da sé. Chi è Adolf Eichmann? è uno dei responsabili della cosiddetta soluzione finale ed è quindi uno di quei tedeschi che si accontentano di obbedire, di vivere nella massa e che con la sua indifferenza ha permesso la soluzione finale. Eichmann nei fatti è una sorta di logistico del nazismo organizzava il traffico ferroviario quindi lo spostamento degli ebrei in questi treni mortifori. Trasferiva gli ebrei dalle loro città, ai campi di concentramento fino ai campi di sterminio. Sara catturato in argentina per essere trasferito in Israele e processato a Gerusalemme come criminale di guerra nel 62 giungerà la condanna sarà condannato a morte per crimini contro l’umanità con l’impiccagione. Hannah seguirà le sedute del processo e la sua interpretazione filosofica diventerà un opere: la banalità del male. Durante il processo secondo Hannah, Eichmann esibisce una sorta di incapacità di pensare, sembra un uomo cui difetta la memoria. Lei dice che lui non è un demonio, per lei il male quello dello sterminio, dei lager, della guerra, non è causato da una volontà perversa ne da causato da una volontà demoniaca, malata, ma il male è causato semplicemente dalla normalità. Erano uomini normali, ne sadici, ne perversi, terribilmente normali. 2-3 Ma il guaio per Hannah era che nella sua Germani di uomini normali come lui ce n’erano veramente tanti; non erano sadici o mostri o perversi, ma terribilmente normali. E da qui appunto il titolo: la banalità del male. Quindi queste terribili azioni possono essere commessi anche da persone normali e quindi il male dei lager può essere commesso da rispettabili padri di famiglia (utilizza proprio questa espressione). Eichmann era un buon padre di famiglia, un uomo credente, lavoratore, amante della famiglia e dedito a loro. Un uomo che era stato avvelenato dalle idee del terzo Raich e quindi era il perfetto prodotto di quelle macchine totalitarie, perché era un uomo terribilmente obbedienze perché ideologico. “Eichmann era obbediente come un cadavere”. Eichmann le pare addirittura innocente e questo lo scrive anche e questo le porterà delle critiche terribili. Ma ciò non significa che non sia meritevole di una pena, anzi per lei è meritevole anche di essere giustiziato. ,a Hannah lo descrive come uno smemorato (perché lui dice di non ricordare niente di ciò che ha fatto, di ciò che è successo, non ricorda il suo passato), un uomo dalla memoria innocente e difettosa, ingenua e infatti Eichmann si difende dicendo che lui stava solo obbedendo alle leggi del suo stato. E quindi lui in quanto soldato doveva chinare il capo e obbedire. Nelle sedute processuali, il giudice gli chiede se mai si fosse reso conto che su quei treni egli non trasportava solamente degli alimentari verso l’Ungheria (anche li cerano campi di sterminio) e quindi gli chiese se lui si fosse mai reso conto che su quei treni cerano degli esseri umani? Lui rispose che si era limitato ad eseguire degli ordini e che non aveva fatto nulla di più. E in effetti era vero perché lui non si era mai sporcato le mani di sangue perché aveva un compito di scrivania, di ufficio ma ciò non ci solleva dalle responsabilità morali. E quindi cosa aveva trasformato Eichmann? Perché uomini normali si sono trasformati in criminali? Perché secondo lei nelle società di massa i processi di ammassamento fanno si che gli uomini per paradosso vivano isolati e nell’isolamento gli esseri umani sono tanto più vulnerabili, sentono più la paura, non hanno punti di riferimento. Essendo soli, le masse presentano delle precise caratteristiche, perché gli individui che vivono massificati cedono all’ideologia e quindi cedono al carisma personale di un capo. Eppure però Eichmann non è uno stupido, non è un ignorante, il suo problema è che ha rinunciato a pensare da sé stesso, ha rinunciato ad essere giudice di sé. E un individuo ammassato che è restato isolato che si è fatto permeabile all’ideologia. E in questa terribile obbedienza cadaverica, Eichmann ha interrotto il dialogo interiore con sé stesso, Eichmann non pensa più non è più capace di rielaborare il significato del proprio agire. Nei campi, nei lager, in Germania, tutti i diritti umani sono sospesi, destrutturano scientificamente la persona umana, trasformano gli esseri umani in non persone, in dei cadaveri. Hannah Arendt ci dice anche che nei lager restano solo le funzioni biologiche, cioè quando una persona transita da una condizione di umanità da una di inumanità, quello che resta in quell’essere umano sul piano della dignità morale e la necessità di soddisfare ii bisogni primari concetto di nuda vita. La nuda vita è un concetto, un’espressione che circola tra i filosofi per indicare l’annullamento sistematico della persona umana. Chi rinuncia al pensare evidentemente rinuncia anche al bene e quindi diventa strumento del male. Questo è accaduto a Eichmann e in Germania. 4 Corre l’anno 1960 e gli uomini del Mossad, cioè i servizi segreti israeliani rapiscono in argentina Adolf Eichmann, quest’ultimo e un ex colonnello delle SS, una personalità controversa che aveva Hannah soprattutto non approvava la scelta di usare i sopravvissuti del campo di sterminio, come fossero attori di un film dell’orrore e quindi di spettacolarizzare il dolore dei sopravvissuti. Per lei non era necessario ascoltare le vittime anche perché queste persone molto spesso non avevano mai incontrato Eichmann. Quindi Hannah sostanzialmente con i suoi articoli e le sue riflessioni vuole dimostrare che quella teatralizzazione non era di nessuna utilità e non avrebbe aiutato a comprendere. E invece secondo Hannah parlava delle colpe di Gurion e dei suoi obbiettivi; voleva dimostrare che quello che era successo agli ebrei nel terzo Reich, era la diretta conseguenza dell’antisemitismo e dell’odio secolare e antico, che solo Israele avrebbe potuto contenere, disinnescare. Per Gurion era l’occasione di intimorirli, spaventare gli ebrei sparpagliati in Europa, di dimostrare che al di fuori di quei confini non avrebbero mai potuto vivere, non c’è salvezza, perché un ebreo sarà sempre in pericolo, sempre oggetto di odio razziale. Per lei quello non fu un vero processo ma un circo, un comizio. Da Israele si manteneva in contatto con il marito e la sua assistente, con delle lettere, giunte e conservate fino a noi. Nelle lettere scriveva tutte le sue amarezze e la sua indignazione riguardo al processo e anche lettere contro Israele (che per lei rappresentava il razzismo) la lettera era particolarmente dura, li accusa di razzismo al contrario perché non aveva mai capito il loro progetto sionista di realizzare una nazione a scapito delle nazioni arabe, inoltre la stessa Israele aveva vietato i matrimoni misti e quindi c’erano tante cose che ad Hannah c’erano molte cose che le davano fastidio per esempio, come era nata, come si era organizzata e così via. A lei non piaceva Israele nel suo insieme. Si vede però anche la sua stima verso gli 11, i giudici, si sentiva vicino a loro, il loro compito difficile, loro davvero cercavano lo sforzo di comprendere le colpe di Adolf. Li definiva “il meglio della comunità ebraica”. -5 articoli pubblicati new yorker, codesti aprirono la cosiddetta controversia. Che diventa un dibattito violentissimo tra Arendt e i suoi sostenitori e dall’altra gli ambienti intellettuali ebraici. Dove lei diventa oggetto di critiche e si aprì un dibattito sull’ebraismo e sulle shoah. La banalità del male ha un suo merito però, cioè sollevare i veli sulla shoah perché questo era l’obbiettivo. 10 non dice nulla 11 Hannah dopo anni di silenzio era tornata a scrivere, era tornata ad accreditarsi nel mondo accademico. Scrivendo i 5 articoli del new yorker nel ’63. Una durissima critica che le viene promossa è di aver affrontato la shoah, su un giornale patinato quindi su una testata giornalistica. Ma Hannah sceglie il new york apposta perché non è una rivista sionista, perché era una rivista culturale legata alla sinistra newyorkese ed era molto popolare, era molto diffuso e quindi aveva un gran numero di lettori, perché Hannah voleva che si tornasse a parlare, a discutere del tema delle shoah. Perché per lei questo è una nuova forma di crimine, un crimine commesso contro l’intera umanità. Che era stato perpetrato contro il popolo ebreo ma secondo lei questo crimine riguardava il mondo intero perché andava contro l’umanità. Hannah voleva che si tornasse a parlare di ciò che era successo, a parlare nelle case di tutti e un giornale le avrebbe consentito di aprire la questione in modo rapido. Quindi la prima colpa di Arendt era stata quella di pubblicare gli articoli su una rivista in cui si scriveva di qualsiasi cosa e non sionista o storica. Viene accusata di non amare gli ebrei, di non amare il suo popolo. Hannah risponderà che è vero, ma dirà che non ama nessun popolo, ama solo i suoi amici, gli uomini nella loro individualità. Inoltre, Hannah era atea e quindi non era legata neanche alla religione, era ebrea solo di nascita. Lei si sentiva una tedesca, perché aveva vissuti lì, cresciuta con la loro educazione. Ma comunque Hannah ribadisce che non ama nessun popolo, si tiene fuori dalle questioni nazionaliste, dalle ideologie sovraniste. E questa mancanza di amore per il suo popolo le costerà molto caro. 12 In particolare, non le fu perdonata l’accusa ai capi delle comunità ebraiche e anche l’accusa agli ebrei di non essersi ribellati, ma di essere stati “docili”. I capi, o anche chiamati rabbini ebrei, sono coloro che venivano incaricati e obbligati dai tedeschi a contribuire alla shoah e cioè gli veniva chiesto di stilare delle vere e proprie liste di nomi di persone ebree. Hannah pensa che se non ci fossero stati per i tedeschi sarebbe stato più difficile e così non sarebbero arrivati a uccidere 6 milioni, ma di meno. Hannah si sofferma su uno in particolare va a colpire leo pek, un rabbino ebreo, un leader carismatico, il quale fu chiamato e presiedere il consiglio degli anziani del lager teresianstak. Hannah attacca leo e lo rimprovera di aver ingannato i suoi fratelli, di non aver mai rivelato ai suoi fratelli ebrei che la destinazione sarebbe stata aushitz. Ma pek era un personaggio di alto profilo, estremamente carismatico, amato, e quelle parole di Hannah provocarono reazioni molto violente sia dai suoi nemici sia dai suoi amici stessi. Non mancarono però le persone che presero apertamente le difese di Hannah. Molti intellettuali, personaggi pubblici, molti suoi amici presero le sue difese. Più di altri difese fu la sua grande amica mari maccartney e con articoli e dibattici pubblici difese la sua amica. Quindi Hannah fu anche molto protetta, anche dal direttore del new yorker. Fu un’incompresa ma anche compresa. Critiche sul piano filosofico Hannah sostiene che l’antisemitismo è comparso perché il male fa parte dell’uomo, questa era la tesi delle origini, per cui utilizzò il concetto del male radicato (di Kant) per spiegare la shoah e scriveva, nelle origini del male, che nei campi di sterminio si era compiuto il male radicale. Solo che nella banalità ci ripensa, muta le sue tesi e fa retrofont e questo desta scalpore sul piano filosofico. E dice anche di essersi sbagliata e quindi il male non è radicale, perché? perché solo il bene è profondo, il male non ha radici; se nel pensiero c’è anche il male, non trova nulla, solo il bene più profondo. E così inizia ad usare l’espressione “banality” e anche questo destò scalpore, risultò scandaloso perché lega la parola banale all’olocausto. 13, 14, 15 L'uomo può scegliere di fare del male ma può anche resistere al male. Bisogna comprendere le cause del male, questo per poter disinnescare il male. Attraverso la ragione, infatti si è cercato di comprendere questo male, per controllarne soprattutto gli effetti. Il male fino ad Hannah Arendt era stato spiegato in modo differente: per i critici, ad esempio la causa maligna erano gli Dei. Sant'Agostino invece si chiede che cosa e da dove viene il male. Egli distingue il male, lo categorizza in almeno tre forme: male ontologico, male morale, male fisico. Agostino dice poi che il male non è stato inflitto da Dio...Perché altrimenti il male diventerebbe una divinità. molti filosofi poi pensano anche il male esiste perché Dio permette il male…poi vi sono altri filosofi chi si appassionano al tema del male. dall' illuminismo in poi invece si è affermata l'idea che il male possa essere sconfitto dai grandi passi della scienza e dalle conquiste tecniche. Arendt cerca di spiegare il male secondo la religione, ma non ci riesce perché è atea, non riesce ad avvicinarsi a Dio. Per Kant, il male è un “legno storto”, egli dice che la propensione al male dell'uomo fa sì che questo sia spinto ad agire, cercando di soddisfare i propri desideri egoistici. Il male poi secondo lui non si può togliere solo con la forza dell'uomo, si estirpa solo con l'intervento di Dio. Quindi secondo Kant solo il buon cuore di Dio può opporsi al male radicale. per Kant l'uomo è incline al male perché è libero e quindi secondo lui la libertà è la causa del male. Ma Kant si contraddice quando successivamente dice che il male è innato, ma i due concetti di libertà e l’innatezza non si conciliano. Egli però cerca di spiegargli come innatezza e libertà possano convivere nell’uomo. Kant in particolare parla di “massima individuale” (con cui intende il proprio benessere in senso egoistico) e di “massima universale” (con cui intende fari il bene dell'umanità), perché dice che quando siamo liberi scegliamo di scegliere la nostra felicità e la non felicità degli altri e quindi la massima universale viene sacrificata nel nome della “massima particolare”, questo accade perché l'uomo è libero, quindi il male esiste perché esiste la libertà. Il male è radicato e proprio per questo l'uomo da solo non può liberarsi dal male. per Kant quindi; l'uomo dotato di ragione resta comunque impotente di fronte al male: per lui il male è inestirpabile dall'uomo. Hannah Arendt in questo senso, sposa le tesi di Kant nelle “origini del totalitarismo”. In “banalità del male” però fa retrofront e questo le portò molte critiche perché la tesi di Kant non venne disegnata come scandalosa. Quando Anna si inserisce in questo dibattito sul male, si pone come obiettivo quello di “risalire alla causa del male” vuole comprendere. quando nella banalità del male dice di essersi sbagliata entra in gioco Agostino, il quale afferma che il male non approfondita. Quindi lei fa retrofront probabilmente guardando anche le tesi di Agostino. Nella banalità del male per contrastare questo male parla di bene e dice che una concezione di bene c'è, e questo bene per lei e la capacità di pensare che l'uomo ha, la capacità di usare il giudizio. Il male quindi nella banalità del male non è demoniaco ma si annida laddove l'essere umano smette di pensare da sé, tutte le volte che smettiamo di pensare da sè si crea al male. Il male quindi per Arendt e segno che l'uomo ha smesso di pensare da sé punto il male e senza radici perché è “estremo”, perché solo il bene e profondo, mentre il male è assenza. Secondo Arendt il male può essere commesso da tutti nella propria quotidianità, persino dal buon padre di famiglia debito i figli, la moglie al lavoro. Tutti gli esseri umani possono infatti smettere di Hannah parla fuori dai denti, mette in discussione perfino il principio ebraico della sacralità della terra. Gli ebrei occupano la Palestina che era una terra già abitata dai palestinesi ma per loro è la terra che Dio aveva promesso loro, però questa scelta può metterci di fronte a una società estremamente complessa che rischia di non riuscire a dialogare con le popolazioni palestinesi, ma ovviamente non fu compresa. Le sue preoccupazioni e i suoi timori furono equivocate come una sorta di antinazionalismo. Chi invece la comprese furono i giovani, i giovani di Israele e dell’America, perché i giovani concordavano, condividevano le sue preoccupazioni. Anche una parte della sinistra ebraica americana si schierarono dalla sua parte. Le nuove generazioni compresero le tesi di Hannah. Hannah sosteneva, suggeriva l’idea di creare uno stato binazionale, in cui non si usassero più linguaggi su base etnica né si affermassero diritti su base etnica. Lei promuoveva di poter costruire uno stato binazionale in cui venissero meno la separazione tra ebrei da una parte e arabo- palestinesi dall’altra. I maggiori meriti che le vanno riconosciuti sono sul piano filosofico, perché Arendt ha tentato di battere delle nuove piste di ricerca, investigazione, anche la sua stessa concezione del male, cerca di aprire una nuova pista. 19, 20, 21 Perché no? Nel 1960 gli agenti del servizio di sicurezza di Israele rapiscono Eichmann perché venisse processato. Rapinato perché in Argentina non aveva ancora assicurato accordi di estradizione e quindi molti nazisti trovarono rifugio in America latina e in Argentina in particolare. 15 dicembre 1961 sarà ritenuto colpevole di crimini contro il popolo ebraico, per poi essere impiccato a mezzanotte del maggio 1962. Il suo corpo sarà ridotto a cenere che saranno disperse in mare in acque internazionali. Eichmann  criminale di guerra, rifugiato a Buenos Aires sotto un falso nome. Tedesco, nato a Solingen nel 1906, da ragazzo si trasferisce in Austria con la famiglia. Nel 1932 aderì al partito nazista austriaco e alle SS e da lì avrebbe raggiunto degli alti gradi all’interno dell’organizzazione nazista. Nel 1938 a Vienna, si vide assegnare dei compiti delle mansioni, come quella di organizzare l’ufficio centrale dell’emigrazione degli ebrei; da lì in poi inizierà la sua carriera. Il primo compito che gli viene assegnato è il trasferimento di massa. La Gestapo trasferisce Eichmann, il quale si vede assegnare compiti più alti di direzione, perché divenne direttore del dipartimento incaricato delle deportazioni. In questa posizione Eichmann diviene una figura chiave, decisiva, colpevole della deportazione di oltre 2 milioni di ebrei. Nel 1942 Eichmann partecipa alla conferenza di Wannsee a Berlino, nella quale fu pianificato lo sterminio totale degli ebrei. Eichmann e i suoi collaboratori furono responsabili di migliaia di deportazioni ebrei dai territori nazificati. Dal ’43 e ’44 pianificano anche la deportazione nel nord Italia, dalla Grecia, dall’Ungheria. Era un uomo normale, mediocre, fu uno studente poco brillante perché abbandonò le scuole superiori. Lavorò come operaio, come impiegato nella piccola compagnia mineraria del padre, grazie a quest’ultimo trovò un lavoro meno faticoso in una compagnia elettro-tramviaria, lascerà anche questo lavoro e diventerà una sorta di agente, di rappresentante presso una compagnia petrolifera del tempo dove conoscerà un avvocato Brunnel il quale nutriva delle simpatie per il nazional socialismo, per il tramite di questo giovane avvocato Eichmann a sua volta entra a far parte del partito nazista austriaco, però non era un giovane ideologico, convinto, ma fa questo salto molto casualmente perché gli e lo chiese il suo amico e lui rispose “ma si perché no?”. Non era un ideologico, non era convinto, non era fanatico, sapeva molto poco del partito e della politica, era un giovane piuttosto sbandato, che svolgeva anche lavori umili, non aveva un obbiettivo nella vita. Eichmann non conosceva nulla di quel partito, della politica, non aveva neanche letto il diario di Hitler. George Orwell definì negli anni ’40 il diario di Hitler come la visione fissa di monomaniaco. Ma purtroppo riuscì ad abbindolare milioni di giovani. La situazione in Germania nel dopoguerra era molto difficile, milioni e milioni di disoccupati e quindi era chiaro che avessero mano libera i demagoghi. In questo libercolo Hitler si figurava una sorta di rinnovata Germania e funziona tra i giovani. Eichmann come i tanti giovani cede alla maniacale follia hitleriana. Cedono al fascino della camicia bruna di Hitler. quando per vicende storiche il partito nazista austriaco diventa illegale Eichmann fugge e torna in Germania e grazie alle raccomandazioni di un ufficiale che potrà intraprendere la carriera militare. Ma quando entra nelle scultz staffen (squadre di protezione) Eichmann entra in questa squadra elitaria ma non sa che cosa veramente siano, la sua idea era che erano un servizio di scorta. Una volta entrato fu messo in un ufficio, per cui starà diversi mesi a raccogliere informazioni ma successivamente verrà trasferito in un altro ufficio quello ebraico, che non era un ufficio come tanti ma aveva dei compiti specifici in cui ci si occupava di questioni relative alla sicurezza nazionale. Ed è lì che Eichmann comincia a documentarsi sulla cosiddetta “questione ebraica”. Leggerà diversi autori e diversi libri di spessore sul sionismo, prese molto sul serio il suo nuovo incarico, tanto sul serio che imparò i primi rudimenti del liddish, una lingua diretta ebraica, una sorta di dialetto, che si era diffusa tra gli ebrei europei. Era così motivato nel suo lavoro che nel ’37 segretamente organizzerà un viaggio in Palestina per spiare gli ebrei sotto falsa identità. segretamente si reca in Palestina per spiarli e imparare qualcosa di più sui loro costumi e sui loro modi di vivere. Eichmann a fronte delle sue letture e di questo viaggio, riesce ad accreditarsi come esperto di questioni ebraiche. Eichmann si spaccia come un fine conoscitore del popolo ebreo e da lì in avanti comincerà anche ad ideare un piano d’aiuto per gli ebrei. Da quello che Eichmann aveva capito e conosciuto gli era sembrato che gli ebrei volessero, avessero la priorità di fondare un loro stato. Da quel momento Eichmann si prodigherà per aiutare a mettere sotto i piedi degli ebrei della terra. Per la realizzazione di questo piano, dare una terra agli ebrei, poteva essere realizzato solo organizzando uno spostamento di massa di queste popolazioni, un’emigrazione forzata. Siamo nella fine degli anni 30 e in Germania non si parlava ancora di sterminio, di soluzione finale perché venne innescato nella conferenza di Wannsee. Come sappiamo l’organizzazione della logistica venne affidata ad Eichmann. Eichmann nelle sedute processuali arriverà anche a parlare di politica, si definirà come un lealista, leale verso lo stato nazista. Non poteva che condividere quel progetto della sua Germania, di ripulire lo stato dagli ebrei. Ma allo stesso tempo si definì anche come un realista, perché dietro quella scrivania fece i conti con la realtà e quindi stava realizzando il desiderio degli ebrei. Non a caso in più occasioni durante le sedute processuali, si sarebbe definito come un salvatore del popolo ebraico. Il suo compito era l’organizzazione logistica e anche requisire i treni e quindi pianificare questi trasferimenti di massa ma anche di valutare le capacità nei campi di concentramento. Nella banalità si legge che tra i suoi primi incarichi ci fu una prova di deportazione, al tempo della Francia nazificata, di trasferire verso la Francia 7 mila ebrei. Questo era il ruolo di Eichmann organizzare il trasporto. Persa la guerra riuscirà a scappare, a farla franca, viene anche effettivamente catturato dagli alleati, dagli americani, ma riuscirà a sfuggire all’identificazione, un personaggio camaleontico che sa assumere nuove identità e che alla fine acquisisce un nome nuovo quello di: Ricardo Clement. Attraverso questo nuovo nome riesce ad imbarcarsi e ad arrivare in Argentina, dove riesce a ricostruirsi una nuova vita. All’inizio si presta per lavori molto umili e poi divenne capo meccanico della Mercedes. A Buenos Aires quindi si ricostruisce una nuova vita, con la moglie e i figli, in cui costruirà una casa che di fatto è un vero e proprio bunker di cemento armato, tra l’altro una casa piuttosto modesta in una zona periferica nei sobborghi di Buenos Aires, all’inizio non aveva neanche l’acqua corrente, l’elettricità, ma in un secondo momento lo raggiungono la moglie e i figli. Fu però identificato dagli uomini del moussad, a quel tempo sembrava condurre una vita placida, tranquilla, ma di fatto non aveva mai cambiato le sue idee, era rimasto nazista, aveva conservato anche l’arroganza di un tempo, non si sarebbe mai pentito. Però proprio questa sua nostalgia del passato, dei tempi del terzo reich, gli fece compiere dei passi falsi che gli costarono caro. Ricevette anche molto spesso delle tentazioni come firmare con il suo vero cognome un necrologio. Quindi insomma c’era sempre qualcosa del suo passato che lo attraeva e questo gli fece compiere errori e rovinare la sua copertura. Come pure per esempio, il nostalgico razzista, non si era fatto fuggire l’occasione per farsi intervistare da un ex SS, che si vantava, si spacciava di essere un giornalista che raccoglieva testimonianze della Germania di allora, un olandese che risiedeva anche lui a Buenos Aires. Ecco, ci fu l’occasione in cui questo sedicenne giornalista invitò, conoscendo la vera identità di Eichmann, di raccontarsi ai suoi microfoni. Eichmann come altri nazisti. E questa combriccola si riuniva settimanalmente per discutere, per ricordare, raccontare, per rievocare ma anche per commentare articoli di giornali sul tema della shoah. Si riunivano anche per raccogliere anche materiali con l’intento di scrivere insieme un libro che raccontasse la shoah per quello che per loro era, e cioè un’esagerazione. Una combriccola di negazionisti che si ritrovavano in un salottino per raffigurare la shoah in un modo vergognoso, come fosse stata una grande menzogna storica. In effetti di quegli incontri nella casa del giornalista sono poi rimaste delle registrazioni, trascrizioni in cui questo gruppo di nazisti rivendicavano la causa del terzo reich. Queste interviste costituiscono materiale prezioso per ricostruire la vera personalità di Eichmann. Hannah era rimasta ingannata da quell’omino minuto nella sua teca di vetro, perché in queste interviste, il nostalgico nazista Eichmann, parla dei milioni di ebrei, di nemici uccisi. Sono materiali preziosi che ci raccontano del vero Eichmann e che fa sospettare che Hannah abbia commesso degli errori nella banalità riguardo alla personalità di Eichmann. Questi materiali raccolti sono stati analizzati da una studiosa tedesca Tina Stangnet, una filosofa, politica, che cercò di mettere in luce quelli che sono gli errori della banalità del male. Tina è una raffinatissima studiosa della manipolazione dei meccanismi psicologici, e quello che viene fuori è il autoritaria considerata legittima, la cui autorità induce uno stato etero nomico, caratterizzato dal fatto che il soggetto non si considera più libero di intraprendere condotte autonome. I soggetti dell'esperimento, perciò non si sono sentiti moralmente responsabili delle loro azioni, ma esecutori dei voleri di un potere esterno. alla creazione del cosiddetto stato etero nomico concorrono tre fattori: -La percezione di legittimità dell'autorità. -L'adesione al sistema di autorità, cioè l'educazione all' obbedienza fa parte di processi di socializzazione. -Le pressioni sociali cioè disobbedire allo sperimentatore avrebbe significato mettere in discussione il lavoro dello scienziato. Milgram nota che 5 soggetti si fermano al momento di dare una scossa di 300 V, altri si fermano leggermente dopo, mentre 26 persone arrivano a somministrare scosse di 450 V. I risultati variano in base anche alle stanze, perché quelli che non vedono e non sentono le percentuali sono molto alte, il 65% arriva alla scossa letale. Percentuale che cambia leggermente tra coloro che sentono solo le vittime il 62%, mentre coloro che vedono e sentono tutti la percentuale è 40%. Con l’esperimento più che offrire delle risponde, apre ulteriori interrogativi. Tra l’altro Milgram pubblicherà i risultati del suo lavoro due anni più tardi nel libro “obbedienza e autorità”. E in questo libro Milgram, sintetizza le sue teorie le sue ipotesi, ma si porterà dietro diverse critiche. 24, 25, 26 Eichmann durante le sedute processuali dichiara di non aver mai odiato gli ebrei, aveva solo obbedito ma non era mosso da odio razziale nei confronti degli ebrei, addirittura si era detto amico degli ebrei da volergli mettere una terra sotto i piedi. A quel punto Milgram da ricercatore sull’autorità, sull’obbedienza, il suo scopo è verificare come i comportamenti individuali possono essere condizionati all’interno di un sistema politico, sociale, autoritario, fortemente gerarchizzato. La sua ricerca è studiare come in determinate circostanze un individuo, un adulto risponde alle sollecitazioni di una autorità legittima che gli comanda di agire in un certo modo contro i propri valori. Vuole capire i comportamenti di fronte a un’autorità legittima e l’obbedienza. A persone americane cresciute in una repubblica e quindi con determinati valori. Il libro di Milgram e il libro di Hannah sono due libri che fecero scandalo, e inoltre Milgram va ad avvalorare le tesi di Hannah e cioè che il male più grande, quello criminale possa abitare anche nelle persone normali. La regista tedesca Margarethe Von Trotta ha dedicato la sua pellicola ad Hanna Arendt. Ricostruisce ad un periodo particolare della vita di Hannah 1961-1964, un periodo della “controversia”: negli Stati Uniti si intende quel dibattito intorno alla banalità del male. Utilizza anche le testimonianze di persone che avevano lavorato accanto ad Anna, come Lotte Kohler, una sua allieva. La vocazione di Margarethe è il teatro, appunto tale film è molto teatrale. È una pellicola a colori piuttosto cupa, per dare peso alla storia. Anna è stata rappresentata come una donna colta e di successo. In cui vive a New York con il marito Heinrich Blucher. È una donna di 55 anni e viene raccontata come una donna che ama essere circondata da amici, che chiamava la sua tribù. La tecnica narrativa sempre di stampo teatrale “tecnica dello straniamento”, consiste nel raccontare i fatti. E far sì che colui che guarda deve essere coinvolto dalle vicende. Colui che guarda, lo spettatore, possa costruire da sé un suo giudizio oggettivo. 27, 28 Scene iniziali del film: scene molto buio, dove tenta di rendere la drammaticità di quei tempi giocando sulla manche del grigio, scene di interni (domestico), scene di buio dove brillano solo due oggetti: la fiamma di un accendino e una torcia elettrica. Arendt era un accanita fumatrice, però quella sigaretta metaforicamente evoca l’olocausto. Nella iniziale scena si vede un uomo che cammina al buio, solo, che viene preso e caricato su un furgone, questa è la ricostruzione del sequestro di Eichmann e poi si vede come questa notizia della cattura faccia il giro del mondo. Così si apre la seconda scena in un appartamento di Manhattan dove Hannah si accende questa sigaretta nel buio della stanza. È un film molto lento, non piatto ma dove si alternano fasi di riflessioni. La particolarità è il modo in cui Margarethe si serve degli oggetti per raccontare questa storia; es. pila elettrica che cade sul sentiero, il fumo della sigaretta e l’accendino, anche le foto incorniciate, le lettere di insulti e così via. Gli oggettivi sono narrativi, che raccontano la drammaticità delle situazioni. Gli oggetti sono fondamentali, indispensabili. (da vedere il film) Un film che viene girato con pochi mezzi, semplice ma essenziale. Hannah viene raccontata come una donna di carriera, matura, che raccoglie i frutti del suo lavoro, aveva un carattere molto spinoso, arrogante. Margarethe riesce a rendere le due Hannah: una Arendt pubblica, spigolosa, coriaceo e dall’altro una donna molto dolce, affettuosa e rispettosa. Margaret cerca di rendere le spigolosità, le complessità di questa donna. In una scena Hannah apprende della cattura di Eichmann, per lei è una vera scossa adrenalinica. Margarethe cerca di raccontare lo shock di Hannah quando è costretta a fare i conti con la realtà e a prendere atto che con i suoi articoli ha ferito anche i suoi stessi amici di sempre, quindi una donna scioccata ma che reagisce e resta sulla sua posizione. Margarethe la ritrae anche in tutta la sua bellezza umana, un’amica affettuosa, dolce, capace di ironia quindi simpatica, una donna nervosa che fuma sigarette. L’altro parte del carattere, piuttosto ispida, spocchia, irritante, antipatica, viene rappresentata quando Hannah sente suonare il telefono, è il direttore del giornale di New York che ha una grande stima per lei, ma si troverà ad incalzarla, in maniera garbata cerca di chiedere e informarsi sulla stesura degli articoli ma di fronte si trova un Hannah che le risponde: “beh sto lavorando molto duro, sarebbe bello poter continuare a lavorare senza perdere tempo a chiacchierare”. La regista tiene molto cura anche agli abiti, Hannah indossa abiti semplici, è molto sobria, indossa colori freddi come il nero, marrone, il grigio e anche il verde che era un colore amato da Hannah; all’acconciatura dei capelli invece non gli interessa (ad Hannah). Un protagonista è Blucher, filosofo, poeta tedesco marxista. Ebbe una carriera universitaria. Fu un personaggio decisivo nella vita di Hannah, un personaggio molto importante; così nel film Margarethe lo rende un personaggio chiave, e con una funzione coscienziale come nella realtà, un formidabile alleato, pronto sempre a difenderla. Blucher è il personaggio che più di tutti dissenta e influenza molto Hannah, quest’ultima trovò in Blucher un interlocutore preziosissimo. Non fu un uomo fedele, Hannah faceva finta di non vedere le scappatelle, ma tra i due c’è una forte armonia, una forte intesa. Lotte Kohler, viene rappresentata come una segretaria nel film, ma in realtà fu molto di più: un’amica, la depositaria del pensiero arentiano, una preziosa collaboratrice. Lotte protegge anche Hannah da molte lettere terribili, filtra gli insulti, il clamore e la protegge, la difende, la sostiene e cerca anche di confortarla. Un’altra figura è la Mary McCarthy una scrittrice, romanziera americana, la migliore amica di Hannah. Americana ma di famiglia inglese, di origine irlandese e aveva anche una nonna ebrea, una giornalista femminista. Utilizzerà il suo credito anche per proteggere e difendere Hannah. McCarthy aveva aiutato Hannah sui testi arentiani, perché era una poliglotta, un conto è parlare e un conto è scrivere, la lingua scritta dev’essere più robusta, più colta e così Mary fu la prima lettrice dei testi arentiani, era colei che li commentava, li correggeva. Un altro personaggio della pellicola è Kurt Blumenfeld, un leader sionista, un caro amico per Hannah, un intellettuale ebreo-tedesco, uno dei capi del sionismo. Si erano conosciuti durante l’esilio francese. Kurt però non sarebbe mai riuscito a perdonare e capire la banalità del male, e gli articoli di Hannah. Un altro personaggio è Hans Jonas, sono amici da sempre, dal loro percorso universitario ed è stato il primo marito di Hannah. La vicenda Eichmann segnerà fra i due un punto di frattura, Jonas non comprende a sua volta questo pensiero di Hannah, le posizioni filosofiche, le accuse contro il popolo ebraico… tra i due ci furono forti incomprensioni, sarà Jonas a rompere i rapporti; rapporti che riprenderanno diversi anni dopo. Un altro personaggio della pellicola è Martin Heidegger, rappresentato come un uomo privo di fascino, in sovrappeso, ignorante di questioni politiche, viene rappresentato in maniera ridicola, ma era un uomo estremamente carismatico. Un amico che delude Hannah fortemente. C’è anche William Shawn, il direttore del New York, che intuisce il potenziale di Hannah, colui che più di tutti in quella redazione crede all’opportunità di avere Hannah come corrispondente di Gerusalemme. Shawn la difende sempre perché ne ha stima, lui comprende il valore di quegli articoli. Perciò aspetterà due anni. Il film non ha pretesa filosofiche, ma che alla somma ci offre molti spunti filosofici perché è un film tutto giocato sulla capacità di pensare che viene resa attraverso oggetti, gesti, mutismi, silenzi, dibattiti; un film sulla responsabilità, sul dovere. Margarethe vuole indurre lo spettatore a formulare un suo proprio giudizio, una propria riflessione, interrogarsi da sé e provare a trovare una risposta. Ha fatto emergere il pensiero più forte di Hannah e cioè che tutti noi in determinate circostanze possiamo diventare degli strumenti del male se rinunciamo a pensare, a giudicare, se restiamo nel nostro quieto vivere. 30 Affrontiamo il tema della nascita, del bambino che nasce. La nascita per Hannah non si può sussumere, cioè non si può sapere in anticipo. Hannah insiste sempre su questa esibizione della propria unicità in quanto nati.
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