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riassunto dell'opera 'la nascita della tragedia' con integrazione appunti Prof. Cattaneo, Sintesi del corso di Estetica

Oltre al riassunto dell'opera si può trovare nel file il riassunto del libro di Cattaneo 'La presenza degli Dei' del professsore

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 16/05/2023

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tendicarolina0 🇮🇹

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Scarica riassunto dell'opera 'la nascita della tragedia' con integrazione appunti Prof. Cattaneo e più Sintesi del corso in PDF di Estetica solo su Docsity! ESTETICA IMMAGINE DELLA GRECIA. Onesto Introduzione generale sull'estetica e la sua storia. L'esperienza greca del divino: la concezione nietzschiana di apollineo e dionisiaco. Il primo modulo si propone di fornire delle indicazioni generali sul senso della riflessione estetica e su alcune delle tappe fondamentali della sua storia (con particolare riferimento Baumgarten, Kant, Schiller e Schopenhauer). L'esposizione introduttiva sarà finalizzata a una migliore comprensione dei temi trattati in seguito. Ci si soffermerà poi sulla revisione dell'immagine classicistica della grecità mediante una riflessione sull'esperienza greca del divino, con particolare riferimento al rapporto di Dioniso con le divinità olimpiche. Ciò avverrà dapprima mediante un confronto con F. Nietzsche, innanzitutto con la “Nascita della tragedia”, ove il filosofo, facendo leva sull'insegnamento di Schopenhauer e su quello di Wagner, articola un'interpretazione misterica (dionisiaca) della tragedia in grado di ridare voce alla Grecia arcaica.  Da che contesto e quali esigenze spingono Nietzsche e Otto? Entrambi impegnati da filologi ad attuare un ritorno ai greci; problematizzano una situazione ermeneutica: il predominio, nella comprensione del mondo greci, di un ‘sentimento del mondo cristiano’. Per riuscire a far parlare di nuovo i greci la filologia si deve impegnare in una messa in discussione degli orizzonti complessivi di riferimento e dunque integrata con uno sguardo filosofico. Convinzione che il passato abbia ancora qualcosa da dirci. Si interrogano su come ragiona l’uomo greco e perché è ancora attuale. Sono entrambi testimoni di un tentativo problematico di affacciarsi e gettare un ponte su un’esperienza dissimile alla nostra come quella greca. Quella che i due filosofi operano è una critica alla cultura. Essi si rivolgono ad un passato in cui è nato qualcosa che però è stato marginalizzato, non messo a fuoco completamente. È importante riportarlo alla luce per mettere in discussione il modo stesso in cui stiamo al mondo. Ma che cosa c’entra l’estetica in tutto questo? La via d’accesso al mondo greco è quella artistica -> ‘La Nascita della Tragedia’, 1872 nella prefazione all’opera dedicata a Richard Wagner, N. afferma che quello affrontato da lui non è un ‘problema meramente estetico’, ma riguarda le sorti stesse della cultura tedesca. Egli definirà l’arte ‘l’autentica attività metafisica dell’uomo’, a differenza della visione comune dell’epoca che la riteneva un ‘divertissement’ -Pascal (da di-vertere o distrarre - svago) QUADRO STORICO: L’approccio dei due filosofi si inserisce in una vicenda di più ampio respiro che ha origine nel XVII sec. ‘Querelle des anciens et des modernes’: disputa che durò per un paio di secoli. Tra il 500 e il 600 avvennero una serie di trasformazioni radicali, tra le quali la nascita della scienza moderna con Galileo e Newton e l’avvento dell’uomo rinascimentale. Questi due elementi portarono l’uomo ad avere il controllo sulla natura. Il predominio che il metodo scientifico acquisiva si tentava di portarlo anche alle materie umanistiche ed artistiche. - Nicolas Boileau (antichisti): gli artisti di ogni epoca devono servirsi dell’imitazione per raggiungere l’eccellenza - Charles Perrault (modernisti): l’ideale dell’imitazione va superato, bisogna trovare nelle forme ideali ciò che si vuole esprimere. Questo dibattito coinvolse l’intera Europa ed ebbe la sua diramazione tedesca. JOHANN JOACHIM WINCKELMANN (1717-1768) 1755 ‘Gedanken über die Nachahmung der Griechischen Werke in der Malerei und Bildhauerkunst’ testo fondamentale per la nascita del neoclassicismo tedesco: egli pone a fondamento della cultura tedesca la classicità greca, termine di riferimento e confronto costante. “La generale e principale caratteristica dei capolavori greci è una nobile semplicità e una quieta grandezza, sia nella posizione che nell’espressione. Come la profondità del mare che resta sempre immobile per quanto agitata ne sia la superficie, l’espressione delle figure greche, per quanto agitate da passioni, mostra sempre un’anima grande e posata” Il concetto di imitazione è centrale: ‘l’unica via per noi per diventare grandi, anzi, se possibile inimitabili, è l’imitazione degli antichi’. (paradossale). -FRIEDRICH SCHILLER (1759-1805) 1788 ‘Die Götter Griechenlands’ -> titolo ripreso da Otto per la sua opera Parole chiave: bellezza, verità, illusione, natura e velo, nesso tra dei e bellezza del mondo: natura qualcosa di amabile perché si dava una più alta nobiltà, in ogni sua parte si vedeva l’orma di un dio. es. 3 strofa le ninfe che abitano le montagne gli alberi e l’acqua - dualismo e contrapposizione tra poesia e verità: natura animata mantenuta viva dal velo della poesia, in grado di salvaguardare l’esperienza di una natura viva vs verità intesa come visione meccanicistica odierna in cui i rapporti dinamici non hanno nessuno scopo, la scienza ha reso la natura morta e inerte. es. 2 strofa - Nodo tra uomini, dei ed eroi intrecciato dall’amore e dalla bellezza. Amore ha un principio unificante. Non c’è contrapposizione tra giovinezza e saggezza come avviene nei monoteismi. La divinità rappresenta il bello ovvero ciò che risplende maggiormente, manifestazione più piena e forma più compiuta. - Tipica visione neoclassica: immagine della Grecia caratterizzata dalla serenità, compostezza e dall’equilibrio. Dioniso descritto come il ‘gran rallegratore’ (strofa 8), visione neoclassica del dio. Otto nella sua opera omonima non cita Dioniso: la sua figura viene ripresa da sola in un altro libro perché il suo culto non è riducibile al culto olimpico. - Meridione vs settentrione ‘vento del Nord’ - Invocazione al ritorno di questo mondo. Le vite si sono raffreddate e la natura si è sdivinizzata e ha trovato rifugio nel canto. Solo la poesia può riportarla in vita. ‘Quel che eterno deve vivere nel canto, nella realtà ha a deperire’ GIACOMO LEOPARDI (1798-1837) ‘Alla primavera o belle favole antiche’ 1822, i Canti ripresa da Schiller: primavera sia della storia dell’umanità (mondo greco) che individuale (giovinezza). Leopardi :esprime la sua convinzione che, mentre si rinnova ogni anno la primavera nella natura, non è possibile per il genere umano ritrovare quell'epoca - l'antichità, primavera della storia - in cui esso godeva di un'immaginazione fervida e poteva così cogliere segni di vita e presenze misteriose e divine in ogni aspetto naturale. Lo sviluppo della civiltà ha portato la conoscenza del vero e la perdita di quella facoltà immaginativa. La poesia si chiude con una supplica alla natura perché ascolti l'infelicità degli uomini, se non pietosa almeno spettatrice; ma qualche verso prima un inciso (v. 91 "se tu pur vivi") rivela come ormai Leopardi non nutra più alcuna illusione. Sia in Leopardi che in Schiller vengono fatti riferimenti ai miti al fine di restituire una specifica esperienza della natura ‘primitiva’ in contrapposizione all’esperienza moderna. Entrambi tentano di dare voce ad un’esperienza che sentono ancora viva sebbene eliminata dallo sviluppo e dal progresso e lo fanno mediante strategie simili: la bellezza della natura è l’eco di quella della natura; la poesia come veloce illusione che richiama ad un diverso rapporto con la natura. LEOPARDI SCHILLER Natura benigna: illusione a cui sono connesse le grandi opere degli uomini. Ideali senza i quali non potremmo vivere. Forza propulsiva che da pienezza di senso. Somiglianze Poesia come velo che consente esperienza di natura viva. Natura maligna: indifferente all’uomo e al suo dolore. Tono disilluso e rassegnato. La natura diventa ‘spettatrice’. NIETZSCHE- Classicisti precursori indispensabili, essi hanno risvegliato l’interesse per la classicità ma non hanno fatto abbastanza: non hanno saputo riformare la cultura tedesca, il loro pensiero non era sufficientemente radicale ad innescare il processo di trasformazione a cui anch’essi ambivano. Uno degli elementi fondamentali per N. è la coppia ZIVILISATION/KULTUR: la prima è identificata con la cultura francese, la seconda si oppone alla civilizzazione perché rimanda alla radice unitaria dell’esperienza dell’esistenza umana (immutabile). La zivilisation è considerata l’avanzamento dell’umanità promosso dalla conoscenza scientifica che si contrappone al pensiero che l’idea del miglioramento è inconsistente- progresso e regresso sono solo onde superficiali su acqua immota. Nietzsche ha seguito gli insegnamenti dei neoclassicisti tedeschi ma facendo un passo in avanti, con impeto, insieme a Wagner, ha come obbiettivo il rinnovamento della cultura tedesca attraverso il mito. Egli si propone come riformatore della cultura partendo proprio dai greci. N. è figlio della propria epoca ma in quanto filologo fa esperienza di qualcosa di inattuale che non rientra nell’orizzonte del suo tempo. È proprio da questa contrapposizione che muove la necessità di agire sul proprio tempo per preparare una nuova realtà. PER N OGNI ATTIVITA FILOLOGICA DEVE ESSERE COLLOCATA E RACCHIUSA ENTRO UNA CONCEZIONE FILOSOFICA DEL MONDO. PECULIARITÀ FILOSOFICA. La filosofia di N. può essere considerata come una filosofia sperimentale, figlia dell’esperienza, rimanda sempre a quest’ultima, interrogandola e approfondendola, riconoscendone la - Accedere ai Greci solo attraverso il dionisiaco - Metafisica dell’arte e l’idea che l’esistenza del mondo può essere giustificata solo in quanto fenomeno estetico - Visione della tragedia come rappresentazione della sofferenza dionisiaca in quanto esuberanza vitale. La percezione del dolore cambia, nel momento in cui la sofferenza non ha più la sanzione religioso del dionisiaco e si cerca di esorcizzarla con l’ottimismo inizia l’impoverimento vitale anche nel mondo greco. Nietzsche rimarca con decisione come la propria interpretazione della tragedia sia opposta alla concezione schopenhaueriana dell’arte tragica come rassegnazione ma distingue anche il proprio romanticismo giovanile da quello dei moderni romantici pessimisti. La usa opera prima è lontana da quel romanticismo che tende a ribaltarsi in nichilismo o a cercare prospettive consolatorie nelle braccia del cristianesimo- attraverso il dionisiaco come affermazione dell’esistenza c’è una prefigurazione all’insegnamento di Zarathustra che invita alla danza e al riso. Genesi dell’opera: gli appunti delle lezioni tenute da N tra il 1869-71 ci aiutano a comprendere come l’autore stesse andando a elaborare i temi della Nascita. Si trova già una contrapposizione tra apollineo e dionisiaco come sfere estetiche separate e soprattutto una precisa descrizione dell’estasi dionisiaca come stato in cui attraverso la sofferenza e il terrore ci si dimentica della propria individualità(ek-stasis: fuori di sé); l’importanza della musica, senza la quale gli antichi tragici vengono recepiti unicamente come librettisti; la teoria della tragedia come pathos e non come dramma in stretto senso aristotelico. Ne ‘la visione dionisiaca del mondo’ 1870 compare per la prima volta la tesi che la Tragedia sia l’unione di culti apollinei e dionisiaci e viene indicata la figura di Apollo come dio della ‘bella parvenza ’-questo testo può essere considerato lo stadio preliminare della Nascita. La polemica contro Euripide è di derivazione romantica: Schlegel aveva contrapposto la pacatezza epica di Apollo e la divina ebrezza ditirambica di Dioniso. E ancora la tensione tra l’elemento plastico e visivo da una parte e quello musicale dall’altra che caratterizza l’estetica romantica a partire dalle considerazioni di Shiller e Herder. Da Mὔller, ‘storia della letteratura greca’, era già stata proposta la tesi che la tragedia greca deriva dai rituali bacchici, dalla parte lirica del canto corale che raccontava le sofferenze di dioniso-- tragedia, il canto dei capri. Dagli studi di Bernays riprende la concezione di catarsi come sfogo o scarico (entladung) fisiologico di uno stato di eccitazione; N. si serve di questo termine per descrivere come ‘la tragedia greca si scarica in un mondo apollineo di immagini’ e ancora ‘lo stato dionisiaco è caratterizzato come eccitazione di tutti gli effetti che si scaricano nei mezzi dell’espressione’. Da Wartenburg ne ‘ La catarsi di Aristotele e L’edipo a Colono di Sofocle’ N. riprende la considerazione che ‘i seguaci del culto dionisiaco si pongono in uno stato estatico attraverso l’eccitazione e l’intensificazione degli effetti del dolore e del piacere’ arrivando poi alla liberazione del peso della coscienza ‘per perdersi nel dominio delle potenze della natura’. Come Feuerbach, ‘Apollo vaticano’, anche N. insiste sull’universo variopinto dei greci e sulla scultura policroma che sconfessa l’azione estetica di una plastica idealizzata (dai contemporanei-Winckelmann). Troviamo varie analogie tra gli autori nonostante in F. non siano ben contrapposti e definiti i concetti di apollineo e dionisiaco: - ruolo di contenimento dell’arte plastica nei confronti dell’eccitazione dionisiaca. F. attua un parallelismo tra tragedia e arte plastica: la passione e le pulsioni che erompono con violenza cercano di spezzare il rigore della forma artistica che raddoppia la sua forza per contenerlo. L’apollineo impone le sue catene della bellezza all’istinto attraverso il rigore dele regole drammatiche. Soprattutto troviamo in F. l’idea fondamentale per N. che lo spettatore diventa lui stesso opera d’arte- coro spettatore—spettatore estetico ultimi capitoli ndt. Dionisiaco e Apollineo: -coppia antitetica ma anche fraterna di istinti artistici della natura, sfera intuitiva, che si fondono solo nella tragedia attica. N. riconduce questi due principi agli stati fisiologici del sogno e dell’ebrezza che trovano espressione in differenti forme artistiche: l’apollineo, il sogno all’arte scultorea; il dionisiaco, l’ebrezza all’arte priva di immagini della musica. Attraverso la filosofia di Schopenhauer i due principi si aprono a una dimensione metafisica: apollineo-principium individuationis; dionisiaco- perdita di questo principio e riunione con l’uno primigenio. S. definisce il principium individuationis il tempo e lo spazio che separano il fenomeno dalla cosa in sé -immagine dell’imbarcazione per comprendere la situazione dell’uomo che si affida a questo principio e il senso di ‘orrore smisurato’ che si prova quando non ci si riesce più a confidare. Il ripetuto richiamo a questa concezione schopenhaueriana è testimoniato anche sul piano lessicale: Apollo è il Dio ‘della bella parvenza’ dove parvenza -shein- rimanda al mondo dell’apparenza, del fenomeno e dell’individuazione. Quando la visione tragica dell’esistenza diventa minacciosa per la vita del singolo l’arte e l’apollineo si offrono come scudo e salvezza. Gli antichi Greci hanno creato Apollo e il mondo olimpico come visione di sogno da contrapporre al motto del Sileno e alla concezione tragica dell’esistenza. Dioniso e le sue sofferenze, o le sue varie maschere, sono per N. l’oggetto principale della tragedia fin dalle sue origini più remote. L’eroe della tragedia è il dioniso sofferente dei misteri che sperimenta su di sé la vera sofferenza dionisiaca, l’individuazione. La dottrina misterica della tragedia sembra esprimere la speranza o il presagio di un unità riconquistata che rompe il sortilegio dell’individuazione. Così procedendo N. crea arditi collegamenti tra la religione orfica, i filosofi preplatonici e la filosofia di Schopenhauer( è stato inattuale davvero). Con il simbolo di Dioniso Zagreo- N ≠ Schopenhauer dolore no ‘quietivo’ della volontà ma ‘stimolante’ in quanto rappresenta la vita come eterna fertilità e rigenerazione attraverso il dolore. Rapporto con la filosofia di Schopenhauer: nel tentativo di autocritica rimpiange di aver usato un linguaggio non proprio ma Schopenhaueriano e Kantiano. N. utilizza come punto di partenza le considerazioni di S. sulla volontà di per sé scissa e lacerata, sul sogno e la funzione dell’arte traducendole in una sua personale concezione per cui il ‘fondamento originario’ di sofferenza della volontà si redime nell’arte e nella visione proiettando l’apparenza fuori dal sé. Ne ‘Il mondo come volontà e rappresentazione’: il mondo visibile non è che l’oggettivazione della volontà che le permette la redenzione. N dichiara di aver compreso Schopenhauer solo attraverso il punto di vista critico del kantiano Lange che in ‘storia del materialismo’ individua in S e nella sua metafisica una tendenza regressiva rispetto a Kant. N scrive: ‘‘ se la vera essenza delle cose ci è sconosciuta allora la filosofia dovrebbe muoversi nella libera sfera dell’arte oppure ‘elevare’’. Per N. la volontà di S. che è la cosa in sé di K. è un’intuizione poetica e non è comunque dimostrabile. Secondo Lange -il mondo dei sensi è un nostro prodotto e – i nostri organi visibili corporei sono soltanto immagini di un oggetto sconosciuto (si basano sulla nostra conoscenza), - il noumeno è l’ultimo prodotto di un principio opposto cioè: il modo in cui noi ci rappresentiamo le cose è condizionato dalle nostre categorizzazioni. L’obbiettivo della filosofia, in quanto non può produrre conoscenza in sé, come quello dell’arte è di ELEVARE. Schopenhauer eleva perché è pessimista e permette all’uomo di conoscere tratti essenziali della sua esperienza. LA NASCITA DELLA TRAGEDIA, TENTATIVO DI AUTOCRITICA 1886, prefazione scritta contemporaneamente a quella di ‘’Umano troppo umano’’ > distacco da Wagner 1. Critica alla pretesa serenità dei Greci dei neoclassicisti e dei filologi, no grecità idealizzata. N. pone molti quisiti, riguardo a questo si chiede come la specie migliore di uomini finora vissuta sulla terra, la più capace di sedurre alla vita, abbia avuto necessità della tragedia. Si domanda se esiste un pessimismo della forza derivante da una pienezza dell’esistenza che abbia portato a una propensione intellettuale per gli aspetti tremendi duri e selvaggi della vita. 2. Problema della scienza (con due corna), rapporto tra arte e scienza: problematica che N. afferma di aver affrontato con giovanile ardimento nella sua giovanile opera. Nonostante scriva il ‘tentativo di autocritica’ sedici anni dall’uscita della Nascita N. afferma che ha osato e continuerà a ‘ guardare la scienza nell’ottica dell’artista ma l’arte in quella della vita’. 3. Dionisiaco come chiave di accesso al mondo greco. Cos’è il DIONISIACO e qual è il significato della follia dionisiaca presso i Greci? 4. Pessimismo greco: quale è stato il rapporto dei greci con la sofferenza? Da dove deriva il bisogno del brutto, del mito tragico? Forse dal piacere, dall’eccesso di salute? Di pienezza? Forse la follia non è sintomo di declino culturale, anzi forse lo è stato l’ottimismo, la razionalità, l’utilitarismo pratico. 5. Metafisica-Morale. L’Arte (non la morale) è l’attività propriamente metafisica dell’uomo. Nella Nascita ritorna spesso a tesi che l’esistenza del mondo sia giustificata in quanto fenomeno estetico, non religiosamente o moralmente ma in quanto gioco artistico di un Dio artista sconsiderato e immorale. ----------‘’Il mondo: a ogni istante la redenzione raggiunta di Dio in quanto visione eternamente mutevole, eternamente nuova del più sofferente, del più ricco di contrasti e contraddizioni, che riesce a redimersi soltanto nell’apparenza: tutta questa metafisica da artisti la si può chiamare arbitraria, oziosa, fantastica-, la cosa essenziale è che rivela già uno spirito che un giorno, esponendosi a ogni pericolo, farà resistenza contro l’interpretazione e il significato morale del mondo.’’. L’uomo ha bisogno di uscire dallo stato di natura attraverso l’ILLUSIONE, l’APPARENZA che sono strumenti per la lotta dell’esistenza. Il cristianesimo è l’esemplificazione del tema morale a cui l’umanità abbia potuto dare ascolto finora, è ciò che sopra ogni cosa si è posta più in aperto contrasto con l’interpretazione e giustificazione del mondo puramente estetica. Il Cristianesimo è disgusto e fastidio della vita per la vita ammantato come fede per ‘’un’altra vita’’. || problematica: c’è uno stretto rapporto tra morale e metafisica in quanto la morale si presenta come verità ultima e immutabile (carattere metafisico), allora perché l’arte è l’attività propriamente metafisica? Avviene uno svuotamento metafisico della morale in quanto: metafisica – morale dio- dio artista immorale IL MONDO È GIUSTIFICATO IN SÉ, CONCEZIONE DIONISIACA IN QUANTO AMORALE E ANTICRISTIANA. 6. Rivendicazione di un linguaggio proprio (vs Schopenhauer e Kant). Schopenhauer in ‘’mondo come volontà rappresentazione’’ scrive che lo spirito tragico consiste nella rivelazione che il mondo e la vita non ci possono appagare veramente, ciò porta alla rassegnazione. E antistoricismo che ha portato a vedere negli antichi delle risposte al problema moderno della musica tedesca. 7. Rifiuto della consolazione cristiana dei romantici- nei ‘Vangeli’ sta scritto: ‘’beati gli afflitti perché verranno consolati’’; per N. bisogna imparare l’arte della consolazione nell’al di qua e imparare a ridere come fa Zarathustra. PREFAZIONE A WAGNER (edizione del 1872) Problema tedesco. La serietà con cui N. affronta questo problema estetico può sembrare ad alcuni una cosa di poca rilevanza di fronte alla ‘‘serietà dell’esistenza’’, a questa posizione si oppone la convinzione che l’arte sia il compito più alto e l’attività propriamente metafisica di questa vita. CAPITOLO 1 Importanza dell’INTUIZIONE (> rimando a Schopenhauer, die anschauung) consente l’accesso alla vera essenza delle cose. Arte legata a conflitto e conciliazione di Apollineo e Dionisiaco: no concetti (astrazione dell’intuizione) ma FIGURE (divinità greche). Questi due istinti accoppiati dall’atto metafisico della VOLONTÀ generano la tragedia attica. APPARENZA (realtà in cui viviamo) sogno apparenza. La necessità gioiosa dell’esperienza del sogno è stata espressa dai greci nella figura di Apollo, dio di tutte le energie plastiche e dio profetico, dio luminoso. Si può riferire ad Apollo ciò che Schopenhauer scrive dell’uomo imprigionato nel velo di maia nel ‘Mondo come volontà e rappresentazione’: sul mare infuriato un navigante siede sulla barca confidando nella fragile imbarcazione così come l’uomo siede tranquillamente in mezzo a un mondo di tormenti, appoggiandosi fiducioso sul principium individuationis. In questa stessa scena Schopenhauer descrive anche l’orrore che prende l’uomo davanti alla conoscenza del fenomeno. L’estasi gioiosa provata una volta infranto il principium individuationis- essenza del dionisiaco. Cap 16: pag 154-155 Cap 17: pag 159 fine tragedia. Eterno conflitto visione teoretica e visione tragica del mondo. Cap 18: Cultura alessandrina alla base del nostro mondo moderno, in esse radici della scienza moderna (Lange ‘’storia del materialismo’’). Kant e Schopenhauer sono riusciti a riportare la vittoria sull’ottimismo che nascosto nell’essenza della logica è a sua volta base della nostra cultura. Cultura ‘tragica’ che sostituisce come finalità la scienza con la saggezza. Uomo teoretico inappagato per sempre. Cap 19: credere alla vita dionisiaca e alla rinascita della tragedia; l’uomo socratico è ormai trascorso. Pag. 195-196 ‘La presenza degli Dei’ Tra filologia e filosofia Il ritorno filosofico ai greci mediante Schopenhauer: Lo sguardo filosofico di Schopenhauer è determinante per Nietzsche al fine di trovare un nuovo accesso ai Greci; costituisce una chiave per far emergere il profilo dell’alterità greca partendo dalla sua critica alla civiltà moderna, il rifiuto della visione progressiva e teleologica della storia (critica al concetto di progresso; N. vuole liberare l’immagine della religione greca da proiezioni cristiane) e infine il riconoscimento della centralità dell’arte. L’arte, come scrive nella ‘prefazione per Richard Wagner’, non è una ‘parentesi giocosa’, un ‘tintinnio di sonagli’ di fronte alla ‘serietà dell’esistenza’: al contrario è ‘il compito più alto e l’attività propriamente metafisica dell’uomo’. Comprendere questo ruolo assegnato all’arte va di pari passo con la comprensione del modo in cui N. intende il mito greco e l’esperienza greca del divino. Terzo capitolo della ‘Nascita’- motto del Sileno, la cui saggezza riverbera nella tragedia (nell’Edipo a Colono di Sofocle), rappresenta la prova inequivocabile del pessimismo proprio dei Greci, popolo unico nella capacità di soffrire. Il pessimismo greco viene spiegato da N. attraverso quello Schopenhaueriano, all’inizio del quarto cap. della Nascita espone la sua ‘ipotesi metafisica’: ricorrendo a un chiaro concetto di ascendenza Schopenhaueriana concepisce come principio della realtà la volontà (ciò che veramente è, l’Uno originario eternamente sofferente e pieno di contraddizioni). Alla Volontà che costituisce il piano del vero si contrappone il molteplice sensibile che costituisce il piano dell’illusione e dell’apparenza. Gli uomini in quanto fatti di apparenza e irretiti in essa sono portati a percepirla come quello che in realtà non esiste- realtà empirica. Se la nostra realtà viene riconosciuta nel suo carattere di apparenza (di primo grado) cioè una ‘rappresentazione prodotta in ogni momento dall’uno originario’ il sogno non può che divenire ‘apparenza dell’apparenza’ (apparenza di secondo grado). Qui N. riprende la declinazione schopenhaueriana della coppia verità/illusione nei termini della coppia volontà/rappresentazione (volontà come fondamento metafisico; rappresentazione come apparenza dominata dal principium individuationis). Curvatura specificatamente Nietzschiana- a partire dalla constatazione del ruolo dell’apollineo e del dionisiaco quali ‘onnipotenti istinti artistici’ nei quali è presente ‘una fervida aspirazione all’apparenza, alla redenzione attraverso l’apparenza’. N. arriva alla congettura secondo cui l’uno originario, al fine di redimere l’eterna sofferenza che lo attraversa avrebbe bisogno della ‘gioiosa apparenza’ (di primo grado: la nostra esistenza e quella del mondo) - da qui un appagamento ancora superiore della brama di apparenza attraverso il sogno e con esso l’arte apollinea. L’uno originario può essere definito ‘‘l’artista originario del mondo’’ e l’arte ‘’un completamento dell’esistenza che può sedurci alla vita’’. L’arte ‘’ingenua’’ per eccellenza è quella omerica in quanto consiste nella ‘’completa vittoria dell’illusione apollinea’’: lo scopo da raggiungere della volontà consiste nella propria glorificazione, essa richiede che i greci si vedano trasfigurati in una sfera superiore di perfezione, la sfera degli dèi- anelandovi si trovano a desiderare la vita che per tale via si afferma. (ribaltamento motto del Sileno- eroi vogliono vivere per sempre, anche nel canto). ‘’La ‘volontà’ ellenica combatte contro la propria disposizione, correlata a quella artistica, alla sofferenza e alla saggezza del dolore- come monumento della vittoria sta Omero, l’artista ingenuo’’. Il classicismo interpreta la serenità greca nei termini di qualcosa di semplice, ‘che si realizza da solo’. Per N. al contrario l’ingenuità greca deriva da una profonda e pessimistica esperienza di vita e consiste nella capacità, nonostante tutto, di abbandonarsi alle proprie illusioni senza smettere di avvertirne il carattere illusorio. La più autentica vittoria della volontà ellenica è quella di riuscire da una visione disincanta e cupa della vita a restituirle il suo incanto attraverso le figure luminose degli dèi. Specchio trasfigurante: in una libera ripresa della metafisica pessimistica di Schopenhauer il dolore connesso alla volontà trova una redenzione nell’arte, non come una dimensione di rinuncia o di sospensione contemplativa della vita, ma come suo rinvigorimento. Le belle parvenze omerico-apollinee s’impongono come un velo gettato sulla sofferenza, sulla contraddizione e sull’abissalità dell’uno originario – l’intima finalità di una cultura votata alla parvenza e alla misura non può che essere il velamento della verità. Gli dèi olimpici rispondono a quella esigenza di rendere l’esistenza non solo sopportabile ma desiderabile: non costituiscono un imperativo o un rimprovero, ma giustificano la vita degli uomini vivendola essi stessi- unica teodicea in grado di soddisfarci (dottrina della giustificazione dell’operato di Dio in particolare per quanto concerne la presenza del male nel creato). In risposta alla moira (che determina la precoce morte di Achille e l’incestuosa unione di Edipo) il genio greco ha creato gli Dei. Influenza di Feuerbach: gli dèi greci come tutte le divinità sono un prodotto dell’uomo ma la loro peculiarità risiede nel fatto che non rimandano a una trascendenza in cui l’uomo si autoaliena, in essi l’uomo discerne sé stesso e divinizza la propria vita. Apollo è l’onirico, presuppone una distanza; Dioniso è collegato all’ebrezza e al suo incantamento- esperienza immersiva. Il sogno da una parte è un gioco dell’uomo con la natura e l’arte apollinea è un gioco con il sogno, dall’altra l’ebrezza è un gioco della natura con l’uomo. L’esperienza dionisiaca ha per N. un ruolo fondamentale in quanto permette di guadagnare consapevolezza circa il senso e la valenza delle parvenze apollinee. I pensieri sull’orrore e sull’assurdo dell’esistenza devono essere trasformati in ‘rappresentazioni con le quali convivere: il sublime, soggiogamento artistico dell’orrore; il ridicolo come alleggerimento artistico della nausea dell’assurdo’. Queste rappresentazioni costituiscono sempre un velamento ma più trasparente: un mondo intermedio tra bellezza e verità, un’unione tra Dioniso e Apollo, sono simboli di un’esperienza dionisiaca. L’arte dionisiaca rimane una rappresentazione, espone il carattere d’apparenza dell’esistenza, e la tragedia esibisce il dolore non per consegnare l’uomo alla disperazione ma per guardare oltre il principio individuationis che domina l’arte apollinea. ‘La dottrina misterica della tragedia’ consiste ne: -la conoscenza fondamentale dell’unità di tutto quello che esiste, - l’individuazione considerata come la causa prima di ogni male, - l’arte come speranza che si possa rompere l’incantesimo dell’individuazione e come presentimento di un’unità ristabilita. (la quieta semplicità e la nobile dignità che hanno entusiasmato Winckelmann rimangono inspiegabili se si trascura la realtà metafisica dei misteri). ‘Noi crediamo nella vita eterna’ afferma la Tragedia: Apollo supera la sofferenza dell’individuo attraverso la luminosa esaltazione dell’eternità dell’apparenza- si finge che il dolore scompaia dai lineamenti della natura; Dioniso e il suo simbolismo tragico afferma di essere come l’uno originario che ‘nell’incessante avvicendarsi delle apparenze, eternamente crea, costringe eternamente all’esistenza, eternamente si appaga di questo continuo mutamento’. --- così la tragedia è in grado di fornire una ‘consolazione metafisica’ e di promuovere l’affermazione della volontà- l’UOMO GRECO SI SALVA ATTRAVERSO L’ARTE E LO SALVA A SE’ STESSA LA VITA. Gli esiti della trattazione stanno agli antipodi della posizione di Schopenhauer per il quale il genio artistico è colui che si fa ‘puro soggetto riconoscente’ (e non) non soffrendo il dolore costante connesso alla volontà e all’esistenza stessa, il piacere estetico connesso alla pura conoscenza intuitiva dell’arte è ‘un sollievo provvisorio’ comunque. L’arte nel pensiero di S. è la prima tappa di un percorso il cui punto d’arrivo è il rovesciamento della volontà (noluntas). Al contrario per N. la redenzione e la consolazione non sono ‘dalla’ vita ma ‘per’ la vita (arte autentica attività metafisica dell’uomo). Il dolore invece di acquietare la volontà e indurre alla rassegnazione diventa ‘il più grande stimolante della vita’. L’arte dionisiaca può esser detta più vera ma si continua a muovere sul piano dell’apparenza, acquisisce un primato su quella apollinea per la consapevolezza di apparenza dell’apparenza. Al fine della giustificazione dell’esistenza del mondo l’arte dionisiaca esercita una funzione determinante affermando la vita nel dolore e a partire dal dolore. Giustificazione estetica Dioniso Zagreo. Il criticismo di N: Il pensiero successivo di Nietzsche fa i conti con la cornice metafisica; ‘Così parlò Zarathustra’ nel capitolo ‘Di coloro che abitano un mondo dietro il mondo’: ‘’Il creatore non voleva guardare sé stesso e allora creò il mondo’’ il dio creato da Nietzsche era ‘‘opera e illusione d’uomo come tutti gli dèi’’. Dio-artista nominato nel tentativo di autocritica. Per il N. maturo ogni ‘trascendenza’, ogni ‘dio’ non può che essere una proiezione dell’uomo stesso quindi inganno e finzione. Comunque ricordiamo il punto di vista rigorosamente critico-kantiano che da N. viene radicalizzato: il noumeno è inconoscibile e l’uomo è consegnato alla dimensione del fenomeno (Crepuscolo degli idoli nel cap. intitolato ‘come il mondo vero finì per diventare favola’: Storia di un errore 1. Il mondo vero, attingibile dal saggio, dal pio, dal virtuoso, – egli vive in esso, lui stesso è questo mondo. (La forma più antica dell’idea, relativamente intelligente, semplice, persuasiva. Trascrizione della tesi “Io, Platone, sono la verità”). 2. Il mondo vero, per il momento inattingibile, ma promesso al saggio, al pio, al virtuoso (“al peccatore che fa penitenza”). (Progresso dell’idea: essa diventa più sottile, più capziosa, più inafferrabile – diventa donna, si cristianizza...). 3. Il mondo vero, inattingibile, indimostrabile, impromettibile, ma già in quanto pensato una consolazione, un obbligo, un imperativo. (In fondo l’antico sole, ma attraverso nebbia e scetticismo; la idea sublimata, pallida, nordica, königsbergica). 4. Il mondo vero – inattingibile. Comunque, non raggiunto. E in quanto non raggiunto, anche sconosciuto. Di conseguenza neppure consolante, salvifico, vincolante: a che ci potrebbe vincolare qualcosa di sconosciuto?... (Grigio mattino. Primo sbadiglio della ragione. Canto del gallo del positivismo). 5. Il “mondo vero” – un’idea, che non serve più a niente, nemmeno più vincolante – un’idea divenuta inutile e superflua, quindi un’idea confutata: eliminiamola! (Giorno chiaro; prima colazione; ritorno del bon sens e della serenità; Platone rosso di vergogna; baccano indiavolato di tutti gli spiriti liberi). 6. Abbiamo tolto di mezzo il mondo vero: quale mondo ci è rimasto? forse quello apparente?... Ma no! col mondo vero abbiamo eliminato anche quello apparente! (Mezzogiorno; momento dell’ombra più corta, fine del lunghissimo errore; apogeo dell’umanità: INCIPIT ZARATHUSTRA). L’ipotesi metafisica esposta nella Nascita sposta il piano del discorso dalla verità alla ‘visione che eleva’- funzione della filosofia: Lange ‘storia della critica al materialismo’. In base al criticismo kantiano l’uomo non conosce la realtà, il noumeno, ma solo il fenomeno. I filosofi, dunque, devono essere lasciati liberi e le teorie ‘metafisiche’ non possono più essere considerate secondo la prospettiva vincolante della verità ma secondo la prospettiva dell’elevazione. Se non è possibile pervenire ad alcuna certezza metafisica rimane la possibilità di proporre libere visioni del senso della vita che ci elevino come l’arte conclude Nietzsche. Schopenhauer un ‘educatore’ che ha il merito di introdurre a una visione ‘tragica’ della vita. Ne ‘il servizio divino dei Greci’ N. sposta l’attenzione dal piano mitico-artistico al piano del culto. Abbandono dell’idealismo > ripercussioni sulla grecità e il mito SERVIZIO DIVINO DEI GRECI (corso di lezioni semestre invernale Basilea 1875/76 e 77/78, ausilio didattico, alcuni passi trasposti in Umano Troppo Umano) Piano mitico-artistico > culto Tylor, Primitive Culture 1871 Culto > logica primitiva o pensiero impuro (animismo e magia) Natura caotica e arbitraria > imprevedibile > esigenza di addomesticarla guadagnandone la benevolenza > impressione di una legalità che di per sé non possiede > concezione utilitaristica e materialistica del culto. Il culto risulta governato da una logica primitiva a cui N. dà il nome di ‘pensiero impuro’, nell’ottica del ‘pensiero impuro’ la natura è caotica e arbitraria, abitata da spiriti imprevedibili. La funzione del culto è di influenzare la natura a nostro vantaggio SMASCHERAMENTO DELLE FINZIONI E SAPIENZA DELLA PARVENZA. Come nella N.D.T. Religione olimpica deriva da un fondo oscuro però non più dai due principi naturali dell’apollineo e del dionisiaco ma dalla necessità di addomesticare la Il sogno e l’arte apollinea costituisce un’apparenza di secondo grado e un velamento: essi non portano con sé una liberazione dell’apparenza, una liberazione dall’illusione, ma producono un maggiore irretimento in essa grazie ai quali è possibile vivere. -rovesciamento del platonismo. Il dionisiaco di pari passo consente di guadagnare consapevolezza rispetto il senso e la valenza delle belle parvenze apollinee (l’arte dionisiaca appartiene in modo diverso all’ambito della rappresentazione). L’insegnamento del dio silvano viene coperto con l’apollineo mentre si confronta più direttamente con il dionisiaco: i pensieri cupi sull’orrore e sull’assurdo dell’esistenza devono essere trasformati in ‘’rappresentazioni con le quali convivere: il sublime e il ridicolo’’, questi non coincidono né con l’apollineo, in quanto segnati da una ‘contraddizione’, né col ‘dionisiaco’, in quanto velamento della verità—rappresentano un mondo intermedio tra bellezza e verità- una riunione di apollineo e dionisiaco. La tragedia consiste in un velamento più trasparente collocandosi in un mondo intermedio tra bellezza e verità: da voce alla sofferenza e rende le belle parvenze apollinee simboli di un’esperienza dionisiaca. Nel capitolo nono della ‘Nascita’ Nietzsche scrive che quello che affiora alla superficie nella parte apollinea della tragedia, il dialogo, appare semplice, trasparente, bello; siamo stupiti che la lingua degli eroi sofoclei sia così precisa e chiara, quasi da poter scrutare nella parte più recondita del loro essere. – Questa immediatezza è ingannevole e N. scrive che ‘ il carattere dell’eroe che affiora non è più che un’immagine luminosa proiettata su una parete oscura, semplice apparenza ’ . (Riferimento all’inizio del VII libro della Repubblica. Nel caso di Platone abbiamo ombre proiettate sulla parete di una caverna, immagini luminose proiettate su una parete oscura nel caso di N., rappresentanti della coppia verità/illusione. Il movimento descritto da N. è opposto alla risalita platonica, è catabatica piuttosto che anabatica: non bisogna staccarsi dalle ombre ma consegnarsi e immergersi in esse. Entrambi i filosofi promuovono una concezione metafisica della verità (le idee di Platone, l’uno originario di N.), in entrambi verità e apparenza sono gli estremi del movimento ma per P. il movimento è dall’apparenza alla verità, per N. invece dalla verità alla apparenza. – rovesciamento del platonismo. Per via del ruolo determinante assegnato all’arte in quanto culmine dell’apparenza si passa da un’estetica metafisica (una riflessione sull’arte in una più ampia concezione metafisica che principalmente ha una trattazione extra-estetica) a una metafisica estetica (che ha il proprio baricentro nell’esperienza dell’arte). N. nel ‘Tentativo di autocritica scriverà ‘metafisica da artisti’.) N. porta poi questo esempio: ‘Quando guardiamo il sole a un tratto dobbiamo distogliere lo sguardo e davanti agli occhi ci appaiono delle macchie oscure colorate. Al contrario quei fenomeni luminosi, l’apollineo della maschera, sono una conseguenza necessaria di quello sguardo nelle profondità spaventose della natura: le macchie luminose diventano un rimedio per lo sguardo ferito dall’orrore della notte, l’oscurità del dionisiaco’. Da queste premesse il discorso di N. diventa il doppio speculare di quello platonico: nella ‘Repubblica’ il secondo tentativo di liberazione, che va a buon fine, procede con una concezione della ‘paideia’ capace di contemperare la necessaria violenza con un indispensabile assecondamento dell’anima del liberato, nel rispetto dei suoi tempi e ritmi. – è indispensabile la mitigazione della luce solare per prevenire l’accecamento, una preparazione progressiva per l’occhio. – necessario un velamento che non ha lo scopo di nascondere ma di attenuare la luce solare finché l’occhio non potrà sopportarla. Per N. – la verità, non consistendo più nella luce del sole (l’idea) ma nella profondità spaventosa della natura (l’uno originario eternamente sofferente e contraddittorio), è tenebrosa e oscura e dunque necessita non più di macchie oscure colorate, bensì di macchie luminose: balsamo per l’oscurità abissale dell’esistenza del mondo. Questa attenuazione fornisce all’uomo una protezione da un’esperienza quasi insostenibile e costituisce ancora una volta un velamento, in N. la valenza ostacolante soppianta quella preparatoria di Platone. Il rovesciamento nietzschiano esclude ogni possibilità di liberazione in quanto l’uomo per la propria sopravvivenza non è chiamato a distaccarsi dall’apparenza, per vedere la verità, ma a consegnarsi ad essa. Questo incremento dell’irretimento è attuato dalle forme apollineo-dionisiache che rappresentano apparenze di secondo grado che si sommano a quelle di primo gr (la nostra esistenza e il mondo) — raddoppiamento dell’apparenza prodotto dall’arte. Ancora viene ripreso un caposaldo della filosofia platonica e rovesciato: Platone condanna l’arte in quanto, rispetto al mondo delle idee, è una copia di secondo grado (idea, realtà empirica, arte) - ‘’imitazione di apparenza’’. Anche per N. l’arte si allontana di due gradi dalla verità ed è questa prerogativa che la rende indispensabile in quanto la verità è orrenda e distruttiva: ‘’tanto più ci si mantiene lontani da ciò che veramente è tanto più le cose sono pure belle e buone. La vita nell’apparenza come scopo’. N. risolve il dissidio tra arte e filosofia a favore dell’arte, Platone a favore della filosofia. Il rovesciamento del platonismo consiste nella produzione di un doppio speculare: N. parte da premesse platoniche (l’individuazione di una verità metafisica, la centralità della coppia verità/illusione, il ruolo dell’arte), la struttura di fondo, dunque, rimane la stessa con la differenza che N. attribuisce una valenza positiva a ciò che per Platone ha una valenza negativa e viceversa. Ma N. continua a prendere come unità di misura la struttura di ciò che rovescia- È DAVVERO RADICALE CIO’ CHE HA SCRITTO? Giustificazione del mondo come fenomeno estetico, tesi fondamentale: Nietzsche esclude qualsiasi forma di liberazione in relazione all’arte? (Cap 5 NDT) Per il vero creatore del mondo noi siamo solo delle immagini e delle proiezioni artistiche, la nostra suprema dignità risiede nel nostro significato di opere d’arte, infatti: ‘’solo come fenomeni estetici l’esistenza e il mondo sono giustificati in eterno. La nostra consapevolezza di questo nostro significato non è diversa da quella che dei guerrieri dipinti sulla tela avrebbero della battaglia che vi è rappresentata. Il genio artistico, nell’atto della creazione artistica, si fonde con l’artista originario del mondo, sa qualcosa dell’essenza eterna dell’arte. In quello stato egli è al tempo stesso soggetto e oggetto, poeta, attore e spettatore’’. ------L’uomo e il suo mondo sono per l’uno originario delle ‘immagini’ e ‘proiezioni artistiche’: soddisfacendo il bisogno d’apparenza dell’uno originario gli consentono di redimere la sua sofferenza. La dignità dell’uomo risiede nel suo significato di opera d’arte sebbene egli sia completamente ignaro di ciò. Il sapere artistico non aiuta a superare questa inconsapevolezza, in esso prende piede un’oggettivazione illusoria che impedisce di identificarsi con l’autentico soggetto metafisico e di riconoscere ‘il suo bisogno di apparenza’. L’artista nell’atto della creazione si immedesima con il primo artista, l’uno originario, e riconosce il carattere d’apparenza dell’esistenza dell’uomo e del suo mondo nonché il significato dell’arte come appagamento ancora superiore dell’originario bisogno di apparenza. Per Platone la liberazione è quel superamento dell’apparenza che consente di raggiungere la verità. Per N. invece ci si libera allontanandoci da ciò che veramente è, affrancandoci dall’inconsapevolezza circa il carattere di apparenza della nostra esistenza e del nostro mondo: ci si libera dunque non dall’apparenza ma nell’apparenza, nel riconoscere l’illusione come tale. La prigionia da cui l’uomo viene liberato non è quello della realtà apparente a vantaggio della realtà vera ma è quello del concetto stesso di realtà. Dunque, l’acquisizione di questa consapevolezza passa attraverso la concretezza dell’esperienza artistica, in particolare dionisiaca poiché consente di riconoscere l’apparenza come tale all’interno della produzione d’apparenza, non collocandosi al di fuori di essa e non spezzando il cerchio dell’apparenza con la pretesa di realtà, di verità. L’esperienza artistica ha dunque un primato sul pensiero filosofico-metafisico che fraintende- basi della prospettiva scettica nietzschiana. L’arte dionisiaca non si limita, come l’arte apollinea, a mantenere un senso del limite tale che le illusioni del sogno non vengono confuse con la realtà empirica: piuttosto espone in maniera penetrante il carattere illusorio delle une quanto dell’altra. La tragedia da voce al dolore e lo esibisce non per consegnare l’uomo allo sconforto ma per guardare oltre il principio di individuazione che domina l’arte apollinea; dietro di esso, infatti, si scorge una dimensione più originaria, quella dell’unità della natura che, percepita attraverso l’estasi dionisiaca, permette l’uscita da sé e l’affrancamento dal principio individuazione. In questo consiste la ‘dottrina misterica della tragedia’: la conoscenza fondamentale dell’unità di tutto quello che esiste, l’individuazione considerata la causa prima del male, l’arte come gioiosa speranza che si possa rompere l’incantesimo dell’individuazione e come presentimento di un’unità ristabilita. I conflitti legati all’individuazione vengono visti, in forza dell’ebrezza, sullo sfondo della vita indistruttibile. Capitolo XVI della nascita: ‘’ noi crediamo nella vita eterna, così proclama la Tragedia’’. L’uomo greco non si abbandona alla negazione pessimistica della vita ma, come leggiamo nel capitolo VII della ‘Nascita’: ‘lo salva l’arte e attraverso l’arte lo salva a sé stessa la vita’. La rappresentazione artistica dionisiaca svela lo sfondo delle belle parenze apollinee (che finge che il dolore scompare dai lineamenti della natura) ma lo fa stendendo un velo più trasparente che, lasciando trapelare il dolore piuttosto che occultarlo, conduce alla visione della vita indistruttibile. —permette di raggiungere la consapevolezza sul carattere di apparenza dell’apparenza. Il velamento apollineo dionisiaco non è falsificante in quanto la verità dell’origine è insostenibile quanto inaccessibile e si può dare solo nel gioco dell’apparenza. Gentili nella sua ‘Introduzione a Nietzsche’ sottolinea come Kant sia il principale interlocutore di N.- l’uomo può conoscere solo i fenomeni. Come leggiamo in una lettera N. ha compreso ‘Il mondo come volontà e rappresentazione’ in seguito alla lettura di ‘Storia del materialismo e critica del suo significato per il presente’ del kantiano Lange. N. infatti scrive che non solo la vera essenza delle cose ci è sconosciuta ma che anche il concetto di questa è l’ultimo prodotto di un principio opposto – l’ambito del fenomeno per come viene costruito in base agli a priori della conoscenza umana. Superamento della struttura dualistica alla base della metafisica. Questo presupposto avrà una più completa maturazione nel capito del ‘Crepuscolo degli idoli’ intitolato ‘Quando il mondo vero finì per diventare favola’. Il rovesciamento del platonismo, la parabola da Platone a Zarathustra, supera la posizione metafisica delle valutazioni platoniche- i valori non necessitano più di un ancoraggio sovrasensibile (il mondo delle idee) ma rimangono ‘fedeli alla terra’ come esorta Zarathustra. DOMANDE ESAME - È sufficiente per noi moderni imitare gli antichi? No Nietzsche grande debitore dei pensatori neoclassici greci, perché riportano l’interesse ad un’antichità passata, importante per il nostro presente, ma la guardano con occhio nostalgico e idealizzato. Il suo intento e quello che lui considera essere l’obiettivo della filologia è ‘colmare l’abisso tra antichità ideale e reale’ non per smontarne la bellezza, ma per sostituire i vecchi santuari con nuovi e degni altari’. -6 7 della Nascita della Tragedia > coro come principio originario della tragedia. Critica chi vede nel coro la rappresentazione del popolo greco (Aristotele suggeriva questa interpretazione) ma non ha nulla a che vedere con la funzione originaria del coro. Contro anche la visione di Schlegel del coro come ‘spettatore ideale’ vs visione che il pubblico debba essere cosciente della finzione dell’opera d’arte. Spettatore senza spettacolo controsenso. Più concorde con l’idea di Schiller che vedeva nel coro un muro vivente in torno alla tragedia per isolarsi dal mondo reale. Consolazione metafisica (riconoscimento di un’unità indistruttibile nella sua potenza e gioia). - Prima parte servizio divino dei greci Servizio divino dei greci lezioni del corso accademico 1975/76 a Basilea. Distanziamento rispetta alla Nascita della Tragedia e svolta per così dire utilitaristica. Quindi la tragedia e il pessimismo greco vengono mantenuti ma declinati diversamente. Alla base ci starebbe sempre qualcosa di oscuro, ma in questo caso non è il dio artista ma il pensiero impuro. - Fallacia dell’osservazione - Specchio trasfigurante > apparenze apollinee come ve lamento sulla verità che trasfigura la sua vera natura (asprezza e crudeltà) rendendo la vita non solo sopportabile ma desiderabile. - Motto del sileno e pessimismo - Problema della liberazione > apollineo e dionisiaco sono un irretimento maggiore nell’illusione. Non cìè una possibilità di liberazione. Ai fini della propria sopravvivenza necessità di rimanere nell’illusione. L’unica possibilità e quella del genio artistico, fuga non dalla realtà apparente ma dal concetto di realtà. - Platonismo rovesciato > nono capitolo >> verità/illusione e proiezioni sulla parete - Estetica metafisica e metafisica estetica - Paideia = educazione. Lettura Otto: Dioniso mito e culto. Gli dei della Grecia. Le muse e l’origine divina della parla e del canto. Differenze N. e S.: arte vista come affermazione della volontà, arte vista come sospensione della volontà. Riassumendo si configurano due i due momenti costitutivi del mito: l’azione e la parola, il culto e il mito: nel culto è l’uomo che si innalza al Divino e agisce in comunione con gli Dei, nel Mito è il divino che scende e si fa umano. PRIMA PARTE: Gli Dei greci non hanno bisogno dell’autorità di una rivelazione, si differenziano da quelli orientali perché non si volgono a noi parlando direttamente di sé stessi. E ancora l’autotestimonianza divina quale ‘’io sono...’’ è impensabile attribuita a loro. Essi testimoniano sé stessi in tutto quello che accade. Omero, il più realistico di tutti i poeti sa dire in relazione ad ogni accadimento quale divinità si trova dietro ma di contro a questa onnipresenza sta anche il tratto più tipico del loro essere divini: la suprema beatitudine in quanto incuranti della felicità o sofferenza del mondo. LE MUSE: Da dove viene ai Greci questa conoscenza degli Dei? Anch’essi ricevettero un annuncio che merita il nome di rivelazione e venne dalle Muse. La Musa è una figura unica e incomparabile: è la Dea che annuncia la verità nel senso più alto della parola- i cantori, i poeti e i vati sono loro ‘servitori’, ‘seguaci’, ‘profeti’ e le tributano venerazione e culto. Pindaro le chiama ‘madri’. Coloro toccati dalla grazia hanno consapevolezza di non potersi definire ‘creatori’ ma sono ‘ascoltatori’ perché è la dea stessa colei che canta (Proemio Iliade: Canta, o Dea, l’ira del Pelide Achille). Nella gerarchia divina le Muse hanno un posto unico; figlie di Zeus e Mnemosine dea della memoria. Inno a Zeus di Pindaro, andato perduto, narra che Zeus una volta compiuto l’ordinamento del mondo chiese agli Dei se ancora mancasse qualcosa e questi risposero che mancava una voce divina che celebrasse questa magnificenza—l’essere del mondo giunge a compimento nel canto e nella parola, gli è costitutivo non potersi manifestare se non come divino e per annuncio divino. Nel canto che le Muse vengono cantando risuona la verità del tutto come realtà pregna del Divino. Dunque, per i Greci il messaggio divino non comanda ed esige ma conforta per il fatto stesso che è. Lo spirito del canto rivela la natura degli Dei essendo la loro voce. In Omero gli eroi trovano conforto, nella sofferenza più profonda, pensando che il loro destino verrà un giorno cantato. In un passo dell’Odissea si legge che la guerra di Troia doveva accadere per divenire canto per le generazioni future- N. in ‘umano, troppo umano’ ritiene questa cosa orribile: come se la sofferenza dovesse piombare con tutto il suo peso sugli uomini in modo che al poeta non mancasse materia di cui cantare. Se lo spirito del canto già non fosse stato presente nel profondo di quel soffrire Omero non ne avrebbe potuto fare tema di canto. Schiller scrive ‘’ciò che è comune scende all’Orco senza risonanza’’, l’essenza del mondo il grande esige di essere cantato per rivelarsi compiutamente nella sua verità. Gli Dei consolano per il fatto che sono e grazie a quello che sono- tratto fondamentale della religiosità greca: nulla è più confortante dell’umano esser partecipi della beatitudine divina. Achille sulla dell’Iliade esorta nel dialogo con Priamo: ‘’Questo hanno infatti stabilito gli Dei per i miseri mortali: che vivessero negli affanni; ma essi nessun dolore gli tocca’’. E già nel primo canto del poema è contrapposta con evidenza la felicità degli Dei al destino umano. Gli Dei si manifestano dei moti dell’animo umano: non solo nei fenomeni della natura. Nel mondo popolato dagli Dei l’uomo greco, per trovare l’origine dei propri impulsi e delle proprie responsabilità, non guarda all’interno di sé stesso, ma all’essere nella sua vastità, e dove l’uomo moderno parla di disposizione interiore e volontà, l’uomo greco incontra la realtà vivente di un Dio. La psicologia del profondo trae la stolida conclusione che ancora non era stata scoperta la profondità della vita interiore (tumos e non cervello e vita psichica). La verità è che l’esperienza viva dell’oggettività, degli Dei che portano in sé la totalità dell’essere, li salvaguardia dal narcisismo pericoloso del nostro tempo. Nel mondo proprio dell’uomo greco le forze che dominano la vita umana e che noi conosciamo come disposizioni dell’animo non hanno solo a che fare con l’uomo ma dominano tutto. I moti dell’anima non sono che l’afferramento da parte di forze eterne (l’amore, il pudore, la discordia) che sotto figura divina sono ovunque operose. Nel mondo religioso della grecità antica l’esperienza dell’essere nella sua oggettività e nella sua essenzialità era ancora così potente che all’illusoria autonomia dell’animo umano veniva ancora preclusa la parola. L’elevarsi dell’uomo alla verità del mito: Il divino non è il ‘totalmente altro’, è piuttosto ciò che ci circonda, ciò che si afferma facendosi figura nel nostro spirito. L’esperienza religiosa ha un volto e un nome, il valore del nome fu ben compreso da Holderlin: è col nome che la divinità si rivela come figura. Il cosiddetto ‘antropomorfismo’ ha costituito da sempre una delle maggiori obiezioni contro la religione greca. Nella triade religiosa monoteistica il divino non è esperibile e per quanto riguarda la religione islamica è presente anche un divieto della ‘rappresentazione’. Ma nella religione greca l’antropomorfismo’ è elevazione dell’uomo- l’aspirazione è quella di divinizzare l’uomo, è piuttosto teomorfismo. La verità del mito è questa: il Divino può parlare solo al Divino, dunque, esso è già nell’uomo se esso può avvertirlo. Molteplicità e unità divina: pag. 101 Apollo, la sua imperiosa volontà di intelligenza, misura e ordine: divinità pregreca ma non ci sono in lui, al contrario dell’opinioni di ricerche specialistiche, tratti orientali. Il suo originario carattere è essere il dio del sole e accanto a questo la purità come origine costitutiva. ‘conosci te stesso’: conosci ciò che è l’uomo e sui limiti, troviamo scritto nel tempio di Delfi ‘nulla di troppo’. Nell’ultimo canto dell’Iliade è colui che alza lamento contro la disumanità con cui Achille strazia il cadavere di Ettore: gli rimprovera crudeltà e brutalità, disprezzo delle leggi eterne della natura, mancanza di moderazione. Apollo il purificatore: Dio della lontananza, superiore distacco. Fin dall’inizio Dio sanatore (purificare-> sanare), e anche una forma superiore di purificazione: l’illimpidimento del proprio essere interiore consente all’uomo di evitare pericoli a cui non gli è precluso fuggire- Apollo propone un ideale di comportamento. Apollo come fondatore di istituzioni: Il Dio che fonda le istituzioni, che conferisce ordine e giustizia all’umano convivere. A lui si appellano i legislatori politici. Conoscere il giusto e il vero porta conseguentemente anche a poter penetrare nel segreto del futuro- concede il dono della profezia che annuncia ‘l’infallibile volere di Zeus’. Dio della musica dove questa è alla radice di tutte le sue virtù. Al banchetto degli Dei suona la lira accompagnando il canto delle muse, a lui e alle muse i cantori devono la loro arte. Dio della cetra e dell’arco. Alla sua mano vengono ricondotte le morti improvvise. Per i greci l’atto dell’arciere che scocca la freccia e quello del musico che vibra la corda sono designati con lo stesso verbo (‘psallein’). Lo spirito apollineo: il dionisiaco comporta ebrezza, perciò vicinanza; l’apollineo chiarezza e forma, perciò distanza. Apollo vuole lo spirito cioè libertà, distacco, spaziosità di sguardo. Egli è lo spirito con cui parla l’essere del mondo, in cui la realtà molteplice del mondo si riflette, rivelandosi in molteplicità di figure. Nessuno dei suoi oracoli comincia con la formula ‘Io sono…’ e tantomeno è interessato al singolo e alla sua anima individuale: le sue rivelazioni richiamano l’uomo non alla propria individualità ma a ciò che trascende la persona. – coscienza del divario tra gli Dei e gli uomini: ‘sogno di un’ombra è l’uomo’. Dioniso, il Dio del mondo primigenio: grandezza spirituale della religione greca – è stata in grado di capire anche il dio del mondo primigenio nel suo perenne riemergere. Delfi luogo di culto di Dioniso già prima di Apollo. Non è possibile pensare a un contrasto più profondo di quello tra Zeus, Atena e Apollo con Dioniso che dissolve nel caos primigenio l’ordine cosmico di questi Dei. A differenza di Atena Dioniso sopraggiunge enigmatico nello sguardo che sconvolge. Suo simbolo è la maschera che rappresenta l’immediata presenza di uno spirito misterioso. Causa follia: o beatificante che libera dal peso della terra e che rapisce in estasi o follia oscura apportatrice di morte. Quando Dioniso irrompe col suo tiaso il mondo primigenio è di nuovo lì e si prende gioco di barriere e leggi perché è più antico di loro. È il rigoglio della vita ma non senza la morte anzi strettamente legato ad essa. Le donne che danzano intorno a lui sono materne verso i cuccioli e i bambini ma anche assetate di sangue nel furore della follia. La sorprendente duplicità che presenta la tragedia ( al coro accompagnato dal flauto che era originariamente tutto si è venuto affiancando il discorso parlato che con Eschilo assume il ruolo principale) è simbolo dell’unione dell’apollineo e del dionisiaco. Con l’alleanza tra Dioniso e Apollo la religione greca ha raggiunto il suo unto più alto. Nonostante l’asprezza del contrasto sono di fondo legati da un forte vincolo. La stirpe olimpica è emersa dalle profondità abissali in cui Dioniso è di casa e non può rinnegare questa sua provenienza. In Apollo si raccoglie tutto lo splendore olimpico. Il contrasto-accordo (Eraclito) di queste due figure è la sostanza e la legge ultima del mondo. Alla religione olimpica- religione della chiaroveggenza dello spirito e non della sottomissione- era riservato di conoscere e venerare là dove altre religioni separavano e condannavano ‘’l’armonia di opposte tensioni, come quella dell’arco e della lira’’. ‘‘Le muse e l’origine divina della parola e del canto’’: Musa nome che sopravvive ancora nelle lingue europee moderna- musica. Possono essere apparentate alle Ninfe, affini ad antichi spiriti naturali già presenti nelle credenze popolari pregreche; le Muse però sono esclusivamente ‘greche’. – Degne di alta adorazione, stretto legame con Zeus: vengono chiamate ‘olimpiche’; a partire da Omero tutte le grandi divinità possono avere questo epiteto ma non singolarmente venerati con questo. Nel bassorilievo ‘’l’apoteosi di Omero’’ ci viene mostrato nella maniera più espressiva come sia lo spirito di Zeus a muovere le muse (come le profezie di Apollo indicano il volere divino del padre olimpico). Figlie di Zeus e Mnemosine: diversamente dalle Ninfe costituiscono un’unità conchiusa, nonostante la loro riconoscibile molteplicità si rimane sempre consapevoli che sono un’unica Musa. Nei poemi omerici viene evocata inizialmente una singola Musa e succ. anche come divinità molteplice. Attraverso la molteplicità viene ribadita la loro unità poiché non sono indistintamente molte ma nove (inizialmente tre). La madre Mnemosine viene annoverata da Esiodo tra i Titani ma il nome genuinamente greco dimostra che appartiene alla più giovane generazione di dei (si crede che siano esistite anche più arcaiche muse nella generazione di Crono), è congetturabile che nel termine greco ‘musa’ si trovi la radice del verbo ricordare e del ricordo. Mito della teogonia delle Muse: nonostante sia andato perduto il contenuto dell’Inno a Zeus di Pindaro ci è pervenuto e racconta che una volta che Zeus aveva terminato di ordinare il cosmo chiese agli altri dèi cosa mancasse, essi risposero che mancava solo ‘ una voce capace di lodare la grande opera e l’intera creazione in parole e musica’; comprendiamo dunque le Muse hanno un ruolo ineguagliabile nel reggimento cosmico di Zeus e sono fondamentali collaboratrici della sua opera di creazione- l’essere delle cose non è ancora compiuto finché non dà una voce che lo esprima. Questo racconto rappresenta una differenza cruciale con la tradizione biblica per la quale è il creato che loda il suo creatore. Le cose e la loro gloria devono essere pronunciate: questo è l’adempimento della loro essenza. Il canto e la parola sono insiti nella profondità divina delle cose e nella loro essenza e in essi l’essere si rivela. Il compito delle Muse nell’Olimpo è cantare gli Dei e la loro vita beate, del loro apparire nel mondo, dell’origine di tutte le cose e del destino mortale degli uomini. Come delle ninfe anche delle Muse si dice che afferrino i mortali con una differenza: coloro che sono afferrati dalle Ninfe corrono il rischio di perdere la ragione, la follia che viene dalle muse comporta invece elevazione e illuminazione dello spirito nelle quali diviene possibile il miracolo del canto e della poesia. Il cantore e il poeta dipendono completamente dalla dea Musa, solo per sorte divina egli diventa creatore e porta alla luce ciò verso cui la Musa lo sospinge. Esiodo nel prologo della Teogonia, e non come artificio letterario, racconta come ai piedi del monte Elicona le muse gli insegnarono il canto. Il loro respiro è ciò che anima il poeta e per questo egli stesso viene detto ‘divino’ e altrettanto il suo canto. Il poeta invoca sempre la Musa e se in tempi successivi questa invocazione diventa convenzionale non dobbiamo misconoscere il significato originario: dove si eleva un canto o una poesia è in verità la Musa stessa a parlare. Il poeta è dunque colui che ascolta e sulla base di questa esperienza è poi colui che parla. Il vero senso e il fondamento della credenza nell’eternità risiedono nella consapevolezza che le parole del poeta, che la Musa ha pronunciato, è una parola divina. E non perché si tenga intatta attraverso la ripetizione ma perché è in sé divina e non può essere altro che eterna, sollevata dalla temporalità. Al tempo di Augusto il poeta porta a pieno titolo il nome di ‘vate’, profeta. Il canto non nasce dall’esaltazione del sentimento ma è per l’eletto annuncio del vero, per questo ogni anelito della conoscenza è assegnato dalla musica. Non solo la filosofia gode dell’assistenza delle muse; ogni agire sensato e ogni vero sapere trova in esse la loro origine divina. Il canto e la parola hanno un significato divino: sono la rivelazione dell’essere delle cose e perciò un tutt’uno con l’essenza stessa delle cose, senza il canto la creazione non sarebbe compiuta. Il mito della Musa racchiude l’origine del cantare e dire, il linguaggio è quel dono che eleva l’uomo sopra gli altri esseri viventi e lo approssima al divino. La voce che si esprime attraverso il dire umano appartiene all’essere fede (svalutazione della riforma protestante che ha irrigidito il cristianesimo l’ha reso più fanatico) una fede non più radicata nell’evento primario della manifestazione del divino. Omero vera e propria Bibbia degli elleni non vuole insegnare nulla agli uomini, i Greci rapiti nel canto riconoscevano in esse ‘il loro proprio essere’- vedono negli dèi forme eccelse, luminose e piene di natura; da qui prende forma il presentimento che verità e bellezza sono in senso più alto una cosa sola. Nobiltà dell’anima e vastità del mondo sono interconnesse e si alimentano a vicenda, per questo i Greci vedono il mondo pieno di Dei. Il cristianesimo invece fa sfumare il mondo in un'unica realtà i cui poli sono Dio e l’anima- la natura ha cominciato a svuotarsi, effetti di lungo periodo del cristianesimo è che il nostro unico possesso spirituale sia il nichilismo. Antidoto al nichilismo è la rimeditazione dell’antichità classica per guardare al presente ‘dal punto di vista di ciò che è eternamente umano’. Tra cultura e civilizzazione: il concetto di Ergriffenheit In ‘Dioniso, mito e culto’ Otto smentisce la visione secondo la quale l’uomo ha attribuito alla divinità la propria immagine, cadendo vittima di antropomorfismo. La divinità ha carattere antropomorfico perché i tratti umani che essa assume sono quelli che ha conferito all’uomo. Ogni popolo storico è stato ‘afferrato’ a modo proprio ‘dall’immagine del volto divino nel mondo’- Ergriffenheit afferramento. In questo concetto confluiscono il demonismo di Goethe e gli studi di Frobenius- ‘dottrina degli ambiti culturali’: pone accento sull’individuazione di ‘’un’immagine del mondo’’. Tutte le forme culturali sono concepite come forme espressive di una civiltà- termine limitato, sostituito dalla parola ‘paideuma’. La civiltà non va concepita evoluzionisticamente nel passaggio da una ‘cultura primitiva’ a una razionale. Secondo Frobenius le culture hanno origine nella commozione e nell’arte per cui sono indagabili non per via razionale ma intuitiva. ‘perché l’uomo della civilizzazione perse sempre di più il mito?’ per Otto la causa della perdita è da ritrovare nel fatto che ‘’l’uomo non incontra più l’essere delle cose, la realtà che si annuncia nella natura originaria’’. L’uomo moderno ha perduto la capacità di relazionarsi a una dimensione altra, è venuto meno il contatto col divino. Kultur vs zivilisation, l’uomo civilizzato rifugge l’incontro col divino per non esperire la fragilità del suo essere. La logica intuitiva della figura Rapporto tra mito e culto: l’esperienza della figura prende la sua espressione più originaria nel mito e nel suo complemento, il culto. Teofania, presupposto per il sorgere del mondo, è manifestazione. Per comprenderla è necessario soffermarsi sul rapporto tra mito e culto. L’attenzione dedicata al culto, che ricorda quella di N. in ‘Servizio divino dei greci’, procede in una direzione diversa. Otto rifiuta il principio evoluzionistico e il principio di comparazione. In ogni mito si manifesta un Dio col proprio mondo, ora nella teofania si annuncia una ‘genialità primigenia che precede ogni attività individuale dei singolo poeti e artisti e non è pensabile senza un primo impulso potente’’, Otto comprende l’origine nei termini di elemento creativo- la risposta creativa primaria alla rivelazione della divinità è il mito e il culto (si distacca dalla tradizione etnologica che concepisce il culto come venerazione utilitaristica della divinità). Tra mito e culto vige un nesso intimo e costitutivo (non c’è culto senza mito e mito senza culto) tanto che non si può stabilire quale sia primo rispetto all’altro. Mito- ‘manifestazione sensibile della verità divina che vuole essere in concretezza di forme’—autotestimoniarsi mitico della divinità. Coincide col culto nella misura in cui ‘costringe, è una potenza, non può accadere altro che il trasferirsi in azione’; il culto è lo specifico comportamento dell’uomo in cui il mito diviene forma (come se l’azione e l’effetto del dio venissero rivissuti e imitati a livello umano). Tre gradi dell’autotestimoniarsi mitico della divinità - Il primo comprende atteggiamenti cultuali (stare in piedi con devozione, alzare le braccia, inginocchiarsi...) inizialmente non costituiscono l’espressione di fede ma sono il rivelarsi dl divino nell’uomo. - Il secondo della manifestazione mitica appartengono espressioni cultuali connesse all’agire dell’uomo (la solennità dell’incedere, il ritmo delle danze…); nel rito l’uomo ‘si fa figura vivente del dio’. A questo si affiancano le opere prodotte dall’uomo come la scultura e l’architettura- questo per manifestare ‘’l’accadimento divino nel suo perpetuo ricompimento’’. - Il terzo grado è il mito in senso stretto cioè il manifestarsi del divino nella parola. Nel culto è l’uomo che si innalza al divino, vive e agisce in comunione con gli dèi; nel mito è il divino che scende e si fa umano. Il culto e il mito non sono ‘pratiche subordinate a un fine utilitario’ ma creazioni potenti che testimoniano l’incontro tra l’umano e il sovraumano. L’elemento creativo affonda le sue radici nella teofania e presuppone ‘l’afferramento’’ da parte dell’apparizione delle ‘magnificenze dell’essere’. Il fenomeno creatore, dunque, rimanda a qualcosa che è oltre alle capacità umane e appartiene all’ordine della ricettività. Architettura, arti figurative, poesia, musica ‘erano un tempo a servizio della divinità’ e non facevano capo a una facoltà estetica del soggetto. Religione della natura e verità a dogmatica La teofania sta all’origine di ogni grande cultura, quella greca è unica e singolare e è necessario comprenderla nell’intensità e chiarezza del darsi di un fenomeno. Per Otto il mito e il dio non possono essere solo oggetti di studio e se li si vuole comprendere davvero è necessario collocarsi nella dimensione originaria dello schiudersi del mondo ( lo studioso della religione greca deve essere ‘afferrato’ dal suo oggetto di studio). La religione greca per il nostro autore consiste ‘nella più grande religione vera della realtà’, è una rivelazione a-dogmatica poiché eccede l’uomo e lo afferra in attimi eccezionali; è una rivelazione in cui a mostrarsi è la natura stessa nella sua massima pienezza- la natura nella sua forma più spirituale. I greci hanno saputo riconoscere il divino delle svariate forme dell’essere naturale- il dio rappresenta l’illuminazione in cui la natura si rivela con un’evidenza superiore. Otto sostiene che la religione ellenica non si manifesta ‘sotto forma di leggi o espiazioni ma nella santità dell’essere’ e testimoniano non il ‘totalmente altro’ ma ‘proprio questo’. Poiché il divino è onnipresente e tutte le cose ne parlano si ha una coincidenza tra conoscenza e fede. La spiritualità della figura umana La figura umana è il punto di raccordo tra il naturale e lo spirituale, natura e spirito vivono l’una nell’altro. Antropomorfismo principale fonte di critiche: la figura dell’uomo racchiude la vicinanza col divino ( la posizione eretta, capacità di sorridere e parlare). Per l’uomo è possibile innalzarsi al Dio perché in sé ha qualcosa di divino- ‘il divino può parlare soltanto al divino’. L’uomo è caratterizzato da teomorfismo. La parola mitica e la Musa La parola appartiene all’ambito del divino. La Musa è una divinità che in maniera fondamentale conferisce alla religione omerica il suo carattere specifico. Per Otto la venerazione della Musa costituisce ‘l’essenza dell’antica religione della visione del mondo elleniche’. Inno a Zeus, Pindaro: il canto delle muse è celebrativo- porta a termine l’ordinamento divino, senza tale imperfetto; ‘le cose e la gloria devono essere pronunciate: questo è l’adempimento della loro essenza’. La celebrazione ha dunque una portata ontologica e costitutiva di qui il carattere divino della parola e del canto (canto, ciò che da forma). La Musa è la dea che annuncia la verità nel modo più elevato- profonda correlazione tra bellezza e verità. Logos: legato alla scelta, la parola che si pondera. Mythos: il reale e l’effettivo in parola, in seguito significato opposto ‘favoloso’. Epos: parola come sonorità vocale. La parola mitica è quella parola che nel nominare attua la cosa- il linguaggio nella sua originarietà non è affatto un mezzo per comunicare ma è la verità del mito. E la parola intesa come Mithos è miracolo in quanto ‘ogni rivelazione in forma della verità-mito- è miracolo’. Il vero poeta è colui che viene ‘afferrato’ dalle Muse e che concepisce il proprio canto come una ripetizione di quello delle Muse (è colui che ascolta e in base a questa esperienza successivamente parla). Poeta-profeta che non trasmette la volontà di un creatore del mondo ma celebra quello che è così com’è, nel canto il divino celebra se stesso e celebrandosi si compie. Il canto eterna le gesta degli uomini non per la sua ripetizione ma perché in quanto suscitato da una divinità è per sua natura eterno. Il canto è l’evento in cui ‘la prossimità tra uomini e dei si fa assoluta’; le opere dei loro poeti, quando realmente ispirati, sono in grado di restituire la natura nel suo essere, nelle sue forme e figure divine. Platone: Filosofia ‘ la più alta arte tra le Muse’, sotto il segno di Apollo. Alla base del mito e della filosofia c’è la meraviglia. Uomo e mondo Nesso tra dio e uomo segna la teofania. La conoscenza del divino e l’autocoscienza non sussistono l’una senza l’altra: l’uomo può conoscere sé stesso solo nell’autorivelazione dell’essere del mondo. ‘Nel mondo popolato da Dei l’uomo greco per trovare l’origine dei propri impulsi e delle proprie responsabilità non guarda all’interno di se stesso ma all’essere nella sua vastità’- moti dell’animo: essere afferrati da forze eterne. La scissione tra sacro e profano è esclusa nel mondo omerico (pag. 193- 196). Le tensioni della forma divina: il divino al contempo unitario e molteplice, l’immensa varietà dell’essere ha portato alla molteplicità di diversificate figure divine. Anche il politeismo presenta un principio unificante- Zeus. I singoli dei hanno comunque un’irrevocabile autonomia. Apollo e Dioniso: un’armonia dei contrari. Il contrasto insito nel manifestarsi della forma divina raggiunge il proprio culmine nel rapporto tra gli Olimpici e Dioniso (tematica nietzschiana). Le divinità ctonie erano legate agli elementi e al sangue, caratterizzate dall’immediatezza della presenza, prevalentemente di sesso femminile--/--gli dèi omerici sono figure luminose che agiscono a distanza (triade Zeus, Apollo, Atena). Dioniso è una figura chiave in quanto con lui si è continuato a onorare il mondo notturno. Ipotesi di Otto contro posizione N. e antichisti del suo tempo: Dioniso non ha origine orientale. Otto interpreta Dioniso scollegandolo dai misteri eleusini quanto ai misteri orfici. Dioniso Zagreo: da N. interpretato a partire dal retroterra orfico(dottrina della salvezza), allegoria da intendersi alla luce della filosofia schopenhaueriana della volontà. Per Otto Dioniso è una figura divina a tutti gli effetti, capace di rivelare ciò che è, di dischiudere ‘un mondo completo’ – il mondo visto seconda la duplicità. Una duplicità presente nella divinità di Dioniso stesso: MASCHERA, simbolo eloquente della compresenza di opposti. La maschera è caratterizzata dalla frontalità, occhi sbarrati e fissi che ci lasciano inchiodati (le divinità e spiriti primigeni rappresentati in forma di maschere- si fanno incontro ai fedeli con una immediatezza travolgente) - Dioniso appartiene all’ambito primordiale. Nel mito quanto nel culto è il Dio che appare in modo irresistibile e repentino per poi scomparire altrettanto improvvisamente. È il dio della più immediata presenza o meglio di un eccesso inafferrabile e indomabile di presenza. – stretto legame con la maschera che è ‘la più forte immagine di presenza’ a cui l’uomo non può sottrarsi. La maschera nel suo essere ‘soltanto incontro, non è altro che frontalità e non ha nulla dietro di sé’, duplice carattere. Dioniso ’La divinità più penetrante e sensibile, è collegato all’enigma della duplicità e contraddizione’; Dioniso e la maschera come suo simbolo rappresentano manifestazione e oscurità, figura e informe. Il Dioniso di Otto è il testimone dalla ‘profondità abissale’ da cui gli dei olimpici sono sorti. Da qui il vincolo, nonostante il contrasto, con il regno di Apollo. ‘Alla religione olimpica era riservato venerare, là dove altre religioni separano e condannano, l’armonia di opposte tensioni, arco e lira’. Otto smantella la visione Nietzschiana che oppone l’illusoria apparenza della religione olimpica al fondamento dionisiaco dell’esistere. Figurazione e mondo della vita Il contributo più rilevante di Otto è stato quello ‘della testimonianza personale profondamente vissuta della possibilità di un rapporto col divino non dogmatico e perfettamente aderente all’esperienza del mondo della vita’. Il riferimento fenomenologico -dal mondo della vita permette di comprendere la
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