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RIASSUNTO DELLA VITA DI VITTORIO ALFIERI SCRITTA DA ESSO, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

RIASSUNTO DELLA AUTOBIOGRAFIA DI VITTORIO ALFIERI.

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

Caricato il 24/01/2018

Margro97
Margro97 🇮🇹

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Scarica RIASSUNTO DELLA VITA DI VITTORIO ALFIERI SCRITTA DA ESSO e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! VITA DI VITTORIO ALFIERI Introduzione Alfieri inizia autobiografia con frase di Tacito ripresa dalla vita di Agricola “i più giudicheranno che narrare la propria vita significhi fiducia nei propri costumi più che arroganza” e da questo Alfieri parte dicendo che ci sono 3 ragioni per cui vuole scrivere: l’amore per se stessoc’è del narcisismo (proprio di tutti gli uomini in particolare poeti/ artisti), non vuole scrivere falsità anche se forse ometterà qualche cosa (se la scrivesse un altro potrebbe cambiare i fatti e prevedendo che le sue opere verranno apprezzate da un pubblico che vorrà sapere della sua vita) e vuole contribuire allo studio dell’uomo (riprende confessioni di Rousseau) partendo dallo studio della sua esistenza che essendo da lui vissuta riesce a giudicare meglio. Decide di dividere l’autobiografia in 5 età dell’uomo: puerizia, adolescenza, giovinezza, virilità (divisa in due parti, la seconda ripresa dopo 13 anni), e vecchiaia (non realizzata anche se anticipa che sarebbe stata forse noiosa per via delle chiacchiere tipiche degli anziani) Anticipa nell’introduzione che lui sta già scrivendo la quarta epoca e si è reso conto di starsi dilungando per cui chiede perdono al lettore che può decidere di saltare le parti che non gli interessano. Parlerà solo di se stesso e di persone di rilevanza della sua esistenza. Dichiara di usare stile semplice essendo la scrittura istintiva e non pensata. Epoca prima – Puerizia (9 anni di vegetazione) Nato 17 gennaio 1749 (in realtà 16, quello è il battesimo) Asti. Descrive famiglia: padre Antonio Alfieri, madre Monica Maillard di Tournon, che aveva già figli da primo matrimonio. Risposata con suo padre ebbe una figlia Giulia e due anni dopo lui, altro maschio morto da bambino. Padre muore, madre si risposa con Giacinto Alfieri di Magliano, avuti altri figli: sono felici, stanno assieme ancora mentre Alfieri scrive. Fa elogio alla madre che si occupa dei bisognosi e che lui ama molto anche se è spesso lontano ma vorrebbe starle vicino visto che di maschio resta solo lui. Riflette sulla fortuna di essere nato da genitori nobili (perché così può conoscere davvero, e dunque criticare, la nobiltà), agiati (perché così può servire solo la verità e non avere padroni) e onesti (perché così non deve vergognarsi di essere nobile). Alfieri dichiara inoltre di avere quarantuno anni mentre scrive la biografia. Ritiene l’infanzia una stupida vegetazione infantile, in cui ci sono reminiscenze. Ricordo alla Proust che lui scrive per mostrare come funzionano i ricordi: uno zio che gli dà dei confetti e di cui lui si ricorda solo le scarpe squadrate. Proprio la vista di scarpe simili a quella dello zio fa tornare in mente a Vittorio il sapore dei confetti. Il secondo ricordo della prima infanzia è legato a una forte malattiadesiderio di morte per far finire il dolore. La separazione da Giulia, che viene mandata a studiare in un convento astigianola separazione da tutte le persone amate, siano esse amici, parenti, o amanti, dà sempre lo stesso tipo di sofferenza in quanto l'amore parte sempre alla stessa maniera . Al contrario Alfieri riceve la sua istruzione in casa, da un sacerdote, Don Ivaldi, che lui stesso giudicherà poi piuttosto ignorante. L'autore riconosce addirittura che i suoi stessi genitori non sono persone colte, in quanto secondo loro "un nobile non deve diventare dottore". Alfieri riconosce però di aver sempre avuto una tendenza verso lo studio e l'introspezione. Descrive alcuni piccoli avvenimenti decisivi per la formazione del suo carattere. Si dimentica della sorella Giulia, in quanto la vede sempre meno spesso. Visita chiesa del Carmine e in lui nasce un’infatuazione per i novizi, giovani frati che sono in fondo gli unici coetanei che vede. Nascita del sentimento malinconico. Tentativo di suicidio con l’erba credendola cicuta e messo in punizione. Odia la punizione della reticella da notte in testa e portato in chiesa perché teme gli sguardi altrui e quelli dei novizi, per aggravare la punizione condotto chiesa più grande lontano da casa. Ruba alla nonna un ventaglio per regalarlo alla sorella ma non viene punito perché chi ha proprie proprietà cresce rispettando quelle altrui non ruba più. Prima confessione spirituale obbligato dal confessore che vuole lui confessi tutto alla madre in pubblicoodio per quel sacramento. Prova sentimento di invidia e di competizione verso fratello maggiore di primo matrimonio della madre, i due giovano a fare i soldati, Alfieri cade si fa male alla fronte costretto a portare fasciatura, la considera ferita da esercizi militari non se ne vergognaprima vanità. Fratello maggiore muore e lo zio paterno Pellegrino Alfieri lo porta in Accademia a Torino: separazione dolorosa dalla madre, desiderio di veder cose nuoveprimo viaggio da Asti alla villa dello zio luglio 1758, prima era euforico poi triste, beve all’abbeveratoio dei cavalli perché chi gira il mondo deve arrangiarsiimpeto di natura gloriosa. Contento della carrozza, dei cavalli, della velocità. Ritiene che questa parte di vita risulterà inutile a coloro che si scordano che gli uomini sono la continuazione del loro essere bambini, e che l’età dell’infanzia è cruciale per la formazione del carattere e delle inclinazioni future. Epoca seconda – Adolescenza (8 anni di ineducazione) Euforico per il primo viaggio gode della vista di ciò che lo circonda (rispetto a viaggiare su carrozza chiusa), arriva a Torino (città la cui bellezza architettonica ed urbanistica sempre ricorderà a paragone con le città che vedrà nei suoi viaggi a casa dello zio che lo spedisce in accademia 1 agosto 1758: Alfieri descrive il suo arrivo a Torino presso la casa dello zio. Racconta poi di essere stato chiuso fin da agosto, e quindi in anticipo, presso l'Accademia, di cui segue la descrizione. L' Accademia è posta in un grande palazzo con quattro ali, al centro delle quali vi è un cortile. Tre ali sono dedicate agli studenti e agli ospiti dell'Accademia, mentre l'altra ospita il teatro reale. Alfieri spiega che non a tutti gli ospiti dell'Accademia è riservato lo stesso trattamento: vi sono infatti quelli come lui che devono seguire un rigido codice, ma anche ospiti più grandi che per esempio studiano all'università o fanno già parte dell'esercito e hanno quindi maggiori libertà. Alfieri riflette sul fatto che per coloro che, come lui, devono imparare una rigida disciplina non è certo d'aiuto vedere al loro fianco dei ragazzi che al contrario possono uscire andare a teatro tutte le volte che vogliono. Primi due anni diseducativi, inutili: suoi primi due anni all'Accademia. Appena arrivato viene assegnato alla quartana, ovvero la classe dei ragazzi di quarta che però sono quasi pronti per andare alla classe successiva che quegli anni era la terza (in quanto si usava numerazione decrescente). L'anno di scuola fatto in terza e per Alfieri un anno sprecato, in quanto si rende conto che sia lui, sia i compagni, sia l'insegnante (che ancora una volta è un sacerdote) sono ignoranti e quindi lui non trae nessun giovamento da quest'anno di studi (traducono le Vite di Cornelio Nepote ma senza contestualizzare ciò). L'anno successivo viene promosso alla cosiddetta Umanità, ovvero l'anno dedicato agli studi umanistici. Alfieri racconta di aver passato lunghe ore nella traduzione di Virgilio e di altre opere latine. Quello che lo sprona negli studi è, ancora una volta, la competitività con gli altri studenti. In Fleury= prende in odio i preti e ciò che li riguarda (odio già affermato da piccolo verso la confessione). Intorno ai 15 anni Alfieri non vuole più essere seguito da un servitore, si sente indipendente visto la sua ricchezza, e chiede più volte al direttore dell'Istituto di poter uscire da solo come fanno i suoi compagni. Negatogli ciò, prova più volte a uscire da solo senza permesso e viene messo in castigo. Il castigo più lungo dura tre mesi compreso tutto il carnevale 1764 (carnevale era periodo in cui i ragazzi venivano portati fuori), durante i quali lui si rifiuta sia di chiedere scusa, sia di chiedere il permesso di uscire, e addirittura di mangiare con gli altri, riducendosi a non lavarsi a vivere vicino caminetto cucinandosi qualcosa che gli viene portato dagli amici, ai quali però non dice parolasi riduce in uno stato selvatico. La sorella Giulia si sposa 1 maggio 1764 con il conte Giacinto di Cumiana e Alfieri si trasferisce da loro per un mese. Riacquista libertà rispetto ai compagni di accademia, un maggiore controllo delle sue finanze che anche il suo primo cavallo, insoddisfatto essendo troppo delicato ne volle altri fino ad averne 8 + carrozza e svariati capi di abbigliamento lussuosi restio al vantarsi con gli amici non dell’Accademia più poveri, quelli con cui va a cavalcare, sviluppa qui una sua virtù naturale cioè non soverchiare chi già dall'inizio è inferiore a lui in ingegno, denaro, forza, carattere, mentre al contrario è forte il senso di competitività verso chi ritiene suo pari o superiore Pur essendo l’età della sua gioventù ribelle, prepotente, capriccioso allo stesso tempo da’ valore alla giustizia, all’eguaglianza, alla generosità=caratteristiche di chi merita di essere libero. 1765: primo innamoramento verso la cognata di alcuni suoi amici di cavalcate (combattuto tra il volerla vedere e il volerla evitare per non sapere cose dire=tipici effetti dell’amore descritti da Petrarca) resta sentimento irrealizzato e come tale mai dimenticato. Viaggia a Genova colpito dalla vista del mare (rimpiange il non saper poetare): soddisfatto dal viaggio ma poi subito invidioso tornato in Accademia perché i suoi compagni erano stati in paese lontani come Inghilterra, Germania, Polonia, Russianasce da qui la frenetica voglia di viaggiare. 1766: La subordinazione militare (cui è destinato in quanto figlio primogenito di una famiglia aristocratica), però, non fa per lui, prima pensava di entrare nella cavalleria per amore dei cavalli poi sceglie di fare il porta-insegna nel reggimento provinciale d’Asti perché occupava poco tempo lasciandogli libertà di oziare, ma anche questo incarico non gli piace, lascia l’Accademia va a vivere dalla sorella: decide di fare un primo viaggio a Roma e Napoli. Ha solo diciassette anni, per poter partire deve riuscire a ingannare suo cognato. Intraprende perciò il viaggio con tre amici dell'Accademia, un inglese, un belga, un olandeseAlfieri non sopporta il fatto di dover ricorrere a sotterfugi per viaggiare ma il re non era propenso a far viaggiare i suoi nobili e ancora meno un ragazzo giovane (motivo per cui poi rinuncerà al suo titolo nobiliare). Con la partenza verso questo viaggio si conclude la sezione dedicata all'adolescenza, che Alfieri riconosce come totalmente inutile in quanto dedicato in maggioranza all' ozio e all'ignoranza. Epoca terza – Giovinezza (10 anni di viaggi e dissolutezze) Primo viaggio: Milano Firenze Roma (1 anno). 4 ottobre 1766 partenza con due amici, alcuni servitori, e Francesco Elia, un anziano ed esperto servitore del suo defunto zio con cui questo aveva viaggiato. Milano, che ad Alfieri non piace in quanto molto più disordinata di Torino. (Alla biblioteca ambrosiana gli viene dato anche un manoscritto di Petrarca, che però Alfieri riconosce di non aver punto apprezzato). Si ritrova a parlare sempre in francese che lui parla a casaccio e senza sapere l’italiano. Poi tra Parma e Mantova visitate di sfuggita. Firenze: Alfieri si vergogna perché, nonostante sia nella patria del toscano, preferisce imparare l'inglese (cosa che si spiega dicendo che in accademia ha vissuto con inglesi, popolo di cui sente parlare come potente politicamente mentre l’Italia divisa e debole perciò rifiuta di parlare italiano/toscano), e inoltre continua a voler utilizzare la ridicola u alla francese di Torino. Non resta affascinato dalla città tranne qualche bellezza scultorea e dell’architetturaapprezza tomba di Michelangelo a Santa Croce: riflette che diventano grandi quegli uomini che hanno lasciato qualcosa di concreto fatto da loro. Tappe a Lucca, Pisa, e Livorno, città che più piace all'autore, sia per la somiglianza con Torino, sia per il mare che per lui sempre un elemento affascinante. Siena comincia ad apprezzare la lingua toscana. Roma apprezzata poco deluse aspettative, ad eccezione di alcuni elementi architettonici, forse per l'influenza dello zio architetto. L'autore rammenta come lo stupore dei suoi amici stranieri verso le meraviglie dell'Italia sia molto maggiori del suo. Solo dopo i lunghi soggiorni all'estero ha saputo poi valorizzare l'Italia e gli italiani, e anche capito l'entusiasmo degli stranieri per ciò che vedevano sulla penisola. Proseguono. Francesco Elia si rompe un braccio, e acquista ammirazione da parte di Alfieri perché riesce a risolvere da solo tale situazione. A Napoli Alfieri si trova a disagio (alberga in una bettola come in quasi tutti i luoghi precedenti riconosce di ammirare di più il percorso fatto verso una meta e il fatto di essere lontano da casa rispetto a quanto visita. Ha 18 anni non sa davvero cosa fare della sua vita; durante la visita alla corte napoletana di Ferdinando IV (che gli sembra simile al suo re Carlo Emanuele e al duca di Modena e al granduca di Toscana Leopoldo= deduce che tutti i governanti sono uguali e tutte le corti sono piene dei medesimi servi) gli viene consigliato di diventare un diplomatico; l'idea lo lusinga, ma non si impegna davvero per quella carriera. Non cerca legame né amichevole, né amoroso, in quanto capisce che il suo solo interesse in quel momento è esplorare e rimanere il più possibile lontano da casa. C'è poi la riflessione sul carattere personale: l'autore riconosce di essere una persona che non fa il male di proposito, ed anche molto volenterosa, ma di avere sempre un disagio legato al fatto di non avere né un amore né uno scopo nella vita. Parte per Roma solo con Elia, ma sempre deluso come prima volta: presentato a papa Clemente XIII, dal conte di Rivera vede aperta Eneide di Virgilio, si vergogna perché non sa leggerla, conte lo aiuta ad ottenere altro viaggio per tutto 1768, il curatore patrimoniale gli aumenta di poco i soldi per il viaggio e Alfieri volendo vedere più cose decide di risparmiareprima avarizia (ristrettezze per se e smette di pagare Elia, parte per Venezia usando il vetturino mezzo che odia ma più economico). Venezia inizialmente lo lascia contento ma poi ritorna l’insoddisfazione solita malinconia, noia insofferenza che emergono dopo la novità iniziale (riflessione sul fatto che il suo disagio si ripete in quasi tutte le stagioni primaverili ed autunnali, mentre al contrario in estate e in inverno Alfieri sa di stare meglio e di poter anche scrivere meglio le sue opere). Riflessione sul governo di Venezia, tanto diverso da quello degli altri stati italiani ma comunque al potere da molti anni. Padova, in cui dovrebbe esserci la tomba di Petrarca che però Alfieri ovviamente non visita, così come non visita l'università e molti celebri professori a cui si sarebbe interessato più avanti negli anni. Si sposta poi fino a Genova, interesse per la costa francese, che inizia a visitare con delle piccole gite in barca. Il suo viaggio in Europa parte dunque da Marsiglia, poi Avignone, Aix en Provence e Valchiusa, tutte città importanti sia per la storia d'Italia che per quella letteraria (il legame con Petrarca). Città ignorate dall'autore, che si reca alla sua meta finale, Parigi. Riflette sulla futura attività letteraria: i paesaggi marini avrebbero ispirato poesie se lui fosse stato in grado. Parla poi del suo interesse verso la commedia francese: da grande autore di tragedie, lo stupisce come in gioventù sia stato più attratto dalle commedie che non dalle tragedie francesi, ma è chiaro che ciò sia legato alla maniera di comporre tragedie dei francesi, che spesso usano le tre unità aristoteliche (di azione, tempo e luogo) componendo opere difficili da vedere anche chi per chi come l'autore è più incline agli umori malinconici. Arrivato a Parigi: anche questa città lo delude per il sudiciume, il cattivo gusto, sia probabilmente per le eccessive aspettative. L'unica conoscenza di Alfieri nella città è l'ambasciatore del regno di Sardegna, che però in quel momento non si trova a Parigi; egli trascorre quindi lunghe giornate tra passeggiate, teatro, e donne. Tornato l'ambasciatore introdotto nell'alta società parigina. Incontra re Luigi XV nel giorno di Capodanno il quale guarda tutti dall’alto i basso Alfieri afferma che un altro Luigi (Luigi XVI) verrà poi trattano diversamente dal popolo durante la rivoluzione (qui tutti lo lodano poi altro re successivo verrà decapitato). Viaggio in Inghilterra, Olanda. Londra e l'Inghilterra acquistano molto di più l'ammirazione dell'autore rispetto alla Francia; ammira l'operosità degli inglesi, le loro leggi che fanno vivere bene la gente nonostante il clima ostico. Stessa cosa vale per le donne, forse meno belle di quelle francesi ma più buone e spontanee. In Inghilterra, Alfieri è costretto alla vita sociale, ma preferisce fare il cocchiere, fraternizza con altri cocchieri trascorre tempo a cavallo nelle campagne vicino a Londra. In Olanda dove Alfieri si innamora la prima volta. La sua amante è Cristina Emerentia Leiwe van Aduard, sposata da circa un anno col barone Giovanni Guglielmo Imhof, spesso in viaggio , e con la quale l'autore intrattiene una relazione amorosa. Conosce il suo primo vero amico, un diplomatico portoghese, Don Iosé D’Acunha, persona come lui taciturna ma con il quale trova quindi grande affinità. Continua relazione anche con la consapevolezza del marito, finché la ragazza non è costretta a seguire il marito in uno dei suoi trasferimenti. Alfieri si finge malato, si fa fare salasso e tenta il suicidio strappandosi la benda che trattiene il sangue durante un salasso. Il servitore Elia lo salva senza proferire parola e accompagna poi Alfieri nel lungo viaggio verso casa che si conclude a Cumiana presso la sorella. L'amicizia con il diplomatico portoghese lo invoglia per la prima volta ad aumentare la sua cultura, mentre l'amore per la ragazza ispira la prima volta il desiderio di scrivere. Alfieri rimane per alcuni mesi a casa della sorella, trascorre il tempo leggendo per distrarsi dalla malinconia: legge a fatica scritti politici di Rousseau di cui non apprezza l’Eloisa, romanzo d’amore troppo costruito e poco appassionato in cui non vede rispecchiato tale sentimento da lui provato, apprezza la prosa di Voltaire, ama Montesquieu, disprezza Espirit di Helvetius (giudizio simile a quello che darà Manzoni dicendo che tale autore rappresenta la natura umana sotto l’aspetto più triste e desolante accompagnando con le sue riflessioni amare, insofferenti). Il libro che più lo colpisce sono Vite Parallele di Plutarco: sentendo gesta e tratti di grandi uomini come Cesare, Catone Alfieri si agita, urla, piange di rabbia per l’essere nato in Piemonte in un tempo dove non si poteva aspirare a fare e dire nulla di grandioso. Studia astronomia, il cognato cerca di accasarlo con una giovane nobildonna, ma senza successo poiché questa sceglie un pretendente meglio inserito nella vita di cortecosa torna da lei anche se la cosa lo disturba e lo stressa. Lei si ammala e lui presso il suo capezzale scrive dialogo tra alcuni personaggi fra cui Cleopatraprimo tentativo di comporre qualcosa dell’autore (dopo il sonetto dell’infanzia) ma lo abbandona sotto il cuscino di una poltrona. Lei guarisce, lui si sente oppresso fugge da lei ma poi ritorna continuando ad essere dipendente da lei anche se ciò lo rende infelice. Per liberarsi da lei si taglia i capelli così da non poter uscire di casa (gesto estremo visto i problemi avuti in adolescenza con i capelli) e inizia a scrivere un sonetto e assieme alla Cleopatra scritta al capezzale li manda all’amico Paolo Maria Paciaudi che ne critica non il contenuta ma l’italiano poco corretto, anche il conte Agostino Tana gli manda delle correzioni. Compone la tragedia Cleopatra ispirato dal suo cuore tormentato come l’Antonio per Cleopatra, rappresentata al teatro Carignano di Torino 1775 seguita dalla scenetta I Poeti dove gli attori si beffavano della sua operaAlfieri viene applaudito ma per lui quello non è un vero successo, decide di impegnarsi come drammaturgo per ottenere delle opere soddisfacenti. Con l’inizio dell’attività di poeta inizia l’età adulta. Epoca quarta – Virilità (30 e più anni di composizioni, traduzioni e studi) A 27 anni decide di diventare autore di tragedia ma in italiano lingua da lui poco conosciuta che non lo ha reso soddisfatto per la Cleopatra. Ha provato a scrivere in francese Filippo e Polinice e a tradurle ma capisce di non ottenere un buon risultato, capisce di non avere le capacità linguistiche necessarie. Deve intraprendere lungo percorso: è bravo nell’inventare storie e nel descrivere i sentimenti umani ma deve imparare l’italiano, cosa difficile da ammettere essendo lui presuntuoso. Si ritira in montagna sul confine francese ma così facendo continua ad avere vicino persone che parlano francese, lingua da cui sta cercando di depurarsi evita di leggere opere in francese. L'abate Aillaud consiglia di leggere classici della letteratura italiana: Tasso, Dante, Ariosto, Petrarca (quest'ultimo è, tra gli autori della tradizione italiana, quello che gli va meno a genio). Legge alcuni testi tradotti in italiano da altre lingue tra cui l'Ossian. Fatica a leggere il Galateo di Giovanni Della Casa (libro che apprezzerà poi). Decide di riprendere lo studio del latino (mal fatto in Accademia) nel 1776, si affida a un maestro, con il quale legge le opere di Seneca e di Orazio, anche la lettura di Fedro gli risulta difficile. Decide per un viaggio in Toscana per imparare il toscano/italiano. Incontra tipografo Bodoni, famoso in tutta Europa per la sua opera di stampatore. A Pisa prosegue la lettura dei grandi classici ritiene l'endecasillabo il verso ideale per la poesia in lingua italiana, sia essa tragica o comica. Critica i maestri che trova sia a Pisa sia a Firenze, in quanto spesso essi sono totalmente in disaccordo su ciò che per lui è buono per quanto riguarda il contenuto dell'opera: lui non vuole imparare ad argomentare in maniera tragica, in quanto crede di esserne già perfettamente in grado, bensì vuole imparare le regole linguistiche legate al buon italiano. Concepisce l'idea per un'altra opera Antigone. Capisce che leggere opere di altri autori sullo stesso tema può rivelarsi una mossa poco felice, in quanto porterà anche involontariamente a copiare l'autore originario (rinuncia a Shakespeare). Viene a conoscenza della storia che è poi diventata una delle due tragedie medicee, il Don Garzia. Torna a Torino attirato dalle amicizia e dai cavalli, scrive sonetto su rapimento di Ganimede che l’amico Tana giudica positivamente, decide di tornare in Toscana per non essere influenzato dal dialetto piemontese. Secondo viaggio in Toscana porta con se’ servitori e cavalli e invece di andare a Pisa va a Siena dove essendoci meno stranieri può apprendere meglio il toscano e qui incontra un nuovo amico, il mercante Gori Gandellini che lo sprona a migliorare le sue competenze letterariel’amicizia per Alfieri è qualcosa di raro e prezioso avendo lui un carattere difficile tale da non farsi facilmente amare dagli altri né riuscendo lui stesso a voler bene. Alfieri legge Macchiavelli e viene stimolato a scrivere La congiura dei Pazzi e Della Tirannide scritta rapidamente e che non verrà modificata poiché l'opera corretta dalla saggezza dell'età non avrebbe avuto lo stesso spirito che aveva invece quando lui l'aveva stesa. Alfieri spiega il metodo con cui compone le tragedie: prima fa abbozzo di storia e personaggi poi fa la stesura dove decide cosa far dire ai personaggi raccontando la vera storia poi mette in poesia, verseggia ciò che ha scritto in prosa e infine fa una revisione eliminando e mutando. Stende Virginia e Oreste, a Firenze conosce la contessa D’Albany Luisa Stolberg che diventerà la donna della sua vita, inizia una relazione anche se lei è sposataamore vero finalmente, donna che non lo distoglie dallo scrivere ma anzi lo sprona. Anche mentre sta scrivendo la sua vita lei è con lui, si amano ancora. Nel 1778 Alfieri decide di lasciare patrimonio alla sorella e di mantenere solo una rendita annuale (così potrà restare a Firenze mentre essendo vassallo del re di Savoia avrebbe dovuto continuare a chiedere permessi per stare fuori oltre a dover chiedere permessi per stampare opere fuori a causa di leggi che vigevano al riguardo), vende inoltre tutto ciò che possiede a Torino, ricavandone un piccolo capitale che investe in Francia. Quando sta vendendo i suoi averi teme per alcuni giorni che il fido Elia, cui è stata affidata la vendita, lo abbia tradito fuggendo col denaro, ma così ovviamente non è. Rinuncia agli abiti militari che ammette sempre portato più per vanità che per fedeltà al re di Savoia vita dopo la rinuncia alle ricchezze è certamente meno lussuosa, ma libera e felice. In questo anno poco si dedica al lavoro di drammaturgo e poeta dia per queste faccende sia perché la donna parla francese, ma lei decide di imparare l’italiano per lui. Alfieri afferma che il fatto di essere cresciuto e vissuto in un ambiente poliglotta può essere visto in due modi: da una parte dà merito di essere comunque riuscito a elaborare opere degne di nota; dall'altro, se queste opere verranno criticate sarà un'ottima giustificazione. Si dedica alla scrittura quasi a tempo pieno, alla stesura di poemi e soprattutto di tragedie (tra cui la Congiura dei Pazzi e poi il Don Garzia) a cui alterna momenti in cui si dedica alla poesia per omaggiare la sua donna. Trova anche il tempo di elaborare un altro testo di tipo riflessivo, Del Principe e delle Lettere. Relazione con Luisa viene resa difficile dal fatto che la donna è ancora sposata, e quindi costretta a vivere comunque con il marito. Alfieri può vederla solo in alcune occasioni, perciò si dedica molto anche alla scrittura: stende varie opere e ne versifica altre, tra cui la Maria Stuarda. In questo periodo, però, il suo animo e consolato della presenza presso di lui di alcuni amici, tra cui Gori e soprattutto l'abate di Caluso, che come lui decide di trasferirsi a Firenze per potersi dedicare meglio ai suoi interessi. La storia di Luisa si complica ulteriormente: il marito infatti in un impeto di ira prova persino ad ucciderla, e questa potrebbe essere una grande occasione per giustificare la separazione della donna dal conte. Le regole del tempo a proposito, però, sono alquanto complicate: Luisa deve quindi chiudersi in convento, prima a Firenze e poi successivamente a Roma presso il cognato. Alfieri nel frattempo non può fare altro che attendere, sopportare e ovviamente scrivere. Decide quindi di intraprendere dei nuovi viaggi: prima da Gori, a Siena, poi di muoversi verso Napoli. La scelta di Napoli non è casuale, ma dettata dal fatto che per raggiungere la città bisogna necessariamente passare per Roma. A Roma egli può fare una breve visita alla sua amata, che però è sempre tenuta in convento Alfieri è triste per la sofferenza di lei, cerca di consolarla da dietro le sbarre (come faceva con la sorella chiusa in convento). Alfieri fa tutto il possibile per cercare di accelerare la sua liberazione. Prosegue poi fino a Napoli, città nella quale si dedica ancora una volta solo al mestiere di letterato. Le sue rendite sono infatti sufficienti perché non debba avere più preoccupazioni di tipo economico. A Roma porta a compimento 14 tragedie che inizialmente dovevano essere 12 ma poi aggiunge Merope e Saul (di ispirazione biblica). Racconta metodo per capire apprezzamento delle sue opere riunire una quindicina di persone, che possano in quanto a varietà riprodurre il vero pubblico di un teatro, recitare l'opera davanti a queste e osservarne i movimenti sulla sedia, si capisce infatti molto meglio di quanto non possono dire le bocche, che spesso danno lodi false e pretestuose. Il sedere al contrario è sincero, in quanto da esso si può vedere se lo spettatore è interessato all'opera, spaventato o emozionato nei momenti giusti, e si capisce quindi quando l'opera ha raggiunto il suo scopo. 1783 Riesce a mettere in scena una delle sue opere: recita fatta da un gruppo di nobili appassionati di teatro, con i quali l'autore mette sul palco l'Antigone, interpretandone lui stesso una parte. Grande successo e Alfieri decide quindi di mandarne in stampa quattro in totale, tra cui l'Antigone e il Filippo. Nello stesso periodo Alfieri incontra il Papa Pio VI: l'avversione dell'autore per il clero è già nota, ma in quel momento Alfieri si riduce addirittura promettere al Papa di dedicargli la prossima delle sue tragedie, potrebbe ingraziarsi il sommo pontefice e farne un suo difensore nella questione legata al divorzio della moglie, ma il Papa non può accettare opere di nessun autore e Luisa è comunque costretta a restare ancora presso il cognato. La situazione si sta facendo molto difficile in quanto la presenza di Alfieri vicino alla donna è ormai risaputa da tutti e mette in cattiva luce la famiglia d'Albany. Alfieri pur di non essere bandito da Roma lascia di sua sponte la città. Per ingannare il tempo compie dunque un viaggio nel nord della penisola. Visita ancora una volta il Gori a Siena e l'abate di Caluso a Vercelli, limitandosi a una brevissima incursione a Torino presso la sorella. Il suo viaggio prosegue poi portandolo a vedere le tombe del Petrarca e di Dante, nonché a visitare due letterati suoi contemporanei, ovvero il Parini a Milano e a Padova il Cesarotti, famoso per aver tradotto in italiano l' Ossian. Questo viaggio di Alfieri si conclude a Venezia. Torna in Toscana, scrive degli epigrammi ma li vede poco adatti alla lingua italiana. A Firenze per far giudicare le opere da lui pubblicate agli accademici, ma si accorge che essi non sanno dargli un giudizio concreto pur criticando i suoi scritti. Fa poi visita al Gori, e decide di pubblicare altre tragedie, per un totale di sei. Questa volta è Alfieri in persona ad occuparsi della revisione e della discussione con i censori, impicci di cui per la prima edizione si era occupato l'amico. Lo stress causato dal lavoro e dalla discussione con i revisori gli causa anche un ennesimo periodo di malattia. Nel frattempo l'autore riceve la critica positiva del Calsabigi. Decide poi di trascorrere l'inverno in Francia e Inghilterra, perché tanto non può rivedere Luisa. In Inghilterra acquista svariati cavalli, dedicandosi invece all'ozio per quanto riguarda la scrittura. Alla fine ne porta quattordici in Toscana, passando le Alpi e soggiornando alcune settimane a Torino, rivede alcuni dei suoi amici di gioventù; non tutti però lo accolgono amichevolmente, più che altro per invidia. Inoltre deve fare visita al re e al ministro, che gli offre di ritornare in Piemonte e fare carriera politico-diplomatica. Alfieri rifiuta, convinto ancora di continuare a scrivere. La stessa convinzione gli resta dopo aver assistito al nasconde però niente a Luisa, alla quale racconta tutta la storia. Durante il viaggio i due fanno ancora breve deviazione in Belgio, dove si trova la famiglia della donna. Ritornano a Parigi ma capiscono presto che è meglio fuggire al più presto dalla città, ormai governata dai rivoluzionari. Con somma fatica Alfieri riesce a procurarsi dei documenti di uscita dalla città; Il passaggio della dogana è però molto complicato, in quanto alcuni popolani cercano di entrare in possesso delle loro carrozze. Alla fine la fuga riesce, e Alfieri si trasferisce così nuovamente a Firenze. La madre muore all'età di settant'anni: nelle sue ultime lettere aveva raccomandato al figlio di fuggire al più presto dalla Francia. A Firenze Alfieri riprende con l'attività di traduzione, ma non ha più stimolo per scrivere altre opere. L'unico testo che scrive è una prosa satirica sulla Francia, e che diventa poi la prefazione del Misogallo. Nel frattempo Alfieri si dedica alla recitazione con alcuni amici aristocratici; la sua parte preferita è quella di Saul, che secondo lui è la parte più completa. Avendo ancora molto tempo libero Alfieri si dedica alla lettura dei grandi classici greci: Omero, Esiodo, e infine Pindaro, che però lo mette più in difficoltà. Nel frattempo, entro il 1797 è arrivato a scrivere ben sette satire e allunga ancora il Misogallo. Decide di dedicarsi allo studio della lingua greca, in modo da poter leggere in originale le opere letterarie. Inizialmente questo studio è molto difficoltoso, poi Alfieri si entusiasma per il greco e l'attività intellettuale lo stimola a scrivere. Arriva così a 17 satire, che mette in stampa assieme a molte rime. Alfieri si dedica a scrivere due versioni dell'Alceste. La prima è così classicheggiante che l'autore la legge riuscendo in parte a farla passare per una traduzione dell'originale greco. Vi è poi una nota politica: Alfieri infatti viene richiamato dall'ambasciatore francese in Piemonte, che vorrebbe farlo asservire al regno napoleonico in cambio della restituzione dei suoi libri. Non cede al tiranno, preferendo perdere la sua grande biblioteca. Alfieri prosegue delle sue giornate di studi. Ha ormai creato una vera e propria routine settimanale, distribuita tra studio dei classici greci e della Bibbia. Si dedica anche alla traduzione e soprattutto ad una approfondita lettura delle opere di Pindaro. Inoltre mette alla stampa le sue opere: il Misogallo, le rime ancora una volta riordinate, l'Abele. Nel frattempo i francesi sono scesi in Toscana che hanno già conquistato Lucca; prima che arrivino a Firenze nel marzo del 1799, Alfieri la compagna fuggono in una villa in campagna. Alfieri e la compagna restano lontani da Firenze fintanto che viene occupata dai francesi. Alfieri fa anche visita a Carlo Alberto IV, re di Savoia allontanato da Torino: egli infatti gli è rimasto affezionato pur avendo perso la cittadinanza sabauda. Nello stesso periodo Alfieri ha una gran brutta sorpresa: i manoscritti che aveva lasciato stanno per essere stampati senza il suo nome, nonostante i vari appelli da lui fatti per rientrarne in possesso. Alla seconda invasione di Firenze da parte dei francesi Alfieri si trova in città, ma essendo straniero riesce ad evitare di dover ospitare dei soldati in casa sua. Il comandante francese, però, essendo un appassionato di lettere prova incontrarlo: Alfieri preferisce passare per misantropo e non vederlo affatto. Si mette a progettare sei commedie, che stende nei mesi successivi. Nuovi problemi di salute per Alfieri (sempre la gotta), che si affretta a terminare le ultime commedie in modo da potersi dedicare poi solo allo studio del greco e del latino, così come la sua compagna studia il tedesco e l'inglese. Nel frattempo riceve la visita dell'abate di Caluso, che si complimenta con lui per gli ultimi lavori, e apprende la notizia che il suo unico nipote maschio è venuto a mancare, lasciando senza un erede maschio; nonostante Alfieri abbia ceduto tutti i suoi possedimenti alla sorella Giulia, ciò lo lascia deluso in un moto d'orgoglio aristocratico. Alfieri capisce che giunto a 55 anni non ha molto tempo a disposizione. Non ha più voglia di seguire la messa in stampa delle sue ultime opere, e preferisce perciò lasciare solo degli ordinati manoscritti. Sceglie inoltre di tenere la Vecchiaia di Cicerone come opera da tradurre se supererà i sessant'anni. Sappiamo però che ciò non avverrà mai. Alfieri inoltre si scusa per aver a volte raccontato degli episodi troppo frettolosamente, ma si giustifica spiegando che ciò è accaduto perché era sempre molto occupato nelle altre opere letterarie. LETTERA DELL'ABATE DI CALUSO La lettera viene messa in fondo all'opera per completarla con il racconto della morte dell'autore. Caluso scrive alla contessa D'Albany e allega un racconto della rapida morte di Alfieri, che in pochi giorni perde conoscenza e viene stremato probabilmente dalla gotta. Segue ovviamente la lode all'autore del quale restano fortunatamente le opere, e viene citato Canova, che sta già preparando il monumento funebre per la chiesa di Santa Croce a Firenze. CONSIDERAZIONI PERSONALI Alfieri come Dandy? Vittorio Alfieri nella Vita manifesta dei tratti tipici di un dandy: ad esempio quando durante la giovinezza mostra la sua passione per gli abiti cercando di essere sempre elegante per non sfigurare con i compagni di accademia mettendo così in mostra la sua vanità. Ammette inoltre che dopo aver lasciato l’esercito da molti anni continua ad indossare l’uniforme perché lo rende più snello e avvenente nella persona. Inoltre quando nel 1784 va a Londra acquista 14 puledri per soddisfare la sua passione da cavallerizzo (un cavallo per ogni tragedia scritta fino a quel momento). Altro tratto che lo avvicina al dandy è l’elogio che lui fa dell’individualità che comprende un disprezzo verso la massadisprezzo manifesto soprattutto nelle pagine dove descrive la rivoluzione francese. Alfieri come amante Nel corso della sua Vita Alfieri racconta di come 5 esperienze d’amore lo abbiano segnato: innamoramento giovanile per la cognata di alcuni compagni di cavalcate, Cristina Emerentia Leiwe van Aduard (sposata, lui tenta suicidio), Penelope Pitt (Londra duello delusione addebito divorzio) Gabriella Falletti (più vecchia di lui, ossessionato ma amore non sano, scappa da lei poi ritorna poi la lascia), Contessa D’Albany Luisa Stolberg (amore della sua vita). Alfieri e il suo carattere Fin da bambino si dimostra arrogante verso gli adulti e verso l’accademia facendo continue richieste di voler uscire da solo e di voler cambiare alloggio, malinconico (da bambino già tenta il suicidio), irrequieto, voglia di viaggiare, incontentabile (le sue aspettative vengono sempre deluse soprattutto nei viaggi che fa: si aspetta di vedere città e luoghi meravigliosi ma spesso resta deluso capendo che probabilmente il suo desiderio non era tanto raggiungere una determinata meta ma quello dello stare sempre in movimento), appassionato, irascibile (episodio del servitore Elia e della Sofonisba gettata nel fuoco), di salute cagionevole per tutta la vita dovette combattere con numerosi disturbi e malattie come i problemi alla cute che lo costrinsero a tagliarsi i capelli e a mettere una parrucca, dolori di viscere, gotta che lo porterà alla morte (malanni nella prima fase della vita dovuti al suo fisico fragile, successivamente dovuti anche ai dispiaceri amorosi), determinato (infatti cerca sempre di ottenere ciò che vuole sia con le donne di cui si innamora andando incontro a dei rischi ma fregandosene, sia nella sua volontà di viaggiare inizialmente attraverso sotterfugi con i familiari, con il re fino a rinunciare al suo patrimonio per sentirsi libero da ogni legame, sia nel voler da adulto rimediare ai suoi studi fatti male cercando di recuperare il latino, traducendo opere e volendo imparare a tutti i costi il toscano/italiano purificandosi dal francese e dal piemontese al fine di scrivere al meglio i suoi lavori). Alfieri e la rivoluzione francese Alfieri è a Parigi nel 1789 durante i moti rivoluzionari, dedica un’ode a Parigi sbastigliato pensando prima al buon esito del tumulto e poi inorridito dal vedere come la massa poco intelligente impazzita volesse ottenere la libertà attaccando la classe dei nobili. Alfieri non capisce subito cosa sta accadendo: di fatto la sua maggiore preoccupazione dopo la convocazione degli stati generali era che i tipografi perdessero tempo a leggere gazzette e fare leggi invece di occuparsi della pubblicazione delle sue opere. Nel 1792 decide di fuggire da Parigi per stabilirsi a Firenze: il racconto della fuga è turbolento, la massa vorrebbe linciarli e giustiziarli vedendo fuggire dei ricchi riconosciuti dalla grandezza delle carrozze e dall’abbondanza di bauli e servitùAlfieri mostra documenti per dimostrare di essere italiano e non francese e di poter così uscire dalla città appena in tempo visto che certi galantuomini suoi conoscenti furono poco tempo dopo trucidati.
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