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Riassunto della "Vita" di Vittorio Alfieri, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Riassunto della "Vita" di Vittorio Alfieri per capitoli

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 04/06/2024

luca-bille
luca-bille 🇮🇹

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Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto della "Vita" di Vittorio Alfieri e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Introduzione Alfieri spiega le ragioni per la scrittura dell’opera, che inizia a stendere all’età di 41 anni (età ottimale dopo i 40 anni, come dice anche Cellini). Dichiara di non voler addurre scuse di falsa modestia, e che ogni biografia è scritta anche per un sentimento amor proprio (ragione narcisistica), qualità della quale sono forniti tutti gli uomini e in particolare poeti tragici ed artisti in generale. Vi sono però alcuni elementi che mirano a guadagnare la benevolenza dell’interlocutore come, per esempio, quando vengono nominati i “pochi estimatori della sua opera”. Alfieri dice di scrivere per loro (parla dell’uomo in sé -> ragione conoscitiva) in quanto sa che le sue opere prima o poi verranno precedute da una biografia, di cui preferisce essere direttamente l’autore, cosicché nessuno scriverà dopo falsità o parlerà di lui senza magari nemmeno conoscerlo (ragione apologetica). Inoltre, ammette che potrebbe omettere degli eventi, ma assicura che non scriverà falsità (dice solo il vero, magari non tutto, ma nulla di falso), cosa che invece potrebbe accadere se l’autore della sua biografia fosse uno scrittore al soldo degli editori. La biografia sarà organizzata in cinque parti, corrispondenti alle cinque fasi della vita: puerizia, adolescenza, giovinezza, virilità, vecchiaia (parte mai realizzata), sulle orme delle “Confessioni” di Rousseau. Al momento della stesura dell’introduzione, Alfieri dichiara di essere occupato nella scrittura della quarta epoca, e di aver notato di scrivere meno di getto di quanto accadesse nelle sezioni precedenti. Si scusa quindi con i lettori nel caso in cui trovino che si sta dilungando troppo nei dettagli. Scopo della biografia è lo studio di un uomo, e l’autobiografia è perciò il caso più lodevole di biografia perché l’autore non può conoscere nessuno meglio di sé stesso. L’introduzione è chiusa da una dichiarazione stilistica: la lingua della scrittura sarà semplice, di livello medio con alternanza tra parti in stile più alto e altre di stile quasi colloquiale, in quanto l’argomento è personale e istintivo. Capitolo 1, Epoca I Alfieri racconta brevemente della sua famiglia: suo padre Antonio Alfieri era un nobile di Asti che non aveva mai lavorato e era in età avanzata sposa la madre di Vittorio. Questi rimane orfano di padre un anno dopo la sua nascita. La madre è nobile di origine francese, Monica Maillard di Tournon, che aveva avuto figli da un primo marito, il marchese di Cacherano, ed era poi rimasta vedova. Dopo il secondo matrimonio col padre di Alfieri, quando anch’esso muore, si risposa terza con Giacinto Alfieri, conte di Magliano, membro di un altro ramo della famiglia che si ritroverà così molto ricco. Alfieri ebbe anche una sorella di sangue, Giulia, alla quale era molto legato, tanto che le donerà più tardi quasi tutti i suoi beni. Alfieri riflette sulla fortuna di essere nato da genitori nobili, agiati e onesti: nobili, così da poter conoscere e criticare davvero la nobiltà, agiati, così da servire solo la verità e non avere padroni, essere libero e puro, e onesti, per non vergognarsi di chi è e delle sue origini. Se non fosse stato per questi tre fondamentali aspetti, dice Alfieri, probabilmente oggi le sue opere e la sua importanza come autore non sarebbero come sono. Capitolo 2, Epoca I Alfieri inizia a parlare di alcuni ricordi d’infanzia. Parte con un ricordo dello zio che gli dà dei confetti e di cui lui si ricorda solo le scarpe squadrate (ricordo simile alla madeleine di Proust). Proprio la vista di scarpe simili a quella dello zio fa tornare in mente a Vittorio il sapore dei confetti. Il secondo ricordo dell’infanzia è legato a una forte malattia che gli ha fatto quasi desiderare la morte, nonostante non sapesse cosa fosse (primo segno di una vita tormentata, a causa anche della morte del fratello minore). Vi è poi la riflessione sulla sorella Giulia, la sorella prediletta, con la quale Alfieri vive in casa del patrigno. Uno dei ricordi più brutti dell’infanzia è quindi la separazione da Giulia (quando ha 7 anni), che viene mandata a studiare in un convento di Asti. L’autore inoltre giudica la sua istruzione privata col sacerdote Don Ivaldi, uomo piuttosto ignorante e che anche i suoi familiari non erano persone colte in quanto secondo loro “un nobile non deve diventare dottore”, ma Alfieri ha sempre avuto una propensione verso lo studio e l’introspezione, come fuga da una vita di solitudine e malinconia. Capitolo 3, Epoca I Alfieri descrive alcuni piccoli avvenimenti importanti, perché caratteristici e decisivi per la formazione del suo carattere. Dato il dolore per la separazione dalla sorella Giulia, poco a poco la visita sempre meno spesso e, al contrario, visita spesso la vicina chiesa del Carmine per sentirvi la musica liturgica e la messa cantata e vi nasce un affetto innocente verso i novizi. Un altro avvenimento è il tentato suicidio a 8 anni mangiando dell’erba del giardino che aveva pensato fosse cicuta (Socrate), anche se si accorge di non sapere neanche il significato della morte. Risputa quest’erba e la madre si accorge a tavola della sua condizione mettendolo in castigo. Alfieri afferma che essere lasciato solo per punizione ha favorito lo svilupparsi del suo carattere malinconico. Capitolo 4, Epoca I Si ha lo sviluppo dell’indole di Alfieri in questo passaggio e si descrive da piccolo come loquace, vivace, vergognoso, taciturno e più incline all’amore che alla forza. Si ricorda come terrorizzato dai castighi e ne ricorda uno in particolare dove veniva costretto a stare in casa e addirittura a uscire con la reticella da notte in testa (questa punizione lo fece star male dal dolore e invoca il lettore dicendogli che gli uomini, più o meno, sono sempre bambini perpetui). La prima volta fu portato nella chiesa dei carmelitani dove si vergogna di essere visto dai novizi, la seconda è trascinato alla chiesa di San Martino che è molto più affollata e infatti Alfieri chiude gli occhi per tutta la durata della funzione. In entrambi i casi non ricorda precisamente il motivo della punizione ma solo la profonda sofferenza che gli ha causato. Un altro avvenimento è l’incontro con la nonna materna di Torino, donna nobile e austera che insiste a farsi dire quale regalo desideri il nipote, perché lo vede triste e vuole aiutarlo a tirarsi su, ma Alfieri, vergognandosi, preferisce non risponderle e dice “niente”, così viene lasciato chiuso in camera nella sua amata solitudine. Successivamente si scopre che aveva rubato alla nonna un ventaglio per regalarlo alla sorella. Alfieri viene punito gravemente perché, come dice la madre e come conviene lui, chi ha poi delle proprietà come lui (in quanto nobile) si corregge automaticamente al rispetto della proprietà altrui e non ruba più. C'è poi il racconto della prima confessione, fatta con il confessore della madre, padre Angelo. Alfieri si sente in soggezione e dice che in pratica è il sacerdote a guidarlo nella confessione e a dirgli poi che per essere assolto come penitenza deve pentirsi pubblicamente davanti alla madre, cosa che lui, nonostante le insistenze di lei a pranzo, non riesce a fare. Alfieri spiega poi che solo più avanti negli anni ha capito che il prete aveva tradito il segreto confessionale rivelando alla madre la punizione. Capitolo 5, Epoca I Ultima storia puerile, tratta di un fatto avvenuto mentre in casa sua si trova anche il fratello maggiore, figlio di primo letto di sua madre. Alfieri racconta inizialmente di avere sentimenti discordanti verso il fratellastro, poiché da una parte si tratta di invidia verso le capacità del fratello (è più libero, amato e con soldi suoi) e dall'altra di un sentimento di competizione con lui che lo spinge a migliorare. C'è quindi una prima riflessione sul fatto che spesso due sentimenti umani, l'uno negativo e l'altro positivo, possono partire dalla stessa situazione iniziale. Un pomeriggio, mentre i due fratelli stanno giocando a fare i soldati, Alfieri si procura una cicatrice sopra l’occhio. Costretto per alcuni giorni a portare una fasciatura, Alfieri ricorda di aver sempre affermato, vantandosi, di essersi ferito facendo degli esercizi militari. L'anno dopo il fratello maggiore si ammala e muore poco dopo, nello stesso tempo Alfieri, per decisione dello zio paterno che è anche suo tutore economico, viene mandato a Torino in accademia. Egli ricorda di essere in parte entusiasta di questa partenza, ma di aver molto sofferto quando è stato il momento di doversi veramente separare dalla madre, dal maestro e dalla sua vita precedente. La sezione del libro dedicata all'infanzia si chiude con una riflessione sul fatto che chi la trovasse inutile si dovrebbe ricordare che ogni adulto è la continuazione di un bambino e per questo la sua vita è influenzata dalla sua infanzia. Durante la villeggiatura Alfieri sperimenta per la prima volta il sentimento d’amore per una cognata del marito di sua sorella Giulia. Questa sensazione si esternava attraverso un forte senso di malinconia e la forte volontà di stare vicino alla donna, ma fuggirle per non sapere cosa dirle (sentimenti petrarcheschi). Nel 1765 Alfieri viaggia a Genova per la prima volta e rimane estasiato dalla vista del mare e se solo avesse saputo scrivere poesia avrebbe certamente composto dei versi grazie all’ispirazione che gli suscitava. Dopo il viaggio Alfieri sviluppa un forte sentimento di voglia di viaggiare e scoprire posti nuovi . Al suo ritorno, nel 1766, si iscrive alla cavalleria del reggimento provinciale, ma l’impiego militare non gli piacque. Con un raggiro riesce a farsi dare la licenza per viaggiare a Napoli e nonostante la buona riuscita del piano prova vergogna per il suo gesto. Termina così la seconda epoca di infermità, ozio e ignoranza. Capitolo 1, Epoca III Nell’ottobre del 1766 Alfieri parte per il suo primo viaggio con il suo nuovo servitore Elia, uomo ingegnoso che lo accompagnerà audacemente per tutto il resto dell’opera. Si ferma inizialmente a Milano ma molti luoghi degni non li visita e non se ne interessa (non si interessa nemmeno a un manoscritto autografo di Petrarca nella biblioteca ambrosiana). In questo viaggio parla solo il francese. Giunge poi a Bologna ma non gli piacque moltissimo, si sposta poi a Firenze ma non riesce ad apprezzare le opere d’arte se non qualche scultura o opera architettonica, tra cui la tomba di Michelangelo in Santa Croce (dove anche lui sarà poi sepolto). In questo periodo inizia a praticare l’inglese, mentre con sua vergogna non riesce ad applicarsi per imparare il toscano vivo. Altre città toscane non lo impressionarono molto tranne Livorno per via del mare. Giunge poi a Siena e qui si sente parzialmente rinato. Viaggia poi per Roma e lo colpirà San Pietro più di tutto il resto. Capitolo 2, Epoca III Inizia il viaggio verso Napoli, durante il quale racconta un episodio in cui fa spazio alla valorizzazione della figura di Elia, uomo coraggioso e ammirevole per il suo temperamento. Alfieri apprezzò l’aria di festa di Napoli, meno alcuni quartieri. Entrò a molte feste private e assistette ad alcune opere buffe a teatro che apprezzò, ma gli destarono malinconia. Conosce re Ferdinando IV e lo trova simile a tutti gli altri re che ha conosciuto. Successivamente Alfieri ottiene l’approvazione di viaggiare da solo senza supervisori, ma la sua vita è ancora piena di malinconia e di assenza di un desiderio particolare. Non studiava e non aveva grandi interessi e dice che ciò che gli mancava era il degno amore (raggiungere la consapevolezza di essere un autore tragico). Ritornò da solo a Roma per godersi un viaggio senza nessun altro. Capitolo 3, Epoca III A roma era ospitato dal conte di Riviera, uomo vecchio e saggio che dà molti consigli ad Alfieri, ma questi si sente in soggezione per non conoscere dei versi latini dell’”Eneide”. Conobbe il papa Clemente XIII e ottenne il permesso di un nuovo viaggio in Europa, nonostante non gli fossero stati mandati secondo lui abbastanza soldi e a causa di ciò prova un forte senso di avarizia tanto da non pagare nemmeno il suo servo Elia. Parte inizialmente verso Venezia fermandosi di nuovo a Bologna, ma non apprezzandola, poi va a Ferrara senza ricordarsi che era la città di Ariosto. Arriva poi a Venezia e gli piace molto il diletto di quella città e anche la lingua, per via dell’influenza delle opere di Goldoni. Tutto però era sempre annichilito dalla noia, dalla solitudine e dalla malinconia, ma soprattutto dalla passività e dall’insofferenza dello stare. Capitolo 4, Epoca III Alfieri riparte da Venezia e giunge a Padova, ma non gli piacque e non si ricordò nemmeno di andare a visitare Arquà. Torna a Genova e conosce il cavaliere Carlo Negroni che gli parla di Parigi. Giunto in Francia, nonostante gli sembri tutto peggio che in Italia, rimane dilettato da queste novità. Viaggia a Marsiglia e apprezza molto gli ambienti e le donne della zona e inizia a partecipare ad alcuni incontri, ma non ci impara nulla. Del teatro apprezza di più le commedie alle tragedie francesi, nonostante fosse più incline al pianto, poiché nelle tragedie c’erano troppi personaggi secondari e troppe sottotrame e nemmeno il verso francese gli piaceva (nelle sue tragedie tutto ciò sarà infatti abbandonato); uniche opere che apprezzerà saranno l’”Alzira”, il “Maometto” e la “Fedra”. A Marsiglia apprezza di nuovo il mare e certamente se avesse saputo avrebbe avuto l’ispirazione per scrivere delle poesie. Parte poi per Parigi senza passare suo malgrado da Avignone o Valchiusa (Petrarca) e dopo una breve sosta a Lione arriva finalmente a Parigi. Capitolo 5, Epoca III L’arrivo a Parigi in un clima piovoso e freddo non viene apprezzato da Alfieri, anche a causa dello sporco e fetente ambiente cittadino. Le sue illusioni vennero disingannate a causa del sudiciume, della povertà di alcuni quartieri e della vandalica struttura di alcuni teatri. Gli dispiacquero anche le donne eccessivamente truccate. Uniche cose che apprezza sono alcuni eleganti giardini e la facciata del Louvre. Il maltempo collaborava al malumore di Alfieri e unico passatempo era il teatro e le visite a vari paesaggi. A Fontainebleau conosce l’ambasciatore e in questo periodo inizia a giocare d’azzardo, ma la noia è ormai sopraggiunta e vuole partire per Londra. Prima però visita la corte di Versailles e vede il re Luigi XV, il quale non mostra alcun segno di interesse verso i suoi ospiti (critica alla nobiltà) e allo stesso modo Alfieri non apprezza questo ambiente. Capitolo 6, Epoca III Alfieri va verso l’Inghilterra col nipote dell’ambasciatore di Piemonte. Il tempo è migliorato e Alfieri apprezza molto di più l’Inghilterra e Londra in particolare, per gli ambienti, le donne e la vita in generale. Alfieri passa il tempo inizialmente tra cene e feste e poi si diverte a cavalcare. Visita varie regioni del Paese e le apprezza molto tanto che pensa di andarci a vivere. Partirà poi per l’Olanda che gli piacerà ma non quanto l’Inghilterra. Nel soggiorno all’Haja si innamora di una signorina e soprattutto conosce un suo importante amico, il ministro D’Acunha, uomo ingegnoso e di ferreo carattere col quale Alfieri trova una certa affinità e al quale è molto grato per aver contribuito ad accrescere alla sua passione letteraria regalandogli dei libri di Machiavelli. Alfieri soffre quando deve separarsi per la prima volta dall’amata e cerca di stare da solo fingendosi malato, ma il suo servo Elia e l’amico D’Acunha cercano di risollevarlo. Quando Alfieri si riprende decide di ripartire per l’Italia nonostante la sofferenza per la separazione dall’amico. Capitolo 7, Epoca III Alfieri torna a Torino con la sorella e con una salute migliorata dopo questo viaggio. Compra numerosi libri tra cui alcune opere di Rousseau e per sopperire alla malinconia dopo il viaggio si dedica alla lettura. Legge anche Voltaire e Montesquieu e soprattutto si appassiona a un libro fondamentale per l’ispirazione alla sua autobiografia, ossia le “Vite” di Plutarco. Il cognato prova a mediare per trovare una moglie ad Alfieri ma alla fine il matrimonio salta nonostante il possibile arricchimento che ne sarebbe derivato, ma Alfieri si sente fortunato perché se si fosse sposato avrebbe eliminato la possibilità di un matrimonio con le muse tragiche. Dopo questo evento Alfieri progetta un secondo viaggio da affrontare. Capitolo 8, Epoca III Ottenuto il permesso del re per partire, Alfieri parte dilettandosi nella lettura dei “Saggi” di Montaigne e giunge a Vienna, che gli ricorda Torino e gli piace. In questo soggiorno rifiuta di partecipare ad alcuni incontri letterari su Metastasio organizzati dal conte di Canale perché era troppo ingolfato col francese. In questo viaggio si forma il carattere riflessivo e malinconico di Alfieri. Prosegue il viaggio per Praga e poi Berlino, dove viene presentato al re Federico II, ma disprezza questi ambienti reali e militari. Viaggia poi per la Danimarca e apprezza molto Copenhagen per la somiglianza con l’Olanda e la diversità con gli ambienti prussiani. In quel soggiorno pratica un po’ di italiano col ministro di Napoli e apprezza la pronuncia toscana. Legge i “Dialoghi” dell’Aretino, Plutarco e Montaigne. Si diverte ad andare sulla slitta e parte poi per la Svezia e arriva a Stoccolma, di cui apprezza moltissimo la maestosità della natura tipicamente nordica (mentalità pre-romantica). Capitolo 9, Epoca III Alfieri vuole viaggiare verso la Russia, ma trova il mare parzialmente ghiacciato e in prima persona interviene coi marinai per cercare di rompere i massi di ghiaccio (si identifica come eroe della scena che troneggia sul resto). Viaggia verso Pietroburgo ma non apprezza praticamente per nulla quel Paese e non vuole conoscere la sovrana Caterina II, soprattutto per il suo disprezzo contro ogni forma di tirannide. Prosegue i suoi viaggi nell’est Europa e poi torna a Berlino, ma tutti questi luoghi e questi ambienti gli fanno desiderare di tornare in Inghilterra. Durante questo viaggio compra due cavalli e passava il suo tempo cavalcando per sconfiggere la solitudine. Riparte poi per l’Olanda per rivedere l’amico D’Acunha e infine si dirige di nuovo in Inghilterra dove ritrova tutti gli amici incontrati nel primo viaggio. Capitolo 10, Epoca III Alfieri si innamora di una donna che aveva conosciuto nel viaggio precedente, Penelope Pitt, moglie del visconte Edward Ligonier. Alfieri aveva spesso occasioni per incontrarla e spesso lo faceva di nascosto alle spalle del marito, col rischio di essere scoperti. La va spesso a trovare in una villa vicino a Londra di notte. Prova un sentimento molto forte d’amore, un delirio inesprimibile, e non poteva sopportare di staccarsi da lei. Durante una cavalcata Alfieri si rompe la spalla sinistra ed è costretto a letto, ma è disperato per non poter rivedere la sua amata prima che riparta. Decide quindi di alzarsi ed andare a visitarla nonostante le sue condizioni e senza curarsi di eventuali rischi. Una sera si trova a teatro e viene chiamato dal marito della donna che aveva scoperto l’inganno e lo sfida a duello, nonostante non fosse un bravo schermidore e malgrado l’infortunio. Egli probabilmente lo avrebbe potuto uccidere ma non lo fa e si limita solo a colpirlo al braccio destro, per poi ritenersi soddisfatto. Alfieri si rifugia nella casa della cognata dell’amata e qui ci trova proprio la sua donna. Questa gli dice che già da tempo il marito aveva dubitato della loro relazione e per questo aveva avuto la conferma da una spia e progetta dunque il divorzio. Alla fine Alfieri torna a casa, accolto come un miracolo per la Capitolo 2, Epoca IV Alfieri vuole riprendere gli studi del latino anche per poter leggere alcune tragedie di Seneca. Nota che il suo livello era notevolmente calato e dunque parte traducendo Orazio. Continua la lettura dei poeti italiani e riesce finalmente a mettere in versi il “FIlippo”. Non ritenendo buona quella versificazione, decide di viaggiare verso la Toscana per sperimentare in prima persona la lingua. Conobbe vari letterati del suo tempo e scrive un diario in cui parla delle sue giornate. In quei mesi stende in prosa italiana l’”Antigone” e verseggia il “Polinice”, ma ancora quei versi erano lunghi e languidi. Nonostante i complimenti di alcuni professori di Pisa, cerca di imparare da loro solo ciò che non va fatto e dall’esercizio ciò che va fatto. Traduce ancora Orazio e legge le tragedie di Seneca. Dice Alfieri che avendo letto molto, ha rubato tanto a queste opere e si è ispirato ad esse per le sue tragedie. Decide poi di ideare l’”Agamennone” e l’”Oreste”. A Firenze pratica la lingua d’uso e riverseggia il "Filippo". Vuole ideare inoltre una tragedia sullo scandalo tra Don Garzia e Cosimo I. Capitolo 3, Epoca IV Torna successivamente a Torino e prosegue gli studi e traduce Sallustio. Prosegue le attività sotto i consigli dell’amico Tommaso Valperga di Caluso e finalmente riesce a scrivere un buon sonetto sul ratto di Ganimede, ispirato a dei versi del Cassiani, e da lì ancora altri. Nel 1777 verseggia l’”Antigone”, ma non rimane molto soddisfatto. Decide quindi di intraprendere un nuovo soggiorno in Toscana. Capitolo 4, Epoca IV Durante il suo viaggio soggiorna a Sarzana e legge Tito Livio. Spiega poi i tre respiri, ossia i tre momenti, che danno vita alle tragedie: 1) ideare la tragedia, distribuendo i personaggi nelle scene, 2) stendere i dialoghi delle varie scene in prosa, 3) verseggiare la prosa e ridurre in poesia i dialoghi per renderli leggibili; dopodiché passa a un lavoro di limatura. Da questo metodo scaturiscono delle tragedie che sembrano nate di getto e in modo naturale, ben amalgamate e con atti connessi correttamente. Prosegue poi il racconto del suo viaggio verso Pisa e poi Siena, dove conosce l’amico Francesco Gori Gandellini, uomo giudizioso e di cultura, amico con cui sfoga i suoi dolori e condivide le passioni. Grazie al suo sostegno pone in tragedia la congiura de’ Pazzi, ispirandosi alla fonte di Machiavelli. Scrive i due libri della “Tirannide”. Capitolo 5, Epoca IV A Siena Alfieri stende l’”Agamennone”, l’”Oreste” e la “Virginia”. L’”Oreste”, dice Alfieri, era nato dall’ispirazione dell’”Agamennone” di Seneca, ma qualche tempo dopo l’ideazione Alfieri scopre una tragedia di Voltaire che si chiama proprio “Oreste tragedia” e si sente ostacolato da un rivale moderno. Vuole leggere la sua tragedia per riuscire a fare di meglio, ma l’amico Gori non gliela presta e lo sprona a fare di meglio senza leggere quella, creando però un’opera del tutto sua. Continua poi gli studi dei classici latini e si trasferisce a Firenze. Qui ritrova Luisa Stolberg, contessa d’Albany, moglie di un pretendente al trono inglese, donna distinta e bellissima che aveva conosciuto l’estate prima, senza mai però presentarsi. Alfieri si innamora di lei e la passione amorosa si mischia perfettamente con la passione d’intelletto, creando un sentimento profondo e durevole (la donna non è stavolta ostacolo al lavoro letterario, bensì ispirazione, sprono e punto di riferimento). Quest'ultimo di Alfieri è finalmente il degno amore, la donna con cui rimarrà per tutta la vita e a cui si legherà indissolubilmente. Capitolo 6, Epoca IV Alfieri inizia a lavorare a Firenze, scrive la “Tirannide” e legge Tacito e Machiavelli. Grazie alla nuova linfa che gli ha donato la sua amata. Sentendosi oppresso dai vincoli della servitù derivanti dalle sue origini e dalla necessità, in quanto nobile, di dover chiedere la licenza per spostarsi, Alfieri decide di “spiemontizzarsi”. Non voleva più attuare raggiri o sottigliezze clandestine, per cui dona gran parte dei suoi averi (⅔ dei suoi possedimenti) alla sorella naturale Giulia e al marito conte di Cumiana. Anche questa operazione gli costò molto tempo ma alla fine riesce a ottenere una prestazione pecuniaria annuale per sé. L’affare si concluse solo alla fine del 1778 e Alfieri dice tutto a Luisa. Alfieri incarica Elia di vendere anche tutti i mobili e gli argenti che aveva a Torino, guadagnando ulteriore denaro. Congeda la maggior parte dei suoi servi, vende alcuni dei suoi cavalli e molti dei suoi vestiti e si dedica ad una vita più sobria. Spendeva molti dei suoi soldi per i libri italiani e latini. Purtroppo in quell’anno non praticò molto italiano per via degli impegni economici e poiché Luisa non parlava italiano ma francese, ma alla fine riuscì a imparare perfettamente il toscano e a usarlo per scrivere le sue opere. Capitolo 7, Epoca IV Nel 1778 Alfieri verseggia la “Virginia” e l’”Agamennone” nonostante una lunga malattia e convalescenza. Scrisse un poemetto in ottava rima sull’uccisione di Alessandro de’ Medici, stende la “Tragedia de’ Pazzi” e il “Don Garzia” e inizia a ideare i tre libri “Del principe e delle lettere”. Su suggerimento di Luisa ideò la “Maria Stuarda” e poi verseggia l’”Oreste”. Quell’anno fu calmo e produttivo per Alfieri, ma era preoccupato a causa delle angustie fra Luisa e il marito che la vessava e le stava addosso. Nel 1779 stende molte delle tragedie che aveva ideato e ritrova a Firenze l’amico Francesco Gori e l’abate di Caluso, dal quale impara molte cose grazie alle loro erudite conversazioni. Nel 1780 verseggia gran parte delle opere che aveva steso e riverseggia nuovamente il “Filippo”, ma ancora senza soddisfazione. Capitolo 8, Epoca IV Nel 1780 Alfieri vuole aiutare in tutti i modi la sua amata a scampare dalle continue vessazioni del marito senza però compromettere la di lei onestà e integrità. Luisa entrò momentaneamente in un monastero di Firenze per via del marito e poi in uno di Roma per via di suo cognato. Alfieri si ritrova dunque da solo a Firenze senza poterla seguire a Roma, ma standoci male decide di partire per Napoli. Visita prima l’amico Gori a Siena e poi prosegue verso Roma, dove vede Luisa senza poterla aiutare, ma almeno sta meglio che a Firenze ed è più libera. In quei giorni a Roma fa di tutto per poter stare con lei. Parte poi per Napoli, ma la mancanza di lei non viene compensata nemmeno dai libri e dalla scrittura. Passa il tempo cavalcando e ogni tanto lavorando ai suoi scritti. Dopo alcuni mesi Luisa venne fatta uscire dal monastero e condotta in una casa del cognato fuori città e Alfieri si reca dunque a Roma per poterle stare vicino in qualunque modo. Capitolo 9, Epoca IV Visitare ogni sera la donna amata aveva ridato le energie ad Alfieri per continuare gli studi. Riverseggia il “Polinice” e molte altre opere che aveva steso e di nuovo verseggia il “Filippo”. Compone le prime quattro odi dell’”America libera”. Nel 1782 inizia a progettare di completare tutte le tragedie senza superare le 12. In quell’anno Alfieri rilegge la “Merope” del Maffei e si sente sdegnato a pensare che in Italia quella è ritenuta una delle migliori tragedie, per cui progetta di crearne una omonima per conto suo ma più ben fatta e tra i tre respiri non fa passare tanto tempo, diversamente dal suo solito. Aveva nel frattempo iniziato a leggere la Bibbia e da ciò nasce l’idea del “Saul”, che ideò, stese e verseggiò in poco tempo. Dovette tenere a freno la facoltà inventrice perché quell’anno altrimenti avrebbe scritto ancora e ancora, anzi essendo arrivato a 14 tragedia aveva pensato di non verseggiare nemmeno le ultime due, ma alla fine dovette sottostare al suo furore creativo. Alla fine dell’anno corresse e ricopiò le tragedie e si prende un periodo di riposo. Inizia a leggere le sue tragedie in alcune società letterarie, dando più peso al biasimo che alle lodi per cercare di trarne vantaggio. Ottenne dunque varie approvazioni ma anche segni di biasimo, ma pure ne guadagnò alcuni consigli sia da uomini letterati che da donne e da tutto ciò cercò di trarre vantaggio. Capitolo 10, Epoca IV Nel 1782 Alfieri con una compagnia teatrale recita l’”Antigone” nel teatro privato dell’ambasciatore di Spagna per vedere il risultato di una sua opera rappresentata ed anche Alfieri si vide costretto ad interpretare una parte. La recita ottenne successo e per questo Alfieri vuole progettare la stampa delle sue tragedie e chiede all’amico Gori a Siena di occuparsene. Fece stampare solo le prime quattro tragedie. In quei mesi Alfieri stava a Roma col cuore palpitante, ma finalmente nel 1783 ottiene le sue tragedie stampate e inizia a regalarle nelle case di Roma. Le presentò anche a Papa Pio VI che lo lodò e gli propone di farsi dedicare il “Saul”, ma egli rifiuta (Alfieri si vergogna di essersi da solo sottomesso al Papa, che riteneva uomo inferiore a lui d’ingegno). A Firenze si ammala il marito di Luisa e fu detto al cognato di farla allontanare dalle assidue visite di Alfieri, facendo girare la voce in tutta Roma fino al Papa. Alfieri decide dunque spontaneamente di partire da Roma e allontanarsi dall’amata tra i dolori della separazione, ma ciò rovinò per molto tempo i suoi studi. Andò a Siena dall’amico da cui ottenne conforto e durante questo periodo scrisse molte lettere, tralasciando qualunque altra occupazione letteraria. Successivamente si recò a Venezia e il viaggio gli giovò alla salute. Visita la tomba di Dante a Ravenna e a Venezia prosegue la scrittura dell’”America libera”. Visita Arquà e a Padova conosce il Cesarotti, a Ferrara visita la tomba di Ariosto. Va poi a Milano e trova l’abate di Caluso e poi va a visitare la sorella. A Milano conosce Parini dal quale ottenne molti consigli. Capitolo 11, Epoca IV Alfieri torna in Toscana dalla pittoresca via modenese e si dedica alla scrittura di alcuni epigrammi. Da Firenze torna poi a Siena dove fa stampare altre sei tragedie, venendo a conoscenza delle difficoltà dell’ambito tipografico ed editoriale. Progetta dunque di non aggiungere ad esse le altre tragedie a cui stava lavorando. Risponde a una lettera del Calzabigi in cui parla delle sue prime quattro tragedie per sfruttare a suo vantaggio le correzioni che gli aveva fatto notare. Sentendosi solo senza la sua amata progetta un viaggio in Francia ed Inghilterra, durante il quale scrive alcune rime e legge. Capitolo 12, Epoca IV Da Siena parte e si separa con l’amico Gori a Genova. Visita Avignone e Valchiusa in Francia e compone alcuni sonetti. Arriva a Parigi che continua a non piacergli e dunque parte per l’Inghilterra. Per la prima volta provò il pallone volante e soprattutto acquista alcuni nuovi cavalli, sua grande passione. A Londra non si dedica praticamente mai alle tragedie e Capitolo 21, Epoca IV Nel 1791 Alfieri e Luisa partono per l’Inghilterra, mentre in Francia la situazione sta degenerando e i due iniziano a percepire problemi in ambito pecuniario. Per questo si vedono costretti a tornare in Francia. Durante il viaggio di ritorno, Alfieri rivede dopo tanto tempo Penelope Pitt, ma non le disse nulla nonostante i moti interiori scaturiti da questa vista. Alfieri racconta la sua vicenda con lei a Luisa e scrive una lettera affettuosa a Penelope. Prima di tornare a Parigi, i due fanno tappa in Olanda e a Bruxelles e infine ritornano nella capitale francese, dove pensano di doversi definitivamente stanziare. Capitolo 22, Epoca IV Alfieri e Luisa comprano una nuova casa nel 1792 e Alfieri recupera tutti i suoi libri lasciati a Roma e ne compra di nuovi. Passa serenamente il tempo col suo amore e coi libri, continuando intanto a tradurre Virgilio e Terenzio. Riceve lettere da sua madre che voleva rivederlo, ma al suo ritorno in Italia lei era già morta. Aggravatasi la situazione in Francia, Alfieri si adopera alacremente per abbandonare il Paese con la sua donna. I due riescono a partire con un po’ di fortuna, anticipando la partenza di due giorni, e scampando a una serie di ostacoli. Sfuggono così da questo inferno nel quale Alfieri spera di non rimettere mai più piede. I due ritornano dunque in Italia dopo alcune tappe fuori dalla Francia e all’arrivo in Toscana ad Alfieri si riapre la vena poetica e dal 3 novembre 1792 i due si stanziano definitivamente a Firenze. Capitolo 23, Epoca IV Il ritorno a Firenze ridesta in Alfieri il suo spirito letterario e per questo scrive l’”Apologia del re Luigi XVI” e prosegue le sue traduzioni. Stende un testo in prosa satirica sugli eventi di Francia, “Il misogallo”. Non riesce invece a proseguire i progetti delle tramelogedie e dunque si dà alle satire. Si dedica come passatempo alla recitazione, tra cui rappresenta il “Saul”, il “Bruto primo” e il “Filippo”, e finalmente trova casa sul lung’Arno. Riacquista tutti i libri di letteratura italiana e latina perduti e a questi aggiunge quelli della letteratura greca. Capitolo 24, Epoca IV Provando vergogna per non aver mai letto, nonostante la sua professione lirica e tragediografa, né le tragedie né i classici greci, decide di dedicarsi alla letteratura di essi. Legge e studia Omero, Esiodo, Aristofane in traduzione latina. Scrive intanto alcune rime e altre satire. In quell’anno 1796 i francesi invasero l’Italia, ma Alfieri non si dà per vinto e continua con i suoi studi in modo risoluto, proseguendo la scrittura del “Misogallo” come vendetta sua e dell’Italia verso la Francia. Capitolo 25, Epoca IV Alfieri inizia a studiare l’alfabeto greco grazie ad un foglio preparatogli tempo addietro dall’abate di Caluso. Alfieri non riesce a studiarlo e a impararlo a causa dello sforzo dei suoi occhi e anche perché nella sua vita non ha mai praticamente studiato una grammatica. Inizia dunque a studiare la grammatica greca da alcuni manuali di grammatica greca e greco- latina e alla fine nel 1797 riesce a imparare la lingua. Inizia dunque a leggere Erodoto, Senofonte e il “Timeo” di Platone. Questo gran risultato lo fece uscire dal letargo letterario degli anni precedenti e così continua a scrivere le satire, lima le rime in una nuova rassegna e comincia alcune traduzioni dal greco di Euripide, Sofocle, Eschilo e Aristofane, senza però nemmeno trascurare il latino con Plauto, Lucrezio e Terenzio. Capitolo 26, Epoca IV La lettura dell’”Alceste” di Euripide ispira ad Alfieri la stesura di una nuova “Alceste”, che porta avanti con furore e passione, e la termina nell’ottobre del 1798 la verseggiatura col nome di “Alceste seconda”. La tragedia piacque ai lettori invitati da Alfieri e ciò svela gli studi del greco da lui condotti all’insaputa di tutti. In quell’anno ottiene un suo ritratto realizzato dal pittore Fabre, suo amico, e lo manda a sua sorella con dietro scritti dei versi di Pindaro. Anche l’amico abate di Caluso si congratula con lui per i suoi studi. Alfieri riceve una lettera dall’ambasciatore Ginguené in Torino che tenta di disonorarlo dopo che già era stato privato dei suoi libri lasciati in Francia. Capitolo 27, Epoca IV Alla fine del 1798 i francesi avevano invaso la Toscana e minacciavano Firenze. Alfieri si prepara all’evenienza e fa fare varie copie dell’ormai concluso “Misogallo”, dice di essere pronto a rivendicare la sua libertà se ricercato e si dedica alla scrittura della sua vita affinché qualcun altro non la scriva peggio di lui. Giunto ai 50 anni vuole porre fine a tutti i suoi lavori di scrittura e dunque copia, lima e termina tutte le sue opere, scrivendo l’ultima ode intitolata “Teleutodia”. Corregge e termina anche le traduzioni dal greco e dal latino, termina l’”Abele” e scrive una prosa chiamata “Ammonimento alle potenze italiane”. Termina definitivamente le 17 satire e così sistemato e difeso il suo patrimonio letterario si appresta ad affrontare gli avvenimenti imminenti. Passa i giorni studiando mantenendo un preciso sistema organizzativo, legge la “Bibbia”, legge “Omero” in greco e lo traduce in latino con le sue annotazioni e allo stesso modo farà con altri autori. Manda tutti i suoi libri in una villa fuori Firenze per non perderli di nuovo e fugge dalla città con la sua donna mentre avviene l’invasione francese nel marzo del 1799. Capitolo 28, Epoca IV Alfieri passa i giorni nella villa insieme a Luisa e nel frattempo compia e lima le “Alcesti” e studia. Alfieri aveva paura che potesse essere arrestato in quanto disprezzatore e nemico dei francesi e nel mentre a Firenze era stata proclamata la libertà come in Francia. Dice che tempo prima aveva visto a Firenze il re di Sardegna e avrebbe avuto voglia di servirlo vistolo solo e abbandonato. Dopo alcuni mesi riceve la notizia che alcune delle sue opere non stampate a Kehl sono state stampate da un altro editore a Parigi senza il suo consenso, dato che lui non le aveva rivendicate come sue. Questa notizia lo amareggia molto, ma decide di non intervenire attivamente. Capitolo 29, Epoca IV L’Italia torna a essere campo di battaglia contro i francesi. Alfieri nel frattempo cerca di portare avanti i suoi lavori, ma giungono gli invasori a Firenze e stavolta non ha tempo di lasciare la città. Nonostante tutto riesce a passare incolume quei giorni, ma il comandante del loro esercito vuole conoscerlo. Alfieri dice che se non si tratta di un ordine lui non è interessato a fare di lui conoscenza per via del suo schivo carattere. Alfieri venne nominato dall’Accademia di Torino, ma rifiuta l’incarico e anzi scrive un componimento su tale affronto. Nel 1800 non resiste all’impulso creativo e scrive sei commedie di cui alcune simili a quelle greche ed altre innovative. A differenza del dramma, che pesca la tragedia dalla commedia, con queste sue opere Alfieri ha voluto pescare la commedia dalla tragedia, cosa che gli sembra più utile e vera. Capitolo 30, Epoca IV Nel 1801 viene sancita la pace, ma l’Europa è ancora con il timore e in schiavitù. In quell’anno Alfieri vuole definitivamente terminare la sua carriera letteraria e per questo stende le commedie che aveva ideato. Durante questo periodo però si ammala e deve attendere vari mesi prima di poter continuare. Riceve la notizia della morte di suo nipote, il conte di Cumiana, figlio di sua sorella, e ciò gli dispiace molto perché tutto ciò che lui aveva donato a lei adesso passa in mano ad estranei e per questo decide di intervenire per non ritrovarsi sotto l’arbitrio di persone che non conosce. Alfieri e Luisa riescono a sistemarsi economicamente e a stabilizzarsi, egli compra cavalli, vestiti semplici e libri, senza pretendere altro. Nell’estate del 1802 verseggia le commedie precedentemente stese, ma deve affrontare nuovamente la malattia e soffrire ulteriormente per non poter stare serenamente insieme all’amico abate di Caluso che era andato a trovarlo a Firenze per un mesetto. Egli legge le traduzioni di Alfieri dal greco e dal latino, ma non le commedie e ne apprezza il lavoro. Quando guarisce l’amico è ormai andato via e viene consolato solo dalla sua donna e dal lavoro di verseggiatura e limatura delle commedie. Capitolo 31, Epoca IV Alfieri dice di essere giunto alla fine dell’opera e spera di non essere stato prolisso a causa delle tante cose fatte in vita sua. Le recenti malattie sono state segno che è il momento di porre fine al racconto della propria vita, anche perché non vuole e forse nemmeno può creare altro. Si dedicherà unicamente a limare le sue produzioni fino ai 60 anni e se li passa non farà più nient’altro. Decide inoltre di non stampare tutte le opere ancora non stampate perché ciò richiederebbe troppo lavoro e dunque le renderà semplicemente più pulite possibile. Crea una collana che si auto-regala per gli sforzi fatti col greco e ci incide il nome di autori antichi e moderni che ha letto con un suo distico greco. Con questo termina la quarta epoca dell’opera. Lettera in appendice Lettera che l’abate Tommaso Valperga di Caluso scrive nel luglio del 1804 e manda alla contessa d’Albany Luisa Stolberg come aggiunta di informazioni sulla morte di Alfieri. Francesco Tassi, curatore dello scrittore, la incollerà nel manoscritto originale in fondo all’opera. L’abate dice di essere colpito dalla schiettezza con cui Alfieri ha parlato di sé in modo così fedele e con sublime semplicità. Dice però che quest’opera avrebbe necessitato di ulteriori sue limature, ma di certo non l’avrebbe bruciata, ma purtroppo lui non potrà prendersi la briga di proseguirla. Passa poi al racconto della morte di Alfieri, che a quel tempo stava portando a termine le sue commedie. A causa della sua malattia non riusciva a lavorare liberamente ed inoltre non si nutriva abbastanza, ma nonostante tutto persisteva in quest’attività. Una notte inizia a soffrire fierissimi dolori nelle viscere e nonostante un apparente miglioramento, un giorno iniziò a soffocare e così esalò il suo ultimo respiro l’8 ottobre 1803. Venne seppellito in Santa Croce a Firenze sotto a una semplice lapide, vicina a quella del divino Michelangelo. L’abate di Caluso esprime le sue emozioni sulla sua morte in alcuni sonetti che allega alla lettera. Aggiunge poi che nonostante non abbia potuto limare e correggere la seconda parte, l’immagine che ha passato di sé per mezzo di questa e delle sue altre opere corrisponde al vero. Conclude dicendo che la contessa faccia ciò che ritiene più giusto con questa lettera.
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