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RIASSUNTO DETTAGLIA VITA DI CARLO EMILIO GADDA E "LA COGNIZIONE DEL DOLORE", Sintesi del corso di Letteratura

Analisi della vita, del pensiero e della produzione letteraria dell'autore. Riassunto dettagliato del romanzo.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 03/12/2020

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Scarica RIASSUNTO DETTAGLIA VITA DI CARLO EMILIO GADDA E "LA COGNIZIONE DEL DOLORE" e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura solo su Docsity! CARLO EMILIO GADDA VITA - Milano, 1893 - Morte del padre → problemi economici (villa in Brianza necessita di investimenti) → la madre costringe i figli a duri sacrifici per mantenere un regime di vita adeguato alle apparenze della borghesia - Si iscrive al Politecnico (anche se passione per gli studi letterari) -Rapporto ODIO-AMORE CON LA MADRE → NEVROSI (Gadda ammira l’intelligenza della madre ma rifiuta la sua sottomissione alle leggi di apparenza sociale) - 1915 interruzione studi → guerra → delusione, desolato della bestialità dell’organizzazione militare ( diario: “Giornale di guerra e di prigionia”) - 1919 ritorno a Milano → il fratello Enrico è morto in guerra → dolore, sensi di colpa, inutilità → rinuncia a vivere → misantropia - 1920 laurea in ingegneria → lavora anche all’estero (nel contempo tenta di laurearsi in filosofia) - 1926 inizia la collaborazione con “Solaria” (alla fine degli anni ’30 rinuncia all’attività di ingegnere) - 1936 La madre muore → Gadda vende la villa (pessimo affare) e inizia a scrivere “La cognizione del dolore” (romanzo lirico-umoristico-filosofico) - 1940-1950 Firenze pubblicazione di numerose opere - 1950 Roma responsabile culturale dei programmi RAI, poi si dedica esclusivamente all’attività letteraria, pubblicando opere inedite e sistemando opere passate - 1973 muore a Roma LINGUA : un “impasto linguistico” variegato Gadda concepisce la scrittura in termini filosofici. Egli cerca una scrittura come conoscenza della realtà ma l’unica realtà conoscibile per mezzo della lingua è la realtà linguistica. La realtà è un insieme infinito di concause impossibile da sbrogliare. Dal momento che ogni aspetto del reale ha il suo linguaggio, Gadda è costretto a usare una moltitudine di linguaggi. La lingua di Gadda risulta artificiale e di conseguenza crea un effetto di STRANIAMENTO, di non-senso della normalità. Si deduce che l’unica funzione della letteratura è quella di registrare l’assurdità della vita. In “La cognizione del dolore” Gadda mescola generi e registri diversi, utilizza la LINGUA LETTERARIA, i DIALETTI (milanese e napoletano, es. sottanella) e lo SPAGNOLO (nomi personaggi e luoghi). Questa mescolanza indica da una parte la cultura di Gadda dall’altra una negazione dell’armonia, della bellezza, dell’ordine. Nell’opera si trovano anche INVENZIONI LESSICALI (es. “perticata” = suddivisa e misurata in pertiche), inedite combinazioni di termini, incrocio di inglese e italiano (es.lingeria). L’uso di generi e registri diversi riproduce il CARATTERE DEL PROTAGONISTA (Cap 4) sempre instabile e di stati d’animo opposti. La disomogeneità mostra la complessità del reale. Lo stile di Gadda va contro gli stereotipi, rifiuta la parola trita, il pensiero di tutti. Egli attua un lavoro di “risemantizzazione”: conferisce alle parole un nuovo significato. Citazioni, divagazioni e registri diversi rendono la vicenda un ARCHETIPO UNIVERSALE. Si parla di amore, morte, tenerezza, violenza. “LA COGNIZIONE DEL DOLORE” SCRITTURA Dopo la morte della madre, avvenuta nel 1936, Gadda stende nel corso del 1937 “La condizione del dolore”. La scrittura ebbe dunque una funzione liberatoria, terapeutica. PUBBLICAZIONE (1963) - Tra il 1938 e il 1941 escono 7 “tratti” (come li definisce Gadda) sulla rivista “Letteratura”(Bonsanti). 2 frammenti vengono poi presentati nell’ “Adalgisa” e un altro in “Novelle del ducato in fiamme”. atteggiamento di negazione del mondo che si manifesta con l’ironia, il sarcasmo ecc.. Questa visione negativa è presentata come forma di delirio; nel comprendere la realtà, Gonzalo si crea una proiezione distorta. In realtà quello di Gonzalo non è un delirio ma una lucida percezione della follia. Il conflitto di Gonzalo con il mondo ha origine nella fanciullezza, nella severa educazione ricevuta. 3) IL MALE OSCURO/INVISIBILE, L’OLTRAGGIO Gonzalo è afflitto da una forma di male oscuro. Il male oscuro è concepito da Gadda come una sorta di Urmale, responsabile di tutta la difficile esistenza dell’individuo. Si tratta di un dolore che deteriora l’essere. Spesso si manifesta invece il male invisibile, una pulsione di autodistruzione, la morte. Il dolore provoca regressione e dissoluzione, considerare il vivere come un oltraggio. 4) POLEMICA CONTRO L’IO. Fondamentale nel romanzo è come l’io viene percepito dal protagonista e dagli altri. Gonzalo viene presentato attraverso le dicerie della gente e procede quindi a una demolizione radicale dell’io degli altri. L’io è visto come un insieme di legami e aggrovigliamenti. Dalla coscienza dell’io Gonzalo percepisce il senso della morte, della fine e approda dunque a un “antinarcisismo” radicale. 5) L’APOLOGIA DELLA PROPRIETA’ Gonzalo ha delle manie di possesso, di proprietà. Il possesso è per lui un bene-rifugio, è un tentativo di difendere il proprio io, di salvare la continuità della famiglia (gioielli) e di salvare qualcosa di sé. Difendere la proprietà è una reazione biologica in un animo abituato al naufragio. 6) IL DOPPIO/PLURIMO Non è un tema sviluppato in maniera esplicita. Nel romanzo entità singole si rivelano molteplici. Ad esempio Gaetano Palumbo ha una doppia identità, un doppio nome, uno spagnolo (Manganones) e uno italiano-napoletano. Il suo smascheramento avviene in 2 tempi: prima grazie al venditore ambulante di tappeti e poi grazie al medico di Lukones. E ancora i due giovani assunti come custodi dal cavalier Trabatta erano ex contrabbandieri. I parafulmini sembrano attirare fulmini piuttosto che respingerli. Queste dualità sono la conseguenza dell’incapacità di dominare razionalmente un mondo troppo complesso, dove l’uno è in realtà molteplici e il molteplice è indistinguibile. 7) SEPARAZIONE “La cognizione del dolore” è il documento dell’allontanamento dalla casa e la separazione dalla madre. MODELLI E FONTI Roscioni trova delle somiglianze tra l’umorismo di Sterne e Gadda. L’umorismo va inteso nel senso originario del termine, ovvero come espressione della variabilità degli umori. L’uso di diversi stili e generi di Gadda consente di fare numerosissimi collegamenti tra la sua opera e la tradizione letteraria. Si notano delle somiglianze con Balzac (Peau de chagrin), con Voltaire (Candide), Donchisciotte e D’Annunzio (idea del male oscuro). Tuttavia “La cognizione del dolore” fa riferimento a 3 MODELLI: 1- “Karamazov” (Dostoevskij) → rapporto genitori-figli, male pensato; 2- “Amleto” (Shakespeare) → G. è un Amleto moderno, entrambi credono che essere equivalga a morire; 3- “I promessi sposi” (Manzoni) → coincidenze linguistiche e di locuzioni idiomatiche, menzionare gli stessi dettagli, coincidenze astratte, di tipo sintattico-semantico (tendenza a presentare singoli eventi in una continuità o viceversa.. es. uso di “talora”) Nonostante nella “Cognizione” di Gadda siano presenti numerosi riferimenti a altre opere, l’obiettivo di Gadda è quello di distanziarsi, di opporsi, di differenziarsi dal modello. Quest’obiettivo è raggiunto attraverso il mutamento tonale e l’ironia dissacrante. LA “METONIMIA INFINITA” Gli innumerevoli riferimenti nell’opera di Gadda testimoniano una sua caratteristica fondamentale: “la metonimia infinita” o “il caleidoscopio rappresentativo”. Si tratta della tendenza ad abbandonarsi alle associazioni che collegano in modo analogico e logico le varie entità o viceversa l’incapacità di autoeliminarsi. La scrittura di Gadda è retta da un principio di ASSOCIAZIONE GENERALIZZATA. DESCRIZIONE “PER ALTERNATIVE” La descrizione per alternative coglie aspetti e dimensioni diverse del rappresentato. Ogni descrizione dunque non è mai finita ma procede per alternative, cioè varianti, casi. DESCRIZIONE “COMMENTATA” La descrizione commentata è una descrizione a fasce disomogenee poiché alterna enunciati descrittivi e enunciati di commento che giustificano, generalizzano, estendono. Questo tipo di descrizione rallenta, relativizza e smentisce passi della narrazione. TRAMA I. Tra 1925 e 1933, leggi in Maradagàl (M) (paese del Sudamerica inventato dietro cui si riconosce l’Italia. N.B. Gadda era stato in Argentina per lavoro negli anni ‘20), danno la possibilità ai proprietari terrieri di scegliere se aderire o meno alle associazioni provinciali di sorveglianza per la notte (Nistituos provinciales de vigilancia per la noche), dato che comunque dovevano pagare alti contributi, a volte più alti del guadagno che si deve alla produzione agricola di granoturco, ridotto da siccità, malattie quale la peronospera, grandine… Nel 1924 termina la guerra di Maradagal vs Parapagàl (P), stato confinante, abitato da gente della stessa etnia, ovvero europei immigrati durante primi decenni del 1600. Sia Maradagal che Parapagal incolpano l’altro di guerra e si ritengono vincitori. Ci sono reduci di guerra, tra cui mutilati: alcuni hanno ferite coperte da abiti. Mutilati vengono assunti come sorveglianti, sempre che siano fisicamente in grado di svolgere i compiti di sorveglianza. Devono avere un ottimo udito tale da sentire rumori di eventuali ladri in case. Ma venivano assunti anche sordi di guerra in alcune zone, es a Terepàttola (Lecco) A volte, probabilmente per meccanismo di compravendita dei voti elettorali, venivano assunte per incarico anche figure inadatte: es. in provincia di Zigo- Zago (zona piccola dove avvengono rari furti perché è una provincia povera e di campagna) fu assunto come vigile ciclista uno con una gamba rigida di guerra (anche se probabilmente è per la sifilide): quando ci furono dei furti di pollame, e il popolo anziché pretendere che il servizio venisse svolto da altri, lo difendeva dicendo che con quella gamba era limitato. Ci fu uno scandalo in Lukones (Longone al segrino), paese rurale, nell’arrondimiento del Serruchòn (Resegone), in provincia di Novokomi (como). Serruchòn, da cui prende il nome la regione, è una catena montuosa che prende nome dalla montagna più alta. un granchio color corallo e non nero come al solito oppure un riccio. Alcuni credono che si trattasse verosimilmente di una aragosta. Per una estate intera si era dato a mangiare questi cibi prelibati che avevano determinato quella faccia da porcellino. Poi era anche avaro e il trattore (padrone della trattoria) un giorno gli disse di andare in altre osterie dove trovasse cibo più conveniente e Gonzalo i tacque vergognandosi. Le divinità ultrici (vendicatrici) hanno fatto sì che seguisse a quell’estate di cibo sregolato una malattia (?) che lo costrinse a moderare il cibo e a curarsi con magistero di bismuto (sottonitrato di bismuto) molto caro. Legge kant, La fondazione della metafisica dei costumi, nella sua villa. Discende, per linea paterna, da Gonzalo Pirobutirro d’Eltino che era stato governatore spagnolo della Nea Kentikè (Lombardia) (NK), esecutore attentissimo della legge, senza sconti e senza eccezioni, nel bene e nel male, per questo odiatissimo da tutti, anche se in realtà era uomo con forte senso della giustizia, di alta levatura. Si crede che Pirobutirro per parte materna invece fosse barbaro: germanico, unno e longobardo. La sua discendenza germanica si vede nella sua intolleranza nei confronti del disordine: ha manie d’ordine, di silenzio, odia i convenevoli sulla porta, la carta unta, disprezza la superficie, è lento nel dare giudizi, è pedante, non è affatto pratico dell’arte dell’arrabattarsi (riuscire a fare qualcosa con pochi mezzi a disposizione, arrangiarsi alla meno peggio), del tirare e campare II. Le Acacie sono alberi che sono stati importati dall’Oceania. Sono alberi che danno idea dell’ordine e della simmetria. Infatti circondano, insieme al granoturco la villa e i peri (nel giardino della villa ci sono dei peri). Il Felipe sente dei passi e vede la Battistina che sta camminando con in mano un piatto ricoperto sopra da un altro piatto. Le chiede come stia e lei fraintende pensando che parli di lei mentre Felipe voleva sapere di Gonzalo. La donna risponde che non si può vivere in casa con quel matto. Inizia a raccontare una serie di episodi e ogni tanto Felipe interviene e si mostra scettico nei confronti di quelle che considera esagerazioni da parte della donna. La madre teme Gonzalo e vuole sempre che lei le faccia compagnia se in casa c’è il figlio e per questo si ritrova a fare degli orari tardi. La madre ha così timore che pochi giorni fa mentre si faceva accompagnare al cimitero dalla Pina le chiese se sarebbe andata a trovarla al cimitero quando fosse morta. Gonzalo sta sempre a guardarle gli anelli che il padre ha donato a sua madre e dice che le donne sono bestie capaci solo a portare quei brillanti. La madre lo teme e passa le giornate a piangere di nascosto. Una volta Gonzalo ha schiacciato coi piedi l’orologio d’oro che era un cimelio di famiglia e ha staccato il ritratto del padre che era appeso in sala e l’ha calpestato come l’orologio, suo padre che era tanto un bravo uomo, come oggi non se ne trova più. Forse era un orologio a sveglia che si era messo a suonare e muoversi sul tavolo mentre lui stava leggendo o scrivendo e innervosito l’ha schiacciato. Una volta aveva anche schiacciato una penna che inizialmente non scriveva e d’un tratto aveva colato una macchia di inchiostro. Per quanto riguarda il ritratto, la madre aveva considerato il gesto del figlio come un atto estremo di devozione e aveva raccolto i pezzi. Entrato dal cancello, Felipe vede il peone in mezzo alle cipolle che dice che la signora era andata al cimitero con la Peppa. Arriva Gonzalo, vestito in modo molto modesto. Ha il volto un po’prominente il che probabilmente accentua la percezione di modi non affabili. Adotta con Felipe parole semplici, povere, esatte, modeste che dimostrano il rispetto e la stima e la gratitudine che prova nei suoi confronti. Si mostra come un uomo di grande contegno e moderazione nonostante l’illustre discendenza per parte paterna: la derivazione illustre non influisce minimamente nel suo modo di porsi. III. Felipe e Gonzalo vanno in camera per la visita. Sulla parete del muro della camera c’è un ritratto del generale Patrufacio. Alla fine della visita con tono un po’ mortificato gli dice che non ha riscontrato nulla di particolare. Gli consiglia solamente di bere acqua tiepida con sciolti dei dadi sedobrol (semplice sedativo) Capisce che fisicamente non ha niente. Il suo è un male psicologico, interiore). Gonzalo assume un’espressione di angoscia e di sofferenza. Certo, poteva anche essere una conseguenza della disfunzione gastrica che lo aveva disturbato l’anno precedente pensò il dottore. Felipe gli propone per il giorno seguente un giro in macchina, pensando di tirarlo un po’ su. Avrebbe guidato sua figlia Pepa, molto brava a guidare: a Gonzalo non faceva bene passare intere giornate, col tempo così bello, chiuso in casa a leggere e scrivere. Gonzalo inventa delle scuse per l’invito. Felipe sene va dicendogli che lo avrebbero atteso l’indomani mattina. Felipe gli propone di prendere lezioni di guida dalle sue figlie ma Gonzalo rifiutò. Gonzalo inizia poi a parlare della madre: è molto invecchiata. Mentre Gonzalo sta parlando sentono dei passi: è il nipotino del colonnello che viene a prendere lezioni dalla mamma di Gonzalo, ma Gonzalo lo rimanda via bruscamente. Gonzalo si rende conto di quell’eccesso di ira che aveva avuto e quasi sembrò stupito e inorridito da ciò che aveva detto. Torna a parlare della madre, malata e invecchiata. Dice di aver fatto un sogno spaventoso (sogna la madre morta come ad anticipare il futuro della scritta) e Felipe sostiene che i sogni siano smarrimenti dell’animo, mentre Gonzalo li ritiene momenti in cui si può vedere la realtà senza avere una rigida visione delle cose. Nel sogno è sera tarda: appare una figura tenebrosa, che sembrava al di là di ogni dimensione spazio-temporale. Poteva sembrare Veturia, la madre di Coriolano (Coriolano era stato cacciato da Roma per non avere sfamato la plebe nel 490, perciò fa degli accordi con i volsci per combattere vs roma per ripicca e solo dalle preghiere della madre e della moglie fu convinto a desistere dal proposito). Ma non era la madre di Coriolano, Gonzalo riconosceva bene chi fosse. Gonzalo propone di visitare la madre il giorno stesso se riteneva fosse necessario. Ma la madre non si sarebbe mai fatta visitare. Gonzalo inizia una filippica contro i pronomi personali: io è il più lurido dei pronomi. Felipe interviene in difesa dei pronomi, che ritiene necessari. Gonzalo continua a sostenere che siano dei pidocchi: è segno della pochezza della dialettica umana il fatto che continuiamo a parlare di io e tu, mentre ignoriamo quale sia il soggetto di ogni proposizione possibile. Coi pronomi l’immensità si irrigidisce, l’essere si paralizza. Gonzalo condanna pronomi personali perché il loro impiego si basa sul postulato dell’unicità e della semplicità del referente, quindi semplifica una realtà che invece è complessa e plurima. Da piccolo Gonzalo viveva nella miseria, al freddo, con la fame. Lui che a 6 anni già aveva preso in mano Dante e aveva iniziato la lettura dei classici. IV. Felipe e Gonzalo conversano sul muro che circonda la villa. Per Gonzalo, che aveva una mania del possesso, della proprietà privata, quel muro era essenziale. Secondo Felipe esso non ha una grande funzione perché è basso e può essere facilmente scavalcato. Gonzalo a questo punto dice che in effetti il muro è solamente un segno, non ha un effettivo potere difensivo, come è solamente un segno, un monito, la scritta “vietato sputare” sui tram dove comunque tutti continuavano a sputare. Come del resto il cancello dell’ingresso principale che poteva essere distrutto con una pedata. Gonzalo insisteva con la madre perché si decidesse a far rimanere qualcuno di notte dal momento che di giorno aveva serve per ogni mansione. Felipe chiede a Gonzalo se era abbonato a un istituto di vigilanza ma Gonzalo risponde che è troppo caro, comunque chiede informazioni circa le modalità con cui effettuare l’abbonamento nel caso. Per abbonarsi bastava rimanere a casa propria e sarebbe passato Gaetano Palumbo a provvedere a tutto, foglio firme ecc, ma adesso, da padre che ha visto rifiutare le sue figlie, Felipe decide di prendersi una piccola vendetta, e dice che bisognava recarsi in un posto ecc insomma dice contro la vita di campagna, inutile e poi sarebbe passato a offendere il padre, gli avi e persino Pastrufacio (qui lo chiama proprio il Garibaldi del M). Da mangiare non c’era nulla, neanche un uovo delle galline di Josè contro cui inveiva frequentemente Gonzalo, visto che facevano pochissime uova. In un cassetto c’erano 3 posate d’argento che lei aveva acquistato di seconda mano da una donna, la signora Teotòpuli, stratruccata, a un prezzo così alto che nuove sarebbero costate meno. I fili della forchetta sono molto sghembi e sicuramente avrebbero destato l’ira di Gonzalo. Anche se, pensava che Gonzalo non aveva mai fatto storie per le posate. Sta cercando di prendere le posate dal cassetto quando dall’alto, Gonzalo, infastidito dal rumore, le grida di smettere. La donna ha una crisi, le risale a gola quello che aveva mangiato e vomita sul pavimento. Dall’alto probabilmente Gonzalo aveva sentito i conati e le chiede gridando se sia tisica. La madre da anni aveva intuito di suo figlio, del male oscuro che si porta dentro di cui è impossibile liberarsi. Non poteva avere pace e neanche il male era attribuibile a agenti esterni come alcol o fumo, dato che, avaro, non si concedeva questi lussi. La guerra probabilmente l’aveva molto toccato, soprattutto per via del fratello, anche se non ne parlava mai. Sembrava come aver dimenticato gli anni della giovinezza e che lo strappo con la madre fosse ascrivibile a un’era ancora più remota. III Gonzalo è davanti alla scodella della zuppa. La madre gli chiede come mai non mangia: si riscuote dai suoi pensieri, sale in camera e ne discende con dei giornali che aveva preso per la madre, che si commuove a questo gesto e Gonzalo inizia a abbracciarla e baciarla. Nel frattempo entra José a accendere il camino dopo quella tempesta. Il peone domandava da tempo un altro stipendio poiché non si occupava soltanto della campagna ma era anche il custode della villa. Questi discorsi facevano imbestialire Gonzalo. Il peone poteva raccogliere tutto il raccolto tranne le mandorle e le pere che crescevano spontaneamente. Poi Gonzalo gli dava i suoi abiti dismessi così che non si realizzava in lui l’immagine del villanello che non possiede la roba, che disegna dante nel XXIV canto dell’inf. Mentre zoccolava in casa nell’accensione del fuoco lasciava tracce di letame che aveva sotto le scarpe. Celebra la sua abilità di fuochista. Gonzalo si adira a caccia il peone fuori casa. José non trova parole per replicare. A differenza del suo predecessore, sempre di nome José e di soprannome Estrella, lui non era quasi mai ubriaco e perciò sembrava più autorevole. Da un anno o due Gonzalo diceva che si sarebbe comprato un orologio, ma non si decideva mai. Sperava che qualcuno glielo regalasse. Molti anni prima, alla laurea, la madre voleva regalargli un orologio d’oro che avrebbe acquistato, usato, da un russo che lo metteva a buon prezzo ma Gonzalo si adirò, essendoci ben altre spese da sostenere e non volendo roba di seconda mano, passano a offendere la Russia e sbagliando completamente le nozioni geografiche. La madre, molto colta, che insegnava (dirige una scuola magistrale), lo corresse sperando che avrebbe sedato le ire del figlio ma non bastò e allora in preda all’ira gettò a terra il ritratto del padre e lo calpestò. La madre aveva investito moltissimo negli studi dei figli, per farli laureare (solo Gonzalo si laurea, l’altro riceve solo una laurea ad honorem essendo morto) quindi per lei quella laurea era una gioia, un evento da festeggiare. Ma non le fu permesso. IV Il figlio è sul terrazzo e sta bevendo il caffè. Rientra in cucina per posare la tazzina e trova che sta compiendosi secondo uso la liturgia della bontà da parte della madre, circondata dalla servitù). Era comunque di umore tranquillo e rimase a sentire. (RAPPORTO AMORE-ODIO) C’era stato un furto nel castello di Trabatta. Il trabatta aveva rifiutato l’offerta vantaggiosa di abbonarsi al servizio nel Nistituo, per sole 100 lire al mese nonostante il prezzo avrebbe dovuto essere 200: gli facevano questo prezzo di favore perché anche per loro era un onore sobbarcarsi il compito di proteggere la sua villa, uno dei più ricchi di Parapagal. Trabatta viene derubato. Sembra la punizione di un dio che punisce a distanza la ingiustizia commessa verso i Nistituo. Il vigile di quella zona infatti aveva garantito l’incolumità alle villette abbonate, ma lui non poteva recriminare nulla. Ma come era possibile che, nonostante passasse anche di fronte alla casa del signore Trabatta, non avesse visto nulla? Forse si tappava gli occhi passando davanti alle case dei non abbonati? Allora Trabatta ingaggia due giovani cugini del paese per fargli una vigilanza personale. È sempre affacciato alla terrazza e qui c’è una citazione scorretta dei promessi sposi. Alcuni giorni dopo c’è una visita della Peppa alla madre. A casa c’è anche Josè con sua madre, paralizzata nella parte sinistra del corpo. Non ci sono delle misure di sicurezza per entrare in casa: né chiavistelli, né vetri sul muretto ecc, secondo la volontà del padre. Viene anche il falegname Poronga, con dei funghi. Arriva anche la Beppina, la pescivendola. Le galline di Jose erano salite sulla terrazza a livello del giardino e cercano di entrare in cucina. Arriva anche la Pina del Goepp (in realtà Giuseppina, o, meglio, Giuseppa) moglie del sacrestano nano che il comune a metà prezzo aveva anche assunto come custode del cimitero e affossatore. Apre la porta della sala G, e trova questo meeting delle pulci, animali compresi (galline pesce cane e gatti). A questa vista è furente d’ira anche se comunque la rabbia non mutò il suo aspetto. Nella stanza la situazione è disgustosa (probabilmente è questo disgusto che lo ha fatto ripensare al passato).: la madre con gli occhi rigati di pianto, animali, il popolo più basso e umile raccolto… tutto riunito nella stanza in cui avrebbe dovuto starci lui da solo con sua madre. In quei giorni gli erano arrivate lettere da alcuni conoscenti che lo incitavano a finire il suo romanzo (il romanzo si chiama il giorno o è proprio il giorno?). Madre appare davanti al figlio, che le sbraita contro chiedendogli come mai ci siano tutti quei maiali in casa. La madre tenta di andarsene e il figlio la trattiene per un braccio e ripete di non volere maiali in casa. Immediatamente avrebbe voluto chiedere perdono alla madre ma invece le ribadisce che non avrebbe mai più voluto trovarla in quella condizione. Va in camera, riempie la valigetta del necessario, esce di casa. Mezz’ora dopo già fischiava il treno. V I due cugini assoldati dal cavaliere devono passare la notte lì. Prima di quell’incarico erano dei contrabbandieri: trasportavano di contrabbando caffè zucchero e tabacco dal Parapagal. Quando però cambiò la politica economica del Parapagal, non era più necessario il lavoro dei contrabbandieri. Ebbero la fortuna che il cavaliere gli offrisse questo incarico. Mentre le due guardie, Bruno e Ermenegildo stanno giocando a briscola sentono un rumore di passi. Allora Bruno esce a vedere e Ermenegildo sarebbe dovuto rimanere in casa. Quella sera il cavaliere non era a dormire a casa. Non trovano nessuno nel parco ma suppongono che possano essere dei ladri che si stavano dirigendo verso altre case non abbonate al Nistituo dato che quella era già stata saccheggiata da meno di un mese. Sentono un uscio battere dalla casa della madre e del figlio. La conoscevano un po’ perché alcune volte erano andati a vedere delle cose e la madre li aveva fatti entrare per offrire un bicchiere di vino come faceva con quasi tutti i passanti. Si chiesero che fare, se svegliare il peone o meno e nel caso per dire cosa? La paura del ridicolo è più forte che quella del pericolo. Si allontanano dalla casa e sentono una chiave inserita in una toppa: la chiave apre il cancello e poi viene richiuso il cancello. Iniziano a gridare José pensando che fosse stato il peone, poi decidono davvero di e odono battere l’anta della porta finestra. Scavalcano il muro e chiamando ancora Josè ma nessuno risponde. Dietro la finestra, vedono scope, sgabelli tutti ammucchiati e Bruno ricordò la
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