Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Riassunto dettagliato dal Neoclassicismo al Romanticismo, Appunti di Storia dell'arte contemporanea

Riassunto dettagliata, con spiegazione molto precisa di diverse opere di Canova, Jacques-Louis-David, Fussli, Ingres, Goya, Friedrich, Gericault e altri artisti minori.

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 11/01/2021

federica-toparelli
federica-toparelli 🇮🇹

4.4

(8)

10 documenti

1 / 49

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto dettagliato dal Neoclassicismo al Romanticismo e più Appunti in PDF di Storia dell'arte contemporanea solo su Docsity! Storia dell’arte contemporanea- Sapienza- prof.essa F. Gallo Riassunto libro “Capire l’Arte, dal neoclassicismo ad oggi” integrato con spiegazioni lezioni + approfondimenti Capitolo 1. L’ETA’ DEI LUMI Il XVIII secolo è definito l’”Età dei Lumi” perché in questo periodo si andò diffondendo uno spirito scientifico e razionalista che sottopose a critica i valori tradizionali e le certezze su cui si basava la società. Il trionfo del pensiero razionale diede vita nella seconda metà del secolo a riforme sociali, politiche, culturali, provocando fenomeni che determinarono una radicale rottura col passato. Andando a guardare il contesto storico dunque, troviamo in questo periodo la Rivoluzione Francese (1789-99) che segnò la liquidazione definitiva dell’Ancien Régime, regime politico e sociale vigente in Francia dal XVI secolo e contraddistinto dall’assolutismo monarchico e da una struttura sociale rigida e gerarchica. Con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789) si ebbe il riconoscimento delle libertà fondamentali (pensiero, parola, stampa), dell’uguaglianza dei diritti di tutti i cittadini di fronte alla legge e dei principi di fondo dei moderni ordinamenti liberali e democratici. L’esperienza francese aprì in molte nazioni un’intensa stagione di riforme. Le idee più avanzate dell’Illuminismo europeo trovarono realizzazione nella Dichiarazione d’Indipendenza americana (1776) che proclamava il diritto degli americani a darsi un nuovo governo basato sull’uguaglianza naturale fra tutti gli uomini e il diritto inalienabile di ognuno alla vita, alla libertà e alla felicità. Le profonde innovazioni in campo scientifico e tecnologico ebbero ripercussioni in ambito economico e portarono alla trasformazione dei sistemi produttivi. Il fenomeno chiamato “Rivoluzione industriale” si affermò dapprima in Inghilterra: il forte sviluppo tecnologico e la conseguente introduzione di macchine motorizzate, modificò il ritmo e l’organizzazione del lavoro, nonché la vita dei lavoratori, i rapporti sociali e i consumi. Il secolo si concluse con il Periodo Napoleonico (1796-1815) durante il quale Napoleone diffuse in altri paesi europei acquisizioni politiche e civili della Rivoluzione francese e al contempo riportò in auge un potere personale e autoritario, culminato con l’incoronazione a imperatore nel 1800. Gli ideali di libertà e democrazia andavano spegnendosi: la caduta di Napoleone e il Congresso di Vienna (1815) aprirono l’Età della Restaurazione. Illuminismo: la seconda metà del 700 fu caratterizzata dalla cultura illuministica. Sebbene l’illuminismo non sia un fenomeno unitario e presenti in sé elementi di contraddittorietà ci sono alcune costanti: 1. Il primato della ragione come strumento di conoscenza della realtà e organo che rende l’uomo libero in quanto capace di pensare e agire autonomamente da dogmatismi, pregiudizi e dalle verità della tradizione. 2. La concezione empiristica del sapere e l’affermazione delle verità sperimentali. 3. La fiducia ottimistica nel futuro progresso che la ragione, la cultura e la scienza avrebbero portato. 4. Il Sensismo (Bacone, Newton, Locke, Condillac) una dottrina filosofica che riteneva che la conoscenza derivasse interamente dall’esperienza concreta e passasse dunque attraverso le sensazioni. L’Illuminismo tuttavia non si esaurì nel culto della ragione: all’interno del movimento emerse anche una linea di pensiero che considerava la natura come guida della civiltà e origine della sensibilità dell’uomo, dei suoi sentimenti e passioni spontanee con la conseguente valorizzazione positiva dell’elemento istintivo e dell’interiorità. Dal pensiero illuminista nacquero due tendenze artistiche. La prima dominante nella seconda metà del Settecento specialmente in Francia e in Italia, nasceva dalla convergenza di Illuminismo e Neoclassicismo. Secondo questo indirizzo l’arte, guidata dalla ragione, deve seguire i criteri classici di bellezza, regolarità, semplicità, armonia e compostezza. L’altro indirizzo, che potremmo definire protoromantico, pur partendo dalle medesime premesse culturali dell’Illuminismo, anticipa il Romanticismo ed è presente in particolar modo in Germania e Inghilterra. La sensibilità, l’immaginazione dell’artista assumono un ruolo centrale: l’arte quindi sfuggendo ai vincoli della ragione, diviene scavo interiore ed è orientata a esprimere i sentimenti, le passioni, il senso emozionale della bellezza. NEOCLASSICISMO Il Neoclassicismo si fonda sull’arte greca e romana. Il termine “Neoclassicismo” è coniato da alcuni studiosi nell’800 per indicare un nuovo classicismo. È un movimento culturale artistico che riprende gli stilemi e le caratteristiche dell’arte greca e romana. Il 700 predilige l’arte classica perché è il secolo della ragione che supera l’oscurità dell’ignoranza; gli illuministi criticano dunque il Barocco perché considerato un insieme di flussi stilistici diversi che non hanno legame fra loro. La critica al Barocco porta alla ripresa dei canoni stilistici classici che rappresentano la perfezione. Gli illuministi ritenevano che l’arte classica greco-romana fosse un’arte incorruttibile sia dal punto di vista iconografico che iconologico; il Baracco invece “ Un filosofo tiene una lezione sul planetario ” (opera affrontata a lezione) Artista: Joseph Wright of Derby anno: 1766 conservato: Derby Museum and Art Gallery a Derby L’artista fu un attore; nei suoi quadri prediligeva scene con illuminazione notturna. Il quadro è illuminato a luce di candela. Suscitò un notevole scalpore dal momento che il centro dell’immagine non era più un soggetto classico bensì un esperimento scientifico- divulgazione sapere astronomico. Non ci fu una commissione, Joseph sperava che il quadro venisse acquistato da Washington Shirley, V conte di Ferrars, un astronomo dilettante che aveva un proprio planetario ed era in stretta collaborazione con Burdett (amico dell’artista). Si pensa per questo che le persone raffigurate siano Burdett e Washington: il primo immortalato mentre prende appunti, il secondo (il conte) seduto con il figlio accanto al planetario. Il dipinto fu acquistato dal Conte per 210 sterline, per poi essere messo all’asta dal conte successivo. “Il Parnaso” Artista: Mengs Anno: 1760-61 Conservato: volta della galleria di Villa Albani È considerato il manifesto del neoclassicismo pittorico romano perché esprime la necessità di imitare gli autori classici per raggiungere la pura bellezza non presente in natura; l’opera divenne il manifesto dell’arte neoclassica anche grazie a Winckelmann che ne divulgò la fama. La composizione è concepita come un bassorilievo con al centro la figura di Apollo, circondato dalle 9 muse. Per Mengs è fondamentale l’imitazione dei grandi del passato per raggiungere la bellezza perfetta. Nell’opera sono ben visibili i contenuti neoclassici:  La composizione è perfettamente composta e semplificata  Quasi priva di profondità e movimento, tipico degli affreschi ercolanesi e dei dipinti di Raffaello  Assente la prospettiva illusionistica barocca e le manifestazioni sfarzose Ogni figura assume la posizione che più gli si aggrazia in armonia e bellezza ideale. Tutto si svolge con compostezza e autorità; l’unico elemento più dinamico è costituito da due danzatrici, che riprendono scene degli affreschi pompeiani. Nella scelta del soggetto (Apollo circondato dalle muse) Mengs si rifà, invece, all’omonimo affresco di Raffaello in Vaticano. Fedele al principio della “nobile semplicità e quieta grandezza”, il pittore ha evitato gli effetti coloristici nonché le prospettive in profondità ( le figure sono disposte su piani paralleli) e si attenne ai modelli della statuaria classica ricreandone il tono. Inizio moda dei ritratti Ritratto Sir William Hamilton Artista: Reynolds Sir Joashua Anno: 1776-77 Conservato: National Portrait Gallery Londra Sfondo-> Vesuvio Goethe: “Viaggio in Italia” è un’opera in due volumi scritta tra il 1813 e il 1817. E’ il resoconto di un Grand Tour che Goethe compì in Italia tra il 1786 e il 1788. A questi due volumi, se ne aggiunge un terzo, pubblicato nel 1829 sulla sua seconda visita a Roma. “Goethe nella campagna romana” Artista: Wilhelm Anno: 1787 essere giunta nell’Ade, e una volta incontrato Ade, messosi d’accordo con la moglie Proserpina (molto legata a Venere), daranno a Psiche delle prove che lei dovrà superare. Proserpina, per volontà di Venere, darà a Psiche un vaso, dicendole che le servirà per trovare Amore; Psiche curiosa aprirà il vaso e questo la farà cadere in un sonno profondo, poiché in realtà era il vaso del sonno eterno. Successivamente Psiche verrà svegliata da Amore che ormai, nonostante le intercessioni di Giove e delle altre divinità, decide alla fine di salvare la sua amata. La scultura realizzata da Canova rappresenta proprio la fine del mito, il momento del risveglio di Psiche ad opera di Amore. Non rappresenta l’attimo del bacio, perché per Canova la rappresentazione del bacio era banale; rappresenta, invece, il momento antecedente (che anticipa) il bacio, che in realtà è il momento più dolce, romantico ed erotico perché è proprio il momento in cui si rendono conto che sono di nuovo insieme. Il gruppo scultoreo è costruito su una serie di complesse geometrie compositive, nelle quali anche il vuoto assume un valore formale analogo alle parti scolpite. Lo spazio esiguo fra le labbra dei due giovani è il centro focale della composizione, un momento carico di tensione, nonché il punto di incontro tra le due diagonali ad X. I due corpi sono dunque disposti in diagonale e formano una struttura piramidale alleggerita da una figura triangolare formata dalle ali di Amore (ali molto fine). Il tema di Amore e Psiche fu assai trattato in epoca neoclassica per la simbologia che consente letture a più livelli. L’episodio può essere interpretato sia come rappresentazione dell’amor divinus, quindi l’amore che congiunge il divino al mortale, e dunque la forma più alta di amore, sia come celebrazione della giovinezza nella sua trasparente innocenza e dell’amore come sentimento vivificante. Al tempo stesso, a un livello più profondo, ka scena si offre come metafora dell’ambivalenza della relazione dell’amore e del legame tra Eros “amore” e thànatos “morte”, simboleggiati dall’abbraccio fusionale che prelude a uno stato di unione mistica. Paolina Borghese come Venere vincitrice artista: Canova anno: 1808 conservata: Roma, Galleria Borghese Opera in legno intarsiato e marmo bianco, oggi conservata al museo di villa Borghese a Roma. Non è una delle prime opere di Canova. E’ stata realizzata fra il 1804 e il 1808 ed è circa due metri. L’opera è stata commissionata da Camillo Borghese, principe di Roma e marito di Paolina Bonaparte, sorella di Napoleone. Alcuni storici dell’arte affermano che sia stato Napoleone a commissionare l’opera, ma in realtà è stato Camillo per la loro residenza al nord Italia. Mito: Il mito è il pomo della discordia, pomo d’oro che Paolina tiene in mano. Il mito racconta che sull’Olimpo, durante le nozze di Peleo e Teti (madre di Achille) arrivò la Dea della discordia, che non era stata invitata per paura che questa portasse scompiglio. La dea per vendicarsi portò questo pomo, con su scritto “Alla più bella”. A contendersi questo pomo c’erano Venere, dea della bellezza, Minerva, dea della guerra e della sapienza, nonché figlia di Giove, e Giunone, moglie di Giove. Le tre chiesero a Giove di scegliere una delle tre. Giove lasciò, invece, l’ingrato compito a Paride. Tutte e tre le dee offrirono a Paride qualcosa, affinché scegliesse una di loro. Minerva: promise a Paride di farlo diventare un valido guerriero e Troia avrebbe vinto tutte le battaglie in cui lui avrebbe partecipato Giunone: gli promise protezione Venere: gli promise l’amore della più bella. Paride, facendo vincere Venere, sceglierà l’amore di Elena, moglie di Menelao (fratello di Agamennone, re acheo forte e importante) che porterà con sé a Troia; è proprio per questo che Elena verrà chiamata “Elena di Troia”, oltre al fatto che fece scoppiare la guerra di Troia. La guerra di Troia finirà con la disfatta di questa, perché in aiuto dei Greci arriveranno Giunone e Minerva che volevano punire Paride per non averle scelte. Iconografia: Di conseguenza Paolina Borghese sceglie di essere rappresentata come Venere vincitrice. Alcuni storici d’arte dicono che lei abbia posato per Canova, e ciò era uno scandalo-> l’opera fu accettato solo perché Paolina si fa rappresentare come Venere (le divinità già erano state rappresentate nude). Paolina aveva molti amanti e un carattere esuberante, morì molto giovane, intorno ai 22/25 anni per un tumore al seno, per il marito che non amava (matrimonio di convenienza con Napoleone) e per l’oppressione del fratello. Paolina è semidistesa su un triclinio con legno intarsiato e con il pomo d’oro nella mano sinistra. Il busto è nudo, la parte inferiore del corpo è avvolta da una veste leggera, che la rende pudica e sensuale allo stesso tempo, conferendole una forte carica di erotismo. Le fattezze divine e il volto idealizzato sublimano Paolina, collocandola al di fuori della realtà terrena: è restituita alla dimensione umana solo grazie ad una patina rosa applicata sulla “pelle” della scultura per imitare l’incarnato e una parvenza di vita. Anche la capigliatura è tipica dell’antica Roma. Il triclinio su cui è semidistesa, veniva usato nelle sale da pranzo dove gli ospiti mangiavamo semidistesi. È un’opera molto realistica, Canova aveva la capacità di plasmare il marmo rendendolo quasi palpabile e morbido al tatto. La sua caratteristica più importante è l’eleganza, la grazia oltre al senso di leggerezza. Il materasso sembra essere realmente morbido e che, con tutto il suo peso, si pieghi, così come il cuscino. L’opera fu criticata dai suoi contemporanei perché il triclinio ha delle fattezze barocche: decorazioni lignee dorate, il senso di dinamismo del materasso e sul panneggio sottostante al materasso. Ebe Della statua esistono ben quattro versioni, autografe di Canova, oltre all'originale modello in gesso. La prima fu eseguita nel 1796 su commissione del conte Giuseppe Giacomo Albrizzi e venne inviata a Venezia poco prima della fine dell'anno 1799; successivamente venne ceduta al collezionista veneziano Giuseppe Vivante Albrizzi, il quale la morto doveva innalzare la vela, lui non lo fece e suo padre, Egeo, credendo che suo figlio fosse morto si suicidò nel mare che prende oggi il suo nome. Le tre grazie artista: Canova anno: 1814-17 conservata: Londra, Victoria and Albert Museum Le tre grazie appaiono come immagini purificate dall’istanza razionale ma intrise e palpitanti, sotto la luminosa epidermide, del calore dei sentimenti. Le tre figlie di Zeus che accompagnano Venere, e rappresentano la castità, la bellezza e l’amore, si mostrano abbracciate a formare un leggero movimento circolare a spirale, nel quale ognuna sembra contemplarsi nell’altra. Sono figure pure, sculture nella quali il perfetto equilibrio delle forme e la levigatezza degli incarnati esprimono l’atemporalità della bellezza e l’armonia che regna sulle passioni. Il monumento funebre neoclassico : il tema della morte è uno dei più frequentati dal Neoclassicismo, tuttavia il modo in cui viene affrontato differisce per molti aspetti del passato. Ciò è evidente nella tipologia del monumento funebre dove gli effetti spettacolari drammatici e il ricorso al macabro tipici del modello barocco cedono il passo a un’idea della morte come pacato riposo, accettazione religiosa della fine della vita. Monumento funerario per Maria Cristina d’Austria artista: Canova anno:1798-1805 conservato: Vienna, chiesa degli Agostiniani Il complesso statuario raffigura lo snodarsi di un corteo costituito dalla Pietà, recane l’urna con le ceneri della defunta, seguita da un gruppo di figure che rappresentano la Beneficenza mentre si dirige lentamente verso una piramide, il più antico monumento funerario. A un livello di significato più profondo, il gruppo allude alle tre età dell’uomo che procedono verso la tomba, cioè verso il significato ultimo dell’esistenza. Al lato opposto della piramide sta il Genio del Dolore, appoggiato al leone della Fortezza, mentre sopra la porta, il ritratto di Maria Cristina, incorniciato da un serpente che si morde la coda, emblema dell’immortalità, è sorretto dalla figura della Felicità. L’opera quindi offre una sintesi tra la visione classica e quella cristiana della morte: da una parte il corteo funebre ricorda la virtù romana della Pietas, dall’altra la porta verso la quale si dirigono i personaggi allude al mistero della morte, alla vita definitiva verso cui tendono i credenti. Ciò nonostante il momento del trapasso non inneggia alla speranza ultraterrena, ma sembra proporsi piuttosto come un tendere ineluttabile oltre la soglia della vita, accompagnata da infinita tristezza e nostalgia per la luce. Osservando le opere figurative del periodo, possiamo affermare che il Neoclassicismo ebbe un carattere sostanzialmente omogeneo. In pittura, artisti come Mengs, Appaini, preferirono dare spazio a soggetti storici edificanti che fossero esempi di virtù essenziali, di integrità, di coraggio ed eroico patriottismo. La nuova aspirazione etica si tradusse in una ricerca formale che rifiutava il modellato sinuoso, la brillantezza dei colori e ogni effetto illusionistico in favore di uno stile severo e sobrio che mirava a una chiarezza e purezza di sapore arcaico. Si privilegiarono il disegno lineare dai contorni netti e scarni e le stesure piatte di colori preferibilmente chiari e tendenti ai toni primari. Sul piano compositivo si optò per la veduta frontale e schemi prospettici semplici. JACQUES-LOUIS DAVID Riassume al meglio l’intera vicenda del Neoclassicismo pittorico. Dopo una giovanile esperienza Rococò, soggiornò a Roma dove venne a contatto con l’arte italiana del Rinascimento e con la scultura antica, maturando quel rigore e quella nitidezza formale che sono alla basa del suo classicismo. Nasce, vive e muore in un periodo fondamentale per la Francia, perché è il periodo della Rivoluzione Francese. Apparteneva ad una agiata famiglia parigina; il padre voleva che intraprendesse studi giuridici, ma fin da giovane si era interessato all’arte e alla pittura, infatti si iscriverà giovanissimo all’Accademia di Belle Arti a Parigi, dove sarà vincitore per ben due volte di una borsa di studio. Nel 1775 vincerà il Gran Prix de Roma, una borsa di studio che gli ha permesso di trasferirsi a Roma e viverci per due anni e in particolare sarà fortemente influenzato dalla collezione dell’arte classica vaticana (oggi collezione del museo Pio Clementino ai musei Vaticani). Proprio in questi due anni a Roma a modo di osservare e studiare da vicino le opere di Michelangelo, Raffaello, e otterrà anche un permesso speciale per visitare i Musei Vaticani. Alcuni storici d’arte sostengono che lui abbia trascorso notti intere davanti al busto dello stesso Michelangelo, che abbia osservato per notti intere la Pietà di Michelangelo per capirne i segreti, come per la stessa Cappella Sistina. Gli anni passati a Roma, influenzeranno molto la sua arte e quando tornerà a Parigi farà tesoro di tutti gli studi romani, che piaceranno molto alla corte parigina. Viene considerato il pittore della rivoluzione francese perché attraverso i suoi dipinti, di chiaro rifacimento classico, inserirà degli elementi tipici della rivoluzione francese. David quando ritornerà a Roma (pieno periodo rivoluzionario) si legherà fortemente a Robespierre, fautore della Rivoluzione Francese (diventerà suo fedele) e crederà fortemente negli ideali della rivoluzione. Per questo motivo verrà battezzato come pittore della rivoluzione francese, anche se con la condanna a morte di Robespierre, tradito dai suoi stessi compagni, ci sarà un declino politico di cui ne risentirà lo stesso David. loro le armi, perché sa che andranno a morire/oltre al peso delle spade) e l’amore di queste tre donne. -> elementi preromantici 2. Perché è un’opera neoclassica, ma da molti viene considerata un’opera di transizione, di passaggio tra il Neoclassicismo e il romanticismo, un’opera neoclassica che racchiude in sé gli ideali preromantici. Il neoclassico, in arte, è la rappresentazione della perfezione della forma, tutto ciò che è brutto viene completamente eliminato seguendo solo il Kalos Kai Agatos. Queste tre donne invece sono disperate, soffrono perché i loro cari stanno per andare a morire, ma la loro disperazione è composta, neoclassica, chiusa in sé: non vediamo le urla disperate, pianti, che si strappano i capelli o che mettono le mani sul volto, dando senso di disperazione, proprio come la Pietà di Michelangelo. Quindi anche nel dolore, nella disperazione di queste donne ci sono dei rifacimenti all’arte classica. L’intervento delle Sabine Artista: Jacques-Louis David Anno:1799 Conservato: Louvre, Parigi Il ratto delle Sabine è un quadro realizzato da David, quando uscì di prigione, perché coinvolto negli episodi della Rivoluzione francese. Questo quadro però non sembra avere alcun riferimento con il mondo francese del pittore: il celebre ratto fa parte della Roma antica. Il furto delle donne è narrato in tanti libri di storia. E narra di quando i romani, un giorno decisero di sottrarre le donne ai loro avversari sabini, tenendole per sé, come schiave e concubine. Se guardiamo il quadro, però, non sembra che ci sia un rapimento in atto, anzi, c’è una vera e propria battaglia: David infatti sceglie di dipingere la vendetta da parte dei sabini, i quali attaccarono i romani nel tentativo di portare indietro le loro donne. Sulla destra, in primo piano, c’è Romolo, il quale sta combattendo per fermare gli aggressori. A terra invece ci sono molti bambini, che impauriti, vengono protetti dalle donne o cercano di salvarsi. Sono proprio questi protagonisti innocenti che donano patetismo all’opera. Al centro dell’opera, con una veste verde, si può notare una donna anziana che si sta spogliando per mostrare il seno a Romolo, cercando di dissuaderlo da questo insensato conflitto. La donna cerca di appellarsi al suo valore materno, tentando di convincere Romolo, dimostrando di essere stata lei a crescerlo. È proprio l’amore il nucleo dell’opera: è stato proprio questo a permettere la crescita del popolo romano e le sabine, dopo aver creato delle famiglie e dei nuovi legami con il popolo di Romolo, non vogliono più tornare con i Sabini. In primo piano dunque abbiamo, Tarsio (capo dei Sabini) a sinistra, mentre a destra abbiamo Romolo (capo dei Romani); a dividere i due invece c’è Ersilia, moglie di Romolo. Le braccia di Ersilia sono perfettamente in asse con le braccia dei due eroi. Ersilia inoltre, risalta particolarmente nel dipinto grazie alla sua tunica bianca, alla sua pelle candida e alla luce che il pittore ha realizzato nella sua figura, non solo per il colore bianco, ma anche per il gioco di chiaro-scuro. Sono presenti linee oblique date dalle gambe dei nostri tre protagonisti (Tazio, Ersilia, Romolo) i quali sono ben piantati a terra, le figure principali hanno una certa monumentalità che è data dall’ordine e dall’equilibrio dell’impostazione geometrica del quadro. Nonostante le figure sullo sfondo risultino accalcate, mischiate e indistinguibili, David ha comunque seguito un preciso ordine nella composizione del dipinto. Infatti, da buon neoclassico qual è, riprende schemi e soggetti dell’età classica reinterpretandoli in chiave contemporanea. Tanto è vero che, il dipinto può essere bipartito in una parte inferiore e in un’altra superiore, nella prima viene ripreso il tema classico, dalla scelta dei soggetti alla coerenza con il vestiario non dimenticando la scelta del colore, nella seconda invece viene conferita grande importanza al paesaggio, il castello è ben rappresentato con linee e colori semplici mentre il cielo presenta una grande vastità cromatica, David ha adoperato molti colori senza però mischiarli e calcarli come avrebbe fatto il romantico Turner. Ad ogni modo il cielo che ci presenta David ha qualcosa di romantico, i colori freddi e mischiati in quel modo ci mostrano un cielo che rispecchia lo stato d’animo del popolo sabino afflitto dalla conquista romana. Tutte le donne sono portatrici di valori positivi, gli uomini invece sono impegnati a combattere fino alla morte, ignorando tutte le donne che non vogliono spargimenti di sangue, ma pace. In basso a sinistra, c’è una pietra con la firma dell’artista. Con questa tela David cessa di celebrare l’eroico sacrificio di sé ma si volge ad esaltare le ragioni della vita e della pace: il quadro è un invito alla riconciliazione nazionale, la convinzione della necessità di abbandonare gli odi e cessare la catena di sanguinose lotte intestine. Il dipinto non presenta più contrasti di luce e ombra, né le contrapposizioni cromatiche forti o le drastiche censure compositive che davano ai quadri precedenti il senso della severità romana. La scena, invece, possiede un’unità cromatica ottenuta dall’accordo delle tinte e da un controllatissimo uso del chiaroscuro. Anche la scelta di rappresentare i guerrieri nudi idealizzandone le forme è il risultato di un ripensamento sullo stile, che si orienta verso il recupero della purezza del linguaggio greco, il bello ideale e l’armonia come aveva teorizzato Winckelmann. Probabilmente David da buon pittore d’atelier qual era ha avuto modo di osservare i bozzetti di Leonardo Da Vinci in merito alla muscolatura dei cavalli; sulla destra del dipinto troviamo un cavallo che presenta un’eccellente resa anatomica e lo sguardo è invece tipicamente romantico, poiché è scosso in quanto sta percependo la tensione del momento. Lo studio delle opere di Leonardo Da Vinci emerge dall’uso dello sfumato che divide la parte inferiore del quadro da quella superiore. Ci sono principalmente due gruppi di personaggi, il primo comprende le figure che si trovano con Tazio, Ersilia e Romolo, il secondo è dato dai personaggi presenti vicino al cavallo. L’uso del chiaro-scuro e del colore dà volume alle figure. I colori giustamente prediletti dato il tema classico sono quelli caldi, quali, il rosso, l’oro, l’ocra, per quanto concerne il paesaggio sono stati prediletti colori freddi come l’azzurro, il blu, il verde. David oltre a riprendere Leonardo per i motivi suddetti, s’ispira anche all’ Incendio di Borgo di Raffaello. Le affinità tra i due sono date dalla scelta del tema classico, in particolar modo dalla scelta anche se diversa di un fatto che ha costituito la storia romana, nell’Incendio di Borgo di Raffaello troviamo Enea che porta sulle spalle il padre Anchise, questo simboleggia la nascita di Roma e della sua storia come l’evento delle Sabine avvenuto poco dopo. Inoltre, ambedue le opere presentano le donne che tengono strette a sè i bambini. Un altro confronto è possibile farlo con un’altra opera di David, vale a dire, il Giuramento degli Orazi. Qui le donne sono tre ed hanno un atteggiamento di compassione, sono molto pietose, classiche, impostate, monumentali; al contrario, nelle sabine la partecipazione e il coinvolgimento della popolazione femminile nel quadro delle sabine è ben presente. La figura di Ersilia è portatrice di pace tra i due popoli ed il tema dell’importanza della storia antica-classica e gli alti valori morali quali la gloria, l’onore e l’amor di patria sono portati in auge dal pittore con il suo dipinto. La morte di Marat Artista: Jacques Louis David Anno: 1793 Conservato: Bruxelles, Museo delle belle Arti “La morte di Marat” è un quadro simbolo della Rivoluzione francese e uno dei capolavori di David. È stato dipinto durante il regime del terrore e rappresenta in tratti scarni ed essenziali, l’assassinio di Marat. Quest’opera non è stata frutto di commissione ma David ha voluto realizzarla per fare un Capitolo 3 Verso il Romanticismo La linea protoromantica Negli ultimi decenni del Settecento in seno alla cultura illuministica l’affermazione del Neoclassicismo, andò di pari passo con l’emergere di esperienze artistiche e culturali che privilegiavano la sensibilità, l’immaginazione, l’interiorità, la libertà espressiva. Questa tendenza che anticipò il Romanticismo sia nell’estetica, sia nelle tematiche, intendeva l’arte come analisi introspettiva, espressione dei sentimenti e delle passioni. Ad aprire questa strada all’interno del pensiero illuministico su il filosofo francese del pensiero illuministico Rousseau, per il quale la dimensione qualificante degli esseri umani risiedeva nel sentimento e nell’interiorità della coscienza. Recuperare l’identità originaria dell’uomo significava indagare il mondo delle emozioni e le profonde dimensioni dell’io ambivalenti, ignote e irrazionali. In un’accentuata rivalutazione dei sentimenti si colloca anche il pensiero tedesco di Lessing che, in contrasto con Winckelmann, individuava nell’espressività ciò che dava valore alle arti figurative: lo provava il gruppo del “Laocoonte”, che non era solo rappresentazione armonica di forma, ma anche espressione psicologica di un dramma. Fondamentale fu il contributo di Burke con il concetto di “sublime” inteso come esperienza del bello indotto da emozioni soggettive che respingono ogni ragionamento e che sono legate all’ansia, allo stupore e alla commozione provocata da profonde tensioni. Interprete significativo della tendenza protoromantica è il pittore svizzero Füssli. Lui ricerca un “Bello sublime”, in chiara antitesi alla “quieta nobiltà e serena grandezza” che caratterizzava il bello ideale di Winckelmann. L’arte di Füssli è dunque espressiva e piena di phatos, fondata su forti contrasti di sentimenti, di luce e di ombra e di proporzioni, con i quali dà vita ai conflitti interiori più profondi e sonda la dimensione più oscura della personalità degli esseri umani. L’incubo Artista: Füssli Anno: 1781 Conservato: Detroit, Institute of Arts Il quadro in assoluto più famoso del pittore svizzero è “L’incubo”, tema a cui dedicò più versioni. La tela rappresenta insieme la persona che sogna e il contenuto del suo sogno, in una dimensione irreale che sfugge a qualunque coordinata spazio-temporale. La teatralità della scena è data dal corpo di una donna, violentemente illuminato, riversa sul letto con la testa e le braccia abbandonate all’indietro; seduta e accovacciata sopra la donna, vi è un’orribile creatura, personificazione dell’incubo (dal latino “incubus” che significa “essere che giace sul dormiente), mentre da una cortina si affaccia il muso spettrale di un cavallo dalle pupille cieche, anch’esso raffigurazione della parola inglese “incubo” (nightmare, composto da “night” notte, e “mare”, giumenta). Accanto alla donna è rappresentato un tavolino sul quale ci sono alcuni oggetti: una fialetta, uno specchio e un libro. Qual è il significato di questa bellissima ed enigmatica opera? Probabilmente, oltre ai rimandi simbolici legati all’incubo, c’è anche una simbologia legata all’amore perduto. Qualche anno prima di dipingere il quadro, Füssli era innamorato di una donna, Anna Landholdt, nipote del suo caro amico Johann Kaspar Lavater che, nonostante i rapporti con l’artista, si oppose vivacemente quando egli propose ad Anna di sposarlo. La giovane finì per sposare un amico di famiglia, fatto che spezzò il cuore di Füssli, il quale – probabilmente a seguito della cocente delusione – ha eseguito il quadro. La donna quindi potrebbe essere Anna, il demone lo stesso artista che non intende allontanarsene. Sul retro della tela c’è un ritratto incompiuto di una donna, altro elemento che ci riconduce alla sua innamorata. Se Füssli indaga gli abissi dell’interiorità, il poeta e pittore William Blake si abbandona al potere dell’immaginazione creando visioni fantastiche dense di simboli e allegorie. Autore di grande complessità e di vasta cultura, trasse dai testi letterari i soggetti per i suoi dipinti, che si potrebbero definire di natura concettuale. Influenzato da Füssli, si muove in uno stile che rifiuta ogni convenzione e modello e opta per un linguaggio visionario, antinaturalistico, ricco di simboli e allegorie. Al dominio della ragione proclamato dall’Illuminismo, Blake opponeva la fantasia come recupero dell’autentica e originaria natura dell’uomo. Egli era, quindi, più interessato ad esprimere piuttosto che a rappresentare, creando un mondo che non è quello della realtà, bensì quello generato dalla mente. Jean-Auguste-Dominique Ingres La pittura di Ingres si presenta come un momento di sintesi tra Neoclassicismo e Romanticismo. Allievo di David, si formò in Italia dove assorbì la lezione classica e quella rinascimentale, soprattutto di Raffaello, dal quale fu profondamente influenzato. Il Neoclassicismo di Ingres è evidente nella fedeltà ai valori di purezza, equilibrio e chiarezza della linea. Allo stesso tempo, Ingres tradisce dall’interno l’insegnamento di David, in quanto i suoi colori sono pallidi e delicati, la composizione lineare è plastica e complessa, la profondità è quasi assente e i moduli della rappresentazione realistica convivono con quelli di una rappresentazione idealizzata. Edipo e la sfinge Artista: Ingres Anno: 1808 Conservato: Museo del Louvre, Parigi Il tema classico è affrontato secondo i modelli dello stile neoclassico nel purismo arcaico del disegno e nella bidimensionalità tipica degli antichi bassorilievi; tuttavia l’episodio non comunica nessuna verità di carattere universale o etica, bensì tocca aspetti inquietanti dell’animo umano. L’antichità di Ingres non è più eterna e serena primavera, come negli autori neoclassici, ma un mondo fatto di ombre, cupe divinità, di decisive domande esistenziali. Mito: La storia di Edipo è molto complessa e ricca di episodi, uno tra questi quello della famosa Sfinge e dei suoi indovinelli. La Sfinge era un mostro per metà donna e per l’altra metà leone che funestava la città di Tebe. Re di questa città era Creonte, il quale stanco della presenza della Sfinge nella sua città, decide di dare in sposa la figlia Giocasta a colui il quale fosse riuscito a rispondere al terribile indovinello della Sfinge; se la ricompensa di riuscita sarebbe potuta risultare allettante, dall’altra parte tutti coloro che avevano tentato e non avevano saputo rispondere correttamente all’indovinello, erano stati divorati dal terribile mostro. L’indovinello della Sfinge era questo: “Quale è l’animale che di Erede della grande tradizione del Seicento soprattutto spagnolo, la pittura di Goya fin dagli esordi rivela un’adesione critica ai modelli del linguaggio neoclassico dominante negli schemi compositivi frontali, nell’uso dello spazio bidimensionale e nella stilizzazione delle immagini. La svolta radicale data degli anni Novanta del XVIII secolo, quando Goya elaborò una pittura fondata sulla centralità del mondo interiore dell’artista e sulla libertà espressiva. Per Goya l’arte ha una funzione conoscitiva e dipingere significa rappresentare la propria soggettiva visione del mondo, riproducendo non tanto la forma quanto lo spunto di un evento, di un gesto o di un essere. Pur aderendo alle istanze razionaliste dell’Illuminismo, Goya vede nella ragione lo strumento per rivelare gli abissi nell’intimo di ciascuno, dare forma ai fantasmi che ci abitano, illuminare le zone dell’irrazionalità della natura umana, l’inquietante e bestiale mondo degli istinti. Il pittore quindi scorge tra la ragione e la dimensione profonda dell’animo una continuità, una dialettica che non si deve “rimuovere”, ma riconoscere e esplorare. I Capricci e l’immersione nell’inconscio Di questa rivoluzionaria scoperta artistica sono un esempio “I capricci”, una raccolta di 80 incisioni ad acquaforte accompagnate da didascalie, realizzate probabilmente tra il 1797 e il 1798 sul tema delle menzogne, dell’ignoranza, dei pregiudizi e delle superstizioni radicate nella società. Il sonno della ragione genera mostri Artista: Goya Anno: 1808 Conservato: Kansas City, Nelson-Atkins Museum of Art La tavola reca come didascalia “Il sonno (sueno) della ragione genera mostri”, dove il termine spagnolo “sueno” ha il duplice ambiguo significato di “sonno” e di “sogno” a suggerire che la ragione produce idee, ma anche incubi e angosce. L’immagine è di grande forza comunicativa: un uomo al tavolo, sprofondato nel sonno, è assediato da un enorme gatto, civette, pipistrelli ovvero dai “mostri” che, emergendo dalla profondità della pagina, giungono a svolazzargli attorno e sederglisi accanto. La rinuncia alla rappresentazione della realtà visibile si trasforma in rinuncia alle regole e alle convenzioni: mancano le coordinate spaziali, le distanze sono abolite e ogni punto di riferimento cancellato; le figure umane sono trasformate, ogni criterio di verosimiglianza e di adesione alla legge di gravità è perduto. Il clima allucinato è reso dall’ampio ricorso dell’acquatinta sulla lastra incisa. Questa tecnica infatti, permette a Goya di agire in maniera più espressiva sulle modulazioni di toni, creando effetti chiaroscurali decisi e onirici, profondamente diversi da quelli tradizionali impostati sul solco lineare del tratteggio realizzato con il puntello. Le pitture “chiare” e le pitture “scure” Con Goya siamo davanti ad una doppia vita: da una parte c’è l’uomo ufficiale, calato nella realtà del suo tempo, rispettoso delle regole sociali, il “pittore di camera” del re che esegue ritratti per la corte e il suo pubblico; dall’altra si ha la dimensione privata, isolata e sofferente, concentrata in una ricerca espressiva libera da esigenze e gusti esterni. Ciò si riflette anche nella pittura dove, dai Capricci in poi, si assiste ad una frattura interiore che porta Goya a seguire due filoni di pittura diversi: una “chiara” legata alla realtà, dai colori luminosi, conforme alla tradizione, aperta al gusto del pubblico, e l’altra “nera”, rivolta all’analisi del profondo e tesa a cogliere le forme dell’immaginazione. Al filone “scuro” appartengono gli album di disegni e le tele sul tema dell’incubo, della follia, delle superstizioni popolari, dove un universo di demoni, spettri e streghe danno forma ai fantasmi propri dell’inconscio dell’autore. Il parasole Autore: Goya Anno: 1777 Conservato: Prado, Madrid Appartiene al filone “chiaro”, che contiene in sé i tratti distintivi di questa pittura: il tema della giovinezza, colta nei suoi aspetti gioiosi e seducenti, il luminoso paesaggio di sfondo, il gusto realistico per la riproduzione di abiti e gesti, il segno veloce e sciolto della pennellata che dà vita a figure intrise di luce, la raffinatezza cromatica, la grazia settecentesca. Il Parasole era in origine il cartone (disegno), destinato a diventare un arazzo per una sala da pranzo. Infatti Goya nel 1774 fu incaricato di realizzare cartoni per l’Altezza reale di Spagna. L’Artista portò poi avanti questa attività per 18 anni. Una giovane donna siede sul prato con un cagnolino accucciato sul grembo. Il suo abito è leggero ed elegante. Il corpo magro è stretto da un corsetto azzurro fermato da un grande fiore mentre sulle spalle indossa un mantello. Il giovane guarda felice la ragazza e le offre l’ombra di un ombrellino. I capelli del giovane sono raccolti da un copricapo morbido e indossa abiti comodi da campagna ma eleganti. A sinistra un muro fa da sfondo alla figura della ragazza mentre a destra si apre un arioso paesaggio con alberi. L’inquadratura riprende i due personaggi in posa dal basso. La loro immagine quindi nonostante sia ambientata all’aperto assume una importanza monumentale. La ragazza e il suo accompagnatore formano un triangolo compositivo che arriva a toccare il bordo superiore del dipinto. Il gusto con il quale è stato progettato il cartone intitolato Il Parasole è decisamente Rococò. Le pennellate veloci creano un’immagine solida ma appena abbozzata nelle vesti e nel paesaggio. Sono Rococò infatti il tema leggero e la modalità di esecuzione. Maja vestida e Maja desnuda Autore: Goya Anno: 1800 (desnuda) 1800/1808 (vestida) Conservato: entrambe al Prado di Madrid Maja desnuda: La giovane nuda ritratta nell’opera osserva con sicurezza priva di pudore in direzione dell’osservatore. La modella è distesa con il capo a sinistra dell’opera e con le mani incrociate dietro la nuca. I suoi capelli ricci e scuri cadono liberi ai lati del viso e le gote sono arrossate e piene. Il divano che la ospita è ricoperto da un tessuto di velluto di colore verde. Inoltre la parte superiore del corpo poggia su due cuscini foderati con tessuto chiaro decorato con tulle leggere. Infine un lenzuolo copre la parte sinistra del divano sulla quale poggiano le gambe della fanciulla. Il colore caldo e chiaro della pelle della giovane viene esaltato dalla biancheria chiarissima e dal verde del divano. Anche lo sfondo presenta un colore quasi uniforme sul verde-grigio sebbene più in ombra ai bordi. Il corpo nudo della donna dipinta emana una luminosità propria che crea un forte contrasto con lo sfondo. Inoltre l’incarnato di colore rosa è ulteriormente valorizzato dal contrasto di complementarietà con il velluto verde. La compagna di Saturno, Rea, addolorata per la sorte dei suoi figli, elaborò un piano: all’arrivo dell’ultimo bambino, chiamato Zeus, invece di darlo in pasto a Crono, lo sostituì con un sasso. Saturno venne ingannato e Zeus venne inviato su un’isola al sicuro. Diventato grande e conosciuta la sorte dei suoi fratelli e sorelle, decise di affrontare suo padre e lo sconfisse, liberando tutte le vittime che Crono aveva divorato: le nuove divinità si allearono e crearono l’Olimpo. L’artista ha dipinto il momento più cruento di tutto il mito, ovvero mentre è impegnato a divorare uno dei neonati partoriti da Rea. Si tratta di un lavoro molto violento e con dei dettagli cruenti: se guardiamo il bambino, possiamo renderci conto che la vittima è ormai priva di un braccio e della testa, mentre sgorga molto sangue. Se spostiamo l’attenzione su Crono, invece, si può notare che ha i capelli lunghi e grigi e gli occhi spalancati, come se ormai fosse privo di ragione e compisse questi efferati omicidi senza più pensarci. Attorno ai due protagonisti non si vede nulla, è tutto buio, eccetto per l’unica fonte di luce che, è rappresentata dal corpo pallido della vittima. Ci sono diverse ipotesi di lettura di quest’opera di Goya, ed ecco quali sono le più accreditate:  Secondo alcuni il rapporto tra Crono ed i suoi figli potrebbe essere collegato al conflitto tra gioventù e la vecchiaia. Il giovane con il passare del tempo si trasforma in vecchio (rappresentato da Saturno), il quale distrugge il passato, portando catastrofe ed eliminando qualsiasi traccia.  Altri critici invece si sono concentrati sull’insaziabile fame di Crono: questo infinito appetito potrebbe rappresentare allegoricamente la Spagna (qui nelle vesti di Saturno), che spazza via la vita dei propri cittadini per mezzo della guerra civile che imperversava e per i conflitti passati.  Degli studiosi invece hanno messo in parallelo il rapporto di Crono con i figli con quello del pittore Goya con suo figlio Xavier (era l’unico sopravvissuto alle guerre ed alle malattie). Questo quadro potrebbe alludere a delle possibili difficoltà che si stavano manifestando ultimamente nel loro rapporto. Sabba Artista: Goya Anno: 1820-23 Conservato: Prado, Madrid Secondo alcune credenze di origine medioevale le streghe erano solite riunirsi periodicamente in convegni notturni presieduti dal demonio. Durante tali incontri, chiamati sabba, venivano compiuti riti blasfemi e ci si lasciava andare a pratiche orgiastiche di ogni tipo. A tali raduni le streghe vi giungevano in volo cavalcando animali o bastoni. Goya ha dipinto questa riunione delle streghe come una sorta di scena allegorica, ovvero una rappresentazione immaginaria di ciò che avviene nell’animo umano: c’è da una parte il lato mostruoso, dell’orrore e della violenza e dall’altro c’è l’umanità, il bene e la pace. Queste due facce della medaglia coesistono nell’uomo, e, per la prima volta, il male in questo quadro non è rappresentato da un fattore esterno, ma è interiore e nella psicologia dell’essere umano. Al centro del Sabba c’è un caprone, simbolo del diavolo. Però nel quadro questo soggetto non ha alcun particolare satanico, è mansueto, pacifico. Il male in quest’opera non è infatti rappresentato dall’animale, bensì dalle donne e dagli uomini che lo circondano: guardando beni i loro volti infatti, sembrano più dei demoni che degli uomini. I partecipanti a questa riunione di streghe, stanno offrendo alla capra dei bambini per qualche sorta di rito satanico. Concentrando la nostra attenzione sul bambino offerto, notiamo che anche lui non si salva dalla malvagità ed è infatti privato della sua innocenza e viene dipinto come un cadavere. Con questo quadro, quindi, Goya vuol dire che il male è una caratteristica presente in ogni essere umano e non è un demonio esterno ed indipendente dall’uomo. 3 maggio 1808 (o Le fucilazioni) Artista: Goya Anno: 1814 Conservato: Prado, Madrid La tela è ispirata a un episodio del 1808 quando, durante la campagna di Napoleone in Spagna, il generale Murat dette l’ordine di catturare e fucilare i popolani che nelle strade di Madrid si erano ribellati all’invasione francese. Goya aveva già affrontato il motivo della fucilazione ne “I disastri della guerra”, una raccolta di incisioni sul tema della violenza e della disumanità dei conflitti bellici. Per il pittore la guerra è priva di ogni grandezza e idealità, come dimostrano nella tela i soldati francesi che, paradossalmente, uccidono in nome dei nobili valori di fraternità, libertà e giustizia: il 3 maggio è la rappresentazione di un massacro, non di uno spettacolo eroico. La composizione ha una struttura a fregio, rigidamente orizzontale: le figure sono disposte quasi senza soluzione di continuità, quelle delle vittime e quelle dei carnefici ordinate in file oblique parallele che si fronteggiano, disposte di traverso rispetto all’osservatore. Su questa dimensione orizzontale Goya allinea i personaggi e gli elementi del quadro su una serie di assi verticali secondo un reticolo regolare. La drammaticità della composizione è data dalla contrapposizione tra il gruppo dei soldati e quello dei condannati, che risalta luminoso sullo sfondo appena accennato e in ombra. Le vittime, disposte in modo dinamico, ci mostrano i volti, le mani e i corpi ridotti a pochi tratti validi a esprimere la paura, l’orrore, la morte. Di contro i fucilieri sono raffigurati come un’ordinata e compatta teoria di figure: visti di spalle, senza volto, uguali nelle loro uniformi, sembrano più manichini che uomini. Nella tonalità scura dominante i due gruppi sono illuminati da una grande lampada che da terra proietta la sua luce gialla a fascia, sull’evento centrale. I contrasti cromatici forti e le opposizioni tra luce-ombra, immobilità-movimento e indifferenza-terrore, esprimono con angoscia l’intensa drammaticità e assurdità dell’evento. La scena è percorsa da una vasta gamma di sentimenti, dalla paura alla disperazione allo sgomento, fino all’accettazione del martirio, esemplificata dall’uomo che spalanca le braccia in gesto di crocifissione, mentre la sua camicia bianca (quasi fonte di luce autonoma) si fa simbolo della purezza del martire. ROMANTICISMO Ci troviamo nel XIX secolo e con il termino romanticismo si fa riferimento ad un movimento culturale che si sviluppa nell’800. Il Neoclassicismo e il Romanticismo sono due movimenti completamente diversi perché il neoclassicismo riprende le caratteristiche dell’arte classica greca e romana, fa propri gli ideali di perfezione, di purezza, di forma, non bada sicuramente ai sentimenti ed è dunque una corrente artistica che bada più all’icona grafica che all’iconologia. In David abbiamo visto degli elementi preromantici, caratteristiche che anticipano quello che poi sarà il romanticismo. Le caratteristiche sono in primis l’esaltazione dei sentimenti: in David abbiamo visto l’esaltazione dei puri sentimenti, come l’amor di patria; in realtà il romanticismo prevede l’esaltazione di TUTTI i sentimenti, che siano positivi o negativi (buoni sentimenti e cattivi sentimenti). Periodo storico: ci sono delle situazioni storiche, politiche, sociali che hanno portato a dei cambiamenti; l’800 è conosciuto anche il secolo della rivoluzione industriale. Il tutto nasce con la sconfitta a Waterloo di Napoleone Bonaparte e nel 1815 che è la data del congresso di Vienna: è storicamente importante perché ripristina gli antichi regimi, cioè riporta sul proprio trono tutti quei sovrani che erano stati spodestati da Napoleone, quindi cambia nuovamente l’aspetto geopolitico dell’Europa. Periodo di rivoluzione, di cambiamento, ma è il periodo di una nuova coscienza politica da parte di una classe sociale che comincia ad essere padrona nell’800, la borghesia, che inizia ad avere il potere politico ed economico, non sono più i nobili ad essere padroni, ma lo sono i borghesi tramite le attività commerciali. Anche l’operaio acquisisce coscienza di sé e cominciano a nascere i sindacati, gli scioperi, i moti rivoluzionari. la proporzione tra cielo e paesaggio ampliando la prima, colloca in primo piano in controluce figure umane, spesso di dimensioni piccole e unisce vastità della visione degli spazi e nitidezza dei particolari. Inoltre costruisce i suoi paesaggi su rigorose strutture geometriche e predilige una veduta frontale collocando lo spettatore sull’asse centrale dell’immagine. Il viandante sul mare di nebbia, o anche, il viaggiatore in un mare di nebbia, è un’opera che è stata a lungo studiata: al centro della composizione di Caspar Friedrich, si erge un uomo misterioso: indossa un soprabito verde scuro, i suoi capelli sono mossi dal forte vento, e nella mano destra, prestando attenzione, si può notare la presenza di un bastone da passeggio. Il significato non è ancora ben chiaro: riguardo la sua identità, ci sono diverse ipotesi che sono state avanzate; tra le più avvalorate, c’è quella che vede il protagonista, che sta volgendo lo sguardo su un’immagine del mare più bella di sempre, con le fattezze del colonnello sassone Friedrich Gotthard von den Brinken, un ormai defunto amico del pittore. La nebbia che avvolge il panorama davanti al protagonista, è talmente fitta, da ricordare addirittura, il mare di ghiaccio; a spezzare questa apparente “barriera” naturale, in lontananza, ci sono alcune vette e su alcune di queste, spicca anche qualche albero. Volgendo lo sguardo ancora più in lontananza dal viandante in un mare di nebbia, verso l’orizzonte, si nota che il cielo arriva a fondersi con il manto nebbioso. L’abilità di Friedrich pittore è eccezionale: potrebbe sembrare, che questo capolavoro possa essere stato realizzato dal vivo, con un modello che abbia posato per l’artista sulle montagne, ma in realtà non è così; il pittore, infatti, ha dipinto questa celebre composizione in studio, ma nonostante ciò, ha riprodotto fedelmente le montagne della Boemia, ed in particolare dell’Elbsandsteingebirge. Nel viandante sul mare di nebbia Friedrich, la curiosa scelta di rappresentare il protagonista di spalle è volontaria: attraverso questo artificio, l’osservatore tende ad immedesimarsi nel viandante, dando l’illusione di trovarsi in prima persona, davanti a questo spettacolare panorama. I colori utilizzati nella composizione sono vari e mescolati tra loro: il blu, grigio, rosa e giallo, sono stati utilizzati per la resa del manto nebbioso, mentre per le rocce, l’artista ha preferito stendere colori opachi e tonalità, che ricordassero il mondo della terra. Inoltre, nella resa della scena, il pittore, ha utilizzato due tecniche differenti: ha dipinto con precisione e durezza la parte con l’uomo e le rocce, mentre ha optato per una resa più liquida e vaporosa, per la sezione della nebbia e del panorama. L’opera, rappresenta uno dei quadri più eloquenti ed importanti per quanto riguarda il sublime significato: il misterioso protagonista, contempla l’infinito mare di nebbia, provando una sensazione mista tra paura e piacere davanti alla maestosità della natura. Monaco in riva al mare Artista: Friedrich Anno: 1808-09 Conservato: Berlino, Alte Nationalgalerie Nell’opera il contrasto tra la figura umana e il paesaggio non potrebbe essere più forte. Il senso di infinito del dipinto è raggiunto attraverso la rarefazione della forma e la massima essenzialità degli elementi pittorici del colore; sono tre le zone del dipinto: una sottile superficie chiara in basso (la spiaggia), una livida zona color verde-azzurro-nerastro, percorsa da accenti biancastri (tra cui la testa del monaco) e la luminosa zona azzurra, il cielo e le nuvole, che occupa i tre quarti della superficie pittorica, e che ha i caratteri dell’immaterialità e dell’informe. In questo vuoto che è astrazione pure, l’unico elemento verticale è il viandante sulla spiaggia che, volgendoci le spalle, ci costringe ad identificarci con lui e a guardare ciò che lui guarda. Théodore Géricault La pittura di Gericault segna il momento decisivo di passaggio dal Neoclassicismo al Romanticismo, di cui incarna le caratteristiche formali e lo spirito emotivo, che prenderà forma anche nell’opera di Delacroix. Sullo sfondo di un’arte che non sia solo consolatoria, ma scuota i sentimenti dello spettatore, il lavoro di Gericault si caratterizza per l’energia che si trasforma in spinta all’azione drammatica, la sensibilità acuta per le sofferenze degli uomini, la passione per la realtà e la tensione all’ideale e all’assoluto. L’ufficiale dei cavalleggeri Artista: Gericault Anno: 1812 Conservato: Parigi, Louvre Fu la prima opera significativa di Gericault, in cui dominano il movimento e la tensione drammatica. Il dipinto mostra il cavaliere napoleonico che si lancia in battaglia su un destriero fiero, mentre si volta verso i soldati per incitarli alla carica. La forte energia che l’immagine comunica è raggiunta da una complessa struttura compositiva: le principali linee di direzione attraversano il quadro da un angolo all’altro incontrandosi nel punto in cui il cavaliere siede sul cavallo. La posizione dell’ufficiale e del cavallo è impostata sulla forma del numero otto, con il punto di intersezione dove siede l’uomo. Una tensione ulteriore è data dalle linee di spinta dei personaggi: il cavaliere si gira indetro con una così forte torsione del corpo che il movimento del cavallo si spinge in senso opposto alla direzione dello sgurado del cavaliere; inoltre mentre il cavallo si lancia al galoppo in profondità nel quadro, il gesto del braccio con la spada si dirige verso l’osservatore. Anche lo sfondo, dove infuria la battaglia e il cielo, sono costruiti sulle diagonali. Ciò che conferisce stabilità a questa struttura dinamica è la posizione verticale del busto e della testa dell’uomo in linea con il garretto della zampa destra posteriore del cavallo. Al dinamismo della composizione concorre anche la diversità di trattamento pittorico delle parti: dettagliato e nitido quello dell’ufficiale e del cavallo, più generico quello dello sfondo. Il romanticismo francese Il romanticismo ha delle caratteristiche proprie che sono similari per tutti ma assume delle caratteristiche proprie a seconda del paese in cui si sviluppa (idea di nazione, rifacimento al medioevo, esaltazione del phatos). In Italia si svilupperà il romanticismo storico, in Germania e Inghilterra il romanticismo paesaggesco (il paesaggio che diventa protagonista). Per quanto riguarda il romanticismo francese il principale esponente è Géricault. Il realismo francese è la rappresentazione nuda e cruda della realtà in cui l’artista vive però sotto forma di denuncia sociale, cioè sono delle opere che denunciano la società del suo tempo, perciò non è una semplice rappresentazione di quello che sta accadendo in Francia, ma una vera e propria denuncia sociale La storia e gli oppressi L’attenzione alla realtà contemporanea e agli uomini travolti dalla storia è espressa in molti lavori che Géricault dedica al tema della sconfitta napoleonica, a fatti di cronaca o alla miseria della nuova realtà sociale nata con la rivoluzione industriale. L’interesse per gli oppressi è alla radice sia di un gruppo di dodici litografie realizzate durante un soggiorno in Inghilterra, sia dei dieci ritratti di alienati (cinque sono perduti, i restanti sono conservati in vari musei d’Europa e d’America) dipinti tra il 1822 e il 1823 su incarico dell’amico e medico parigino Georget (psichiatra). In questa serie l’introspezione romantica di uno stato d’animo, si fonde con l’osservazione realistica delle fisionomie dei malati, i cui ritratti colpiscono per il turbamento, la solitudine del volto umano abbandonato dalla ragione, la sofferenza per il destino patito dell’essere umano. Gli alienati di Géricault non hanno gli atteggiamenti eccessivi e animaleschi dei pazzi di Goya: esprimono con lo sguardo mitezza e sensibilità, mantenendo la propria dignità umana. La novità consiste nel fatto che Géricault, attraverso ritratti di grande realismo, comunica anche un senso di intima e rispettosa comprensione per i destini di persone instabili ed emarginate: un’attitudine sorprendente per l’epoca. Queste 10 tele sono di piccole dimensione (71*58 cm) e dovevano decorare le pareti della sala d’aspetto dello studio dell’amico psichiatra. La barca di Dante Anno: 1822 Conservato: Louvre, Parigi Omaggio abbastanza esplicito a “La zattera della medusa” per il trattamento classicheggiante dei nudi e la struttura compositiva a piramide. Il dipinto è romantico non solo per la scelta del soggetto, preso dal Medioevo fantastico, visionario, spirituale della Divina Commedia, ma soprattutto per l’animosità e l’intensità dell’azione drammatica con la quale è rappresentato. Sono ritratti tre personaggi che si trovano a bordo di una piccola imbarcazione. Uno di loro indossa un abito verde con un cappuccio rosso. Il suo compagno è avvolto in un mantello marrone e porta sul capo una corona d’alloro. Il conducente invece è voltato di schiena e porta un mantello azzurro intorno al corpo nudo. Oltre il corso d’acqua a sinistra si intravedono le mura di una città in fiamme. In basso, tra le acque della palude alcune figure umane attaccano la chiglia della barca. Il personaggio vestito di verde solleva le braccia e sembra turbato dalla vista dei dannati che sorgono dall’acqua. L’altro viaggiatore invece gli afferra la mano sinistra e sembra volerlo rassicurare. I dannati che si agitano nell’acqua scura manifestano la loro rabbia aggredendo i compagni e azzannando il legno dell’imbarcazione. Delacroix prese riferimento dall’ottavo canto dell’Inferno di Dante Alighieri come descritto nella Divina Commedia. I protagonisti del dipinto di Delacroix sono Dante Alighieri e il poeta latino Virgilio. Sull’imbarcazione Flegias traghetta i due visitatori oltre lo Stige, verso Dite, la città infuocata. Dante e Virgilio si trovano in primo piano su di una imbarcazione che traversa lo Stige. Flegias, il custode della palude del quinto cerchio infernale, conduce la barca. Nel dipinto è rappresentata la città di Dite, circondata dalla palude, cinta da mura di metallo incandescente. I dannati che attaccano l’imbarcazione sono iracondi e accidiosi che scontano la loro pena eterna nella palude. Dante alla vista dei dannati che emergono dalla melma sembra intimorito Virgilio quindi lo conforta. Tra i dannati si vede il fiorentino Filippo Argenti. Flegias è un personaggio della mitologia greca. Era figlio di Atrace o di Ares. La madre invece si chiamava Crise, figlia di Almo e sorella di Crisogeneia. Flegias fu re dei Lapiti. Secondo il principale mito greco il sovrano era padre di due figli, Coronide e Issione. Apollo sedusse e mise incinta Coronide. Per vendicarsi del Dio Flegias tentò di incendiare il tempio di Delphi consacrato proprio al dio greco. Apollo così trapassò di frecce il corpo del re e lo scaraventò nel Tartaro. La sua condanna fu quella di rimanere per l’eternità nel luogo tenebroso sotterraneo con un masso sospeso sul capo. Dante Alighieri inserì il personaggio di Flegias nell’0ttavo canto dell’Inferno per prestare aiuto ai due viaggiatori. Il poeta non descrisse le sue sembianze e quindi non è possibile stabilire se sia un demonio. Quindi Delacroix lo rappresentò come un uomo anziano, nudo e dai capelli lunghi e neri. Il suo volto però non è visibile perché è rivolto di schiena nei confronti dell’osservatore dell’opera. Secondo una attenta lettura del passo di Dante, Flegias non è il traghettatore delle anime. Piuttosto potrebbe essere colui che le getta nella palude. Delacroix intensifica l’immediatezza della scena attraverso le espressioni di sorpresa, l’orrore, i gesti istintivi dei personaggi; allo stesso tempo esaspera il clima infernale dell’ambientazione con macchie di colori dai toni violenti, vampate, iridescenze che illuminano l’oscurità dello Stige. La scena turbolenta e drammatica recupera non solo il quadro di Géricault ma anche il Michelangelo epico del “Giudizio Universale” e i moti curvilinei delle figure di Rubens. Il massacro di Scio Anno: 1824 Conservato: Louvre, Parigi Racconta un tragico episodio della lotta d’indipendenza del popolo greco contro i turchi: la strage della popolazione locale e la distruzione del villaggio di Scio. L'opera è composta da uno schieramento di figure contorte e compresse tutte in primo piano per ottenere l'esaltazione completa di colore e luce. L'uomo morente sostenuto dalla donna, la vecchia michelangiolesca (rinvio alle sibille della Sistina), la madre morta, la donna nuda, le figure subito dietro, sono tutte affiancate tra loro e pressate in uno spazio ristretto. In questo modo il pittore evita il più possibile le parti in ombra, che obbligano il colore a smorzarsi. Delacroix fa in modo che i gruppi si pongano tutti in piena luce, senza proiettare ombre uno sull'altro, così i colori restano più vivi e aumentano i contrasti. Ai contrasti cromatici si aggiungono i contrasti delle situazioni emotive: Delacroix mescola orrore e tenerezza, violenza e sensualità. Da notare l'immagine voluttuosa della donna nuda sul cavallo: è usata anche per far risaltare la luminosità dell'incarnato contro il mantello più scuro del cavallo. Tutto il quadro è costruito con sagome dai profili netti e zone di colore contrastanti. Queste componenti mostrano anche la conoscenza dell'opera di Goya, rinviano ai Disastri della guerra e al senso dell'orrido e della violenza, tipiche della pittura del grande maestro spagnolo. La morte di Sardanapalo Anno: 1827 Conservato: Louvre In questo quadro, Delacroix affronta un soggetto biblico ma riletto attraverso l’omonima tragedia di Byron: il mondo della Bibbia appariva all’artista selvaggio e primordiale, tale da autorizzare effetti eccessivi e caricati. Il pittore stravolge i criteri tradizionali della pittura con una scena sensuale e drammatica nella quale una massa caotica di personaggi e di dettagli è organizzata spazialmente in una fuga prospettica che ha il suo vertice nel volto impassibile del protagonista. In quest’olio su tela vediamo raffigurato l’ultimo re assiro Sardanapalo che resosi conto della fine del suo potere decise di morire insieme alle sue ricchezze (concubine, schiavi, cani, cavalli). Il dipinto è costruito sulla diagonale che inizia dalla testa del re, passa per la testa della concubina accasciata sul suo letto e delle altre due che si trovano ai piedi del letto. La composizione è piramidale, al vertice troviamo la donna posta in penombra dietro il letto di Sardanapalo con le braccia alte e le mani legate mentre la base è rappresentata a sinistra dal cavallo bianco pieno di ornamenti e a destra dai gioielli e dalle pietre del re. Il tema dell’esotico, prima citato, non è il solo a rendere il dipinto romantico. Tra gli altri troviamo, la ricchezza scenica data dalla numerosità dei personaggi, dall’uso del colore, dalla cura e dall’attenzione per i dettagli e i particolari. Bisogna anzitutto notare che l’accostamento dei colori con le loro sfumature (rosa, rosso, bianco, giallo) usati per rappresentare i personaggi e gli oggetti che si trovano lungo la diagonale conferiscono una grande luminosità; mentre ciò che si trova nella parte inferiore della diagonale pur essendo ricco nei dettagli è “pieno” di personaggi risulta più spento data la scelta di accostamenti di colori come il marrone con le sue tonalità, del rosso e del verde. La parte superiore alla diagonale è particolarmente tetra, il che riflette l’inquietudine tipicamente romantica dell’epoca (che il tedesco Friedrich con la sua “Abbazia nel querceto” del 1809 ha saputo rappresentare al meglio), la scelta cromatica dell’artista è ricaduta principalmente sul nero seppur con qualche sfumatura di rosso che indica l’inizio dell’incendio. Particolare attenzione ha avuto Delacroix rispetto all’espressione facciale dei personaggi. Il re dall’alto del suo letto osserva inerme ed impassibile l’uccisione ed il rogo delle sue ricchezze, lo sguardo del cavallo è inquieto e pauroso rispetto a quello dell’uomo minaccioso e rabbioso che sta per ucciderlo, la concubina accasciata sul letto è palesemente morta mentre quella ai piedi del letto sembra stia quasi per pronunciare le sue ultime parole, al contrario la concubina ai piedi del letto, tenuta per un braccio da un uomo al servizio del re, sta osservando il coltello che sta per esserle piantato nella gola vale a dire “sta vedendo la morte”.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved