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Riassunto dettagliato del Cinquecento Letterario Francese, Dispense di Letteratura Francese

Riassunto dettagliato, completo di appunti e di analisi delle opere dei maggiori esponenti del Cinquecento Letterario Francese (caratteristiche della Grande Retorica + esponenti: J. Meschinot, J. Molinet, J. e C. Marot, G. Crétin, J. Lemaire; La Pléiade: Du Bellay, P. de Ronsard; M. Scève, L. Labé, T.A. D'Aubigné; M. de Navarre, Rabelais, M. de Montaigne ), con precisi riferimenti al contesto storico.

Tipologia: Dispense

2018/2019

In vendita dal 21/05/2019

martinaperriera
martinaperriera 🇮🇹

4.1

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Scarica Riassunto dettagliato del Cinquecento Letterario Francese e più Dispense in PDF di Letteratura Francese solo su Docsity! Concetto di Periodizzazione + Introduzione al ‘500 Periodizzazione: Individuare, nell’ambito della cronologia storica, degli elementi che possono permettere di identificare momenti comuni tra storia, cultura, letteratura. 1455 anno in cui, convenzionalmente, si indica la data di invenzione della stampa a caratteri mobili (Gutenberg) – rivoluzionando di fatto tutta la cultura occidentale, grazie all’azione di Martin Lutero circa 80 anni dopo (anni 30 del 500), colui che riuscì a sfruttare l’invenzione della stampa per diffondere le proprie idee, operando una svolta fondamentale. Cambia l’attitudine del fedele rispetto al testo sacro, perché da un lato queste tesi chiamano il fedele a una responsabilità personale, ma allo stesso tempo a una responsabilità che riversa nell’azione divina il merito della salvezza. Il fedele può ora guadagnarsi la salvezza grazie alle preghiere e alle opere. Però, questa sua azione è importante ma non fondamentale, limitata dal fatto che egli è iustus nella misura in cui viene giustificato da Dio. Ciò che l’uomo può fare è sempre troppo poco rispetto all’azione divina, che ha sempre “l’ultima parola”. >Potrei essere la migliore delle persone possibili, ma non posso mai fare a sufficienza per permettermi automaticamente la salvezza divina. La salvezza è concepita come una generosa elargizione di Dio. Le idee di Lutero si diffondono per un’aperta insofferenza che nel 500 anima i fedeli rispetto alla teologia cattolica. Ma si diffondono anche grazie alla traduzione della bibbia realizzata da Lutero, che si diffonde proprio grazie alla stampa. questo avvicina il fedele al testo, che può adesso leggere e “giudicare” per sé le sacre scritture, ma avvicina anche il testo all’insieme della comunità laica perché diventa un oggetto che si può facilmente acquistare. Dopo la diffusione della stampa a caratteri mobili cambia tutto rapidamente grazie al forte sviluppo dei testi stampati di qualunque tema che ora erano molto più facilmente fruibili. Nel giro di 30-40 anni si moltiplicheranno i testi stampati e uno dei primi grandi bestseller è stata proprio la traduzione della bibbia di Lutero. Perché un fenomeno letterario, un’opera, possa costituirsi, si concretizzi in un determinato periodo storico, occorre che vi siano specifiche condizioni storico culturali. Perché “Niente spunta dal nulla”. Tutto ciò che gli autori scrivono è interamente immerso nel piano storico culturale. Precondizione: INSODDISFAZIONE CHE I CATTOLICI AVEVANO NEI CONFRONTI DELLA TEOLOGIA CRISTIANO-CATTOLICA. La chiesa cattolica ha fatto da palinsesto a quasi tutti i fenomeni socio-culturali più importanti. Tutto ciò ha ovviamente influenzato tutti i “signori” governanti del 500. Nell’ambito della storia europea era già avvenuto il rinascimento italiano. Concetto principale che ci interessa sapere di questo movimento storico culturale è l’idea che già nel rinascimento, in Italia, il lettore si avvicina al testo. Il fedele si è avvicinato per secoli solamente al testo “iconico” (ad esempio in una chiesa guardando i mosaici), raffigurazione delle vicende mitiche. Nell’ambito della nostra tradizione culturale cristiano cattolica il fedele non è chiamato a leggere la bibbia. I fedeli possono avvicinarsi al testo solo a partire dal concilio vaticano II, mentre tutto ciò che viene fuori dal rapporto lettore testo si costituisce nel ‘400 italiano (con criteri di lettura ovviamente estremamente esigenti). con il Luteranesimo questi criteri vengono democratizzati: tutti, sapendo leggere e scrivere, erano in condizione di approcciarsi direttamente alla sacra scrittura – per approcciarsi direttamente alla parola di dio senza una mediazione. Questa condizione implica una certa rinuncia al potere. A partire dal ‘500, con gli inizi dei lavori del Concilio di Trento, si crea un grande fermento. questione identitaria legata all’identità del credente (1) e del suo rapporto con dio (2) + come posso gestire la mia coscienza rispetto a tutto questo e in che modo il soggetto si costituisce sul piano identitario (3) fermenti che sono in un certo senso ancora piuttosto rilevanti anche oggi. Viene dato sempre un maggiore spazio al protestantesimo che raccoglie un grande numero di adepti in pochissimo tempo, anche in Francia. anche all’interno delle famiglie reali spesso molti membri cominciano a convertirsi al cattolicesimo queste conversioni sono inizialmente viste non come un grosso problema (era visto come un problema di coscienza). Quando si comincia a percepire che c’era più coerenza (buon senso) nella condotta di un protestante la chiesa comincia ad allarmarsi. Gli intellettuali, o comunque chi si avvicinava al protestantesimo, lo vedevano come un’opportunità di esercitare in modo più razionale e consapevole la propria fede. PARADOSSO: esso viene spinto come confessione religiosa dalla razionalità. Volevano ragionare autonomamente anche in ambito religioso. Monarchia francese è una delle più antiche e longeve monarchie europee perché parte nel X secolo, e ininterrottamente sforna membri della dinastia reale fino al 1850. Il regno di Francesco I va 1515 al 1546. Egli da vita in Francia alla Renaissance (che dal punto di vista cronologico non corrisponde a quello italiano – inizio ‘400). Egli è una personalità importante del 500 perché (un po’ come Enrico VIII) è un sovrano di grande tempra. è importante analizzare anche i personaggi storici e gli autori. Gode di straordinaria salute, ama la caccia, il vino, le donne, i viaggi: aveva voglia di godersi la vita. Tutto il suo regno risente del suo buonumore. (essendo una monarchia assoluta: umore del sovrano si riflette in tutti gli ambiti, che è sentito come vero punto di riferimento – empatia di tipo sociale, quasi completamente assente nel soggetto postmoderno). Fu il primo della dinastia Valois-Angoulêmes. Il “divertimento” nel ‘500 non ha connotazioni diverse dalle nostre, fatta eccezione per il fatto che in quel periodo tutto era più difficile, dovendo tener conto della risposta di tipo sociale. Non era in buoni rapporti con il papa, in quanto, essendo legato ai piaceri della vita, non era >ci si dimentica presto della moda italiana. Restano legati all’idea della Francia come grande nazione (all’epoca la più estesa d’Europa). La Francia è la prima nazione ad essere disposta secondo il modello dei moderni paesi occidentali. >La corona di Francia inoltre voleva dotarsi di uno strumento linguistico in grado di identificarla. megalomania la cultura francese a partire del ‘600 non aveva niente da invidiare all’impero romano e alla grecità – quindi anche il francese poteva aspirare alla creazione di grandi opere d’arte. Il primo ad aver individuato e aveva tramutato in legge questa intuizione fu Francesco I – che emana l’ordinanza di Villers-Cotterêts(10-15 agosto 1539), secondo cui, negli articoli 110 e 111, tutti gli atti, editti, sentenze delle corti di giustizia dovevano essere promulgati in lingua FRANCESE (en language maternelle français et non autrement carattere ingiuntivo del testo: vi erano anche delle pene per tutti gli ufficiali di giustizia che non obbedivano all’editto reale: potevano essere addirittura destituiti dalle loro posizioni. Per language maternelle français si intende propriamente il francese d’Oil de France, la lingua del sovrano. aneddoto: si narra che alcuni notabili villadociani(?), decidono di protestare contro l’ordinanza di Villers…, perché la lingua d’Oc aveva una grande tradizione poetico-letteraria e vedevano non di buon occhio il fatto che il francese del nord soppiantasse completamente l’altro. Francesco li accoglie a corte ma non da loro udienza. Dopo qualche mese a corte, finalmente li accoglie, e loro si ritrovano a pronunciare le loro proteste con il francese della corte, che si mette a ridere perché erano andati a protestare contro quella stessa lingua. non si sa se sia vero o meno. In ogni caso, segnala come la coscienza linguistica fosse già sensibile, il problema linguistico aveva una consistenza reale. > a partire dai primi anni del 600, nuova dinastia – nasce una nuova letteratura/poesia francese. Sono diverse le ragioni per cui possiamo considerare questo arco cronologico (1515-1598) significativo: - legata a questione dinastica: la dinastia Angoulême si esaurisce con Enrico III. Questa dinastia era caratterizzata dal forte influsso che aveva la cultura italiana, a partire dal regno di Francesco I. Questo influsso ha però importanti influenze anche sullo stato della lingua e sulla produzione letteraria. Con il mecenatismo, i poeti francesi, per essere vicini al gusto della corte, fanno opere letterarie che rispondono a una certa sensibilità, quindi vicine al gusto italiano. I sovrani francesi, nel periodo da noi considerato del 500 (1515-1598), si circondavano di poeti che scrivevano per guadagnare. Non esisteva la concezione “romantica” di poesia (una poesia che rappresenta realmente l’io lirico del poeta). Esse venivano commissionate dai signori ed erano realizzate dal poeta, per poter diventare poeti di corte (che quindi scrivevano secondo il gusto della corte, soprattutto poemi di lode al sovrano o poesie d’occasione – viaggio di un sovrano, nozze etc), che raramente scrivevano ciò che avevano voglia di scrivere (e se lo facevano, avevano poco successo e di conseguenza erano poveri: casi rari ma ci sono. La maggior parte, tuttavia, tenta la strada “reale”) la poesia è così costretta dalle circostanze in cui viene prodotta, e, nel contesto della corte più potente e sfavillante d’Europa, si presenta il primo “gruppo” di poeti che comincia a distaccarsi dallo stadio linguistico del “medio-francese” (che va dal 400 al 600 circa). Il francese che conosciamo noi va codificandosi a partire dalla seconda metà del 600. Caratteristiche del “medio-francese”: - più appariscente: si passa da un ordine mobile dei componenti logici della frase (tipico italiano) ad uno rigido, che non permette mobilità. - i poeti scrivono principalmente per soddisfare la committenza. La poesia in questo periodo nasce su richiesta della corte, scritta da poeti che non scrivono per soddisfare o esprimere il proprio io. Una poesia di questo genere non può che richiedere diversi strumenti di tipo retorico. Adoperano un insieme di tecniche che consentono di scrivere un buon componimento poetico, probabilmente “bello ma senz’anima” ma in questo caso non importa molto, l’importante è la cura della forma: i versi dovevano avere una buona cadenza, le rime dovevano essere ricche e doveva esserci un certo effetto sorpresa. caratteristiche che appartengono alla prima vera scuola poetica francese, la GRANDE RETORICA, un fenomeno letterario che eccede i limiti cronologici che ci riguardano, dato che inizia intorno al 1460 (prima del 1515). Essa è anche definita la “seconda retorica” per essere distinta dalla retorica classica. Dire che la grande retorica si autodefinisce anche “seconda retorica” è un modo di capire come già verso la seconda metà del ‘400 serpeggi nelle idee degli intellettuali francesi il fatto che il francese sia uno strumento adatto a costituire una retorica sì seconda a quella classica, ma comunque una retorica. Le idee di unificazione linguistica a cui giunge Francesco I, sono quindi presenti e fermentano in Francia già a partire dalla seconda metà del ‘400. Le caratteristiche: - si tratta di forme poetiche di importazione italiana ma hanno anche caratteristiche legate alla lirica francese attraverso l’introduzione della ballade, rondeau, rondeau – virelai (tre generi più praticati dai grands rhétoriqueurs) Appunto sulla metrica francese importante: un critico canadese, Northrop Frye, in un testo importante dal punto di vista dell’analisi letteraria (Anatomy of criticism) fa un appunto fondamentale per capire un evento prosodico importante: dice che gli italiani respirano normalmente in endecasillabi, i francesi in alessandrine**. Cioè: il ritmo della frase italiana è scandito naturalmente in endecasillabi, anche dal punto di vista puramente prosodico contando le sillabe che formano le nostre frasi. La prosodia francese realizzerà invece una frase completa in tre gruppi da 4 sillabe, oppure due gruppi da 6. 6+6=12, un dodecasillabo, alessandrino. Inoltre, fondamentalmente il verso per eccellenza della poesia italiana, da Dante in avanti, è l’endecasillabo, il verso per eccellenza della poesia francese è l’alessandrino. Ma l’alessandrino non è stato subito il verso per eccellenza francese, perché in origine era il decasillabo (10 sillabe). i grands rhétoriqueurs adottano il decasillabo. La poesia francese, inoltre, resterà fedele al verso pari, fino al simbolismo (anni 50 dell’800 con P.Verlaine). Ne Les Fleurs du Mal di Baudelaire, tutti i versi sono in alessandrine, tranne alcuni rari componimenti in cui decide di provare ad innovarsi. Anche se dal punto di vista contenutistico tutte le tematiche e gli argomenti de Les fleurs du mal sono estremamente innovativi, tra i più rivoluzionari nella storia della poesia mondiale, dal punto di vista formale sono dei normali sonetti, scritti in alessandrine, mantenendosi vicino alla tradizione. **Alessandrino: è il verso tipico della poesia francese, formato da 12 sillabe. Nella poesia classica è sempre diviso in due emistichi (mezzi versi) di sei sillabe, entrambi accentati sulla sesta sillaba (6 e 12). Appare per la prima volta in una chanson de geste, « Le Pèlerinage de Charlemagne or Voyage de Charlemagne à Jérusalem et à Constantinople », composta probabilmente intorno al 1140/50. Il nome, però, deriva dal Roman d’Alexandre di Lambert le Tort e Alexandre de Bernai (seconda metà del sec. XII) che per primi realizzano versi di 12 sillabe – chiamate “alessandrine” proprio per la prima apparizione che fanno in questo testo. Autori che fanno parte dell’orizzonte poetico al quale attingono gli autori maggiori che studieremo: Jean MESCHINOT: Nasce nel 1420 e muore nel 1491. Il suo primo e più famoso componimento, che da il via al movimento della “grande retorica” è intitolato “Les lunettes des princes” (gli occhiali dei principi), una raccolta poetica pubblicata tra il 1461 al 1464. Les lunettes sono degli occhiali forniti ad un personaggio allegorico dalla Raison (signora ragione) occhiali che consentono alla ragione di vederci meglio, essendo la ragione infastidita dal désespoir. Si tratta di un tema essenzialmente allegorico che risente ancora delle rappresentazioni teatrali tipiche del basso medioevo. è un componimento scritto per divertire i duchi di Bretagna, al servizio dei quali M. si trovava committenza – NO espressione dell’io lirico. L’allegoria*, che è stato lo strumento principale della letteratura medievale (le roman de la rose, G. de Lorris, una grande allegoria) – molto utilizzata in questo componimento + strumenti retorici molto forti. * figura retorica per la quale si affida alla scrittura un senso riposto e allusivo, diverso da quello che è il contenuto logico delle parole; racconto di una azione che deve essere interpretata diversamente dal suo significato apparente. Jean MOLINET: al servizio della corte dei duchi di Borgogna. Nasce nel 1435 e muore nel 1507. Scrive Le Chappelet des Dames (il rosario delle signore) in cui non si riferisce a un rosario nel senso strettamente religioso del termine, quanto piuttosto ad un genere che anticipa quello del “blason”, termine che deriva dal blasone dell’araldica (lo stemma gentilizio), e che indica un genere di poesia molto in voga intorno al XVI secolo. La sua originalità sta in una sorta di pregiudizio tematico: il poeta parte dalla descrizione anatomica di una parte del corpo femminile, sviluppandone un elogio all’interno di un brillante gioco poetico. Si diffonde a partire dal “Blason du Beau Tétin” di C. Marot (1535). Le dizain de neige : Anne, par jeu, me jeta de la neige, Que je cuidais froide certainement; Mais c’était feu; l’expérience en ai-je, Car embrasé je fus soudainement. Puisque le feu loge secrètement Dedans la neige, où trouverai-je place Pour n’ardre point ? Anne ta seule grâce Éteindre peut le feu que je sens bien, Non point par eau, par neige, ni par la glace, Mais par sentir un feu pareil au mien. Le dizain de neige è un componimento breve formato da 10 versi in decasillabi. Notiamo: ♦ un gioco di allitterazioni che si trova nei versi di tutto il poema (jeu, jeta, neige…) ♦ rima ricca attraverso un procedimento molto raffinato: neige al primo verso, al terzo verso ritroviamo la stessa parola ricreata con i pronomi e l’inversione verbo soggetto ai- je. ♦ rispetto ai temi della Grande Retorica, qui abbiamo l’emergenza di un IO POETICO, cioè vi è un io lirico che parla di un’esperienza di tipo privato: parla del rapporto con una donna, Anne, che non ha le caratteristiche di una donna angelicata, ma piace molto al poeta che mette in atto una sorta di pseudo argomentazione con cui invita la ragazza a condividere i suoi sentimenti amorosi. è una situazione quasi di vita familiare: immaginiamo un inverno in uno dei castelli della Loira (residenza della corte di Francesco I), in cui avviene questo gioco cortese con la neve, in cui questa ragazza, probabilmente una nobildonna, scherza con il poeta e gli lancia della neve la neve, che lui inizialmente credeva fredda, in realtà era fuoco. Lui è attratto da questa ragazza e questo gioco ha la facoltà di accendere ancora di più il desiderio del poeta. Viene immediatamente arso dal “fuoco” che trova segretamente alloggio nella neve (anche tenendo la neve in mano, per esperienza comune, dopo un po’ la sensazione di freddo diventa quasi un’ustione) Solo la grazia di Anne (qui nel senso latino di “ben volere”) può spegnere questo fuoco che sente, non con la neve né con il ghiaccio, ma solo sentendo un fuoco simile a lui, quindi ricambiando i suoi sentimenti. ♦ vi è anche una certa malizia: così come accade nel teatro Shakespeariano, che caratterizza la letteratura medievale e la renaissance francese, tutti questi componimenti in cui sono presenti immagini apparentemente “delicate”, nascondono sempre una certa carica di malizia. Qui è data dall’appagamento al desiderio che l’autore cerca e che allude, tra le righe, ad un gioco sessuale qualcosa che troveremo sempre più spesso nella poetica fino al 500, in cui il “gioco erotico” è sempre ambiguo, non è cioè facilmente comprensibile il distacco tra sentimenti elevati e allusioni erotiche. In seguito, all’interno dei componimenti questi elementi possono essere completamente ed esplicitamente espressi o non lo sono affatto (viene quindi in un certo senso eliminato la sensazione di ambiguità). ♦ si rivolge a Anne d’Alençon. Dedans Paris, ville jolie, Un jour, passant mélancolie, Je pris alliance nouvelle À la plus gaie damoiselle Qui soit d’ici en Italie. D’honnêteté elle est saisie, Et crois, selon ma fantaisie Qu’il n’en est guère de plus belle Dedans Paris. Je ne vous la nommerai mie, Sinon que c’est ma grand amie; Car l’alliance se fit telle Par un doux baiser que j’eus d’elle, Sans penser aucune infamie Dedans Paris. Nel secondo componimento, Dedans Paris, ville jolie…, racconta di un giorno in cui il poeta si trova a passeggiare per le vie di Parigi (valore allegorico), ed è colto da un certo sentimento di melanconia (sentimento che in quel periodo era vicino a quello che oggi noi definiremmo apatia, stress, svilimento, noia, mancanza di voglia di vivere), e, sostanzialmente, si trova ad abbordare una ragazza per strada – fa una nuova conoscenza con una donzella che definisce la “più allegra da qui all’Italia”, tanto ilare da non poter essere considerata propriamente un’educanda. Questa ragazza riceve una connotazione precisa che, pur essendo espressa in termini estremamente casti, allude ad un gioco erotico. Però da “d’honnêteté” in poi fa un passo indietro, facendo riferimento alla sua onestà (presa d’onesta, compenetrata di o.) [da donare anche il “mie”, rimanda ad un toscanismo]. Questa conoscenza con questa donzella di cui non fa il nome, si fa tale che ricevette da lei “il più dolce dei baci senza pensare ad alcuna infamia” conoscenza che ha decisamente un buon esito e che risolve la melancolia del poeta (è più allegro alla fine) il “buon costume” dell’epoca vuole il tutto espresso in una veste garbata. Aspetti formali, piuttosto curati: ♦ gioco di allitterazioni (in S: passant, alliance…), ripetizioni, uso della rima ricca o molto ricca: jolie/mélancolie, nouvelle/damoiselle, Italie/saisie/fantaisie. ♦ vi è una specie di “ritornello” nella ripetizione di Dedans Paris. ▲ Tutti questi aspetti non hanno nulla di casuale perché una delle principali caratteristiche della grande retorica è la ricerca di effetti eufonici. ♦ è costituito in ottonari, quindi la metrica è sempre pari (in quanto si presenta come una specie di canzone, proponendo ritornelli – refrain – in un gioco di allitterazioni) ma è più irregolare del primo (10 versi di decasillabi – una sorta di quadrato perfetto). C. Marot può essere considerato l’ultimo dei grands rhétoriqueurs – l’ultimo “figlio” della grande retorica. Con lui abbiamo l’emergere di un io lirico che però non è ancora quello che possiamo immaginare in prospettiva romantica. Per avere un io lirico più vicino a quello che conosciamo noi occorre aspettare la Pléiade. Intorno al 500-600 i poeti sentono la necessità di organizzarsi in congregazioni per insicurezza, perché sentivano ancora il bisogno di un “riconoscimento” – fuori dal principio dell’arte per l’arte (ars gratia artis), principio che in questo periodo cronologico non poteva ancora manifestarsi, perché è qualcosa che richiede all’artista uno statuto sociale solido (impossibile in quegli anni) si aggregano più facilmente in scuole. La Pléiade può essere considerata la prima vera grande scuola poetica della letteratura francese, perché i grands rhétoriqueurs condividono una disposizione nei confronti della letteratura – si conoscono poco, e sicuramente non si aggregano. Invece, quasi tutti poeti della pléiade, prima ancora di far parte della stessa scuola, erano amici, compagni, si conoscevano e frequentavano giornalmente. Inoltre, erano tutti giovanissimi. Quello che noi conosciamo e abbiamo costituito come “canone” della letteratura, è fatto di poeti, scrittori, intellettuali, che si conoscono tutti tra di loro. Due nomi importanti in questo caso, che però riguardano più che altro i saloni del ‘600, sono Madame de Sévigné e il duca de La Rochefoucauld – si incontravano sempre, trascorrendo il tempo anche con altri intellettuali. Entrambi sono entrati a far parte di canone. Canone = insieme degli autori che costituiscono la storia della letteratura secondo una tradizione che generalmente si tramanda di generazione in generazione. si pone una riflessione importante: il canone rappresenta veramente il meglio di una storia della letteratura? La storia della letteratura/ degli storici della letteratura ha anche il compito di verificare se il canone è giusto. Studiare più testi rispetto a quelli considerati canonici (il numero di testi scritti eccede ovviamente quelli che noi studiamo nel canone). Generalmente vengono ricordati gli autori che sono stati capaci di proporre delle idee valide di generazione in generazione. Esempio: il marchese di Sade (700)– tutto quello che scrive è difficilmente digeribile anche oggi. Rifiuto e disprezzo per qualsiasi fondamento di tipo morale, religioso, etico. Eppure, nonostante le difficoltà che si presentano nel corso della lettura, nei suoi scritti si può rintracciare la nascita di tutta l’estetica postmoderna. la musicalità del verso; differenza: in entrambi si possono riscontrare dei versi alessandrini con 2 accenti fissi: il primo alla fine del primo emistichio, il secondo alla fine del secondo (dodicesima sillaba). l’alessandrino si può dividere in due repliche (in Phèdre il dialogo può essere costituito da due parti) COMPONIMENTI VARIETA’ “DIZAIN” = componimento breve di 10 versi in decas. Dall’Italia viene invece introdotto il SONETTO, che viene però spezzato in 2 quartine e 2 terzine è la forma metrica più innovativa della poesia volgare (in tutte le letterature - in Borges, Shakespeare etc.) è anche la forma più eufonica; i poeti della Pléiade importano massicciamente il sonetto nella letteratura francese. JOACHIM DU BELLAY: nasce nel 1522 e muore nel 1560. La sua gioventù è caratterizzata dal fatto che sin da piccolo rimane orfano; tenta la carriera militare, che però, per ragioni di salute, non porta avanti. Nel 1547, a 25 anni, conobbe Ronsard, che lo convinse a trasferirsi a Parigi per seguire i corsi di letteratura classica di J. Dorat al collegio di Coqueret. a 25 anni, dove frequenta una sorta di “studium” universitario. Studia latino e italiano, nel 1549 pubblica la “Défense et illustration de la langue française”, il manifesto della Pléiade di taglio polemico e controcorrente, l’opera espone la nuova poetica dell’umanesimo francese e in particolar modo del movimento della Pléiade. Il testo è pubblicato esattamente dieci anni dopo l’ordinanza Villers-Cotterêts, che imponeva il francese come lingua del diritto e dell’amministrazione. quest’opera costituisce il primo manifesto poetico dell’intera storia della letteratura francese. Nello stesso anno compose una raccolta di sonetti d'amore, L'Olive, in cui era evidente l'influsso di Petrarca e dei neoplatonici. Dopo una lunga malattia, nel 1553 seguì il cugino cardinale Jean du Bellay a Roma, rimanendovi quattro anni. All'iniziale entusiasmo subentrarono presto la delusione e il disprezzo per la corruzione della corte papale. In quegli anni du Bellay compose le sue opere migliori, che furono pubblicate in Francia nel 1558: Les antiquités de Rome (Le antichità di Roma), 33 sonetti di meditazione sul contrasto tra grandezza e decadenza della città, e il suo capolavoro, la raccolta dei 191 sonetti Regrets (Rimpianti), nei quali il poeta cantava le sue sofferenze, la disillusione, la nostalgia del paese natale. Alla vena elegiaca si affianca una vigorosa ispirazione satirica, che deride la dissolutezza, l'ipocrisia, la bassezza della società romana. Tornato in Francia, malato, afflitto da mille preoccupazioni materiali, conduce una vita di corte e compose la satira Le poète courtisan (Il poeta cortigiano, 1559) ma le sue condizioni di salute peggiorano e non gli consentono di arrivare a diventare poeta di corte, perché muore a Parigi l'anno seguente(1560). La sensibilità moderna e originale, l'ampia gamma della sua poesia, elegiaca e satirica, nostalgica e veemente, lo stile puro, limpido, apparentemente "facile", fanno di lui, dopo Ronsard, il poeta più maturo della Pléiade. Traduce Virgilio, in particolare “Il Quarto”. La storia della critica si accorda nel ritenere che questa traduzione l’abbia fatta per mostrare i principi della Défense. A Roma, Du Bellay si mette al servizio di un nobile; per lui questa città costituisce il centro della latinità, ma ne rimane profondamente deluso per la sporcizia e il disordine. Decide, allora, di scrivere dei poemi in cui denuncia lo stato e il degrado romano “des antiquités de Rome” (1558). L’opera « Défense et illustration de la langue française » non è un’opera originale : risulta per lo più essere una sorta di « plagio » di Quintiliano e di Speroni (un grande erudito e filosofo italiano; il Dialogo delle lingue di Sperone Speroni e l'Institutio oratoria di Quintiliano, da cui viene l'idea fondamentale dell'imitazione per l'ispirazione del poeta) Fu un’opera composta molto velocemente. L’imitazione è una nozione molto diversa da quella odierna; essa prevede non un plagio, bensì una riscrittura per arricchire il patrimonio culturale francese, utilizzando lingue vive per permettere la fruibilità di tali contenuti. è un’operazione che nasce dal concetto di proprietà, oggetto di ampie riflessioni filosofiche. Il filosofo tedesco Max Stirner (derivante da un’area protestante) fu il fautore di posizioni radicalmente anti-statalistiche improntate all’individualismo. quindi, il concetto di proprietà è moderno. L’arte, ad esempio, non è considerata una proprietà dell’artista, bensì come un patrimonio comune e la figura dell’artista si configura come quella di un mediatore. Per arricchire il patrimonio culturale bisogna, perciò, nutrire le lettere francesi. Nonostante la storia linguistico – culturale, tale visione muta, permettendo la nascita del limite della proprietà intellettuale. Ancora nel ‘700, quest’opera verrà pubblicata da artisti differenti. Joachim Du Bellay, « Déjà la nuit en son parc amassait », sonnet 83, in Olive (orthographe modernisées) .Déjà la nuit en son parc amassait Un grand troupeau d’étoiles vagabondes, Et, pour entrer aux cavernes profondes, Fuyant le jour, ses noirs chevaux chassait ; Déjà le ciel aux Indes rougissait, Et l’aube encor de ses tresses tant blondes Faisant grêler mille perlettes rondes, De ses trésors les prés enrichissait : Quand d’occident, comme une étoile vive, Je vis sortir dessus ta verte rive, O fleuve mien ! une nymphe en riant. Alors, voyant cette nouvelle Aurore, Le jour honteux d’un double teint colore Et l’Angevin et l’indique orient. ANALISI : - estratto dalla raccolta L’Olive (1550), una raccolta di sonetti in stile petrarchesco. Caratteristiche tecniche: ♦ forme fixe (2 quatrains suivis de 2 tercets) ♦ mètres : soit en décasyllabes, soit en alexandrins, avec 4/6 ou 6/4 pour les décasyllabes ♦ structure des rimes, disposition des rimes (embrassées, croisées, suivies ou plates) et qualité des rimes (féminines qui se terminent par un « e » ou « es » muet, masculines pour les autres), richesse des rimes (pauvre avec 1 dernier son commun, suffisante avec 2 derniers sons communs, riches avec 3 derniers sons communs ou plus) ; ♦ « troupeau » : metafora. ♦ « O fleuve mien » : apostrofe che spezza il ritmo della terzina, apostrofe con effetto di ripresa. ♦ « le jour honteux d’un double teint colore », « colore » : dislocazione del verbo per fare rima con « aurore ». Uso di « mien » come aggettivo. ♦ « et, et » : ripetizione della congiunzione (et … et … etiam) ; ♦ « le jour honteux », « honteux » con il significato di vergognoso, prova un sentimento di vergogna, di inadeguatezza. ♦ « et l’Angevin » : Loira. Composizione della poesia: I. Eclipse de la Nuit face à l’arrivée de l’Aube II. Entrée en scène de l’Aube qui transfigure le paysage III. Sortie des eaux d’une Nymphe à l’éclatante beauté, sous le regard émerveillé du poète IV. Beauté du jour supplantée par celle de la nymphe, qui se révèle être la femme aimée. ▲ PRIMA QUARTINA : allegoria/personificazione del giorno e della notte. La notte è una pastora che raccoglie il suo “gregge di stelle” e la sua “mandria di destrieri”, e che li fa rientrare nell’ovile (les « cavernes profondes ») scappa quando si fa giorno. ▲ SECONDA QUARTINA : sorge il sole, è l’alba metamorfosi del paesaggio al suo arrivo. La seconda allegoria “femminile”: l’alba è una giovane donna con le trecce bionde, detentrice dei tesori, diffonde sui prati la rosa del mattino, trasfigurando il paesaggio, allorché il cielo si arrossava all’est. ▲ PRIMA TERZINA : apparizione di un nuovo personaggio (e di un nuovo paesaggio), una “Ninfa”, una nuova Aurora: la donna amata. Esce dalle acque della Loira, avvisata “modello” del poeta latino Orazio. Un terzo gruppo di Odi è quello delle Odi anacreontiche – perché questa volta saranno realizzate sul modello del poeta greco Anacreonte. Le odi anacreontiche non lo colpiscono per una questione stilistica quanto piuttosto contenutistica: nel 1550, quando compone la parte relativa alle odi anacreontiche – Ronsard trova una chiave filosofica della propria vita che non abbandonerà più. Questa chiave filosofica è quella dell’epicureismo (che si riverserà nelle sue composizione poetica); l’epicureismo Ronsardiano diventa la cifra maggiore della sua ispirazione, considerato che l’EPICUREISMO è la dottrina filosofica in cui si invita il soggetto a godere di ciò che la vita gli offre (senza ovviamente immaginare una sorta di sfrenatezza perché ovviamente nel 500 i paletti di ordine sociale e culturale erano molti); esso comunque invita a rendere “positiva” l’esistenza, invitando ad approfittare di ciò che si ha. Ronsard si impose da allora all'ammirazione dei contemporanei con una produzione abbondante e varia nei temi, nei toni e nei ritmi. Egli portò a compimento il programma enunciato da J. du Bellay: le innovazioni si susseguirono e andarono dalle invenzioni lessicali all'introduzione di nuove forme e metri destinati a un grande futuro, come il sonetto o l'alessandrino a rima baciata. Nel 1560 il re Carlo IX lo nominò poeta di corte. Dopo un periodo di gloria, Ronsard vide il suo primato minacciato dalla fama di nuovi poeti. Deluso, amareggiato e malato, scrisse ancora bellissimi versi, ma si diede soprattutto alla pubblicazione delle sue Opere, delle quali curò la prima edizione completa nel 1560. Ne seguirono altre sei; le ultime tre edizioni (1578, 1584, 1587 postuma) sono divise in sette volumi: Les amours, Les odes, Les poèmes, Les élégies, églogues et mascarades, Les hymnes, Les discours, La Franciade (Gli amori, Le odi, I poemi, Le elegie, egloghe e mascherate, Gli inni, I discorsi, La Franciade). L'ultima edizione, postuma, comprende i Derniers vers (Ultimi versi, 1586), dettati da Ronsard moribondo. A partire dal 1552 e fino al 1556 Ronsard si dedica alla stesura del “Les Amours”, Gli Amori, al plurale perché anche se troviamo la maggior parte delle liriche dedicate a Cassandra Salviati, vi sono anche gruppi di poesie dedicati a Marie e ad Elene (quindi dopotutto riuscì a consolarsi). Questa, anche all’epoca, era un’azione fortemente iconica (iconografica?) – quella di dedicare una raccolta poetica a più amori. Di solito le raccolte vengono dedicate ad una sola persona o almeno si aveva la decenza di non nominare un destinatario. Attraverso questi tre amori da inoltre tre diverse sfumature di amore. Cassandra resta l’ideale di amore platonico, l’amore per eccellenza; Elene pare essere stata una ragazza di corte e Marie invece pare fosse una popolana – stile più familiare. Questo, nel decoro cinquecentesco (non troppo decoroso) si introduce questa gradazione tra una donna che potrebbe essere “angelicata”, un’altra che dal punto di vista sociale può essere definita alla pari del poeta, e un’altra che era invece di ceto sociale più basso. Insieme a questa produzione in realtà se ne contano diverse altre, tra cui il genere del Blasone, in cui sono descritte in maniera molto più carnale le bellezze della donna. La produzione poetica del 500 non rinuncia ancora ad una cerca ilarità. Concezione poetica: Secondo Ronsard la poesia è una follia sacra, un dono e una missione di carattere divino. Il poeta deve possedere il "furore", che è qualcosa di completamente diverso dall'improvvisazione. L'autentica ispirazione poetica scaturisce dalla sintesi strettissima tra cultura e sensibilità personale. Le immagini, i miti, i luoghi dell'antichità classica e della poesia italiana sono gli strumenti che il poeta umanista utilizza per dar voce al proprio mondo poetico. Temi generali poesia di Ronsard: epicureismo che è dominante; secondo la logica del carpe diem (so che l’istante è fuggevole) senso della caducità quindi il tema del tempus fugit e quindi conseguentemente anche quello della vecchiaia e della morte. I. Mignonne, allons voir la rose in Odes, I, 17 (1550) Mignonne, allons voir si la rose Qui ce matin avait déclose Sa robe de pourpre au soleil, À point perdu cette vesprée Les plis de sa robe pourprée, Et son teint au votre pareil. Las ! voyez comme en peu d'espace, Mignonne, elle a dessus la place, Las, las ses beautés laissé choir ! O vraiment marâtre Nature, Puisqu'une telle fleur ne dure Que du matin jusques au soir ! Donc, si vous me croyez, mignonne, Tandis que vôtre âge fleuronne En sa plus verte nouveauté, Cueillez, cueillez votre jeunesse : Comme à cette fleur, la vieillesse Fera ternir votre beauté. Mignonne: mia bella Decasillabi, ritmo sincopato : l’allons voir è un prendere per mano la ragazza e il ritmo dei versi è proprio l’andare a vedere. Gioco di sibilanti da “Las!” in poi sempre più ripetuto. (las=ahimè) (PRIMA TERZINA) Divisione piuttosto netta in 6 – 3 – 3 – 6. SECONDA TERZINA dominata dal suono vibrante (nel 500 la vibrante era realizzata in modo più forte e più vicina al suono della r italiana) seconda SESTINA inizia con “Donc” che ha un valore conclusivo ma anche dimostrativo. Egli vuole realizzare un’argomentazione di tipo retorico che trova qui la sua esplicitazione. Nella traduzione si mantiene il voi, perché più consono al periodo cinquecentesco. Fleuronne= verbo che non si usa più nello standard francese, probabilmente uno dei verbi che vengono fuori dalla suffissazione verbale del sostantivo “fleur” fleuron (accrescitivo) fleuronne (secondo i procedimenti stilistici che animano la poetica della pleiade – molto importante) verde novità (vert nouveauté)= accostamento aggettivazione. Fondamentalmente Ronsard dice che la sua Mignonne è bella adesso, ma da qui a qualche anno diventerà brutta anche lei, perché tutti prima o poi diventeremo vecchi e moriremo. Quindi fa un invito molto chiaro a godere della sua gioventù fino a che può. Prima strofa (1-6) : • éclat de la jeunesse • de la rose. • de la jeune fille • invitation. 2ème strophe (6-12) la constatation du dégât du temps (la vieillesse). 3ème strophe (12-18) le conseil de profiter de sa jeunesse. 1. Les personnages sont vivants Ceci se voit par : - une interpellation : "Mignonne", - une exclamation : "Las", - des ordres : "Voyez, Cueillez". Le personnage qui parle est en position de supériorité. C'est celui qui a la parole, qui donne et fait la leçon. Il fait une interpellation à la 1ère strophe, une constatation à la 2ème strophe et une leçon à la 3ème strophe. En face, on peut interpréter le comportement de la jeune fille : soit elle est timide ou soit elle s'en moque. 2. Le poème raconte une promenade dans un jardin On va voir une rose qu'on veut cueillir. Au fur et à mesure que l'on avance dans le poème, on se rapproche de la rose. En effet, on passe de "allons voir" à "voyez" puis à "cueillez". Il y a en plus une notion de temps : "Que du matin jusques au soir". Deux procédés de style marquent l'action dans ce poème : les verbes (nombreux) et le mode (l'indicatif). C'est un poème où des éléments concrets permettent de nous représenter les deux personnages dans un parc le soir. 1. Une comparaison très banale que Ronsard renverse Dans les strophes une et deux, la rose est personnifiée : - "Sa robe", - "Ses beautés laissé choir". - Circonstances : « au soir, à la chandelle ». Le soir évoque la fin de la vie d'Hélène au même titre que la fin de la journée. - Évolution vers la familiarité « bien vieille » -> « une vieille » caractéristique unique. - « Assise » -> « accroupie » : écho entre les vers. - Rythme rapide remplace rythme cadencé. - Seule avec une vie monotone (vers coupés à l'hémistiche, vie réglée). 3. La nostalgie - thème de la fuite du temps. - Sa beauté n'est pas énoncée au présent pour renforcer son caractère fugitif et donner à la poésie un caractère obligatoire. - « belle » rime avec « chandelle » -> même caractère éphémère, et fragile. 4. Une image flatteuse du poète - Ronsard est présent autant qu'Hélène en terme de nombre de vers. - Présenté mort et non dans la vieillesse, mais très présent dans le poème grâce aux pronoms personnels à la première personne (je, mon…). - Son nom est cité 2 fois contrairement à Hélène. - Hélène est mise en valeur par la célébrité de Ronsard, on retrouve son orgueil. - Référence à la mythologie grecque « ombres myrteux ». -> Caractère narcissique du poète. II. La célébration de la poésie 1. Une invitation au carpe diem - Contrairement à bien des poésies, celle-ci peut s'interpréter comme une invitation à profiter de l'instant présent (carpe diem). Ainsi le dernier tercet apparaît comme une sorte de morale. - Injonctions à profiter des instants présents, et donc implicitement à céder aux avances de Ronsard : « Vivez, si m'en croyez, n'attendez à demain ». Invitation à cueillir « les roses de la vie » = céder à la demande amoureuse de Ronsard, car sinon Hélène le regrettera quand elle sera vieille. - La rose est le symbole de la beauté de laquelle il faut profiter : très belle, puis elle se fane rapidement. 2. Une mort très douce du poète - Il apparait comme un fantôme encore au cœur des mémoires tandis qu'Hélène est « accroupie ». - Tout le monde pense encore à lui « Lors vous n'aurez servante oyant telle nouvelle… qui au bruit de Ronsard ne s'aille réveillant ». 3. L'éloge de sa poésie - Ronsard fait l'éloge de sa poésie : « chantant mes vers », « émerveillant ». - Hélène sera louangée par les servantes uniquement parce qu'elle aura fait l'objet d'une poésie de Ronsard. - Ainsi grâce à la poésie de Ronsard, Hélène accède à une sorte d'immortalité. « belle », dernier mot du premier quatrain, rime avec « immortelle » dernier mot du second quatrain. Par leur position, ces deux mots sont mis en exergue. Il utilise une stratégie de séduction originale par un portrait peu élogieux d'Hélène, le poète tente de la séduire. Il en profite pour faire son propre éloge, afin de convaincre Hélène. Paradoxalement, dans cette poésie dans laquelle Ronsard souligne le caractère éphémère de la beauté de Hélène, il immortalise Hélène grâce à la poésie. La Pléiade è senza dubbio il fenomeno poetico per eccellenza del periodo, ma abbiamo anche, prima della grand rethorique, grandi poeti che hanno anche loro opere di una discreta importanza. Tra questi poeti ricordiamo: Maurice Scève, che nasce nel 1510 e muore nel 1564, quindi di fatto attraversa la pleiade ma senza farne parte. Anche Scéve canta degli amori ideali, quindi dobbiamo immaginare che sia anch’egli intriso di petrarchismo – la sua opera principale è Délie, objet de plus haute vertu (1544, Delia, oggetto di più alta virtù) di poco precedente all’annuncio della pleiade e della pubblicazione delle principali opere. Scève sotto molti aspetti prefigura la poetica petrarchista della pleiade, ed è il più regolare – i poeti della pleiade sono molto più estrosi. Il verso da lui usato è il decasillabo, mentre, ad esempio in Quand vous serez bien vieille, au soir à la chandelle viene utilizzato l’alessandrino – le odi sono invece in decasillabi. Questo poeta viene ricordato da un lato perché è uno dei primi poeti francesi petrarchisti, dall’altro perché anch’egli è molto influenzato dall’epicureismo. (fu il poeta lionese più rappresentativo. Dopo aver studiato in Italia, diventò oratore ufficiale alla corte di Lione, sua città natale. Alla morte della sua musa (1545), la poetessa Pernette du Guillet (1518-1545, autrice di una bella e appassionata raccolta di Rime, 1545), si ritirò da ogni impegno mondano. Riprese le funzioni pubbliche, nel 1548 organizzò i ricevimenti per Enrico II. La passione per il misticismo medievale, unita a una grande abilità compositiva, gli fanno concepire la poesia come un'opera matematica. Suo capolavoro è il canzoniere dedicato alla donna amata, Délie (1544). I suoi versi sono raffinati, oscuri (è stato accostato a Mallarmé nel Novecento), pervasi da un sentimento di tristezza e smarrimento che gli fanno preferire la luce lunare. L'ultima opera, Microcosme (Microcosmo, 1562), è un poema di tremila versi, concentrato di scienza medievale, che tenta di fare concorrenza all'enciclopedismo della Commedia di Dante.) Spicca nel panorama delle lettere francesi del ‘500 una figura poetica femminile (l’unica per la poesia del periodo – per la prosa l’”unica donna” sarà Marguerite de Navarre), che è entrata nel canone della letteratura francese del 500, è Louise Labé. Gode già all’epoca di una grande fama (questo ci dice già tanto sulla personalità – forte – che doveva avere, considerando anche il contesto culturale e sociale del periodo); non è una figura aristocratica, però riceve un’educazione moderna e partecipa alla vita culturale del suo periodo. Le sue poesie piacciono, viene paragonata ad una sorta di moderna Saffo, e lo stesso M. Scève le dedica un componimento, nel 1555 (anche nel 500 questa verve di socialità letteraria esiste) (Ricordata come donna di grande bellezza, Louise Labé (1526-1566), figlia di un mercante di cordame di Lione, nel 1540 sposò un ricco e anziano commerciante. Ebbe numerosi amanti (fatto che le attirò un acido commento di Calvino) e, morendo, lasciò tutto ai poveri. Colta e indipendente, la sua casa ospitò i più noti poeti del tempo. La sua opera è racchiusa nel volumetto, pubblicato nel 1555, che comprende: tre elegie, ventiquattro sonetti e una prosa intitolata Débat de Folie et d'Amour (Contrasto di Amore e Follia). La sua lirica si ricollega alla tradizione erotica classica (Saffo e Ovidio) e canta, con sincerità e sorprendente disinibizione, la bellezza e la fatale potenza della passione amorosa (ispirata dal doloroso amore per il poeta Olivier de Magny, 1520-1559).) Un’altra figura piuttosto strana, che non fa parte del panorama poetico canonico del 500 è Théodore Agrippa D’Aubigné – che è in realtà un epigono della scuola poetica cinquecentesca perchè nasce nel 1552 e muore nel 1630 – è un poeta che ci interessa anche per le sue posizioni religiose che riescono a trasmettere l’inquietudine dell’epoca. Nasce in una famiglia calvinista, prosegue gli studi a Parigi, e, in occasione di una delle innumerevoli guerre religiose che attraversavano la Francia in quel periodo, il padre gli fa giurare di difendere la sua fede protestante; quindi – intorno agli anni 60, e, in questa prima fase della sua vita (scrive molto precocemente – a 16 anni scriveva già molti versi), per una parte della sua vita farà il soldato. Però ad un certo punto riprende in lui in modo anche piuttosto forte la vocazione letteraria e scrive un’opera strana “Les tragiques”, che si presenta come un poema in sette libri in cui grida il suo odio per i cattolici e inneggia alla gloria dei protestanti. Chiaramente è solo uno sfogo, senza nessuna presa di consistenza letteraria, se non fosse che ricalca da vicino un’ispirazione Dantesca e Miltoniana. Quindi egli da alle lettere francesi l’equivalente della divina commedia per dante e l’italia (come nella divina commedia c’è la presentazione di personaggi storici che vengono vagamente derisi o elogiati a seconda del partito) sia del Paradise Lost di Milton (scontro quasi epico tra due forze religiose). Quindi in effetti la collocazione delle Tragiques, se non fosse per il valore poetico dell’opera che oggi è abbastanza poco nella nostra sensibilità, vale come testimonianza del contesto storico e religioso che queste comunità francofone attraversate dalle guerre vivevano. Prosa - Marguerite de Navarre: nasce nel 1492 e muore nel 1549 ed è nota come M. De Navarre ma il suo vero nome è Marguerite d’Angoulême, sorella di Francesco I. Diventerà “de Navarre” a 35 anni, sposando Enrico II di Navarra probabilmente nozze politiche che vanno a rafforzare la posizione politica di Francesco. La discendenza che assicurerà sarà comunque reale, nel senso che lei sarà la nonna di Henri de Navarre (re di francia sotto il nome di Enrico IV – promulga l’editto di Nantes) Si sposa tardi anche perché anima uno dei più importanti circoli letterari (ruolo sociale molto importante) anticipa la sensibilità del preziosismo. Si tratta di una donna estremamente colta, intelligente e raffinata che accoglie attorno a sé un circolo di intellettuali con le quali le discussioni vertono spesso sul campo della religione: lei spesso protende verso lo spirito della riforma senza però mai convertirsi – e propugna il platonismo, come idea capace di innalzare il livello della teologia cristiana. Occorre considerare che gli intellettuali avvertono un disagio nei confronti del credo cattolico così come viene promulgata in un periodo particolare (con le traduzioni che girano della bibbia, la riforma..?) i fedeli cristiani cattolici sono messi in una posizione particolare. Spesso questi intellettuali trovano sbocchi diversi. Fin da giovane studiò le lingue antiche e moderne, le lettere e la filosofia. Colta, sensibile all'influenza del neoplatonismo, aperta alle nuove idee religiose, protesse pensatori e umanisti minacciati dalla repressione cattolica. Alla sua corte trovarono rifugio Étienne Dolet, Clément Marot, Calvino, Lefèvre d'Étaples. Negli ultimi anni di vita, circondata da letterati e studiosi, si ritirò nelle sue terre a Nérac; qui si allontanò dal calvinismo accogliendo le dottrine dell'evangelismo, impregnate di misticismo. Fu poetessa e scrittrice di talento; tra le sue opere di notevole varietà spiccano vari lavori teatrali, il poemetto Dialogue en forme de vision nocturne (Dialogo in forma di visione notturna, 1524), in cui affrontava le tematiche religiose della Riforma; le raccolte di poesie Miroir de l'âme pécheresse (Lo specchio dell'anima peccatrice, 1531), condannata dalla Sorbona; Les marguerites de la Marguerite des princesses (Le perle della perla delle principesse, 1547); Dernières poésies (Ultime poesie, ritrovate nel 1896). Il suo capolavoro è in prosa, il libro incompleto di novelle Héptameron (Eptamerone, 1588-89, postumo), ispirato al Decameron di Boccaccio. Marot da una definizione di M. de Navarre: “corpo femminile, cuore d’uomo e testa d’angelo” – qualità dell’umano e del divino. testa d’angelo: attribuisce questa qualità a qualcosa di non terreno. Floride fa appello alla parola per vedere se era capace di suscitare in Amadour, completamente stravolto dal desiderio, qualcosa che gli permetta di ricordare e tenere in considerazione il loro primo amore, per tentare di farlo desistere da un proposito tanto brutale. Floride getta la sua esca, e cogliendo dagli occhi di Amadour qualcosa che la invita a proseguire su quella strada, l’autrice sottolinea… Meccanismo narrativo molto raffinato: il romanzo in quanto tale ancora non esisteva – in questa narrazione il lettore trova molti aspetti di cui magari neanche si rende conto, quali ad esempio, oltre allo stupore, la sorpresa… dei tic linguistici propri del romanzo che cominciano a nascere proprio in questi anni. Discorso di Floride, che da fondo alla sua arte retorica per tentare di far desistere Amadour dal proposito di usare la violenza: tutto si svolge come un’ARGOMENTAZIONE. Nella letteratura italiana si trova difficilmente una donna argomentare (contemporaneamente) Questo suo discorso ha diversi livelli di argomentazione (5 livelli) – è un discorso piuttosto strutturato: 1. perché affannarsi a cercare qualcosa da cui non si possa trarre godimento, contentezza, un bene? – è una massima di natura filosofica: pensiero tipico ad esempio dello stoicismo o dell’epicureismo questo punto da molto conto della formazione filosofica di M. 2. conoscendo la sua determinazione (non cedeva neanche quando era giovane e bella), si chiede perché lui continui a insistere ora, nella condizione in cui si trova – brutta e afflitta da diverse circostanze. “Cosa cercate ancora in me?” 3. se, nonostante la bruttezza e la profonda afflizione in cui si trova, prova ancora amore nei suoi confronti, dovrebbe provare anche un sentimento pietà – può l’amore essere disgiunto dalla pietà? • coda retorica in cui si magnifica il sentimento di pietà che dovrebbe effettivamente albergare nell’uomo – lei afferma: “so che questa pietà è così grande, ad essa rivolgo il mio lamento e chiedo grazia.” – PERSONIFICA LA PIETA’ di Amadour e ad essa si rivolge. 4. ipotizza un ulteriore possibilità di replica – che Amadour non provi più affetto (e quindi impossibilitato a provare pietà) nei suoi confronti, e qui, in extremis, pone un ulteriore livello di argomentazione: ù 5. Lo minaccia di rivelare questo suo intento di violenza ad un altro personaggio che lo crede una persona per bene. ARGOMENTAZIONE ESTREMAMENTE ARTICOLATA – che fa appello ad una costruzione razionale che caratterizzerà tutto lo svolgimento della letteratura francese dal 600 in poi – e che fa riferimento al platonismo e ai principi che sono sempre stati parte dell’uomo – forme eterne del pensiero umano Il principio della buona forma in questo disegno vorrebbe vedessimo un cerchio completo (PRINCIPIO DI COMPLETAMENTO DELLA BUONA FORMA, non possiamo farne a meno)– la stessa cosa è fondamentalmente fatta anche nella “buona letteratura” – che non disegna mai un cerchio completo ma fa in modo che lo vediamo – razionalmente, secondo delle forme archetipiche della mente umana. è un principio di tipo Platonico: Platone giustifica questo fenomeno facendo riferimento al mondo delle idee, al quale ogni essere umano invariabilmente si riferisce. Amadour, rompendo il suo discorso: “non mi interessa quello che dite – se voi farete la vostra volontà io farò la mia e anche quando dovessi avere di voi soltanto le ossa, questo mi basta” A questo punto l’intento di Amadour è chiaro, e l’unica cosa che Floride può fare è gridare aiuto. In altre letterature, gridare aiuto sarebbe stata, se non la prima, la seconda cosa che avrebbe fatto – mentre qui prima tutto un piano di costruzione razionale. [La dixième nouvelle est à part dans le recueil par sa longueur inhabituelle. La nouvelle présente les personnages principaux (Amadour et Floride) de leur naissance à leur mort, alors qu’habituellement, dans une nouvelle, le récit se concentre sur un seul épisode. L’histoire s’étend sur une quinzaine d’années, le passage du temps étant nettement marqué par des indications de durée et par le vieillissement des personnages. Quand Amadour fait la connaissance de Floride, celle-ci n’a que douze ans (pourtant, elle aime déjà le fils de l’Infant Fortuné depuis trois ans) et lui-même en a dix-huit ou dix-neuf. Il la voit, puis part à la guerre en Catalogne. Après avoir épousé Avanturade, Amadour devient le familier et l’homme de confiance de la princesse d’Arande : il a alors vingt-deux ans (et donc Floride en a quinze). Il repart à la guerre pour deux ans : à son retour, il en a vingt-quatre. En cinq ans, il n’aura pas vu Floride plus de deux mois, mais il a échangé avec elle à l’occasion des lettres adressées à son épouse, Avanturade. Il y a une erreur du récit, qui indique que lorsque Amadour repart à Barcelone pour faire la guerre, Floride, qui est sur le point d’être mariée, a quinze ou seize ans : elle en a en fait dix-sept si on suit le chiffre précédent (5 ans, d’où 12 + 5 = 17 ans). Après la mort de sa femme, Amadour porte le deuil et reste absent de la cour pendant trois ou quatre ans. Au bout de deux ou trois ans à la guerre, il décide de faire une nouvelle tentative pour essayer de posséder Floride, de gré ou de force : il se rend chez la comtesse d’Arande, où il sait que se trouve Floride… Après la scène qui s’y déroule, la comtesse d’Arande reste sept ans sans parler à sa fille. C’est pendant, ou au terme de cette période de brouille avec sa mère que Floride incite Amadour à commencer une liaison avec une dame de compagnie de la reine d’Espagne. Intervient ensuite l’épisode final de la guerre contre le roi de Grenade, au cours de laquelle le frère (le duc d’Arande) et le mari (le duc de Cardonne) de Floride sont tués et Amadour se suicide. Éléments réalistes, mettant à bas le voile de l’idéalisation pour montrer la réalité crue. La grande leçon de la nouvelle 10, c’est l’ambivalence des sentiments : l’amour – que ce soit l’amour filial d’une mère pour sa fille ou l’amour passionnel d’un homme pour une femme (voir p. 190, la pathétique déclaration d’Amadour à Floride, qu’il essaye de violer alors qu’elle a le visage entièrement bandé après s’être défigurée elle-même à coups de pierre : « quand je ne pourrois avoir de vous que les oz, si les vouldrois-je tenir auprès de moy. ») – est susceptible de se transformer en son contraire et même, contient à tout moment son antithèse, la haine : « Et commencea l’amour, poulcée de son contraire, à monstrer sa très grande force » (p. 173). Une métaphore filée court dans tout le récit, à propos de la relation entre Amadour et Floride, développant l’analogie entre l’amour et la guerre. L’amour se formule en termes de stratégie, de siège, de conquête, de victoire…Cette métaphore filée court dans la déclaration d’Amadour à Floride, p. 168-170 : « tout ainsi que la necessité en une forte guerre contrainct faire le degast de son propre bien, et ruyner le bled en herbe, de paour que l’ennemy en puisse faire son proffict… ». Et l’aimée devient « l’ennemie » qu’il faut briser et soumettre. Voir p. 187 : « Au bout de deux ou trois ans, […] imagina une invention très grande, non pour gaingner le cuer de Floride, car il le tenoit pour perdu, mais pour avoir la victoire de son ennemie, puis que telle se faisoit contre luy. » Cette comparaison entre l’amour et la guerre, dans leur commune violence, est conduite jusqu’au bout, puisque la mort d’Amadour par suicide sur le champ de bataille est annoncée en ces termes : « et luy, qui ne vouloit non plus estre prins qu’il n’avoit sceu prendre s’amye… » (p. 194)] M. De Navarre nasce nel 1492 e muore nel 1549 scrittore suo quasi perfettamente contemporaneo è RABELAIS (1494 – 1553) Entrambi fanno parte del canone come M. De Montaigne. Mentre Marguerite è effettivamente ciò che ci si poteva aspettare dalla maturità delle lettere francesi, frutto colto a maturazione. Rabelais è invece un fenomeno completamente inatteso, un ciclone della letteratura del 500 francese. Non ha niente a che vedere con ciò che si faceva attorno a lui e dopo di lui non ci sarà di fatto più nessuno (se non per imitazione) che farà ciò che lui ha fatto. Per trovare un autore con la stessa forza innovativa sul piano del linguaggio, nelle lettere francesi sarà probabilmente Céline, che ha compiuto un’operazione altrettanto rivoluzionaria, e Joyce nella letteratura inglese. Rabelais, così come Joyce, non aveva niente a che vedere con quello che aveva attorno – erano squarci di lampo nella notte in un panorama tutto sommato pacifico. Di lui sappiamo poco dal punto di vista biografico: nasce nella regione della Loira – probabilmente da un padre avvocato. Inizialmente si fa monaco e appartiene all’ordine dei “cordeliers” (i francescani stabiliti in francia) ma poco dopo, considerata la grande propensione per gli studi umanistici, passa all’ordine benedettino (tradizionalmente l’ordine monastico che ha più come vocazione la trasmissione culturale – insieme a quello dei gesuiti). Nel 1527, quando ha già 33 anni, decide di abbandonare la vita monastica e si mette a studiare medicina all’università di Montpellier (all’epoca la più famosa facoltà di medicina di Francia – mantiene questo primato per secoli e lo è ancora oggi); completa gli studi in 10 anni, nel 1537 – ma la cultura straordinaria di cui è già in possesso fa si che riesca in maniera particolarmente brillante negli studi (la medicina all’epoca era ancora un’arte – non una scienza, lo diventerà solo nel corso del 600). In ogni caso riesce, anche a 43 anni circa, a diventare uno dei più importanti medici di Francia. Nel frattempo, nel 1532, pubblica Pantagruel e nel 1534 il Gargantua. Aveva deciso di studiare medicina non casualmente – era un grande umanista, che ad esempio aveva avuto un contatto epistolare con Budé, uno dei principali grecisti del tempo. Dalla lezione dei classici e in particolare dalla cultura greca desume l’idea modernissima che una persona, se vuole stare bene, se vuole godere di buona salute fisica, deve assecondare le esigenze “pulsionali” del proprio corpo. Tutto ciò che genera repressione, o una reazione di fastidio, è considerato profondamente nocivo allo stato di salute. chiaramente esiste il “disagio della civiltà” per essere all’interno del patto sociale non possiamo fare tutto quello che vogliamo, ma per quanto riguarda le nostre pulsioni, dobbiamo invece dare libero corso ad esse – ciò che Rabelais cerca di dimostrare. Il principio rivoluzione francese). Un contratto che unisce due persone che generalmente fanno vita separata, si incontrano per pochi momenti – generalmente destinati a dare una discendenza. La coppia avrà 6 figlie – ma anche questa unione matrimoniale sarà profondamente segnata dal lutto dato che ne sopravviverà solo una: per la sensibilità dell’epoca, molto diversa dalla nostra, la mortalità infantile è qualcosa di molto comune, che non provocava chissà quale dolore incolmabile nella vita dei genitori, non perché non amassero i figli, ma piuttosto perché i sentimenti di affetto nei loro confronti erano “invertiti” rispetto a quelli che sono adesso i nostri: infatti, loro erano poco legati, o almeno facevano meno attenzione all’educazione del bambino (proprio per l’alto tasso di mortalità del periodo – era meglio non affezionarsi troppo presto; e poi perché il bambino non era ancora un essere che aveva sviluppato le proprie capacità razionali – non è interessante, è considerato ancora inferiore –, quindi prendersi cura di loro, attenzionarli, era vista come una vera e propria perdita di tempo) e prestavano generalmente più attenzione e instauravano un vero e proprio rapporto invece con quelli che potevano definire individui “formati”, interessanti – i ragazzi. Da questo splendido isolamento (si trovava vicino Bordeaux, che si trova nell’estrema periferia, sudovest della Francia, un po’ lontana da Parigi e dalle direttive del potere regio per questo era una reclusione piuttosto “libera”). Inoltre pare nel castello di Montaigne ci fosse una torre in cui lui era solito ritirarsi per dedicarsi agli studi – era come se fosse solo tutta la giornata, e incontrava il resto della famiglia solo durante i pasti. 1580 pubblica la prima edizione della sua opera Les Essais (I saggi, una raccolta); la pubblicazione di quest’opera segna una svolta per Montaigne, che ricomincia a “”vivere”” dopo 17 anni di elaborazione personale del lutto – in cui si sforza, soggettivamente, di trovare una via all’esistenza. Aveva la necessità di ripensare la sua posizione all’interno della sua esistenza – il suo posto del mondo, di trovare un senso alla sua vita. infatti, questi Essais che scrive sono una disperata ricerca interiore di un senso. Infatti la prima edizione costituisce una sorta di risposta. Non casualmente, dopo la pubblicazione si mette a viaggiare. Lui era uno scrittore, e per uno scrittore la cosa più importante, la cosa più difficile è pubblicare un libro: è come dare qualcosa di se al pubblico. E nel 500, lui ne è sicuramente a conoscenza, e per questo è molto restio a pubblicare – che diventa una sorta di coming out intellettuale. Pubblicare qualcosa è un gesto di natura proiettiva – pubblichiamo qualcosa che dia un’immagine idealizzata di noi stessi. Lui sente chiaramente l’esigenza di viaggiare dopo la pubblicazione, di abbandonare il luogo in cui aveva mostrato una parte di se stesso. Viaggia in Germania e in Italia. Però i suoi viaggi dureranno poco perché, mentre è in Italia, nel 1581, viene informato di essere stato eletto sindaco di Bordeaux (perché i Montaigne erano una delle famiglie più influenti della città, e siccome la situazione politica era molto poco equilibrata, viene nominato lui, perché ovviamente era qualcosa che sapeva fare.) Egli accetta la carica (altro segno del suo mutamento personale) e nel 1583 anche un secondo mandato. 1585 arriva la peste a Bordeaux. Verso la fine del 500 – inizio del 600 vi erano ancora degli ultimi cicli di peste – anche se non sono ovviamente più quelli del Quattrocento, era uno degli ultimi focolai e un fenomeno limitato. In ogni caso anche quello costituisce un momento di crisi per la città. Dopo questo M. finisce il mandato di sindaco e si ritira nuovamente a vita privata. Tre anni dopo, nel 1588, esce la seconda edizione degli Essais. Può esserci una seconda edizione perché ovviamente gli essais, saggi, per la loro stessa natura, possono essere aggiunti indefinitivamente. Era un genere che si presta all’accumulazione. Quindi ne aumenta il numero e successivamente procederà ad ulteriori ritocchi sino alla morte, nel 1592. Fonti degli Essais sono varie e danno atto della vastità delle letture di Montaigne. Ha una perfetta conoscenza della lingua latina e per questo notiamo moltissimi riferimenti a Catullo, Lucrezio, Virgilio, Orazio. Troviamo anche storici come ad esempio Sallustio, Tito Livio e Tacito. è presente anche Cornelio Nepote ma sono soprattutto presenti filosofi: Cicerone e Seneca. Per quello che concerne invece la letteratura greca troviamo riferimenti ad Erodoto, Senofonte; tra gli autori politici Plutarco; e, per quanto riguarda i filosofi, Aristotele. Montaigne, a differenza del resto della Francia del ‘500 che era Platonizzante, egli era aristotelico da un’idea del suo provincialismo, del suo isolamento. (Aristotele era il punto di riferimento delle generazioni precedenti) Dal punto di vista, invece, delle letture dei contemporanei, conosce i grandi Umanisti (Erasmo e Giusto Lipsio), legge Machiavelli; legge storici francesi. ESSAI – Saggio = quelli di Montaigne costituiscono una sorta di flusso di coscienza a partire dalle letture che ha fatto. Tutto ciò che viene fuori non è mai frutto di una costruzione intellettuale. I suoi saggi non somigliano a nessun saggio precedentemente pubblicato. questa sua operazione culturale è simile a quella che Rabelais fa per il romanzo. “Essai” in francese “tentativo” infatti i suoi sarebbero dei “coup d’essai”, tentativi di mettere su carta ciò che lo affligge sul piano interiore tuttavia, l’idea della scrittura- sollievo emerge più tardi, ad esempio con le forme diaristiche. Lui, però, senza esserne pienamente consapevole, probabilmente comincia ad intendere la sua scrittura in questo modo. Oppure, potrebbero essere degli Essais nel senso di tentativi di scrivere un saggio vero e proprio. Probabilmente, così come per Pascal, questi erano solo degli appunti che poi avrebbero dovuto costituire un’opera più organica, solo che viene probabilmente “conquistato” dall’estetica dell’inconcluso, per la quale si rende conto che non aveva senso organizzare ulteriormente ciò che aveva scritto, perché andava bene così com’era, in una forma frammentaria. noi siamo oggi propensi ad accettare un lavoro incompiuto come qualcosa con un valore estetico, ma nei secoli questo è stato un argomento piuttosto controverso accettiamo oggi che il prodotto artistico possa consentirsi il lusso di non avere una conclusione articolata. alcuni ne hanno giovato. Si rese probabilmente conto, ad un certo punto, che non sarebbe mai riuscito a mettere insieme i pezzi della sua opera, che non sarebbe mai stata un “uno” per questo si ferma non di sicuro per pigrizia intellettuale. Inoltre, il fatto che si trattasse di riflessioni che viravano sempre sul piano personale, indusse M. a ritenere che non fosse poi tanto importante riorganizzare il tutto si rende conto, per primo nella storia della letteratura inglese, che stava parlando di se stesso (principio molto difficile da accettare all’epoca – nel 500/600 era considerato poco opportuno Pascal dirà che Si le « moi est haïssable », c’est que le monde est peuplé de milliards de « moi » qui veulent chacun « se faire le centre de tout ». Il en résulte que « chaque moi est l’ennemi et voudrait être le tyran de tous les autres ». non posso dire « moi » senza provocare nel prossimo un sentimento di odio, perché all’altro non interessa ciò che io sono, faccio, penso. Quindi, molto in sintesi, gli Essais sono riflessioni di M. sull’arte e sulla vita. La sua opera riscuote successo (nonostante le opinioni personali non suscitino chissà quale particolare interesse – e non lo hanno mai fatto – perché di solito restano solo effimeri), e viene inserita all’interno del canone le sue opinioni sono risultate interessanti perché diverse generazioni si sono riconosciute nelle sue riflessioni. ha dato effettivamente voce ad insicurezze, dubbi; vi è l’espressione di un cammino rispondono alle istanze di quelle generazioni non danno una soluzione ma un metodo. A noi interessano perché ci permettono di immergerci all’interno della sensibilità del ‘500. Inoltre, lui aveva una sensibilità estetica pazzesca. Le sue considerazioni sono molto raffinate. La lettura risulta gradevole, anche per la qualità della sua scrittura. La seconda edizione viene pubblicata (probabilmente, ipotesi del prof), perché viene solleticato dal successo della prima – che lo incoraggia a continuare a scrivere. Queste “aggiunte”, che sono anche consistenti, sono molto spesso meno fascinose di quelle della prima edizione, perché si sente che M. ha percepito la pressione sociale del successo sul piano stilistico si avverte una maggiore costruzione, come se si sforzasse di scrivere meglio rispetto a quanto non abbia fatto precedentemente. “Je suis moi même la matière de mon livre” si rende conto di essere lui stesso la materia, l’argomento principale del suo scritto affermazione scandalosa per l’epoca. effettivamente, il filo conduttore dei diversi “saggi” è lui stesso. Da questo punto di vista costituiscono una sorta di diario in cui appunta tutta una serie di considerazioni su se stesso, la sua vita, l’arte, a volte anche la politica. però si troverà ben presto ad affrontare il problema del senso della propria esistenza. lo affronta partendo dall’opposizione tra natura e ragione, la prima formulazione di un’opposizione tutt’ora ancora vigente, natura / cultura, oggi per noi praticamente indissolubile e cruciale. si chiede: cos’è che deve guidare la nostra vita? la natura o la ragione? al suo tempo un indirizzo preciso per l’esistenza è indispensabile (oggi non lo è più); senza, l’uomo si sentirebbe allo sbando. questa distinzione serve anche a capire quale indirizzo filosofico dare alla propria vita. La prima posizione dalla quale parte è anche la più severa, legata allo STOICISMO: l’uomo deve sopportare la precarietà dell’esistenza. Esso dice che la vita è qualcosa che ESTRATTO di Rabelais Tema dell’EDUCAZIONE – passo affine, per tematica, a quello di Montaigne. tratto dal Pantagruel, lettera che Gargantua invia al figlio – che si trovava a Parigi per perfezionare gli studi – per incoraggiarlo a continuare i suoi sforzi. ▲ Gargantua chiude una lettera come una sorta di “percorso ascedico” (con un tono solenne) che lo vede progredire lungo tutto l’arco delle scienze, fino ad arrivare ad una sorta di perfezione umana quasi assoluta in realtà contiene diversi indizi contrari alla morale cristiano-cattolica dell’epoca. Essa presenta un piano di studi sicuramente esigente, che rappresenta il prototipo stesso della formazione umanistica del XVI secolo. Il “sogno” dell’umanesimo consiste nel possedere volumi su volumi, perché una persona particolarmente dotata di curiosità intellettuale doveva leggere tutto quello che riguardava almeno una sola disciplina. Giovanni Macchia possedeva a casa sua circa 80.000 volumi – Umberto Eco 60.000 nel suo appartamento milanese non potevano averli letti tutti. Il patrimonio librario a cui si riferisce Rabelais è sicuramente molto vasto, però sicuramente in maniera minore rispetto a quello moderno, perché oggi non basterebbe neanche una vita per leggere tutto ciò che riguardi anche una sola disciplina. ‘400 – ‘500 vi erano alcune opere considerate fondamentali, non eccessivamente numerose, che potevano effettivamente essere lette. Rabelais lo fece. Lui di fatto aveva studiato tutto ciò che era scritto nella lettera. ▲ voleva imparasse le lingue. ▲ Encyclopedie è un grecismo che circolava in quel periodo in Europa, ma Diderot, successivamente, non lo desume da lui, ma da uno scrittore inglese, Chambers, che scrive un’Encyclopaedia, che era stato incaricato di tradurre. ▲ nell’ambito della cultura umanistica, gli dice di imparare l’astronomia, ma di lasciar perdere l’astrologia e l’arte di Lullo (con la mnemotecnica) = non hanno valore, sono futili. ▲ del diritto civile doveva conoscere a memoria i più bei testi filosofia del diritto intesa come scienza positiva. ▲ doveva dedicarsi anche alla storia naturale esisteva già un’opera che raccoglieva tutto ciò, nella tradizione umanistica la “Naturalis Historia” di Plinio. ▲ doveva studiare la medicina (dei medici greci, arabi e latini), non tralasciando nulla (neanche i talmudisti e i cabalisti) anche approfondendo il tutto tramite le dissezioni, per acquisire una conoscenza perfetta dell’uomo. questo si scontra in maniera molto forte con la morale cattolica dell’epoca, perché le dissezioni erano vietate nel 500. potevano venire operate solo in alcune zone franche (in Italia: Padova e in seguito Venezia; a Parigi erano vietate; a Montpellier, dove studiava R., venivano operate anche se in maniera spesso furtiva perché non era vista di buon occhio dalla chiesa) l’impostazione che dà alla sua lettera è sicuramente cristiana ma non cattolica, proprio perché opera una congiunzione tra fede e ragione estranea al periodo. operare una dissezione sarebbe, per la mentalità dell’epoca, un po’ come voler svelare il mistero della costruzione di Dio. occorrerà un cambiamento mentale radicale. ci vorranno secoli per tornare ad appropriarsi del corpo in quanto oggetto. Questo brano costituisce anche una traccia fossile rispetto allo studio della medicina. ▲ Per quanto riguarda la religione: gli dice di leggere il nuovo testamento e le lettere degli apostoli, e in ebraico l’antico testamento. ▲ In lui voleva vedere un abisso di scienza per potersi poi prendere il suo meritato riposo e dedicarsi all’arte della cavalleria e delle armi. [en somme… passaggio molto importante perché opera una specie di salto, in ossequio al platonismo costruzione artificiale.; il modello di educazione che Platone presentava nella Repubblica, contempla uno studio sicuramente vasto, finalizzato, però, alla vita politica inteso come esercizio delle abilità politiche del cittadino.] lo studio, nella tradizione classica, non è mai stata vista come un’attività fine a se stessa. l’ozio non poteva, nella tradizione classica essere il fine dello studio (studiare ora per poter oziare in futuro – questo consigliava, in sintesi, Gargantua al figlio.) in futuro vuole che il figlio metta alla prova i suoi progressi (sostenendo discussioni pubbliche, frequentando la gente). ▲ scienza senza coscienza è solo rovina dell’anima quindi doveva anche servire, amare e temere Dio. ▲ non prendere a cuore le futilità, perchè solo “la parole de Dieu demeure éternellement” scrive queste parole, che sembrano quasi parte della bibbia (?), con una lucida coscienza stilistica; poi aggiunge: sii servizievole con il prossimo e amalo come te stesso: così scandisce chiaramente il suo periodo rispetto ad antico e nuovo testamento (tipico del ‘500 – oggi però quasi non si distinguono più) ▲ è un brano molto importante perché costituisce una radiografia di come veniva intesa l’educazione umanistica nel 500 francese. Sempre nel ‘500 Montaigne, nel primo libro degli Essais, dà delle indicazioni alla contessa Mme Diane de Foix relativamente all’educazione del figlio scrive una riflessione sull’educazione di un giovane nobile. ♦ strutture sintattiche sono sbilenche lo stile negli Essais di Montaigne, soprattutto prima delle revisioni e della seconda edizione, è quasi colloquiale. ♦ Non vuole dare consigli su una materia relativamente alla quale non ritiene di poter dare un giudizio. mentre Gargantua pontifica sull’educazione, vuole dare quasi delle direttive, Montaigne non pretende di fornire un parere utile, né che la sua parola sia definitiva vuole dare solo un parere. “mi si creda nella misura in cui il buon senso vi suggerisce di credermi”. ♦ un nobile non può consentirsi di scrivere solo con l’idea di poterne trarre un profitto in denaro sarebbe un’attività indegna “della grazia delle Muse”. E anche se così fosse, io, in quanto scrittore nobile, potrei sforzarmi di farmi un nome e di guadagnare con la letteratura, ma il mio successo, la mia riuscita dipenderebbe sempre da altri, dal pubblico che legge fa sentire la sua fragilità di uomo, la fragilità di una speranza. una fragilità che gli autori non si erano mai consentiti. ♦ lo scopo che doveva rincorrere, il fine dell’acquisizione delle lettere secondo lui doveva essere quello di arricchirsi dentro, non di apparire, vantandosene. ♦ ciò che a lui interessa, il motivo per cui studia e scrive, è di essere abile, e non sapiente. Abile a trovare una sorta di savoir-y-faire, saperci fare, con la vita. ♦ A tal fine il precettore scelto non doveva avere una testa “ben piena”, ma “ben fatta”. Secondo lui non importa tanto la quantità di sapere, conta l’essere intelligenti, quindi l’essere capaci di mettere insieme, mettere in pratica, tutto quello imparato (prospettiva rovesciata rispetto all’ideale umanistico – ad esempio Pantagruel, che era un pozzo di scienza; la figura che M. delinea è ben diversa.) ♦ il nostro compito non è quello di “ridire ciò che ci è stato detto” è il contrario di quello che ci dice Rabelais. il precettore doveva correggere, e fare in modo che l’insegnamento sia destinato ad una persona in relazione alla sue capacità. Secondo il prof., potremmo avere due letture di questo brano: • potrebbe esserci una RADICALE CONSAPEVOLEZZA del fatto che i bisogni educativi delle persone sono diversi oggi il sistema scolastico si è adeguato a questo pensiero tutti devono accedere alle stesse opportunità di formazione, ma i bisogni possono essere differenti – anche in relazione alla nostra diversità nei confronti della stessa operazione di apprendimento tuttavia era una prospettiva ancora diversa dalla nostra perché non ancora legata all’idea di scuola di massa. Il precettore non doveva sforzarsi di infilare nella testa dello studente una serie di nozioni; doveva rendere lo studente in grado di trarre conclusioni e approfondire, aprendo in lui lo stimolo di continuare lo studio e la ricerca idea lontana da quella di Rabelais: lo studente non doveva imparare tutto, ma solo le “basi” per permettere la formazione della testa. cita Socrate, che faceva parlare per prima i suoi discepoli il precettore doveva far camminare lo studente davanti a lui per giudicare la sua andatura. Se il precettore pretende che il discepolo lo segua non può guardarlo ed accorgersi se gli sta dietro o meno. Deve tenerlo sotto controllo e guidarlo. Saper pensare e scegliere autonomamente è una delle cose più difficili, secondo lui.
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