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Riassunto dettagliato del libro "L'Agnese va a morire" di Renata Viganò, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Questo documento è un riassunto molto dettagliato del libro "L'Agnese va a morire" di Renata Viganò. Questo documento contiene anche delle nozioni storiche per contestualizzare meglio la trama del libro e per portare a una migliore comprensione delle vicende narrate.

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 15/06/2022

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Scarica Riassunto dettagliato del libro "L'Agnese va a morire" di Renata Viganò e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! L’AGNESE VA A MORIRE [1949, di Renata Viganò] Parte prima I. Una sera di settembre l’Agnese tornando a casa dal lavatoio (Agnese fa la lavandaia) col mucchio di panni bagnati sulla carriola, incontra un soldato nella cavedagna. Il soldato dice “La guerra è finita, io vado a casa”. Quindi la narrazione ha inizio quando probabilmente è già stata annunciata la fine della guerra, e quindi dopo l’8 settembre 1943, data dell’Armistizio di Cassabile. “Si sono tutti ubriacati l’altra sera quando la radio ha dato la notizia”, il riferimento storico è ovviamente all’annuncio dell’armistizio via radio, che avvenne l’8 settembre 1943, alle 18:30 italiane, tramite Radio Algeri da parte del generale Dwight Eisenhower, e poco più di un’ora dopo, alle 19:42, venne confermato dal proclama del maresciallo Pietro Badoglio trasmesso anch’esso radiofonicamente dall’EIAR. Il soldato era un tipo molto allegro, dopo aver scambiato due chiacchiere con Agnese a proposito della fine della guerra, il soldato la aiuta a spingere la carriola fino a casa. A questo punto facciamo la conoscenza di altri personaggi: i vicini di casa di Agnese e di suo marito Palita (che ancora non ci è stato presentato). La famiglia che abita nella casa accanto a quella di Agnese e Palita è formata da Augusto, il padre di famiglia; dalla Minghina, sua moglie e dalle loro due figlie. Ci dicono subito anche che “le due famiglie non andavano d’accordo”, la casa era vecchia e avrebbe dovuto essere riparata ma non facevano nulla perché non andavano d’accordo. Le due figlie della Minghina stanno dando da mangiare ai polli (scorcio di vita quotidiana?). Poi ci viene presentato Palita, il marito di Agnese. Spesso Palita fumava la pipa con Augusto, marito della Minghina, ma le volte in cui le loro donne litigavano tra di loro allora anche i mariti si guardavano male e si insultavano. Agnese fa entrare il giovane soldato in cucina dove c’era suo marito Palita seduto vicino alla finestra con la gatta nera accucciata. Il soldato rimane a cena da Palita e da Agnese. Palita era contento di vedere qualcuno da fuori e di farsi raccontare, anche se in realtà parlava più lui del soldato, come succede a chi è abituato a stare da solo, non appena si trova in compagnia. Palita passava i giorni seduto vicino alla finestra, fabbricava scope e panieri, impagliava fiaschi, era l’unico lavoro che poteva fare: da giovane era stato molto ammalato. La malattia lo aveva costretto a lasciare lo studio e poi ad entrare in un sanatorio, non era proprio questa la vita che aveva sognato quando da giovane, prima di ammalarsi faceva chilometri in bicicletta. Al sanatorio era guarito, ma guarito come possono guarire quelli che hanno quella malattia che aveva lui (Palita racconta un po’ la sua vita al giovane soldato, e così la racconta anche a noi lettori, è un modo per presentare il personaggio). Il padre di Palita era un contadino, la casa era sua e anche il podere, ma poi hanno venduto il podere e metà della casa perché Palita non poteva lavorare la terra. Però faceva chilometri in bicicletta per andare a far l’amore con l’Agnese, racconta Palita al soldato. Agnese allora era magra, non grossa come adesso. Il soldato masticava in silenzio, si capiva che aveva molta fame arretrata ed era stanco, ma allegro. Quella sera a cena, l’Agnese, Palita e il soldato sembrava “una sera d’estate che pareva ormai fuori della guerra, al sicuro”. Palita dice (e anche questo serve per presentare meglio l’Agnese ai lettori) “L’Agnese è sempre stata brava. Lavora lei per me, fa la lavandaia al paese. Mi tiene con tutte le cure come un bambino. Senza lei non sarei più vivo”. Lo dice Palita al soldato mentre Agnese era andata al pozzo a prendere l’acqua, ma il soldato era stanco e si era già addormentato mentre Palita gli parlava. Poi bussano alla porta è la Minghina che dice ad Agnese e a Palita che devono subito mandare via quel soldato. “ Le mie figlie hanno detto che sono arrivati molti tedeschi in paese. Se trovano dei disertori (soldati che in pace o in guerra abbandonano il loro reparto), portano via anche quelli che li hanno nascosti”. Agnese risponde che in casa sua ci tiene chi vuole. Ma la Minghina incalza dicendo: “Le mie figlie hanno detto che torna su il fascismo, e tutti quelli che hanno fatto festa il 25 luglio li porteranno in Germania” e qui abbiamo un’altra informazione storica  il 25 luglio 1943 è la data della caduta del fascismo e dell’arresto di Mussolini. Continua la Minghina “Le mie figlie sono state alla casa del fascio per aiutare a servire il vino ai tedeschi, sono venute di corsa ad avvertirmi del pericolo”. L’Agnese manda via la Minghina. La mattina presto però Agnese si veste, prepara la colazione, sveglia il soldato e gli dice di partire subito perché ci sono i tedeschi in paese. Il soldato va via di corsa, Agnese gli dà del pane e qualche consiglio su un fosso sotto l’argine in cui nascondersi. Poi gli dice di ritornare la sera, così gli darà un vestito da borghese. (Qui si mostra come fu importante l’accoglienza che i soldati partigiani potevano trovare nelle famiglie, nei paesi di tutta Italia). Arrivano i tedeschi, l’autrice scrive “L’aia, la campagna, il mondo furono guastati dai loro aspetti meccanici disumani, pelle, ciglia, capelli quasi tutti di un solo colore sbiadito, e occhi stretti, crudeli, opachi come di vetro sporco. I mitra sembravano parte di essi, della loro stessa sostanza viva .” I soldati erano otto e un maresciallo, vanno verso casa di Agnese e Palita e cercano “Ottavi Paolo” è Palita. I soldati tedeschi dicono “Qui disertori soldati italiani?” cercano per tutta la casa, senza trovare niente, ma portano via Palita con loro. Agnese cerca di dire ai soldati che Palita è malato, che non può lavorare e di non portarlo via, ma non c’è niente da fare. Palita dice ad Agnese “sta buona che sennò è peggio, bada alla casa e al maiale che non te lo rubino.” Palita è già sul camion, Agnese lo rincorre, lui le grida “Dicono che ci fermiamo in paese, nelle scuole, portami da mangiare e un po’ di biancheria, mi farò scartare alla visita”. Ma così non fu. Le ultime parole di Palita ad Agnese mentre lei, grossa, cercava di rincorrere il camion e di urlargli “addio” ma senza riuscirci a causa dell’affanno, sono: “ Mi raccomando la gatta…”. L’Agnese rientra in casa, prepara la minestra in una pentolina, una sporta di provviste e il fagotto della biancheria, da portare a Palita. Si veste e arriva in paese carica e sudata, nelle scuole come le aveva detto Palita. In piazza c’erano delle donne che piangevano ma nessuna traccia di Palita. Chiese a due soldati tedeschi che erano di guardia dove fossero andati ma loro “Io niente sapere”. Così Agnese si raschia la gola davanti alla casa del fascio e sputa per terra. Sfinita, Agnese si siede, si toglie le scarpe, è digiuna dalla mattina, prende la minestra preparata per Palita e la mangia pensando: “Palita non torna. Palita muore. Palita è morto.” Comincia a piangere e le lacrime cadono sulle cucchiaiate piene. Da questo momento la rabbia di Agnese verso i tedeschi e i fascisti che le hanno portato via il marito Palita, diventa grande. II. Agnese pensa fin da subito, un po’ per non illudersi, che Palita non sarebbe riuscito a scappare ai tedeschi. Poi pensa che il soldato, nascosto nel fosso dell’argine deve tornare a casa sua per prendere i vestiti da borghese e poi pensa Agnese “anche per vedere cosa è successo a causa sua”, in realtà non è colpa del soldato. Arrivano arei caccia-bombardieri con l’intento di bombardare il ponte, la gente scappa dappertutto, si butta nei fossi, dietro le siepi, ovunque. Nella fuga per mettersi al riparo dai bombardamenti le persone ai rifugiano in casa di Agnese, tra questi anche due soldati tedeschi, uno dei due pallido guarda il pavimento e ripete “Guerra niente bono” con un sorriso timido e sconsolato (Che significa? Che anche tra i tedeschi ci fu qualcuno che si rendeva conto del male della guerra?) (Ancora non si sono date informazioni sul luogo dei fatti, sulle date sì, ma non sul luogo). Dopo il suono delle sirene, che annuncia il cessato pericolo, Agnese caccia via da casa sua tutti quelli che vi sono entrati per mettersi al riparo dai caccia-bombardieri. Una donna tra quelle che si erano riparate in casa di Agnese dice “Hanno preso anche mio marito, e poi Ivo, Silvio, il figlio di Cencio, Ottavio del mulino…” segnando ad ogni nome una delle compagne e tutte si mettono a piangere con i fazzoletti sulla faccia. Così Agnese va a prendere delle sedie per far sedere queste donne disperate, lei invece sta zitta e le fissa con occhi vuoti. “I nostri uomini non torneranno più. Sarebbe bello ammazzare tutti i tedeschi. “ Dice Agnese ad un tratto. L’odio verso i tedeschi e i fascisti si fa sempre più forte in Agnese. E’ la prima volta che in la gente di quel paese (non si dice ancora quale) subisce un bombardamento. Durante l’azione aerea ricompaiono anche la Minghina, il marito Augusto e le figlie ma si chiudono in casa e non parlano con nessuno. (Atteggiamento proprio di chi pensa solo a salvarsi la pelle per sé ed è connivente (/complice) coi tedeschi e i fascisti, probabilmente più che per ideologia per salvarsi la pelle egoisticamente io credo, poi vediamo nel corso del romanzo). Augusto entra in casa di Agnese evidentemente per parlare di Palita, ma Agnese taglia corto “Palita vi saluta”, le ricorda quando Palita fumava la pipa con lui e le salgono le lacrime agli occhi. Agnese va a vedere se trova il soldato (quello incontrato all’inizio con cui aveva cenato insieme a Palita, prima che lo portassero via i tedeschi) nascosto nel fosso vicino all’argine dove gli aveva consigliato lei, ma il soldato non c’è, anche se dall’erba pesta Agnese riconosce il luogo in cui probabilmente il soldato era stato seduto per ore, con la paura dei tedeschi. Qui Agnese fa un confronto tra il giovane soldato che probabilmente è riuscito a tornare a casa dalla sua famiglia e Palita che invece non tornerà. “Lui è tornato al suo paese, con la confusione e gli aeroplani nessuno gli avrà badato, bussa alla porta e sua madre apre e lo vede. E intanto Palita l’hanno portato via i tedeschi”. Per Agnese quella è la prima di tutte le sere senza Palita. “Il mondo sembra un altro, nuovo, estraneo, dove lei non avrebbe più lavorato, le diventava inutile la sua vecchia forza di contadina se non doveva mantenere più Palita”. “Ma non malediceva il ragazzo disperso (il giovane soldato cioè) che cercava la via di casa, né si rammaricava di averlo aiutato. Lui non aveva colpa: soffriva della guerra, aveva fame e sonno, era giusto dargli da mangiare e da dormire. Nasceva invece in lei un odio adulto, composto ma spietato, verso i tedeschi che facevano da padroni, verso i fascisti servi, nemici essi stessi fra loro, e nemici uniti contro povere vite come la sua, di fatica, inermi, indifese.” (E’ come se Agnese qui stesse dando una risposta al suo senso di colpa nell’avere aiutato quel soldato, la causa per cui poi i tedeschi hanno portato via Palita, ma poi si dice in fondo non è colpa del soldato – e quindi non è colpa mia che l’ho aiutato- lui era in difficoltà, è stato giusto aiutarlo – è cioè ho fatto bene, non ha colpa lui, e quindi non ho colpa io che l’ho aiutato, aveva fame e sonno, soffriva della guerra, non avrei potuto agire diversamente. La colpa è dei tedeschi). Dopo qualche giorno arriva una lettera di Palita, con parole scritte col lapis, ma l’Agnese sa appena leggere e le parole sono quasi cancellate, così non capisce bene. Però quelle parole significano almeno ce fino a quel momento Palita è vivo. Poi vanno a trovare Agnese, Toni e Mingùcc, che abitano a poca distanza dal paese e erano amici di Palita, insieme a Toni e Mingùcc c’è un altro uomo giovane che però Agnese non conosce. Toni e Mingùcc dicono ad Agnese “Voi certo sapete che Palita è del nostro partito (comunisti? O comunque partigiani?). Agnese risponde “mio marito ne parlava ma erano cose di politica e di partito, cose da uomini, io non ci badavo” (Invece poi ciò che era “da uomini” diventerà anche “da donne” nella guerra partigiana, anche le donne, il personaggio di Agnese ne è un esempio, saranno parte attiva nella Resistenza). “Mio marito ne parlava, ma erano cose di politica e di partito, cose da uomini. Io non ci badavo. So che ha sempre voluto male ai fascisti, e dopo anche ai tedeschi, e diceva che i comunisti ci avrebbero pensato loro per tutti, anche per i padroni che ci sfruttano, a fare piazza pulita”. I tre uomini, Toni, Mingùcc e il giovane sconosciuto per Agnese dicono che Palita era un bravo compagno e che faceva molto per loro. Allora Agnese domanda se può fare qualcosa lei adesso per loro, lo domandò arrossendo come se si fosse azzardata a dire troppo. I tre spiegano allora ad Agnese cosa avrebbe dovuto fare per aiutarli. Agnese sta prendendo via via coraggio e consapevolezza dell’importanza anche della sua azione. I tre le dicono poi di stare attenta che il rischio è di rimetterci la pelle se la pescano i tedeschi o i fascisti. Ma Agnese è convinta che Palita non ritornerà, e le scende qualche lacrima. I compagni le dicono che invece ritornerà e le fanno coraggio, lei è un po’ imbarazzata per aver pianto davanti a loro. Qui per la prima volta nella conversazione tra Agnese, Toni, Mingùcc e il giovane sconosciuto, si esplicita il sospetto di Agnese su chi abbia fatto il nome di Palita ai tedeschi  Toni dice “Chi credete che abbia dato ai fascisti il nome di vostro marito?”, Agnese indica la parete, lei sospetta che siano stati la famiglia che abita accanto, quindi la Minghina, Augusto e le due figlie. Se ne fosse sicura non sa che farebbe, i compagni dicono che lo scopriranno con facevano forza l’uno con l’altro per non credere all’apertura del famoso “secondo fronte”, per non dare importanza alla ripresa dell’esercito russo, per riannodare i fili dispersi della certezza di una vittoria tedesca. Si passavano le ragazze, senza grande gusto, per mancanza di novità, di scelta; e le ragazze diventavano esigenti, volevano dei regali, si mettevano in valore perché erano in poche. (La Russia nella seconda guerra mondiale combatte a fianco degli Alleati, quindi anche degli Stati Uniti, i problemi tra Russia e Stati Uniti ci saranno dopo la fine della seconda guerra mondiale, con la guerra fredda). La Repubblica Sociale Italiana (RSI), anche conosciuta come Repubblica di Salò, fu il regime, esistito tra il settembre 1943 e l'aprile 1945, voluto dalla Germania nazista e guidato da Benito Mussolini, al fine di governare parte dei territori italiani controllati militarmente dai tedeschi dopo l'armistizio di Cassibile[6]. La sua natura giuridica è controversa: è considerata uno Stato fantoccio da gran parte della storiografia[7][8][9][10][11] nonché dalla prevalente dottrina in materia di diritto internazionale[12]; tuttavia alcuni storici e giuristi hanno problematizzato la portata di tale definizione, definendo la RSI un "governo insurrezionale" (quindi dotato di una propria soggettività) o comunque un ente dotato di un ordinamento con carattere originale e non derivato da quello della Germania[13]. Lo stesso Mussolini era comunque consapevole che i tedeschi considerassero il suo regime alla stregua di uno Stato fantoccio.[14] L'attuale ordinamento italiano non le riconosce alcuna legittimità; infatti nel decreto legislativo luogotenenziale 5 ottobre 1944, n. 249 sull'"Assetto della legislazione nei territori liberati" essa è definita «sedicente governo della repubblica sociale italiana»[15]. Secondo fronte Con il termine Secondo fronte si intende, nella storiografia della seconda guerra mondiale, il lungamente atteso e ripetutamente rinviato nuovo teatro bellico in Europa, di cui era prevista fin dal 1942 la costituzione da parte delle potenze alleate anglosassoni e di cui era auspicata la pronta attuazione da parte di Stalin, per iniziare grandi operazioni offensive contro la cosiddetta "Fortezza Europa" della Germania di Hitler, prestare un aiuto concreto all'Armata Rossa, in combattimento dal giugno 1941 sul grande e sanguinoso Fronte orientale contro la grande maggioranza delle forze della Wehrmacht, e concorrere alla distruzione del Terzo Reich[1]. Inoltre, nella locuzione "Secondo fronte" viene compresa anche tutta la complessa storia diplomatica su questo cruciale argomento tra Unione Sovietica e potenze Alleate (protrattasi per oltre due anni), e i contrasti strategico-operativi tra le tre potenze ed in particolare tra Gran Bretagna e Stati Uniti, riguardo alla pianificazione dettagliata, la catena di comando e i tempi di attuazione di questa nuova offensiva in Europa nord-occidentale[2]. Il 6 giugno 1944, finalmente il "Secondo fronte" avrebbe avuto inizio con il gigantesco e riuscito sbarco in Normandia, che avrebbe permesso di organizzare e schierare sul continente europeo le enormi forze aeroterrestri angloamericane, in preparazione da quasi tre anni in Gran Bretagna. Armata Rossa L'Armata Rossa degli Operai e dei Contadini (in russo: Рабоче-крестьянская Красная армия?, Raboče-krest'janskaja Krasnaja armija in sigla RKKA), più comunemente Armata Rossa, fu il nome dato alle forze armate russe dopo la disintegrazione delle forze zariste nel 1917. L'aggettivo “rossa” fa riferimento al colore tradizionale del movimento socialista e comunista. L'Armata Rossa fu istituita su decreto del Consiglio dei commissari del popolo della RSFS Russa nel 1918 e divenne l'esercito dell'URSS al momento della fondazione dello Stato stesso, nel 1922. Lev Trockij, commissario del popolo per la guerra dal 1918 al 1924, ne è considerato il fondatore. L'Armata Rossa, guidata direttamente da Stalin con la collaborazione di vari generali, svolse una funzione decisiva durante la seconda guerra mondiale sconfiggendo in quattro anni di violente e sanguinose battaglie la grande maggioranza delle forze della Wehrmachtdella Germania nazista e concludendo vittoriosamente il conflitto con la conquista di Berlino e Vienna[2]. Nel suo periodo di massima espansione d'organico, nel 1943, l'Armata Rossa contava 10,5 milioni di effettivi tra ufficiali, sottufficiali e soldati ed era equipaggiata con migliaia di carri armati e cannoni moderni; le perdite per raggiungere la vittoria furono elevatissime: 11,2 milioni di soldati morti per cause di guerra nel periodo 1941–1945[3]. Fronte occidentale 1940 - 1945 Dopo la vittoria sul Terzo Reich, nel 1946 la denominazione Armata Rossa venne, almeno ufficialmente, modificata in Armata Sovietica (in russo: Советская Армия?, traslitterato: Sovetskaja Armija, in sigla SA).[4] CONTINUA IL RIASSUNTINO PRAGRAFINO IV. Le figlie della Minghina si prostituiscono coi tedeschi, guadagnano bene e fanno la loro madre, la Minghina contenta, visto che a lei importava solo del guadagno. Il padre Augusto è un po’ meno contento, ma la sua opinione contro quella di tre donne non vale molto. Le figlie della Minghina sono piuttosto belle, così si tolgono al lavoro dei campi con la prostituzione coi tedeschi. Poi il padre si abitua, alla fine in casa si mangia meglio, c’è più vino, e può permettersi di lavorare un pochino meno. Nessuno dei vicini vuole più entrare in casa della Minghina e di Augusto, perché hanno le figlie che si prostituiscono coi tedeschi. Un giorno e per la prima volta Agnese accenna alla Minghina il sospetto di una delazione fatta dalle sue figlie ai danni di Palita; la Minghina diventa pallida e fa finta di non capire. Agnese intanto non lava più il bucato per non lavorare per i tedeschi e per i fascisti. Poco dopo la notizia della morte di Palita, la aveva mandata a chiamare il segretario del fascio, perché aveva bisogno di una lavandaia per la roba dei tedeschi. L’Agnese aveva risposto che era ammalata e che non poteva fare nessuna fatica. Così si era chiusa in casa e non andò più al lavatoio. Dopo la notizia della morte di Palita, Agnese lo sogna quasi tutte le notti, sempre lo stesso sogno, come una presenza viva. In sogno Agnese chiede consigli a Palita sul da farsi, lui diventa in sogno la sua guida per i momenti di veglia. Palita in sogno è sereno dice di stare bene. Agnese crede poco in Dio e non va mai in chiesa, e quei sogni non destano in lei nessun richiamo all’altra vita, è solo Palita trasferito per sempre in un luogo distante, che va a trovarla e non può che in sogno, ma umano, il solito Palita dei tanti anni passati insieme, con un bene pacifico, un bene anche da madre. Pian piano grazie forse soprattutto all’incoraggiamento in sogno di Palita, Agnese fa del suo contributo alla lotta clandestina un lavoro costante, eseguito con semplicità e disciplina, come se fosse sprovvisto di pericolo, il suo unico timore è quello di non fare abbastanza. E quando i compagni le dicono “brava” è contenta come una scolara promossa. La notizia della morte di Palita si sparge in paese, attraverso radio-popolo, la radio di paese. Si diffonde per Agnese ormai vedova una strana pietà, strana perché lei non la cerca questa pietà, si mostra serena, senza lacrime, d’altronde è sempre stata solitaria, priva di amicizie, ruvida, scontrosa. Organizzano una colletta per Agnese e il sagrestano Alfonso va a portargliela a casa, dicendo che è una colletta a cui ha concorso tutto il popolo per la memoria di Palita. Agnese accetta la colletta e ringrazia il sagrestano Alfonso e tutti coloro che hanno contribuito. Con il denaro della colletta Agnese compra lana di pecora, per fare le calze ai partigiani. E’ inverno e infatti il sagrestano Alfonso quando arriva da Agnese ha gli scarponi ricoperti di neve. (Il paese sa quindi anche essere solidale a differenza per esempio della Minghina e della sua famiglia che pensano solo per sé e sono conniventi con fascisti e tedeschi). Il giovane con la faccia da bambino che Agnese conosce col nome di Tarzan (ma era il primo soldato che era a cena con Agnese e Palita all’inzio del romanzo? Non è chiaro), non è più tornato e le dicono che è morto, torturato dai tedeschi, nonostante le torture non aveva detto una parola. Al posto di Tarzan c’è un altro al suo posto, un uomo grassottello con viso allegro, va a casa dell’Agnese per incontrare Toni e Mingùcc i due compagni del defunto Palita e con lui c’è uno magro, patito con gli occhi chiari. Una volta Agnese nelle riunioni in casa sua tra Toni, Mingùcc, l’uomo grassottello (il sostituto di Tarzan) e l’uomo con gli occhi chiari, sente parlare del progetto di portare una radio trasmittente. Agnese li avverte che i loro vicini (la famiglia della Minghina, non sono persone fidate, e che quindi può essere rischioso portare la radio trasmittente. I compagni rispondono che è vero, che bisogna pensarci e però hanno un piano: intimidire la Minghina e la sua famiglia per farli stare in silenzio. Agnese avverte la Minghina che c’è uno sfollato che ha bisogno di loro, che vuole una camera in affitto, lei apre la porta il compagno grasso dice che vuole una stanza in affitto, appena la Minghina apre un po’ di più la porta entra in casa, il compagno grasso mostra loro la pistola e dice che se scappa loro una parola di ciò che può succedere qui o fuori di qui, vanno a concimare i campi (cioè le ammazza? Boh nel senso che diventano concime? Boh). La Minghina, le sue figlie e il marito Augusto si prendono paura. A fianco a fianco due famiglie, vicini di casa, come riassunto delle due facce del popolo italiano in quegli anni della campagna d’Italia 1943-1945. Da un lato l’Agnese che ospita i partigiani e cuce per loro le calze di lana; dall’altro Augusto, la Minghina con le figlie che si prostituiscono coi tedeschi e fascisti, per salvarsi la pelle o per ideologia? Io credo per salvarsi la pelle più che altro. Arriva il tecnico a montare la radio trasmittente, Agnese è curiosa ma non entra nella stanza del tecnico, non si azzardava se non le dicevano di entrare, quasi non fosse più casa sua. Sente una voce “qui la barca è in mezzo al fiume” dice la voce. Una voce risponde dicendo anch’essa “qui la barca è in mezzo al fiume”. Agnese non seguiva le parole, che pure si udivano distinte. Pensava alle due voci che si rispondevano, quella del partigiano italiano e quella del soldato alleato: s’incontravano, si capivano, si mettevano d’accordo per andare avanti a combattere una guerra così difficile, strana e misteriosa, una guerra di talpe nascoste sottoterra o di lupi sparsi in campagna; quelle voci attraversavano la notte, tante miglia di aria, tanto cielo senza strade, passavano avanti e indietro, sopra le armi dei tedeschi. Cioè la guerra partigiana a fianco degli alleati (pag.48) Poi i compagni se ne vanno con la cassa della radio trasmittente, ma lasciano l’apparecchio ricevente in casa di Agnese e le spiegano come fare per farlo funzionare, le consigliano di ascoltare le notizie di Radio Roma e di Radio Londra, dicendo che le faranno compagnia anche se dicono balle tutte e due. Accendono la radio e la voce potente della radio racconta che “nell’Italia nuova di Mussolini (la Repubblica di Salò?), vigilata e difesa dai fedeli alleati tedeschi, c’erano i ribelli, gli assassini, i fuorilegge (cioè i partigiani, così erano definiti dai fascisti) che si coprivano di delitti, spargendo il sangue degli eroi.” Agnese a queste parole sputa per terra e cambia onda radio per consolarsi, in qualche modo, con la voce straniera. (Su radio Londra?). Agnese aveva sputato per terra anche davanti alla sede del fascismo, cioè alla casa del fascio, quando era andata in paese a cercare Palita, all’inizio. V. Dopo la sera della pistola e dell’uomo grasso, i rapporti tra Agnese e la Minghina e le sue figlie cambiano. Invece del compreso e sprezzante silenzio di prima, corrono fra loro parole acute, ironiche. Hanno paura: la Minghina e le figlie per sé stesse, l’Agnese per i compagni. (E’ già un tipo di paura diversa quella di chi appoggia i partigiani non è una paura egoista, è anche se può sembrare un ossimoro una “paura coraggiosa”, quella di chi appoggia i fascisti è una paura egoista codarda, una paura per salvarsi la pelle). Si vendicano ciascuna della propria paura dandosi a vicenda le notizie che fanno dispiacere, che ricordano a ciascuna di essere in potere dell’altra. Dietro la Minghina ci sono i fascisti, dietro l’Agnese i partigiani: tirano ognuna dalla propria parte, la corda tesa della minaccia. La gatta scura salta in grembo all’Agnese, l’Agnese ricorda le ultime parole di Palita: “mi raccomando la gatta”. Quella sera arrivano i tedeschi, vanno dalla MInghina e le figlie prima che fanno sì sì con la testa, poi entrano in casa di Agnese. Agnese è con la gatta nera in collo e ripensa a Palita, entrano i tedeschi e lei non si muove. I tedeschi requisiscono tutte le altre stanze della casa di Agnese e ci mettono un comando di compagnia. Si fanno cuocere il cibo dalla Minghina e le due ragazze sono sempre a lavorare per loro (come prostitute). Tutta la famiglia anzi, corre di qua e di là per i tedeschi. In compenso questi, offrono cognac e sigarette, vino e cioccolata. E le donne lavano, stirano e cucinano con entusiasmo per i tedeschi. Le donne la Minghina e le figlie sono in intimità coi tedeschi, sanno tutto di loro e ne parlano con tenerezza, conoscono la famiglia, la storia di ognuno. Agnese a sentire questo sta zitta e sputa in terra. I compagni Toni e Mingùcc non vanno più a fare le riunioni in casa di Agnese, con l’arrivo dei tedeschi hanno dovuto allontanarsi dal paese e nascondersi nella valle. (Perché non viene citato il luogo? Forse perché si vuole rendere questo racconto estendibile alla lotta partigiana di tutta Italia e non solo di un determinato paese? O forse il nome del luogo verrà fatto più in là nel corso del romanzo, chissà.) Ma mandano delle staffette all’Agnese e anche lei poi va in bicicletta penso a consegnare il cibo a loro? Boh. Penso di sì. Per il momento Agnese non ha altri incarichi. I tedeschi non considerano molto l’Agnese e la chiamano matta. Intanto l’estate si consuma in un clima di cordialità imposta e di pace bugiarda. (Secondo me siamo all’estate 1944). I tedeschi intanto non rinunciano a fare da padroni, nonostante sentano l’odore della sconfitta e sono molto stanchi. Il villaggio ha paura dei tedeschi e ne mendica con sottomissione la benevolenza, ma essi con tutte le loro armi e crudeltà, hanno paura del villaggio. (pag. 52-53) Un giorno la Minghina esce di casa minacciando con la scopa dicendo che la gatta nera di Agnese le ha rubato la salsiccia, invece la gatta ha in bocca un topo, così l’Agnese glielo toglie di bocca e lo lancia alla Minghina dicendo “tenete la vostra salsiccia”. Sul muretto ci sono il maresciallo tedesco con una delle figlie della Minghina che assistono alla scena ridendo, il maresciallo dice “gatta kaputt”. Kurt, un soldato grasso, arriva in quel momento dalla strada. Ha il mitra e lo tiene stretto contro il petto come un bambino. E’ ubriaco ma si sforza di camminare dritto. Il maresciallo tedesco gli parla, Kurt fa “ja ja” e poi appena vede la gatta nera di Palita le spara. (pag. 53) La gatta è morta. L’Agnese è rimasta ferma, poi esce e raccoglie la gatta morta, poi la pone a terra sotto il pesco. Quando Agnese rientra trova il soldato Kurt addormentato sul braccio. Qualcosa di nero le sembra la gatta, è il mitra di Kurt. Agnese decide di ammazzare Kurt, ma non sa usare il mitra, non sa sparare, così lo prende e glielo tira in testa con forza, poi scappa. (pag. 54) “Lo calò di colpo sulla testa di Kurt, come quando sbatteva sull’asse del lavatoio i pesanti lenzuoli matrimoniali carichi di acqua.” Agnese corre a più non posso, poi un suono di voci la sveglia, guarda verso la sua casa, è in fiamme. I tedeschi le hanno bruciato la casa. Quando Agnese scappa pensa di aver ammazzato il soldato tedesco, Kurt. VI. La guerra ha cambiato Agnese, ha fatto un’azione (o crede di aver fatto) che prima non avrebbe mai fatto, non le apparteneva. E’ l’odio per i tedeschi, per il male che le hanno fatto, per Palita che le hanno tolto per sempre, è questo che l’ha cambiata. pag. 55  Faceva dei pensieri inutili, staccati, che si accendevano e si spegnevano subito. Ma non riusciva a fermare la mente su quello che aveva compiuto. Era stata un’azione che le somigliava tanto poco, che era venuta dal di fuori, come il comando di un estraneo. Adesso se la trascinava dietro come un peso, un fagotto scuro, e aveva voglia di svolgerla, di rivederla, ma non ne era capace. Agnese sa invece che adesso deve avvertire i partigiani che vadano via subito, di sicuro i tedeschi avrebbero fatto dei rastrellamenti, delle rappresaglie per vendicare l’uccisione di Kurt. Agnese si sente in colpa, teme di aver messo in pericolo i compagni con quel gesto sconsiderato. Agnese corre e arriva alla casa dei partigiani, era una delle chiuse d’acqua della valle, non ci abitava nessuno, i compagni avevano forzato la porta e vi si erano installati in una ventina. Il luogo è adatto e sicuro, per questo i partigiani hanno messo lì il comando di brigata. L’Agnese arriva alla casa dei partigiani e la riconoscono “E’ l’Agnese di Palita”. Le apre un ragazzo che Agnese conosceva fin da bambino, Clinto, questo il suo nome di battaglia. Agnese dice che bisogna svegliare tutti e prepararsi ad andar via subito. Clinto le chiede cosa è successo e lei dice che ha ammazzato un tedesco. Arriva il comandante della brigata di partigiani. Alcuni dei nomi degli altri partigiani in quella casa sono Ciro, Mario, Gim. Il comandante fa subito preparare tutti per partire. Agnese ha paura di essere rimproverata. Agnese non conosceva il comandante, le avevano sempre parlato di lui, sapeva che lo chiamavano “l’avvocato”, che era uno istruito, un uomo di città, che aveva sempre odiato i fascisti e che per questo era stato in prigione e poi in Russia e in Spagna. Aveva paura di lui, certo doveva sgridarla per il suo gesto pazzo che distruggeva uno stato di quiete e sicurezza. Ma il comandante non la sgrida affatto e dice “Clinto, la mamma Agnese viene con noi”. (Agnese era già stata definita in questo modo materno nel sogno dove incontra Palita e lo sente vivo e sente l’affetto per lui come una madre.) Il comandante è piccolo, scarno e coi capelli biondi e grigi. Si mettono in viaggio in barca, Agnese è seduta tra Clinto e il comandante, si allontanano veloce, la casa dei partigiani non si vede già più. Poco dopo sentono i rombi del rastrellamento e dicono “siamo venuti via in tempo”. Agnese dice che le dispiace che abbiano dovuto lasciare il posto a causa sua  “Ma del tedesco non m’importa e neppure che mi abbiano bruciata la casa, e di non avere che un vestito addosso. Volevo ammazzarli quando vennero a portare via mio marito, perché lo sapevo che lo Comandanti Degni di nota Alessandro PavoliniVincenzo Costa Simboli Simbolo Fascio repubblicano, teschio con pugnale «Dopo l'8 settembre abbiamo imparato a conoscerci meglio. Questa non è più la stagione in cui basta il distintivo all'occhiello: occorre la nostra vecchia camicia nera, uniforme di milizia.» (Alessandro Pavolini) Partito Fascista Repubblicano Partito Fascista Repubblicano Leader Benito Mussolini Segretario Alessandro Pavolini Stato Repubblica Sociale Italiana Sede Piazza San Sepolcro, Milano Abbreviazione PFR Fondazione 18 settembre 1943 Dissoluzione 28 aprile 1945 Ideologia Fascismo Sansepolcrismo Repubblicanesimo Nazionalismo italiano Corporativismo Socialismo nazionale Socializzazione dell'economia Anticapitalismo AnticomunismoAntisemitismo Collocazione Terza via fascista Testata Il Lavoro Fascista Organizzazione giovanile Gioventù Fascista Iscritti 900.000 (dal 1943 al 1945) Colori Nero Il Partito Fascista Repubblicano (PFR) fu un partito politico italiano, guidato da Benito Mussolini. Fu fondato dopo il 25 luglio 1943 e si dissolse a seguito della resa della Repubblica Sociale Italiana. Partito anti-monarchico per definizione, dal momento che considerava il re Vittorio Emanuele III un traditore del fascismo e della patria, fu guidato da elementi estremistici del fascismo, determinati ad accentuare la carica di intransigenza del nuovo partito per consolidare il governo della Repubblica Sociale Italiana e combattere fino all'ultimo accanto alla Germania nazista, fu protagonista di scelte radicali e violente contro gli ebrei, la resistenza, i presunti traditori, affiancandosi ideologicamente al nazionalsocialismo tedesco. Parte seconda I. Agnese è in viaggio coi partigiani su una barca, seduta tra Clinto e il Comandante, dopo il rastrellamento dei tedeschi, che i tedeschi hanno fatto per vendicarsi del gesto di Agnese contro il loro soldato Kurt. [“Paradello”  termine utilizzato nelle valli di Comacchio, per indicare la lunga pertica usata per muovere le barche. ] Agnese ripensa a Palita, perché il Comandante le ricorda un medico dal quale una volta era andata per portarci Palita. In quell’occasione si erano fermati tre giorni in città, dormivano all’albergo e la sera andavano al cinema. (Tutte cose da tempi di pace). Palita sembrava molto più giovane di Agnese, tanto che il dottore pensava che lei fosse la madre. “Suo figlio ha avuto una brutta malattia ma se l’è cavata bene, moriremo prima di lui signora”. Avevano riso per l’equivoco Agnese non era la madre ma la moglie di Palita. Comunque Palita avrebbe vissuto più di loro se non fosse stato per i tedeschi. Ricorre questa idea di Agnese come madre, madre di Palita, madre dei partigiani. Il viaggio in barca dei partigiani finisce quando arrivano ad una valle (credo proprio che sia la valle di Comacchio ma in realtà non viene mai almeno ancora no, detto esplicitamente nel testo), i partigiani scendono dalle barche e si istallano lì, in delle capanne. Una decina di capanne. Quelle capanne le facevano i pescatori di frodo (cioè i pescatori che operano violando le norme vigenti sulla pesca), ma quell’anno le capanne erano aumentate, perché molte famiglie del paese le avevano fatte per rifugiarsi durante “il passaggio del fronte”. “Ma il “fronte” tardava. Gli anglo-americani stavano fermi, o procedevano con avarizia, a passi prudenti: non si parlava di grandi offensive. Radio Londra diceva molte parole per annunciare piccoli fatti, e chiamava “caduta dell’importante centro di X…” la conquista di una ignota frazione che consisteva in quattro case distrutte. C’era soltanto, in realtà, una grande abbondanza di bombe che venivano giù dagli aerei alleati, una pioggia di bombe sulla pianura, sulle montagne, sulle città, su tutta l’Italia ancora invasa dai tedeschi. Così le famiglie proprietarie, spento il primo entusiasmo, avevano abbandonato il posto, riportando a casa la roba: giorni e giorni di fatica perduta. Adesso le capanne erano tutte vuote, con le porte fatte di rami e di canne, spalancate o rotte.” (pag. 65)  Cioè in realtà gli Alleati con il loro “passaggio del fronte” procedevano molto a rilento. E dicevano di fare più di quanto in realtà facessero. Il passaggio del fronte, sarebbe il passaggio delle forze alleate che si attendeva dopo l’8 settembre 1943 in ogni paesino italiano, che doveva essere liberato dall’occupazione dei tedeschi della Germania nazista. La Guerra per antonomasia è per noi la seconda guerra mondiale. A quella sono riferiti una serie di termini che usiamo nel linguaggio parlato quotidiano. Ad esempio quando vogliamo collocare un oggetto o un avvenimento in un passato molto lontano, praticamente in un’altra era, diciamo che è dell’ “anteguerra”. Così come si usa il termine “dopoguerra” proprio per sottolineare come sia stato l’inizio di una nuova epoca, ben diversa dalla precedente. Sempre al medesimo conflitto sono collegati altri termini specifici, come il “passaggio del fronte” e gli “sfollati“. Questi ultimi sono davvero drammatici in quanto racchiudono tutta la tragicità di quella guerra che, perlomeno per quanto riguarda l’Italia, coinvolse direttamente la totalità della popolazione, e non solo i giovani soldati mandati al fronte (come si era già osservato in questo articolo). Dapprima – quando ancora si combatteva a fianco della Germania nazista – l’Italia subì i bombardamenti da parte delle forze alleate. Tra gli obiettivi strategici non c’erano di certo paesini come Mondavio, ma piuttosto le città. E allora da quelle iniziarono a “sfollare” gli abitanti, che, in cerca di luoghi più sicuri e tranquilli, si spostavano verso le cittadine, poi i paesini, poi le campagne… E anche le nostre campagne ospitarono parecchi sfollati di varia provenienza: chi dalle città vicine, chi da altre più lontane; qualcuno era finito qui perché ci abitavano dei parenti, o perché Mondavio era tra i comuni consigliati per lo “sfollamento obbligatorio” (una sorta di evacuazione delle città della costa che poteva essere indetta in circostanze particolari), oppure per una serie di coincidenze abbastanza casuali… Poi l’8 settembre 1943 l’Italia firmò l’armistizio. Con l’armistizio l’Italia era diventata alleata delle nazioni contro le quali fino a un attimo prima stava combattendo a fianco della Germania. E di conseguenza era diventata improvvisamente un paese traditore dal punto di vista dei tedeschi. Così le forze naziste che si trovavano nella penisola da amiche erano diventate occupanti. E gli alleati dovevano liberare l’Italia dai tedeschi, con il fronte di guerra che progressivamente doveva pian piano salire da sud a nord fino a che le forze di Hitler fossero state del tutto scacciate. E inevitabilmente questo fronte sarebbe dovuto passare in ogni città, ogni paesino, ogni campagna, ogni porzione del territorio nazionale! Anche a Mondavio! Coi primi lavori nell’accampamento, l’Agnese sente perdersi in lei quel senso di precarietà che l’aveva tenuta sospesa dal primo passo della sua fuga. Rinasce in lei l’abitudine alla vita, ha fame, sete e sonno come gli altri. Quando vede Gim che tira fuori tegami e pentole, ritorna donna di casa. Agnese cucina per tutti, si dà da fare, sta in piedi da tutto il giorno ma la notte non ha sonno, i partigiani sì. Lei non riesce a dormire e resta in ascolto dei rumori della notte nella valle, rane, insetti, ecc…Non riesce a dormire perché è grossa e non riesce a stare stesa da sveglia ma soprattutto è la prima notte dopo il colpo tirato in testa al tedesco Kurt. Con quel gesto aveva spaccato la testa al tedesco e diviso in due la sua vita. La prima parte, la più semplice, la più lunga, la più comprensibile, era ormai di non fossero a fare i partigiani, con agnello e vino, la situazione torna tesa, arrivano i tedeschi e bruciano le case dell’argine. I tempi tranquilli sono finiti. Ma i momenti tranquilli in guerra durano poco. Ci fu una rappresaglia da parte dei tedeschi. Perché due avevano ammazzato due tedeschi su un fiume. Non erano però stati i partigiani del loro gruppo ad ammazzare i due tedeschi, non erano così stupidi, sapevano delle rappresaglie. Dissero anzi che ad uccidere i tedeschi erano stati dei cretini: lasciare un tedesco morto e uno ferito sull’argine, proprio davanti al sentiero che conduce qui. Rovinare questo posto, rovinare tutta la zona per colpire due maledetti tedeschi che andavano a pescare. (pag.92-93) E’ il Cino che va ad avvertire i tre di guarda e l’Agnese e la Rina, dei due tedeschi ammazzati sul fiume e della rappresaglia imminente dei tedeschi, e soprattutto il Cino riporta l’ordine del Comandante di lasciare subito il posto, i tre di guardia, l’Agnese e la Rina, devono andare tutti via subito, prima che arrivino i tedeschi a fucilarli. I pensieri di Agnese Lei lo sapeva che questa vita non era fatta per durare. (La vita da partigiani). Stavano insieme da tanto (lei e i partigiani), avevano eseguito molte belle azioni, e mai niente era accaduto, né morti, né feriti, né traditori: un tempo fortunato. Ma in guerra i tempi fortunati sono brevi, dopo cominciano i guai. Le dispiaceva per la Rina, che era tanto in pensiero per il suo Tom. E per il Comandante e per Clinto e per tutti i partigiani. Era stata con loro come la mamma, ma senza retorica, senza dire: io sono la vostra mamma. (Ricorre questa idea di Agnese come madre, di Palita suo marito e dei partigiani). Questo doveva venir fuori coi fatti, col lavoro. Preparagli da mangiare, che non mancasse niente, lavare la roba, muoversi sempre perché stessero bene. Neppure loro dicevano molte parole, ma erano contenti, la tenevano volentieri. Se qualcuno per impazienza alzava la voce con lei, gli altri lo sgridavano, e lui non chiedeva scusa, non serve a niente chiedere scusa, ma diventava buono, le parlava con gentilezza. Dopo le sue disgrazie, questo era stato per Agnese molto bello: ma adesso lei lo sapeva che doveva finire, con quell’incendio già spento (le case dell’argine che bruciavano), che fumava appena, che non si vedeva più, ma si sentiva l’odore, portato dentro la valle dal vento. (pag.92) Il Cino dice alla Rina e all’Agnese che devono andarsene di lì e andare a L… (I nomi dei luoghi non sono mai esplicitati, almeno fino a questo momento, vengono solo indicati con la prima lettera e puntini di sospensione a seguire, forse per dare un’idea generale della Resistenza, non è importante il paese nello specifico, è stata una lotta, quella della Resistenza che ha interessato tutta l’Italia, forse l’autrice non vuole ridurre il suo racconto ad un’esperienza locale, ma estenderlo a tutto il nostro territorio nazionale, universalizzare in qualche modo l’esperienza particolare vissuta dal suo personaggio: Agnese. Non so questa è una mia ipotesi, una possibile spiegazione del perché i luoghi non vengano mai esplicitati, almeno fin qui ). A L…, comunque c’è Walter, un compagno, che attende Agnese e la Rina, così riporta Cino questo ordine del Comandante, di lasciare la valle e di raggiungere il tale Walter, nel luogo di L… A Walter dovranno dire che le manda “l’avvocato”  nome di battaglia del Comandante. A Walter dovranno dire che le manda “l’avvocato” e che “le mine sono esplose”, questo l’ordine del Comandante. La Rina e Agnese sono sole nella valle. La Rina è disperata per il suo Tom, ormai divenuto suo marito, sposato in brigata. L’Agnese le parla bruscamente e le ricorda che questa è la guerra, e che loro sono in guerra. (pag.93-94). Il Comandante aveva ordinato alla Rina e ad Agnese di raggiungere immediatamente L… da Walter, ma Agnese vuole prima portare via la roba. La Rina non è d’accordo dice che bisogna seguire l’ordine del Comandante, che se ha ordinato così significa che così bisogna fare. Ma Agnese continua per la sua strada, che La Rina sia d’accordo oppure no, non sembra farle alcuna differenza. Ha visto una barca dietro l’argine e vuole portare lì la roba, cioè il cibo e quanto più possibile è in grado di portare di tutta la roba dell’accampamento. Alla fine anche la Rina segue Agnese e la aiuta a portare tutta la roba sulla barca dietro l’argine, prima di andare ad L… come ordinato dal Comandante. L’Agnese e La Rina si sfiniscono a portare la roba dalle capanne all’argine, chilometri e kilometri, finché finalmente finiscono. Appena finito, vedono il loro accampamento bruciare. I tedeschi hanno trovato le munizioni avranno capito che lì c’era la base partigiana. Agnese voleva vedere se proprio erano stati i tedeschi, o se la capanna si era incendiata da sé, forse per l’accensione di un proiettile dal calore. La Rina le grida di tornare indietro che se la vedono la fucilano, ma l’Agnese è testarda e va a vedere cosa è successo. La Rina stavolta non la segue. Agnese riesce a vedere la capanna l’hanno incendiata i tedeschi; per terra c’era il bidone di benzina che avevano adoperato perché prendesse fuoco, i tedeschi sono andati via subito perché in realtà hanno paura dei partigiani, tanta quanta i partigiani ne hanno di loro. Ora non c’è più tempo, La Rina e l’Agnese devono assolutamente lasciare il posto/la valle?. L’Agnese è diventata quasi una macchina, non ha più paura di nulla. La Rina e Agnese perdono altro tempo a cercare di nascondere la barca con la roba, il cibo e tutto. Mettono la barca legata ad una radice con una grossa corda e la nascondono dietro a un cespuglio. Poi se ne vanno finalmente. E’ già quasi buio quando l’Agnese e la Rina si dirigono a L… da Walter, come indicato dal Comandante. -Abbiamo fatto tutto bene, - disse La Rina ad un tratto. -Sono contenta di avervi dato ascolto. Abbiamo fatto tutto anche troppo bene. – Le ciabatte davanti al suo passo si fermarono. (Cioè l’Agnese si ferma di colpo). Per l’arresto improvviso La Rina quasi sbatté il naso contro la larga schiena nera. L’Agnese si voltò: - Non è vero che abbiamo fatto tutto, - disse. – A pensarci prima, dovevamo portar via anche la roba dalla capanna dell’albero. (Ormai l’Agnese è insomma diventata una vera e propria macchina da guerra, instancabile e perfezionista nell’azione). IV. L’Agnese e la Rina arrivano al fiume mentre sono in viaggio verso L… per raggiungere Walter, come ordinato dal Comandante. La Rina dice “Andremo sulla strada fino ad L… Arriveremo da Walter prima che vadano tutti a letto”. Ma l’Agnese le risponde che ancora non possono andare: c’è il coprifuoco. La Rina non vuole passare la notte ancora all’aperto in zone pericolose, ma c’è il coprifuoco. Agnese pensa anche alla mattina a come avrebbe fatto ad attraversare il paese dove tutti l’avrebbero riconosciuta. Agnese e la Rina passano la notte vicino al fiume, ad un certo punto sentono arrivare i tedeschi, con la loro marcia e i loro spari. Agnese e la Rina sono sole nella notte e li vedono da lontano. Non avevano niente che spaventasse (i tedeschi), niente di vivo, parevano pali. Poi sparirono: ma non erano andati via, si distendevano uno per uno a terra, non si vedevano ma stavano lì, nella notte, e quella loro invisibile presenza era una paura pesante che riempiva l’aria, il cielo: la loro stessa paura (la paura che i tedeschi avevano dei partigiani l’autrice insiste ancora su questo aspetto: anche i tedeschi avevano paura dei partigiani, come i partigiani e il popolo la aveva di loro. La paura che i tedeschi avevano dei partigiani li rendeva ancora più aggressivi), che li faceva feroci. (pag. 99-100) I tedeschi sparano sulla valle. Agnese e la Rina li sentono e li vedono da lontano, dal fiume. (L’Agnese e la Rina si trovavano al fiume). I tedeschi non si erano stancati, sparavano sempre con la stessa calma, non avevano né orecchi né nervi né fretta. Certo gli piaceva star distesi al riparo di un argine, e picchiare con diligenza, da lontano, su una zona dove c’erano i partigiani, in questo modo si passavano bene le ore di servizio. Ma quella è una notte senza pace, e la marcia dei tedeschi ricomincia. L’Agnese e la Rina vedono i primi fuochi, i tedeschi bruciano tutto quello che era stato il loro accampamento, dei partigiani, di Agnese, del Comandante. Bruciano le mete di legna e di erbe palustri: faticosa ricchezza del villaggio. (Il villaggio che avevano costruito i partigiani, il Comandante, Clinto e l’Agnese col loro accampamento, i tedeschi lo bruciano tutto.) Quello che fanno i tedeschi, bruciare, sparare, distruggere tutto, pensava l’Agnese  “E’ un lavoro inutile, un lavoro della paura”. (pag.100 e anche a pag.103 lo dice di nuovo “lavoro della paura”). Agnese conosce il villaggio a memoria, sta bruciando tutto e lei ricorda ogni capanna, la loro disposizione, conosce tutto a memoria. C’è un sentiero tra le canne che taglia la valle in mezzo, i tedeschi dovevano trovarsi lì in quel momento. “Un posto magnifico (quella valle)” – diceva il Comandante. E l’Agnese si consolava. Quanta paura avranno adesso i tedeschi. (pag.101) Il fuoco continua a dilatarsi. Più i lanciafiamme si facevano indietro, e più il fuoco si distendeva e avanzava; anche questa un’opera diligente e metodica, come uno che zappa o semina, e vuole che tutto il campo sia zappato e seminato. Era proprio la stagione della canna secca, qualche volta prendeva fuoco anche da sé, ora era assalita, aggredita, trafitta dalle righe ardenti dei lanciafiamme, bruciava con passione, con impegno, senza difesa, stava diventando proprio, come diceva Biagio (il commissario politico della Brigata), tutta una fiamma sulla valle. (pag.102) Dopo che tutto è bruciato c’è il rischio che i tedeschi intravedano Agnese e la Rina, ma tanto sarebbero andati via di corsa visto che sta bruciando tutto intorno. Agnese sperava che i tedeschi non tornassero, che la fiamma, il fumo, il calore li avesse raggiunti e afferrati con grandi mani soffocanti, sbattuti sulla terra che scottava, e di loro non si troverebbe più nulla, neppure le armi, neppure le ossa, neppure la crudeltà, solo i nomi rimasti negli elenchi del reggimento. Ma era una speranza assurda, essi sanno fare il loro mestiere, avranno calcolato bene. Adesso erano certo già fuori dalla valle, si asciugavano il sudore, respiravano l’aria, l’acqua, l’erba, avevano scampata anche questa (“Guerra niente bono, a morte i partesani”), potevano andare a dormire, a bere e a mangiare. Ad un certo punto, arrivano in ritardo sulla valle in fiamme, i caccia-bombardieri degli Alleati, fanno un lavoro senza senso, sganciano un bengala (razzo di segnalazione luminoso) inutile. Poi gli Alleati cominciano a sganciare un’inutile ricchezza di bombe sulla valle in fiamme. Inutile, perché certamente nessuno, né tedeschi, né partigiani, poteva essere vivo in quel catino di fiamme: non si capiva perché gli Alleati sprecassero della roba così costosa. (Qui l’autrice mostra quanto l’azione e l’intervento degli Alleati sia stato in realtà molto mal ponderato, e privo di una logica efficace). La Rina vorrebbe alzarsi in piedi perché non ne può più, ma l’Agnese dice di stare giù che ci sono ancora i tedeschi, infatti intravedono poi i loro elmetti da lontano. E la Rina dice all’Agnese “Dunque come faremo a resistere? Com’è lunga questa maledetta notte! Quanto ci vuole prima che faccia più chiaro? “ “Quando farà più chiaro, i tedeschi ci prenderanno” – dice l’Agnese. E infatti i tedeschi le presero (i tedeschi presero l’Agnese e la Rina). (pag.104) Un tedesco prende la Rina e l’Agnese, la Rina comincia subito a dire di lasciarle andare utilizzando quel grottesco linguaggio infantile di cui tutti ormai, da che c’erano i tedeschi, avevano preso il vizio: “ Noi venire dal paese, noi paura aeroplani stanotte bum bum, noi paura, scappare qui, brr. Molto camminare, paura bum bum” Il tedesco guarda più volte le gambe alla Rina mentre lei parla. Poi il tedesco le punta il dito “Tu partesana” e la Rina “ Io no partesana, niente partesani qui. Io tornare mio paese”. Poi la Rina prende la sporta e offre cibo, pane, vino al tedesco, lui mangia con gusto, pane, salame e vino e poi le lascia andare. Prima di lasciarle andare chiede anche ad Agnese “Tu mama niente sapere partesani?” col dito puntato. Lei risponde a mezza voce “Va all’inferno, porco”. Ma la Rina dice di nuovo che loro non c’entrano niente coi partigiani e che vogliono solo tornare al loro paese, così il tedesco le lascia andare, è ubriaco. Ma compaiono otto soldati sul ciglio, con mitra e sten, uno dice “Alt”. Gli altri lo raggiungono e subito smettono di giocare, e sono i soliti tedeschi, rigidi e senza vita, numeri di matricola ai comandi di un pazzo (Hitler credo). (pag.106) La Rina li supplica di lasciarle andare, sempre utilizzando quel linguaggio infantile per farsi capire dai tedeschi, dicendo che vogliono solo tornare a casa e che non hanno fatto niente, non c’entrano insomma coi partigiani. I tedeschi caricano i mitra, l’Agnese dice alla Rina di smetterla di implorarli, le stringe il braccio e le dice “Finiscila dunque. Non vedi che si divertono? (A vederla dimenarsi)”. Così la Rina ebbe vergogna e stette zitta. L’Agnese le lasciò il braccio, si volse e si mise a camminare in mezzo ai soldati, larga e pesante, con la grossa faccia come di pietra. (pag. 106) Tornano alla chiusa l’Agnese e la Rina. L’Agnese e la Rina stanno lì dritte contro il muro della chiusa, e gli otto tedeschi con mitra e sten si sdraiano intorno all’erba. La Rina ha come un’illuminazione, si ricorda che le hanno raccontato che quest’estate una donna ha ammazzato un tedesco, e poi domanda all’Agnese – “Siete voi vero?”- Lei le dice che sì è lei. Da quando i tedeschi l’hanno presa anche lei pensa a quella cosa. La Rina sente un coraggio nuovo nascere in lei, un coraggio che nasce dalla paura: lei voleva scappare e maledetta quella volta che c’era venuta. Si cancellavano nella Rina il ricordo del padre, del fratello morti e il pensiero di Tom, rimaneva un unico pensiero “non voleva morire”. Ad un certo punto i tedeschi avevano lasciato andare l’Agnese e la Rina, non le tenevano più contro il muro. Ad un certo punto tutti i tedeschi avevano posato le armi: non ci voleva tanta forza a trattenere due donne, forse avevano pensato. E invece fu proprio allora che la Rina scappò, è la paura a darle la forza di scappare. La Rina riesce a correre velocissimo e a scappare dai tedeschi. L’Agnese era contenta che la Rina se ne fosse andata, aveva sentito il peso della sua presenza, della sua agitazione, e anche quello più grave della sua responsabilità. Se la Rina fosse molta, era colpa di lei (dell’Agnese), che non aveva voluto abbandonare la valle in tempo, disobbedendo all’ordine del Comandante. Pensava pure che se i tedeschi la tenevano lì, ora che il rastrellamento sembrava finito, voleva dire che forse qualcuno l’aveva riconosciuta. Si chiedeva che cosa aspettavano a fucilarla, se sapevano che aveva ammazzato uno dei loro. Ma non le importava di niente. Era soltanto stanca, desiderava sedersi, non ne poteva più. (Il gesto dell’Agnese, l’uccisione del tedesco è il filo rosso di tutto il racconto, è ciò che spezza a metà la vita dell’Agnese, ed è quello che poi la porterà alla morte.) (pag.108-109) Compare un maresciallo tedesco e due soldati tedeschi, guardano l’Agnese. Poi il maresciallo pare arrabbiato con un soldato ad Agnese pare che le guardino i piedi nelle sue ciabatte infangate. Poi se ne vanno. Il maresciallo dice “Heil, Hitler”. Poi il maresciallo tedesco si innervosisce con uno dei soldati tedeschi, poi il maresciallo e i due soldati se ne vanno e Agnese sta ferma per un po’, poi quando non li vede più, sputa per terra, proprio nel luogo dove erano stati seduti i tedeschi e poi se ne va, passa non dal fiume ma segue il sentiero sul ciglio dell’argine. L’Agnese si sistema i capelli, si stringe il nodo del fazzoletto sotto il mento: sembra una contadina anziana, come se ne vedevano in giro. Agnese cammina per molto tempo col suo passo tranquillo e stanco, passando facilmente il posto di blocco, visto che viene scambiata per una contadina. Cammina diretta verso L…, da Walter. Ha tanta fame, non mangia dal pasto della sera prima, che era stato insufficiente e affrettato. Poi dopo altre quattro ore di cammino vede le prime case di L…, chiede di Walter ad una donna e le viene indicata una piccola traversa fra i campi, e infine giunge alla casa: era bianca, pulita, con il portico e un orto verde. Poi le apre un uomo e dice: “Sono Walter”. Dietro di lui l’Agnese vede la Rina. La Rina e l’Agnese si abbracciano strette senza dire niente: la Rina piange, ma viene da piangere anche all’Agnese, che di solito non piangeva mai. Poi si trova in cucina, coi piedi sotto la tavola e la schiena contro la spalliera della sedia (invece che contro il muro come quando i tedeschi, poche ore prima avevano tenuto l’Agnese e la Rina, con il rischio di essere fucilate dai tedeschi). Nessuno le chiese dei tedeschi di come avevano fatto a scappare, parlavano solo di mangiare e di dormire. Poco dopo conducono l’Agnese e la Rina in una stanza con due letti rifatti. L’Agnese si spoglia e si distende sul letto. Da tante ore non dormiva e da tanto tempo non dormiva in un letto. L’Agnese e la Rina insomma sono arrivate ad L… da Walter, come ordinato loro dal Comandante. V. Agnese e la Rina sono da Walter ad L… Arriva una staffetta di Biagio (anche la Rina era una staffetta di Biagio, se non sbaglio e Biagio era il commissario politico della brigata). La staffetta di Biagio arriva da Walter per portare notizie e ordini da parte del Comandante. Esordisce con il bilancio della notte dell’incendio nella valle: tre feriti e un morto. I tre feriti sono: Tonitti, il Giglio e il Comandante, ma sono feriti leggeri. Il moro invece è il Cino. Il Cino era il partigiano più giovane della brigata e Agnese lo ricorda come quello che aveva sempre fame. Era stato proprio il Cino ad avvertire i soldati di guardia, l’Agnese e la Rina di lasciare la valle e di raggiungere Walter, ad L… La staffetta di Biagio porta anche una lettera di Tom alla Rina, nella lettera Tom dice alla Rina di andare a casa, che lui è più tranquillo a saperla a casa, di andare da sua madre che la accoglierà come una figlia, e di dirle del matrimonio che ha sposato Tom, suo figlio in brigata. All’inizio la Rina dice che non vuole andare via, che vuole restare con l’Agnese. L’Agnese la guardò, e la Rina si ricordò che aveva avuto paura e che per la paura aveva abbandonato la sua compagna Agnese davanti ai tedeschi, poteva aver paura un’altra volta e un’altra volta scappare, e un’altra volta lasciare la compagna sola in mezzo ai tedeschi, così decise di partire l’indomani mattina. L’Agnese l’abbraccio per salutarla sulla porta di casa. Walter e i suoi lavoravano tutti per la “resistenza”, lui dirigente politico del paese, sua moglie e sua figlia staffette, sua cognata infermiera della brigata, e perfino il suo figlio minore, un bimbo di dodici anni, serviva a portare la roba in giro, roba da farsi fucilare sul posto, se lo trovavano i tedeschi. Ed erano tutti puliti e silenziosi come la loro casa, una piccola compagnia disciplinata, agli ordini del capo. Possedevano un bel podere che dava da vivere largamente, e l’orto e il frutteto e le mucche e il pollaio; non avevano bisogno di nulla e di nessuno, avrebbero potuto starsene sicuri nel loro angolo appartato, badare agli affari, curare gli interessi, far quattrini con la borsa nera, e invece rischiavano la pelle tutti i giorni: lavoravano per la “resistenza”. (pag.113-114) (Questi cioè furono i veri eroi della Resistenza, chi poteva starsene al sicuro, tranquillo e invece rischiò la vita per liberare l’Italia dai tedeschi). Agnese sta bene da Walter, riprende a fare i lavori da donna di casa, quelli che faceva prima, quando non c’erano né il partito, né i tedeschi, né i fascisti. E la notte sognava Palita, che le diceva di stare tranquilla che sarebbe andato tutto benissimo. Poi torna la staffetta del Comandante, lì nella casa di Walter, e dice ad Agnese che il Comandante la aspettava in una strada della “bonifica”, quindici chilometri all’andata e quindi al ritorno in bicicletta. L’Agnese parte per andare dal Comandante con la staffetta del Comandante come guida. L’Agnese arriva dal Comandante e lo ritrova “in borghese” come al solito, scarno biondo e grigio. Agnese diventa rossa nel salutarlo a causa dell’antica soggezione. Siamo ad ottobre, io credo dell’anno 1944. Il Comandante dice ad Agnese che hanno una caserma dove ci sono una cinquantina di uomini comandati da Clinto, la strada per raggiungere la caserma la sa la moglie di Walter. Il Comandante comanda ad Agnese di incaricarsi di tutti i rifornimenti, di organizzare le staffette e di portare alla caserma quello di cui gli uomini hanno bisogno. Farà il deposito a casa di Walter, dice il Comandante ad Agnese, perché la casa di Walter è un luogo sicuro. Agnese sarà responsabile di tutto, la aiuterà la famiglia di Walter. Agnese diceva di sì con la testa ma sentiva un gran peso, una grande responsabilità. Il lavoro che avrebbe dovuto fare era difficile e complicato, non arrivava a capire perché il Comandante avesse scelto proprio lei. Era orgogliosa e impaurita al tempo stesso, ma disposta a metterci l’anima per riuscire al meglio. Lei ripete al Comandante la sua solita frase di quando le veniva affidato un compito “se sarò buona…”. Il Comandante sorride e dice: “Ma sì che sarai buona”. Il Comandante dice ad Agnese che la salutano e i compagni e che li avrebbe rivisti tutti alla caserma, tutti tranne il Cino che purtroppo era morto la notte dell’incendio della valle. Quando la staffetta e l’Agnese tornano via dal Comandante, per tornare ad L… a casa di Walter, incontrano della gente che le ferma e chiede loro se vanno ad L…, perché hanno bombardato il paese due ore prima e ci sono dei morti. Agnese dice che per fortuna la casa di Walter era fuori paese ed era un luogo sicuro e isolato. La staffetta che accompagna Agnese si domanda se hanno bombardato anche il paese dove sta lei San P… (anche per questo luogo è indicata solo l’iniziale), e poi ripete il pensiero dell’Agnese: per fortuna la casa di Walter è un luogo sicuro. Ma quando la staffetta e Agnese tornano alla casa di Walter ad L…, la casa non c’è più. L’hanno distrutta, bombardata, per fortuna la famiglia di Walter era tutta fuori casa e non è morto nessuno. Ma in paese non sono stati così fortunati ci sono stati 14 morti (lo racconta Walter ad Agnese appena la rivede). Una casa bianca fra l’orto e il frutteto non è un obiettivo militare. Pare più una scommessa degli anglo-americani, che tra l’altro amano fare scommesse. La guerra per chi la fa ed è ai gradi alti, sembra quasi un gioco, un gioco crudele sulla pelle del popolo. E poi il rapporto e le notizie alla radio magari nera, poi vano via coi loro partigiani liberati e portano con loro anche il corpo di Cinquecento che purtroppo è morto. Così fingendo di essere in quattro tedeschi che hanno catturato dei partigiani, sfilano con Clinto in prima fila biondo, che dice qualche frase in tedesco, con gioia davanti alla caserma delle SS. Ma la gioia divenne subito tristezza quando ripensarono al Cinquecento morto, e quando sentirono Walter che soffriva per le ferite, Magòn e il suo cognato stavano bene, avevano solo fame e sete, i fascisti li tenevano a digiuno per un interrogatorio che avrebbero dovuto far loro, di lì a poco. Poi raccontano cosa hanno fatto i fascisti a loro, Walter è stato picchiato un numero incredibile di volte, e a Cinquecento avevano fatto di tutto, ogni genere di crudeltà. Gli mettevano nelle orecchie le sigarette accese, gli avevano strappato tutte le unghie, calci nella schiena con gli scarponi che forse gli avevano spezzato i reni, insomma lo avevano torturato per farlo parlare, così come avevano fatto con Walter, ma nessuno aveva detto nulla. Quando giunsero alla caserma c’era l’Agnese ad aspettarli, era rimasta sveglia tutta la notte e ora non era più capace di stare sveglia, tremava di freddo e dormiva. Il Comandante e Clinto medicano i piedi di Walter. Agnese chiama le donne di Walter: la Delmira, la Maria e la Silvia, per aiutarla a cercare un medico per Walter. Agnese proseguì per L…, doveva trovare una staffetta che avvertisse la sorella di Magòn che i suoi erano liberati. Agnese tornò indietro prima di sera, il Comandante la voleva lì, intanto mentre Agnese tornava, aveva ascoltato ciò che si diceva in paese, dove si era già sparsa la voce dell’attacco partigiano alla caserma della brigata nera. La notizia era stata data alla Radio dell’VIII Armata, non si sapevano i dettagli, il numero di morti e feriti, ma si diceva che l’operazione era riuscita bene e che Walter, Magòn e suo cognato erano stati liberati e molti fascisti fatti fuori. Unica nota negativa: Cinquecento non ce l’aveva fatta, lo avevano ammazzato. Per ora nessuna rappresaglia da parte dei tedeschi per vendicare questa azione dei partigiani, i tedeschi si scomodavano poco per i loro compagni fascisti italiani: che si arrangiassero da sé, i fedeli di Mussolini e della sua Repubblica (la RSI o Repubblica di Salò). Fu proprio in quei giorni che gli anglo-americani si mossero, sembrava che gli Alleati finalmente dovessero liberare tutta l’Italia dai tedeschi. Cominciarono col conquistare alcuni centri, ma poi si arrestarono nella loro avanzata, e tedeschi e fascisti ripresero terreno. Nel frattempo i tedeschi avevano seminato mine ovunque, e gli Alleati continuavano a lanciare bombe con i loro caccia-bombardieri e a distruggere tutto. (pag. 132-133) E i tedeschi inventarono un’altra battuta d’aspetto, pensarono di tagliare gli argini, allagare la pianura per fare che la “bonifica” ritornasse valle. Ammazzarono campi e vigne, lavoro di anni, per ritardare di un giorno, di un mese, di una stagione la inevitabile loro disfatta. I tedeschi tagliarono gli argini per allagare la pianura. Il Comandante dispone gli uomini nelle case più adatte e sistema i rifornimenti cercando di evitare il più possibile l’allagamento. I partigiani provano anche a costruire un argine, per evitare di dover lasciare una buona base (un posto dove si erano stabiliti coi loro accampamenti), ma l’argine non funzionò, non riuscirono a fermare l’acqua che avanzava e quindi dovettero andare via, lasciare anche quel luogo, come tutti gli altri in cui i vari gruppi di partigiani si erano sistemati, ma che ora erano allagati dall’acqua. Al Comandante dispiaceva, perché era utile avere il comando a terra, ci si spostava senza le barche, con più rapidità. Ma restare non era più possibile: la casa cominciava ad essere bagnata e di lì a poco, il pavimento sarebbe diventato di fango. Gli altri partigiani vanno via con le barche e raggiungono la “caserma” nuova: una casa colonica, costruita da poco in una delle migliori tenute della bonifica. Quindi la seconda parte del romanzo, finisce con l’immagine dei tedeschi che, ormai prossimi alla disfatta, vogliono prima di morire loro, distruggere e far morire tutti gli altri, e allora tagliano gli argini e allagano tutta la pianura. E i partigiani che devono lasciare di nuovo le loro basi, i loro accampamenti, e di nuovo ricominciare tutto, ancora una volta, da capo, senza arrendersi. (pag. 134-135) Parte terza I. La baracca di Walter stava per allagarsi, così il Comandante, Clinto e l’Agnese andarono a cercare un altro posto per quella specie di magazzino a cui era servita la baracca. Questa volta scelsero il “magazzino” proprio a fianco della strada provinciale, nella rimessa di una casa di contadini.  Dissero che a quelli che affittarono loro la rimessa, che erano sfollati dal loro paese semidistrutto da un bombardamento, inventarono anche una parentela: l’Agnese era la mamma di Clinto e il Comandante un cugino di lei (ricorre ancora quest’idea di Agnese come mamma dei partigiani). Pagarono molto l’affitto della rimessa, per rimediare alle risposte difficili che avevano dato circa la loro attività. Clinto e il Comandante raccontavano alla gente del luogo che loro andavano a lavorare per i tedeschi. Nella famiglia di contadini che li aveva affittato la rimessa, c’erano molte donne: la madre, tre figlie, una nipote. Intorno a questa rimessa della casa dei contadini ci abitava gente paurosa e tarda. E questo era l’elemento negativo, il difetto principale di quel luogo. Gli uomini di quel luogo preferivano lavorare coi tedeschi per non mettersi nei guai. C’era solo qualche renitente alla leva, non per fede, ma per vigliaccheria, nascosto nel solaio da mesi, diventato bianco per la clausura. Nessun altro apporto alla lotta clandestina. Ma quel luogo aveva anche dei vantaggi: la rimessa aveva l’uscita verso i campi e attraverso un viottolo, si arrivava a un canale nella zona allagata. Il resto della casa era occupato da una compagnia tedesca di sussistenza. Quindi è stata un’idea audace e sicura, quella di metterci un comando di brigata partigiana. L’Agnese riorganizzò il servizio delle staffette. L’Agnese e le altre donne staffette, fingevano di essere delle tranquille comari e recitavano la parte. E l’Agnese si ingegnava a far credere di fare il mercato nero. L’inverno pian piano arrivava (inverno 1944, quindi poi da gennaio siamo al 1945?), i partigiani barcaioli faticavano a tenere dritti le barche e a trovare la rotta nella nebbia. Cominciavano ad essere stanchi e ad avere i nervi deboli, il gruppo di una cinquantina di partigiani spesso si accendeva di litigi, complicati dalla difficoltà di intendersi nelle diverse lingue, offesi dalla vicinanza imposta, non scelta. Una sera il Comandante dice a Clinto e all’Agnese che c’è una novità: il Comandante aveva in mano dei manifestini lanciati dagli aerei inglesi. Era Alexander che scriveva, quello che finora aveva detto ai partigiani “Fate questo, fate quello, siete bravi, siete coraggiosi, verremo presto a liberarvi, ma intanto attaccate i tedeschi, distruggete i loro automezzi, fate saltare i ponti, spezzate i cannoni. Vi manderemo tutto ciò che vi occorre, ma in attesa fate la guerra con quello che avete. Fate la guerra in tutti i modi, lasciatevi ammazzare più che potete, noi siamo qui e stiamo a guardarvi” Finora il senso delle parole degli Alleati era sempre stato questo, ma quella sera le parole suonavano diverse e il senso era questo: “ Per il momento non si fa più niente, noi ci accomodiamo per l’inverno, abbiamo bisogno che il tempo passi. Abbiamo molto da scaldarci, molto da mangiare, in Italia si sta bene, rimandiamo alla primavera la vostra libertà. Intanto voi partigiani italiani sciogliete le formazioni, andate a casa, fate una lunga licenza, in primavera avremo bisogno di voi per venire avanti, vi avviseremo, vi richiameremo. Buona fortuna, partigiani italiani”  Le parole erano diverse ma volevano dire questo: c’è un altro inverno di tormento. Ma loro non possono sciogliere le formazioni, i partigiani non possono tornare a casa, sono tutti ricercati o renitenti alla leva. Non è possibile per nessuno di loro tornare a casa, e anche i cecoslovacchi, i russi, i neozelandesi non potevano andare a casa. Il Comandante dice che le formazioni restano e non si sciolgono. Il Comandante dice che il proclama di Alexander serve soltanto per conoscere i loro Alleati e provare una volta di più che se ne fregano dei partigiani. Quindi non sarà male mostrare che anche i partigiani se ne fregano degli Alleati. Le formazioni restano e non si sciolgono, nessuno torna a casa. (pag.140-141) Quindi i partigiani non seguiranno il proclama di Alexander, l’inglese degli Alleati. I partigiani non scioglieranno le formazioni, li attende un inverno difficile (l’inverno 1944-1945 ?). Agnese cucinava e intanto Clinto e il Comandante parlavano degli Alleati e del fatto che non avevano fatto niente per aiutare i partigiani, si erano preoccupati soltanto di lanciare bombe. L’Agnese era abituata a contare poco sugli altri, aveva più di cinquant’anni ed era tutta la vita che si arrangiava da sola. Clinto mangiava la minestra e si sfogava: - Ci piantano così, adesso che comincia la cattiva stagione. Ci hanno dato da bere tante “balle”. Siamo stati proprio degli stupidi a rischiare la vita per far comodo a loro. Non manca loro niente, hanno abbondanza di tutto, per questo non hanno fretta. Aveva ragione Tom quando diceva che sono cattivi quasi come i tedeschi-. Anche il Comandante teneva la faccia china sopra il fumo caldo della minestra, mangiava adagio, senza molto appetito. Disse:- Senti. Per quello che hanno mandato fino ad adesso possiamo anche farne a meno. E’ tanto che promettono un lancio di armi. Non abbiamo mai visto niente; soltanto bombe. E allora di che cosa ti lamenti? Faremo da noi-. Si volse all’Agnese che friggeva la carne, ed era tutta rossa ed accaldata per la fiamma della stufa: - Tu che cosa ne dici, mamma Agnese?- Io non capisco niente, - rispose lei, levando dal fuoco la padella, - ma quello che c’è da fare, si fa. Agnese non pensava mai a quello che avrebbe fatto dopo la guerra. Ne desiderava la fine per “quei ragazzi”, che non morisse più nessuno, che tornassero a casa. Ma lei non aveva più la casa, gliel’avevano bruciata; non aveva più Palita, gliel’avevano ammazzato i tedeschi, non sapeva dove andare. (pag.142-143) Poi vanno a dormire, la mattina dopo il Comandante e Clinto si alzano presto, devono andare in brigata. Gli aerei alleati facevano vacanza. Più di tutti erano in moto i partigiani. L’Agnese e le donne facevano avanti e indietro con i viveri, dalla rimessa alle barche, era una fatica immensa. La mattina il Comandante e Clinto vanno via e dicono all’Agnese di non aspettarli, che staranno via per un po’. Poi verrà Cappuccio da L… e l’Agnese dovrà mettersi d’accordo con lui. I tedeschi non badavano ai viaggi di Agnese, che pure passava sotto i loro occhi. Era strano come non facessero caso a quell’andare e venire nella zona allagata, che secondo gli ordini doveva essere deserta. Ma i tedeschi erano così: per un po’ di tempo vedevano una cosa sospetta e non se ne curavano, salvo a mettercisi d’impegno per saperne di più, tutto a un tratto, come se si svegliassero. Le donne della casa, invece, qualche volta avevano azzardato a fare una domanda, leggermente, senza parere di tenerci troppo. L’Agnese rispondeva appena, con un sorriso lento: - Bisogna arrangiarsi. Si fatica a vivere-. E loro stringevano l’occhio per far vedere che erano furbe e avevano capito: sempre la storia del mercato nero. Poi arriva Tom su una barca, ha bisogno dell’Agnese, perché Tonitti non vuole più stare in mare, forse è malato. Tom chiede ad Agnese se può andare a dargli un’occhiata. Ma prima che Agnese e Tom arrivassero da Tonitti, lui si era già buttato, si è suicidato. I partigiani cominciano a cercare il corpo in mare, si è buttato da poco. I partigiani si sentono in colpa per non essere riusciti ad evitare la disgrazia di Tonitti. Ma Tom dice “forza bisogna trovarlo”. Mentre tutti i partigiani si davano da fare per cercare Tonitti, i 4 disertori dell’esercito tedesco, non si erano mossi, come se per loro non contassero i compagni di pena, che fossero morti o vivi, poco importava. Il corpo di Tonitti viene recuperato, è morto. Il suicidio di Tonitti è uno schock per tutti gli altri partigiani già deboli di nervi, stanno diventando tutti matti. Tom cerca di riportarli all’ordine e comanda di andare a dormire in silenzio, sono tutti sconvolti. L’Agnese si addormenta e sogna Palita, non lo sognava da un po’. Poi si sveglia all’improvviso, perché si accorge che quattro di loro stanno uscendo dalla camera, pensò che anche loro volevano suicidarsi, scosse Tom che dormiva, erano i quattro disertori dell’esercito nazista: due austriaci e due tedeschi. II. Clinto e il Comandante avevano fatto una bella azione. Avevano occupato il paese ed erano morti almeno duecento tedeschi in questa loro azione. Di partigiani c’erano stati quindici morti nell’azione e nessuno della loro compagnia. Tom però interrompe il Comandante e Clinto mentre parlano con entusiasmo della loro azione andata a buon fine, per dire loro che Tonitti era diventato matto e si era tolto la vita buttandosi in mare e che i quattro ex soldati nazisti avevano tentato di fuggire via la notte con le armi. Li avevano sorpresi tutti e quattro e presi nella barca. Il Comandante va subito a vedere, li avevano legati stretti ai polsi, quei quattro traditori, utilizzando il filo di ferro. Il Comandante chiede di togliere la tortura del filo di ferro, loro (i partigiani) non sono come le SS che provano piacere nel torturare. Ma l’atto dei quattro ex soldati nazisti era troppo grave e non aveva bisogno di traduzioni: era internazionale e voleva dire tradimento. I quattro ex soldati nazisti che erano entrati a far parte della compagnia di partigiani, avevano infatti tentato di andare via di notte con le armi, per tornare dai tedeschi a farsi accogliere nuovamente tra le loro fila, consegnando loro come garanzia della loro fedeltà o della loro redenzione, niente meno che un Comandante, una base partigiana di circa cinquanta uomini e delle armi. Si facevano la speranza che quelle armi rubate al sonno dei compagni partigiani servissero poi da passaporto per rientrare nelle file dei camerati nazisti, di difesa per non essere fucilati. Ritornavano fra i loro, dopo la diserzione, con un’altra diserzione. Ma sapevano che il perdono tedesco costa molto, non è facile da ottenere, le armi non bastavano. Ci voleva di più: e allora offrivano in cambio una base partigiana, una cinquantina di uomini, il Comandante, la brigata, forse tutta la brigata. Questo per la vita di loro quattro, che tradivano due volte. Era un atto internazionale e voleva dire morte. (pag.148-149) Il Comandante non ha scelta: fa uccidere i quattro traditori, estrae a sorte chi tra i partigiani della compagnia sarà incaricato di sparare e seppellire i corpi dei disertori. Quindi insieme al corpo di Tonitti da seppellire, ci sono anche i corpi dei quattro traditori. Ma nessuno vuole scavare la buca per loro, la scavano solo per Tonitti. Coloro che vengono estratti a sorte per sparare ai quattro disertori sono due russi, un italiano, un cecoslovacco e tre neozelandesi. C’era un senso di enorme depressione in tutta la compagnia e Agnese seduta in un angolo piangeva. Intanto arrivano i tedeschi. Tornati alla baracca Agnese, Clinto, il Comandante e altri, Agnese comincia a preparare la cena, è pensierosa. Agnese ripensa a tutte le cose accadute quel giorno (il suicidio di Tonitti, i quattro disertori ammazzati), che le era sembrato così lungo. Pensava a tutti i morti. E per la prima volta pensò che il Comandante era cattivo, perché non si commuoveva e non sembrava che si dispiacesse quando c’era una disgrazia. “Fa un sorriso e chi è morto è morto”. Agnese rimane di nuovo sola per tanti giorni, col lavoro dei viveri e il servizio delle staffette. Il tempo era migliorato e gli inglesi ripresero i bombardamenti. Gli Alleati però avevano preso il vizio di mitragliare anche le barche. Il traffico di viveri, uomini e armi fra terra e acqua diventava così pericoloso e difficile. Il Comandante fece quindi trasmettere alla radio clandestina i limiti della zona dove non c’erano tedeschi, ma solo partigiani. Ma gli aerei non curandosene continuavano a bombardare dove capitava. Quindi i partigiani trovavano la morte anche a causa degli Alleati e dei loro bombardamenti scriteriati, alcuni partigiani che erano sulle barche al momento dei bombardamenti, morirono. Il Comandante provò ad inviare messaggi ogni volta che gli aviatori salvati rientravano nelle loro linee; forniva carte topografiche dove la zona controllata dai partigiani era visibilmente delineata. Ma non serviva a niente, gli aerei degli Alleati continuavano. Allora un giorno che il Comandante ha occasione di incontrare un pilota degli Alleati lo avverte “ Al primo mitragliamento di barche nella valle io fucilo i vostri ufficiali che rimangono, ha capito?”. Così finalmente gli aerei degli Alleati smisero di tirare sulle barche. Poi gli Alleati fecero un passo, una piccola rettifica della linea (secondo la quale non avrebbero ripreso l’offensiva fino alla primavera), un nulla rispetto a quanto avevano da fare per conquistare. Ma bastò ai tedeschi per far credere loro ad una ripresa dell’offensiva. I tedeschi si prepararono dunque con una nuova truppa, salda armata e provvista di motobarche. Sotto la pioggia l’Agnese andava con le sporte, alcuni tedeschi la vedono, il corpo e i piedi pesanti rinchiusi nelle sue ciabatte fangose. I tedeschi che la vedono sono due soldati e un tenente. Agnese pensa che la prenderanno ma poi dopo che la hanno osservata per un po’ e si sono scambiati tra loro qualche frase in tedesco, li vede andare nella direzione opposta alla sua e allora procede, fermandosi ogni tanto per posare le sporte e riprendere un po’ fiato. Agnese pensò che i tedeschi non la vedessero più, invece la vedevano dal binocolo. Lei era piccola, colorata, nel cerchio della lente del suo binocolo, prigioniera ignara del disco di vetro. I tedeschi la seguono col binocolo e quando non la vedono più, la rincorrono con le biciclette. Intanto Agnese fa un richiamo a mezza voce, le risponde un modulato fischio discreto, sembra il verso di un uccello di valle, e sta ad indicare che la barca è lì. Ma intanto il tenente e un soldato tedesco hanno raggiunto l’Agnese con le loro biciclette e la prendono e dicono “partesani”, era la sola parola che avevano imparato e che credevano italiana, ed era una parola che li faceva tremare di agitazione, di smania, di un principio di paura. “Tu vecchia, venire e dire dove essere partesani” fa il tedesco all’Agnese. Agnese sente i tedeschi parlare tra di loro, non capisce niente, riesce solo a sentire, camuffato dall’accento tedesco, il nome del suo villaggio S… L’Agnese aveva il pensiero rotto come il fiato, capiva soltanto che la conducevano al suo paese dove tutti la conoscevano e dove aveva ammazzato un soldato tedesco. Si diceva anche che il fischio discreto che aveva sentito in risposta al suo richiamo, poco prima, alla barca, non doveva essere di Clinto, altrimenti sarebbe andato a soccorrerla, non avrebbe lasciato che la prendessero i tedeschi. Ma Clinto infatti pensò subito a salvarla dopo aver riflettuto su come agire, Clinto sbuca all’improvviso e spara contro il soldato e contro il tenente che avevano catturato Agnese. Rimangono solo l’Agnese e Clinto con lo sten, sul sentiero dell’argine. Il tenente e il soldato tedesco erano ormai solo un mucchio. III. Nevicava, era inverno (1944/1945). I tedeschi stavano intorno ai fuochi delle cucine, scherzavano con le ragazze, si ubriacavano, dormivano. Un ordine li faceva balzare in piedi e andavano fuori, fuori i tedeschi tornavano cattivi. I tedeschi non sapevano che fra quei pochi uomini e quelle poche donne in giro, scialbi, molti erano partigiani. La forza della Resistenza era questa: essere dappertutto, camminare in mezzo ai nemici. Per le strade non c’era quasi nessuno. Qualche donna con la testa fasciata dallo scialle, degli uomini rari, con l’aspetto affaticato e innocuo. I tedeschi non sapevano che fra quegli uomini e quelle donne, in giro fra la neve, esisteva per la caserma più vicina, in mezzo alla bonifica allagata (i tedeschi avevano rotto gli argini tempo prima). Il Comandante dice che devono andarci, sennò muoiono tutti. Dice che userà pezzi di aerei per fare da rompighiaccio. “La Disperata” ( è un nome di battaglia di un partigiano che si chiama Antonio, per gli amici Tonino) dice che andrà lui a prendere la barca a S… I tedeschi avevano cantato e ballato, festeggiavano il primo giorno di un anno che sarebbe stato per loro terribile, per molti di loro fu l’ultimo. “La Disperata” (Antonio) era venuto da poco in brigata: un ragazzo alto, bruno, nato nella valle che non aveva famiglia. “La Disperata” va a S… per farsi dare la barca, nasconde sotto un mantello un mitra. Vuole chiedere la barca ad un amico che ha una fattoria. E’ un amico contadino, una brava famiglia di contadini, contrari ai fascisti ma aggrappati alla loro pace. I partigiani erano per loro persone strane, aiutavano volentieri gli sfollati, ma dei partigiani avevano paura. “TODT” Organizzazione Todt  fu un’impresa di costruzioni che operò dapprima nella Germania nazista, e poi in tutti i paesi occupati dalle Forze Armate tedesche. Creata da Fritz Todt (Ministro degli Armamenti e degli Approvigionamenti)  L’Organizzazione operò in stretta sinergia con gli alti comandi militari durante tutta la seconda guerra mondiale, arrivando ad impiegare il lavoro coatto di più di 1.500.000 uomini e ragazzi. “La Disperata” (Antonio) mangia con questa famiglia, è il 1 gennaio 1945 e dice che chiede la barca perché vuole andare a pescare. Loro gli chiedevano notizie della guerra. E la figlia di questa famiglia di contadini a cui “La Disperata” (Antonio) chiede la barca, diventa rossa perché era innamorata di Antonio. Antonio (“La Disperata”) le promette che la sposerà dopo la guerra, ad Antonio in effetti piaceva molto quella ragazza. “La Disperata” (Antonio) lascia il canale non appena è fuori dalla vista della famiglia di contadini che gli ha prestato la barca, non è quella la sua direzione. Carica la barca sulle spalle e supera l’argine. “La Disperata” (Antonio) si ferma un attimo sotto un ponte che non era ancora stato buttato giù dai tedeschi. Poi sente dei rumori: sono cinque tedeschi, non ha scelta, deve farli fuori tutti se vuole salvarsi e portare la barca ai suoi compagni. “Bisogna segarli” si dice tra sé “La Disperata” / Antonio). “La Disperata” / Antonio li ammazza tutti e cinque i tedeschi, ma lo fa per una necessità priva di odio. Poi Antonio / “La Disperata” torna dal Comandante, da Clinto e dall’Agnese, racconta loro che si è fidanzato e che ha fatto fuori cinque tedeschi. Teme che il Comandante si arrabbi con lui sia perché si è portato dietro un mitra senza dirglielo, sia perché ha fatto fuori cinque tedeschi, ma invece il Comandante non lo rimprovera e anzi gli fa capire che ha fatto bene. VI. Clinto, il Comandante, “La Disperata” e anche l’Agnese. Riescono a fissare la lamiera rompighiaccio sotto la barca. Poi con grande difficoltà, Clinto, il Comadante e “La Disperata”, spingono la barca fino alla caserma dei compagni bloccati dal ghiaccio. La barca in cui sono Clinto, il Comandante e “La Disperata” è piena di rifornimenti, di cibo e di vino per i compagni. Procedono con la barca sul ghiaccio, dove la lamiera non riesce a spezzare il ghiaccio, lo spezzano loro con la scure. Impiegano molto tempo per percorrere un tratto breve: tre giorni interi. Poi finalmente raggiungono la caserma, chiedono a Tom “Come state?” E Tom risponde “Siamo vivi”. I compagni erano vivi, ma stravolti, stesi e fermi. Il Comandante era piccolo, scarno, grigio, un avvocato di città, ma la sua voce aveva il potere di rianimare i partigiani, anche quelli stranieri che non capivano le parole. Il Comandante, Clinto e La Disperata riforniscono tutti di cibo e di vino, cercando di rifocillare i compagni stravolti. Quello più stanco e più depresso tra i compagni era Tom. Il Comandante tranquillizza Tom, gli dice “Stavate male perché avevate fame”. Ma Tom dice “No, il cibo ci è bastato, è stata un’altra cosa: hanno paura”. Poi si corregge “Abbiamo paura”. Tom dice al Comandante che quelli che erano stati meglio erano gli stranieri. La mattina dopo, prima di andare via il Comandante annuncia che vuole parlare a tutti i ragazzi. Il Comandante dice “Ieri sera vi ho trovati male. Ho capito che qui non potete rimanere.” Nella zona non c’è un altro posto sicuro, allora ho deciso che se il “buco” è aperto vi manderò una guida e passerete le linee. Subito i partigiani furono guariti e amici, erano contentissimi. Aveva avuto ragione Agnese a dire che lì stavano male i partigiani. Il Comandante dice ai compagni liberati dal ghiaccio. “Se tutto va bene, ci rivedremo dopo, verrete voi a liberarci insieme agli inglesi”. Il “buco” era un posto sul fiume dove ci stavano dei compagni, ci volevano molte ore di barca e c’era un alto rischio di incontrare i tedeschi, di dover lottare contro di loro, con la possibilità di rimetterci la pelle. Erano tutti commossi nel doversi salutare. Clinto e La Disperata vanno col Comandante. Il Comandante trattiene anche lui le lacrime: “Mi dispiace che non posso mandare di là anche voi due” dice il Comandante. E Clinto risponde “Non andavo via neppure se tu me l’ordinavi, Comandante”. Clinto, il Comandante e La Disperata procedevano con lentezza sulla barca, aprendosi il varco. Poi incontrarono i tedeschi con le slitte. Mettono la barca di traverso per dare l’impressione che non ci fosse nessuno sopra, poi attaccano i tedeschi al momento opportuno e li fanno fuori tutti. Il Comandante  “Lui era piccolo, scarno, grigio, un avvocato di città. Ma sapevano, i partigiani, com’era dura la sua forza, avevano visto il suo coraggio, sempre in testa nelle azioni e sempre disposto a soffrire con loro, mai un privilegio, né una distinzione che non fossero il diritto al comando, il carico delle responsabilità” (pag.185). Dopo aver fatto fuori i tedeschi sulle slitte, Clinto, il Comandante e La Disperata, tolsero le armi a tutti i tedeschi e poi ripartirono. Poi comincia a piovere, era meglio per i ragazzi che dovevano andare al “buco”, così l’acqua avrebbe sciolto la neve e il ghiaccio e i tedeschi si sarebbero impantanati con le loro slitte. Tornati Clinto, il Comandante e La Disperata a casa, informano Agnese che i ragazzi vanno via dalla caserma sull’acqua. “Era un posto terribile” ammette il Comandante, in qualche modo dando ragione a ciò che aveva già detto Agnese a proposito di quel posto. Poi il Comandante dice ad Agnese “sarà difficile che non incontrino battaglia coi tedeschi” e aggiunge che tutti i ragazzi la salutano tanto a lei “mamma Agnese”. Il Comandante e Clinto devono andare a L… a parlare coi compagni per il “buco”, mentre La Disperata è incaricato di andare dalla sua fidanzata con ottomila lire da dare al padre della sua fidanzata per comprare la barca di cui hanno bisogno. La Disperata è felicissimo che il Comandante gli abbia dato l’ordine di andare dalla sua fidanzata, ma quando arriva da lei, lei ha il volto scuro: suo padre e i suoi fratelli hanno scoperto che Antonio (La Disperata) è un partigiano, che è stato lui ad uccidere i cinque tedeschi di cui suo padre e i suoi fratelli hanno ritrovato i corpi e dovuto seppellirli per evitare rappresaglie da parte dei tedeschi. Suo padre e i suoi fratelli non vogliono che lei stia con un partigiano, non vogliono rischiare la vita. Anche la ragazza la pensa come suo padre e come i suoi fratelli. La Disperata (Antonio) pensa “maledetta guerra, avrei voluto baciarla e sposarla”. Ma poi si accorge dell’ottusità della famiglia della sua fidanzata e della sua fidanzata che va dietro a ciò che pensano i suoi, si sente offeso e se ne va colpito nell’orgoglio. “E’ gente che non capisce niente” pensa La Disperata. “Noi partigiani rischiamo la vita per liberarli e loro non capiscono.” La Disperata pensò a come fosse l’Agnese da giovane, come a dire che gli sarebbe piaciuta un tipo come lei, che non ha paura di niente, che sta dalla parte dei partigiani. Pensò anche “Sarei contento se mi ammazzassero i tedeschi ora, perché la ragazza non mi ha voluto far passare davanti a casa sua.” VII. La Disperata portò la guida in barca alla caserma. Fece a tempo a rivedere i compagni prima della partenza. Durante il pomeriggio vi furono ancora liti per i preparativi, per la roba che bisognava prendere. Nervosismo da reclusi. Anche la guida non vedeva l’ora di andarsene di lì. La guida era un partigiano di un’altra formazione addetto proprio al servizio delle linee, pratico del “buco” e del suo funzionamento. I partigiani erano pronti per partire, carichi di armi. Dovevano sbrigarsi  le rappresaglie dei tedeschi in valle non avrebbero tardato ad arrivare: mancavano troppi tedeschi all’appello. I tedeschi volevano distruggere per sempre i nidi della guerriglia partigiana in valle, le ignote residenze di quelli che comparivano qua e là come fantasmi, fantasmi armati: davano il colpo, poi scomparivano. Smise di piovere e tornò il freddo e il vento che rallentavano i partigiani nel loro viaggio verso le linee (erano il gruppo di 45 partigiani, gli iniziali 50, meno Tonitti che si era suicidato e i 4 ex nazisti che erano stati ammazzati per tradimento, erano in viaggio condotti dalla Guida, verso “le linee”, verso il “buco”). I partigiani in viaggio erano in pericolo di morte, andare e stare era lo stesso per loro, significava sempre: pericolo di morte. Qui si racconta che cosa fa il gruppo di “quei ragazzi” (i partigiani partiti con la Guida)  erano in pericolo di morte. I partigiani si mettono sulle barche e partono. Avevano una voglia immensa di salvarsi, di raggiungere la terraferma. Le barche dei partigiani procedevano con fatica, i partigiani stavano nel pericolo di rovesciarsi in acqua, ma nessuno si lamentava, volevano venire via di lì e raggiungere le linee. Stavano zitti, uniti contro la notte. La nebbia, il gelo e la paura. Era una rassegnazione a soffrire con l’idea che tanto quel viaggio tremendo sarebbe finito presto. Ed ecco che finalmente toccarono terra. E fu un arrivo inaspettato e muto. La Guida era contento di non aver sbagliato rotta in mezzo alla tempesta che li aveva travolti. Era una notte di gennaio 1945 (?) e nevicava. La Guida cercava di orientarsi nella neve e nella notte. La Guida guardava ogni tanto l’orologio, ma poi fu notte e non vide più neanche quello. Le gambe dei partigiani, slegate dai primi chilometri, cominciavano ad arrugginirsi, diminuite nel resistere dall’assurda immobilità in cui erano rimasti per mesi. Poi un uomo (o un vecchio o un bambino) gridò: “L’argine!”. Poi i partigiani incontrarono il vento. La Guida si era perso, era disperato. Quando La Guida si era accorto di non trovare la strada, di non arrivare alle linee, aveva perso tutto; taceva per la paura di perdere anche la vita se l’avessero saputo gli altri. Poi La Guida sbatte contro un cartello, per il buio non può leggere cosa c’è scritto, ma lo intuisce bene, è come se vedesse attraverso il buio la scritta “minen, minen”  conoscevano bene quel tipo di cartelli, tutta la Compagnia partigiana – quarantacinque uomini del mondo, italiani, russi, inglesi, neozelandesi, cecoslovacchi, alsaziani, partiti per salvarsi, facevano naufragio sull’argine minato (questo era l’unico terribile pensiero della Guida in quel momento, ne sentiva su di sé tutta la responsabilità, ancora prima che le mine scoppiassero). La compagnia di partigiani, all’inizio erano in cinquanta, poi si suicida Tonitti, poi ammazzano i quattro traditori ex nazisti. Erano quindi rimasti in quarantacinque uomini. In realtà non muoiono tutti sull’argine minato, ma se ne disperdono tre più la Guida, quindi quattro. Appena i partigiani si accorgono dei cartelli che indicano le mine, fuggono come impazziti, gridano, scappano da ogni lato. (pag. 200-201)  -Le mine, le mine-. Si spezzò la catena, la compagnia si sbandò, fu come una frana giù dall’argine, una corsa insensata, imprudente, che raddoppiava il pericolo, creava altri pericoli, staccava ogni uomo dalla protezione dei compagni, lo lanciava solo nella neve, nella tormenta, con gli occhi che non vedevano, e dentro il cervello il confuso incendio della paura. Correvano tutti nel deserto di ghiaccio, sulle mine e fuori dalle mine, andavano senza sapere se davanti a loro c’era un canale o un crepaccio o un’altra terra piena di sangue. Si calmarono quando furono lontani da quell’argine. “ Le mine non erano scoppiate per il ghiaccio, ma per la paura alcuni compagni si erano dispersi ben tre e la Guida. Si chiamano per nome per ritrovarsi tutti, una volta lontani dall’argine, ma ne mancavano quattro all’appello: un italiano di nome Bruno, un cecoslovacco, un neozelandese e la Guida, di cui non sapevano neanche il nome. I compagni che si erano riuniti passarono un po’ di tempo a cercarli e a chiamarli, ma non potevano più restare fermi, assideravano, così poi ripresero a camminare. Tom ora era davanti, al posto della Guida. Quando ci fu di nuovo la luce, si accorsero che la loro strada era stata inutile, i dispersi pure, avevano camminato in circolo, erano di nuovo alle barche. All’inizio non avevano gridato subito i nomi dei tre compagni dispersi e della Guida, per il timore di farsi sentire dai tedeschi, ma poi avevano cominciato a gridare i loro nomi, con una voglia disperata di ritrovarli. Dall’altro lato, anche i quattro uomini dispersi certo avevano levato o stavano ancora levando i loro urli. Certo i quattro uomini che morivano per essere restati indietro o scappati troppo avanti, avevano fatto urli lunghi, di aiuto, ingranditi dallo spavento: e il cecoslovacco e il neozelandese chiamavano nella loro lingua. Anche la Guida gridava, malgrado la responsabilità del suo tragico sbaglio innocente. Quando si muore si grida, pure avendo paura dei vivi. Urli lunghi dalle opposte parti, di aiuto e di richiamo: si cercavano nella notte e non si erano potuti incontrare. (pag. 202-203) Tom e i compagni dopo essersi resi cono di aver girato in circolo, e di essere tornati alle barche, ripresero i remi, il paradello, rifecero la rotta sull’acqua, rividero la casa. In “tre più uno” di meno, legarono le barche ai pilastri della stalla. VIII.  In questo capitolo si parla del viaggio verso le linee inglesi del gruppo di una quarantina di partigiani guidati da Tom. Buttati alla rinfusa sulle brande, i ragazzi si addormentarono. Tom sentiva la responsabilità di dover restare sveglio, per controllare che non arrivassero tedeschi; la vita di tutti era nelle sue mani, era il Comandante di quel gruppo ora, ma il suo corpo dormiva. Prima della guerra Tom, al suo paese, era un autista. Aveva un camion con cui trasportava merci, dal paese in città, e da una città all’altra. Tom sogna la Rina e poi sogna di riaggiustare il motore del suo camion, poi sente un rumore di motore e balza all’improvviso: non è il suo camion nel sogno, ma il rumore dei motori dei tedeschi nella realtà. Sono arrivati i tedeschi, i partigiani si scontrano contro di loro. I partigiani riescono a far fuori i tedeschi mentre questi sono sulle loro motobarche. Poi Tom, che è il comandante di quel gruppo di partigiani, dice che devono ripartire subito: presto la zona della valle in cui sono sarà piena di tedeschi. Tom dice di andare alle linee inglesi passando per la strada più corta e di stare pronti a combattere coi tedeschi, vista l’alta probabilità di incontrarli di nuovo. I ragazzi si dividono in cinque barche con due soli rematori ciascuna. Erano quaranta uomini, affidati al comando di Tom. Tom dice: “Però stavolta hanno avuto coraggio quei quattro porci tedeschi. “ (Riferendosi allo scontro di poco prima tra partigiani e tedeschi sulle motobarche). Il Giglio risponde: “Ma loro non sapevano che c’eravamo, venivano per portar via la roba.” Poi i partigiani sulle barche sbarcarono e si trovarono sulla strada di A… A… è proprio sotto le linee del fronte degli inglesi. I ragazzi non incontrarono nessuno fino al paese. In barca avevano mangiato e bevuto cognac prima di ripartire. Passano vicino a una casa risparmiata. Una bambina è fuori a giocare, li vede e va a chiamare la sua mamma, allora i partigiani corrono via e invece di entrare in paese piegano a destra in un lungo argine della valle. Vedono un fiume. Oltre il fiume stavano le linee alleate. I ragazzi sentono il fischio delle granate inglesi. I ragazzi passano vicino alle case della gente: si erano dimenticati queste cose, che esistesse una vita al di fuori dello scenario di guerra in cui vivevano ormai da mesi. Da mesi ormai vivevano in un’altra vita, di guerra soltanto, la vita romantica e crudele dell’assalto, della guardia armata, della difesa, delle esecuzioni, delle torture, delle marce, degli appostamenti, la vita disperata del loro carcere di acqua e di ghiaccio. Pag. 207-208  Invece, a poca distanza, anche qui sulla linea del fronte, c’erano ancora i civili, gli sfollati, la gente del posto che si rifiutava di andar via per non abbandonare le case, i campi, i pollai, gli orti , e teneva duro sotto i bombardamenti: “ il coraggio dell’avarizia”, come diceva l’Agnese. Ma c’era anche un coraggio della vigliaccheria, c’era qualcuno di quei civili che si prendeva il gusto di uscire in una mattina di gennaio, lasciava il suo fuoco, i suoi grossi muri che lo proteggevano, il rifugio scavato dove scendeva durante le incursioni, il pranzo da preparare, la mucca da mungere- quell’unica mucca rimasta dopo le razzie germaniche-, i bimbi da vestire, per andare a dire al comandante tedesco che aveva visto i partigiani, e quanti erano e dove andavano. Questo “civile”, uomo o donna o ragazzo, di solito sveniva di paura ad ogni rombo di aereo, o fischio di granata, ma in quei casi non indietreggiava davanti a niente, percorreva strade scoperte, esposto ad ogni sorta di disgrazie, correva anche sotto una pioggia di proiettili. Per fare ammazzare, lui italiano, dei partigiani italiani, adoperava un coraggio da medaglia d’oro. Questi individui che facevano la spia contro i partigiani c’erano in tutti i paesi e anche ad A… Così una spia era andata da un ufficiale hitleriano a raccontare che aveva visto il gruppo di partigiani (il gruppo guidato da Tom). L’ufficiale hitleriano aveva chiamato gli altri ufficiali e aveva mandato le SS e i paracadutisti Goering contro i partigiani. Ai tedeschi piaceva fare la guerra ma avevano paura dei partigiani, accettavano di combattere solo in cento contro uno. Nuovo scontro tra tedeschi e partigiani  i tedeschi si preparano a sparare contro le tane dove i partigiani si erano rifugiati per proteggersi dalle granate inglesi vicino alla linea del fronte. I partigiani non si erano accorti dell’arrivo dei tedeschi, non sapevano che li attendevano fuori dalle loro tane, dai loro rifugi, armati e in tanti. I partigiani erano quaranta ragazzi nascosti nelle tane dell’argine, sotto il fronte inglese, per evitare granate inglesi, inconsapevoli che il nemico tedesco li attendeva all’uscita delle loro tane. I ragazzi partigiani decidono, inconsapevoli della presenza dei tedeschi fuori dalle loro tane, di lasciare i loro rifugi prima della notte, di notte sarebbe stato peggio rimettersi in viaggio. Quindi si svegliano tutti. Tom, con un balzo sull’argine, dà il via e tutta la compagnia si lancia lungo il pendio. Ed ecco subito la prima scarica dei tedeschi contro i partigiani. Questa prima scarica non colpì nessuno, li arrestò e basta. Poi altre scariche seguirono alla prima  c’è uno scontro tra i molti e armatissimi tedeschi e i pochi partigiani circondati completamente dai tedeschi, ma i partigiani non si arrendono. Si buttano nello scontro, riescono ad aprirsi un varco tra i tedeschi “uomini di legno che sembrano nati per fare la guerra, pare impossibile che abbiano avuto un’infanzia, una famiglia, ecc…”. I partigiani riescono a far fuori diversi tedeschi, ma anche loro diminuiscono progressivamente di numero, rimangono una ventina di partigiani di cui molti feriti. Un partigiano urlava, rimasto indietro, probabilmente perché ferito, ma non ancora morto, ma i compagni non hanno scelta, non possono salvarlo, non possono pensare a lui, non possono tornare indietro. Gli inglesi avevano sentito il frastuono della battaglia. Videro molti tedeschi e pochi partigiani. Agli Alleati non importava niente di quei pochi partigiani che combattevano per non morire, che erano arrivati tanto vicini – appena la modesta lunghezza del fiume – ad afferrare la libertà. Agli Alleati importava solo di colpire i tedeschi, di sterminarli e non gli importava se colpivano con le loro piogge di proiettili anche partigiani e civili che non c’entravano nulla. Il numero di partigiani cominciava a calare. Erano riusciti, non si sa come, a sganciarsi dai tedeschi e potevano ora servirsi delle armi automatiche e ricominciavano a sparare contro i tedeschi. Ma gli inglesi intervengono ancora una volta nel furibondo dialogo tra mitra e sten.  Arriva una pioggia di colpi dagli aerei inglesi. Nessuno poteva scampare a quella maledetta pioggia di proiettili, come nessuno può stare senza bagnarsi sotto una pioggia dirotta. I partigiani sparavano l’ultimo colpo e morivano. Anche Tom sparò l’ultimo colpo e morì. Si salvano Vladimiro, un altro russo e Gim (il più timido). Vladimiro nuota a bracciate nel fiume, trascinando Gim e l’altro russo. Poi gli inglesi finalmente cessano il fuoco. C’è una dura critica agli Alleati da parte dell’autrice  Gli inglesi seguivano Vladimiro con il binocolo, qualcuno era pronto a venire alla riva incontro agli scampati, quando l’avessero raggiunta. Gli inglesi sono degli sportivi, gli piacciono le belle imprese di forza. Si divertivano a guardare: poi dettero finalmente alle mitragliere l’ordine di cessare il fuoco che continuava sui morti. (Pag. 212) (Cioè per gli inglesi la guerra sembra quasi un gioco, lo aveva detto a proposito della scommessa degli aerei anglo-americani per colpire il ponte a caso e distruggerlo senza un vero motivo, più indietro nel romanzo, solo perché “agli anglo- americani piacevano le scommesse”). sorella di Magòn. Magòn e il cognato, invece, erano nascosti insieme a Walter fuori dal paese, presso un compagno. Di là dirigevano il lavoro clandestino. L’Agnese era stata accolta con gioia, Magòn era contento di averla come staffetta, era adatta secondo lui a quel ruolo: il suo aspetto duro e pacifico non attirava i tedeschi. L’Agnese lavorava molto anche in casa, aiutava la sorella di Magòn che era sempre un po’ malata: da quando avevano arrestato i suoi non si era più rimessa in salute. L’Agnese era stata accolta con affetto da Magòn: era tanto che la desiderava come staffetta e il Comandante gliela aveva promessa non appena sarebbe stato possibile, finalmente quel momento era arrivato, anche se a causa di una disgrazia (la morte di quasi tutti i ragazzi). Agnese era sempre pronta per fare le cose, anche quando si sentiva stanca o il tempo non era dei migliori. Una volta faceva molto freddo e Agnese decide di andare lo stesso ad eseguire una commissione: deve avvertire una staffetta che Walter non poteva andare ad un appuntamento. Visto che per fare questa commissione Agnese sarebbe dovuta passare da L…, Magòn le chiede di fermarsi anche in farmacia per prendere la medicina per sua sorella e dal fornaio. Agnese arriva ad L…, di passare prima dalla farmacia e dal fornaio e dopo di andare a fare l’annuncio alla staffetta, in modo che se al ritorno non avesse fatto in tempo a passare in farmacia e dal fornaio, non avrebbe rischiato di tornare a casa di Magòn senza medicine e senza pane. Ma ad L… Agnese scopre presto che tutti i negozi sono chiusi. Un uomo che passa per strada dice che stanno per fare un rastrellamento. Agnese incontra cinque o sei tedeschi ridacchianti che le dicono di seguirli, poi la libereranno, dicono. I tedeschi vogliono fare il rastrellamento perché qualcuno gli ha rubato un camion. (Qualche partigiano probabilmente). Agnese viene chiusa in uno stanzone insieme ad altra gente, per il rastrellamento. Poi i tedeschi separano le mogli e i bambini dagli uomini. I tedeschi lasciano andare le donne con i bambini e dicono che lasceranno andare anche gli uomini non appena ritroveranno il camion. Un uomo dice che li lasceranno andare anche se non ritrovano il camion, in fondo i tedeschi non sono cattivi, dice l’uomo. Una donna magra poi si mette a dire che i tedeschi sarebbero buoni se non fosse per i “ribelli”, cioè i partigiani. (Questo dimostra come ci fosse una parte del popolo che era fascista e appoggiava fascisti e tedeschi o per ideologia o per paura, con l’idea di salvarsi la pelle; una parte del popolo che non appoggiava i fascisti e i tedeschi (come la ragazza di “La Disperata” Antonio e la famiglia di lei, ma che temevano i partigiani, pensavano che fossero dei ribelli; e una parte del popolo che aveva capito l’azione dei partigiani e li aiutava). Agnese si avvicina alla donna, vuole guardarla in faccia. Le dice che i ribelli muoiono, per gli imbecilli come lei  i tedeschi sono dei porci, hanno ammazzato un sacco di gente. Qualcuno invece dà ragione alla donna magra e dice “E’ vero, non sono cattivi, bisogna ricordarci che li abbiamo traditi” (cioè dopo l’8 settembre 1943, quando gli italiani passano dalla parte degli Alleati). Agnese trattiene a stento una grande rabbia, vorrebbe tirare uno schiaffo alla donna magra, ma si trattiene. Intanto ripensa a tutti i suoi compagni morti, sentirli chiamare “ribelli” da questa gente le dà i nervi e la fa stare male. Un uomo del gruppo di rastrellati (gente che aspettava di essere rastrellata dai tedeschi), riconosce Agnese e le dice “Sei l’Agnese di Palita?”, Agnese dice di sì, lui le fa segno di stare in silenzio. Agnese dice “ai tedeschi e ai fascisti tra poco rimarrà solo la paura.” Il tempo era lungo da passare in quello stanzone. Agnese guardando un tedesco di spalle, le sembra di averlo già visto. Poi all’improvviso, dallo stanzone in cui erano rinchiusi tutti per il rastrellamento, i rastrellati sentono un rombo di aerei. La gente odiava quel rumore, ma in quel momento difficile, sperava che gli aerei Alleati iniziassero a bombardare, così i tedeschi sarebbero dovuti fuggire e avrebbero scampato il rastrellamento. Poi sentono anche il rumore di un autocarro, è il camion. I tedeschi hanno ritrovato il camion. I rastrellati continuano ancora per un po’ ad essere rinchiusi nello stanzone. L’uomo, il compagno che aveva riconosciuto Agnese come la moglie di Palita si chiamava Simone di Linin. Una volta Agnese doveva andare in bicicletta per una commissione proprio da questo Simone di Linin, fece tanta strada, un lungo viaggio, ma fu una fatica sprecata, perché quando arrivò a destinazione, Simone di Linin non c’era. Quindi lei non lo aveva mai visto, ma si ricordava bene quel fatto e quel nome: Simone di Linin. All’improvviso si aprì la porta dello stanzone dei rastrellati, entrarono il tenente e due soldati tedeschi. I soldati scelgono dieci persone tra cui la donna magra con cui aveva discusso Agnese e il compagno di Agnese  il partigiano Simone di Linin. Ma il tedesco che aveva scelto queste dieci persone, non le aveva scelte per fucilarle come esse immaginavano, ma per salvarle e farle uscire di lì, dopo quel gruppo scelto di dieci, viene liberato un altro gruppo di persone scelte casualmente. Agnese ma mano che liberavano i rastrellati dello stanzone senza ammazzarli, pensò: “ Anche questa volta non si muore, anche se ho perso la bicicletta.” Poi Agnese incontra lo sguardo prima del tenente, poi quello di un altro volto tedesco, è quello di Kurt, il soldato che Agnese credeva di aver ammazzato con un colpo in testa (era lui che aveva sparato alla gatta nera di Palita solo per il gusto macabro di divertirsi). Arrivano degli schiaffi di mani tedesche sul volto dell’Agnese, poi il Maresciallo tedesco prende la pistola e spara in faccia ad Agnese quattro colpi: negli occhi, sulla bocca, sulla fronte. Lei piombò giù col viso fracassato sulla terra. Tutti i rastrellati scapparono urlando. L’Agnese restò sola, stranamente piccola (lei che era grossa), un mucchio di stracci neri sulla neve.
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