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Riassunto dettagliato riguardo il libro ' A scuola dei maestri', Appunti di Pedagogia

Riassunto dettagliato riguardo il libro ' A scuola dei maestri' : Don Milani;Manzi; Dolci, Freire.

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 29/06/2023

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martina-d-alterio-2 🇮🇹

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Scarica Riassunto dettagliato riguardo il libro ' A scuola dei maestri' e più Appunti in PDF di Pedagogia solo su Docsity! 1. Per una pedagogia della parola L’obiettivo della scuola di S. Donato prima e della scuola di Barbiana poi ,non è quello di parlare ai poveri o dei poveri ma di “dare la parola ai poveri” cioè fornire loro gli strumenti necessari per fare sentire la propria voce e per esprimere il proprio pensiero. Don Lorenzo Milani dichiarava che facendo scuola ai contadini e agli operai nella scuola popolare aveva lasciato tutte le materie concentrando il suo insegnamento sulla lingua e sulle lingue. L’importanza che l’insegnamento della lingua occupa nella scuola di Don Milani nasce dalla consapevolezza che ciò che differenzia il povero montanaro dal cittadino borghese non è la quantità del tesoro che ognuno ha chiuso in sé, ma la possibilità di esprimerlo. Ai poveri manca il dominio della parola per poter comprendere gli altri e per poter esprimere la ricchezza delle loro menti. Possedere la parola permette di comunicare con gli altri (di esprimersi) e di entrare in possesso della realtà. Papa Francesco nella visita a Barbiana ha sottolineato l’importanza di “ridare la parola ai poveri perché senza la parola non c’è dignità, libertà e giustizia: questo insegna Don Milani”. 2. La scrittura collettiva La scrittura collettiva nasce in un contesto in cui la parola è al centro di ogni azione educativa con la consapevolezza che scrivere è un’arte che può essere appresa e che scrivere in gruppo permette in maniera più efficace di esprimersi. Per questo negli anni 60 Don Lorenzo Milani incomincia a sperimentare un metodo originale di scrittura collettiva che verrà usato per scrivere documenti importanti come, ad esempio, la famosa -Lettera a una professoressa-. La scrittura collettiva non è un metodo per insegnare a scrivere ma una proposta di lavoro per chi desidera esprimere non opinioni personali ma fatti e idee che si avvicinano alla realtà. La scrittura collettiva prese una forma sufficientemente strutturata grazie alle sollecitazioni del maestro Mario Lodi. Nei due giorni trascorsi a Barbiana il maestro Mario Lodi (1963) spiegò le attività svolte con il Movimento di Cooperazione giovanile e ispirate al maestro e pedagogista francese Célestin Freinet. L’arte della scrittura collettiva non fu solo uno strumento per esprimersi ma anche per ricercare la verità. Il maestro Mario Lodi propose agli studenti di Barbiana e a Don Milani di iniziare una corrispondenza con i suoi alunni della quinta elementare. Dunque, il frutto di questo modo di Don Lorenzo Milani e la scuola della parola è il testo collettivo redatto dai ragazzi della scuola di Barbiana, sotto la guida di Don Milani e inviato ai ragazzi della scuola del maestro Mario Lodi. Il Priore Don Lorenzo Milani il 2 novembre 1963 accompagna una lettera indirizzata al maestro Mario Lodi redatta con il metodo della scrittura collettiva in cui sottolinea la constatazione che il prodotto del lavoro collettivo è di livello più alto, più adulto, di quello che potrebbe raggiungere un lavoro individuale. Fasi del metodo della scrittura collettiva nella scuola di Barbiana -1 fase= scelta del tema e del lettore -2 fase= raccolta delle idee -3 fase= raccolta delle idee in capitoli e paragrafi -4 fase= riordinare le idee all’interno di ogni capitolo e paragrafo -5 fase= composizione di un testo completo -6 fase= revisione generale del testo -7 fase= semplificazione e perfezionamento del testo -8 fase= revisione dello scritto da parte di estranei. 3. La scrittura collettiva a Barbiana La tecnica della scrittura collettiva viene utilizzata anche per scrivere le famose lettere ai cappellani e ai giudici (Lettera ai cappellani militare, Lettera ai giudici). La Lettera L’obbedienza non è una virtù che nasce dal desiderio di applicare i contenuti della lettera ai giudici (rapporto tra obbedienza e responsabilità, relazione educativa, autorità) anche al contesto educativo e familiare. In questa lettera viene affrontato il problema dell’obiezione di coscienza del ragazzo nei confronti dei genitori e del maestro. 4. Lettera a una professoressa In seguito, perfezionata la scrittura collettiva sarà utilizzata per scrivere la Lettera a una professoressa. La lettera è nata come risposta alla bocciatura di alcuni allievi della scuola di Barbiana che si erano recati in una scuola pubblica per sostenere gli esami di maturità, vuole essere una testimonianza che tutti possono imparare a leggere e scrivere(democratizzazione dell’esperienza educativa). Con questa tecnica della scrittura collettiva anche i più sprovveduti e i più timidi si sentono a loro agio durante tutto il lavoro. Da nessuno è preteso un pensiero completo e strutturato ma solo l’apporto di idee e proposte iniziali. La scrittura collettiva abitua all’ascolto, al rispetto delle opinioni altrui, a riconoscere vicendevolmente i valori e le capacità nascoste in ciascuno, a saper riconoscere che la propria opinione non è sempre la più giusta, a cercare non l’affermazione personale ma l’interesse di tutti. Don Milani chiede all’architetto Michelucci, noto a Firenze per aver progettato la stazione centrale e la chiesa dell’autostrada” di scrivere una prefazione sul lavoro di gruppo in architettura così come nella scrittura. I barbianesi ritenendo il linguaggio della bozza della prefazione troppo difficile cercarono di semplificare il testo secondo il loro stile ma non sentendosi di proporlo all’architetto preferirono rinunciare alla prefazione. Il testo non verrà pubblicato con la Lettera ma ne conosciamo i contenuti perché La Fondazione Don Lorenzo Milani l’ha pubblicata nel 2007 in una nuova edizione della Lettera a una professoressa arricchita da una serie di documenti in occasione del quarantesimo anniversario della pubblicazione (Scuola di Barbiana 2007). In tale prefazione (pag.21) viene affrontato il tema della verità, l’efficacia della comunicazione, la necessità di colmare l’abisso di differenza tra la popolazione e lo specialista, l’arte come risultato dell’essenzializzazione e della prossimità della verità. L’architetto Michelucci sottolinea il “ruolo del maestro” che guida e coordina il processo di scrittura collettiva, che si assume la responsabilità di far crescere il gruppo e mediare le relazioni: Necessaria la presenza del maestro che ha più esperienza degli altri, che proponga l’argomento da svolgere e ne indichi il modo; oppure che sappia cogliere l’argomento stesso dallo sviluppo delle discussioni del gruppo; oppure infine che abbia già dato in precedenza un insegnamento tale da poter essere eseguito dal gruppo senza che si renda necessaria la sua presenza e il suo diretto controllo. Lo sviluppo di un pensiero critico e la rilevanza “politica” della scrittura collettiva rende molto vicina l’opera di Don Milani e di Paulo Freire. L’arte dello scrivere viene vista da Don Milani come un atto d’amore che nasce dal desiderio di ricercare la verità. Per Paulo Freire la scrittura collettiva democratizza atto di produzione della conoscenza. Paulo Freire: la parola, l’educazione problematizzante e la ricerca di temi generatori La figura di Paulo Freire (1921-1997) suscita ancora oggi interessi pedagogici, sociali e politici. Paulo Freire appartiene alla storia brasiliana. Importante analizzare il percorso personale e pedagogico di Paulo Freire e il processo di alfabetizzazione da lui adottato. ”. 1. Il percorso umano e pedagogico di Paulo Freire: Brasile, esilio e ritorno in Brasile Al centro della visione sociale, politica e educativa di Freire si situa il concetto di coscientizzazione che all’epoca era un neologismo. Questo termine è difficile da definire in italiano. Non si tratta della semplice presa di coscienza perché rappresenta piuttosto un processo continuo. Il metodo dell’alfabetizzazione, per il quale Freire è principalmente conosciuto, va inteso come uno sviluppo della coscienza. Il metodo dell’alfabetizzazione di Freire ha avuto un successo notevole all’epoca (negli anni 60), sono trascorsi più di cinquant’anni da allora e disponiamo di metodi di insegnamento della lingua sicuramente più avanzati ed efficaci. Freire insegnava la lingua portoghese a persone analfabete. Paulo Freire è considerato “uno dei fondatori della moderna pedagogia sociale”, cioè di quella cultura dell’educazione che pone in rapporto l’apprendimento individuale con la realtà ed i bisogni sociali. La pedagogia sociale è ovviamente influenzata, condizionata, sostenuta oppure ostacolata da strutture di tipo economico, culturale e politico, 5. I temi generatori I temi generatori sono le questioni epocali che sfidano l’umanità in un determinato momento storico. Freire negli anni 60 del 1900 aveva individuato nella coppia dialettica “oppresso/ oppressore” il tema generatore di quell’epoca, in una fase storica contraddistinta- a livello mondiale- dai processi di decolonizzazione: l’Africa era stata lasciata dagli Europei, l’India dagli Inglesi. Questi paesi erano chiamati all’epoca “in via di sviluppo” poiché vivevano complessi processi di emancipazione non solo istituzionali, politici ed economici ma anche culturali. Freire dice che la nostra conoscenza viene dai temi generatori profondi della nostra vita personale e collettiva in una determinata epoca. Il tema generatore è sempre dicotomico perché nella dialettica tra i due poli nasce una sintesi che non coincide con nessuna delle due posizioni iniziali. I temi generatori stanno alla base della situazione-problema ma, al tempo stesso, contengono le condizioni per la loro possibile trasformazione: il superamento dialettico di uno specifico tema generatore crea il cambiamento storico. Temi generatori attuali: locale/globale, rischio/sicurezza, cura del pianeta/ sostenibilità economica. È possibile leggere il complesso contributo pedagogico, sociopolitico e culturale di Freire come un tentativo di affermazione del principio di speranza per l’umanità. Freire ha intravisto le drammatiche questioni che oggi viviamo in epoca di esasperata globalizzazione, termine al quale egli ha sempre preferito quello di “planetizzazione” ad indicare l’interdipendenza dell’umanità ospitata sul pianeta. Alberto Manzi (1924-1997): la comunicazione educativa, la qualità didattica e l’eticità della scuola Nel 1946, appena tornato dalle armi, il ministro della pubblica istruzione lo ha mandato ad insegnare in una classe di 94 alunni (ragazzi dai 9 ai 17 anni, alcuni analfabeti mentre altri avevano frequentato il primo e il secondo anno di liceo) nel carcere minorile Aristide Gabelli di Roma. Inizialmente Alberto Manzi (aveva 22 anni) incontra molta resistenza da parte dei ragazzi (ragazzi difficili) inoltre non si potevano usare matite perché con esse si potevano mandare messaggi, penne perché potevano servire come armi e non c’erano libri. Alberto Manzi organizza recite, campeggi in provincia dell’Aquila e scrittura del giornalino “La tradotta”. Ruolo educativo della televisione in Italia attraverso il famoso programma Non è mai troppo tardi, che andò in onda dal 1960 al 1968 per insegnare a leggere e scrivere agli adulti analfabeti (esperimento pedagogico). Quest’esperimento pedagogico non fu accompagnato da alcuna ricerca scientifica. Alberto Manzi fu l’autore e conduttore di quel programma. Alberto Manzi aveva la necessità di lavorare in presa diretta con i bambini, nel vivo di una classe concepita come autentico laboratorio di didattica, dove il rapporto insegnamento/apprendimento costituiva una sfida pedagogica per il maestro e per gli allievi, tutt’altro che una scolastica trasmissione di conoscenze. Dopo la morte di Alberto Manzi la moglie donò all’Università di Bologna l’archivio di lavoro di suo marito. Su quel fondo, insieme alla Regione Emilia-Romagna si è costituito il “Centro Alberto Manzi” con la finalità di promuovere la conoscenza della sua figura e della sua opera 1. Tre profili in uno Tre profili della vita e dell’opera di Alberto Manzi: -autore e conduttore di programmi radio e televisivi -scrittore per ragazzi (Grogh, storia di un castoro; Orzowei) -insegnante ed educatore. Il lavoro di Manzi in televisione si concluse nel 1992 con “Impariamo insieme”: 60 puntate di 15 minuti l’una per insegnare l’italiano agli extracomunitari; una sorta di “ritorno al passato” per il maestro di “Non è mai troppo tardi”. Nel corso degli anni 80 Manzi ha realizzato alcune serie di programmi (Impariamo a imparare, Fare e disfare, Educare a pensare) che rimangono fra le testimonianze più significative prodotte dalla televisione italiana nel campo della pedagogia visiva. Secondo Alberto Manzi la letteratura non deve proteggere l’infanzia dai turbamenti ma piuttosto provocarli sulla base di una intenzionalità formativa che ha nel rapporto fra l’uomo e l’ambiente e nel senso dell’avventura i suoi fondamentali dispositivi. I due romanzi scritti da Manzi sono diventati due successi internazionali, sono le opere di letteratura per l’infanzia più conosciute nel mondo. Alberto Manzi è stato uno scrittore dotato di un eccezionale versatilità nei diversi registri di scrittura: autore di fiabe e racconti per l’infanzia, ha pubblicato libri di testo scolastici, opere a carattere didattico, di divulgazione culturale e scientifica per ragazzi. Il terzo profilo di Alberto Manzi è quello di insegnante elementare. La vocazione al mestiere di insegnante Manzi l’aveva maturata fin da giovane: aveva frequentato l’istituto nautico, ma contemporaneamente aveva conseguito l’abilitazione magistrale. Oltre alla laurea in Pedagogia aveva studiato biologia sviluppando un vivo interesse per la cultura scientifica. La sua classe, all’ultimo piano della scuola, con una porta che dava sul terrazzo, era una vera e propria officina/ laboratorio della didattica. Cardini su cui Manzi costruiva la sua didattica, sollecitando nei ragazzi quella “tensione cognitiva”, così egli la definiva, cioè il desiderio che spinge a conoscere la realtà, a porsi domande di apprendimento: -problem solving e attivismo -educazione alla cooperazione e alla responsabilità, interdisciplinarità e centralità dell’esperienza concreta. Alberto Manzi è stato considerato il precursore dell’outdoor education (educazione all’aperto) = pratiche educative scolastiche ed extrascolastiche connotate dalla centralità che assume l’ambiente esterno come ambiente di apprendimento. Infatti, Alberto Manzi nel corso dell’anno scolastico organizzava una settimana di campo scuola in ambiente naturale, convinto che i luoghi del fare- scuola siano molteplici, irriducibili all’interno delle mura scolastiche; è nell’Outdoor education che si collocano gli autentici campi d’esperienza e ambienti di apprendimento. La didattica di Alberto Manzi è lenta, segue il ritmo necessario alla formazione dei concetti dei bambini, non all’accumulo di saperi nella loro mente. Non insegna storia perché ritiene che a quell’età i bambini non possono avere i concetti di spazio e tempo su cui si basa scientificamente la dimensione storica e il suo sapere, ma in quinta elementare porta i suoi alunni al campo di concentramento di Dachau come “unica lezione di storia”. Quando nel 1977 gli ordinamenti scolastici impongono le schede di valutazione, Alberto Manzi compie un atto di “obiezione di coscienza” rifiutandosi di compilarle per i suoi alunni, soprattutto per i casi difficili che erano numerosi nella sua classe. Dopo ripetuti richiami formali, a cui Manzi rispose puntualmente portando le proprie motivazioni di ordine psicopedagogico, egli reagì stampando le schede di ogni bambino con uno stampo che riportava la dicitura “FA QUEL CHE Può, QUEL CHE NON Può NON FA”. Nel 1981, il Provveditore agli studi di Roma condannò Alberto Manzi alla sospensione dal servizio e dello stipendio per due mesi. 2. Insegnare con la TV Nel 1965, al congresso mondiale degli Organismi Radio-Televisivi che si tenne a Tokio, il programma televisivo della RAI “Non è mai troppo tardi” ricevette, su indicazione dell’UNESCO, il premio dell’ONU come uno dei programmi più significativi nella lotta contro l’analfabetismo. Non è mai troppo tardi (considerato il più importante esperimento pedagogico nella storia della televisione italiana, attraverso questo programma lotta contro l’analfabetismo ) nasceva sulla base di una convenzione tra ministero della Pubblica Istruzione e RAI; un progetto complesso di educazione a distanza dove un insegnante seguiva insieme al gruppo di allievi il programma e poi svolgeva l’attività di tutoring che consentiva di consolidare gli apprendimenti. Chi di loro voleva e si sentiva preparato poteva poi affrontare l’esame per la licenza elementare. Nelle sue lezioni televisive, a seconda dell'argomento trattato, Manzi utilizza fotografie e filmati, invitava di tanto in tanto un'ospite famoso, usava espedienti in grado di animare la didattica, come la lavagna luminosa su cui scrivere e disegnava. Lo straordinario successo di “Non è mai troppo tardi” fu dovuto al fatto di essere non solo un “corso di istruzione popolare per adulti analfabeti” ma un vero e proprio programma televisivo capace di intrattenere un pubblico che andava oltre il proprio target di riferimento. 3. Sudamerica Terminata l’esperienza di Non è mai troppo tardi Alberto Manzi ritornò a fare il maestro elementare. Manzi nel 1954 andò per la prima volta in Sudamerica con una borsa di studio come biologo per studiare un tipo particolare di formiche, in Brasile. Ben presto si accorse della condizione di sfruttamento dei contadini che, analfabeti, venivano privati di diritti politici: non potevano votare o iscriversi al sindaco, e chi insegnava loro a leggere e scrivere veniva spesso preso e picchiato. Per circa vent’anni Manzi trascorse parte delle sue vacanze in Sudamerica, avendo come punto di riferimento una comunità di Salesiani, nella fascia andina tra Perù ed Equador. Lì fece l’educatore alfabetizzando gruppi di Indios, ma partecipando anche ad azioni politiche. Tre romanzi di ambientazione sudamericana: La luna nelle baracche (1974), El loco (1979), E venne il sabato (2005) Educare comunità, L’azione maieutica e nonviolenta di Danilo Dolci 1. Educare comunità Tra gli anni 50 e 80 del 1900 il sud Italia si confrontava con i movimenti contadini e con la lotta per i diritti della gente del Mezzogiorno italiano in un secondo dopoguerra con un Paese distrutto, da ricostruire. Danilo Dolci si colloca in una Sicilia devastata e senza speranza. Danilo Dolci è stato un intellettuale, un educatore di comunità la cui opera con la collettività ci offre la possibilità di ripensare ad un’azione educativa in contesti difficili, marginali e dimenticati e, al contempo, a metodi “nonviolenti” per la partecipazione e l’inclusione sociale. Danilo Dolci non era siciliano. Nasce a Sesana nella provincia di Trieste e trascorre la sua adolescenza e giovinezza a Milano, dove ha esperienza di insegnante nelle scuole serali, sempre con uno sguardo rivolto alle classi popolari, ai più fragili. Dolci vive la maggior parte dei suoi anni, in età adulta, nella provincia di Palermo, a Trappeto, un territorio dell’entroterra siciliano conosciuto nel contesto nazionale prevalentemente per i fatti legati ai delitti di mafia (il padre era ferroviere in quei territori). Durante la sua attività in Sicilia e attraverso l’azione educativa ed emancipativa, Dolci contribuirà allo sviluppo sociale e culturale delle classi svantaggiate, utilizzando una metodologia di educazione alla pace, al dialogo e alla lotta nonviolenta per i diritti umani in anni e una situazione storico-sociale dove la popolazione non era ancora pronta per rialzarsi dalla difficile condizione economica determinata anche dalla tragedia della seconda guerra mondiale. L’opera di Danilo Dolci è iniziata nel 1952 nella Sicilia orientale, luogo dimenticato dalle istituzioni che non si preoccupava dello stato di abbandono della popolazione (soprattutto braccianti e pescatori) e del territorio: un ambiente privo di fognature, di beni primari per la sussistenza quotidiana. Il quadro sociale era caratterizzato dal dominio del sistema mafioso che mieteva vittime e arretratezza culturale. Degrado in cui versava il Meridione (mortalità infantile, povertà) . È nelle zone di Trapani, Partinico e poi Palermo che Danilo Dolci compie un’azione rivoluzionaria e partecipativa, con l’intento di offrire alla comunità dimenticata, condizioni più umane di vita e un futuro possibile. Mosso dall’intento di giustizia sociale, di lotta per i diritti umani, Dolci intraprende, proprio in quel territorio, un progetto di riscatto degli ultimi dall’oppressione subita negli anni. Convinto che il cambiamento si possa ottenere solo con la reciproca partecipazione e una comunicazione libera e democratica, promuove azioni che partono dal basso, dai saperi, dalle esperienze di vita della gente e dalle loro preziose idee. L'obiettivo di Danilo Dolci è diventato così quello di permettere a ciascun soggetto di essere protagonista attivo della propria vita. Un approccio che Dolci definirà “maieutico reciproco” e sarà messo in atto con gli abitanti di Trappeto. Mentre la maieutica, riprendendo il termine socratico, serve ad apportare alla luce la complessità della propria esistenza, per Dolci non si trattava di far semplicemente emergere le idee altrui, ma di attivare un processo di esplorazione collettiva che prende, come punto di partenza, l'esperienza e l'intuizione degli individui. Nessun maestro, nessun sapere superiore, ma solo un vero e proprio scambio di opinioni. L'altro metodo era l'autoanalisi popolare: si trattava di un gruppo di persone che ragionava insieme delle soluzioni ai problemi che affliggono il territorio. Tali metodi erano strumenti educativi impiegati al fine di costruire una nuova identità del singolo e della comunità. Danilo Dolci mise in atto anche una battaglia nonviolenta (anche sciopero della fame, sciopero alla rovescia) per farsi sentire dallo Stato. Sul concetto di nonviolenza Dolci si ispira al maestro Aldo Capitini (teorico della 2. la formazione degli insegnanti I quattro educatori di questo volume e le loro storie permettono di recuperare le due grandi dimensioni dell’essere intellettuali e dell’essere testimoni, quali dimensioni di professionalità educativa. Dal primo punto di vista cioè l’essere intellettuali l’insegnante si pone agli occhi dell’altro come colui che ha già percorso un cammino e che anticipa contenuti valori e spirito critico con la capacità della proposta e di chi sa condurre in un dialogo accessibile e onesto il diritto a crescere dell’altro. Dal punto di vista dell’essere testimoni, l’insegnante si sa mostrare interlocutore credibile dentro e fuori l’aula per la sua umanità avvertita prima che raccontata . Infine i quattro educatori di questo volume ci ricordano il valore politico dell’educazione. Difficilmente si può iniziare a prendere seria coscienza della realtà della scuola senza aver letto lettera a una professoressa testo tutt’altro che reso vecchio dal tempo capace di riportarci all’origine di questioni che interessano la scuola italiana da sempre perché le politiche scolastiche degli anni 2000 sembrano aver presto dimenticato. 3.il senso della scuola Ad oggi la scuola appare come il luogo privilegiato di trasmissione delle conoscenze. Il compito ultimo della scuola è quello di consegnare agli alunni , alfabeti parole linguaggi e conoscenze per vivere nel mondo che gli aspetta. La parola al centro: educare l’espressione di sé e al valore del linguaggio Il linguaggio costituisce per il soggetto un valore formativo . Tutti gli orientamenti pedagogici che abbiamo attraversato da Don Milani a dolci da Manzi a freire si basano proprio sulla consapevolezza che la parola non sia solo un mero strumento che serve e si usa per approcciarsi agli altri e farsi capire ma che essa permette al soggetto di posizionarsi in maniera significativa rispetto al mondo. 1. Il peso della parola e il posizionamento nella realtà In un semplice e prezioso romanzo di Patterson la mia rivoluzione si racconta di Lola una ragazzina cubana di 13 anni che accetta di aderire alla campagna di alfabetizzazione per gli agricoltori analfabeti e contro il parere dei genitori parte per le montagne ospite in una famiglia di contadini punto al suo arrivo il capofamiglia desideroso di iniziare ad imparare a leggere e a scrivere devi imparare per prima cosa il suo nome perché stanco di firmarsi con una X e di mettere l’impronta del dito sulla scheda elettorale. Alla prima lezione Luis imparerà a scrivere il suo nome è Lola immortalerà il suo orgoglio con una foto istantanea punto è significativo questo passaggio perché dice il valore dell’apprendimento della lingua per un primo grande fine cioè il riconoscimento di sé. La Parola è un modo diretto e privilegiato per dire ci sono ,esisto. Prendere la parola significa in qualche modo farsi avanti esporre e l’assenza di parole può generare molto spesso uno stato di invisibilità e anonimato. Attraverso l’approccio alla lingua si riattiva il processo di interiorizzazione. Una lingua come descrive Krisof nel suo romanzo l’analfabeta può risultare nemica in quanto può essere quella usata dal colonizzatore dall’oppressore oppure perché opera affinché venga spazzata via l’identità. Assieme alle difficoltà di apprendimento tecnico questi aspetti vanno considerati con attenzione e cura perché si possa accompagnare il soggetto man mano ad accostarsi a nuove parole di espressioni. Possiamo osservare come lavora Don Milani sulla traduzione, come forma di appropriazione, di comprensione e uso personale della parola , e come lavora freire che parte dalle parole che si sanno dalle parole di uso comune vicino alle esperienze e ai contesti concreti in cui si è inseriti. Entrambi condividono che solo la competenza linguistica eleva la dignità umana con la parola, l’uomo si fa uomo. 2. La parola come ponte Il linguaggio non è finalizzato soltanto a far comprendere i propri bisogni ma a creare passaggi e scambi tra due o più soggetti; in questa prospettiva infatti le parole sarebbero facilmente manipolate, utilizzate per convincere l’altro ,per esercitare potere. Sulla base di questo gli educatori a cui stiamo guardando in questo testo hanno messo in atto delle prassi significative : dolci lasciava un gruppo in silenzio per diversi minuti perché ciascuno potesse riflettere sull’argomento e ha notare le proprie riflessioni prima di condividerle . Il presupposto di un discorso comune è secondo i nostri maestri quello di inserirlo in una situazione concreta; la realtà concreta è come se invocasse al soggetto, come suggerisce, freire una risposta ad un problema, una risposta di cui soltanto chi vive a fondo la realtà può dare per non cadere nelle forme di oppressione e manipolazione. 3. La parola come sassolino nell’ingranaggio piccole rivoluzioni attraverso il linguaggio Scegliere di dare parola e rendere coscienti di sé e del mondo i soggetti deboli esclusi dai sistemi di potere rappresenta già di per sé una scelta coraggiosa che accomuna i nostri maestri. Nell’insegnare a leggere e scrivere Don Milani freire dolci e Manzi consegnavano il mondo ai poveri, ai contadini e agli operai nella convinzione che fosse destinato a loro, e che proprio loro , e non impotenti , potessero renderlo più abitabile e umano. IL VALORE DEI METODI ATTIVI 1. I metodi non sono neutrali Il metodo il metodo educativo è sempre una forma di cultura. Un metodo in campo educativo non è mai neutrale in quanto attraverso le sue componenti interne, la sua struttura promuove determinati processi e contribuisce a formare nel soggetto un modo di interpretare la realtà. Scegliere un metodo in educazione significa scegliere di valorizzare alcuni aspetti invece di altri ; significa optare per un modo di interpretare l’uomo e la società, l’educazione e le sue finalità. 2. Gli elementi portanti della metodologia attivistica I metodi attivi ossia metodi laboratoriali, metodi ludici, metodi euristici sono gli elementi portanti di questo approccio. Un primo elemento portante è rappresentato dall’attivazione del soggetto , nessuno può sostituire l’altro nel processo di apprendimento perché imparare è sempre agire in prima persona; da qui l’importanza di rendere attivo il soggetto. Rendere attivo il soggetto non significa lasciarlo da solo, lasciarlo dove si trova, quanto piuttosto stimolarlo e accompagnarlo. Un secondo elemento portante è costituito dalla convinzione che imparare sia semplicemente frutto di uno sforzo intellettuale. L’apprendimento comporta l’attivazione del soggetto nella pluralità delle sue dimensioni corporee, cognitive, relazionali e affettive . Il 3 elemento portante rinvia al riconoscimento del valore dell’interazione con l’altro, rappresentata sia dalla figura del docente e del formatore, sia dei pari; da qui l’importanza di lavorare insieme in piccoli gruppi e di confrontarsi . si coglie da questo quarto elemento portante strettamente connesso agli altri , l’ispirazione etica dell’approccio attivistico che a volte si tende a sottovalutare e che invece è evidentissima nella pratica educativa di Dolci, freire, Manzi e Don Milani in cui si richiede di mettere colui che impara nella condizione di pensare in quanto “costretto” a rispondere a dei problemi perché costretto a scegliere, crescendo cosi in libertà. 3. L’istanza etica La persona può diventare libera e responsabile, attenta agli altri, capace di rispettare le opinioni altrui virgola di andare oltre il proprio interesse, se nel suo percorso formativo gli è data la possibilità di imparare il rispetto e il confronto . Il senso più profondo perciò della metodologia attivistica e di carattere etico in quanto consiste nel far crescere nella persona il senso critico e l’azione responsabile punto il vecchio metodo consisteva nel rifiutare al ragazzo qualsiasi occasione di scelta punto è troppo piccolo per scegliere. I suoi parenti e i suoi insegnanti dovevano decidere in sua vece. 4. Le interessanti note di Loregan I temi trattati da lonergan sulla metodologia attivistica e la sua valenza etica furono molteplici. Dedicò alcuni passaggi anche al pensiero pedagogico di dewey mostrando di conoscerne bene i tratti fondamentali. Il valore dei metodi attivi secondo lonergan risiede nel sottolineare la necessità di coinvolgere attivamente il soggetto in quanto l’educazione è tale se aiuta il soggetto a costruire il proprio mondo. La formazione umana infatti non consiste in un semplice accumulo di nozioni o operazioni acquisite dall’esterno ma nel fare proprio ciò che si riceve e ciò che si sperimenta attraverso un processo interiore attivo . Il Soggetto si sviluppa nella misura in cui grazie al suo dinamismo coscienziale amplia il proprio modo di interagire con il mondo e di comprenderlo. Perché questo sviluppo avvenga non basta dunque dare informazioni e ripetere la persona delle nozioni , non basta neppure però fargli fare delle esperienze e proporgli delle attività. Il senso dell’attivazione esterna sta nel portare il soggetto verso una sempre più consolidata attivazione interna. La riflessione di lonergan permette di cogliere con chiarezza che quando parliamo di metodi attivi, andiamo ben al di là di un bagaglio di tecniche per rendere l’attività formativa più vivace è il percorso di apprendimento meno noioso . WALIKING THE TALK 1. Il ruolo fondamentale che la cultura svolge nello sviluppo delle competenze sociali è stato progressivamente riconosciuto nelle nostre società complesse e multiculturale come un tassello necessario per affrontare il futuro. L’agenda 2030 si presenta come un manifesto che raccoglie l’eredità dell’esperienza e documenti precedenti sui diritti umani e rilancia gli Stati la sfida di promuovere una cittadinanza mondiale capace di favorire uno sviluppo sostenibile in termini di crescita economica, inclusione sociale e tutela dell’ambiente . Ci si chiede quindi quale educazione possa sostenere lo sviluppo di una società equa e inclusiva . L’educazione era vista come lo strumento per costruire una consapevolezza sociale e una cittadinanza democratica nell’allora crescente società americana multiculturale. Su questo filone si sono mossi numerosi pedagogisti e docenti progressisti. Paulo freire parlava di educazione problematizza zante e liberazione dalle dinamiche che generano oppressione sociale e politica. Danilo dolci partendo dall’assunto che non può esserci dialogo se esiste una relazione asimmetrica tra i due partecipanti, elaborava veri e propri laboratori di partecipazione dal basso, luoghi di pedagogia attiva in cui apprendere una comunicazione libera e non violenta volta al miglioramento dell’uomo e della comunità. Don Milani rompendo con le pratiche scolastiche tradizionali proponevo un modello di educazione che favoriva la formazione di persone indipendenti attraverso la scrittura creativa e cooperativa . Alberto Manzi l’ottava contro l’analfabetismo degli adulti e contro alcune aspettative scolastiche che riproducevano disuguaglianza sociale. Quale metodologia si può utilizzare oggi per garantire pari opportunità di apprendimento senza produrre le differenze di status e i rapporti di potere? In questo quadro si inserisce il lavoro di Elizabeth Cohen, sociologa americana. 2. Paragrafo Inutile 3. La proposta della Complex instruction di E. Cohen Intende affrontare il tema della disuguaglianza di opportunità di apprendimento in classe cosciente del fatto che l’uguaglianza formale su cui si basa il diritto allo studio porga al luogo un modello ideale di relazione sociale spesso distante dall’esperienza educativa
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