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Riassunto di alcuni Racconti di Belkin di Puskin. , Sintesi del corso di Letteratura Russa

Riassunti: "Lo sparo", "La tormenta", "Il fabbricante di bare", "Il direttore della stazione", "La signorina contadina".

Tipologia: Sintesi del corso

2016/2017
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Caricato il 27/11/2017

AndreaRavasi
AndreaRavasi 🇮🇹

4.6

(21)

3 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto di alcuni Racconti di Belkin di Puskin. e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Russa solo su Docsity! I RACCONTI DI BELKIN. L’autore finge di essere l’editore che ha contattato un amico del defunto Belkin per avere informazioni biografiche da unire alla raccolta da pubblicare. Lo sparo. La vita di un ufficiale dell’esercito è piuttosto monotona, soprattutto in un paese privo di ragazze da marito dove ai soldati non restava altro che frequentarsi tra loro tutto il tempo. Nel loro gruppo c’era solo una persona non appartenente ai ranghi militari: Sil’vio, un uomo di trentacinque anni, tetro e dall’indole violenta. Egli era stato in servizio negli ussari onorevolmente ma successivamente aveva abbandonato. Viveva morigeratamente ma offriva ai soldati lauti banchetti. Prestava i suoi libri senza chiederli indietro e nella sua umile dimora di fango aveva una sola cosa preziosa: una ricca collezione di pistole con cui si allenava continuamente forando le pareti della sua stanza. Egli un giorno disse loro di aver partecipato ad un duello e loro immaginarono che avesse qualcuno sulla coscienza. Un giorno dopo aver banchettato a casa di Sil’vio convinsero il padrone di casa a tener banco durante la partita a carte. Egli era molto meticoloso nel segnare i punteggi e nell’assegnare il denaro, lo faceva in silenzio e correggendo qua e là gli errori commessi dai compagni. Tuttavia quella volta ere presente un nuovo tenente appena trasferitosi a cui Sil’vio corresse un punteggio. Egli si adirò credendo di essere beffato e lanciò al padrone di casa un candelabro. Sil’vio irato ma con garbo lo invitò ad uscire. I soldati si immaginarono già le conseguenze e vedendo Sil’vio di malumore finirono presto di giocare. Incredibilmente il giorno seguente il tenente era ancora vivo, ne chiesero ragione allo stesso Sil’vio che non disse nulla e scelse di far pace velocemente. Avrebbe potuto perdere la faccia agli occhi dei soldati per questa mancanza di audacia ma in breve tempo riacquisì la sua antica autorità. Solo il protagonista non ebbe più con lui il rapporto di prima e notando che lo stesso Sil’vio ne era profondamente rammaricato cominciò ad evitarlo. Un giorno Sil’vio ricevette un pacco e subito dopo disse che era necessaria la sua presenza altrove, perciò invitò i soldati a pranzare un’ultima volta presso di lui. A pranzo era presente tutto il reggimento e il padrone di casa era eccezionalmente allegro. Tutta la sua roba era già stata sistemata per il viaggio. Dopo pranzo invitò il protagonista a restare ed improvvisamente si rabbuiò. Voleva chiarire con lui sui motivi che lo avevano spinto a non cercar vendetta. Sei anni prima aveva partecipato ad un duello e gli mostrò un ricordo di quel giorno: un berretto rosso con un foro in testa. Negli ussari lui era un uomo furioso come spesso si richiedeva a tali soldati. Un giorno giunse un uomo coraggioso e brillante di buona famiglia che lo spodestò all’interno del reggimento dal suo podio di gloria. Egli divenne invidioso e progressivamente si incattivì, mentre l’altro scherzava bonariamente. Durante la festa di un possidente polacco tuttavia, il giovane ricco rampollo attirò l’attenzione della moglie del padrone di casa che era anche l’amante di Sil’vio; egli dunque gli disse all’orecchio una volgarità e ricevuto in cambio uno schiaffo entrambi presero le sciabole per battersi a duello. Il giorno successivo si presentarono nel posto convenuto con due secondi come testimoni a dare il via. A dodici passi di distanza il primo colpo toccava a Sil’vio ma decise di lasciarlo al giovane. Egli rifiutò quindi tirarono a sorte: vinse il ragazzo. Con un colpo gli forò il berretto, ma non fece danni alla sua persona. Allora Sil’vio stava per tirare ma il rampollo ostentava una tale calma (mangiava ciliegie nel mentre e sputava i noccioli) che gli sembrò inutile privarlo di una vita non affatto cara allo stesso possidente. Dopo quel duello mancato si ritirò a vita privata meditando vendetta: era arrivata l’ora di perpetrarla. Gli era giunta notizia che quell’uomo stava per sposarsi con una ragazza bella e ricca: era il momento giusto per il duello, ora teneva molto di più alla vita. Detto questo si congedò e partì con i suoi bagagli. Per motivi di famiglia il protagonista fu costretto a trasferirsi in un villaggio povero dove svolgeva compiti di economia domestica e conduceva una vita morigerata e non spensierata come un tempo. Ebbe momenti di debolezza in cui pensò di sfogarsi con l’alcol ma non arrivò mai a tanto. A poca distanza da lui c’era la tenuta di una ricca e bella contessa con suo marito ma raramente vi si erano recati. Ma un giorno cominciò a spargersi la voce di un loro ritorno e egli progettò di presentarsi dai nobili per dichiararsi un loro insigne servitore. Un lacchè lo condusse nello studio dove fu preso da un improvviso intimorimento vedendo le mille ricchezze lì raccolte, nonostante il conte e la bellissima mogli lo trattassero con gentilezza e umiltà. Fu colpito da un quadro, non perché fosse un esperto, ma perché in quel paesaggio svizzero erano conficcate due pallottole l’una sull’altra. Allora iniziarono a parlare della pratica nell’uso della pistola e di quanto fosse necessario un esercizio quotidiano per essere un buon tiratore. Egli cominciò a parlare di Sil’vio e della sua enorme abilità di pistolero, ma quando disse il nome si scoprì che il giovane rampollo con cui aveva un conto in sospeso era proprio il conte e quelle pallottole nel quadro erano un ricordo del loro ultimo incontro. Sil’vio era entrato in quello stesso studio mentre il conte era fuori a cavallo e non si era annunciato. Quando il conte entrò e lo riconobbe ebbe un fremito di paura. Decisero di tirare ancora una volta a sorte, per volontà di Sil’vio che non voleva rendere quell’episodio un’esecuzione ma un vero duello. Fu sorteggiato per primo il conte ma quando sparò prese il quadro alle spalle di Sil’vio. All’improvviso, mentre Sil’vio prendeva la mira entrò la moglie che sconvolta si gettò davanti al marito pregando lo sconosciuto di non sparare. Il conte disse che stavano scherzando e Sil’vio provocò i due dicendo che il conte scherzava sempre anche quando gli aveva sparato anni prima e ora aveva voglia di scherzare anche lui. La moglie si gettò ai piedi di Sil’vio disperata mentre il marito spaventato e sconvolto le diceva di alzarsi perché era una cosa vergognosa. Vedendo la paura negli occhi dell’uomo Sil’vio si congedò con soddisfazione e sparò ancora al quadro senza neanche guardare. La tormenta. ortodossi che aveva seppellito. Il giorno dopo gli arrivò notizia della morte della mercantessa Trijuchina e per tutto il giorno fu occupato nell’adempiere ai suoi doveri di becchino onesto e laborioso. Giunto davanti a casa si accorse che qualcuno si era appena infilato nella sua porta prima del suo arrivo. Sull’uscio riconobbe una faccia conosciuta ma non la identificò da subito. Entrarono insieme e con sgomento si rese conto che la sua casa era piena di morti in festa. Erano quasi tutti ossequiosi e vestiti eleganti. Tra di loro un mucchio di ossa di avvicinò e si mise a motteggiare con lui. Egli spinse via un braccio spezzandolo tutto. Allora tutti i morti indignati gli diedero addosso e lui stesso svenne sulle ossa ammucchiate a terra. Si svegliò preoccupato per quello che era successo. Ma la serva gli disse che il giorno prima era stato alla festa e aveva dormito fino ad allora per l’ubriacatura. Era tutto un sogno. Il direttore della stazione. Il direttore della stazione è un mestiere ingrato. Egli è quasi un martire su cui i viaggiatori riversano tutte le frustrazioni per cose di cui egli non è responsabile e si impegna per accontentare tutti senza riuscirci ma non per colpa sua. Di solito lo si odia ma bisogna cercare di essere obiettivi e riconoscenti in questa circostanza. Il protagonista ha viaggiato molto, di conseguenza ha conosciuto molti di questi direttori. Sono persone umili, pacifiche e servizievoli che egli apprezza più degli alti funzionari demaniali. In particolare uno di loro gli lasciò un ricordo prezioso. Ai tempi Belkin era molto giovane, aveva un grado insignificante ed era in viaggio con due cavalli da posta. Era un tipo irascibile che mal sopportava l’ossequioso rispetto dei gradi maggiori da parte del prossimo, mentre le sue fatiche non venivano riconosciute. Durante il viaggio si mise a piovere a dirotto e fu costretto a fare scalo in una stazione dove si rivestì e chiese del tè. A servirgli il tè fu la figlia del direttore, una ragazza bellissima e diligente. Egli si ricorda ancora perfettamente l’arredamento di quell’umile dimora. Si fermò a civettare con lei, che gli rispondeva in maniera cortese e avveduta. Poi bevvero tutti insieme, con il padre e a fine serata prima di partire la baciò. Passarono alcuni anni e siccome passava da quelle parti decise di voler rivedere la ragazza. Era preoccupata che si fossero trasferiti, o che lei fosse sposata, o peggio morta. Il direttore era ancora lui anche se molto invecchiato e la casa assai trascurata. All’inizio non parlava molto ma dopo che gli fu offerto un punch, l’alcol gli sciolse la lingua. Tre anni prima una sera, si fermò alla stazione una troika ed entrò un uomo in cappotto militare a chiedere dei cavalli. Ma i cavalli erano tutti fuori e l’uomo iniziò ad alzare la voce. Egli si acquietò improvvisamente quando la bella Dunja arrivò a chiedere se voleva cenare. Mangiarono assieme e in allegrai in attesa dei cavalli per il ragazzo, che si rivelò essere un ussaro. Quando arrivarono il direttore uscì per attaccarli alla carrozza, ma quando rientrò trovo il ragazzo in condizioni pietose, febbricitante e con la testa che pulsava. Gli lasciò il letto e se il giorno dopo non fosse stato meglio avrebbe mandato a chiamare il dottore. Il giorno dopo il ragazzo stava peggio. Dunja lo serviva dolcemente e in maniera accorta. Arrivò il dottore che gli disse che doveva solo riposare per due giorni. Il giorno seguente stava bene. Si accinse a partire una domenica dopo aver ricompensato lautamente il direttore. Dunja stava andando a messa e l’ussaro si offrì di accompagnarla. Il direttore stesso la invitò a salire in carrozza ma mezz’ora dopo fu preso da uno stato di angoscia tale che si convinse ad andare a messa anche lui. La ragazza non era mai arrivata a messa, l’ussaro se l’era portata via. Il direttore si ammalò e lo stesso dottore che aveva curato l’ussaro giunse da lui: gli disse che il ragazzo non aveva nulla ma egli temeva delle ripercussioni perciò aveva mentito. Egli prese due mesi di congedo e si mise a cercare la figlia, grazie agli estremi che aveva annotato dal foglio del postiglione. Arrivò a Pietroburgo dove alloggiò da un suo ex commilitone e seppe che capitano Minskij, l’ussaro, alloggiava in una locanda lì vicina. Il mattino seguente si recò da lui e alle undici venne ricevuto. In lacrime, chiese indietro sua figlia. Ma l’ussaro rispose che ormai lei lo amava ed era abituata ad una nuova vita, gli mise qualcosa in tasca e lo mandò in strada. Gettò per strada i soldi che l’ussaro gli aveva dato, riempiendolo di amarezza. Prima di andarsene voleva vedere almeno una volta Dunja, ma venne ancora cacciato. Quella sera vide sfrecciare davanti a lui un calesse da cui scese Minskij e dopo aver scoperto dal cocchiere che la sua Dunja viveva lì, si capitolò su per le scale. Attraversò le varie stanze senza dar retta alla cameriera che lo seguiva indignata e improvvisamente la vide: bellissima, vestita alla moda, mentre accarezzava i capelli a Minskij. La ragazza svenne e il giovane si scagliò irato contro il padre. Egli se ne tornò alla sua stazione e al tempo del racconto erano due anni che non aveva notizie della figlia. Belkin anni dopo venne a sapere che la stazione a lui cara non c’era più e del direttore non vi erano notizie. Prese dei cavalli e si mise a visitare un paese lì vicino. Andò alla casa del direttore. Era abitata da un fabbricante di birra e dalla moglie. Lei gli disse che il direttore era morto un anno prima perché beveva e lo fece accompagnare alla tomba da un ragazzino. Il ragazzino gli disse che era venuta una signora a far visita alla tomba. Aveva pianto in ginocchio. Era bella, elegante, generosa e aveva con sé tre bambini con la bambinaia. La signorina contadina. Ivan Petrovic Berestov aveva servito nella guardia ed era rimasto vedovo dopo che la moglie era morta di parto. Egli si era presto reinventato dedicandosi all’economia domestica: aveva creato una manifattura di panno che gli fruttava notevolmente. Era molto superbo ma ben voluto da tutti; tranne che dal suo vicino Muromskij, un nobile che aveva sperperato tutti i suoi averi. Muromskij aveva un giardino inglese e usava tutti i suoi risparmi per mantenerlo. Egli ebbe l’audacia di ipotecare la casa, pratica scarsamente utilizzata al tempo, e quindi deprecata con ironia da Berestov, assieme all’anglomania, per la sua modernità appunto. Giunse al villaggio il figlio di Berestov, Aleksej, che voleva fare carriera militare ma veniva ostacolato dal padre. Tutti in realtà intravedevano in lui un ardore che non avrebbe potuto essere ingabbiato dietro una scrivania e le fanciulle lo guardavano ammagliate, ma mai corrisposte, forse perché egli aveva una relazione amorosa con una ragazza con la quale si scambiava delle lettere. Le fanciulle di campagna hanno un’educazione meno ferrea di quelle di città, ma le loro menti sono ardenti di desiderio di scoperta e affasciate dal nuovo, mai annoiate dalla vita: per questo risultano assai affascinanti. Aleksej aveva un effetto ammagliante su di loro: una piacevole e misteriosa novità, risoluto e un po’ tetro com’era. Tra tutte egli aveva un ascendente su una in particolare, Liza, la viziata figlia unica di Muromskij; di lei si occupava un’annoiata balia inglese, ma la ragazza si confidava soprattutto con la sventata Nastja. La ragazza non aveva mai visto il giovane Berestov e quando Nastja fu invitata a pranzo dalla moglie del cuoco le chiese di guardarlo bene per poi descriverle il ragazzo. Il giorno seguente Nastja le disse che il giovane era bello ed energico, tant’è che aveva giocato ad achiapparella con loro. Egli l’aveva persino baciata Nastja, le disse la serva, e aveva fatto il briccone con tutte, sembrava tutt’altro che innamorato di quella a cui scriveva. La ragazza voleva vederlo, ma non poteva perché i loro padri lo avrebbero impedito. Decise allora di camuffarsi da contadina e di andare a passeggio da quelle parti. Il piano fu preparato con l’aiuto della serva fedele che provvide a procurare gli indumenti e ad istruirla sul comportamento che avrebbe dovuto avere. Corse a perdifiato per non farsi scoprire fino al bosco che sanciva il confine tra le due proprietà e lì si mise a fantasticare mentre attendeva l’incontro col ragazzo. Un bel bracco si mise ad abbaiarle contro, ma un giovane cacciatore la rassicurò che non le avrebbe fatto nulla. Era Aleksej che si offrì di accompagnarla a casa. Lei le disse di essere la figlia del fabbro ma quando lui disse di essere un cameriere lei lo smascherò dicendogli che era vestito e parlava come un signore. Cercò di abbracciarla ma lei mostrò serietà stimolando ulteriormente l’interesse del ragazzo: era saggia e posata per essere una contadina, ma anche intelligente e scaltra. Lei gli promise che sarebbe tornata a prendere funghi. Tornata a casa pensava di essere stata sconsiderata ma doveva tornare da lui al boschetto, altrimenti lui avrebbe cercato la figlia del fabbro e avrebbe scoperto l’imbroglio. Aleksej pensò a Liza per tutta la notte e si svegliò all’alba per recarsi al bosco dove l’attese. Lei arrivò ma i suoi occhi tradivano la tristezza: era sbagliato vedersi e non ci sarebbe stata un’altra volta. Tuttavia il ragazzo fervente di desiderio le giurò che non avrebbe mai fatto nulla per ferirla e che si sarebbero visti sempre alle sue condizioni: decisero di continuare ma a patto che lui non la cercasse in paese. I due ben presto si innamorarono pazzamente anche se Liza continuava a essere preoccupata. I due cominciarono a pensare ad una vita eternamente insieme, ma gli ostacoli sembravano insormontabili. Un giorno i due padri ebbero la stessa idea di uscire a cavallo: Berestov per la caccia e Muromskij per una passeggiata. Si incontrarono al limite del bosco e si salutarono freddamente. Ma quando la lepre scattò in mezzo ai campi e Berestov fece partire un colpo di pistola. La cavalla di Muromskij che non era abituata alle battute di caccia, disarcionò il padrone e si diede alla fuga. Berestov recuperò la cavalla e aiutò il vicino ad alzarsi offrendogli un ristoro presso la sua magione. Bevvero assieme e
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