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riassunto di Antropologia e Infanzia , Sintesi del corso di Antropologia

riassunto di LeVine, R. A., New R. S., 2009 (a cura di), Antropologia e infanzia. Sviluppo, cura, educazione: studi classici e contemporanei. Milano: Raffaello Cortina Editore. diviso in capitoli e con parole in grassetto

Tipologia: Sintesi del corso

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antonio.ianne
antonio.ianne 🇮🇹

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Scarica riassunto di Antropologia e Infanzia e più Sintesi del corso in PDF di Antropologia solo su Docsity! ANTROPOLOGIA E INFANZIA – SVILUPPO, CURA, EDUCAZIONE: STUDI CLASSICI E CONTEMPORANEI CAPITOLO 1: PLASTICITA’ NELLO SVILUPPO INFANTILE (Franz Boas) Quando cerchiamo di valutare le capacità delle diverse razze di uomo presupponiamo tacitamente che siano qualcosa di fisso e permanente, che dipendano dall’ereditarietà. La ricerca teorica su questo assunto di una stabilità assoluta dei tipi umani non è plausibile: osservazioni sulla crescita hanno mostrato che la quantità di crescita dell’intero corpo dipende da condizioni più o meno favorevoli che prevalgono durante il periodo dello sviluppo: lo sviluppo delle parti del corpo non procede affatto allo stesso ritmo di un periodo dato; così, al momento della nascita, il volume del corpo e la statura sono molto ridotti e aumentano rapidamente fino al 14esimo anno d’età; diverso, invece, per la testa che cresce rapidamente solo per uno o due anni e poi l’incremento è minimo. Da questa osservazione consegue che se lo sviluppo di un individuo è rallentato da condizioni sfavorevoli dopo che un certo organo ha quasi raggiunto il suo pieno sviluppo, mentre altri organi sono ancora nel processo di rapida evoluzione, il primo non può essere influenzato, i secondo possono mostrare traccia delle condizioni sfavorevoli: ne consegue che le proporzioni del corpo dell’adulto dipenderanno dalle condizioni generali di vita che hanno prevalso durante la giovinezza e gli effetti di queste condizioni saranno più evidenti in quegli organi che hanno il periodo di sviluppo più lungo. ES. bambini nati in Italia e bambini nati in America da genitori italiani. Dunque, se a forma corporea subisce cambiamenti di vasta portata a causa di un nuovo ambiente, è possibile attendersi concomitanti cambiamenti della mente. INDISCUTIBILE PLASTICITA’ DEI TIPI UMANI. CAPITOLO 2: L’ETNOGRAFIA DELL’INFANZIA (MARGARET MEAD) BAMBINI SAMOANI TRA LAVORO E GIOCO. Esperienza in un villaggio, Tau, in un’isola nella Samoa Americane. I bambini sono trattati come piccoli adulti anche se hanno esperienza e a volte sono tristemente privi di buon senso; considerazione diversa del gioco. E, per di più, i bambini precoci (più brillanti della loro età) sono severamente rimproverati e picchiati perché devono fare ciò che è loro richiesto senza aspirare a compiti più adulti. GERARCHIA FAMILIARE A BALI. A Bali era necessario sviluppare un vocabolario idoneo a indicare le posizioni alla base nell’ordine della famiglia, cioè l’ultimo, il penultimo e il terzultimo figlio: lap baby, knee baby, yard child. Espressioni coniate non solo perché i membri della famiglia trattavano il bambino che aveva appena avuto un primo o un secondo fratello in modi speciali, ma anche perché questi tipi di comportamento, appropriati per il bambino più piccolo e per i bambini con uno o due fratelli più piccoli, si erano istituzionalizzati ed estesi ai bambini dell’età in cui ci si aspettava che accadessero questi cambiamenti nella configurazione familiare. Il lap baby è un delizioso giocattolo, il centro della delizia, desiderato da tutti, lo knee baby, posto nel mezzo, è geloso del lap baby, viene sbeffeggiato (le bambine vengono ingiuriate come incinte), lo yard baby è quello che ha meno attenzioni ed è quasi pronto ad uscire di casa con i bambini più grandi. CAPITOLO 3: L’INFANZIA NELLE ISOLE TROBRIAND – MELANESIA- (BRONISLAW MALINOWSKI) Nelle isole Trobriand la famiglia tipica è fondata sui principi di uguaglianza e di indipendenza nelle proprie funzioni: il marito viene considerato padrone perché proprietario della casa, ma la donna esercita un notevole influsso sulla vita familiare e viene vista come “capo legittimo della famiglia”. Compiti della donna sono: cucinare e andare a raccogliere l’acqua dal pozzo. L’uomo non può cucinare o svolgere qualsiasi altra mansione prevista per le donne, perché rischierebbe di essere sbeffeggiato dagli altri uomini del villaggio perché fa qualcosa attribuito all’altro sesso. Compiti dell’uomo sono: cacciare, pescare, procurare legname o imbarcazioni, può riposare il pomeriggio e, soprattutto, può cullare il bambino, tenerlo in braccio e accudirlo. A livello sessuale c’è molta libertà tanto che esistono case degli scapoli e delle ragazze nubili, dove si consumano “matrimoni di gruppo”. I bambini, a partire dai 4-5 anni, acquisiscono grande libertà e tolleranza tanto che possono già riunirsi da soli, organizzare le giornate, escursioni, giochi e anche pratiche sessuali: sì, perché il sesso viene visto come un atto molto libero, gli stessi genitori hanno rapporti davanti ai figli e i figli stessi in età davvero precoce possono trarre entusiasmo da piccoli atti erotici. La pederastia, però, non è ben vista. Quindi assistiamo alla creazione di un gruppo ( i bambini) all’interno di un gruppo (l’intero villaggio). CAPITOLO 4: L’INFANZIA TRA I TALLENSI DEL GHANA (MEYER FORTES) L’educazione è considerata un’impresa congiunta in cui i genitori sono tanto appassionati nel guidare e condurre i bambini, quanto i bambini lo sono nel seguire. Viene insegnato loro il valore del cibo e del denaro (non calpestare i germogli di miglio, avere una gallina, essere fertile). I tallensi riconosco anche la possibilità ci siano differenze individuali nelle capacità: quando un bambino è più abile è detto “occhi eccezionali”. Anche l’uso della punizione è una pratica che si può osservare fra i Tallensi, ma non sono mai punizioni vendicative o situazioni di prepotenze malevole. Per la popolazione è molto importante il concetto di “yam”, cioè di buon senso, di saggezza. • A livello educativo, tutti imparano da tutti: gli adulti dagli anzi, i neonati dai bambini; l’apprendimento viene visto come una funzione essenziale e giusta. • In linea generale si può dire che si formano aggregazioni in base allo stesso grado di mobilità (quindi: gruppo dai 6-10 anni, gruppo degli adolescenti). A partire dai 6 anni, inoltre, cominciano a esserci separazioni di sesso perché ciascuno inizia a svolgere mansioni o ad assumere atteggiamenti caratteristici del proprio. Nessuno di questi gruppi, però, assomiglia a una “banda”, la loro composizione, cioè, cambia in base al contesto (momenti rituali, attività ludiche..). • La relazione educativa più importante fra i Tallensi non è, tuttavia, quella tra bambini, ma quella tra bambini e genitori. La loro relazione si basa su cooperazione, amicizia, tolleranza e quasi egualitarismo; ciò è più marcato tra padre e figlio, tanto che il figlio può chiamare il padre col suo nome. L’apprendimento, dunque, è abbastanza naturale e proviene dalla coscienza individuale o da un’approvazione pubblica; altre osservanze sono invece dettate da nozioni mistiche (le donne non possono mangiar carne altrimenti diventano sterili). Tutto ciò è presente come schemi generali sin dall’inizio della vita di un individuo, questi schemi forniscono un “diagramma posturale” cioè quasi una tabella di marcia che il bambino pian piano completa. (es. della danza). di certe abilità, le credenze e le pratiche, i fattori situazionali. Il caregiving vuole soddisfare tre obiettivi: la sopravvivenza del bambino, la capacità riproduttiva, l’autosufficienza economica, l’inculturazione. A sostegno di questo secondo modello, viene presa in esame l’ecologia sociale degli EFE. Il gruppo degli Efe abita la sezione a NORD-OVEST dello Zaire; sono una popolazione di bassa statura, cacciatori e più coltivatori che raccoglitori, seminomadi, vivono in piccoli accampamenti virilocali; vi è una grande vita comunitaria (mangiare,cucinare, curare i bambini); a livello sociale cercano di evitare conflitti e rotture, di minimizzare l’aggressività = grande identificazione col gruppo. Dal punto di vista delle pratiche di cura degli efe, emerge il loro Multiple Caregiving, cioè il prendersi cura del neonato non è solo svolto dalla madre, ma anche da altre donne dell’accampamento che lo allattano per i 4-5 giorni in cui la madre ancora non ce l’ha pronto; il bambino passa da una donna all’altra nelle prime settimane; si è calcolato che passi nelle mani di all’incirca 14 donne. Ci sono ovviamente delle variabili: per esempio, un bambino che pesa di più viene tenuto più tempo da altre donne, un bambino capriccioso passa più tempo con la mamma. Ci sono dei vantaggi? Forse questa serie di passaggi aiuta a sviluppare la termoregolazione, ma, allo stesso, si espone più facilmente il neonato a infezioni e virus. Ci sono, poi, vantaggi psicosociali: un bambino cresciuto con il sistema di multiple caregiving sviluppa interazioni regolari con individui diversi, competenze sociali precoci che permettono loro di negoziare le quotidiane richieste sociali che sono loro rivolte. CAPITOLO 9: PADRI E BAMBINI TRA I PIGMEI AKA I padri aka dedicano più cure dirette ai loro bambini e sono loro più vicini, rispetto a qualsiasi altra popolazione studiata: i padri aka si trovano a meno di un braccio di distanza dal bambino per più del 50% del tempo nelle 24 ore e durante il giorno si occupano dei piccoli per un tempo di almeno 5 volte superiore a quello dei padri di altre popolazioni. Essendo un popolo che vive principalmente di caccia con rete e raccolta, gli spostamenti quotidiani sono lunghi e anche le donne e i fratelli maggiori sono impiegati in queste mansioni: solo gli uomini, i padri, possono portare con sé il peso dei bambini. Ma, per di più, anche quando la donna è impegnata nella cucina o nelle faccende domestiche, è il padre a prendersi cura del figlio, anche se i fratell mggiori sono disponibili. Da ciò potremmo dedurre che ci sia un particolare rapporto tra moglie e marito: la loro “stretta familiarità” potrebbe derivare dal principio neo-darwiniano dell’”altruismo reciproco”: ti faccio del bene perché so che tu mi darai del bene. La reciprocità tra marito e moglie, nel particolare, può essere influenzata da: frequenza delle interazioni, numero delle attività svolte isieme, natura del tempo trascorso insieme. E’ dunque possibile che moglie e marito si diano una mano condividendo maggiormente le diverse situazioni della vita, quando trascorrono molto tempo insieme cooperando in diverse attività: prendersi cura dei piccolo è solo uno dei vari compiti condivisi. Perché hanno più cura nell’accampamento e non quando sono a caccia (dove servirebbe più protezione)? Perché in casa c’è meno dispendio di energie. I dati intraculturali e interculturali dimostrano l’esistenza di una relazione tra la frequenza dell’interazione tra marito e moglie e il coinvolgimento paterno nella cura del bambino. La cura diretta del bambino può essere considerata parte dell’investimento per la sopravvivenza, più che dell’investimento genitoriale o relativo della coppia. CAPITOLO 10: FASCE, “TAVOLE-CULLA” E SVILUPPO DEL BAMBINO (JAMES CHISHOLM) Le prime esperienze di un individuo, portano nell’individuo degli effetti. Qui si decide di analizzare la pratica di fasciare il bambino usando o non usando le “tavole-culla” . sono pratiche di grande interesse non solo perché sono utilizzate in modo diffuso in diverse società, ma anche perché è stato dimostrato che hanno effetti rilevanti sul comportamento dei neonati. Le tecniche di fasciatura hanno molte varianti: la loro caratteristica comune è quella di limitare il movimento del corpo e degli arti del bambino; in alcune culture, il bambino fasciato viene poi legato a una tavola-culla, in vari periodi di vita del neonato e per vario tempo. E’ stato visto come fino a pochi secoli fa, le fasce venivano utilizzate nella maggior parte delle società nelle regioni temperate settentrionali, in quelle subartiche, nell’area mediterranea. L’uso di letti che limitano il movimento sarebbe più diffuso in queste regioni e non in quelle tropicali dovei bambini sono meno coperti e a diretto contatto col corpo delle madri. Perché dopo l’industrializzazione cala quest’uso? Era in contrasto con le idee liberali sull’allevamento del bambino dominanti nel XIX secolo? Potrebbe aver contribuito anche l’uso sempre più frequente di mezzi farmacologici per calmare i bambini. Quali sono gli effetti delle fasce sul comportamento infantile? • Non ci sono dati certi che provino che l’uso delle fasce provochi un ritardo nel raggiungimento degli obiettivi motori. • Studi di Giacoman e Greenburg hanno provato che la posizione verticale fasciata aumenta la vigilanza visiva ma diminuisce il livello di reattività del piccolo. E’ stato compiuto uno studio sugli indiani dell’Arizona. Gli indiani navajo dei nostri giorni mettono i loro piccoli su tavole-culla fin dai primi giorni dalla nascita e fino a 10 mesi. E’ stato visto come la fascia induca il sonno nei bambini e dormino meglio (stato di attenuazione). EFFETTI SULLA TAVOLA-CULLA NELLE RELAZIONI BAMBINO-CAREGIVER. Questa pratica influenza anche le interazioni sociali che i bambini instaurano con gli altri. POSSIBILI USI DELLE FASCE NELLE SOCIETA’ INDUSTRIALIZZATE. 1: la tavola-culla può essere usata per diminuire il tempo che i bambini normalmente trascorrono in condizioni di solitudine, senza limitare le attività di chi si prende cura di loro. 2- lo strumento può essere usato nei casi di bambini irritabili, capricciosi e che non dormono o anche quando il bambino riporti una frattura o lo si voglia tenere lontano da malattie della pelle, da ustioni. CAPITOLO 11: PARLARE E GIOCARE CON I BAMBINI PICCOLI Uno degli aspetti dell’interazione madre-bambino in Nord-America e in Europa Occidentale che più colpisce è il fatto che le madri trascorrono molto tempo a parlare ai loro piccoli. Il comportamento delle madri non deve essere visto come volontà di fare un monologo, bensì di portare avanti una conversazione col bambino che viene, quindi, trattato come gli altri esseri umani che parlano quella lingua. Queste ideologie sull’allevamento dei bambini si basano su regole e pratiche di cura (influenzate da fonti mediche e scritte), su credenze sui bambini piccoli e sul processo di sviluppo. Da uno studio compiuto su bambini di Cambridge e su bambini di Amsterdam è emerso subito, per esempio, che le mamme inglese allattavano di più (= il sistema sanitario incoraggia le donne ad allattare i neonati al seno). Entrambi i gruppi dichiaravano che i loro bambini erano in grado di capire alcuni elementi del discorso degli adulti, mentre differivano su quali stimoli considerassero importanti (per le mamme inglesi erano importanti gli stimoli visivi, per le olandesi no). Da qui consegue che i due gruppi differivano di più per le regole e le tecniche di cura e meno per le convinzioni sulla natura dei bambini e sui processi di sviluppo. Quali sono occasioni per parlare ai bambini? In risposta a comportamenti “quasi comunicativi” del bambino (riso, starnuto, sguardo fisso) o in concomitanza a interventi della madre nelle attività del piccolo (sollevandolo, appoggiandolo, dandogli un giocattolo). Un’altra occasione si presenta quando la madre parla con un terzo riferendosi al bambino oppure, ancora, ci può “parlare per gioco” che si verificava solo se la madre aveva tempo e voglia. Il “parlare per gioco” o “per divertimento” si è verificato perlopiù in tre situazioni: 1- durante situazioni di gioco tra la madre e i bambini 2- quando la madre tentava di provocare una reazione specifica da parte del bambino 3- quando la madre gli offriva dei giocattoli. Questo fenomeno si è rivelato altamente variabile. Non sempre è facile distinguere tra queste 3 tipologie. CAPITOLO 12: L’ATTACCAMENTO NELLA PROSPETTIVA ANTROPOLOGICA (LEVINE, NORMAN) L’acquisizione della cultura da parte del bambino ha inizio durante la prima infanzia? Per rispondere a quest’interrogativo LeVine ha compiuto uno studio sull’attaccamento madre – bambino molto piccolo in Germania. E’ assai probabile che l’inculturazione ha certamente inizio durante l’infanzia, quando il bambino si adatta a una cultura e partecipa alle attività influenzate dalle nome specifiche di questa, alla sensibilità interpersonale e alle performance comunicative. Cosa consegue da questa inculturazione infantile? Una sorta di precocità osservabile: i bambini piccoli tedeschi diventano capaci di consolarsi da soli in giovane età e sono autosufficienti perché capaci di tollerare la solitudine. Da un punto di vista americano, questa precocità tedesca risulta eccessiva e non necessaria e i comportamenti materni che la promuovono, immorali. Di converso, i genitori tedeschi considereranno “viziati” i neonati cresciuti secondo gli standard odierni. In questo contesto si inserisce la teoria dell’attaccamento di Bowlby-Ainsworth che ritiene che il modello di attaccamento sicuro riscontrato nella maggioranza dei bambini americani di un anno sia adattabile a tutti gli esseri umani e che altri modelli mettano a rischio la salute mentale dell’individuo. Seguendo questo punto di vista, i bambini tedeschi crescerebbero emotivamente disturbati. Gli studiosi dell’attaccamento hanno comprensibilmente evitato di trarre questa conclusione, ma non sono riusciti a offrire una spiegazione alternativa soddisfacente dei risultati ottenuti. CAPITOLO 13: UN ESPERIMENTO DI CURA INFANTILE: I BAMBINI DEL KIBBUTZ Il Kibbutz è una forma associativa volontaria di lavoratori dello stato di Israele, basata su regole rigidamente egualitarie e sul concetto di proprietà comune. La maggioranza delle donne del Kibbutz vive gravidanze sane specialmente al giorno d’oggi, in cui la natalità sta aumentando. I Chaverim sono organizzazioni di volontari ebrei ortodossi sulla costa orientale degli Stati Uniti che una crisi di autonomia, o meglio, una crisi di fiducia? Può, effettivamente, darsi che il bambino abbia maturato un desiderio più forte che la madre stia sempre con lui ( diverso dai bambini occidentali che vengonno “separati” prima), desiderio che potrebbe acuire il conflitto che accompagna la separazione. Bisogna, però, considerare altre situazioni che neutralizzano gli aspetti negativi dell’esperienza della separazione: una di queste è la politica utku di non fare dei disaccordi quotidiani tra genitori e figli un problema; l’effetto di ciò è che, benché ai bambini di 3 anni si faccia capire che alcuni comportamenti sono da evitare, raramente si infliggono frustrazioni, per esempio impedendogli fisicamente di avere questi comportamenti poco piacevoli (NO “Non toccare”, Sì “Ti avevo avvertito”); quello che a noi può apparire come assenza di fermezza da parte di chi si occupa di un bambino , tra gli Utku non sia vissuta, dal bambino, come una condizione anarchica, anzi, gli Utku credono che solo così il bambino sarà di memorizzare. Un’altra implicazione importante della congiunzione di separazione e autonomia è che i sentimenti di vergogna nel contesto del toilet training (come in occidente), ma in relazione alla separazione della madre: il bambino deve scendere dalla schiena della madre, deve mettersi in piedi a terra, da grande a piccolo, c’è vulnerabilità e piccolezza. Il senso di vergogna, quindi, in Occidente nasce dall’autonomia datagli per i propri bisogni fisiologici e tutti i loro imprevisti annessi (farsi sotto, sporcarsi), tra gli Utku nasce dalla consapevolezza di essere nudi, esposti, e osservati. Non è ancora ben chiaro, però, se queste esperienze “biologiche” siano punti focali da cui dipende uno sviluppo riuscito o semplicemente delle acquisizioni, importanti ma simili a tante altre che il bambino incontra nel corso della sua crescita. CAPITOLO 17: TRASGRESSIONI NARRATIVE NEGLI STATI UNITI E A TAIWAN Quanto è usato il racconto di storie personali nella socializzazione dei bambini piccoli all’interno del contesto familiare in alcuni quartieri di Chicago e a Taipei (Taiwan). Dall’analisi delle interviste con le madri, si deduce che le madri di Longwood e le madri di Taipei attribuiscono significati piuttosto diversi a manchevolezze e comportamenti sbagliati. Le seconde trattano le manchevolezze dei bambini come un’opportunità educativa, una diagnosi che richiede un rimedio, mentre trattano le manchevolezze passate dei genitori come potenzialmente minatorie per l’autorità generale e quindi non narrabili ai figli. Questi modelli narrativi mostrano l’asimmetria tra i genitori e bambini, ben noto tratto delle famiglie cinesi. Le madri americane, per contro, sdrammatizzano attraverso la narrazione i comportamenti sbagliati dei bambini, perché ritengono che insistere sui comportamenti negativi sia potenzialmente dannoso per il loro benessere e per il loro rapporto coi genitori: le madri americane sembrano più preoccupate della salute psicologica del bambino e di rimanere “avvicinabili” piuttosto che di minare la propria autorità. Per loro, è una questione fondamentale incoraggiare l’autostima dei propri bambini piccoli per evitare conseguenze psicologiche devastanti: i loro rimproveri si concentrano sul “gesto cattivo” e non “sul bambino cattivo”. Vi è un importante legame tra l’obiettivo dei genitori di alimentare l’autostima e le pratiche narrative familiari che sistematicamente calibrano il racconto delle trasgressioni. Il modello di Longwood sembra a prima vista paradossale: i comportamenti sbagliati ordinari dei bambini, nella narrazione, sono gestiti in modo cauto, in chiave umoristica, o rimossi interamente dalla documentazione narrativa; è come se i bambini in età prescolare fossero troppo fragili perché si ricordino i loro fallimenti e ogni comportamento sbagliato che non viene raccontato probabilmente resta con ampio effetto nell’esperienza del bambino, più di quanto non accadrebbe in Taiwan. Le madri di Longwood, in più, danno l’opportunità del rimediare perché sembrano visualizzare un sentiero della vita più ampio e nel quale il perdono è possibile. CAPITOLO 18: IL GIOCO INFANTILE DA UNA PROSPETTIVA ITALIANA (REBECCA NEW) Negli studi antropologici nei quali questo tema veniva preso in considerazione, esso veniva studiato seguendo una di queste 4 prospettive: 1) gioco come preparazione informale alla vita adulta 2) gioco come forma ludica o sportiva 3) gioco come attività espressiva 4) gioco come semplice diversivo. Questa confusione riguardo alla reale definizione di gioco è forse causata dal fatto che il gioco è un tipo di fenomeno molto diverso a seconda del contesto in cui ha luogo. Nella prima comunità descritta, per le mamme non c’era distinzione tra gioco e altre attività, erano tutte gioco. Nella seconda comunità, a Reggio Emilia, sono gli adulti che promuovono il gioco finalizzato a uno sviluppo culturale e infantile. Queste due differenze evidenziano una società in rapida evoluzione. Si è, infatti, osservato che attraverso il gioco si imparano le regole della cultura e della famiglia. Le due comunità condividono: enfasi sulla continuità nella cura del bambino, il valore delle interrelazioni bambino-bambino e adulto-bambino, la discussione all’interno del gioco. Quest’ultima cosa avveniva quando i bambini piccoli cominciavano a mostrare le proprie competenze comunicative. In entrambe le comunità, i bambini partecipavano regolarmente a gruppi operativi di pari, condividevano responsabilità. Sono varie le domande che nascono spontanee: fino a che età è giusto promuovere il gioco coi giocattoli? Che valore ha il contesto, l’ambiente fisico? Non è possibile, al momento, rispondere a queste domande finchè non saranno condotti altri studi; certo è, però, il fatto di isolare il gioco dalle sue situazioni contestuali potrebbe essere frutto dei pregiudizi della classe media americana nella quale elementi dell’ambiente come parchi giochi e giocattoli creano l’aspettativa che il gioco possa avere luogo solo in certe circostanze. Questa separazione artificiale del gioco dalle altre attività e dagli altri contesti di vita dei bambini può ben ostacolare lo sviluppo di un’ampia comprensione teorica del gioco. CAPITOLO 19: LA DISCUSSIONE E L’AMICIZIA NELLA CULTURA ITALIANA DEI PARI E’ possibile dare un approccio interpretativo alla socializzazione infantile? Si può, sostenendo che la socializzazione dell’infanzia è un processo collettivo che si verific in un ambito sociale piuttosto che privato. Questa prospettiva estende altresì il punto di vista di Piaget sull’adattamento attivo del bambino al mondo reale autonomo degli adulti, sostenendo che i bambini non sono semplicemente adattori attivi, ma anche produttori sociali dei propri mondi. Nel tentativo di catturare questa natura produttiva-riproduttiva della socializzazione, è stato opportuno presentare un’analisi a tre livelli della routine (discussione) nella cultura dei pari in una scuola dell’infanzia italiana, muovendosi con l’intento di sostenere l’irriducibilità e l’autonomia della cultura infantile dei pari e, al tempo stesso, ammette che sia influenzata dal mondo adulto. Il primo livello di analisi è sociolinguistico: si è dimostrato che la produzione della discussione dipende dall’uso che fanno i bambini di specifiche strategie del discorso che vengono a loro volta raffinate e ulteriormente sviluppate come risultato del loro uso all’interno della cultura dei pari. Il secondo livello ha valutato quanto la produzione della discussione costruisca ed estenda la cultura dei pari. Abbiamo visto che i bambini, per tutto il corso della discussione, si basavano sulla conoscenza condivisa delle attività, sui valori e sugli aspetti importanti per la cultura dei pari. Il terzo livello di analisi dimostrava come i bambini riuscissero a comprendere più in profondità le informazioni dal mondo degli adulti, partecipando alla cultura dei pari. Quindi, nel cercare di gestire il problema di poco conto e quello pratico più serio, i bambini acquisivano una comprensione più profonda e partecipavano alla riproduzione delle idee. CAPITOLO 20: ETA’ E RESPONSABILITA’ Alcuni recenti lavori etnografici ci offrono descrizioni utili dei modi in cui (in società tradizionalmente diverse dalla nostra) vengono implementati i processi di socializzazione nell’infanzia: alcune culture, cioè, modificano la posizione sociale dei bambini nella stessa età in cui noi li inseriamo a scuola e in cui si registrano dei cambiamenti di stadio nello sviluppo cognitivo. Le pratiche delle popolazioni ngoni, ijaw, sisala e dusun sono da esempio come nel caso della credenza in cui il bambino arriva in una fase “più adulta” (deve abbandore i giochi, iniziarsi a dei lavori) quando perde i denti da latte. Rimane dunque l’idea che esista un nucleo di cambiamento comune a tutti i bambini, occidentali e non. Al momento attuale l’ipotesi più suggestiva sarebbe che i mutamenti nello sviluppo del bambino siano di natura “sociale”, cioè che nella maggior parte delle culture (intorno ai 6 anni) cambino le posizioni del bambino nella società. Sicuramente alcune lo fanno, ma sarebbe importante approfondire in che misura il fenomeno della suddivisione dello sviluppo in stadi sociali sia diffuso tra le culture, provando anche a dedurre dalle caratteristiche comuni che emergono osservando bambini di culture diverse un “denominatore” evolutivo valido per tutti. CAPITOLO 21: BAMBINI E FRATELLI CHE SI CURANO DI ALTRI BAMBINI I dati che emergono dalle ricerche transculturali, ci accorgiamo che la presenza di caregiver diversi dai genitori rappresenta la norma o un modello comunque molto significativo per la maggior parte della società. Nelle società industrializzate gli altri caregiver sono sempre stati meno presenti rispetto a ogni altra parte del mondo, bisogna, quindi riferirsi ad altre società. Quando parliamo della cura di bambini da parte di altri bambini o fratelli, facciamo riferimento a tutti i tipi di attività di socializzazione, di addestramento, di responsabilità quotidiane. Tra le categorie di caregiver si registra con maggior frequenza la figura delle femmine adulte (mamme), poi bambine e poi altre dinne. Menzionando la presenza anche del fenomeno del “babysitting” e della balia, il modello informale all’interno della vita familiare e delle routine domestiche resta, ancora, il più comune nel mondo. Questo fenomeno si potrebbe applicare nella nostra realtà,anche nel dibattito sul ruolo dele donne e la condizione delle madri in Occidente. CAPITOLO 22: COMPORTAMENTO ALTRUISTICO ED EGOISTICO DEI BAMBINI Da una precisa analisi compiuta tra Kenya, Filippine e Messico, emergono caratteristiche di una cultura che potrebbero orientare verso il comportamento altruistico e quali meno. I risultati emersi sono che:
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