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Riassunto di Arte delle città, arte delle corti e Giotto di Bellosi, Sintesi del corso di Storia dell'arte medievale

Riassunto del corso con i due libri, le opere più famose di Giotto e un excursus sugli artisti medievali-gotici più importanti (Arnolfo di Cambio, Duccio di Buoninsegna, Cimabue, Cavallini...).

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 28/02/2023

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Scarica Riassunto di Arte delle città, arte delle corti e Giotto di Bellosi e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'arte medievale solo su Docsity! Arte delle città, arte delle corti-Enrico Castelnuovo Nel XVIII secolo, in gran parte d’Europa si diffonde un nuovo modo di costruire, assunto a modello incontrastato: il gotico, all’epoca Opus francigenum (Opus in latino=opera). Allora, i modi di costruire o certi tipi di manufatti, non venivano classificati secondo uno ‘stile’ ma veniva utilizzato il termine ‘opus’, accompagnato da un aggettivo che ne specificava la localizzazione; ex. lemovicense, anglicanum, romanum, theoticum, veneticum, cyprense. In questo modo si indicavano i prodotti di una certa tecnica, originaria di particolari luoghi (ex. A Limoges, l’opus lemovicense era legato agli smalti; ad Arras, l’opus atrebatense legato alla tapezzeria, agli arazzi; opus anglicanum indicava un certo tipo di ricamo fatto in Inghilterra e i cui disegni contribuirono a diffondere il disegno gotico). Questo strumento classificatorio era usato anche per certi particolari tipi di scrittura (es. littera bononiense utilizzato per ricami). Opus Francigenum poiché nasce nell’Ile de France e definiva un certo tipo di architettura che si era sviluppato lì. Lo sviluppo di quella architettura (che verrà definita poi da Vasari, gotica) tipica dell’Ile de France si svilupperà dalla metà del XIII sec. al Rinascimento del 400 e 500.  Nell’interpretazione dispregiativa di Vasari, l’arte gotica era l’arte barbarica (dei Goti) che aveva cancellato e fatto dimenticare la buona arte degli Antichi (Greci e Romani) fino a che questa, rinata (da cui il termine Rinascimento) nel XV secolo, non aveva ripreso a vivere. Gotico è il termine che gli storici utilizzano non solo in presenza di un certo sistema architettonico ma anche di un certo modo di strutturare e definire le forme, di un certo tipo di panneggio, di una maniera di trattare la linea, di raffigurare i volti, gli atteggiamenti (es. Giotto), le figure (ex Wiligelmo, Arnolfo di Cambio) di fronte a un certo naturalismo nella creazione di formule nuove più ricche di informazioni e dettagli. <<Se si definisce l’architettura gotica in base al modo della distribuzione delle forze, all’uso della volta a crociera con costoloni, dell’arco acuto, del sistema di contrafforti e archi rampanti, allo svuotamento delle pareti, alla concentrazione dei pesi su determinati elementi, sarà impossibile vvapplicare questi criteri a una scultura o a una pittura, anche se una tendenza allungarsi delle figure potrà prestarsi al paragone con il verticalismo dell’architettura gotica>>. La forma più caratteristica è l'arco acuto, che per trecento anni fu universalmente riconosciuto come elemento distintivo del Gotico. Gli elementi gotici entrarono in modo diverso in Italia: talora furono profondamente intrecciati a quelli bizantini, come nel caso dei dipinti murali frammentari attribuiti al maestro di San Francesco, nella basilica inferiore di San Francesco d’Assisi. A Venezia e nella Sicilia normanna, l’arte era orientata verso Costantinopoli, e l’impatto della pittura ancora bizantine era stato determinante sullo sviluppo della pittura italiana su tavola del 200. Le due correnti, quella nordico-gotica e quella bizantina, si fanno più pressanti proprio all’inizio del 200. Fu l’architettura la prima tecnica gotica a discendere e ad espandersi in Italia. L’Italia settentrionale era stata assai precocemente luogo di esperimenti sulla volta a crociera su costoloni, sperimentazioni che non si verificarono nel resto dell’Italia. La volta a costoloni lombarda non fu elemento generatore di stile e anche le modanature, i rosoni a disegno raggiante, i profili dell’apice delle finestre non potevano costituire uno stile. Le prime chiese autenticamente gotiche del 200, coerenti sia nella struttura architettonica che nella decorazione, furono il Battistero di Parma (1196- 1216, Benedetto Antelami), Sant’Andrea di Vercelli (1219-1227, Benedetto Antelami). Esempio di edificio romanico in compenetrazione di elementi gotici: Palazzo Papale di Viterbo, 1255-1266 con loggiato gotico. L’architettura gotica in Italia, fu assorbita dai modi bizantini e quindi si diffuse in modo meno coerente ma portando nuove soluzioni come nel caso della chiesa di San Francesco d’Assisi, fondata da Gregorio IX e consacrata da Innocenzo IV nel 1253, costruita su modelli occidentali di chiese a due piani es.Saint Chapelle. Questione congregazioni: i monaci cistercensi, gli ordini religiosi o nuovi riformati, i cluniacensi, i canonici agostiniani e più tardi i dominicani e i francescani, contribuirono a diffondere l’architettura gotica o certi tipi di arte. Troveranno un nuovo modo di segnalare e riqualificare in senso moderno i propri edifici attraverso l’adozione di nuove formule architettoniche. Nonostante ciò, anche un ordine fortemente centralizzato come l’ordine cistercense, di origine francese, non riuscì a sfuggire nelle sue costruzioni italiane a una sorta di conservatorismo ambientale che gli fece accettare un romanico borgognone edulcorato. In Italia, gli elementi gotici di diversa provenienza (francese e inglese) vengono utilizzati non sempre in modo coerente con la logica costruttiva dell’edificio gotico del Nord. L’Italia per questo motivo non avrà mai un edificio che si possa veramente definire appartenente al gotico raggiante (es. abbazia di Westminster, cattedrali di Léon o Colonia). Per una parte importante del paese i rapporti con l’impero bizantino erano ancora straordinariamente attuali. Chiesa di San Francesco d’Assisi (pag. 18) La chiesa superiore presenta soluzioni marcatamente nordiche (ex. La pianta----->Cattedrale di Angers, Notre Dame di Digione, Cattedrale di Auxerre). Chiesa di Assisi= chiesa-santuario e chiesa-conventuale, cripta funeraria e cappella papale. Nella chiesa di Assisi si integrano molte esperienze gotiche-italiane portate avanti in tecniche diverse: vetrate, pittura, architettura. La prima decorazione di Assisi (nella chiesa sup.) furono le vetrate:  quelle dell’abside realizzate da maestri tedeschi;  quelle del transetto e della navata da maestri francesi e italiani; Per la decorazione pittorica del transetto settentrionale, gli artisti furono certamente nordici (forse inglesi). A dirigere l’intera impresa, Cimabue con il Maestro della Cattura, forse Duccio di Boninsegna, maestranze romane come Torriti e il Maestro di Isacco (forse giovane Giotto). Giotto concluderà poi l’impresa dirigendo il ciclo delle Storie di San Francesco nell’ultimo decennio del 200. Proprio attraverso Assisi si può capire come Roma e la Curia siano stati un’importante via di penetrazione e di affermazione del gotico in Italia. Un altro centro propulsore nell’elaborazione e diffusione del nuovo linguaggio fu la corte degli ultimi Svevi di Federico II, attiva prevalentemente nell’Italia meridionale (che infatti aveva carattere feudale). L’imperatore ebbe un ruolo importante nell’introduzione di maestranze e modelli del Nord e attraverso una politica artistica perseguì una strategia di dominazione; attraverso le opere che commissionava voleva trasmettere una certa immagine di sé, del suo potere e del suo progetto di governo (come Ottaviano Augusto). L’imperatore fu uno straordinario costruttore di chiese tanto che la sua azione suscitò preoccupazioni dal papato (al concilio di Lione fu accusata chiaramente la sua smodata attività di costruzione di chiese, monasteri, edifici sacri); fu fondatore di città e progettò castelli appoggiandosi frequentemente all’ordine cistercense. Nei programmi iconografici delle cappelle palatine siciliane, era sottolineata la potenza e l’autorità del monarca, coronato da Dio come un imperatore, accompagnato da Cristo, S. Pietro e S. Paolo. ARTI FIGURATIVE = STRUMENTI DEL POTERE Genova: rapporto preferenziale con Bisanzio ma che non escluse una ricezione del gotico assai precoce. Pag.58: Fu Roma a esercitare una continua influenza, un permanente controllo su programmi giornata. In questo modo l'intonaco era sempre umido e fresco, così che il colore liquido lo penetrava in profondità e ritocchi a secco diventavano secondari. La concezione stessa dell'affresco, a parte le novità strettamente tecniche, è mutata. Se per Cimabue e per i pittori medievali, la parete da affrescare era una superficie e la figurazione che la riempiva era calata in uno spazio a due dimensioni, considerando così la decorazione come quella di un arazzo o di una miniatura, gli affreschi giotteschi della basilica superiore sono concepiti come se fossero incorniciati dalla architettura stessa della chiesa e le cose vi sono rappresentate nella tridimensionalità come ci appaiono realmente. Così, le pareti con le storie di San Francesco, aggettanti realmente su quelle più alte, sono completamente rielaborate da un'articolazione architettonica del tutto fittizia. La finzione comincia già con la tenda dipinta in basso che corre lungo tutta la parete ma raggiunge il massimo con l'incorniciatura architettonica delle storie, basata su una divisione a tre per ogni campata; su una base che finge di accettare da un sistema di minuscole mensole si innalzano solide colonne tortili che sostengono un architrave dalla soffittatura a cassettoni su cui si imposta un altro aggetto sostenuto da robuste mensole in scorcio. Giotto esprime una forte volontà di illusionismo architettonico. Le storie di San Francesco stanno come al di là di questa finta impalcatura architettonica pensata come se facesse ancora parte della parete reale della chiesa sulla quale si aprono dei vani che permettono di vedere le scene dipinte. ----> Leon Battista Alberti e il concetto della finestra aperta sul mondo.  Le scene sono impostate secondo criteri che trovano la loro prima formulazione nelle due storie di Isacco delle pareti alte intorno alle finestre. Qui il vano architettonico crea uno spazio chiaramente delimitato e ricco di punti di riferimento per visualizzare ciò che sta davanti e ciò che sta dietro. Lo spazio che viene a crearsi è breve e poco profondo, ma proprio per questa sua finitezza si ha l'impressione di poterlo misurare, grazie anche al fatto che le figure vi si collocano con una consistenza gestuale stabilita da una serie di allusioni alla realtà corporea tenendo in considerazione una coerente e razionale concezione dello spazio che si attua come una scoperta di incalcolabile portata per le sorti della pittura occidentale. La visione dello spazio nella sua formulazione assisiate trova un immediato e vasto consenso, prima in Italia e poi, soprattutto dalla seconda metà del Trecento, anche fuori dall'Italia fino a nutrire abbondantemente la concezione spaziale della nuova pittura fiamminga di Jan Van Eyck. La concezione dello spazio che viene formulata per la prima volta ad Assisi, era già presente presso gli antichi (tardo-antico romano, dal III sec.al V sec. fine impero romano: da IV sec. con Costantino il Cristianesimo diventa religione di stato e lo spazio non viene + rappresentato), e fu perduta nel Medioevo a causa dello spiritualismo cristiano poiché quello che conta x la teocrazia cristiana è Lassù, non quaggiù → Concezione verticale spiritualistica. Le proporzioni si perdono, le figure diventano più tozze e piccole, sproporzionate; non interessa più la rappresentazione del mondo. Non si tratta quindi solo di un nuovo modo di fare pittura. L'idea di ricostruire illusionisticamente su una superficie a due dimensioni uno spazio tridimensionale significa rendere alla realtà che si controlla con i propri sensi un valore che aveva perduto, in favore di una realtà ultraterrena e oltremondana che il medioevo considerava come quella vera e come la sola che avesse valore (es. il cielo oro). Il ribaltamento di questa concezione è in Giotto parallelo a certe correnti di pensiero, presenti soprattutto nell'ambiente francescano che sfoceranno nel nominalismo di Ockham. Le scatole architettoniche messe in opera da Giotto non sono soltanto un mezzo per creare un vano spazioso, ma sono anche una traduzione dell'architettura italiana a lui contemporanea, a volte dei veri e propri ritratti di edifici esistenti come il palazzo pubblico e il tempio di Minerva sulla piazza di Assisi nell'affresco Omaggio dell’uomo semplice al giovane San Francesco. La cultura pittorica bizantina era ripetitiva per principio: la copia di testi preesistenti, la fedeltà a formule date e considerate valide in assoluto ne costituivano l'atteggiamento di fondo. Per l'ambientazione architettonica di una storia sacra, si ricorreva a tipologie stereotipiche come il Parete dx: storie di Cristo (Nuovo testamento) Parete sx: storie di San Francesco (S. Francesco =nuovo Cristo Nella Basilica di S. Francesco invece: In genere nelle chiese: Parete dx: Vecchio Testamento Parete sx: Vita di Cristo frequentissimo baldacchino a forma di cupola di evidente estrazione orientale. Perfino nel raffigurare storie di San Francesco (storie più o meno contemporanee e non orientali), i Berlinghieri o i maestri toscani del 200 avevano fatto ricorso a simili stereotipi figurativi. Con gli affreschi giotteschi di Assisi, questa tradizione è cancellata di colpo e vengono superate anche tutte quelle formule figurative di evidente significato astrattivo, formule ancora ben presenti in Cimabue e Duccio e che scompariranno con Giotto con cui l'umanità riacquisterà un aspetto più terreno e naturalistico. Es. Crocifisso in Santa Maria Novella a Firenze in cui il corpo del Cristo pende pesantemente. Citato dal Ghiberti come opera di Giotto, nel 1312 un crocifisso è stato ricordato come esistente in quella chiesa. Opera che ha affinità con resti del mosaico della Navicella sulla facciata di San Pietro a Roma, l'opera forse più famosa di Giotto. Rispetto alla fitta formicolante tessitura pittorica di Cimabue e di Duccio, Giotto ha una stesura estremamente più semplice, povera e stringata nonostante le fitte trame di pieghe a taglienti sottosquadri caratterizzanti dei suoi affreschi assisiati. Dopo le due storie di Isacco, gli affreschi di Assisi continuano nella campata di fondo vicino la porta d’ingresso. Iniziato con la Volta dei quattro dottori, il lavoro continua in parallelo sulle due pareti, nelle grandi lunette con le storie del Vecchio (2 storie di Giuseppe e l’uccisione di Abele) e Nuovo Testamento (frammentari: Cristo tra i Dottori, il Battesimo, Compianto sul Cristo morto e Resurrezione poi concluse con Ascensione e Pentecoste su parete di fondo), disposte su due fasce. --> I quattro personaggi sono accompagnati dai loro accoliti segretari e da un busto di Cristo entro una nuvola in alto. Sull'esempio delle vele nella volta sopra l'altare, dove Cimabue aveva dipinto i quattro evangelisti, gli oggetti sono fatti convergere verso il vertice della superficie triangolare quasi nel tentativo di realizzare una specie di veduta da sotto in su, per cui il convergere sia simile allo scorciare verso l’alto. L'interesse di queste figurazioni sta nel fatto che si rendono per la prima volta in pittura gli effetti policromi dei candidi marmi, incrostati da decorazioni cosmatesche e rifilati da cornici di colori diversi; gli stessi marmi che ricoprivano le più importanti basiliche sorte nell'Italia centrale e meridionale. Ciò fa capire la grande attenzione al reale e la capacità di renderlo in pittura. Grande minuzia nei particolari. Par. 2 : Le storie di San Francesco L’esecuzione delle storie di S. Francesco ha avuto inizio a partire dal Dono del mantello al povero gentiluomo, seconda delle 28 storie; la prima, l’Omaggio dell’uomo semplice, fu dipinta per ultima. In tutte le storie, c’è un’unitarietà di coerenza di visione e concezione, nonostante le 28 storie siano state realizzate con aiuti (Memmo di Filippuccio, Maestro di Santa Cecilia, Marino da Perugia) e una sola opera è rapportabile a questi affreschi riuscendo a reggere il confronto: le Stigmate di San Francesco del Louvre, firmata ‘Opus Jocti Fiorentini’. -Finta incorniciatura architettonica delle storie che divide ogni campata in tre riquadri quadrati (salvo l’ingresso che ne ha 4 e la controfacciata con 2). Le 28 storie seguono la biografia del santo, la Legenda Maior di Bonaventura. Dono del Mantello al vecchio gentiluomo: ambientata in paesaggio aperto con costoni di roccia e caseggiati; rappresentata Assisi con la chiesa di San Damiano. Esempio di veduta (già visto nell’Uccisione di Abele di M. Isacco) !! Altri es: Miracolo dell’assetato e Stimmate. Sogno delle armi molto simile a Sogno di Innocenzo III, il primo con un palazzo gotico, il secondo con la basilica di S. Giovanni in Laterano. Storie assai semplici e con pochi attori. Es. evidente nel Preghiera in san Damiano: la chiesa è in tralice, ne è evidenziato illusionisticamente non tanto lo stato di rovina quanto quello di frammentarietà e la figura di San Francesco solo simbolicamente sta dentro la chiesa in quanto il suo rapporto proporzionale con essa è del tutto fuori scala. Questo è un modo di procedere che rimarrà tipico del Trecento e che si accentuerà agli inizi del Quattrocento con intenti volutamente irrazionalistici in certi esiti del gotico estremo (es. Jan Van Eyck, Madonna in chiesa). Scena successiva: Rinuncia agli averi in cui viene riscoperto il ‘gesto parlante’, l’espressione dei sentimenti attraverso la mimica. Qua, l’ira del padre si esprime nel volto contratto, nel tirarsi su la veste x lanciarsi contro il figlio e nel braccio trattenuto dall’amico, nel pugno teso. Affresco il Sogno di Innocenzo III: questa scena offre l'occasione per accennare uno degli aspetti più importanti del rinnovamento giottesco. Episodio appartiene alla serie della Legenda maior. Durante un sogno papa Innocenzo III vede l'umile Francesco che regge la Basilica del Laterano. La basilica sta crollando, ma l'intervento del Santo di Assisi scongiura il disastro. E’ riproposto il letto a baldacchino con il papa e due guardie (già presente nel Sogno delle armi e nella scena di Isacco che respinge Esaù del Maestro di Isacco). Una scena francescana in cui il gesto, l'atteggiamento, l'espressione del volto sono più parlanti e indicano dei modelli di mimica per la pittura trecentesca è la Predica davanti a papa Onorio (il gesto del San Francesco col vivace modo di indicare col pollice teso è riutilizzato in testi pittorici celeberrimi come la Madonna tra San Francesco e San Giovanni evangelista di Pietro Lorenzetti nella basilica inferiore). I gesti di meditazione di meraviglia dei prelati diventeranno comunissimi nel Trecento ma è qui che sono stati inventati. Nelle scene di dolore (La Morte del cavaliere di Celano, La morte di San Francesco o il Compianto delle clarisse), il tono è più vivace e meno altamente oratorio. In tutte le figurazioni delle pareti alte, il tono è molto più aulico e solenne come lo sarà nelle storie Altra prova è il ciclo di affreschi di S. Francesco nella Cappella Bardi Santa Croce a Firenze che è identico alla Rinuncia degli averi di Assisi. Capitolo II: LA CAPPELLA DEGLI SCROVEGNI La decorazione della cappella degli Scrovegni o dell'Arena di Padova è indicata da tempo come l'opera più significativa e paradigmatica di Giotto, probabilmente nella sua prima maturità. Commissionato da Enrico Scrovegni (presente anche suo ritratto nel Giudizio finale) che acquista la zona dell’Arena nel 1300, la cappella fu consacrata tra 1303/1305. Il ciclo affrescato da Giotto si dispiega sull’intera superficie interna della Cappella e si svolge su tre registri dall’alto in basso (parte da parete dx vicino zona absidale proseguendo su parete sx, dalla controfacciata all’abside) narrando la Storia della Salvezza in due percorsi differenti: il primo con le Storie della Vita della Vergine e di Cristo dipinte lungo le navate e sull'arco trionfale; il secondo inizia con i Vizi e le Virtù, affrontate nella porzione inferiore delle pareti maggiori, e si conclude con il maestoso Giudizio Universale in controfacciata. Tra un riquadro e l'altro ci sono delle fasce ornamentali con decorazioni geometriche, busti di santi e piccoli episodi. Figurazione più prosaica, richiamo a sfera quotidiana e meno sublime Lo zoccolo delle due pareti contiene, infine, le raffigurazioni contrapposte dei Vizi e delle Virtù, alternate a finti riquadri marmorei. Decorazione composta da Storie di Gioacchino e Anna (6), l’infanzia di Cristo (16-39) e la Passione, 37 episodi escluso Giudizio Universale. Nel registro inferiore vicino all’abside si trovano la Visitazione e il Tradimento di Giuda. Nella parte bassa della parete ci sono due spazi architettonici illusivi, in prospettiva e privi di figurazioni, i famosi ‘coretti’ e simulano con ottima approssimazione la veduta di due ambienti illusori, tra i più vicini alla realtà nella fase pre-brunelleschiana. La prima grande rivoluzione compiuta da Giotto a Padova è nella rappresentazione dello spazio: si possono ammirare esempi di "prospettiva" e di resa della terza dimensione che anticipano di cent'anni le teorie rinascimentali. La seconda è l'attenzione rivolta alla rappresentazione dell'uomo, nella sua fisicità ed emotività –caratterizzazione emotiva dei personaggi-: ciò viene ben espresso nelle Storie della Vita della Vergine (7-15) e di Cristo, di cui restano significativi e celebri esempi la tenerezza del bacio di Gioacchino ed Anna ne L'incontro alla Porta Aurea e la disperazione delle madri in lacrime ne La strage degli innocenti. Anche qui Giotto usa il sistema delle cornici per separare le storie tra loro fingendo che sia l'articolazione architettonica delle pareti stesse della chiesa, ma è meno vistoso che ad Assisi. Serie di figurazioni su quattro livelli sovrapposti mentre le storie francescane si disponevano in orizzontale su un solo livello. L'idea è di racchiudere gli affreschi per mezzo di fasce marmorei e larghe ma con cornici poco rilevate, riccamente decorate alla cosmatesca in cui si aprono delle formelle lobate oltre le quali compaiono figurazioni minori. Un'idea nuovissima e di ampia portata è quella di aver finto un basamento ad ampie specchiature di marmi misti concluso da una cornice in aggetto leggero. Tra le specchiature di marmo sono inserite le Allegorie dei Vizi e delle Virtù dipinte a monocromo come fossero bassorilievi marmorei (soluzione che verrà usata ampiamente nel campanile di Giotto); la fascia inferiore lungo la navata (zoccolo), in bianco e nero e suddivisa in riquadri, ha un percorso narrativo che porta il fedele, sia fisicamente che spiritualmente, davanti al Giudizio Universale: seguendo le Virtù si giunge al Paradiso, mentre seguendo i Vizi all'Inferno. Tali figure sono prosopopee del vizio o della virtù che rappresentano. Prosopopea=figura retorica che si ha quando si fanno parlare o agire oggetti inanimati o animali, come se fossero persone. -Percorso con 14 figure monocromatiche, Vizi sulla sinistra e le Virtù sulla destra. I finti rilievi a monocromo, daranno vita a un genere di decorazione ad affresco che avrà grande fortuna nel Quattrocento e nel Cinquecento. L'illusionismo spaziale è più spinto che ad Assisi grazie anche all'invenzione di pura architettura dei due corretti dipinti a trompe l'oeil sulla parete di fondo verso l'altare, ai lati dell'arco trionfale. In queste due zone non compaiono delle storie, ma due sfondati architettonici ognuno dei quali finge di lasciar vedere attraverso un'apertura un ambiente che sarebbe al di là della parete (come se fosse piccola sagrestia o coretto).  Anticipo soluzioni prospettiche 400: i due coretti, simmetrici, hanno un punto di fuga che appare lo stesso. In confronto ad Assisi, la stesura pittorica è più densa e morbida; il modellato più fuso conferisce alle figure e alle cose anche un risalto più pieno, ma meno tagliente. Ogni asperità è smussata. I gesti mantengono un equilibrio inimitabile tra la gravitas di certe statue antiche e il garbo del gotico francese. Il tono della narrazione è solenne e alto ma disteso e sereno. Le figure più importanti e di maggiore dignità hanno sempre un atteggiamento maestoso ma non mancano mai di affidabilità e gentilezza e di una carica umana fortemente rasserenante. Nonostante ciò, non vi compaiono solo personaggi colti e importanti, bensì personaggi di contorno la cui minore dignità è sottolineata da espressività, caratterizzazioni fisionomiche e da vivacità di atteggiamenti (es. pastori che accolgono Gioacchino, servi pronti a distribuire il vino nelle Nozze di Cana; le compagne sorridenti di Sant’Anna nell ‘incontro alla Porta Aurea). Analisi Affreschi: inizio: 6 storie di Gioacchino e Anna fascia + alta parete destra. Gioacchino fu cacciato dal tempio perché non poteva aver figli e si rifugiò sui monti tra i pastori; Anna ricevette però l’annuncio dall’angelo che avrebbe avuto un figlio. Gioacchino fa sacrificio propiziatorio a Dio sul monte. Gioacchino sogna Anna che gli annuncia la nascita di Maria---->va a Gerusalemme, incontro con Anna alla Porta Aurea che concepì Maria nell’atto di baciare Gioacchino. Storia a lieto fine, tono quasi bucolico e paesaggio diafano. Affresco Annuncio dell’Angelo a Sant’Anna: struttura architettonica della casa di s. Anna definita con stesso senso oggettuale di Assisi. Trattandosi però dell’unico oggetto architettonico della storia, acquista un’evidenza superiore. ARCHITETTURA-VOCABOLO: il suo vano spaziale va decisamente stretto alle figure (lo stesso spazio ricompare nell’affresco Natività di Maria); nonostante ciò, questo stesso finisce per sottolineare la concretezza e lo spessore reale. Nel sottoscala, la comare fila la lana, unica testimone della scena. Storie di Maria: 6 scene successive (sulla parete di fronte) sono raffigurate Natività di Maria, la sua Presentazione al Tempio e 4 scene relative al matrimonio (Pretendenti consegnano le verghe, Preghiera dei pretendenti per la fioritura delle verghe, il matrimonio di Maria con Giuseppe e il Corteo nuziale). Ancora presente l’elemento architettonico unico. Il tempio è lo stesso della Cacciata di Gioacchino ma visto dalla parte opposta. Lo spazio della lunetta intorno al grande arco trionfale è riservato all’Annunciazione. Nella parte alta, l’Eterno in trono è dipinto su tavola (che serve anche da porta ed è rovinatissima). I gradini del trono, ad affresco, grazie alla decorazione cosmatesca ricordano gli affreschi di Assisi e soprattutto i Dottori della Chiesa. Le schiere angeliche formano due doppi semicori; gli angeli compostissimi sono liberi di muoversi, di parlare tra loro, di prendersi per mano e cantare anticipando di più di un secolo le idee del Beato Angelico per il suo paradiso. I piccoli angeli invece suonano strumenti a fiato (ricordando affreschi di + di un secolo dopo di Nanni di Banco negli angeli della Madonna Assunta della porta della mandorla del Duomo di Firenze). L’Annunciazione vera e propria si svolge al di sotto, con le due figure protagoniste poste l’una dalla parte opposta dell’altra (come stessero una di fronte all’altra), ai due lati dell’arco trionfale e sono sistemate in due edicole. Le edicole sono i pezzi di architettura dipinta che più ricordano quelli di Assisi. Un’altra singolare invenzione di Giotto per quanto riguarda le sue ricerche ‘spaziose’: la raffigurazione del profilo gli pone il problema dell’aureola. Se l’aureola è un piatto attaccato alla testa, quando una figura si pone di profilo essa non si vede più come un cerchio pieno ma di scorcio. Pensa così di alludere a questo fatto, ovalizzando le aureole delle figure sacre in profilo. Soluzione che in epoca tarda abbandonerà ma è importante per le ricerche di tridimensionalità su una superficie bidimensionale. La storia continua con la Visitazione (fascia inferiore sotto la Vergine annunziata, lato destro arco trionfale): spazio fortemente ridotto che fa sì che le figure vi campeggino maggiormente poiché le loro proporzioni dovevano essere mantenute uguali a quelle delle altre storie. 5 storie successive su parete finestre: Natività, Adorazione dei Magi, Presentazione al Tempio, Fuga in Egitto, Strage degli innocenti. Le prime due scene si svolgono nella stessa capanna di legno, vista da due punti diversi. Ne la Presentazione vi è una veduta del tempio (limitata al solo ciborio) che è lo stesso messo in opera nella Cacciata di Gioacchino e nella Presentazione della Vergine. La Fuga in Egitto (una delle più celebri della cappella), è ambientata in un paesaggio roccioso come già fu nelle Stimmate dell’inferno è diminuita, non solo per le ridotte dimensioni ma anche per tutte le angherie infinite cui è sottoposta dalle schiere dei diavoli. Le gracili figure dell’Inferno di Padova sono tutte imputabili alla mano di abili collaboratori di Giotto; in qualche caso si può imputare ad un suo intervento diretto come nell’episodio che si svolge sul crinale roccioso dell’Inferno, in basso sotto la croce dove due dannati riconducono tra i dannati un uomo, spingendolo. In basso, quasi al centro del Giudizio finale, è inserita la scena dedicatoria, con Enrico Scrovegni che si inginocchia davanti alla Vergine e a due sante, offrendo la cappella sotto forma di modelletto tenuto da un chierico. Il personaggio dello Scrovegni, è ritratto dal profilo sottile e asciutto; è il primo ritratto della pittura occidentale e la sua importanza è aumentata dall’essere raffigurato con le stesse proporzioni delle figure sacre a cui si rivolge. Qualche decennio dopo -1336- nascerà ad Avignone il ritratto autonomo per opera di Simone Martini (profilo di Giovanni il Buono, re di Francia). Il modelletto della cappella dell’Arena presentata da Scrovegni alla Vergine si differenzia dalla realizzazione (prob. Il Giudizio finale fu eseguito agli inizi quando non c’era ancora la struttura definitiva). Opere legate stilisticamente alle decorazioni padovane: 2 tavole per la chiesa fiorentina di Ognissanti, la Maestà degli Uffizi e la Morte della Vergine (a Berlino). Se la decorazione della cappella dell’Arena è l’esemplare paradigmatico dell’opera di Giotto, la Madonna di Ognissanti lo è per i dipinti. Il soggetto di quest’ultima è ancora quello della Madonna Rucellai di Duccio e la Madonna di Santa Trinita di Cimabue però l’immagine della matrona è molto più materna, dalla faccia serena e aperta fino ad accennare un sorriso. Il formato insolito della tavola berlinese della Morte della Vergine fa pensare a un rapporto diretto con la Madonna degli Uffizi. Se la forma cuspidata della Morte della Vergine non fosse originale, si potrebbe persino pensare che ne costituisca la predella. Il sarcofago, dalla struttura semplice è ravvivata dalla decorazione cosmatesca. Scena in cui la Vergine morta viene calata nel sepolcro, con gli angeli che tengono i lembi del sudario e un apostolo che ne sostiene il corpo. Cristo, poi, accoglie l’anima di Maria. Composizione dal tono grave e solenne ma allo stesso tempo garbato degli affreschi padovani. Cap. III: la BASILICA INFERIORE di ASSISI Dopo l’esecuzione degli affreschi della basilica superiore, la decorazione pittorica del S. Francesco di Assisi proseguì nella bas. Inferiore con l’affrescatura delle varie cappelle. Vari collaboratori di Giotto tra cui Maestro delle Vele, Maestro della Santa Chiara, Maestro della Cappella di s. Nicola e artista chiamato Parente di Giotto. Entro il 1310, dovettero esser affrescate la cappella della Maddalena (dipinta entro 1307-1308) e quella di S. Nicola (1306), più tardi gli affreschi con storie dell’infanzia di Cristo e due miracoli post mortem di Francesco nel transetto destro. Accanto al Maestro della cappella di s. Nicola, il Maestro espressionista di Santa Chiara, di formazione umbra, presente anche nella cappella della Maddalena. La terza cappella –laterale dx-, la Cappella della Maddalena, è costituita da 7 storie della santa, di Lazzaro e di Marta che iniziano nella zona mediana parete sx (Cena in casa del fariseo e Resurrezione di Lazzaro) - parete dx (Noli me tangere e Approdo in cielo dopo la comunione e la Maddalena riceve la veste da eremita Zosimo). Riconosciuta la mano di Giotto negli affreschi La resurrezione di Lazzaro, l’Approdo a Marsiglia e Maddalena con Zosimo. Nel sott’arco d’ingresso, 12 santi disposti a coppie su tre livelli (parte a sx dall’alto). Gli interventi degli allievi sembrano riportare indietro lo sviluppo giottesco a una fase prepadovana, quasi da Maestro della Santa Cecilia; mentre nelle parti più autografe, il maestro arriva a una morbidezza pittorica e dolcezza cromatica molto più avanzate rispetto a Padova. Le figure sono ingigantite e come cresciute in altezza. La pittura è più calda e cremosa. Con un’invenzione stupenda, la lunetta sopra la porta d’ingresso, in cui c’è la Maddalena che riceve la veste da Zosimo, è tutta invasa da un’immensa roccia bianca e soffice come una nuvola. Il profilo barbuto dell’eremita è talmente indagato da far pensare agli effetti naturalistici raggiunti mezzo secolo dopo da Giusto dei Menabuoi. Gli angeli che sollevano da terra Maddalena (Maddalena a colloquio con gli angeli)- lunetta parete dx- hanno volti straordinari con espressioni ben più morbide di Padova. Gli affreschi della cappella della Maddalena sono le premesse per il seguito della decorazione giottesca nella basilica inferiore, dal transetto dx alle vele. Tutta questa parte, eseguita prima del transetto sx in cui Lorenzetti dipinse storie della Passione, sicuramente precedenti al 1320, di cui i lavori giotteschi risultano esser molto più antichi (subito dopo Cappella della Maddalena, a G.fu commissionato transetto dx e vele). In questi ultimi, lavoreranno il Maestro delle vele e il Parente di Giotto. Transetto dx: Miracoli di S. Francesco, riquadro con S. Francesco che presenta uno scheletro (memento mori), tondo con l’Eterno benedicente, la Crocifissione, 8 storie dell’Infanzia di Cristo: la Visitazione, la Natività, l’Adorazione dei magi, la Presentazione al tempio, la Strage degli Innocenti, la fuga in Egitto, Cristo fra i dottori e Ritorno a Nazareth. In generale, il ciclo è di una preziosità cromatica eccezionale e una sapienza nel costruire i vani spaziali che fa di affreschi come la Presentazione al tempio o il Cristo fra i dottori, i risultati più prospettici più avanzati di tutto il 300, ma bisogna ammettere che la qualità e meno alta di quelli a cui partecipa la mano diretta di Giotto. In alcune parti, tendenza a snellire le figure, ad ingentilirne goticamente i tratti; in altre parti, caratterizzazione patetica, con grandi occhi sgranati, che trova il suo precedente nel Lazzaro della cappella della Maddalena e continua nelle vele. Presenza diretta di Giotto nella Crocifissione, il Cristo reca dappertutto i segni della flagellazione e delle percosse. Gli occhi spenti ma non del tutto chiusi. Sulla sinistra, si passa dal pianto contenuto di S. Giovanni al grido aperto dell’affocata Maria, al ghigno poi della pia donna all’estremità. Escluse le figure in piedi sulla destra, del Maestro delle Vele, il resto spetta a Giotto. L’equipe giottesca continuò i lavori di decorazione della basilica inf. affrescando le quattro vele della volta sopra l’altar maggiore, contigue al transetto dx, dove la figurazione più in vista è il San Francesco dalle vesti d’oro, punto in cui la basilica inferiore raggiunge il massimo di sontuosità, a testimonianza del fatto che ormai la povertà nell’ordine francescano era solo una scelta revisionata nei confronti del pauperismo del santo. Nelle Vele, 4 complicate e singolari figurazioni allegoriche di soggetto francescano: oltre al ricordato S. Francesco in gloria, l’Allegoria dell’obbedienza, l’Allegoria della Castità e l’Allegoria della Povertà (prevalenza del Maestro delle vele). Cap. IV CAPPELLA PERUZZI La cappella Peruzzi è la seconda cappella a destra del coro nella basilica di Santa Croce a Firenze. Contiene un ciclo di pitture a secco su parete di Giotto, databile al 1318-1322 circa. in S. Croce- Firenze Nella stessa chiesa, circa dieci anni dopo Giotto affrescò anche la cappella Bardi. Datazione: certi aspetti della moda indicano una cronologia più tarda della Cappella degli Scrovegni e degli affreschi di Assisi, ma non di molto, sicché le date verso il 1312 o tra il 1310 e il 1316 sembrerebbero attagliarsi bene alla decorazione della Cappella Peruzzi. -Unico esempio noto di pittura murale eseguita dall’artista quasi integralmente a secco, una delle prime cause del suo degrado. Dalla stessa cappella proviene il Polittico Peruzzi che fu smembrato e disperso in diverse collezioni fino al ricongiungimento; rappresenta Il Redentore, la Madonna, i due Giovanni e san Francesco. Il ciclo è costituito dalle storie parallele di San Giovanni Battista (parete sx) e di San Giovanni evangelista (parete sx): Annuncio a Zaccaria, Natività del Battista, Banchetto di Erode, San Giovanni Evangelista nell'isola di Patmos, San Giovanni Evangelista che resuscita Drusiana, Assunzione di San Giovanni Evangelista. L'impaginazione delle storie e l'impianto –eccezionale- monumentale sembrerebbero portare avanti le ricerche condotte nella cappella della Maddalena (San Giovanni Evangelista che resuscita Drusiana richiama Cristo della resurrezione di Lazzaro ad Assisi). Cappella assai alta e abbastanza profonda ma poco estesa in larghezza: impaginazione da un punto di vista obliquo invece il frontale. Conseguentemente, gli edifici sono sempre collocati obliquamente. Il rapporto tra figure e architettura è molto più razionale. In totale le cappelle affrescate da Giotto erano quattro, ma solo queste due ci sono pervenute: le cappelle Giugni e Tosinghi infatti non hanno più alcuna traccia delle pitture menzionate dalle fonti antiche. Secondo Ghiberti, Giotto avrebbe dipinto complessivamente, tra la decorazione della Cappella Peruzzi e quella della Cappella Bardi, quattro cappelle e 4 tavole da altare. Tra queste due cade probabilmente l'esecuzione di alcuni dipinti, un gruppo dei quali poteva far parte proprio di una delle tavole di Santa croce. Son sette pannelli quadrati raffiguranti l'Adorazione dei magi (New York, the Metropolitan Museum of Art), la presentazione al tempio (Boston), l'Ultima cena, la crocifissione (alta pinacoteca di Monaco), la deposizione, la discesa al limbo e la Pentecoste (entrambe a Londra, National gallery). Di un epoca assai posteriore dovrebbero essere la croce del Louvre e quella della chiesa di Ognissanti a Firenze, dove l'accentuazione patetica ne denuncia i rapporti con la corrente della bottega giottesca nel transetto destro e nelle vele della Basilica inferiore di Assisi. In questa direzione, il polittico Stefaneschi, eseguito per l'altare maggiore della Basilica di San Pietro a Roma, dipinto sia davanti che dietro. Sul retro, quattro solenni figure di apostoli in piedi laterali al pannello di centro in cui San Pietro siede in trono con ai due lati due angeli e due santi. Inginocchiati davanti Celestino v e il cardinal Stefaneschi nell'atto di offrire il polittico stesso, inserto così realistico da far pensare alla pittura fiamminga e a Jan Van Eyck. Polittico di un livello qualitativo sorprendente sia nell'ideazione che nell'esecuzione. Es. episodio immagine Decapitazione di San Paolo. Perfetto calcolo in cui spazi e volumi si compenetrano, preziosità cromatica, sottile eleganza gotica di alcune figure e arcana, incantata espressività di altre che ricollegano quest'opera agli affreschi della Basilica inferiore di Assisi, dei quali ripete anche qualche idea, come la figura femminile sulla sinistra della crocifissione di San Pietro. Tavola Cappella Bardi La tavola, per la quantità e la ricchezza degli episodi illustrati, per la singolarità della loro scelta, ci mostra la vita di Francesco nella sua essenzialità. San Bonaventura, che divenne Ministro Generale dell’Ordine Francescano nel 1257, decise che fossero eliminate tutte le biografie in circolazione, ufficiali e non, che riguardavano il santo fondatore e che unica biografia destinata a tramandarne la memoria fosse, da allora in poi, soltanto la propria. Decisione analoga fu presa per le immagini. La scomparsa dei testi fu pressoché totale, ma sorte migliore toccò al repertorio figurativo, alle tavole istoriate che ebbero la maggiore diffusione nelle chiese francescane della Toscana: chiesa di san Francesco a Pescia, chiesa di san Francesco a Pistoia, chiesa di san Francesco a Pisa, chiesa di san Francesco a Colle Val d’Elsa, Basilica di santa Croce Firenze. Le immagini e la tavola di santa Croce, costituiscono un ritratto del santo in contrasto con quello più noto (di san Bonaventura e di Giotto, attento traduttore della versione ufficiale). In essa vengono illustrate le parti più inquietanti del programma di vita di Francesco, ad esempio: la conversione pacifica degli infedeli, il disprezzo del denaro, lo schierarsi con i poveri, l’aiuto ai lebbrosi, mentre poco spazio è dato ai miracoli, perché è Francesco come dodello di vita che si vuole tramandare. Ai lati e in basso sono disposti 20 episodi che illustrano la vita e i miracoli del santo. Le varie scene sono delimitate da un bordo riccamente decorato; nelle intersezioni di queste cornici prendono posto, entro dei tondi, dei frati a mezzo busto, anch’essi acclamanti al loro fondatore. Cricco di Teodoro Concordato di Worms (1122): patto stipulato fra il sovrano del sacro romano Impero Enrico V di Franconia e papa Callisto II. Sancì la fine della lotta per le investiture e alla lotta tra papato e impero e mise distinzione tra investiture ecclesiastiche e investiture feudali. 2 famiglie tedesche (di Svevia e di Sassonia-Baviera) lottarono per contendersi diritto di rivendicare la corona imperiale. I sostenitori di Svevia vennero detti ghibellini (dal castello di Weibling), quelli di Sassonia, guelfi (da Welf, capostipite del casato di Baviera). La vittoria fu alla fine degli Svevi e divenne imperatore nel 1152, Federico I Barbarossa, i cui successori furono Enrico VI e Federico II (1220-1250). Federico II si impegnò nel progetto di uno Stato unitario svincolato quanto più possibile dalla Chiesa. Dopo la morte di Federico II nel 1250, le lotte tra guelfi (appoggiavano papato) e ghibellini (parteggiavano per l’impero) non si attenuarono. Clemente IV sconfigge Manfredi (figlio e successore di Federico) nel 1266 a Benevento e offre la corona a Carlo d’Angiò, fratello del re francese. La Casa si Svevia viene soppiantata da quella degli angioini. L’arte Gotica Ha origine nell’Ile de France. Il termine gotico venne adoperato per la prima volta da Vasari nel suo libro ‘ Vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architettori ’ (1568). I Goti erano una popolazione della Germania dell’est, divisi in tribù e originaria dell’isola di Gotland in Scandinavia che invase l’impero romano d’occidente nel medioevo. L’arte gotica nell’interpretazione dispregiativa di Vasari, era l’arte barbarica che aveva cancellato e fatto dimenticare la buona arte classica degli Antichi fino a che questa, rinata nel XV sec. non ha ripreso a vivere. L’architettura gotica Caratteristiche: estremamente agile, traforata, aerea e leggera + accentuato verticalismo -Chiese gotiche solitamente a 3 navate, spesso precedute da portico con profondo e corto transetto; nella parte terminale, lungo coro circondato da uno o più deambulatori con accesso a cappelle in senso radiale intorno all’abside. Innovazioni tecniche:  arco a sesto acuto (o a ogiva);  volta a ogiva costolonata che sostituisce volta a crociera;  arco rampante che sostituisce o si aggiunge al contrafforte;  pinnacolo per la statica dell’edificio;  esiguo spessore delle mura che per ampi tratti erano anche sostituite da grandi vetrate colorate. L’arco rampante ha la funzione di assorbire le spinte oblique trasmesse dalle volte delle navate, scaricandole su un contrafforte verticale. Nel 1140, l’abate Suger dell’abbazia reale di Saint-Denis di Parigi, ristruttura la sua chiesa, intervenendo nella facciata, nelle prime campate della navata e nel coro e lo fece seguendo per primo, le nuove tecniche costruttive gotiche. La zona delle cappelle radiali con il doppio deambulatorio è ancora quella voluta da Suger. I caratteri salienti di questo edificio sono le ampie volte ogivali costolonate e le luminose vetrate. A un primo deambulatorio più interno ne segue uno più esterno. L’abate, inoltre, desiderò che le volte fossero sostenute da colonne piuttosto che da pilastri polistili (scelta classicheggiante ispirata dalle colonne delle terme anni dopo metà XII sec.-XIV sec./XV sec. (in alcuni paesi dell’Europa centro-settentrionale) di Diocleziano). Dopo Saint-Denis numerose altre chiese furono costruite secondo le nuove tecniche, dando vita a nuove forme presto adottate anche fuori dalla Francia. Nel 1160 si ricostruisce la Cattedrale di Notre Dame nell’Ile de la Cité. L’edificio si compone di un ampio corpo longitudinale a 5 navate, un transetto appena sporgente e un coro concluso da doppio deambulatorio. Cappelle tutt’intorno all’edificio furono costruite in tempi successivi. La navata centrale non ha il triforio e si organizza in 3 soli piani comprendenti le arcate, il matroneo e il claristorio. La facciata è tripartita orizzontalmente. La fascia mediana accoglie un rosone centrale affiancato da due bifore, la porzione inferiore, occupata da tre portali archiacuti e strombati, è occupata dalla galleria dei Re di Giudea e di Israele. Intorno al penultimo trentennio del XII sec. per evitare problemi statici, il coro fu dotato di lunghi archi rampanti. La Cattedrale di Notre-Dame di Chartres subì nel 1194 un violento incendio e conservando un’importante reliquia (la Tunica della Vergine), la sua ricostruzione fu imposta in modo pressante. Quello di Chartres viene definito gotico classico poiché vi sono portati alla perfezione tutti i caratteri specifici dell’architettura gotica. L’edificio è a 3 navate (quella centrale è >>> delle laterali) con transetto immisso terminante con due pareti vetrate. Il presbiterio introduce al coro, con doppio ambulacro, che si dilata a sua volta in 5 cappelle radiali. L’interno ha un forte verticalismo. La navata centrale ha le pareti divise orizzontalmente in 3 fasce; quella inferiore comprende le arcate sorrette da pilastri polistili. Quella mediana è occupata dal triforio e quella superiore costituisce il claristorio. L’altezza delle arcate è pari a quella delle finestre –che pertanto poterono esser molto grandi-; contrariamente alla cattedrale di Parigi, a Chartres fu eliminato dalla progettazione il matroneo. I fianchi della cattedrale e l’abside si caratterizzano per la fitta serie di spessi contrafforti a gradoni e di archi rampanti. La Saint-Chapelle di Parigi (1241-1246 e consacrata nel ’48) rappresenta la massima espressione del Gotico rayonnant (radiante). Caratteristiche di questo stile sono il grande rosone (dai cui raggi deriva il termine), la riduzione dell’importanza del transetto e l’aggiunta delle finestre nel livello superiore del lucernario. Aumenta la decorazione interna e si espande anche verso l’esterno. Le finestre si dilatano quanto più possono, fino al limite massimo consentito dalla struttura muraria. Il primo grande esempio di questo stile fu la Cattedrale di Amiens (1220-1270), quello più importante e compiuto fu la ricostruzione di Notre-Dame (iniziata nel 1250). La Saint Chapelle è figlia del tardo rayonnant; dopo la metà del XIV sec., fu sostituito dallo stile flamboyant, più decorativo. La cappella fu pensata come uno scrigno o un prezioso monumentale reliquiario per ospitare la corona di spine e altre reliquie della Passione di Cristo. L’edificio ha una disposizione a due piani a causa delle norme liturgiche connesse alla presenza delle reliquie. In quello inferiore, avevano accesso i servi, in quello superiore solo il re e la corte. La cappella inferiore è alta poco meno di 8 m, ed è composta da una navata centrale e da due navatelle laterali voltate a crociere ogivali su tozze e basse colonnine. Quella superiore, di 21m circa, è a una sola navata con 4 campate, si conclude in un’abside poligonale. Le pareti sono composte quasi solo da vetrate. Tra XII e XIII sec., in ambito europeo, le antiche e consolidate tecniche del mosaico e dell’affresco vanno incontro a un’inevitabile declino, anche a causa delle ormai affermate tendenze gotiche (es. le vetrate che sostituiscono le pareti: gli affreschi/mosaici diventano non più necessari). A tale declino, corrisponde il raffinarsi della pittura su tavola, della miniatura e della pittura su vetro. Metà XII sec., Francia: tecnica grisaille, spalmata su vari pezzi di vetro colorato che una volta essiccatasi, li rendeva completamente opachi. Si potevano realizzare dettagli minuti e effetti chiaroscurali. Es. vetrata dell’Esodo alla Saint-Chapelle, Parigi. Tra la fine del XIII e inizi XIV sec, sarà affiancata dal giallo d’argento. Nonostante le fonti di ispirazione rimangano sempre legate a figurazioni religiose e bibliche, ora non ci si limita più alla rappresentazione degli eventi nel loro significato simbolico, ma si incomincia a rappresentare anche altri elementi prima secondari –paesaggio, natura, animali, vestiario-. Oltre ai temi religiosi, cominciano a esser considerati anche temi di carattere profa- no come semplici scene di vita quotidiana. Es. Battistero di Parma, Benedetto Antelami (?). Cimabue (1240-1302) Cenni di Pepo, nacque a Firenze nel 1240 ma fu attivo anche a Roma (visitata nel 1272, dove incontrò forse Arnolfo). Fu ad Assisi dove affrescò il transetto sinistro della chiesa superiore della Basilica) e a Pisa, ove morì poco dopo il 1302. La sua formazione è ancora fortemente legata alla tradizione bizantina colta. L’arte di Costantinopoli d’altronde, non fu mai abbandonata sia per ragioni storiche (iconoclastia IX sec) sia per questioni di gusto. Oggetti di origine orientale vennero importati con continuità in Occidente e maestri bizantini furono chiamati ad affrescare la cupola del Battistero di Parma. Da tale tradizione prese la tecnica (raffinatezza disegno, ricchezza colore, sapienza composizione, conoscenza approfondita regole iconografiche); nel mentre, sperimentò un nuovo concetto di aderenza alla realtà. Prima opera attribuitagli con certezza: Crocifisso di S. Domenico (1268-1271, Arezzo). E’ una croce dipinta a tempera e oro che si rifà ancora all’iconografia del Christus patiens. Dagli anni Venti del 1200 iniziò a diffondersi sul territorio italico il modello iconografico del Christus patiens in sostituzione del Christus triumphans. Fu l’ordine francescano a promuovere una nuova interpretazione del Cristo crocifisso. Gesù muore sulla croce soffrendo come una persona qualunque. Inoltre, fu introdotta una straordinaria novità: il corpo del Cristo non pende dalla croce (le braccia sono orizzontali, come se non dovessero reggere il peso del corpo crocifisso), ma sembra quasi volersene distaccare nell’ultimo, doloroso sussulto d’agonia. Cimabue, concepì il corpo di Cristo sulla croce, come una persona e non come una Disegno estremamente nitido e incisivo con sapiente effetto chiaroscurale dei colori, modellando con forza la figura conferendole volume e Influenzato dal contemporaneo Coppo di Marcovaldo. La complessa geometria della croce in pioppo, gli occhi a S, il ventre schematicamente tripartito, la preziosità delle dorature del perizoma sono elementi di come la cultura figurativa romanico-bizantina sia ancora ben radicata. progressiva attualizzazione delle narrazioni religiose in cui anche personaggi sacri appaiono vestiti con indumenti medioevali del tempo. Le città e le campagne degli sfondi non sono più fantasia o schemi simbolici ma città e territori realmente esistenti. L’opera trova una certa somiglianza con il Crocifisso di Giunta Pisano (1250-1254) della Basilica di San Domenico di Bologna, probabilmente modello per Cimabue. La croce di S. Domenico di Cimabue però trova maggiore tridimensionalità nel corpo di Cristo rispetto a quello di Giunta Pisano. Pisano fu il primo italiano a dipingere il Christus patiens, Cristo morto sulla croce, tema iconografico contrapposto a quello del Christus triumphans, Gesù crocifisso vivo a figura intera dritta in posa statica, con gli occhi ben aperti e l’espressione impassibile sofferente. Maestà del Louvre (1280) Grande tavola cuspidata con una Madonna col bambino seduta in trono e contornata da angeli (simili a quelli del Giudizio universale di P. Cavallini in S. Cecilia in Trastevere): uno dei temi +ricorrenti della pittura gotica. Realizzata per la chiesa pisana di S. Francesco, è il prototipo di altri dipinti di soggetto analogo, sia per Cimabue stesso, sia per Giotto e Duccio di Buoninsegna. La Madonna ha dimensioni colossali, nonostante sia seduta è alta quasi il doppio degli angeli secondo la prospettiva gerarchica. Il trono in legno, è rappresentato in un innaturale prospettiva latero-frontale, in modo che la parte anteriore appaia vista di fronte; solo quella laterale dà l’effetto di profondità. Il senso del volume è restituito soprattutto tramite il panneggio delle vesti, realizzato accostando tonalità più chiare o più scure di colore e senza l’uso dei filamenti oro. Il trono rappresenta la Chiesa. Madonna di S. Trinita (1285-1286), recentemente è stato proposto di postdatarla all’ultimo decennio del 300. I critici si sono divisi riguardo della datazione dell'opera, incerti se considerarla precedente o di poco successiva all'esecuzione degli affreschi della Basilica superiore di San Francesco d'Assisi, pur nell'incertezza a sua volta della collocazione temporale di quel ciclo. La critica più recente tende comunque a collocare l'opera dopo gli affreschi di Assisi, quindi nel 1290-1300. La tavola mostra lo stile maturo di Cimabue, in cui l'artista mostrò il superamento più spinto della rigidità bizantina verso formule più sciolte e umanizzate, che fecero di Cimabue secondo Vasari il primo a superare la "scabrosa, goffa e ordinaria [...] maniera greca". La visione frontale del trono, il volto della Vergine disteso e sereno, i dettagli del volto smussati e i chiaroscuri sfumati pongono l'opera lontana dai canoni bizantini da cui Cimabue seppe gradualmente affrancarsi. Rispetto alle precedenti Maestà di Cimabue è presente una profondità prospettica maggiore: nel trono sono presenti tre piani verticali a profondità crescenti, contro i due piani delle opere precedenti. Il piedistallo e i gradini del trono hanno anche un design concavo e scavato in profondità nella loro parte frontale. Il trono ha una visione frontale e rivela entrambi i lati interni e non è più in tralice. È cambiata anche la disposizione degli angeli, non più semplicemente uno sopra l'altro, ma adesso intorno al trono, disposizione che fa percepire una profondità maggiore. Le figure sono dilatate rispetto a prima, verso un maggiore realismo. Le pieghe delle vesti non sono più tese e fascianti come nella Maestà del Louvre del 1280 circa, ma si adagiano ampie e cadenti, come quelle tra le gambe di Maria, oppure appaiono meno arcuate, come nel manto blu che copre la sua testa. Mediante l’uso della prospettiva e del chiaroscuro l’artista riesce a dare al trono un senso di straordinario rilievo, quasi si trattasse di una struttura architettonica, messa ulteriormente in evidenza dalla felice invenzione dei quattro Profeti con le barbe bianche. Cimabue, conferisce ai lineamenti di Maria dei tagli decisi, quasi spigolosi, attraverso i quali, però, traspare l’accenno d’un sorriso soave e umanissimo. Anche i chiaroscuri facciali sono più efficaci ed aumentano il contrasto. C'è anche una maggiore caratterizzazione anatomica dei volti a smussare gli spigoli e particolareggiarne i tratti (si noti ad esempio il taglio a livello della narice che si insinua entro la pinna del naso o l'accenno di sorriso, finora assenti in Cimabue). Pur con questi miglioramenti, c’è una certa refrattarietà alle innovazioni stilistiche e tecniche di Duccio di Buoninsegna e Giotto. Questa Maestà non ha la raffinatezza figurativa delle due opere degli anni '80 di Duccio, ovvero la Madonna di Crevole e la Madonna Rucellai, né la decoratività della seconda di queste. Rimane evidente una continuità ideale con la formazione romanico-bizantina. - Schematicità degli atteggiamenti: teste degli angeli inclinate in modo simmetrico e voluta sproporzione dei loro corpi -------> riferimento ancora a un dimensionamento di tipo gerarchico. La Crocifissione del transetto sinistro della chiesa superiore della Basilica di S. Francesco d’Assisi ha la stessa sproporzione della Maestà. Questo affresco fa parte di un ricchissimo ciclo che si sviluppa tra la zona absidale e il transetto snx. Il ciclo, comprende varie storie angeliche, di Maria e degli apostoli che Cimabue dipinse tra il 1288 e il 1292. L’affresco subì a causa dei pigmenti una devastante reazione chimica che determinò un’inversione dei colori: come nei negativi fotografici, alcune parti scure sono ora diventate chiare e viceversa. Al centro dell’affresco spicca, enorme e solitaria, la figura monumentale del Cristo crocifisso, che riprende quella composta e solenne del Crocifisso di Arezzo. Due opposte schiere di angeli piangono la morte di Gesù, il loro strazio è evidenziato dalle mani che coprono il volto per la disperazione, altri si portano la mano alla fronte, altri allargano le braccia in un gesto stupito e di sgomento. Le pie donne e il gruppo incredulo dei soldati e farisei sono volutamente + piccoli rispetto al Cristo. Cimabue dà corpo e volume non solo ai personaggi, ma ai loro sentimenti. Le espressioni convenzionali dei volti, gli atteggiamenti statici delle figure e le ambientazioni approssimative susseguivano nella navata centrale, con Storie dell'Antico Testamento sulla parete destra e degli Atti degli Apostoli su quella sinistra. I due cicli comprendevano 22 riquadri ciascuno, su due registri sovrapposti; sotto di essi si stendeva una serie di ritratti papali entro clipei, mentre in alto, tra le finestre, erano affrescate grandi figure di apostoli e profeti. Gli affreschi, che sono tuttora ben leggibili dal punto di vista iconografico, soprattutto attraverso le accurate copie seicentesche fatte eseguire dal cardinale Francesco Barberini, oltre ad alcuni dipinti e incisioni dei secoli successivi, sul piano stilistico sono oggi interpretabili solo in alcuni clipei con i busti dei pontefici, unici frammenti superstiti dell'originario imponente complesso, comunque lontani dall'autografia cavalliniana. L'opera di C. interveniva nella più antica decorazione affrescata della basilica ostiense; Per la datazione, la critica è ormai pressoché concorde nel riferire l'inizio del 'restauro' del ciclo paleocristiano agli anni immediatamente precedenti il 1277. Una seconda fase del 'restauro' cavalliniano dovette aver luogo al tempo dell'abate Bartolomeo (1282-1297), probabilmente entro il 1285, anno in cui quest'ultimo commissionò il ciborio ad Arnolfo di Cambio, verosimile completamento dell'impresa decorativa nella basilica ostiense. Sempre secondo Ghiberti, C. eseguì per S. Paolo anche il mosaico della facciata, commissionato da papa Giovanni XXII nel 1325, secondo quanto attestato da una lettera dello stesso anno. Le altre due imprese monumentali a Roma sono i mosaici di S. Maria in Trastevere e gli affreschi di S. Cecilia in Trastevere; anche per esse esiste un problema di successione temporale: per ambedue, infatti, mancano del tutto riferimenti cronologici precisi. Nel primo caso - i mosaici in S. Maria in Trastevere - la data 1291 proposta da De Rossi non presenta evidenza documentaria tale da garantirne la validità. Altrettanto aleatori sono risultati anche recenti tentativi di spostare la data molto in avanti, verso gli inizi del Trecento (Hetherington, Ragionieri, Poeschke, Bellosi). E’ un ciclo - sei scene della Vita della Vergine (Nascita di Maria, Annunciazione, Natività, Adorazione dei Magi, Presentazione al Tempio, Dormitio Virginis) e un pannello votivo ove figurava in origine, oltre alla data, anche la firma di Cavallini, con il committente dell'opera, Bertoldo Stefaneschi, presentato alla Vergine e al Bambino dai ss. Pietro e Paolo - caratterizzato da un impianto spaziale fortemente tridimensionale, soprattutto nella resa delle architetture (Nascita di Maria, Annunciazione, Presentazione al Tempio) e nel saldo plasticismo con cui sono costruite le figure dei personaggi. La scoperta e la pubblicazione da parte di Hermanin degli affreschi di S. Cecilia in Trastevere segnò un momento di fondamentale importanza nel panorama critico sulla pittura duecentesca romana. Aprì una definitiva breccia nel bipolarismo stilistico entro cui era stata fino a quel momento racchiusa: l'influsso del passaggio di Cimabue per Roma nel 1272 da un lato e la tradizione bizantina dall'altro. Si vide, allora, che nell'ultimo quarto del Duecento anche a Roma si ragionava in termini di ampliamento della visione spaziale e questo indipendentemente e prima della lezione giottesca. Hermanin collegò una possibile datazione degli affreschi di S. Cecilia al riferimento cronologico costituito dal ciborio eseguito da Arnolfo di Cambio nella stessa basilica, firmato e datato al 1293. La messa in opera del ciborio arnolfiano dovette costituire l'atto conclusivo di una vasta campagna di rinnovamento della basilica che, nel caso di S. Cecilia, sembra probabile abbia avuto nello stesso Arnolfo il capocantiere dell'impresa e comunque l'ispiratore delle aperture al Gotico francese che caratterizzano ampi passaggi della decorazione. A S. Cecilia, infatti, oltre al celeberrimo affresco di controfacciata con il Giudizio universale, le pareti della navata accoglievano in origine un ciclo vetero e neotestamentario di cui si conserva il registro superiore, scandito da una serie di incorniciature e motivi architettonici dipinti che trasformano strutture di marcato accento rayonnant in una trasfigurante versione policroma coincidente con quella del ciborio arnolfiano. In ogni caso il Giudizio finale, sulla controfacciata della basilica, è uno dei capitoli più alti della pittura romana del tardo Duecento. La saldezza di impianto delle figure, la loro classica monumentalità, i sottili e curatissimi passaggi cromatici con cui sono costruite le strutturate volumetrie dei corpi fanno di questo affresco un punto nodale per la concezione dello spazio pittorico medievale. Per quanto riguarda i registri più bassi della decorazione originaria delle pareti della navata, si conservano a destra ampi frammenti di tre scene con le Storie di Isacco e Giacobbe e a sinistra parte di un'Annunciazione e una grande figura di S. Michele Arcangelo. Se queste ultime due immagini appaiono dovute a maestranze di bottega ben più deboli di C., i frammenti delle Storie di Isacco sono opera di un pittore che per sicurezza di impianto e originalità di ductus si colloca a un livello di vera eccellenza qualitativa. Un pittore la cui ascendenza più diretta si riscontra nelle Storie di Isacco della basilica superiore di S. Francesco ad Assisi, da cui sembra derivare alcuni tratti dell'impostazione spaziale e certe lumeggiature taglienti, pur seguendo suoi propri originali sviluppi nel senso di un più accentuato linearismo gotico.
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