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Riassunto di Baxandall - Pittura ed esperienze sociali nell'Italia del Quattrocento, Sintesi del corso di Storia dell'Arte Moderna

Riassunto del volume di Baxandall - Pittura ed esperienze sociali nell'Italia del Quattrocento -

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 26/04/2020

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Scarica Riassunto di Baxandall - Pittura ed esperienze sociali nell'Italia del Quattrocento e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! Michael Baxandall – Pittura ed esperienze sociali nell'Italia del Quattrocento Capitolo I – Le condizioni del mercato Un dipinto del XV secolo è la testimonianza di un rapporto sociale. Si ha da un lato un pittore che faceva il quadro, dall'altro qualcuno che lo commissionava e decideva in che modo usarlo. Entrambe le parti lavoravano all'interno di istituzioni e convenzioni, che influivano sulle forme dell'opera che artista e committente creavano. Colui che ordinava l'opera è un agente attivo, determinante e non necessariamente benevolo. Nel XV secolo la pittura di migliore qualità era su commissione e il cliente ordinava un prodotto specificandone le caratteristiche. Le opere già pronte si limitavano a oggetti, come Madonne ordinarie e cassoni nuziali; le pale d'altare e gli affreschi venivano eseguiti su commissione e sia il cliente che l'artista stipulavano di comune accordo un contratto legale, in cui l'ultimo si impegnava a consegnare quanto aveva concepito e progettato il primo. Il rapporto che sta alla base del dipinto era un rapporto commerciale e alcune consuetudini economiche dell'epoca si ritrovano concretamente nei dipinti. Il denaro agisce sul dipinto non solo in quanto c'è chi intende investirlo in un'opera, ma anche per quanto riguarda i particolari criteri di spesa. Un cliente come il duca di Ferrara, che ritiene di dover pagare i dipinti a piede quadro, otterrà un diverso tipo di dipinto rispetto a Giovanni de' Bardi, che paga il pittore in base ai materiali usati e al tempo impiegato. I criteri adottati nel Quattrocento per stabilire il prezzo dei manufatti, come le diverse forme di pagamento in uso per maestri e prestatori d'opera, hanno entrambi una profonda incidenza sullo stile dei dipinti, che sono dei fossili della vita economica. I dipinti erano progettati a uso del cliente. Un buon cliente per i pittori, Giovanni Rucellai, in un passo del suo Zibaldone, notava di avere in casa dipinti di diverti artisti italiani famosi. È evidente la sua soddisfazione per il fatto di possedere personalmente oggetti di qualità. Successivamente, suggerisce tre altri motivi di soddisfazione: le opere riguardano Dio, l'onore della città e la sua memoria. Una pala d'altare in una chiesa o un ciclo di affreschi in una cappella si prestavano a soddisfare quelle esigenze. Rucellai introduce un quinto motivo, ovvero il procurare piacere ed il merito di spendere bene. Per un uomo largamente facoltoso spendere denaro per chiese e opere d'arte, quindi per abbellire il patrimonio monumentale pubblico, era un merito e un piacere, un giusto risarcimento alla società. Per come erano concepite queste iniziative bisogna dire che un dipinto aveva il vantaggio di essere allo stesso tempo un oggetto degno di nota e a buon mercato. Infine c'è un sesto motivo: l'elemento del piacere nel guardare bei dipinti. Le motivazioni della committenza, quindi sono: il piacere del possesso, un'attiva devozione, un certo tipo di coscienza civica, il desiderio di lasciare un ricordo di sé e forse anche di farsi pubblicità, la necessità per l'uomo ricco di trovare una forma di riparazione che gli desse merito e piacere, un gusto per i dipinti. Il dipinto era progettato per il cliente e per la gente da cui voleva che fosse ammirato; il suo scopo era fornire stimoli piacevoli, indimenticabili e proficui. Nel XV secolo la pittura era ancora troppo importante per essere lasciata ai pittori. Il mercato dell'arte era abbastanza diverso ed il modello del mercato artistico tende ad assimilarsi a quello di prodotti più sostanziali. Il Quattrocento fu un periodo di pittura su commissione, per questo il ruolo del cliente è primario. Nel 1457 Filippo Lippi dipinse per Giovanni de Medici un trittico destinato al re Alfonso V di Napoli. Lippi cercava di tenersi in contatto con Giovanni de Medici tramite lettere; in una di queste, in fondo, fornì lo schizzo del trittico secondo il progetto, con la cornice architettonica, per la quale chiedeva in modo particolare l'approvazione, è disegnata in modo più nitido. Una distinzione fra pubblico e privato non si addice alla funzione della pittura del XV secolo. Una distinzione più pertinente si ha tra le commesse controllate da grosse istituzioni corporative e le commesse di singoli individui o di piccoli gruppi di persone. Il pittore di solito veniva assunto e controllato da una persona o da un piccolo gruppo e si trovava ad avere un rapporto diretto con un cliente profano. Il pittore lavorava normalmente per qualcuno chiaramente identificabile, che aveva promosso il lavoro e scelto l'artista, che aveva uno scopo ben preciso e seguiva l'esecuzione del dipinto fino in fondo. In questo differiva dallo scultore che spesso lavorava per grandi imprese comunali, dove il controllo del profano era meno personale e probabilmente molto meno stretto. Il pittore era più esposto dello scultore, sebbene non ci sia testimonianza dell'interferenza quotidiana del cliente. C'è una categoria di documenti legali, che riportano gli elementi essenziali relativi al rapporto che stava alla base di un dipinto; accordi scritti circa i principali obblighi contrattuali delle due parti. Alcuni sono contratti veri e propri, redatti da un notaio, altri sono ricordi meno elaborati, promemoria che dovevano essere tenuti da ciascuna delle parti. Entrambi contemplavano lo stesso genere di clausole. Non esistono contratti che si possano definire tipici perché non c'era una forma fissa, nemmeno nella stessa città. Un accordo meno atipico degli altri fu quello tra il Ghirlandaio e lo Spedale degli Innocenti per l'Adorazione dei magi. Il contratto contiene i tre temi principali di questi tipi di accordo: specifica ciò che il pittore deve dipingere è esplicito per quanto riguarda i modi ed i tempi di pagamento da parte del cliente e i termini entro cui il pittore deve effettuare la consegna insiste sul fatto che il pittore debba usare determinati tipi di colori Le istruzioni circa il soggetto del dipinto non entrano in genere nei particolari. Alcuni contratti elencano le singole figure che devono essere rappresentate, ma la richiesta di un disegno è più frequente ed era chiaramente più efficace: le parole non si prestano ad un'indicazione molto chiara. Se c'era qualche difficoltà nel descrivere il tipo di finitura desiderata, spesso si ricorreva al riferimento ad altre opere. Una somma forfettaria, versata a rate, era di solito la forma, in cui veniva effettuato il pagamento, ma talvolta le spese del pittore erano distinte dal suo lavoro. Il cliente poteva fornire i colori più costosi e pagare il pittore per il tempo impiegato e per le sue capacità. La somma concordata in un contratto non era del tutto rigida, e se un pittore si trovava in perdita rispetto al contratto poteva solitamente rinegoziarla. Nel caso che pittore e cliente non riescano ad accordarsi sulla somma finale, intervenivano dei pittori professionisti in qualità di arbitri, ma in genere non si arrivava a questo punto. La preoccupazione generalmente espressa nei contratti circa la qualità dell'azzurro che dell'oro era ampiamente giustificata. Dopo oro e argento, l'azzurro ultramarino era il colore più costoso e di più difficile impiego usato dal pittore. Ne esistevano sia qualità a buon mercato che care e c'erano anche dei sostituti ancora più economici noti come azzurro d'Alemagna. L'azzurro ultramarino derivava dalla polvere di lapislazzuli. L'azzurro d'Alemagna non era che carbonato di rame; il suo colore era meno brillante e meno resistente. I pittori e il loro pubblico erano molto attenti a tutto ciò e la connotazione di esotismo e di pericolo dell'ultramarino costituiva un mezzo per evidenziare qualcosa nei dipinti (es. Crocifissione di Masaccio). I contratti sono sofisticati, per quanto riguarda gli azzurri, mostrando una capacità di discriminarli l'uno dall'altro. Non tutti gli artisti lavoravano con contratti di questo tipo; in particolare, alcuni lavoravano per dei principi da cui percepivano uno stipendio. Mantegna, che lavorò tra il 1460 e il 1506 per i Gonzaga, è un caso ben documentato e l'offerta fattagli da Ludovico Gonzaga era molto chiara. Mantegna l'accettò e in cambio del suo stipendio non solo dipinse affreschi e pannelli per i signori, ma svolse anche altre funzioni. La posizione del Mantegna non fu in pratica così definita, come aveva proposto l'offerta del Gonzaga. Lo stipendio non gli veniva pagato sempre con regolarità; d'altra parte in certe occasioni gli vennero concessi privilegi e doni di terre o denaro, come gli capitò di percepire onorari da altri committenti. Ma la sua posizione era abbastanza insolita. Anche coloro che dipingevano per i principi erano più comunemente pagati per una singola opera, piuttosto che con uno stipendio fisso. Per tornare ai contratti, i loro dettagli variano molto da caso a caso, con cambiamenti di accentuazione nel tempo, che sono molto importanti e una delle chiavi per comprendere il Quattrocento. Mentre i colori perdono il loro ruolo di primo piano, la richiesta di abilità pittorica assume maggiore rilievo. Nel corso del secolo si parla sempre meno nei contratti dell'oro e dell'azzurro ultramarino. Continuano a essere menzionati e si arriva a specificare la qualità dell'azzurro ultramarino, ma essi sono sempre meno al centro dell'attenzione e l'oro viene sempre più riservato alla cornice. L'attenuarsi di questa preoccupazione per i colori è evidente dei dipinti. Si ha l'impressione che i clienti comincino a badare meno all'esigenza di fare sfoggio di una preziosità di materiali fine a se stessa. Il ruolo meno rilevante dell'oro fa parte di una tendenza generale in tutta l'Europa occidentale verso una limitazione selettiva dell'ostentazione. Il generale abbandono dello splendore
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