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Riassunto di "Caos e governo del mondo", Dispense di Relazioni Internazionali

Riassunto del libro "Caos e governo del mondo" di Beverly J. Silver e Giovanni Arrighi

Tipologia: Dispense

2019/2020

In vendita dal 20/10/2022

federicabraccagni
federicabraccagni 🇮🇹

4.3

(3)

23 documenti

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Scarica Riassunto di "Caos e governo del mondo" e più Dispense in PDF di Relazioni Internazionali solo su Docsity! Caos e governo del mondo. Introduzione. Hobsbawm definisce gli anni ’70 e ’80 del 1900 un periodo di crisi universale o mondiale. Il crollo dei regimi comunisti ha prodotto incertezza politica, instabilità, caos e guerra civile su un’area enorme del pianeta. Ha anche distrutto il sistema che le relazioni internazionali avevano stabilizzato. Immanuel Wallerstein ha dichiarato che il 1989 segna la fine di un’era di progresso tecnologico spettacolare. Con il collasso del comunismo, la democrazia liberale rimane la sola aspirazione politica coerente per regioni e culture diverse dell’intero pianeta. Quattro controversie sul futuro dell’economia politica mondiale. Il proposito di questo libro è investigare le dinamiche del cambiamento sistemico in due precedenti periodi di trasformazione del mondo moderno. Se l’epoca attuale è un’epoca di declino e di crisi dell’egemonia mondiale statunitense, allora condivide analogie con i due precedenti periodi di transizione dell’egemonia mondiale: la transizione dall’egemonia olandese alla britannica e quella dall’egemonia britannica a quella statunitense. La prima controversia riguarda i cambiamenti negli equilibri di potere tra gli stati, e in particolare se è probabile o no che emerga un nuovo stato egemonico; la seconda riguarda gli equilibri di potere tra stati e imprese; la terza riguarda la forza dei gruppi subordinati; la quarta si riferisce ai cambiamenti negli equilibri di potere tra civiltà occidentali e non occidentali. La geografia del potere mondiale. È in corso un dibattito sull’eventualità che stia emergendo un nuovo stato egemonico mondiale. I candidati per diversi studiosi includono gli Stati Uniti, un’Europa unita e il Giappone, mentre gli altri affermano che tutti gli Stati hanno perso potere di fronte alle organizzazioni economiche e politiche sovranazionali. Ma in realtà i giapponesi avevano esercitato troppo poco controllo sulle loro acquisizioni e avevano subito una perdita di molti miliardi di dollari nella maggior parte dei loro investimenti. Alla fine del 1990 i prezzi alla borsa di Tokyo crollarono. Il potere degli stati contro il potere del capitale. L’aumento di operazioni all’estero da parte delle società multinazionali ha dato inizio ad un processi di espansione e integrazione finanziaria su scala globale ed è diventato l’argomento più forte nell’armamentario dei sostenitori della tesi della globalizzazione. La tesi della globalizzazione di una generalizzata perdita di potere da parte degli stati di fronte a forze economiche non territoriali, sovranazionali o transnazionali, non è passata indenne da critiche. Le trasformazioni che vanno sotto il nome di globalizzazione hanno la loro origine nel XIX secolo. Un tema centrale della globalizzazione è che i lavoratori di tutto il globo vengono messi in concorrenza tra loro nell'ambito di un unico mercato del lavoro. Il risultato è un declino nella capacità dei lavoratori di proteggere e sostenere i propri interessi. L’attuale indebolimento degli stati minaccia non solo i diritti dei lavoratori ma tutti i diritti democratici nel loro complesso. Zolberg ritiene invece che il cambiamento avvenuto dopo gli anni ’70, da un regime internazionale labor-friendly ad un regime labor-unfriendly, sia dovuto non all’indebolimento degli stati, ma all’indebolimento della stessa classe operaia con l’avvento della “società post-industriale”. Entro gli anni ’70 divenne chiaro che il capitalismo mondiale non poteva conciliare le domande combinate delle classi lavoratrici del terzo mondo e del mondo occidentale. La tendenza verso l’uguaglianza fu bloccata. Trasformazioni nei rapporti di forza tra civiltà. Per Huntington la guerra fredda si è conclusa con il trionfo del capitalismo occidentale, soprattutto degli Stati Uniti. Huntington sostiene che il dominio occidentale delle istituzioni internazionali porterà ad una nuova fase nell’evoluzione dei conflitti nel mondo moderno. Sin dalla pace di Westfalia, sostiene, “i conflitti tra stati sono stati prima di tutto conflitti interni alla civiltà occidentale”. Con la fine della guerra fredda, la politica internazionale esce dalla sua fase occidentale, e il centro intorno a cui inizia a ruotare diventa l’interazione tra la civiltà occidentale e quelle non occidentali. I conflitti tra le civiltà occidentali e non occidentali sorgono a causa della prolungata modernizzazione del mondo non occidentale. Huntington invoca da parte occidentale una strategia su tre fonti finalizzata a rendere innocuo il crescente potere delle civiltà non occidentali: in primo luogo maggiore cooperazione e unità all’interno dell’occidente; conservazione delle capacità militari occidentali, come se la guerra fredda non fosse finita; e infine, maggiore attenzione agli assunti religiosi e filosofici alla base delle altre civiltà. La tesi di Huntington è stata criticata. La convinzione sotto intesa a questa critica è che la modernizzazione cinese non pone alcuna significativa minaccia agli interessi statunitensi o occidentali. Per alcuni, la minaccia costituita dalla modernizzazione cinese negli ultimi anni è molto maggiore di quella costituita dal comunismo cinese negli anni della guerra fredda. Ciò che distingue la crescita economica dell’Asia Orientale negli anni ’80 è il suo straordinario progresso nella finanza globale. Vi è un disaccordo su quale minaccia il miracolo economico dell’Asia Orientale costituisca per gli interessi statunitensi ed occidentali. Secondo Nye, la principale politica da seguire è quella di conservare la capacità militare statunitense. Mentre la forza militare statunitense scemava durante gli anni ’70 e ’80 del 1900 la forza economica dell’Asia Orientale cresceva. Abu-Lughod suggerisce che il declino della potenza militare statunitense e la crescita della potenza economica dell’Asia Orientale degli anni ’80, possano essere un segno del fatto che la vecchia situazione di vantaggio che alla base dell’egemonia occidentale sta scomparendo. Transizioni egemoniche: concetti per le analisi. Non c’è accordo su quale stato abbiamo tratto maggiori vantaggi dal confronto della guerra fredda e sia ora in grado di scalzare il predominio degli Stati Uniti nella politica e nell’economia globale. Non c’è accordo sull’ipotesi che la classe operaia mondiale sia una specie in pericolo. Non c’è accordo su che tipo di ordine mondiale ci possiamo aspettare dalla combinazione dei mutamenti che stanno avendo luogo nella configurazione globale del potere. Transizioni egemoniche come trasformazioni sistemiche. Rosenau si rifà alla terminologia della teoria del caos, quando definisce le attuali trasformazioni nell’economia politica mondiale. La nostra indagine ha cercato di capire quali possano essere le strutture di fondo nell’attuale disordine, svelando le strutture fondamentali di casi paragonabili di trasformazione sistemica del passato. La ricostruzione dell’espansione del sistema mondiale moderno, fino ad oggi, deriva da una serie di radicali riorganizzazioni che sono occorse in periodi di transizione egemonica. Queste riorganizzazioni detengono di volta in volta il ruolo di guida: il blocco olandese nel 1600, il blocca britannico nel 1700, il blocco statunitense nel 1900. Nel corso di queste espansioni competitive, la futura potenza egemone acquista il proprio vantaggio decisivo prima di tutto nella produzione, quindi nel commercio e infine nella finanza. Il sistema torna ad attraversare un lungo periodo di espansione competitiva finché un altro stato non riuscirà a raggiungere il triplice vantaggio competitivo che determina l’egemonia. È da Gramsci che deriva il concetto di egemonia, che si manifesta in due modi, come dominio, cioè tramite la coercizione, e come direzione intellettuale e morale, cioè l’approvazione di uno stato che crede di trarre vantaggi seguendo la leadership del Paese egemone. Se i gruppi subordinanti hanno fiducia nei propri governanti, i sistemi di dominio possono essere gestiti senza ricorrere alla forza, ma se questa fiducia viene a mancare ciò non è più possibile. Il termine leadership viene usato per descrivere due fenomeni differenti. Da una parte il fatto che uno stato dominante diventa per altri stati il modello da emulare, e perciò li induce a seguire il proprio percorso di sviluppo. Dall’altra parte, è usato per descrivere che uno stato dominante guidi il sistema in una direzione voluta e che sia opinione comune che facendo ciò persegua un interesse generale. La pretesa di rappresentare un interesse sistemico generale può divenire credibile se si verificano due condizioni: primo, i gruppi dominanti devono aver sviluppato la capacità di guidare il sistema nella direzione di nuove forme di cooperazione e di divisione del lavoro interstatale, cioè superare la tendenza dei singoli stati a perseguire il proprio interesse internazionale. Secondo, le soluzioni a livello di sistema degli aspiranti stati egemonici devono riguardare problemi di sistema che sono diventati così acuti da creare nei confronti dei gruppi dominanti ancora esistenti oppure di quelli emergenti una profonda e diffusa domanda di governance sistemica. Quando queste condizioni di offerta e di domanda vengono soddisfatte contemporaneamente, l’aspirante stato egemonico può giocare un ruolo di supplenza di governo nel promuovere, organizzare e gestire un’espansione del potere collettivo dei gruppi dominanti del sistema. Le crisi egemoniche sono caratterizzate da tre processi distinti ma strettamente correlati: l’intensificazione della competizione tra stati e della competizione tra imprese; l’aumento dei conflitti sociali; l’emergere di nuove configurazione del potere. La forma che questi processi prendono varia da crisi a crisi. In tutte e tre le crisi egemoniche i tre processi si sono mossi di pari passo con il modello dell’espansione finanziaria su scala sistematica. Crisi egemoniche ed espansione finanziaria. L’espansione finanziaria su scala sistemica sono il risultato di due tendenze complementari: sovraccumulazione di capitale e intensa competizione per il capitale mobile. In ogni espansione finanziaria, il capitalismo mondiale è stato riorganizzato sotto una nuova leadership. Le espansioni all’egemonia britannica. La strategia olandese incorporava una logica del potere capitalistica in contrasto con l’ancora predominante logica territorialista inglese, in cui l’acquisizione di territori e popolazioni era un fine in sé e l’accumulazione di ricchezze finanziare un mero mezzo. Le Province Unite sono diventate uno stato forte indipendente la cui principale fonte di potere era il denaro che secondo Braudel è il mezzo per ricondurre tutti all’ordine. Il denaro era anche il mezzo con cui il “gatto olandese” capitalista poteva volgere a proprio vantaggio le lotte contro i “predatori” territorialisti europei. Un limite della parsimonia olandese era la mancanza di manodopera, cui l’Olanda poteva avviare solo sfruttando la forza lavoro di altri paesi. La ridotta popolazione della repubblica olandese diventava un limite sempre più invalicabile. La sovrabbondante disponibilità di manodopera e di imprenditorialità commerciale della Gran Bretagna divenne un potente strumento nella lotta per il monopolio sul commercio atlantico. L’Olanda non poteva competere con la Gran Bretagna per la poca disponibilità di olandesi. La ragione fondamentale del netto declino del sistema commerciale mondiale olandese negli anni ’20 e ’30 del XVIII secolo fu l’ondata di mercantilismo industriale che si diffuse su tutto il continente a partire dal 1720 circa. L’alta finanza, ultimo rifugio dell’egemonia olandese. La terza fase della transizione all’egemonia britannica è caratterizzata dallo scoppio della guerra di successione austriaca (1740-1748). La scarsità di manodopera olandese divenne rovinosa. Ciò che fu così disastroso per il commercio olandese non fu il capitale ma l’escalation nella lotta di potere creò le condizioni per una espansione finanziaria che inflazionò la ricchezza e il potere olandesi. Amsterdam era la cassa d’Europa, ma perché il denaro olandese acquistasse nuovamente la capacità di autoriprodursi, la competizione interstatale per il capitale mobile, avrebbe dovuto essere più intensa rispetto ai pacifici anni del XVIII secolo. Quando nel 1740 lo diventò, l’indebitamento inglese crebbe. Nel 1758 gli investitori olandesi detenevano circa un terzo delle azioni della Banca d’Inghilterra, della Compagnia inglese delle Indie Orientali e della Compagnia dei Mari del Sud. Amsterdam, però, sperimentò una sequela di crisi finanziare. La prima crisi esplose alla fine della guerra dei sette anni (1756-1763) e nel 1763 la bancarotta di una casa importante sbriciolò l’intero sistema. Necessitando di contante, gli investitori olandesi cominciarono a richiamare il capitale che avevano investito nei titoli inglesi, paralizzando la borsa di Amsterdam. La seconda crisi esplose nel 1772 in seguito alla bancarotta di una casa inglese le cui conseguenze più serie furono ad Amsterdam. Durante la prima crisi la Banca d’Inghilterra aveva aiutato gli olandesi, ma nel 1773 tutto il Paese della crisi cadde su Amsterdam così da non riprendersi mai più e secondo Braudel fu a questo punto che Amsterdam cessò di essere il centro finanziario dell’economia mondo-europea. La leadership olandese si era già esaurita prima della crisi del 1780 ma divenne devastante negli anni della quarta guerra anglo-olandese (1781-1784) che portò al collasso della Wisselbank. La bancarotta francese del 1788 pose fine una volta per tutte alla centralità olandese nell’alta finanza europea. È da quel momento che l’Inghilterra trionfa dal punto di vista economico e diventa il centro del mondo. Nella guerra dei sette anni il denaro inglese fu importante nella decisiva vittoria britannica nei confronti della Francia. La vittoria degli inglesi a Plassey nel 1757 diede il via a un trasferimento di ricchezze dall’India all’Inghilterra come vero saccheggio. La ricchezza indiana fornì i capitali necessari a ricomprare il debito dagli olandesi e gli inglesi gli restituirono il capitale prestato. Interregno. L’egemonia mondiale britannica si affermò nel 1800, solo dopo la quarta e ultima fase della transizione caratterizzata dalla lotta di potere tra Gran Bretagna e Francia. La guerra dei sette anni diede luogo ad una situazione instabile in Nord America che ebbe come esito la Rivoluzione americana del 1776. L’elemento scatenante della ribellione americana contro il dominio britannico fu una disputa in maniera di tasse. Scomparsa la minaccia francese i coloni britannici non avvertivano più la necessità di comprare dalla metropoli britannica protezione in cambio di tasse. Alleatasi con la Spagna, per la prima volta, la Francia fu in grado di condurre una guerra navale e coloniale contro la Gran Bretagna. Preoccupata di difendere il proprio commercio una coalizione di paesi marinari neutrali limitò la guerra di corsa, una delle tattiche militari più importanti della marina inglese. Il risultato da parte della Francia fu l’acquisizione di 7 delle 10 maggiori isole britanniche delle indie occidentali. Ma la guerra lasciò la Francia in una condizione di dissesto finanziario che fu tra le cause scatenanti della rivoluzione del 1789. Quando la guerra tra le due grandi potenze riprese, la Gran Bretagna si preoccupò di riacquistare il controllo delle Indie occidentali, le quali garantivano una posizione strategica per il controllo dell’atlantico e avevano un’importanza commerciale. Il controllo militare e commerciale dell’Atlantico da parte della Gran Bretagna fu completamente ristabilito mentre la forza marittima francese ricevette un colpo mortale. La transizione verso l’egemonia britannica fu completata. Dall’egemonia britannica a quella statunitense. Le fondamenta industriali e imperiali dell’egemonia britannica. La pace di Vienna produsse una pace di cento anni in Europa, dal 1815 al 1914. Uno degli ingredienti principali della costruzione della pace dei cento anni fu il sistema dell’equilibrio del potere, per cui tre o più unità in grado di esercitare il potere si comporteranno sempre in modo tale da combinare il potere delle unità più deboli contro qualunque aumento di potere delle più forti. Gli inglesi, alla fine delle guerre napoleoniche, si preoccuparono di assicurarsi che il controllo dell’equilibrio del potere rimanesse nelle loro mani. In Europa, chiesero e ottennero che la Francia sconfitta fosse inclusa tra le grandi potenze. Perseguendo il proprio interesse nazionale, la Gran Bretagna poteva così dare l’impressione che il proprio schiacciante potere mondiale fosse esercitato nell’interesse generale. La Gran Bretagna incoraggiò ulteriormente questa percezione restituendo alcuni territori delle Indie orientali e occidentali all’Olanda e alla Francia e fornendo ai governo e ai mercanti commerciali alcuni beni collettivi. Grazie a questa percezione la supremazia britannica si garantì un’ampia e benevola accoglienza tra gli stati occidentali. Questa situazione fu consolidata dalla liberalizzazione unilaterale del proprio commercio. Gli Stati Uniti erano il più grande partner commerciale. Attraverso questa politica, la Gran Bretagna diminuì il costo della vita al proprio interno, e allo stesso tempo fornì ad altri Paesi i mezzi di pagamento per comprare i suoi manufatti. Inoltre condusse buona parte del mondo all’interno della propria orbita commerciale, incoraggiando la cooperazione interstatale e garantendo quindi anche bassi costi di tutela e difesa. Il controllo dell’equilibrio del potere europeo e la centralità nel commercio mondiale erano due elementi reciprocamente rinforzanti a fondamento della pace dei cento anni. Una differenza tra le egemonie britannica e olandese era che l’intermediazione olandese era di tipo commerciale, quella britannica anche industriale, perché conosciuta come “l’officina del mondo”. L’Inghilterra era stata a lungo uno dei principali centri industriali dell’economia mondo imperniata sull’Europa. Nel corso del 1800 le parti più remoti del pianeta cominciavano ad essere collegate da mezzi di comunicazione e nel 1848 non c’era nulla che assomigliasse a una rete ferroviaria fuori dalla Gran Bretagna. Con questo sistema di trasporti e comunicazioni, il commercio mondiale si espanse a un tasso senza precedenti e gli scambi tra Gran Bretagna e gli altri paesi aumento di circa sei volte. A differenza del sistema del commercio mondiale olandese del 1600 che era e rimase un sistema puramente mercantile, il sistema del commercio mondiale inglese divenne un sistema integrato di trasporto meccanizzato e di produzione. Il capitalismo della Gran Bretagna stimolò il suo appetito per l’espansione territoriale. Il saccheggio di Plassey non diede inizio alla rivoluzione industriale, ma aiutò la Gran Bretagna a ricomprarsi il proprio debito nazionale dall’Olanda, diede inizio al processo di conquista di un impero territoriale in India che sarebbe diventato il principale pilastro del potere mondiale inglese. I lavoratori indiani vennero trasformati da maggiori competitori delle industrie tessili europee a maggiori produttori di cibo e materie prime a buon mercato per l’Europa. La manodopera indiana fu utilizzata non solo nel subcontinente indiano, ma anche in campagne estere, in Africa e Asia Orientale. L’India contribuiva, con le riserve del suo sistema monetario, una massa di manovra che le autorità inglesi potevano utilizzare per supplementare le proprie riserve e mantenere a Londra le caratteristiche di centro del sistema monetario internazionale. La transizione dall’egemonia olandese a quella britannica impiegò circa 150 anni. La transizione dall’egemonia britannica a quella statunitense ci mise la metà del tempo. Nell’abbozzare il modello per la transizione dall’egemonia britannica a quella statunitense, evidenzieremo solo tre fasi. La prima fase corrisponde alla crisi dell’egemonia britannica sotto l’impatto della Grande Depressione degli anni dal 1873 al 1896. La prima guerra mondiale segna la seconda fase della transizione poiché disintegrò le strutture dell’ordine mondiale del 1900. Come per la transizione dall’egemonia olandese a quella britannica, il collasso del vecchio ordine egemonico non si tradusse immediatamente nell’emergere di un nuovo ordine. L’ordine mondiale imperniato sugli Stati Uniti emerse solo nella terza e conclusiva fase della transizione. Fu in questa fase che la Grande Depressione degli anni ’30, la seconda guerra mondiale e il consolidamento dell’impero sovietico crearono le condizioni per la nascita della guerra fredda. L’industrializzazione della guerra e la rinascita dell’alta finanza. Con la Grande Depressione del periodo 1873-1896, il collasso dei prezzi delle merci fece diminuire il rendimento del capitale. Solo verso la fine del secolo i prezzi ricominciarono a salire e i profitti con essi. Con il miglioramento degli affari sembrava che tutto andasse bene. In tutta l’Europa Occidentale questi sono gli anni della belle epoque. Due cose erano cambiate: le basi industriali e imperiali dell’egemonia britannica erano state indebolite; la Gran Bretagna non era più l’officina del mondo e i costi per difendere il suo impero oltremare erano cresciuti vertiginosamente di fronte alla concorrenza dell’imperialismo degli altri stati europei. La diffusione dell’imperialismo era stata in primo luogo il risultato di una lotta tra le potenze per il privilegio di estendere il proprio commercio a mercati politicamente non protetti. La febbre della produzione provocò una lotta per garantirsi l’approvvigionamento di materie prime, il che rafforzò la spinta ad esportare. Fu proprio durante la prima guerra mondiale che la finanza della Gran Bretagna trionfava. La Gran Bretagna nei 50 anni precedenti la prima guerra mondiale era diventata un vasto contenitore di surplus di capitale che trovò sbocco nell’attività di prestito e nella speculazione sia all’interno che all’estero, e poteva essere usato per stabilire dei crediti sulle entrate future di governi o di imprese straniere. Ma perché tali crediti venissero di fatto stabiliti, bisognava che ci fossero adeguate condizioni della domanda che un’improvvisa escalation della lotta di potere interstatale si preoccupò di crearle. La precocità dell’espansione finanziaria britannica, rispetto a quella olandese, era dovuto in primo luogo all’impatto della rivoluzione industriale sulle attività belliche e di costruzione dello stato. Mentre la diffusione dell’industrialismo lasciò intatta l’egemonia britannica nelle sfere del commercio e della finanza, i suoi effetti sulla politica furono deleteri. Il cambiamento prese avvio al culmine dell’egemonia britannica, quando la marina francese si fornì di navi a vapore corazzate e dotate di cannoni di grosso calibro, che resero le navi da guerra in legno irrimediabilmente obsoleto. Poiché dalla metà degli anni ’40 del 1800 fino a tutti gli anni ’60, la marina francese varò navi a vapore corazzate sempre più sofisticate, alla marina britannica non rimase che stare al gioco. Ogni processo francese provocò contromanovre immediate in Gran Bretagna, accompagnate da richieste generali di maggiori stanziamenti per la flotta. Non appena altri stati si lanciarono per la lotta, l’industrializzazione della guerra acquistò uno slancio tale che nella Gran Bretagna e nella Francia, separatamente o insieme, potevano controllare. La lotta era appena cominciata quando, nel 1853, le navi corazzate russe distrussero velocemente la flotta turca. Temendo una disintegrazione dell’impero ottomano a principale vantaggio della Russia, la Gran Bretagna e la Francia unirono le forze e prontamente intervennero. La Russia si ritirò, ma gli alleati decisero di sbarcare comunque in Crimea. La guerra di Crimea (1854-1856), divenne un punto di svolta decisivo nella trasformazione industriale delle attività di guerra e di governo dello stato, che alla fine distrussero dall’esterno l’ordine mondiale britannico del 1900. La guerra stimolò una profonda riorganizzazione dell’industria europea degli armamenti in cui intorno al 1850 erano ancora predominanti metodi di produzione artigianali che furono poi sostituiti da quello che allora veniva chiamato il sistema di produzione americano. Il principio cardine era l’uso di frese automatiche o semiautomatiche che lavorassero pezzi in serie su misure prefissate. Queste macchine erano costose e sprecavano molto materiale. Ma nel caso fosse stato necessario un numero elevato di fucili, l’automazione si ripagava molte volte attraverso le economie derivanti dalla produzione in serie. Il governo britannico e i produttori di cannoni belgi furono i primi a importare il macchinario americano per velocizzare la produzione per l’esercito britannico durante la guerra di Crimea. Entro il 1870 l’Austria, la Francia, la Spagna, la Russia e altri Paesi avevano tutti seguito l’esempio britannico e importato macchinario americano. Interi eserciti poterono essere riequipaggiati nel giro di pochi anni invece che di decenni, e questa accelerazione divenne essa stessa un fattore di continua innovazione nella progettazione di armi leggere. Benché la guerra di Crimea fosse ormai finita, la grande rivolta in India (1857-1858) e i progressi francesi nella costruzioni di navi da guerra corazzati, sostennero la domanda britannica per prezzi di artiglieria sempre più potenti. Quindi negli anni ’60 emerse in tutto il mondo un commercio degli armamenti fabbricati su scala industriale (Giappone, Cina, Asia Orientale, Cile, Argentina, Sud America). La gara commerciale si sommo così alle rivalità nazionali per promuovere i miglioramenti nella progettazione dei pezzi d’artiglieria. Infine la guerra di Crimea diede un nuovo slancio alla costruzione delle reti ferroviarie nazionali in tutto il continente europeo. La guerra dimostro che la tecnologia delle navi a vapore aveva aumentato la superiorità logistica delle potenze navali in confronto alle potenze terrestri. Le potenze terrestri potevano recuperare il terreno perduto solo industrializzando il proprio sistema di trasporti di terra e intensificando il livello di industrializzazione. La costruzione di efficienti reti ferroviarie nazionali venne considerata come l’aspetto integrale delle attività di guerra e di governo dello stato. Benché la costruzione di ferrovie nell’Europa continentale fosse iniziata prima, la guerra di Crimea diede il via ad una vera e propria mania per le ferrovie tra i governi di tutta Europa. In qualità di unica officina del mondo la Gran Bretagna era la sola che poteva trarre vantaggio dalla diffusione dell’industrializzazione in altri Paesi, fornendo mezzi di trasporto e finanziare la corsa agli armamenti con l’Unione Sovietica e a ridurre le tasse nazionali, i profitti sui capitali crebbero vistosamente in tutto il mondo, l’espansione finanziaria aumentò impetuosamente, e il potere globale americano conobbe un periodo di forte reflazione. Fu proprio in questo periodo che l’espansione dell’Asia Orientale cominciò a decollare e a essere considerata da molti come una minaccia al potere globale degli Stati Uniti. L’espansione sistemica a guida statunitense degli anni ’50 e ’60 ha innescato la stessa combinazione di tendenze tipica delle crisi egemoniche precedenti: un’intensificazione delle rivalità tra grandi potenze che si risolveva da una parte in un’espansione finanziaria e dall’altra nel rafforzamento della tendenza all’emergere di un nuovo centro di potere. Nelle crisi egemoniche passate, tale combinazione preludeva ad una progressiva escalation del conflitto interstatale del potere, a una disintegrazione delle strutture sistemiche esistenti, e a una concentrazione delle capacità militari e finanziarie nelle mani dello stato egemonico emergente. Ma la crisi dell’egemonia americana non si svilupperà allo stesso modo poiché i meccanismi che regolano l’equilibrio del potere sono differenti. Nelle transizioni egemoniche passate l’escalation dei conflitti interstatali per il potere si associava al tentativo di un’aspirante potenza egemonica continentale, la Francia durante il passaggio dall’egemonia olandese a quella britannica, la Germania durante il passaggio da quella britannica all’egemonia statunitense, di unificare politicamente l’Europa pur di fronte all’opposizione congiunta degli stati occidentali marittimi e di quelli orientali continentali. Costretti a combattere una guerra su due fronti contro le parti occidentale e orientale del continente, che potevano entrambe contare su risorse extraeuropee, gli stati che miravano all’egemonia presto si trovavano a corto di risorse. La nazione marittima con la maggior potenza navale e il vantaggio di avere un accesso privilegiato alle risorse extraeuropee, la Gran Bretagna nella prima transizione e gli Stati Uniti nella seconda, diventò una nuova potenza egemonica. Ogni round della lotta europea per il potere creava le condizioni per un cambiamento nell’organizzazione della guerra e del commercio, per un’ulteriore espansione geografica del sistema di stati sovrani imperniato sull’Europa, per una migrazione del centro di potere sempre più ad occidente e oriente, e per una mutazione irreversibile nella struttura del sistema interstatale in via di allargamento. A 50 anni di distanza, il crollo dell’Unione Sovietica e la conseguente concentrazione in mano statunitense delle capacità militari globali danno un significato profetico a queste osservazioni. Come vedremo, le stesse capacità militari statunitensi hanno limiti seri. Man mano che aumentavano la dimensione, il livello di raffinatezza tecnologica, l’intensità di capitale, diminuivano il numero e la varietà degli stati che potevano aspirare allo status di superpotenza militare. Le capacità militari globali divennero un effettivo duopolio di Stati Uniti e Unione Sovietica. Sotto questo duopolio, un equilibrio del terrore manteneva viva la gara agli armamenti. Con la scoperta degli esplosivi atomici nella seconda guerra mondiale, la potenza distruttiva dell’umanità raggiunse un nuovo livello suicida. Nel 1972 la firma di un trattato quinquennale per la limitazione delle armi strategiche consolidò l’equilibrio del terrore tra Stati Uniti e Unione Sovietica, le due superpotenze, ma non pose fine la corsa agli armamenti. Semplicemente, diresse la corsa su altri generi di armi. Con la ricerca scientifica di nuovi armamenti, la superpotenza con più risorse finanziarie poteva portare l’equilibrio del terrore a proprio vantaggio aumentando, o minacciando di aumentare, gli sforzi nella ricerca e dei livelli che l’altra superpotenza non poteva permettersi. Questo fu quello che gli Stati Uniti fecero nella seconda guerra fredda spingendo l’Unione Sovietica alla bancarotta e portando la tendenza alla centralizzazione delle capacità militari globali alle conseguenze più estreme. A questo riguardo, la guerra fredda lasciò il posto al momento dell’unipolarismo. La sovranità nazionale si fondava sul riconoscimento degli stati europei (sovranità legale) e su un equilibrio di potere tra gli stati che ne garantiva la sovranità effettiva contro i tentativi da parte di qualsiasi stato di diventare tanto potente da governare tutti gli altri. Le violazioni alla sovranità legale sono stati innumerevoli soprattutto nei periodi di crisi egemoniche. Le maggiori potenze dovevano avere diritti speciali e doveri speciali proporzionati alle loro superiori capacità. Le due reti di potere tra loro interdipendenti, una militare e l’altra finanziaria, permisero agli Stati Uniti di governare un sistema globalizzato di stati sovrani in una maniera che fu aldilà delle possibilità non solo dell’Olanda ma anche della Gran Bretagna. La guerra del Golfo del 1991 dimostrò che il Giappone era un’entità politica di terza categoria e dimostrò anche che gli Stati Uniti non erano in grado di finanziare una guerra di pochi giorni. Mentre le transizioni passate risultavano in una fusione del potere militare e finanziario mondiale, la transizione attuale si è risolta in una fissione delle due fonti del potere mondiale sotto diverse giurisdizioni. Questa biforcazione del potere militare e finanziario è la vera anomalia delle trasformazioni odierne dell’economia politica globale, da punto di vista della geopolitica e dell’alta finanza. Secondo capitolo: la trasformazione dell’impresa. Il primo capitolo si è incentrato sulle transizioni egemoniche intesa come periodi di riorganizzazione del sistema moderno degli stati sovrani. In questo capitolo, l’attenzione viene spostata sulle trasformazioni del sistema imprenditoriale dominante. Vedremo come ciascuna riorganizzazione del sistema interstatale abbia comportato anche un fondamentale cambiamento nelle relazioni tra stato e capitale. È individuabile un modello ricorrente in ciascuna transizione. L’espansione e la crescente competizione creano le condizioni per il sorgere di nuovi e più redditizi percorsi di sviluppo che conducono alla formazione di nuovi sistemi di impresa sotto la guida di nuove egemonie. Le società per azioni privilegiate olandesi del 1600, le industrie manifatturiere inglesi del 1800 e le multinazionali statunitensi del 1900 sono state tutte ugualmente impegnate in tentativi globali di monopolizzazione sostenuti dal potere dello stato. Ma ciascun tipo di impresa è entrata in relazione con il potere dello stato in modo diverso. Le società per azioni privilegiate erano organizzazioni per metà governative e per metà private autorizzate dai governi europei ad agire per loro conto in un tempo in cui gli stati europei erano ancora deboli. Non appena però gli stati europei divennero più forti, le funzioni delle società per azioni privilegiate furono assunte da agenzie governative e d’affari più specializzate. Tra queste, vi erano le industrie manifatturiere del 1900 e le reti d’affari che le legavano a fornitori e clienti di tutto il mondo. Ma le industrie manifatturiere inglesi e le loro agenzie commerciali fecero meno delle società per azioni per rafforzare il potere dello stato da cui dipendevano in modo così diretto. Infatti, le multinazionali statunitensi sono state ancor più dipendenti dal potere dello stato egemonico per creare le condizioni generali della loro espansione di quanto non lo fossero i predecessori inglesi e olandesi. Quindi, se il primo capitolo racconta la storia dell’emergere di un attore governativo egemonico più potente di quello precedente, questo secondo ricostruisce l’emergere di compagnie d’affari che sono sempre più dipendenti dallo stato egemonico ma anche sempre più pericolose per il suo potere. Nella prima parte del capitolo, analizzeremo il processo attraverso il quale la piena espansione e poi la disgregazione del sistema settecentesco di società per azioni privilegiate, tipico dell’egemonia olandese, crearono le condizioni per l’emergere del sistema di imprese familiari che si affermò con il consolidamento dell’egemonia britannica. Nella seconda parte esamineremo il processo analogo attraverso il quale la piena espansione e poi la disgregazione del sistema britannico di imprese familiari del 1900 crearono le condizioni per l’emergere del sistema di multinazionali che si è affermato con lo stabilirsi dell’egemonia statunitense. L’ascesa del capitalismo delle grandi imprese di stile olandese. Il capitalismo delle grandi imprese di stile olandese. Nonostante tutte le loro somiglianze, le società per azioni privilegiate e le grandi imprese del 1900 si differenziano per un aspetto fondamentale. Le società per azioni privilegiate erano organizzazioni d’affari cui i governi concedevano privilegi commerciali esclusivi in aree geografiche determinate, e il diritto di svolgere le operazioni belliche e di amministrazione ordinaria necessarie per esercitare questi privilegi. All’inizio del 1600 gli olandesi non erano i soli ad avere società per azioni privilegiate. La Compagnia inglese delle Indie Orientali era stata creata due anni prima dell’alter ego olandese. Nel giro di un decennio o due, molti altri stati del Baltico e del mare del Nord seguirono le tracce degli inglesi e degli olandesi, creando proprie società oltremare, soprattutto per dedicarsi al commercio con i ricchi mercati dell’oriente. Nel 1621, gli olandesi lanciarono la West-Indische Compagnie (WIC), un’impresa più governativa che commerciale strettamente correlata al riemergere delle ostilità con la Spagna. La WIC fu riorganizzata nel 1674 come impresa dedita al commercio di schiavi con redditizie attività di contrabbando con l’America spagnola e di produzione dello zucchero nel Suriname. Fu la WIC a introdurre il commercio atlantico triangolare che legò l’una all’altra le comunità manifatturiere europee, le comunità africane e le comunità delle piantagioni nelle Americhe in un circuito di commercio e produzione sempre più imponente e redditizio. Il principale beneficiario di questa innovazione non fu la WIC, ma i francesi e i mercanti privati inglesi che accentrarono nelle loro mani una quota sempre maggiore dell’offerta di schiavi africani. L’espansione stessa di qualsiasi sistema di imprese tenda a creare condizioni che non gli permettono più di funzionare ed è infine rimpiazzato da un sistema diverso, ciò spiega il fallimento di alcune società per azioni privilegiate. In questo capitolo documenteremo lo sviluppo dell’espansione del sistema di imprese nella transizione dall’egemonia olandese a quella britannica, distinguendo quattro fasi. La prima fase fu caratterizzata dal fallimento dei tentativi olandesi di replicare nell’Atlantico, con la WIC, i risultati ottenuti dalla VOC (la società per azioni privilegiate olandesi fondata nel 1602) nell’oceano Indiano. Questo fallimento rivelò un limite nella supremazia commerciale olandese ma lasciò quella supremazia intatta nel commercio baltico e nell’oceano Indiano. La supremazia in queste aree di competizione cominciò a erodersi nella seconda fase della transizione che fu caratterizzata da una crescente diversificazione delle attività delle società per azioni privilegiate. L’escalation, intorno al 1740, nella battaglia competitiva tra le società per azioni privilegiate e i loro rispettivi stati segnò l’inizio della terza fase della transizione. Questa competizione portò alla rovina gran parte delle società per azioni privilegiate, incluse la WIC e la VOC (sciolte rispettivamente nel 1791 e nel 1799). Se ci fu una vincitrice tra le società per azioni privilegiate, questa fu la Compagnia inglese delle Indie Orientali. Nella quarta e ultima fase della transizione la Compagnia delle Indie Orientali fu sottoposta a un attacco dall’interno della stessa Gran Bretagna, e ad essa furono sottratti il monopolio dell’India nel 1813 e della Cina nel 1883. Alla compagnia, sulla scia della grande rivolta del 1857-1858 furono anche sottratte le funzioni amministrative e il subcontinente indiano fu formalmente incorporato nell’Impero Britannico. Punti di forza e di debolezza del capitalismo delle grandi imprese di stile olandese. Steensgaard spiega il successo della VOC in relazione al suo predecessore europeo nell’oceano indiano, il portoghese Estado da India. Quest’ultimo commerciava per rafforzare la capacità della corona portoghese di esigere tributi attraverso l’uso della violenza. Al contrario, la VOC usava la violenza per stabilire posizioni monopolistiche nei mercati regionali e mondiali in modo da realizzare profitti commerciali alti e permanenti. All’interno di questa strategia la mossa chiave fu l’acquisizione di uno stretto controllo sull’offerta di specie dell’oceano Indiano. La compagnia della VOC doveva stabilire un vero monopolio e riuscire laddove avevano fallito i portoghesi. Ciò nonostante, c’era una fondamentale differenza tra l’uso che della violenza fecero gli olandesi e i portoghesi. Mentre la violenza portoghese aveva innalzato i costi della protezione del commercio di spezie controllato dagli stessi portoghesi e quindi abbassato il loro margine di profitto, la violenza olandese innalzò i margini di profitto del commercio di spezie e simultaneamente lo accentrò nelle mani della VOC. L’inversione della relazione tra profitto e potere rese la VOC una fonte di denaro ampia e in apparenza inesauribile, a produrre straordinari profitti. Ma i grandi risultati della strategia della VOC erano dovuti tanto alle peculiarità dell’ambiente in cui essa operò quanto alla strategia stessa (la VOC si impadronì di Malacca, annesse le isole delle Spezie e schiavizzò le loro genti, si insediò nel capo di Buona Speranza, occupò Ceylon e conquistò Malabar). Il momento della sua riorganizzazione nel 1674, la WIC fu rimodellata sull’immagine della VOC e fu data priorità all’acquisizione del controllo sui beni strategici del commercio atlantico e al perseguimento del profitto. Se i beni strategici del commercio baltico erano i cereali e le forniture navali, e quelli del commercio dell’oceano Indiano erano le spezie di qualità, quelle del commercio atlantico erano gli schiavi africani. Mentre nell’oceano Indiano la VOC batté la competizione olandese e tenne la competizione inglese alla larga per più di un secolo, nell’Atlantico la WIC dapprima cedette ai portoghesi sul terreno dell’espansione territoriale e della colonizzazione, e poi cedette agli inglesi sul terreno del commercio triangolare atlantico. Ciò quindi aveva portato alla sconfitta degli olandesi nella battaglia per il monopolio del commercio degli schiavi che può essere ricondotta ad una combinazione di tre circostanze: il ristretto numero di colonie di insediamento stabilita dagli olandesi, il decrescente peso diplomatico-militare dell’Olanda, il continuare da parte degli olandesi ad affidarsi ad una società per azioni privilegiata (la WIC), quando già da tempo questo tipo di organizzazione era diventato obsoleto nel commercio degli schiavi, ed era già stato abbandonato sia dall’Inghilterra che dalla Francia. A rendere le cose peggiori per gli olandesi c’era il fatto che il commercio atlantico ed il commercio degli schiavi non erano attività propizie per le società per azioni privilegiate. Alla radice dei problemi delle compagnie vi era la difficoltà di imporre il proprio monopolio. Il procacciamento degli schiavi presupponeva la costruzione e il mantenimento di costose fortificazione sulla costa africana occidentale. I coloni americani si lamentavano costantemente del prezzo e della quantità dell’offerta, e i debiti contratti per gli schiavi comprati a credito si rivelarono difficili da estinguere. Le contraddizioni della supremazia commerciale olandese. Il fallimento dei tentativi olandesi di ripetere, attraverso la WIC, i successi ottenuti con la VOC, costituì una limitazione seria della supremazia commerciale olandese, ma non segnò la sua fine. Tuttavia nella prima metà del 1700 la supremazia commerciale olandese cominciò ad essere minata e la transizione dall’egemonia olandese a quella britannica nella sfera del commercio mondiale entrò nella sua seconda fase. Le tendenze tipiche di questa seconda fase possono essere analizzate focalizzando l’attenzione sul confronto tra la VOC e la Compagnia inglese delle mondiale al crollo del 1929, lo stesso sistema britannico subì radicali trasformazioni che lo resero più vicino al sistema corporativo, ma perse terreno nei confronti dell’emergente sistema americano. La transizione divenne completa nella terza fase, quando la ristrutturazione del sistema americano pose le basi del proprio dominio globale nell’epoca della guerra fredda. La sfida dell’integrazione verticale. L’economia delle grandi imprese del 20esimo secolo è figlia della Grande Depressione. L’intensificarsi delle pressioni competitive nel processo di liberalizzazione del commercio aveva portato a una riduzione dei profitti. Un modo semplice per arrivare ad un più ampio profitto senza una lotta disperata fu l’integrazione orizzontale: la fusione attraverso l’associazione, l’unione o l’acquisto di imprese che usavano gli stessi input per produrre gli stessi output per gli stessi mercati, attraverso cui le imprese in concorrenza riuscirono a ridurre le incertezze del mercato. Invece, un modo più complesso ma più efficace di porre sotto controllo la concorrenza, fu l’integrazione verticale, la fusione cioè delle operazioni di un’impresa con quelle dei suoi fornitori e dei suoi clienti. Le imprese verticalmente integrate guadagnarono decisivi vantaggi competitivi nei confronti delle imprese a singola unità o di quelle a più unità, ma meno specializzate. Le tendenze verso l’integrazione verticale e orizzontale si svilupparono in modo molto diverso nelle comunità imprenditoriali dei tre Paesi più importanti del tempo: la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e la Germania. Il mondo imprenditoriale tedesco diede vita al capitalismo organizzato. La comunità imprenditoriale britannica, al contrario, si mosse in entrambi le direzioni. Infine, tra questi due estremi ci fu il caso della comunità imprenditoriale statunitense capace di primeggiare nell’integrazione verticale. Nel cementare l’unità dell’economia interna e nel creare un apparato militare-industriale nazionale, il governo tedesco cercò l’assistenza di imprese in prima linea nell’industrializzazione di guerra allora in corso e soprattutto di 6 grandi banche. Le Grossbanken erano emerse dalla struttura personale ed interfamiliare del sistema bancario tedesco. Il loro dominio aumentò durante la depressione degli anni ’70. Alla vigilia della Grande Depressione il capitalismo di stampo familiare in Germania era ancora la norma, alla fine del secolo era diventato una componente subordinata di una struttura industriale centralizzata. Nei 2 decenni successivi la centralizzazione aumentò ancora attraverso l’integrazione orizzontale. L’economia interna tedesca cominciava ad assomigliare ad un’unica grande fabbrica. Invece, in Gran Bretagna c’era resistenza a separare gestione e proprietà. Nella maggior parte dei settori industriali, le imprese familiari rimasero dominanti. Alla fine del 19esimo secolo ci furono molte grandi fusioni in vari settori industriali. Ma le grandi imprese che ne risultarono rimasero sotto il controllo degli originali proprietari, con conseguenze disastrose per la riuscita e l’efficacia delle integrazioni. L’intero sistema imprenditoriale britannico fu intrappolato in un modello di sviluppo che non poteva abbandonare. La capacità dell’impresa britannica di adottare il tipo di ristrutturazione che stava alla base della rapida espansione tedesca e statunitense era limitata dalla struttura, decentralizzata e specializzata, ereditata alla sua precedente espansione industriale. Infatti, durante il XIX secolo, l’industria britannica aveva mostrato una forte tendenza alla fissione piuttosto che alla fusione dei sottoprocessi sequenziali di produzione e scambio. Dal 1780 circa fino alla fine delle guerre napoleoniche, industriali londinesi e non, avevano acquistato le proprie materie prime spesso negli Stati Uniti e nelle Indie occidentali. Durante la depressione economica che seguì la fine della guerra i manifatturieri britannici persero la loro capacità di competere nel commercio d’oltre oceano. La rapida diffusione dell’industria meccanizzata nel secondo quarto dell’ottocento fu associata con un’integrazione verticale ma, dopo il 1850 la tendenza si invertì. Nell’ultimo quarto del XIX secolo il sistema imprenditoriale britannico era un insieme di ditte di media grandezza altamente specializzate. Il principale svantaggio di questa struttura imprenditoriale volta verso l’esterno, decentralizzata e differenziata furono gli alti costi di transazione che però erano più che compensati dai vantaggi del suo essere localizzata nella densa rete di specialisti e dal suo essere connessa ai mercati del mondo intero. Più le imprese industriali britanniche si specializzavano localmente, più divennero dipendenti dai grandi importatori. Il dirottamento dei flussi di denaro dalla produzione ai prestiti finanziari e alla speculazione fu molto più importante nel determinare il risultato finale della crisi del sistema imprenditoriale britannico. Fu negli Stati Uniti che la tendenza verso l’integrazione verticale si sviluppò con maggior successo. Inizialmente il tentativo di controllare le pressioni competitive del tardo ’800 indusse gli Stati Uniti ad andare nella stessa direzione della Germania, cioè verso la formazione di integrazioni orizzontali tese al contenimento della competizione. Negli anni ’80 e ’90 del 1800, le strutture in mutamento dell’impresa tedesca e statunitense cominciarono a divergere in maniera radicale. In Germania le opportunità di integrazione verticale si esaurirono rapidamente e il cuore della centralizzazione del capitale divenne l’integrazione orizzontale. Negli Stati Uniti al contrario si passò all’integrazione verticale. La crescita non fu limitata al mercato interno statunitense. Le compagnie statunitensi divennero multinazionali non appena ebbero completato la loro integrazione continentale. Nel 1902 gli europei stavano già parlando un’invasione americana e nel 1914 l’investimento diretto degli USA oltreoceano ammontava al 7% del loro pil. Il declino del sistema imprenditoriale britannico. Con l’intensificarsi della concorrenza nella produzione agro-industriale l’impresa britannica si specializzò nell’intermediazione finanziaria globale. L’impresa tedesca, incapace di competere con l’impresa britannica si mosse invece nella direzione della formazione di un’economia nazionale incoraggiata dal governo tedesco, l’impresa tedesca spinse al massimo l’integrazione verticale e orizzontale per generare un’economia altamente centralizzata. La comunità imprenditoriale statunitense si mosse in una direzione distinta tanto da quella britannica che da quella tedesca: creò in molte industrie, attraverso l’integrazione verticale, gerarchie manageriali molto articolate. Fino alla prima guerra mondiale, il capitalismo familiare, rimase la forma di impresa centrale e dominante del sistema capitalistico mondiale. Alcuni settori dell’impresa britannica percepirono i progressi statunitensi e tedeschi nella produzione industriale come una sfida al loro dominio economico all’interno e all’estero. L’allarme per l’invasione americana fu lanciato dapprima in Gran Bretagna, ma la paura della concorrenza tedesca non fu meno acuta. La Germania doveva aumentare la produzione industriale quasi tre volte più velocemente della Gran Bretagna per ottenere un guadagna relativamente modesto in valore aggiunto. L’ascesa della potenza industriale tedesca rappresentò certamente una seria minaccia per la sicurezza nazionale britannica e per il suo potere mondiale, ma finché quella minaccia non si concretizzò nelle forme di uno scontro militare la supremazia britannica nei processi globali dell’accumulazione di capitale rimase incontestata. Anche allora, non fu il capitalismo tedesco delle grandi imprese che cominciò a spodestare il capitalismo familiare britannico, ma quello degli Stati Uniti. Nel mezzo secolo precedente la prima guerra mondiale, gli Stati Uniti, a differenze della Germania, avevano raggiunto e sorpassato la Gran Bretagna, non solo nella produzione industriale, ma anche nel reddito totale e pro-capite. La sovrabbondante liquidità che passava tra le mani britanniche fu un potente strumento nella battaglia competitiva che scaturì dalla diffusione dell’industrializzazione del sistema capitalistico mondiale. Ciò che alla fine distrusse la centralità e la vitalità del capitalismo familiare britannico non fu la competizione di mercato, ma lo scontro militare. La prima guerra mondiale e le sue conseguenze giocarono quindi un ruolo decisivo nell’accelerare il crollo del sistema britannico di impresa familiare e nella corrispondente ascesa del sistema della grande impresa statunitense, ma ci volle ancora un’altra Grande Depressione, un’altra grande guerra mondiale prima dell’emergente sistema statunitense acquisisse le capacità necessarie per diventare dominante su scala mondiale. La guerra determinò una grande redistribuzione di potere di acquisto dal resto del mondo agli Stati Uniti. Giunti al 1919, il processo di spostamento delle strutture del capitalismo familiare negli Stati Uniti era quasi completo. Alla fine della prima guerra mondiale, l’emergente sistema statunitense del capitalismo delle grandi imprese era giunto al punto in cui doveva contare solo su sé stesso. Poteva espandersi solo sulla base della sua stessa vitalità. L’affermazione mondiale del capitalismo delle grandi imprese di stile statunitense. Le imprese statunitensi andarono in contro a una profonda riorganizzazione caratterizzata dalla diversificazione e dalla conseguente adozione di una struttura organizzativa multi-divisionale, ossia articolata in divisioni operative autonome e integrate, e in un ufficio centrale responsabile del controllo o della pianificazione del lavoro delle divisioni e dell’intera società. La struttura organizzativa multi-divisionale che era emersa negli anni ’20 del 1900 sorse dal bisogno di imprese già dominanti di sperimentare nuove linee di prodotti e nuove aree di mercato. Tuttavia quest’operazione richiedeva ulteriori investimenti fissi per mantenere in attività le strutture di ricerca e sviluppo. La struttura multi-divisionale ricreava quindi il bisogno di diversificare le operazioni che erano alla sua origine. Oltre a diversificare il prodotto e ad agire su diversi mercati, il capitalismo statunitense andò anche nella direzione del produrre i clienti. Il consumismo emergeva così nel corso degli anni ’20 come uno strumento aggressivo di sopravvivenza dei grandi gruppi capitalistici. La pubblicità divenne la principale arma nella guerra delle imprese. Sostenuti da un potere di acquisto insufficiente, i nuovi bisogni creati dalla pubblicità non si tradussero in un incremento di domanda effettiva sufficiente a sostenere un’espansione redditizia della produzione di massa. L’emergente sistema statunitense delle grandi imprese era giunto al punto in cui la sua esistenza o la sua scomparsa dipendevano solo dalla sua dinamica interna, e non aveva superato la prova. L’altra grande depressione degli anni ’30 non invertì la tendenza a stimolare il consumo attraverso la pubblicità. Il suo effetto principale fu invece di indurre le grandi imprese a moltiplicare i proprio sforzi per riacquistare una certa flessibilità verso il mercato, attraverso il subappalto a fornitori esterni. Questa strategia non diede risultati migliori nel sostenere un’espansione redditizia della grande impresa statunitense. Ciò che tirò fuori la grande imprese statunitense dal baratro della grande depressione fu la massiccia spesa governativa durante e dopo la seconda guerra mondiale. La produzione di massa dipende dal consumo di massa e nulla assicura questo consumo quanto la distruzione organizzata. La guerra è la salute della macchina. Dopo la guerra il massiccio deficit di spesa in armamenti fu istituzionalizzato, secondo James O’Connor, come lo stato sociale-militare. Spese militari combinate con l’impegno del governo federale resero profittevole le innovazioni strategiche e strutturali introdotte dalle imprese statunitensi negli anni ’20 e ’30. La forma multi-divisionale dell’organizzazione divenne uno strumento chiave per soddisfare la domanda del governo federale di attrezzature scientifiche avanzate e militari. Negli anni della guerra fredda, il governo americano richiese una vasta gamma di ordigni, aerei, missili, fucili, carri armati e commissionò tanto reattori nucleari quanto navi spaziali. Alla fine della seconda guerra mondiale, i consumi dello stato contribuirono a creare una occupazione apparentemente stabile in ampi settori della popolazione che prima erano afflitti dall’insicurezza e dalla paura della povertà sempre in agguato. La pubblicità di massa televisiva stava portando gli stereotipi di consumi fino agli angoli più reconditi della vita familiare. Le grandi imprese statunitensi divennero multinazionali non appena ebbero completato la loro integrazione continentale. Tuttavia negli anni ’30 e ’40 la depressione e la guerra rallentarono tale tendenza. Il governo statunitense svolse un ruolo di sostegno all’espansione transnazionale delle grandi imprese statunitensi poiché fornì loro protezione politica e militare, contribuì a rendere l’Europa Occidentale lo sbocco principale degli investimenti diretti esteri e statunitensi. La nuova Europa doveva includere la Germania reindustrializzata, poiché un’Europa sana doveva essere organizzata in un mercato grande a sufficienza da giustificare i metodi moderni di produzione di massa a bassi costi. Il governo statunitense attraverso il sapiente uso di incentivi economici (tra cui spicca il piano Marshall) promosse la cooperazione europea e la riduzione delle barriere economiche interne all’Europa, fornì incentivi ulteriori per l’integrazione economica europea e per gli investimenti esteri. La motivazione fondamentale per sostenere l’unificazione economica dell’Europa occidentale era politica: la sicurezza dell’occidente dal pericolo rappresentato dall’Unione Sovietica. Circa 25 anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, l’impresa multi- divisionale e multinazionale divenne il modello che si tentata di imitare in tutto il mondo. La sfida americana non era tanto finanziaria o tecnologica ma organizzativa, lo sviluppo sul suolo europeo di una tecnica dell’organizzazione alla quale noi restiamo estranei. La doppia crisi del capitalismo delle grandi imprese di stile statunitense. L’intensificazione delle rivalità tra superpotenze e l’emergere di nuove sedi di potere andavano di pari passo ad una intensificazione della concorrenza tra imprese e all’emergere di nuovi stati di impresa. La principale caratteristica del modello emergente è la sua informalità, in netto contrasto con la formalità del modello prima dominante, basato sulle sue capacità regolatrici. Il trionfo della produzione di massa non fu né completo né irreversibile. Infatti, tale processo trionfale, potrebbe ora essere sul punto di invertirsi. Si disse che la piccola impresa fosse in grado di sopravvivere e prosperare senza alcun bisogno di sfruttare le economie interne di cui la grande impresa disponeva. Sono le grandi imprese ora ad essere in crisi, mentre le piccole crescono. La grande impresa, nota Harrison, cominciò ad essere dipinta come una sorta di “dinosauro” sempre meno capace di competere in un mondo post industriale caratterizzato da domanda da parte dei consumatori, crescente competizione internazionale e necessità di forma più flessibili di lavoro e di e di interazione tra imprese. La trasformazione del sistema di impresa dominante è inseparabile dalla costante evoluzione del sistema, da transizione a transizione. Quindi, le società per azioni privilegiate erano agenzie surrogate per aprire e penetrare mercati lontani. Alla fine, le compagnie furono messe fuori gioco. Ma le attività innovative della WIC e della Compagnia Reale Africana nello stabilire il commercio triangolare atlantico e della VOC e delle Compagnia inglese delle Indie Orientali nel gettare le basi dell’imperialismo europeo in Asia, prepararono il terreno su cui il capitalismo familiare britannico crebbe ricco e potente. L’ascesa della grande impresa statunitense del 1900 era fondata tanto sulla realizzazione del pieno potenziale del capitalismo famigliare britannico del 1800, quanto sui suoi limiti. Questo sistema promosse la rapida diffusione della meccanizzazione senza cui l’economia statunitense non avrebbe avuto né lo stimolo, né i mezzi per integrare verticalmente e per espandersi. Quindi il capitalismo statunitense delle grandi imprese multinazionali divenne dominante nel mondo in maniera diversa rispetto alle circostanze che avevano visto sorgere il capitalismo delle società per azioni privilegiate. Queste L’aumento di imprese e comunità d’affari transnazionali è una caratteristica nuova e irreversibile della presente crisi egemonica. Essa è stata un fattore importante nella disintegrazione dell’ordine egemonico statunitense e si può prevedere che continui a incidere sul mutamento sistemico in corso attraverso una perdita di potere degli stati. Le espansioni finanziarie dell’intero sistema costituiscono una tendenza ricorrente del capitalismo mondiale dalle sue prime origini nell’Europa tardo medievale fino a oggi. Le società per azioni privilegiate che si formarono e si espansero sotto l’egemonia olandese fallirono e furono eliminate nella transizione all’egemonia britannica. Questa organizzazioni simili a governi, erano state autorizzate ad espandersi in aree in cui per gli stati stessi sarebbe stato troppo rischioso o costoso da operare direttamente. Il sistema delle imprese a carattere familiare, che si espanse sotto l’egemonia britannica, era profondamente radicato nelle strutture a livello mondiale dell’impero britannico, che crollò quando l’Impero britannico crollò. Ma la diffusione della meccanizzazione promossa da questa sopravvisse come base del sistema delle società multinazionali formatesi sotto l’egemonia statunitense. Il sistema delle società multinazionali è l’immagine speculare del sistema delle società per azioni privilegiate. Solo in Asia orientale le strutture statali indigene sopravvissero al violento assalto occidentale, queste eccezioni sono le città-stato e gli stati semi sovrani dell’arcipelago capitalista dell’Asia orientale che sono diventati ricchi sotto lo scudo protettivo del regime militare unilaterale degli USA nella regione. Questi stati hanno agito come organizzazioni d’affari e hanno cercato l’integrazione tra di loro. L’integrazione economica transnazionale più aperta dell’Asia orientale si fonda su disparità di ricchezza fra gli stati e tende a riprodurle in misura molto maggiore rispetto all’integrazione meno aperta che avvenne in Europa. La tendenza principale è quella di un accrescimento più che un indebolimento di potere. Le forze dell’economia transnazionale stanno indebolendo il potere degli altri. Ma contemporaneamente alcuni stati hanno accresciuto il loro potere. La differenza è che gli stati che in passato accrebbero il loro potere erano leader nell’organizzazione e istituzionalizzazione interne, mentre quelli che adesso accrescono il loro potere non lo sono. La leadership di questo organismo era invisibile ma fu proprio sotto uno di questi organismi che nacque il sistema di Westfalia. QUARTO ENUNCIATO. La perdita di potere dei sistemi sociali, in particolare del movimento operaio, che ha accompagnato l’espansione finanziaria globale degli anni ’80 e ’90, è un fenomeno congiunturale. È il segno delle difficoltà che comporta il mantenimento delle promesse del New Deal globale patrocinato dagli USA. Una nuova ondata di conflitti sociali è probabile. In entrambe le passate transizioni egemoniche le espansioni finanziare dell’intero sistema contribuirono ad una escalation del conflitto sociale. La redistribuzione dei redditi e i cambiamenti nella scala sociale provocarono resistenza e ribellione da parte dei gruppi. Questi movimenti finirono per costringere i gruppi dominanti a formare n nuovo blocco sociale egemonico. Nella transizione dall’egemonia olandese a quella britannica, l’aspirazione delle classi possidenti europee a una maggiore rappresentazione politica e l’aspirazione delle borghesie dei coloni delle Americhe all’autodeterminazione furono conciliate in un nuovo blocco sociale dominante. Sotto l’egemonia britannica la schiavitù fu abolita. L’Europa in generale e la Gran Bretagna in particolare godettero di sbocchi illimitati per l’emigrazione dei diseredati. Uno dei principali luoghi di immigrazione furono gli Stati Uniti, in via di rapida industrializzazione, che quindi godettero di riserve di forza lavoro illimitate. Con la transizione all’egemonia statunitense il blocco sociale egemonico fu allargato con la promessa di un new deal globale. Alle classi operaie dei Paesi più ricchi dell’Occidente furono promessi la sicurezza dell’impiego e d elevati consumi di massa. Alle élites del mondo non occidentale furono promessi il diritto alla autodeterminazione nazionale e allo sviluppo, ma tutte queste promesse non furono mantenute. La crisi dell’egemonia olandese fu un processo lungo in cui l’espansione finanziaria avvenne tardi e il conflitto sociale ancora più tardi. La crisi dell’egemonia britannica si sviluppò più rapidamente, ma l’espansione finanziaria precedette il conflitto sociale. Nella crisi dell’egemonia statunitense, l’esplosione del conflitto sociale alla fine degli anni ’60 e inizi degli anni ’70 precedette e incise sulla successiva espansione finanziaria. L’esplosione del conflitto sociale provocò fuga di capitali che rappresentò un voto di sfiducia nelle capacità degli USA e degli alleati europei. Questo voto di sfiducia aggravò la crisi dell’egemonia statunitense. La situazione registrò un’inversione di tendenza solo in seguito alla rivoluzione iraniana, quando il governo degli USA cominciò a concorrere nei mercati finanziari mondiali per i capitali necessari ad intensificare la corsa agli armamenti con l’URSS e ridurre la pressione fiscale interna. Alle radici della crisi attuale individuiamo un problema sociale al livello del sistema. L’espansione finanziaria e la ristrutturazione dell’economia politica globale sono riuscite a disorganizzare le forze sociali che erano portatrici delle richieste nelle sollevazioni della fine degli anni ’60 e ’70. La ristrutturazione globale sta trasformando la forza-lavoro maschile nella produzione di massa nei paesi avanzati in una specie in via di estinzione. È difficile dire quali forme assumerà il conflitto sociale. Lo spostamento delle donne dalle case agli uffici è stato fondamentale nella seconda metà del 1900, solo nei Paesi ricchi. Nell’economia globale in generale il più grande spostamento è stato quello di uomini e donne dalle campagne alle fabbriche che fu promosso da una varietà di stati e organismi internazionali a favore dello sviluppo. Dalla metà degli anni ’80 la Cina è stata il luogo chiave dell’espansione industriale e della formazione di una nuova classe operaia. Quindi, alla base delle nostre esperienze dovremmo aspettarci che anche in Cina emerga un movimento operaio e data la sua dimensione e centralità questo movimento avrà un enorme impatto sulla traiettoria della transizione nel suo insieme. QUINTO ENUNCIATO. Lo scontro tra civiltà occidentali e non è alle nostre spalle. Ciò che abbiamo di fronte sono le difficoltà della trasformazione del mondo moderno in una comunità di civiltà. Quanto drastica e dolorosa sarà questa trasformazione dipende da 2 condizioni: quanto intelligentemente i centri principali della civiltà occidentale saranno capaci di adattarsi ad una posizione meno eminente, e se i centri principali della riemergente civiltà imperniata sulla Cina saranno all’altezza del compito di fornire soluzioni ai problemi lasciati dall’egemonia statunitense. Lo scontro tra civiltà occidentali e non occidentali è stata una costante del processo storico attraverso cui il sistema mondiale moderno da europeo si trasformò in globale. Tutte le importanti nazioni della ragione da Giappone, Corea e Cina a Vietnam, LAOS, Cambogia e Thailandia erano tutte già diventate nazioni prima dell’arrivo degli europei. Le linee di frattura tra le sfere di influenze statunitense e sovietica nella regione erano cominciate a crollare prima per la ribellione cinese contro la dominazione sovietica e poi per il fallimento degli USA di dividere il Vietnam. Una caduta imminente dell’occidente dei vertici del sistema capitalistico mondiale è probabile perché gli stati leader sono prigionieri dei percorsi di sviluppo che hanno fatto la loro fortuna sia politica sia economica. Al tempo delle loro crisi egemoniche, sia gli olandesi sia gli inglesi si addentrarono nel percorso di sviluppo he aveva fatto la loro fortuna e non abbandonarono il percorso prestabilito fino al crollo del sistema mondiale. Il sistema internazionale crolla non solo perché nuove potenze non controbilanciate cercano di dominare i loro vicini ma anche perché le potenze in declino invece di adattarsi cercano di cementare la loro predominanza trasformandola in una egemonia sfruttatrice. Oggi non ci sono potenze aggressive che possono provocare il crollo del sistema mondiale controllato dagli USA, che hanno la possibilità di trasformare la loro potenza egemonica in declino in una dominazione sfruttatrice. È essenziale che emerga una nuova leadership globale dei principali centri dell’espansione economica dell’Asia orientale che dovrà essere disposta, dimostrarsi all’altezza del compito, di fornire soluzioni ai problemi a livello di sistema. Nelle passate transizioni egemoniche gruppi dominanti intrapresero con successo il compito di modellare un nuovo ordine mondiale solo dopo gravissime guerre, caos a livello del sistema e pressioni da parte di movimenti di protesta. Le contraddizioni sociali giocheranno un ruolo decisivo nell’incidere sia sullo svolgersi della transizione sia su qualunque nuovo ordine che emerga. Se però movimenti saranno improntati dall’escalation di violenza è una questione aperta. La risposta è nelle mani dei movimenti.
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