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Riassunto: Cercare la strada - Jurij Michajlovič Lotman, Sintesi del corso di Semiotica

Riassunto del libro "Cercare la strada" di Jurij Michajlovič Lotman

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 19/02/2024

noemi.fil
noemi.fil 🇮🇹

4

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24 documenti

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Scarica Riassunto: Cercare la strada - Jurij Michajlovič Lotman e più Sintesi del corso in PDF di Semiotica solo su Docsity! Premessa Tutta l’esistenza pensante dell’umanità è punteggiata dagli stessi eterni interrogativi: chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo? Interrogativi ineludibili, a cui non si danno risposte se non effimere. Vi sono però epoche il cui l’urgenza della riflessione sul senso e sui percorsi della storia umana si fa impellente: epoche di transizione. Una domanda ben posta, o un dubbio profondamente vissuto sono più fecondi di risposte consuete. Davanti a noi si aprono più strade. Occorre scegliere. Scelta è l’intersezione di dubbio e conoscenza. Suo fondamento l’analisi di errori e delusioni. La memoria diventa cronaca di errori. Il dubbio rappresenta la prima parte, puramente negativa, dell’impresa; se non si combina con la scelta di nuovi orientamenti, se non si fonde con l’analisi e l’azione, può essere distruttivo. La nostra epoca, così dinamica, è avara nel concederci tempo: pochi attimi nel valutare il passato, scegliere la direzione, passare all’azione. In questi casi occorre tenere conto di tutte le esperienze, esprimere tutte le proposte, pensare a tutte le possibilità. Capitolo 1 - Cercare la strada Fin dalla più remota antichità popoli diversi hanno visto nell’immagine del fiume e della strada un simbolo della vita umana. L’idea base è quella del movimento finalizzato, della traiettoria: nella coscienza simbolica il fiume o la strada incarnano il concetto di durata, di estensione lineare, e si contrappongono a ciò che nello spazio si espande. L’immagine del fiume è più arcaica: la strada si complica spesso di concrete caratteristiche storiche. Il fiume simboleggia la vita in quanto tale, la lunghezza senza larghezza, il movimento verso l’ignoto. L’immagine del fiume è alla base delle concezioni della maggioranza degli storici che vedono nel movimento il fondamento della storia stessa. Ma con una differenza radicale: se per Aristotele la dinamicità costituisce l’essenza dell’esistenza materiale, per Platone questa stessa essenza ideale è protocausa del mondo materiale. A partire da Voltaire e dagli illuministi del 18esimo secolo la scienza storica ha immutabilmente visto la storia come un processo. Il movimento veniva considerato uno stato transitorio posto tra la staticità originaria e un punto finale, la fine della storia, anch’esso per sua natura statico. L’inizio e la fine erano lasciati ai filosofi, l'intervallo tra i due competeva agli storici. L’illuminismo partorì la convinzione che lo storico-documentarista, dedito alla raccolta dei documenti o dei fatti documentalmente accertati, fosse al servizio dello storico-filosofo, e che solo a quest’ultimo spettasse ordinare i materiali in costruzioni storiche ben strutturate. La storia risultava dalla sintesi di fatto e senso. Questo punto di vista ha fruttato alla scienza storica grandi conquiste. È diventata parte integrante della disciplina, la convinzione che lo storico ristabilisca il nesso tra fatto e senso: la ricerca del senso è insomma fine ultimo e obiettivo supremo della scienza storica. Comprendere il senso equivale a comprendere un linguaggio. Il mistero della storia è nel mistero della sua lingua. Rappresentanti di diverse tendenze storiografiche lavorano alla soluzione di uno stesso problema: la comprensione del linguaggio della storia. Ogni linguista sa che il primo passo verso la decifrazione consiste nell'identificazione degli elementi significanti e nell’eliminazione di quelli accidentali. Le divergenze tra diverse scuole storiografiche si riducono di fatto alla divergenza nella valutazione di cosa sia portatore di informazione, e cosa non lo sia; cosa sia oggetto del discorso e cosa sia accidentale, inessenziale, variabile. Gli storici del secolo dei Lumi ritenevano che portatori di senso storico fossero le strutture politiche degli stati e il loro livello di cultura o superstizione. Gli storici romantici hanno considerato storicamente significanti avvenimenti e fatti portatori dell’idea storica. Su questa base Hegel ha dichiarato storicamente inesistenti intere epoche e popoli. Alla metà del 19esimo secolo si ebbe la svolta verso il materialismo, collegata alla ricerca di ciò che è “autenticamente storico” nella sfera materiale: dalla cultura materiale dei popoli alle leggi economiche. Il materialismo economico vedeva le basi della storia nella produzione e nelle relazioni sociali che da questa sono determinate. Oggi le discussioni sulla “primarietà” o “secondarietà” dei vari livelli della storia appartengono a una fase superata. Posta quest’ultima in tutt’altro modo, si è trovata la via d’uscita. Lo smembramento dei diversi aspetti della vita e delle diverse sue forme di esistenza in compartimenti stagni: fisica, biologia, linguistica ecc., è stato minato alla base da nuovi indirizzi di ricerca che vanno riscontrando leggi generali in queste sfere apparentemente così differenti. La semiotica, scienza che si occupa della natura e della trasmissione dell’informazione, ha annunciato la nascita di un nuovo pensiero scientifico. La teoria dell’informazione fu uno dei ponti che dovevano ricongiungere settori del sapere apparentemente non unificabili. Ma prima di parlare della semiotica, occorre fare un passo indietro. Occorre tornare all'inizio degli anni ‘20 e soffermarci su due modelli storico-culturali elaborati in quel tempo in Russia: il modello sociologico e il metodo formale. Il modello sociologico, nelle sue diverse varianti, colloca le dinamiche sociali al di fuori dei confini dell’arte, al cui interno esse troverebbero soltanto riflesso. Gukovskij costruiva il suo modello sul presupposto che alla base dell’arte stessero strutture filosofiche, idee (statalità nel classicismo; individualità nel romanticismo; popolo nel realismo). Secondo questa concezione, ogni periodo sarebbe organizzato al proprio interno da un’idea unica, e dunque caratterizzato da un’immanente unitarietà. Ogni nuova tappa rappresenta l’antitesi dinamica di quella precedente, e in quanto tale è prevedibile. Una variante di modello sociologico opposta alla prima è quella dei “sociologi” (tra cui Piksanov). La subordinazione dell’arte agli altri fenomeni sociologici domina di gran lunga sulla sua specificità: l’ “artisticità” può solo oscurare o sottolineare la sostanza di classe. Le posizioni di Gukovskij e quelle di Piksanov erano in un certo senso contrapposte. Per Gukovskij alla base dell’arte erano idee, modelli filosofici, visioni del mondo, che parlavano nella lingua dell’arte e non ne erano separati: l’idea di Gukovskij si realizzava soltanto nella struttura artistica. Per Piksanov invece l’idea era qualcosa di autosufficiente, autonomo e del tutto svincolato dai mezzi artistici: si riduceva di fatto alle dirette affermazioni politiche dello scrittore. Il metodo formale e la semiotica. Il formalismo russo e la semiotica di Saussure nascono da una stessa esigenza, quella di introdurre nelle scienze umane descrizioni di maggiore esattezza e di avvicinarle ad altri settori del sapere in rapido sviluppo. Gli indirizzi di ricerca precedenti vedevano nella lingua, nelle strutture artistiche, nell’arte, dei vetri trasparenti, attraverso cui lo studioso doveva esaminare strutture ben più profonde e sostanziali: le costruzioni filosofiche, per gli hegeliani, le strutture economiche per i sociologi. Il testo, la sua lingua e la sua artisticità, era come una stagnola di caramella che va scartata e buttata via, alla scoperta del “contenuto”. Il formalismo e la semiotica di Saussure condividevano invece la convinzione che il cosa specificità. Es. il modello per cui tutto ciò che si trovava oltre i confini di Roma veniva definito barbaro ed escluso dalla sfera della cultura identificava necessariamente il cittadino romano con l’ideale della correttezza e regolarità. Ciò che è proprio perdeva specificità perché sentito come valore universale, si dissolveva nelle categorie generali della cultura umana. Scorretto, irregolare era allora l’ “altrui”, ciò che si trovava al di fuori del sistema. Solo la dislocazione del punto di vista al di fuori, in uno spazio esterno a sé, permette di cogliere la specificità di ciò che è regolare. Le prime descrizioni della specificità di un popolo sono sempre opera di stranieri. È possibile anche il contrario: staccandosi dal proprio ambiente l’uomo si immerge nel mondo “altrui” proprio perché è alla ricerca dell’insolito. Questa è la posizione tipica dei romantici: ciò che è proprio è sentito come "volgare", banale. Il passaggio alla sfera “altrui” è concepito come rinnovamento. La rottura con ciò che è proprio, consueto, si compie di fatto nella sfera della coscienza di sé: staccandosi dal mondo “volgare” l’uomo costruisce la propria antitesi e la scambia per la realtà. Il passaggio nel nuovo mondo di fatto non ha luogo. Gli illuministi del 18esimo secolo consideravano punto qualificante il fatto di aderire o meno al mondo naturale; per un romantico invece tema principe diventa quello della solitudine tragica. Lotman prende come esempio due protagonisti della cultura russa: Pecerin e Herzen. La vita di Pecerin fu tutta costruita in modo da costituire l’immagine ideale del “pellegrino russo”, perennemente alla ricerca di qualcosa, perennemente disilluso, in una catena di continua negazione e fuga dal proprio mondo e di interesse per quello altrui. Questo è uno dei tratti costanti dell’eroe romantico. Ma ciò che per il poeta romantico costituiva una posa letteraria, una immagine romantica di sé limitata alla sfera della poesia, divenne per Pecerin un concreto programma di vita. Ciò che più conta nella psicologia di Pecerin è non ciò a cui va incontro ma ciò con cui rompe: il suo è un itinerario tragico non diretto verso qualcosa, ma proveniente da qualcosa. Un personaggio alla Pecerin vive se stesso come una personalità eccezionale, un reietto, collocato al di fuori di qualunque gruppo sociale. La visione del mondo di Herzen è opposta a quella di Pecerin, ha una sua stabilità, fermezza, logica interiore. Ma per la psicologia culturale entrambi rompono con la realtà. Il modello ideale di “socialismo russo” creato da Herzen si basa sulla non accettazione della realtà in favore di un programma il cui valore è dato proprio dal suo essere irreale. L’esigenza di rompere con la realtà costituisce la base psicologica dell’emigrazione russa in questo fenomeno storico. Il tentativo di sottrarsi alle persecuzioni e di trovare un luogo in cui vivere al sicuro era del tutto marginale: sostanziale per l’emigrazione russa era invece cercare di entrare in un mondo altrui, che permettesse di creare un riflesso utopistico del proprio. Il distacco dalla realtà costituiva l’essenza stessa del fenomeno emigrazione. Non solo rappresentava un caso particolare di quel legittimo processo di inversione di posto tra proprio e altrui, in cui il proprio viene percepito come altrui e viceversa. Si tratta di un processo estremamente serio: lo scambio costante di posizioni tra proprio e altrui rappresenta uno dei meccanismi fondamentali della dinamica culturale (tenendo conto del fatto che l’altrui è qui una costruzione della propria cultura, e che a questa cultura appartiene). I processi di cui abbiamo parlato fin qui hanno carattere di prevedibilità. Si tratta quasi sempre di processi prevedibili rivoltati: il sistema stabile determina il comportamento collettivo nel suo complesso, la sua antitesi è prescritta dall’individuo. Ciò introduce dinamicità e relativismo nella percezione del sistema vigente. I processi storici reali prevedono la presenza di almeno due sistemi culturali che sono l’uno l’altrui dell’altro, che si basano cioè su principi radicalmente diversi. Di fatto, di fronte a noi sta sempre una moltitudine di sistemi diversi, di cui alcuni sono abbastanza vicini tra loro, o almeno traducibili l’uno nell’altro; altri, invece, proprio perchè intraducibili l’uno nell’altro, funzionano come “altrui”, sono del tutto estranei. La dinamicità della cultura è frutto della coesistenza, all’interno di un medesimo spazio culturale, di diverse lingue, legate da gradi diversi di affinità e traducibilità o, viceversa, di estraneità e intraducibilità. Quanto più denso e affollato è lo spazio culturale, tanto più complesso ed eterogeneo sarà il sistema che ne deriva, e tanto più vaste saranno le riserve interne di informazione e il processo di sviluppo. Tuttavia, questo processo è regolare, cioè si compie nei limiti della legittimità o quanto meno in quelli di una certa prevedibilità, e ha carattere di evoluzione continua e senza scosse. Tutt’altra natura e principi contraddistinguono i processi esplosivi. Capitolo 3 - Processi esplosivi Processi ciclici e processi graduali danno origine a situazioni prevedibili. Dalle situazioni prevedibili non scaturisce niente di radicalmente nuovo. La novità è il risultato di situazioni imprevedibili per principio. La situazione imprevedibile non è qualcosa che sfugge ai rapporti di causa-effetto: la prevedibilità è funzione del livello delle nostre osservazioni. Ciò che in una data situazione appare impossibile per principio è escluso in partenza dalla sfera della prevedibilità, dove per prevedibile si intende uno spettro di eventi probabili ognuno dei quali ha pari possibilità di realizzarsi nel futuro. Il momento dell’esplosione interrompe la catena delle cause e degli effetti e proietta in superficie uno spazio di eventi parimenti probabili di cui è impossibile per principio dire quale si realizzerà. Il momento dell’esplosione si colloca in una dimensione quasi atemporale, all’intersezione tra passato e futuro. La sua natura muta in dipendenza del punto di vista da cui si pone l’osservatore che lo descrive. Se lo sguardo è orientato in avanti a partire dal momento dell’esplosione, l’osservatore si trova di fronte un intero spettro di eventi ugualmente probabili e, in un futuro ancora più lontano, diversi percorsi di sviluppo di un sistema. Ogni volta che la storia mette in gioco la probabilità noi ci troviamo ad un bivio. Trattare la regolarità e legittimità di un avvenimento come fatalità esclude di fatto l’imprevedibilità: l’intero processo storico si trasforma allora in un movimento lineare. Questo modo di vedere le cose è il naturale risultato del fatto che a creare la scienza storica sono stati filosofi e storici: lo storico è per definizione una persona che considera gli avvenimenti in prospettiva e li descrive dal punto di vista di un presente rispetto al quale essi sono un passato già compiutosi. L’approccio stesso deforma così il materiale: la realtà muta a seconda del punto di vista da cui la osserviamo. Se dal presente guardiamo al futuro individuiamo in questo presente uno spettro di possibilità tutte ugualmente probabili: il presente contiene in potenza tutte le possibilità che possono realizzarsi. Prendere il futuro in modo univoco è, nel momento stesso dell’esplosione, impossibile: nessun avvenimento è univocamente prevedibile. Basta però volgere lo sguardo in direzione opposta, dal presente al passato, perché tutte le possibilità non realizzatesi cadano. I processi esplosivi rappresentano la realizzazione di una sola possibilità tra tutte quelle parimenti probabili. Il momento di tale realizzazione è anche il momento in cui ha fine l’indeterminatezza: subito dopo il corso degli eventi torna a essere regolato dal meccanismo delle relazioni causa-effetto. Lo studio della storia mostra con assoluta evidenza che i processi storici ignorano per principio la simmetria tra movimento in una direzione e movimento contrario. Però, il processo storico possiede una sua specificità, legata alla presenza della coscienza: una volta divenuto atto, comportamento, l’elemento imprevedibile viene dotato di significato, munito di una motivazione aggiuntiva retroattiva. La ricostruzione storica retrospettiva interpreta il concatenarsi di certi avvenimenti come significativo e non casuale. L’esplosione di possibilità diverse introduce nello spazio culturale la casualità: le possibilità sono tutte probabili, prevederne le conseguenze è impossibile, anche perché l’esplosione interessa una sfera collocata sino a quel momento al di fuori della cultura. Il momento dell’esplosione non crea soltanto nuove possibilità, ma anche un’altra realtà, uno smottamento e una risemantizzazione della memoria. Dipende naturalmente dalla forza dell’esplosione e dall’estensione dello spazio culturale investito: a volte si tratterà di fatti isolati, altre volte ne saranno interessate intere epoche. In questo caso tra gli effetti di un’esplosione di particolare forza, che trapassa da una sfera in un'altra, ci sarà il problema della traduzione scorretta. Lotman prende come esempio la parola “rivoluzione”. È un termine entrato nell’uso scientifico per designare brusche trasformazioni geologiche. Alla fine del 18esimo secolo si trasferisce alla sfera politico-sociale, dove ebbe successo grazie alla sua imprecisione. Successivamente, questo termine si espande a tutta la storia della cultura divenendo un modello su cui si è informata la fisionomia di intere epoche. Tornando ai problemi di traduzione, vediamo qui che fenomeni diversi, una volta nominati, assumono una realtà sui generis, che a sua volta irrompe nell’oggetto e lo trasforma a propria immagine e somiglianza. Capitolo 4 - Popolo e massa Tutte le teorie socio-filosofiche comprendono una qualche forma di riflessione sulle relazioni che intercorrono tra la singola personalità umana e la massa. In generale, esse si sviluppano a partire dal postulato della possibilità di un'ideale fusione di individuo e massa. L’individuo e la massa sono visti come i due punti di partenza di qualsivoglia sistema. Nell’intervallo trovano posto tutte le varianti di struttura sociale umanamente possibili: da quella romantica con il suo culto della personalità, alle varie forme di collettivismo, che all’apoteosi della personalità contrappongono il culto della massa. Ma nessun “noi” o “loro” realmente esistente e umano è composto di unità geometricamente, fisiologicamente, psichicamente identiche. Il collettivo rappresenta sempre una sintesi complessa di affinità e diversità, è contemporaneamente “io” e “loro”. La perdita di uno qualsiasi di questi poli lo distrugge, trasformandolo o nell’unione casuale di particelle scollegate e incollegabili, o in una folla che soffoca l’ “io” di ciascuno. In alcuni casi una tendenza può dominare sull’altra. Un dispotismo eroico è un’utopia che può realizzarsi esclusivamente nell’immaginazione del suo creatore: tradurla in pratica è impossibile. Altrettanto irrealizzabile nella vita è la tendenza opposta, l’ideale romantico di un aristocratico individualismo. Qualunque tentativo di realizzare in pratica il modello romantico è legato alla traduzione di un qualche gruppo di persone realmente esistenti nella categoria di quelle “socialmente inesistenti”. Concetti come quelli di personalità o collettivo sono definiti dal senso complessivo della struttura in cui noi li inseriamo. Immaginiamoci una massa di persone che, trovandosi in una certa situazione, si comportino tutte allo stesso modo, scegliendo automaticamente la stessa reazione. Una massa così rappresenta un Per gli storici appartenenti a questa scuola chiave di volta è lo studio dei processi lenti, delle trasformazioni lente e impercettibili, e soprattutto delle invarianti storiche. La grande innovazione consisteva nel dare una storia a ciò che sino ad allora ne era stato privo. La novità del materiale e dell’impostazione metodologica ha determinato l’indiscusso valore di questa scuola, che ha conosciuto una ampia e veloce diffusione. D’altra parte, questa impostazione metodologica lascia fuori i processi esplosivi, che della lunga durata sono l’opposto. Inverso è stato il percorso della scuola di Tartu-Mosca. Mentre la scuola francese era nata nel seno della scienza storica e aveva naturalmente imboccato la strada verso la non-storia, la scuola di Tartu-Mosca nasceva dallo studio del linguaggio: non poteva quindi che tendere a fuoriuscire dai limiti delle strutture rigorosamente linguistiche. Partite da posizioni contrapposte, le due scuole non potevano che svilupparsi in direzioni opposte. Per la scuola di Tartu-Mosca il passaggio dai processi graduali a quelli esplosivi fu determinato dallo spostamento del centro dell’attenzione scientifica dalla linguistica alla semiotica dell’arte. L’arte è figlia dell’esplosione. L’opera d’arte nasce nel momento dell’esplosione e non può essere compresa se non si acquisisce consapevolezza della natura della sua nascita. Studiare i processi di lunga durata, dall'estensione plurisecolare, e studiare il lampo dell’esplosione, dalla brevità atemporale, sono dunque due aspetti dell’analisi storica che non solo non si escludono, ma si presuppongono l’un l’altro. Capitolo 6 - Scienza e tecnica Scienza e tecnica sono indissolubilmente legate. Si fondono così tanto nella nostra coscienza che a una considerazione superficiale può sembrare che si tratti della stessa cosa, che esse dipendano l’una dall’altra: dove c’è più tecnica la scienza si sviluppa meglio; il livello della scienza si misura dalle conquiste della tecnica. Scienza e tecnica sono strettamente legate, ma non perché siano sinonimi, al contrario: esse sono antitetiche, in quanto lo sviluppo di una può stimolare il successo dell’altra, ma può anche frenarlo o arrestarlo. Nel processo generale della cultura la scienza e la tecnica assolvono funzioni diverse. La tecnica è legata a processi organici graduali. Il suo progresso è prevedibile e molte sue conquiste vengono anticipate dalla scienza e dalla letteratura. La scienza appartiene invece al tempo dell’esplosione: una scoperta scientifica è sempre inattesa. È successo tante volte nella storia che nuove acquisizioni della tecnica venissero messe in pratica senza che l’importanza e il significato scientifico delle stesse venissero compresi dai contemporanei. Es. la polvere da sparo è stata usata per lungo tempo in Cina per i fuochi d’artificio. Scoperte che vengono riscoperte una seconda volta irrompendo nella vita come qualcosa di assolutamente inaspettato e introducendo trasformazioni radicali. A questo punto diviene necessario associare la scoperta a un inventore, prima non necessario. Lo sviluppo ottimale del progresso richiede una interrelazione armonica di scienza e tecnica. Queste due opposte tendenze della mente umana hanno bisogno l’una dell’altra, rappresentano l’una per l’altra il momento della valutazione e della critica. Ma nella realtà della cultura umana questa armonia è un fenomeno rarissimo. Il concentrarsi dell’attenzione pubblica sulle conquiste della tecnica, tipica del XX secolo, frena la scienza, poiché la società ne incoraggia soltanto quegli aspetti che sembrano di immediata utilità tecnica. Ma la tecnica è al servizio dell’oggi o al massimo del domani: il nuovo può venire solo dalla scienza, capace di muoversi in avanti secondo la logica dell’esplosione. La tecnica con i suoi risultati visibili e la sua verificabile utilità può farsi aggressiva, e pretendere di parlare a nome della scienza. Questo è particolarmente pericoloso quando a distribuire le risorse tra le due sono i burocrati di vario genere. Massimamente pericoloso quando la pianificazione della scienza è in mano a uno stato centralizzato. L’esistenza di qualcosa che non possa essere pianificato dal centro non solo provoca la sfiducia del burocrate, ma gli suona come un’offesa personale. Per questo la fusione di tecnica e burocrazia rappresenta la minaccia più diretta al progresso scientifico. Separare la scienza dalle tendenze generali della cultura e rinchiuderla in una sfera isolata è parimenti infecondo, anche se meno pericoloso in un mondo dominato dalla tecnica. La tecnica assorbe oggi le risorse pratiche, finanziarie e in ultima analisi statali, penetrare le basi stesse della vita si fa pericolosamente aggressiva. Sfruttando la secolare autorità della scienza e la confusa idea propria di chi guida gli stati che la scienza sia necessaria, la tecnica ha subdolamente creato una “scienza tecnica” che le obbedisce. Così, per esempio, è nata la scienza che studia l’utilizzazione delle potenzialità tecniche dell’energia atomica. La definiamo pseudoscienza perché alla sua base si sono poste delle incognite: lo sviluppo della tecnica nucleare non è stato stimolato per il sorgere di problemi oggettivi, la cui soluzione sarebbe altrimenti stata impossibile. Al contrario: prima è sorta la tecnica nucleare, poi la prova della sua necessità. Capitolo 7 - Moda. Abbigliamento Lotman prende come esempio il romanzo L’isola dei pinguini dove vengono battezzati dei pinguini scambiandoli per degli uomini. Ne nasce una situazione non prevista in teologia in quanto sugli animali il peccato originale non ricade. Per giustificare il sacramento del battesimo, i pinguini vengono trasformati in uomini. Segno della trasformazione dei pinguini in uomini è la vestizione di una pinguina. La pinguina, che da nuda non attirava affatto l’attenzione dei maschi, diviene, non appena vestita, oggetto della curiosità generale. L’abbigliamento dell’uomo ricorda solo esteriormente il piumaggio degli uccelli o la pelliccia degli animali. Anche questi hanno una funzione, oltreché pratica, informativa: attirano il maschio, rivelano la condizione fisiologica della femmina…Ma tra questo mondo di segnali zoologici, trasmessi con l’aiuto di strumenti esterni quali il colore, l’odore, la posa, e l'abbigliamento umano c’è una diversità radicale, di principio. L’abbigliamento umano è un linguaggio della comunicazione sociale, caratterizzato da grande mobilità e variabilità, capace di esprimere una molteplicità di significati e, a differenza di quanto avviene per gli animali, subordinato all’arbitrio e alle intenzioni dell’uomo. Consideriamo il linguaggio della moda. La moda si lega strettamente a diversi aspetti della cultura: da un lato è influenzata dalla politica, dai rapporti commerciali e culturali tra i vari paesi; dall’altro dipende dalla tecnica sartoriale e dai canali di diffusione dei diversi materiali. Possiamo collocarla all’incrocio di più strade, di diversi piani della cultura. In contrasto con questo suo essere profondamente motivata su più fronti, la moda ha sempre dato l’impressione di essere “assurda” e “sciocca”, un gioco senza senso. Lo spazio della moda è stratificato. In primo luogo, essa si distingue in maschile e femminile. Poi, ha la caratteristica di rivolgersi sempre a un destinatario preciso, si tratti di chi la indossa o di chi la osserva. La moda femminile in particolare è tutta rivolta all’osservatore esterno: l’abito femminile esprime l’immagine che la donna vuole dare di sé, il suo carattere, il ruolo che desidera interpretare. Quando si parla della mutevolezza e capricciosità della moda si pensa essenzialmente a quella femminile, alla sua individualità. Diversa è la sorte che ebbe all’inizio del secolo la moda maschile. Nel 18esimo secolo essa seguiva le stesse regole di quella femminile essendo anch’essa ricca, variopinta, dominata dalla ricerca del lusso e da un’ampia libertà di scelta individuale. L’uniforme militare, che avrebbe dovuto azzerare il gusto individuale di chi se la vedeva imporre, incontrava poi l’appassionato favore delle dame. Un diplomatico, un funzionario in frac non avevano alcuna possibilità di fare colpo sui cuori femminili se circondati da una folla di elegantoni in divisa. La parata militare, durante la quale l’uniforme aveva l’unico compito di manifestare il grado, veniva dunque a trovarsi contrapposta ad altre due situazioni: la guerra e il ballo. Il combattimento non escludeva affatto l’eleganza. La sostanza di questa elegante ricercatezza “marziale” consisteva nel contrasto tra i rigidi dettami del regolamento, della pratica militare, e la libertà determinata dall’atmosfera della battaglia. Lotman riporta che un ufficiale di guerra gli aveva raccontato che i soldati “rivoluzionari”, con il pastrano sbottonato, portassero il fucile con la canna rivolta verso il basso. Se nel ‘17 questo significava “la guerra è finita”. Per Lotman voleva dire il contrario: fine dell’addestramento, inizio dell’azione reale. In un esercito sconfitto l’incuria del vestiario assume il significato opposto. Lotman racconta di quando in una ritirata dell’esercito si sono imbattuti in un deposito e il suo sergente ha preso una fiaschetta di vetro che si è affissato al cinturone. Dal momento che quell’oggetto è totalmente inutile per un soldato, Lotman gli chiese cosa se ne faceva. Il sergente rispose: “Quando si scappa la divisa deve essere impeccabile”. La ricercatezza nel vestire, l’eleganza militare è quindi un modo di contrastare le circostanze, un comportamento individuale che sottolinea la “marzialità”, il coraggio. In questo è come l’alcol. In situazione di parata, laddove prima di tutto viene la disciplina, l’uso di alcolici è severamente vietato e punito. Ma in combattimento, o nelle libere uscite festive, il vino diventa un elemento rituale. L’abbigliamento maschile civile non conosceva la stessa varietà. Il frac, affermatosi all’inizio del secolo, rimase a lungo forma obbligatoria dell'abbigliamento maschile, molto più rigida dell’uniforme militare. A un occhio esperto però questa uniformità si rivelava illusoria: era proprio il frac ciò che permetteva di distinguere il vero dandy dai tanti imitatori. Il dandy non è colui che segue la moda, ma colui che la crea o che la infrange. L’abito è sempre un testo che si rivolge a qualcuno. È fondamentale vedere a chi: l’alta uniforme, per esempio, è uno spettacolo di sfarzo che include in sé il punto di vista di chi osserva, sul quale si desidera fare colpo. Chi la indossa dichiara di dipendere dall’impressione prodotta, di esserci molto attento. L’ostentata semplicità dell’uniforme di Napoleone, in netto contrasto con quelle da parata della sua corte, rientrava nel suo ruolo. Napoleone dedicava moltissima attenzione alle uniformi dei suoi marescialli e dei suoi generali, alla loro teatralità e spettacolarità. Napoleone spiccava per la semplicità del suo abbigliamento. Questo doveva significare che l’imperatore è colui che osserva, che la corte e il mondo intero non sono che uno spettacolo allestito per lui; quanto a lui, se anche costituisce uno spettacolo, può presentare solo lo spettacolo della propria grandezza, indifferente alla propria spettacolarità. Il potere supremo non presuppone il punto di vista di un osservatore esterno, non ha bisogno di offrirsi. Capitolo 9 - La parola e l’azione Il rapporto tra la parola e l’azione, tra il dire e il fare, costituisce uno dei parametri più importanti per la determinazione della tipologia di una cultura. Criterio di analisi della massima chiarezza è qui la considerazione della natura giuridica di questi concetti. Uno dei due poli è occupato da tutte le concezioni secondo le quali la parola non può essere identificata con l’azione e non è quindi punibile come reato. Ne discende la difesa della libertà di parola, dei limiti all’interno dei quali la parola non può essere valutata in quanto agire diretto. Al polo opposto troviamo la convinzione che la parola sia di per sé azione, e pertanto oggetto giuridico. La prima concezione è pietra angolare di tutto il pensiero liberale e umanistico: su di essa si fonda il principio della libertà di parola e di tutto l’insieme dei diritti dell’uomo. La seconda è sottesa a tutte le teorie che giustificano azioni repressive. La prima linea si è affermata nell’Europa occidentale, insieme a tutto l’ordinamento giuridico democratico, quale conquista dell’illuminismo e delle rivoluzioni del 18esimo secolo. Beccaria scriveva che per prevenire il delitto occorre far sì che i lumi si accompagnino sempre alla libertà: l’unione di lumi e libertà si realizza in leggi chiare, fondate sulla ragione. Il punto di vista opposto vedeva nella legge l’espressione della volontà del popolo sovrano, o del monarca. La legge in questa accezione non è al di sopra della volontà e del potere, bensì a questi sottomessa. La questione si complica sensibilmente quando nell’antitesi binaria parola-atto si inserisce anche l’arte: ne risulta la terna parola artistica - parola non artistica - atto. La posizione liberale, secondo la quale la parola non è azione, apre un amplissimo spazio all’espressione di sé di ogni individuo e dell’artista in particolare. L’idea invece che la parola sia atto, e che quindi l’arte sia oggetto di sanzione legale, sbarra la strada all’arbitrio illimitato e impone un peso allo sviluppo del pensiero. Qui però si nasconde una contraddizione paradossale: in una società in cui lo scrittore può esprimere i pensieri più arditi senza rischiare altro che l’insuccesso commerciale, lo scrittore è effettivamente libero, ma allo stesso tempo il valore sociale delle sue opere si abbassa agli occhi del lettore sino a ridursi a mero svago. Laddove invece la parola è perseguitata in quanto atto, essa acquisisce il valore che dell’atto è proprio. Le opere degli scrittori russi del 19esimo secolo avevano un valore del tutto particolare agli occhi del lettore russo, per il quale non si trattava di “parole, parole, parole”, ma di atti. Il lettore europeo che leggeva i romanzi russi tradotti sentiva che quella era “letteratura superiore”. La particolare posizione occupata dall’arte (dalla letteratura) è causa delle contraddizioni ab origine nel problema “arte-vita”. Prendiamo in considerazione il ruolo dell’arte in quanto portatrice di un comportamento. Il cammino che conduce dal foglio di carta stampata di un testo artistico all’atto di un suo lettore è complesso, e vede tre tappe: la creazione del testo artistico, la sua recezione tra le informazioni non artistiche, il comportamento che ne viene suscitato nel lettore. Il testo artistico è creato tenendo conto della specificità della sua recezione. Per questo si ritiene che il testo verbale (discorso retorico più in generale) non possa essere fatto ricadere sotto la giurisdizione delle norme giuridiche. Un discorso poetico che tocchi temi politici sarà valutato in quanto retoricamente felice o infelice laddove non esiste censura, e come azione permessa o proibita laddove invece la censura c’è. I divieti censori, limitando le possibilità della parola, intrecciano un nodo strettissimo tra le parole e i loro significati. La proibizione di un’attività politica reale si fa molla nascosta di una “letteratura furiosa”. All’epoca del romanticismo la furia verbale si combina all’impotenza politica, lo spazio artistico si riempie di testi pieni di libertà, di passioni tempestose, di furia romantica. L’arte riflette la vita capovolgendola, con la sua libertà compensa l’uomo della illibertà reale. Nella seconda fase le nuove generazioni trovano a teatro, nei romanzi, nei poemi il quadro di queste “passioni furiose” e le recepiscono come concreto programma di vita. La vita corre a imitare l’arte. Alla seconda fase segue inevitabilmente la terza: alcuni casi eccezionali si trasformano in moda, vengono tradotti in un linguaggio semplificato. Si incrociano due processi di segno opposto: a una estremità della leva si accumulano riserve culturali, la sfera pratica viene innalzata al livello della teoria; al capo opposto la teoria viene abbassata e trasformata in istruzioni per l’uso. La storia dell’arte conosce numerosissimi casi in cui ogni opera nuova è limitata in partenza da frontiere ben definite, date dalla tradizione. In pittura ci sono stati periodi in cui rigidamente fissato era il tema. Tuttavia, la ripetitività dei soggetti non diminuiva affatto l’informatività delle opere, al contrario, l’inventiva degli artisti ne veniva stimolata, si cercava di variare le soluzioni artistiche individuali nell’ambito fissato della tradizione. Il livello di informatività cade soltanto quando la rigidità delle prescrizioni tradizionali investe la totalità dell’opera, a tutti i livelli, e non lascia spazio ad alcuna forma di compensazione. Nell’arte medievale la rigidità di una sfera artistica è compensata dalla scioltezza di un’altra, nonché dal fatto che a correlarsi sono diverse lingue artistiche, intraducibili l’una nell’altra. Ciò che viene proposto all’artista è un conflitto, non il suo risultato. Le arti dogmatiche del 20esimo secolo proponevano invece direttamente il risultato, portando con ciò alla più rapida e totale degradazione dell’arte. Es. il fascismo lasciò all’inizio una certa indipendenza all’arte, in questa fase il potere si interessava esclusivamente al significato politico diretto, e non comprendeva appieno la sostanza delle strutture artistiche. Successivamente, il controllo e la guida dall’alto iniziano a penetrare direttamente nella sfera artistica: divieti e prescrizioni ne comportano il tralignamento. Se nella pittura medievale la canonizzazione di alcuni aspetti della struttura stimola la creatività in altri, qui le istruzioni si estendono a tutte le sfere della creazione artistica provocando il pieno degrado dell’arte. Capitolo 10 - Il laboratorio della imprevedibilità La differenza cardinale tra il comportamento umano e quello animale consiste nell’imprevedibilità. L’imprevedibilità è sempre presente nel comportamento umano, dove si mescola alla prevedibilità. Essa varia a secondo dell’età, delle circostanze, delle culture. Il fatto che il comportamento umano si distingua radicalmente da quello animale per la sua imprevedibilità non vuole assolutamente dire pari probabilità di qualunque azione. La condizione di partenza di un sistema si situa sul limitare di un fascio di possibili sue trasformazioni, e che all’interno di questo fascio è collocato il campo dei suoi movimenti futuri. Rapporti rigorosi di causa-effetto sono attribuiti ai momenti dello sviluppo solo successivamente, nel processo di descrizione retrospettiva. Se ci volgiamo a considerare la storia dell’umanità, possiamo dire che il ruolo dell’imprevedibilità ha avuto una sostanziale impennata nel momento in cui l’uomo è divenuto tale, proprio essa è stata il fondamento di questo passaggio. Su di essa riposa un sentimento cardinale dell’essere umano: l’autocoscienza: l’arte. Il pensiero non potrebbe esistere senza l’arte: l’idea piuttosto diffusa secondo cui l’arte sarebbe una sorta di appendice opzionale della produzione e delle strutture sociali è infondata e volgare. L’esistenza stessa dell’arte è legata e discende necessariamente dalla linearità dello sviluppo della storia umana. La linearità porta l’uomo a trovarsi in situazioni sempre nuove e necessariamente uniche. Il presente dell’uomo è un attimo fuggente tra passato e futuro, un attimo impossibile da cogliere. É questo che rende la condizione umana così particolare: nel mondo ciclico della natura il passato e il futuro si identificano, la predizione viene sostituita dalla memoria. Il mondo dell’umanità è un movimento da un passato scomparso a un futuro non ancora cominciato. Voltandosi indietro l’uomo ricerca nel passato ciò che, gli sembra, potrebbe predirgli il futuro, e, di conseguenza, facilitargli l’orientamento nel presente. Nei periodi di sviluppo graduale lo studio del passato può avere in effetti un ruolo costruttivo. Ma nei momenti di esplosione questa “memoria storica” può rivelarsi una pessima guida, generare errori a volte anche molto tragici. Giocare al passato può avere grande effetto trasformatore proprio perché non getta luce sulla vera natura dell’avvenimento storico. In questo senso è possibile affermare che relativamente alla sfera dell’autocoscienza, il presente non solo è creato al passato, ma crea a propria volta un “nuovo passato”. Nei momenti di svolta il passato diventa il luogo della creazione di nuovi miti. Con tutti i pericoli che questo comporta. L’irruzione dell’arte nel processo storico ne modifica radicalmente il carattere. Se la storia è una finestra sul passato, allora l’arte è una finestra sul futuro (e i vetri di queste finestre possono essere specchi). Ma mentre il passato è sentito come una strada che conduce direttamente al presente, il passaggio al futuro è pensato come un’esplosione: tra il presente e il futuro scorre l’imprevedibilità. Questa asimmetria di principio fa sì che il passato sia competenza della scienza, sottintenda cioè lo sforzo di ricostruire la realtà; il futuro invece è pertinenza dell’arte, implica la creazione di un secondo mondo autosufficiente. “L’arte è specchio della realtà” è una metafora molto diffusa che tiene conto soltanto di alcune funzioni dell’arte. Il “reale” sviluppo degli avvenimenti sceglie in un largo ventaglio di possibilità, un’unica linea, rigettando tutto ciò che non si realizza come se fosse irrealizzabile. Il futuro si trasforma così in una catena prevedibile. Si tratta di una concezione fatalista del futuro, che costruisce il futuro con le categorie di un pensiero formatosi nello studio del passato. Nella realtà lo spazio tra il presente e il futuro non è simmetrico a quello che intercorre tra presente e passato: dal presente conduce al futuro non un’unica strada, ma una moltitudine di percorsi di pari probabilità. Quale diventerà realtà è imprevedibile. La realtà in questo caso è come la principessa delle fiabe, alla cui mano aspirano più principi. Finché la scelta non è compiuta tutti hanno la stessa probabilità di successo. Descrivendo però questa situazione retrospettivamente, a scelta compiuta, l’unico coronato ci sembrerà predestinato alla vittoria. L’arte guarda alla vita con gli occhi della fidanzata ancora libera, la storia con lo sguardo della moglie vincolata dalla sua scelta. L’arte introduce nella vita quella libertà che va perduta nel momento in cui le idee si incarnano nella realtà. La funzione dell’arte nel sistema generale della cultura consiste appunto nella creazione di una realtà di gran lunga più libera di quella del mondo materiale. Il rapporto tra la realtà extra artistica e quella dell’arte si costruisce lungo due assi di direzione opposta. Da una parte c’è lo smembramento della realtà extrartistica, e la ricomposizione dei suoi elementi in combinazioni nuove. Es. il lessico, la fonologia, le ripetizioni ecc. nel discorso poetico che assumono significati che non sono loro propri nel discorso extrartistico. L’uso della luce e della prospettiva che fa un pittore per caricare l’immagine di significato, l’attore che modula il tono della voce… tutto a rendere significante ciò che era neutro. L'esperienza quotidiana costituisce in questo caso lo sfondo nell’interazione col quale si fa sensibile la libertà introdotta dall’arte nel mondo allorché gli conferisce un senso. Gli oggetti impacciati dalle leggi della realtà ricevono nell’arte la Nella vita reale ciò che effettivamente è si arroga in genere la funzione di unica realtà possibile. Riflettendo sui propri comportamenti, l’uomo si volge mentalmente al passato, e valuta così, da questo punto di vista, ciò che era allora futuro (il presente nel momento della scelta). Ciò è necessario per la valutazione del proprio comportamento nel presente. E tuttavia questo “futuro secondo”, questo “futuro nel passato” ricreato dal ricordo si è così modificato nella coscienza da far apparire l’accaduto l’unica soluzione reale. Quand’anche lo sguardo retrospettivo riuscisse a ricostruire alcune delle possibilità di un tempo, queste si presentano con modalità diverse. Nella sfera dell’arte entrano in gioco tutte le varianti possibili. L’artista può tornare e ritornare al punto di partenza, al momento della scelta, includendo nell’ambito della realtà artistica tutto il potenziale probabile. La “realtà seconda” viene vissuta “come fosse vera”. Per questo possiamo piangere pur ricordando perfettamente che si tratta di una finzione. Questo paradosso è alla base della funzione sperimentale dell’arte. Il diverso atteggiamento nei confronti del gesto reale e della situazione di intreccio è ben evidenziato dal comportamento del “lettore ingenuo”. Il lettore che non distingue l’arte dalla vita si immedesima a teatro, corre a leggere come va a finire il romanzo: non gli interessa il disegno dell’autore, lo interessano le sorti dei personaggi (che identifica come vere persone). Il lettore ingenuo, quando ha a che fare con l’arte, si sforza di influenzare l’autore, per esempio mandando lettere per influenzare l’autore. Lo sviluppo lineare per sua stessa natura presuppone un conflitto tra l’autore e l’uditorio: l’autore si sforza di creare qualcosa di nuovo. Ne nascono opere incomprensibili. Il lettore può accantonare l’opera, sino al momento in cui il suo sviluppo non abbia raggiunto quello dell’autore: più spesso però entra in funzione il meccanismo dello sviluppo sbilanciato dell’uditorio. I lettori non sono una massa omogenea, ma un connubio di individualità. Alcuni si assumono la funzione di traduttori, rendendo il testo d’autore dirigibile mediante un processo che ha due facce. L’opera può essere tradotta nella lingua del lettore, o una lingua a lui vicina; guadagnando in comprensibilità, perde spesso in complessità: diventa più facile, ma scende di livello, perde ciò che ne costituiva la novità. È possibile anche il processo opposto: una situazione complessa, pluristrutturale, cui partecipano, oltre all’autore, svariati interpreti, e la realtà con i suoi vari livelli. Il conflitto che si genera può stimolare nuove idee, più profonde, e spingere l’autore stesso a una nuova interpretazione dei propri interrogativi. Ciò a propria volta può portare alla creazione di nuove immagini del reale, più complesse, o a nuove letture delle opere già scritte. La tensione lungo l’asse “comprensione-incomprensione”, del tutto estranea al mondo del folclore, costituisce un tratto inalinabile dell’arte postfolclorica. Per i romantici l’arte con la “A” è incomprensibile, mentre quella volgare è comprensibile a tutti. L’interpretazione romantica non può farci dimenticare che si parla qui di una delle caratteristiche più vere e importanti dell’arte. Il nuovo dell’arte può essere caratterizzato come la possibilità di combinazioni strutturali semantiche inattese, impossibili, o pribile in una fase precedente, la capacità di determinare uno shock con un linguaggio artistico, un senso inatteso. Lo scatto verso un nuovo livello di complessità è vissuto dall’uditorio come una folgorazione improvvisa, un’esplosione di pensiero. Si stabilisce dunque un legame tra i concetti di nuovo e di artisticamente valido. Ciò comporta due possibilità. Dal punto di vista dell’arte tradizionale, il nuovo, nato dall’esplosione, appare incongruo, scorretto. Per i contemporanei l’esplosione è tale (imprevedibile). Lo storico che la analizza retrospettivamente e la trova invece regolare, se non inevitabile. Lo storico, a posteriori, può affermare che il romanticismo fu conseguenza inevitabile del razionalismo dei rappresentanti di classicismo e illuminismo; il decadentismo è per lui conseguenza altrettanto inevitabile di realismo e naturalismo. Le contraddizioni nel modo di interpretare gli stessi processi “esplosivi” sono determinate dalla diversità dei punti di osservazione. Dall’uno il nuovo è risultato del caos, dall’altro il nuovo non appare di fatto “nuovo”, in quanto riconosciuto unico risultato possibile dello sviluppo del “vecchio”. Da questa “cattiva contraddizione” si esce immaginando che tra il momento dell’esplosione e il suo risultato giaccia un fascio di possibilità di sviluppo di pari probabilità, di cui una soltanto, in modo non prevedibile, si realizza, e che questa a uno sguardo retrospettivo appaia l’incarnazione dell’unica legittimità possibile. Questo momento di transizione è divenuto per la prima volta oggetto di analisi con il formalismo, che ha creato la teoria della attualizzazione delle periferie della cultura. È necessario però fare il passo successivo e sottolineare che fonte del nuovo non è una qualche linea “inferiore”, prevedibile, ma un fascio che può includere anche elementi del tutto casuali. Si potrebbe descrivere la storia dell’arte dal punto di vista delle strade che si sono perse nel nulla. Immaginiamo un campo minato. Alcune mine esplodono subito, altre dopo molto tempo. Quelle inesplose non sappiamo se e quando esploderanno. Oggi possiamo dire che queste mine inesplose si trovino nell’arte contemporanea, magari sepolte nelle sue viscere. Gli eventi della storia e della cultura hanno traiettorie diverse e di diverso raggio. Quando diciamo che uno scrittore, un artista, non ha avuto seguito, non è stato compreso ecc. dobbiamo sempre aggiungere: “per ora”. “A noi non è dato predire l’eco delle nostre parole”. La contrapposizione di letteratura e bellettristica può essere interpretata nel senso che ci interessa come antitesi di prevedibile e imprevedibile nell’arte. Definiamo come belletristica le trasformazioni regolari, legittime, prevedibili, dei principi originali di un testo. Fa parte di questa sfera tutta la propaganda. Questa sfera può svolgere nella cultura un ruolo tanto negativo che positivo. Molto positiva è la sua funzione in quel settore di confine che si situa tra l’arte e la non arte: il design, la moda, la cartellonistica. Minaccioso è il successo strepitoso che ha avuto nella cultura del 20esimo secolo. Accordandosi bene alla tecnologia della macchina, questa sfera tende a inglobare sempre nuovi settori della cultura, e soprattutto quelli che richiedono una organizzazione collettiva, quali la produzione e il consumo. Qui l’arte individuale non ha a volte la possibilità fisica di competere. Quando guardiamo una bella automobile chiediamo marca e modello, non il nome del suo creatore: l’idea stessa che ne esista uno si dissolve e si perde nel processo produttivo. Questo non ci impedisce affatto di entusiasmarci della macchina e di usarla con sommo piacere. Lo spirito dell’arte soffia dove vuole. L’arte del tipo descritto si sviluppa in periodi di dinamismo graduale e più o meno prevedibile, in cui l’esigenza del nuovo non è obbligatoria. Non bisogna confonderli con le epoche cicliche, in cui il movimento è ripetitivo: qui il movimento è lineare ma graduale, logicamente conseguente. Nei periodi storici di relativa tranquillità, quando la durata di una tappa coincide approssimativamente con la durata biologica dell’attività di una generazione, o la supera, il movimento diventa inavvertibile e nasce l’illusione dell’immobilità della vita. Ciò a sua volta influenza la coscienza di chi in quell’epoca vive, generando meccanismi di rallentamento. Ne consegue una consequenzialità chiusa: una dinamica rallentata genera immagini ideali di statica, e queste a loro volta rallentano la dinamicità. L’inerzia del rallentamento è però gravida del proprio contrario: si approssima l’inevitabilità dello scoppio. Le epoche esplosive subentrano periodicamente a quelle graduali. In campo sociale e culturale si tratta di periodi piuttosto brevi, intervallati di epoche di prolungato “sviluppo regolare”. Così solitamente avviene anche in politica. I concetti di brevità e lunghezza sono relativi, e includono un inconscio confronto con la durata della vita umana estremamente fuorviante: i processi esplosivi nella storia possono durare centinaia di anni; in geologia e in astronomia, miliardi. Il criterio che permette di determinare la natura esplosiva di un processo è un altro: consiste nella imprevedibilità di principio di un evento. L’evento che si realizza e quello che non si realizza sono, nel momento dell’esplosione, varianti intercambiabili. Subito dopo le loro strade iniziano a divergere. L’assenza di fatalità si fa particolarmente evidente nel campo della cultura e dell’arte, il cui livello di libertà è molto più alto. La storia è sempre infinitamente più complessa dei modelli dello storico, anche se non potrebbe essere compresa al di fuori di questi. È necessario tener conto del margine di tolleranza, superato il quale il pensiero scientifico si trasforma in metafora poetica. Capitolo 12 - Struttura dell’unità Gli organismi semiotici possono realizzarsi in due ipostasi: come parti di un intero, e come intero, costituito di parti organizzate in una unità strutturale. Le qualità dell’essere parte e del dividersi in parti si realizzano a seconda della situazione strutturale, ma sono potenzialmente presenti in pari misura in qualunque elemento di formazioni semiotiche supercomplesse. Questo le differenzia dai sistemi più semplici, mentre paradossalmente le accomuna a quelli elementari. Gli elementi dei sistemi intermedi sono contraddistinti dall’esistenza di uno stretto legame tra la struttura di un elemento e la sua funzione; nelle situazioni periferiche, invece, la funzione dipende dal posto occupato nella struttura. Nell’analizzare il senso di un’opera d’arte ci imbattiamo sempre nel problema della definizione dei suoi confini. É noto che in veste di testo può figurare un’opera a sé stante. Sono abbastanza diffusi i casi in cui tutta la creazione di un artista si organizza in un unico testo. Essere parte o essere intero è di solito una regola di gioco stabilita dall’autore, che può essere accettata o respinta dai lettori. Es. L’Inferno di Dante è stato concepito come parte di testo, ma si è imposta una tradizione che lo legge come testo intero. In generale, si attribuisce a un elemento la proprietà di avere significato; quale significato debba poi avere nel caso specifico, è determinato in concreto dal contesto. Un esempio che testimonia la fluidità dei concetti di sinonimo e di antonimo, ovvero della possibilità di trapasso di unità strutturali di senso nel loro contrario, è la parola “sobor” (assemblea, concilio; cattedrale). Lotman porta un esempio in cui la parola sobor viene utilizzata nello stesso passo in due significati antonimi significando sia l’unione di tutti i monaci nella preghiera quanto il solitario immergersi nella preghiera. La possibilità di usare antonimi come sinonimi determina una straordinaria forza di sintesi, paragonabile solo alla forza dell’analisi che individua nei sinonimi degli antonimi. È sulla biunivocità di questi processi che si fonda la potenza semantica della poesia e dell’arte in genere. Ma il processo va oltre l’arte. Per il lettore russo, al quale sono familiari i processi culturali russi, Tolstoj e Dostoevskij sono figure antonime, opere incompatibili. Il lettore occidentale scorge invece nella loro opera la sinonimia. Nessuna di queste letture può essere definita corretta o scorretta: l’inclusione in contesti culturali diversi deforma il senso del testo. Questo problema ci riporta alla contrapposizione di processi lenti ed esplosivi. Ci interessa il loro riflesso nell’autocoscienza dei diretti partecipanti a questo processo e l’influsso di questa autocoscienza sulla nascita del nuovo.
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