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Guide e consigli
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riassunto di cromorama, Schemi e mappe concettuali di Arte

riassunto di cromorama per analisi

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2020/2021

Caricato il 22/02/2023

ritacatera
ritacatera 🇮🇹

4.6

(5)

15 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica riassunto di cromorama e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Arte solo su Docsity! GIALLO INDUSTRIALE - La società del design. Nella società contemporanea tutti gli aspetti del reale sono in qualche misura collegati alla produzione in serie e alla comunicazione di massa. L’industria ha fatto progressivamente sparire i pezzi unici dal nostro mercato e dalla nostra percezione, normalizzando la produzione e standardizzando qualsiasi aspetto di essa: dalla forma al colore, fino alla rappresentazione stessa degli oggetti, che deve essere coerente con la massa di oggetti identici disponibile per la vendita. Siamo in una circostanza storica in cui l’industria ha standardizzato anche la percezione: tramite un’operazione che può essere definita di design ha progettato il nostro modo di vedere il mondo e gli strumenti mentali con cui pensarlo. Da questo possiamo dedurre che l’essenza del design non risieda nella produzione tramite macchinari delle merci, ma nella serializzazione dei processi ideativi oltre che di produzione. La maggior produzione di design è la rappresentazione stessa, che tramite la grafica, il cinema e la pubblicità crea una serie di pratiche sociali percepite come normali e ovvie solo all’interno della cultura di massa e costituiscono parte della nostra esperienza della realtà. Questo è il motivo per cui nel 1912 Picasso e Braque inseriscono ritagli di giornale all’interno delle loro opere: rappresentano loro stessi e la loro stessa funzione e fungono da testimoni della realtà. Nel 1790 Nicolas-Jaques Conté inventa la matita in polvere di grafite e argilla contenuta in una guaina di legno, questa invenzione lo rende di fatto un designer per la sua intuizione di un potenziale mercato di amatori, al momento ancora astratto. Nel 1893 l’industria austroungarica Koh-I-Nor produce la prima matita verniciata, per nascondere le imperfezioni del legno. Il colore prescelto è il giallo, non è chiaro se come rimando al colore dell’impero austroungarico o al colore simbolo della famiglia imperiale cinese, paese da cui proveniva la grafite in polvere. Il prodotto ha immediato successo e riscuote l’approvazione del pubblico. Questa approvazione costituisce il primo tassello della creazione dell’immaginario cromatico che riguarda una certa categoria di oggetti: diventa archetipo e termine di paragone con l’altra merce. Tutti i beni differenti sono accomunati da una condizione “sociale” simile e vengono consumati nel medesimo modo, ad esempio la normalizzazione di forma e dimensione di frutta e verdura e la standardizzazione degli oggetti di artigianato, che nonostante siano realmente realizzati uno ad uno risultano estremamente simili, se non identici almeno nel processo creativo. La tendenza che si contrappone alla regolarizzazione è il chilometro zero, in cui l’imperfezione è percepita come sinonimo di genuinità e artigianalità e dunque apprezzata; ma è un aspetto che può esistere solo se rapportato all’esistenza del mercato globale. Nella società odierna il colore ha cessato di essere una tinta, ma è diventato idea, aspettativa che rispecchia il prototipo rappresentativo degli oggetti a cui ci rapportiamo dai prodotti naturali, all’artigianato fino alla produzione di massa. La caratterizzazione del colore è però ricca di contraddizioni che sono frutto della millenaria e diversificata cultura che abbiamo in relazione ad esso: ad ogni epoca storica corrispondono studi, idee e definizioni differenti dello stesso colore e della natura stessa del colore. ROSSO UNITO - L’occhio del XXI secolo. Qui l’autore spiega un ricordo, spiegando che si trovava in pasticceria e che chiese alla pasticciera, quale dolce vendesse più degli altri. E lei disse che la regina delle paste rimane il diplomatico, un dolce epico perché la sua struttura è complessa ed è come simbolo di un’epoca passata. Se ci ragioniamo sopra, capiamo che la complessità di cui parla la pasticciera, ha a che vedere non tanto con la ricetta in sé del dolce, ma con il modo di gustarla. Un'esperienza diversa rispetto alla Nutella che ha un gusto concorde per tutto il tempo che la teniamo in bocca. L'opposizione tra i due è di certo quella tra un prodotto di lusso e uno economico, tradizione artigiana e serialità contemporanea, come nell'arte e nel design: se Il diplomatico è un colore articolato e cangiante, allora la Nutella è un esempio di tinta unita. Da un punto di vista tecnico tinta unita è l'aspetto di forma di una superficie in cui riconosciamo lo stesso colore in ogni suo punto. Si confronti il colore di un cielo dipinto da Fragonard nel 700 con il cielo della tavola di un fumetto: Il primo è lavorato, insistito, pieno di Minuscole variazioni tonali e apprezzarlo richiede una lungo osservazione, come Il diplomatico. Il secondo è omogeneo e immediato come la Nutella. Quando diciamo tinta, diamo per scontato che sia unita: quest'idea di compattezza è forse la vera e più importante novità del mondo moderno: la creazione di pezzi unici è perlopiù contraddistinta da tinte non Unite. Nel mondo antico la tinta unita è impossibile o difficilissimo produrla. Con la lavorazione in serie le cose si ribaltano: fare un colore uniforme è spesso più facile che sfuggirlo. La ragione è che dovendo ridurre tutto a procedure ripetibili, l'industria ha un'implicita tendenza a semplificare forme e finiture, quindi la tinta unita non è solo una scelta, un gusto o una moda, ma Una delle conseguenze inevitabili della serializzazione produttiva. La tinta unita è stata trasformata da evento eccezionale in fatto quotidiano fino al punto in cui è diventato il metro di paragone per ogni aspetto della realtà, nonostante ci siamo evoluti in un mondo in cui l’uniformità cromatica era quasi inesistente. Questa abitudine alla tinta unita ci ha portati a considerare il colore in termini astratti. La nuova distinzione tra omogeneo e disomogeneo si inserisce nella tendenza iniziata intorno alla metà dell’800 del proporre alle classi di piccola e media borghesia un nuovo standard di vita dove l’ordine e l’igiene sono posti al centro. Ciò che è vecchio tende ad essere sostituito con qualcosa di nuovo, ma allo stesso tempo più gli oggetti sono nuovi, più sembrano deteriorarsi velocemente; creando una distinzione sempre più netta tra antico, che è sempre avvolto da un certo fascino, e vecchio, che presuppone la sostituzione con un altro oggetto. L’industria sottolinea la caducità di tutte le cose e ci livella tutti al ruolo di consumatori veloci, senza distinzioni. NERO ARTICOLATO - Possibilità del colore industriale Sembrerebbe che noi uomini, puntiamo quindi all’artefatto (al non genuino, all’elaborato) invece che al gusto semplificato. Un’opera che racconta bene il conflitto tra complessità cromatica e logica seriale è “Brillo Box” di Andy Warhol, uno dei lavori più famosi della Pop Art. Si tratta della ricostruzione, uguale solo in apparenza, delle scatole di cartone che vengono distribuite in negozi e supermercati. Warhol le studia e le rifà quasi identiche. In quelle autentiche, ci sono delle irregolarità che però nessuno nota, quelle di Warhol invece sono fatte intenzionalmente. L’imprecisione tipografica che nelle scatole Brillo è portata dalla tecnologia, in quelle di Warhol diventa pittura, un gesto umano. C’è un altro artista come Piet Mondrian, che ha raggiunto un grandissimo successo per i suoi lavori, perché affini al gusto della grafica moderna. Un suo quadro, una volta riprodotto risulta unito, compatto, come oggetto di fabbrica. Ma il suo ‘rosso’ è un rosso dipinto, se lo osserviamo dal vero e da vicino ci accorgiamo di tante piccole discontinuità decisamente pittoriche. Il senso delle sue opere risiede appunto in questa contraddizione: realizzare immagini per la società di massa, che sembrino quasi ‘design’ ma che poi da vicino si rivelino una natura pulsante. Mondrian e Warhol si pongono il problema del pubblico contemporaneo sempre deconcentrato, proponendo una loro personale soluzione estetica: entrambi fanno grafica usando però i materiali della pittura. La grafica ha cercato vari modi per conquistarsi una ricchezza cromatica di altro tipo: uno di questi è stato l'uso delle sovrastampe, ossia quando in tipografia, dopo aver stampato l'inchiostro, se ne ribatte sopra un altro, che si stende su A traghettare il colore da un Cosmo di magia ad un sistema astratto contribuisce pure il sapere medico, che nella cultura antica e medievale è imperniato in primo luogo sulla teoria dei quattro umori: il sangue, il flegma, la bile gialla e la bile nera, l'analogo dei quattro elementi: aria, acqua, terra e fuoco. La libera combinazione di questi, che compongono ciascun uomo, determina la personalità individuale, per esempio il tipo melanconico, che ha un eccesso di bile nera, ha dei segni zodiacali più affini, delle pietre predilette e un colore predestinato. Le catalogazioni classiche di piante, gemme e animali si avviano così a diventare un sistema di interpretazione della personalità. E’ da qui che si arriva alla famigerata domanda: Qual è il tuo colore preferito? cavallo di battaglia di tutti i magazzini contemporanei che pone al centro del discorso la categoria più importante della modernità: il carattere individuale. Giovanni Paolo Lomazzo, che tanto Amava la polvere di mummia, si rende conto che c'è una doppia verità: Da una parte sa che se si mischia il nero col bianco si ottiene il grigio, dall'altra continua a fidarsi delle autorità degli antichi che sostengono che il rosso è mediano tra bianco e nero. Artisti e Filosofi sono combattuti tra mescolanze tecniche e mescolanze teoriche. Sono gli esperimenti di Newton a cambiare le cose. Indaco spettrale - L'epoca delle rivoluzioni Intorno al 1740, nei salotti illuministici è di gran moda scambiarsi tra le dame dei prismi trasparenti, non perché fossero preziosi, ma per via delle iridescenza che producono, sono ricercati per stupire e per parlarne. È scoppiata la Newton-mania. Newton fece anche un esperimento in una stanza buia, dove proiettò con un prisma un sottile raggio di luce che filtrava dalla finestra, proiettandolo sul muro di fronte, il quale non restò bianco, ma si scompose in una sequenza variopinta simile ad un arcobaleno. Il colore non è più soltanto qualcosa che si vede, che si osa o che si indossa, ma è qualcosa sui cui ci si fa un’opinione. In questi anni (1700 più o meno), inizia a generarsi l’idea di ‘standard’, e organizzando le regole del cosmo, si pongono i presupposti filosofici per la futura società del design. Newton qua conquista perché il colore smette di essere un’entità sfuggente e si intravedono per la prima volta le regole che lo governano, un passaggio che arriva fino a noi. Per capire meglio: secondo la scienza moderna, la luce è un tipo di radiazione elettromagnetica composta da onde che suscitano sensazioni visive nel nostro sistema nervoso. La struttura piramidale del prisma, fa sì che queste onde, attraversandolo, si flettano in uscita secondo gli angoli progressivi, rivelando che a ciascuna corrisponde una tinta diversa. Quello che compare è un segmento luminoso in cui colori si presentano in sequenza ordinata, come nell’arcobaleno. Ciò viene battezzato ‘spettro’, cioè apparizione. Essi erano già noti prima dell’esperimento del 1672. Newton dimostra che il colore è qualcosa che sta DENTRO la luce e non SULLE cose: si presenta come una sequenza continua di tinte, dal rosso, al violetto, senza nessuna ‘divisione’. Per la prima volta nell’elenco dei colori vengono a mancare il bianco e il nero, un fatto in contraddizione con il secolo del sapere pittorico nel quale la biacca e il nerofumo erano tinte che appartenevano di diritto alla tavolozza. Questo esperimento rivela anche che, dato che lo spettro si presenta come una sfumatura continua di passaggi indefiniti, i colori possono essere in un numero altrettanto indefinito. Anche se lui, non si spinge a dirlo e afferma che possiamo ritrovare sette colori fondamentali: rosso, arancio giallo, verde, blu, indaco e violetto. L’occhio umano però, riesce a farne principalmente sei, perché l’indaco è inserito un po’ a forza da Newton (Ma è possibile che chiamasse blu quello che noi chiamiamo Ciano e Indaco il nostro blu scuro). Poi trasforma lo spettro in un anello, dove la parte iniziale congiunge con quella finale, notando così, che possono essere generati altri tipi di tinte, come il magenta. Il cerchio di Newton però, è un grafico che aiuta a ragionare sul concetto scientifico del colore. I colori cominciano ad instaurare delle relazioni, per esempio ogni tinta ha un suo opposto dall’altro lato del cerchio, non solo parchi è più distante geometricamente ma anche sul piano percettivo. Un autore molto importante per lo sviluppo del colore è Goethe, il quale scrive due libri sul colore. Lui al contrario di Newton, si concentra sul modo con cui vediamo il colore nella vita di ogni giorno. Lui farà degli ‘esperimenti’ per spiegare ciò, senza fare teorie astratte: racconta di una sera, in un’osteria, dove c’era una ragazza di fronte a lui col volto bianchissimo, capelli neri vestita di rosso scarlatto. Lei è li ferma, e all’improvviso si muove, e sul muro bianco gli appare un’immagine come in negativo: una figura nitida dal volto scuro col corpo di un verde mare. Si tratta dell’esperienza oggi nota come “immagine postuma”, ovvero i neuroni coinvolti nella visione, dopo essere stati sollecitati per qualche secondo da certi colori e quantità di luce, costruiscono un residuo dell’immagine -> in questo caso, la mente crea un colore dopo aver guardato. La tinta che vediamo nasce per opposizione alla tinta di partenza. Goethe sottolinea che si tratta di tinte suscitate nell’osservatore e non di qualcosa che esiste nella realtà, suggerendo che la mente può produrre il colore anche in assenza di stimoli esterni. Questa cosa fu sbalorditiva perché prima di lì, non si avevano dubbi che i colori fossero qualcosa che stava nel mondo. Ogni colore ha un suo ‘complementare’, come si comincerà a dire da questo momento in poi, cioè una tinta con cui instaura un rapporto di attrazione e di distanziamento, o meglio un’affinità elettiva. Queste scoperte portano ad una psicologia della percezione: la prova che i sensi non si limitano a misurare il mondo ma forniscono al cervello strumento con cui costruire quello che vediamo. Se chiudiamo gli occhi, le cose intorno a noi continuano ovviamente ad esistere, ma il loro colore no. Chiudendo gli occhi il colore smette di esserci, perché non è qualcosa che esiste a prescindere da un occhio che lo sperimenti. Il colore esiste solo quando un vivente è in grado di dargli voce e consistenza ed è questa cosa che interessa a Goethe. Quello suo e di Newton, sono due punti di vista sul mondo, due modi di maneggiare la realtà: a Newton interessa le cause del colore, mentre a Goethe gli effetti. Newton diventa la ‘guida’ per chi vuole capire la realtà per stabilirne leggi e andamenti; Goethe per chi vuole capire il colore per come si mostra ai nostri occhi. Nonostante questa diatriba viene vinta da Newton, alla fine del ‘900, quando lo studio del cervello diventa la nuova scienza dei moda, Goethe viene riscoperto come il primo ad avere intuito gli aspetti psicologici dell’esperienza cromatica. Per questo, la sua posizione si rivela molto più interessante per i linguaggi visivi (‘un colore che nessuno vede è un colore che non esiste’). A raccogliere queste idee di Goethe e a trasformarle in qualcosa di utile a livello professionale, è un chimico, Michel Eugène Chevreul. In quegli anni Tintori che ci lavorano si vantano di saper distinguere fino a 20.000 sfumature diverse, eppure non possiedono un sistema preciso per indicarle, ma solo moltissimi i nomi. Lui sostituisce la nomenclatura con dei numeri, introducendo l’uso di cerchi cromatici graduati per metterle in ordine. Chevreul si imbatte in un problema che fa dannare gli artigiani delle manifatture, ovvero quello che il nero dei disegni ricamati sulle strofe a tinta unita, non sembri davvero nero ma cambi a seconda del contesto. Chevreul, ispirato da Goethe, capisce che quest’effetto non è dovuto alla tintura, ma all’occhio dell’osservatore. Quindi pensa che l’unico modo per risolvere questo problema è barare: modificare le tinte per farle sembrare quello che vogliamo quando vengono accostate le une alle altre. E da questo momento in poi, il mondo degli artisti e dei designer prende atto che non basta creare le cose, ma bisogna progettare anche il modo in cui vengono guardate, cioè preoccuparsi della loro rappresentazione nella mente del pubblico. Chevreul denomina ‘simultaneo’ questo tipo di contrasto, perché accade simultaneamente alla vista del colore che ne è la causa. Non dipingere le cose come sono davvero, ma come vengono elaborate dalla nostra psiche -> liberazione della materia colorata sarà il fondamento di tutta la futura comunicazione visiva. Blu Bovary - Vestirsi per amare e per significare Il colore della veste di un certo personaggio non è mai senza importanza. Vediamo per esempio personaggi la cui identità è legata a una tinta precisa: il rosso di Cappuccetto, il verde di Robin Hood, il bianco della gonna di Marilyn Monroe. Se un narratore ci racconta che qualcuno è vestito di un determinato colore, ci sta dicendo qualcosa. Investighiamo quindi, su alcuni destini di protagonisti vestiti di blu in letteratura, pittura e cartoni animati, cominciando dalla protagonista di uno dei romanzi più famosi dell’800 francese, Madame Bovary, di Gustave Flaubert. Emma è la protagonista, figlia unica di un piccolo possidente agricolo, che, dopo aver conosciuto le arti, la musica, la lettura, torna a vivere in campagna e si sente stretta. Sogna una vita diversa, mondana, conosce così Charles Bovary, un medico, che accetta di sposarlo perché intravede in lui la possibilità di uscire dai quei confini. In realtà però, si rivela tutt’altro, molto premuroso e servile e che lei, detesta. Si tuffa così nell’adulterio. Avrà delle relazioni segrete. Lei cerca nelle relazioni extraconiugali un senso che le manca, vuole inseguire quegli ideali romantici scoperti da ragazza attraverso romanzi. Una cosa che combatte sopratutto la noia, un sentimento però moderno. Lei cerca il senso nelle cose che capitano o che si possono far capitare, cerca eventi e distrazioni ma anche aspirazioni. Lei desidera il teatro, l’equitazione, giornali illustrati; in camera da letto ha anche una pianta grassa perché lo ha visto fare dalla protagonista di un libro. Così comincia a spendere al di sopra delle sue disponibilità facendo regali agli uomini di cui si innamora, creandosi quindi dei debiti, di cui il marito è ignaro. Non sapendo come tirarsene fuori, e troppo orgogliosa per ammettere la verità, si uccide ingoiando dell’arsenico. Questa storia ha avuto tante definizioni. Sul piano cromatico è un romanzo parco di descrizioni, tranne riguardo al blu che è l’unico colore su cui l’autore torna con insistenza legando fra loro alcuni elementi cruciali. La prima volta che Charles Bovary la vede, lei è vestita di blu, perché il blu spicca, si fa notare, racconta il desiderio di una vita diversa. Il blu non è solo qualcosa che si indossa, è anzitutto qualcosa che si è: Emma ha occhi marrone, che alla luce del giorno brillano di un blu scuro come fossero fati di strati di colore successivo; i capelli emanano anch’essi riflessi blu. Il blu è dunque un colore-tema, ma è anche un colore doloroso: quando uno dei suoi amanti la lascia, lei si affaccerà alla finestra dove lo vedrà allontanarsi in un calesse blu. Di vetro blu è anche il barattolo che contiene l’arsenico. Flaubert non si inventa nulla, il desiderio del blu aveva una storia. Un secolo prima di Emma Bovary, c’era stato un altro omicidio da pare di un personaggio letterario vestito di blu, pubblicato da Goethe, che racconta la storia di un amore impossibile e il protagonista si spara alla tempia e verrà trovato morto con una giacca blu e un panciotto giallo: il blu della giacca del protagonista è una questione identitaria che afferma un proprio modo di stare al mondo (‘anche un animo nobile può morire per amore’). Diventerà una cosa alla moda vestirsi come questo personaggio. Negli ultimi quarant’anni, le copertine delle edizioni di Madame Bovary, hanno spesso attinto ai ritratti di Ingres, come per esempio quella della Contessa d’Haussonville, vestita di tonalità blu (però aristocratica). L’idea figurativa di Ingres è quella di far vedere lei, che guarda oltre, ci guarda attraverso. Invenzione brillante per l’epoca, divenuta poi lo standard nelle foto di moda, dove tutte le modelle sono distaccate. Vedere oggi una donna con un abito blu non significa comunque quello che poteva significare un tempo. Qui nel dipinto della De Broglie, il colore non si riduce al solo fatto percettivo, ma comunica, giudica e gerarchizza. All’epoca significava prima di tutto poterselo permettere. In ambito di cartone animato, prendiamo come esempio La Bella e la Bestia, prodotto dalla Walt Disney nel 1991. Qui Belle, la protagonista, è un doppio ribaltato di Emma Bovary: la protagonista entra in scena vestita di blu, vestirsi di blu è una diversità di cui si va fieri. Si innamora della Bestia anche lui vestito di blu, col panciotto giallo quando la invita a cena. Lei invece si presenta con un abito giallo luminoso, civilizzante. Per Belle non si tratta solo di domare la Bestia, ma anche imparare ad arginare le pulsioni romanticheggianti che la Nasce poi l’idea che esistano colori più importanti di altri, per ragioni teoriche e non solo economiche, ossia quelli che oggi chiamiamo ‘primari”. A inizio 700 tutta questa indagine trova una conferma empirica nel lavoro di un pittore, : Leblon, che per primo realizza le stampe a colori Partendo da 3 matrici di rame incise, una per ogni colore primitivo, rosso, giallo e blu. Leblon Descrive la sua invenzione nel 1625 in un libricino dove c'è il debutto della riproducibilità tecnica delle immagini, e comprare ufficialmente il fatto che giallo + rosso= arancione, rosso+blu=viola, blu+giallo=verde. Young, nel 1801, fisico, grande mente brillante, si chiede se non sia possibile che la visione umana funzioni anch’essa per mescolanza. Lui sostiene che esistono nel nostro occhio delle particelle che vibrano all’unisono con ogni colore, e sospetta che esse siano 3 come i colori di base dei pittori (rosso, giallo e blu). Idea che verrà confermata poi un secolo e mezzo dopo, con la scoperta sul fondo dell’occhio di tre tipi di recettori, ciascuno sensibile ad una gamma dello spettro. Importante è Piet Mondrain, nei suoi reticoli vediamo che compaiono giallo, rosso e blu, ma non il verde, nonostante sia un colore molto amato. Ciò che interessa a Mondrian è altro, vuole rivendicare un’estetica in cui la ricerca di valori primigeni è centrale. Ossessione dei colori primari e riduzione a linee ortogonali rivelano una schematizzazione della realtà. In verità i ‘primari’ non esistono. Un colore primario è tale solo perché viene usato per mescolarlo e farne dei secondari. Qualunque insieme di almeno due colori permette di tirar fuori moltissime tonalità. Ciano litografico - Breve storia delle tecnologie informatiche 1796: viene raccontata la storia di un ragazzo rimasto orfano che deve mantenere sé e i fratelli, guadagna incidendo testi musicali su lastra di rame. Decide di suicidarsi, ma quando arriva ad un fiume, il suo sguardo viene distolto da un pezzo di calcare. Gli viene in mente che questo potrebbe essere perfetto per raschiare le sue lastre musicali e quindi se ne torna a casa; fa una scoperta: da asciutta la pietra assorbe qualunque liquido, se però viene prima bagnata diventa repellente alle sostanze grasse. Lui prende il calcare, lo liscia per bene, ci disegna sopra con una matita grassa e infine ci stende un velo d’acqua. La pietra si bagna completamente tranne i tratti a matita, che restano grassi, cioè asciutti. Alois (protagonista), tampona tutto con un inchiostro tipografico che, essendo oleoso, aderisce ai segni della matita. La pietra è diventata come una matrice da stampa pure se non è a rilievo. La maggior parte dei materiali grafici (biglietto del bus, scatola del surgelato, fumetto…) sono fatti usando quest’idea. Il sistema moderno, ‘offset’, ha sostituito la pietra con una lastra di alluminio su cui l’immagine è trasferita col computer, ma il procedimento è lo stesso: l’alluminio viene bagnato e accoglie l’inchiostro solo nei tratti incisi. Questa storia, è inventata, però, il merito è suo. È davvero lui il primo a sfruttare questo meccanismo. È lui ad inventare la ‘litografia’, ovvero ‘la scrittura con pietra’, che da lì a poco, unita alle idee di Le Blon, permetterà l’affermarsi della stampa a colori (editoria, arte, pubblicità). Fin dai temp dei libri xilografici tardo medievali ci si era industriati in vari modi: dal colorare a mano le copie come in una catena di montaggio, a riempire le zone aiutandosi con degli stampini. Nel 1837 nasce poi la cromolitografia, che permette di stampare a colori sui materiali più vari, perfino sul metallo. Essa è la vera anticipatrice della moderna stampa offset. La grande invenzione del secolo è la fotografia, e da subito si cerca di farla a colori. Nel 1861 James Maxwell, il fisico che dimostra che l’elettricità, magnetismo e luce sono tutte manifestazioni dello stesso fenomeno, produce la prima foto a colori in assoluta, ispirandosi alle idee tricromatiche di Le Blon e di Young. Quella che ottiene non è una foto da tenere in mano, ma un’immagine proiettata, tipo diapositiva. Il soggetto è una coccarda scozzese: la fotografia tre volte con una normale lastra in bianco e nero, ponendo ogni volta davanti all’obiettivo un filtro trasparente, ciascuno del complementare della tinta che dovrà ottenere (un filtro verde, uno rosso ed uno blu). Poi ricompone le tre immagini proiettandole sovrapposte in un processo ispirato alla stampa tipografica. Per farlo fa uso di tre lanterne magiche (che poi diventerà il moderno proiettore), e di contenitori di vetro riempiti con soluzioni colorate. Da allora ogni procedimento di riproduzione del colore ruota intorno a queste due azioni: sperare e ricomporre (come fanno software di oggi, come Photoshop). Il coronamento di un secolo di ricerche è infine l'unione della litografia con i processi fotografici. L'anno decisivo per le tecnologie del colore è però il 1935: nel giro di pochi mesi compare la kodaChrome, la prima diapositiva destinata al consumo di massa, e al cinema debutta Becky Sharp, il primo vero film a colori realizzato grazie al Technicolor. Il Technicolor si può dire che è il coronamento definitivo delle idee di Le Blon e di Maxwell. È un’invenzione di tre ingegneri -> la cinepresa monta tre pellicole in bianco e nero, ciascuna filmata con uno dei tre colori primari; alla fine le tre strisce vengono ricomposte su un’unica pellicola, aggiungendoci del nero per contrastarle meglio. Il technicolor non è une pellicola che si sviluppa, ma si imprime. Sembra un’immagine stampata del tipico cinema mainstream degli anni Trenta e Cinquanta (per esempio Il mago di Oz). Per il film “Via col vento” vennero noleggiate 32 cineprese (era un processo costoso e laborioso). Il Technicolor è visto come un effetto speciale: nella Disney per esempio, è ricorrente il personaggio che cambia colore all’improvviso (rosso di rabbia, verde d’invidia, per il freddo diventa blu…). Questa cosa diverte il pubblico per l’aspetto comico ma anche per quello tecnologico: oggi può sembrare una banalità ma prima nessuno aveva mai visto un disegno cambiare colore. Nel mondo attuale il colore è tutt’uno con le tecnologie che consentono di riprodurlo, diffonderlo e farlo conoscere. Grazie alla fotografia, oggi le opere d’arte del passato hanno una diffusione sempre più maggiore, come per esempio quelle degli Impressionisti, di Van Gogh, Klimt e Matisse. Perché ritraggono temi come luoghi quotidiani, paesaggi, erotismo soffuso. Ma il loro successo è dovuto anche dal fatto che sono pitture facili da riprodurre, perché le tinte sono omogenee a quelle che si ottengono in stampa. Grigio armonico - Grandi ideali per la vita quotidiana Tra le idee tanto diffuse c'è quella che esista un'armonia tra certi colori e che alcuni di questi accordi si applicano meglio a certe persone: si tratta di miti fortissimi che hanno avuto consacrazione grazie ad alcuni influenti teorici di inizio 900 in cui si parla di armonia cromatica. ‘Armonia’ è una parola che proviene dal lessico musicale: si riferisce alla combinazione simultanea di due più suoni. In pittura e nel design, armonia è sinonimo di equilibrio, ordine, coerenza, consonanza. Ma che cos’è l’armonia di colori? Negli ultimi due secoli ci sono stati scienziati, artisti e filosofi che hanno provato a rispondere a queste domande. La maggior parte delle teorie si è concentrata proprio sulla ricerca di un’ipotetica perfezione. Poi in epoca moderna siamo arrivati però alla ‘razionalizzazione dei colori’, quindi a delle regole universali sulle tinte e sulle loro combinazioni migliori. Nel 1919, arriva al Bauhaus una figura vagante e e pittoresca, un seguace della setta Mazdaznan ispirata allo zoroastrismo, si chiama Johannes Itten: le sue idee son destinate ad un enorme successo infatti tutti i manuali d’arte, grafica o moda ne fanno riferimento. Itten è interessato a quello che succede nel famoso ‘cerchio cromatico’, ossia si concentra sui rapporti che si creano passando da un colore all’altro. Dimostra come da tre tinte primarie, si generassero le secondarie e le terziarie e usa questa struttura per evidenziare alcuni accostamenti ‘armonici’ , cioè più piacevoli di altri, prendendo i colori che giacciono sulla circonferenza a gruppi di due o di tre seconda rapporti di quadratura o triangolazione. Poi si concentra sulle relazioni espressive che si vengono a creare tra le tinte: ne individua sette e li definisce ‘ contrasti cromatici fondamentali’ . C’è il rapporto tra chiaro e scuro; opposizione di colori puri; di complementari; il gioco delle tinte più o meno sature. Si dedica sopratutto al contrasto di quantità, ovvero quello che si verifica quando all’interno di un’opera le superfici cromatiche si presentano con, per esempio, molto blu e poco arancio (marcatamente disuguali). Seguendo questo ragionamento costruisce così un altro cerchio, in cui lo spazio dedicato alle 6 tinte principali è diviso in segmenti inversamente proporzionali alla quantità di luce che le tinte riflettono. Lui dice che se esiste un valore luminoso caratteristico per ogni colore, queste differenti quantità di luce dovrebbero equilibrarsi: rosso e verde, che hanno la stessa luminosità, dovrebbero suddividersi lo spazio della tela metà per uno, mentre il giallo, tre volte più luminoso del viola, dovrebbe occupare una superficie tre volte più piccola. I colori vengono ricondotti quindi attraverso la loro brillantezza e questo accade tra le note nel sistema armonico tonale. Si può stabilire un paragone tra l’altezza di un suono e la chiarezza di una tinta (anche se il susseguirsi delle tinte nello spettro, non segue una logica simile a quella delle note sul pentagramma). Il sistema nervoso codifica suoni e colori in modo del tutto differente. L’occhio se io sommo blu e giallo vede il verde ed i giallo e blu scompaiono. Per l’orecchio invece, un Do e un Mi suonati in contemporanea non producono un Re (intermedio tra i due), bensì un accordo in cui entrambi i suoni sono distinti e riconoscibili. Ed è proprio per questo che Itten sostiene che ci sarebbe armonia quando la risultante di tutti i colori restituisce un grigio medio: questo accade nello scontro metà rosso e metà verde, o viola e giallo. Non è un grigio visibile, ma matematico. Si tratta di equilibrare i colori come sui piatti di una bilancia (tinte mescolate e non affiancate). Qualche anno prima di Itten, c’è un altro professore che propone un modello fondamentale per il secolo che sta per entrare, si chiama Albert Munsell, il quale finisce col parlare di armonia, sebbene i suoi scopi siano lontani però da quello che sosteneva Itten. Tinte diverse al massimo della saturazione, mostrano luminosità differenti (giallo saturo è più luminoso del blu saturo). Munsell sostiene che non si possono ingabbiare i colori dentro uno schema rigido. Non si basa su cerchi, triangoli o sfere e propone una forma tridimensionale, simile ad un albero dai rami di lunghezze diverse, composti di tasselli di colore sistemati in progressione: il fusto indica la luminosità e salendo dal basso verso l’altro si procede dal buio alla luce. Le tinte sono disposte in circolo ed i rami rappresentano i gradi di saturazione, più si va verso l’esterno più si hanno tinte piene. Anche lui quindi, qui, come Itten, sostiene che una composizione armonica sia quelle in cui la mescolanza delle tinte, di luminosità e di saturazione produce un grigio neutro. Il compito dell’artista è quindi equilibrare i tre parametri (tinta-luminosità-saturazione) e per dimostrarlo, in un suo manuale, Munsell ci propone due installazioni, una sbagliata e l’altra in cui le tinte sono ‘aggiustate’ seconda la sua idea di armonia. Dice che solo la seconda mescolanza è corretta perché produce il grigio medio Ma c’è anche il pensiero del filosofo pessimista Arthur Schopenhauer (lui si basa sulla cultura orientale - Itten pensava di ispirarsi a Goethe, ma in realtà si tratta di Schopenhauer) il quale sostiene che per ottenere una consonanza cromatica, si deve controbilanciare la quantità di luce riflessa dalle tinte. Lui sostiene che il mondo fenomenico (rappresentazione), è un mondo di sofferenza e di illusione. Solo tramite l’arte o la morale (due delle tre vie di liberazione), ci si ‘rifugia’ in un mondo di perfezione. Nell’arte le composizioni cromatiche armoniche, darebbero allo sguardo dell’individuo una sorta di pace, allontanando la sofferenza. Si può pensare anche alla cultura zen, allo Yin e lo Yang, che garantiscono la vita quando sono in simmetria, mentre generano malattia quando la perdono. Anche Kandinskij dice che l’armonia dei colori è fondata su un solo principio: il contatto con l’anima. Anche a livello di medicina, per esempio, un fisiologo cominciò a curare gli attacchi isterici sottoponendo i pazienti a flussi di luce colorata, quindi ad una ‘cromoterapia’, secondo cui il potere della luce doveva ristabilire la pace psichica perduta. Itten invece, sarà il primo ad associare le scelte cromatiche con i tipi umani, sostenendo che i colori che un artista sceglie, corrispondono ai suoi tratti fisici e caratteriali: biondo con gli occhi azzurri= tinte vivaci; mori per colori tetri e così via. Itten ha influenzato tutte quelle correnti di successo, in primis moda e arredamento, che spiegano come abbinare le tante mestruazione, altri sostengono che i bambini vengono vestiti di rosso proprio per tenerli meglio sott’occhio. Ma nell’illustrazione di Rackhman, vediamo che il bosco domina la scena, ma in modo imponente, monotono, tutto marrone e beige. E poi c’è Cappuccetto che è una macchia piccola rossa che nonostante la sua dimensione, spicca sulla scena. Quel rosso sottolinea la vivacità, il coraggio della protagonista in uno spazio così minaccioso. Mentre nel lavoro di Smith, Cappuccetto è al centro della scena, quindi è il rosso che fa da ‘padrone’. La differenza è sostanziale: Rackham è dentro la storia, ci contestualizza tutto, evidenzia la drammaticità della storia, mentre Smith fa un ritratto. La costruzione cromatica fatta da Rackham è chiamata ‘contrasto di qualità’, dove la scena è creata da una grande porzione di una tinta e da un’altra piccola parte di un’altra tinta. È una funzione che serve a richiamare l’attenzione, in questo sul rosso. Un maestro del contrasto di qualità è il pittore Chardin che lo usa a scopo competitivo e per dare dinamicità alle geometrie. Nel suo quadro Natura Morta: il dipinto è governato da toni spenti, su cui squillano le pennellate rosse dei frutti e quelle bianche della tazza di ceramica. I grandi autori, che siano artisti, designer, o tutte e due, usano il colore per raccontare, non per decorare. Ci sono diversi tipi di contrasto nella lista di Itten: il primo è quello di chiaroscuro. In questo caso il tipo di tinta è irrilevante, Ciò che conta è la modulazione dal buio alla luce e un saggio formidabile ne è il ritratto di Emile Zola scattato da nadar intorno al 1880; il senso di questo tipo di contrasto risiede nel muoversi tra un Massimo scuro e un Massimo Chiaro. Si passerà poi all’uso di un contrasto fatto con colori puri, ovvero delle tinte piene senza mezzi toni. In questo caso non conta più la progressione tonale bensì il rapporto tra una tinta e l’altra. L’uso dei colori puri può anche essere funzionale come ad esempio mappa della metro di Londra. È ovvio che i colori più usati tendono ad appiattire l’immagine rispetto all’uso del chiaro-scuro. Un altro tipo di contrasto di qualità è quello generato dall’uso di gradi differenti di saturazione di una tinta in relazione ad altre simili, come ad esempio nelle polaroid sempre rossicce oppure nel ritratto Madame Camus di Degas, dove la predominanza è il rosso ma con saturazioni diverse. Altri contrasti sono quelli di 'complementare’ e ‘simultaneità’, dove la tendenza è quella di accostare due colori antagonisti per farli risaltare a vicenda, come ad esempio nel ritratto della “ragazza afgana” di Steve McCurry del 1950 (rosso-verde). Un uso letterario del contrasto di complementari lo troviamo nel romanzo “la storia infinita” di Michael Ende, in cui il design del libro è tutt’uno con l’esperienza del racconto. Un caso particolare di contrasto di complementari è risalente al Rinascimento, ed è il ‘cangiantismo’ per cui le ombre venivano fatte con toni freddi e le luci con toni caldi o viceversa. Una variante più contemporanea la troviamo nelle foto con effetto ‘cross processing’, molto di moda in pubblicità a partire dagli anni 2000 e che oggi vediamo nei filtri di Instagram, dove le luci sono caldissime e le ombre azzurre o verdastre. Altro esempio di questo processo è visibile nel film di Kubrick, “Eyes Wide Shut” dove una parte del frame è completamente calda ed una fredda. Il contrasto più sofisticato è quello della simultaneità. È il fenomeno per cui il nostro occhio, sottoposto a un dato colore, ne esige contemporaneamente, cioè simultaneamente, il complementare e, non ricevendolo, se lo rappresenta da sé -> Si ha quando una tinta vira verso il complementare di quella che ha di fianco: tipo un grigio che tende al verdastro se posto su uno sfondo rossiccio. Alcuni esempi di questa tecnica li troviamo nei dipinti di Monet e di Morrisot. Il contrasto di cromatici per cui viene fatta una scelta stilistica dove si contrappone il bianco e nero ad un’altra singola tinta, come ad esempio il rosso (esempio ‘Shinderlist’) e il contrasto di coppia per cui due tinte unite ed omogenee si contendono il frame con pari dignità come ad esempio il filo nero e giallo della polizia. Possiamo affermare che ciò che attira la nostra attenzione è uno scarto visivo di qualunque tipo e che gli artefatti di successo vertono sull’efficacia di un qualche tipo di contrasto. Quando vediamo qualcosa che non ci piace a livello grafico o visivo, significa che non è stata data un’importanza alla gerarchia visiva. Rosso significante - I colori delle cose Smarties, pastiglie di cioccolato ricoperte di zucchero, che introducono una novità cromatica rispetto agli altri dolciumi: si presentano in otto colori diversi, ma il gusto è uguale per tutte. Le Smarties sono una variante semplificata dei confetti italiani, dove il colore del confetto indica una situazione come per esempio rosa o celesti per festeggiare l’arrivo di un neonato; rossi per la laurea, oro o argento per il matrimonio. Nelle Smarties le tinte non hanno valore simbolico; il colore suggerisce però che si tratta di un prodotto rivolto ai bambini. Il colore in questo caso ci parla anche di un inquadramento commerciale, cosa che non avviene con i confetti. Prendiamo come altro esempio l’iMac dell’Apple, un computer all’avanguardia del design, lanciato nel 1999. Gli iMac stupiscono sopratutto per le tinte sofisticate, cangianti, come quelle di una pietra dura. È il primo computer che si propone come oggetto ‘sportivo’, per il tempo libero e il divertimento. Un computer ‘personal’, come un capo di abbigliamento, un prodotto per tutti. Prima c’erano pc con colori che diciamo sottolineavano le loro ragioni ‘professionali’. Con al uscita di Internet invece, le cose cambiano, perché anche la realtà che frequentiamo attraverso il computer, non riguarda più solo le esperienze lavorative, come dimostrano i social network. Apple anticipa questi nuovi ‘riti’, cambia il codice commerciale e quello iconografico con cui vengono disegnati e comunicati i ‘calcolatori’. l’iMac è tondeggiante, morbido, quasi gommoso. Tinte vivaci e sorprendenti. La pubblicità che sosteneva questo nuovo modo di pensare e disegnare i prodotti era sostenuta dallo slogan ‘Think different!’, cioè pensare in maniera alternativa. Possiamo capire come, con il Mac, si arrivi all’idea che avere uno stile personale è fondamentale per rimanere impressi nella mente delle persone. Con l’andare degli anni Apple creerà iPod e iPhone, i quali non sono solo degli oggetti ma anche delle pratiche sociali, ossia un modo di stare e di essere. Lo spot pubblicitario del lancio del primo computer Macintosh (della Apple), è ambientato sotto colori bianco e nero ed in uno scenario di tinte smorte, comprare una ragazza che infrange lo schermo, lo fa esplodere rivelando il logo Apple: una mela vivacissima, colorata come un arcobaleno (quindi i colori bianco e nero passano in secondo piano dando spazio a colori vivaci). Non nasce così dal nulla però, ma le idee trovano un precedente: la macchina da scrivere Valentine, disegnata da Ettore Sottsass, per la Olivetti nel 1969. Sottsass, nel pieno dei movimenti di liberazione (maggio ’68 o i tre giorni di Woodstock, che introducono il vestirsi, comportarsi, fare sesso come si preferisce), propone questo strumento compatto, leggero, colorato. È il primo apparecchio che si propone all’essere utilizzato fuori dall’ufficio: ha una funzione poetica, un’intenzione estetica con cui si pensano le cose della vita quotidiana. Il rosso di Valentine non è una laccatura, ma è il colore stesso della plastica con cui viene realizzata. Il rinnovamento del design italiano del secondo dopo guerra, è la storia di una classe di imprenditori che cominciano a investire concentrandosi sulla lavorazione di materiali innovativi (lavabili, componibili, flessibili). I classici del design che arredano le case di quegli anni (’60-’70), si distinguono proprio perché non sono colorati ma sono fatti di materia colorata. Il materiale con cui è fatta la macchina di Sottsass, si chiama Abs, un polimero termoplastico che permette di creare oggetti rigidi ma leggerissimi (mattoncini della Lego, giocattoli). In questo senso il ‘rosso’ di Valentine allude solo in parte al colore della ‘rivoluzione’ (perché con Sottsass abbiamo l’idea di Apple). Il rosso spicca perché rappresenta la forza, basta pensare a colossi come ‘CocaCola’, la colla Pritt, estintori, Ferrari, Campari (non solo per le grandi marche). Pensiamo a due oggetti comuni: un trapano e un frullatore. Qui il colore è allo stesso tempo simbolo, ruolo e discorso commerciale. La plastica colorata serve quasi sempre a proteggere il meccanismo e allo stesso tempo ad evidenziarne la marca. Per esempio, il trapano della Bosh è nero e verde rispetto all’arancio ed il nero del Black&Decker. La scelta di farsi riconoscere tramite l’accostamento di tue tinte non è solo un’invenzione dei pubblicitari moderni, ma già dall’antica Roma. La coppia di due tinte viene memorizzata subito, e recepita meglio, rispetto alla singola tinta. Pensiamo alla telefonia: rosso e blu per Tim, bianco e rosso per Vodafone, arancio e blu per Wind. Ritornando all’esempio del trapano e dei frullatore, bisogna pensare che a livello di meccanismo sono entrambi prodotti elettrici che cambiano di potenza ma che hanno comunque la stessa funzione. Oltre a distinguerli per la forma, ci corrono in aiuto i colori candidi del frullatore rispetto al verde montano del trapano. Uno ha un uso interno, l’altro anche esterno ed è per questo che è stato scelto il verde. Il trapano ha un indole maschile, perché scuro, violento, brutale, mentre il frullatore è candido, gentile quasi sanitario riconducibile più alla donna. Il frullatore Minipimer è potente ugualmente ma a differenza del trapano in cui si vede la lama, nel frullatore la lama che trita è nascosta. A ribadire le differenze sono anche dei fattori estetici: il colore nero sembra più impegnativo e difficile rispetto ai colori chiari, come per esempio i pesi delle donne in palestra sono colorati, quelli dei bodybuilder neri. Si tratta di differenziazioni di genere che non vanno tanto in base al sesso quanto ai luoghi: l’officina per primo, la cucina per il secondo (uomo-donna). Karin Ehrnberger ha progettato due nuovi elettrodomestici scambiandone i colori e le forme del trapano con quelli del frullatore: il frullatore super agguerrito mentre il trapano sembra quasi uno strumento da ginecologo e gran parte di questi significati vengono veicolati dal colore. Degli oggetti però, come ha sottolineato un designer italiano Andrea Branzi, percepiamo l’identità cromatica prima della forma e della funzione. Questo esempio è riconducibile alla pragmatica del colore, in ambito semiotico, il che vuol dire che le tinte e i colori significano in quanto veicolano dei messaggi: Pepsi è blu perché vuole passare il messaggio di non essere come la Coca Cola. Come per esempio, una lampadina rossa, accesa, ci può condurre a significati legati al sesso o alla pornografia mentre tante luci colorate, ci conducono per esempio al divertimento, all’aspetto festoso (Luna park). Mentre se la lampadina rossa è vicino a una verde, solo allora il rosso significa ‘divieto’. La comunicazione però non sempre è diretta, ma è un processo. C’è chi associa, per esempio, il verde del trapano alla montagna ma c’è anche chi non gli dà peso, non bada ai colori. Non sempre il colore ha un messaggio specifico come nel caso della colla Pritt che non si sa perché sia rossa. In questo caso il colore ha solo un ruolo, cioè quello di differenziare la Pritt da altre colle. Verde aspro - Colori da bere e da mangiare Colore arancione, che spesso associamo alle carote in quanto pensiamo siano sempre state così. Non è vero: le carote sono divenute arancio per mano dell’uomo che ha unito l’ortaggio ad una radice color arancio, ed ecco le carote che conosciamo tutti. Questo per dire come il colore dei cibi sia da sempre stato fondamentale. Oggi tutti i cibi sono controllati tramite strategie industriali che non sono altro che design. È importante per le industrie che li pubblicizzano, far sì che un determinato cibo abbia lo stesso colore che avrebbe in natura, ed è per questo che vengono controllati, attraverso l’attenzione dei mangimi che si danno negli allevamenti e sostanze per correggere la cromatura. Questa procedura non è nient’altro che un controllo delle ‘apparenze’. Infatti un burro troppo chiaro, potrebbe essere scambiato per strutto mentre un burro troppo scuro potrebbe sembrare rancido: questa categorizzazione viene fatta dalla nostra memoria in base a qualcosa che conosciamo già e che ci ha dato delle esperienze positive. nell’altro arancione. Oggi ci pare una cosa ovvia mentre nel Quattrocento per esempio, un volto poteva essere blu solo se apparteneva al diavolo. Il cinema ha fornito un nuovo tipo di metafora visiva in cui il colore ci fa atmosfera e ci dice qualcosa di profondo su trama e personaggi. La temperatura emotiva e quella cromatica di equivalgono. Nel parlare comune facciamo la differenza tra colori caldi (come giallo, rosso, arancione) e colori freddi (blu, azzurro e qualche viola). Quindi leghiamo ad un colore, una sensazione. In scienza però, l’azzurro scotta più del rosso (fa l’esempio di mettere un pezzo di ferro a temperature elevate, e diventa arancione, poi giallo, bianco ed infine azzurro). È noto che la fiamma dei fornelli a gas, per esempio, visivamente è blu e scotta tanto, oppure si può sentire freddo anche davanti ad un tramonto (arancione). Oggi viviamo nello stereotipo comune dove il caldo è collegato al rosso, arancio, giallo. Itten più volte sostiene che se entriamo in una stanza completamente rossa, il battito cardiaco accelera, più che in una stanza azzurra. L’effetto di eccitazione però dura pochissimo tempo e poi ritorna allo stato di quiete. Quindi forse queso effetto non è dovuto dal colore, ma magari al cambio di scenario, perché magari è anche la stanza che ci trasmette un senso di claustrofobia. Oltre a questo, viene detto che colori come il rosso ci danno l’impressione di uno spazio più stretto, mentre l’azzurro, forse perché lo colleghiamo al cielo o al mare, ci da la sensazione di sconfinatezza e quindi di conseguenza, di pace. È chiaro però, che niente di tutto questo ci dice qualcosa di plausibile. Si parla di ‘debolezza scientifica’ perché queste percezioni accadano all’interno di precisi situazioni psicologiche. La sensazione che un colore ci suggerisce è legata molto al tipo di contesto e mai alla tinta. Per esempio, prima gli ospedali, nell’800, erano completamenti bianchi. Adesso vediamo come i camici dei dottori, siano di un azzurro o di un verde, per una pura ragione tecnica: perché si asseconda l’esigenza psicologica di un’atmosfera ‘riposante’ e soprattutto perché per i dottori, dopo aver fissato il rosso del sangue, se si muove lo sguardo su un campo neutro, si vedranno delle macchie verdastre che possono disturbare, ma se si è circondati di verde, le macchie si confondono col contesto e permettono la concentrazione. La proposta di dipingere gli ambiente degli ospedali di un ‘verde riposante’ è stata di Flagg nel 1924. Negli spot pubblicitari, vediamo come l’azzurro o verde sia la confezione (quindi della cura) ed il rosso l’infiammazione da curare. Quindi il rosso del ‘dolore’ diventa azzurro quando fa effetto il farmaco. Un esperimento recente sostiene che si è più creativi in una stanza completamente azzurra. Ovviamente non è così, non possiamo dire che Stephen King, avendo scritto oltre 80 romanzi mentre Tolkien per esempio, solo 8, sia meno creativo di King. Certi dati come questo, sono dati per ‘ricerca scientifica’. Una stanza non può rendere più creativi in base al colore. Se tutti gli ambienti fossero azzurri e creativi, nessuno lo sarebbe più. L’unica stanza davvero creativa è quella che ci siamo dipinti da soli. Uno degli esperimenti più stravaganti è quello di John Ott, l’inventore della cinematografia timelapse, cioè la ripresa a scatto singolo che ci fa vedere in mezzo minuto un fiore che nasce, sboccia e muore. Lui alleva dei visoni e li divide in due gruppi: il primo gruppo lo fa vivere sotto una luce rossa e l’altro sotto una luce blu, concludendo che quelli sotto la luce rossa, diventano più aggressivi e non riescono ad accoppiarsi facilmente, mentre quelli sotto la luce blu, fanno tanti figli e sono docili. Forse perché il blu ricorda più l’ambiente naturale. Poi prova con i topi e li divide in 3 gruppi: alcuni con luce bianca, altri rosa e altri blu e scopre che con la luce blu i figli dei topi sono al 70% maschi, con lanosa sono al 70% femmine e con la bianca sono metà maschi e metà femmine. Fino all’Ottocento era il contrario: il rosa spettava ai maschi, perché era sentito come una visione addolcita del rosso, mentre il celeste alle bambine in omaggio al manto della madonna (ai tempi sempre blu lapislazzulo). Si parla quindi di convenzione, di stereotipo di genere. Prima per esempio, l’abbigliamento di uomo e donna era molto simile, e se una donna metteva un mantello di un maschio, non era definito un gesto bizzarro. C’è stato un fatto biologico che ha contribuito alla costruzione di questo ‘mito’ (blu per maschi e rosa per femmine): daltonismo e le sue varianti riguardano solo gli uomini; la gamma dei rossi e dei rosa che più spesso non viene riconosciuta (8%). Un dato del genere quindi ha partecipato a diffondere che per esempio, i prodotti destinati ad un pubblico maschile siano blu, perché tutti i maschi sono in grado di vederlo. Oggi in tanti si rifiutano di vestire i figli con azzurro o rosa. Quindi questo può condurre a ‘cancellare’ questo codice dalle nostra abitudini visive. Riguardo al rosso, ci fanno notare che questo colore caratterizza i genitali di molti mammiferi: bocca, lingua, sangue, fuoco: tutti elementi che spiccano. Per tali ragioni il rosso viene legato al sesso, passione, allarme e pericolo. Per il sangue, è rosso, quando lo vediamo in piccole quantità ma in realtà quando scorre è più spesso marrone, quasi nero. Sicuramente se si crescesse un bambino in modo tale che non potesse mai ferirsi, collegherebbe il colore rosso ad altro. Ma questo ovviamente sappiamo che è impossibile, perché ognuno di noi entra prima o poi in contatto col sangue e non c’è uomo che possa sottrarsi a queste associazioni. È l’associazione a essere inevitabile, non il suo significato. In Cina per esempio, l’amore e la passione è rappresentata da tinte chiarissime e delicate. I colori vivaci li colleghiamo spesso a situazioni e sentimenti allegri, ma nulla ci vieta di fare il contrario e costruire significati positivi con toni spenti e cupi. Concludendo, oggi per molte persone il colore rosso si rivelati eccitante e aggressivo dell’azzurro, ma al di là delle considerazioni statistiche, non possiamo spingerci oltre. Turchese registrato – Il copyright sulle percezioni in questo capitolo viene raccontata la scelta del colore per il catalogo di Charles Lewis Tiffany, che sceglie appunto una varietà di turchese: si tratta del colore delle uova del merlo americano. Con questo colore vengono realizzati tutti i materiali promozionali della Tiffany&Co. Oggi il colore ha un suo codice di riferimento (il Pantone 1837) ma se andiamo a cercarla nella mazzetta, non compare, perché in alcuni Stati è un marchio registrato prodotto in esclusiva per la gioielleria. Ci furono dei ‘litigi’ da parte di alcune multinazionali sul copyright cromatico (come la Bp, Louboutin, Zara, Yves Saint Laurent…). È possibile proteggere un colore? Possono rispondere solo scienziati e filosofi. Quando possiamo dire che due colori sono UGUALI? Molte volte ci succede di prendere due calzini che ci sembrano entrambi neri, e solo dopo, alla luce del sole, di vedere che uno è in realtà blu. Dentro casa, con la luce a incandescenza, il blu ci appare indistinguibile dal nero, ma al solo si rivelano due tinte distinte. Di fronte a questi problemi, la multinazionale americana General Electric, suggerisce che se due colori appaiono identici, sia sotto una luce fluorescente che quella a incandescenza, solo allora possono essere definiti ‘uguali’. Cerchiamo di capire ‘il vero colore’, quando andiamo a comprare qualcosa, ma considerare che la luce del sole sia più attendibile di quella di una lampadina è una convenzione. Noi viviamo in un mondo in cui la luce cambia di continuo e possiede tante colorazioni a seconda dei momenti e dei periodi dell’anno. Nel mondo del design viene raccontata una storia, di un locale negli anni sessanta del novecento, dove il ristoratore per dare un tocco nuovo al suo locale, mette delle luci rosse. Anziché scegliere delle lampadine rosse, che contengono un po’ di lunghezze d’onda verdi e gialle), ha deciso, ispirandosi al teatro, di usare lampadine bianche filtrate da gelatina rossa, così la loro luce, fa vedere i cibi nei piatti (in questo caso specifica le verdure), mute, nere, come se fossero al buio e quindi non invogliano a mangiare. Questa storia oltre a spiegare la fisica del colore, ci ricorda che nel mondo contemporaneo abbiamo fatto dell’illuminazione, un codice di comunicazione. Un’altra caratteristica della luce è il passaggio che c’è stato dall’illuminazione naturale a quella elettrica che ha portato un cambiamento nelle percezioni e nella produzione. Le lampadine, treni, lavastoviglie e sopratutto computer, ci ricordano ogni giorno che il nostro mondo è differente, che c’è stata una rottura col passato. La luce artificiale ha cambiato le nostre abitudini sociali (sonno, veglia ecc.) ma anche il modo di guardare l’arte. In conclusione, il colore delle cose è ‘vero’ solo in relazione a come decidiamo di pensarlo. Non si può tutelare un colore, perché non ci può essere il diritto d’autore su un colore, perché esso, se si intende l’effetto che fa all’occhio, non è qualcosa ‘inventato’ da qualcuno. Il colore quando chiudiamo gli occhi, smette di esistere: non è una cosa, ma una sensazione e non si può mettere il copyright sulle sensazioni. Rosa pesca - Il problema dell'incarnato Il colore delle cose può presentarsi in almeno 3 modi: -superficiale: caratteristico di qualsiasi oggetto opaco e che corrisponde spesso a una tinta uniforme; -luminoso: come in una lampadina accesa in ogni oggetto che emani luce; -modo volume: ci dà la sensazione di guardarci attraverso come accade con un pezzo di vetro, o un bicchiere. Le foglie per esempio, sopratutto quando la luce le attraversa, lasciano intravedere il reticolato interno, che se prendiamo una foglia e la dipingiamo con una vernice uniforme, e quindi otteniamo una foglia di plastica, sintetica, priva di vita. La pelle umana può essere considerato un caso limite tra colore di superficie e volume, non solo per il trasparire dei toni sottostanti (vene) ma anche per il suo cambiare sfumatura, arrossarsi, schiarirsi, stendersi o raggrinzirsi. Per dipingere la pelle umana vanno accostati diversi tocchi di colore diverso e tanti veli sovrapposti. L’olio consente le sfumature morbide che rendono verosimile il colorito umano. Esso è stato raggiunto anche da Rosalba Carriera, che l’ha ottenuto co i pastelli. I vari pigmenti che negli anni si sono succeduti hanno avuto dovuto fare i conti con l’idea che abbiamo della pelle umana, cioè che soprattutto quella del viso, mostra ed evidenzia la vitalità o la stanchezza, lo stress o la felicità. Un fondotinta troppo compatto crea un effetto finto, ma nelle culture orientali è molto usato (Opera di Pechino). Fuori dal mondo dello spettacolo però, il fondotinta è nella vita quotidiana di tante donne, per mostrarsi più belle e sicure di sé. Per ottenere un effetto naturale sul volto si deve usare più di un pigmento, interpretandolo come farebbe un pittore. Il caso più famoso della reinvenzione della pelle umana è quello della Barbie: opta da sempre per varianti di beige in modo originale e ponderato. Viene usata la cera per bambole e manichini, che però risulta macabro e immobile. Ken ha la pelle di un marrone più scuro, a significare che è maschio. Tutte le principesse dei cartoni animati hanno l’incarnato più pallido rispetto a quello dei maschi. ‘castano’ è come chiamiamo i marroni legati a capelli ed occhi, come il ‘biondo’ per il giallo dei capelli. Oppure il ‘rosa salmone’ per indicare il colore arancione chiaro del salmone. Dal punto di vista pratico il pittore ci dice che quello salmone è un arancione con un po’ di bianco. “salmone” è diventato una categoria mentale. Molto spesso tante persone quando entrano in un negozio chiedono, per esempio, una vernice “di questo colore” facendo vedere il ‘rosa salmone’. Un famose scrittore disse che l’unico modo di individuare un colore preciso, è mostrarlo. Oggi, si parla di colore commercializzato, tramite il sistema dei campioni che mostrano una determinata tonalità (lucida, opaca) che però è sempre un ‘circa’. Si usa per parlare di colore. Il campionario è un modello preciso, un sistema che riporta i colori che talvolta non sono indicibili a parole. Come per esempio vediamo anche dal parrucchiere, dove non c’è un quadratino che mostra il colore, ma una vera e propria ciocca di capelli trattati (perché c’è di mezzo luminosità e altre caratteristiche). Blè omerico - Un'ipotesi per la percezione Questo capitolo parla di Omero e della sua percezione dei colori. I contrasti di bianco e nero, per lui, sono sempre presenti e costanti, ma di altre tinte ci sono poche tracce. Ma sopratutto il blu non è mai nominato. Non dice mai che il cielo è blu e anche il mare lo definisce ‘color del vino’. Ci sono state diverse teorie su questo fatto. C’è chi sosteneva per esempio, che il mare era pieno di alghe rossastre e quindi Omero, lo definiva come il colore rosso del vino (e altre). Il mare, come il vino, ha un colore in cui coincidono densità e trasparenza, la percezione dipende molto dalla loro tridimensionalità. Il fotografo Ludwing Wittgenstein, porta una prova significativa, sostenendo che in una foto in bianco e nero, siamo sempre in grado di dire se qualcuno ha i capelli biondi o castani, nonostante la foto sia davvero totalmente grigia. Questo perché? Perché valutiamo altre informazioni, come l’età, il tuo di pelle, le fisionomie, che ci fanno riconoscere aspetti distinti dalla realtà. Chiamiamo ‘bianco’ il vino, anche se lo vediamo di color giallo, o l’uva la definiamo ‘nera’, quando ai nostri occhi è
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