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Riassunto di D. Lombardi - Storia del matrimonio. Dal Medioevo a oggi, Sintesi del corso di Storia Moderna

Riassunto del libro Storia del matrimonio. Dal Medioevo a oggi. Preparato per esame di Storia dell'Europa in età moderna.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 22/01/2021

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Scarica Riassunto di D. Lombardi - Storia del matrimonio. Dal Medioevo a oggi e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! Daniela Lombardi, Storia del matrimonio. Dal Medioevo a oggi, Bologna 2008 1. Matrimoni cristiani Il matrimonio di Trecento e Quattrocento attraverso i libri di ricordanze. Ecco come si strutturava il procedimento che portava una coppia d’élite a sposarsi tra Tre e Quattrocento: I) Si cerca una trattativa da intavolare attraverso i sensali. II) Si cerca di entrare in contatto con la famiglia scelta attraverso i mezzani. III) Raggiunto l’accordo, i parenti stretti si incontrano per l’impalmamento e l’abboccamento: questo era già vincolante. IV) Cerimonia, solo maschile, delle giure tra sposo e padre della sposa; segue banchetto pubblico. Lo sposo inviava alla promessa sposa un forzierino pieno di gioielli e, nel tempo,continuava a regalarle gioielli e vestiti per bilanciare la dote della sposa. Tuttavia, i doni del marito alla futura sposa, come abiti e gioielli, restavano di proprietà dello sposo, che se ne riappropriava una volta che questa si era inserita nella famiglia. Lo stesso valeva per gli anelli che le donne già sposate della famiglia dello sposo donavano alla sposa novella per inserirla pienamente nel contesto familiare: questi anelli passavano di mano in mano sempre a favore delle spose novelle. V) Dopo molto tempo, anche anni, dì dell’anello: lo sposo infila all’anulare destro della sposa l’anello; era una cerimonia privata, celebrata in casa e non in chiesa, spesso senza un sacerdote. VI) Qualche giorno dopo, corteo nuziale, che dava una dimensione pubblica al matrimonio perché coinvolgeva tutta la comunità. Il corteo nuziale vedeva la sposa, a cavallo e ben vestita, raggiungere la casa del marito. VII) Con la ritornata, dopo circa una settimana dal corteo, si completava il matrimonio e se ne sottolineava la provvisorietà; infatti, la ritornata serviva a ribadire pubblicamente che, qualora la sposa fosse rimasta vedova, la famiglia aveva diritto a riportarla a casa e a riprendersela per un eventuale nuovo matrimonio. I matrimoni popolari sono molto più variabili rispetto ai matrimoni d’élite, poiché i rituali potevano essere più condensati o più dilatati nei tempi. Per studiare i matrimoni popolari non possiamo servirci dei libri di ricordanze poiché la maggior parte delle persone di questi ceti non sapeva né leggere né scrivere. Useremo, piuttosto, i fascicoli processuali dei tribunali ecclesiastici, a cui queste persone ricorrevano per risolvere i propri conflitti matrimoniali. Cosa sappiamo, allora, grazie a queste carte? Sappiamo che ci si poteva sposare ovunque (casa della sposa, nei campi, in bottega, anche a letto), da soli o in compagnia, confermando l’accordo con un bacio o con la rottura di un bicchiere. Ci si poteva sposare in pochi giorni o in più anni. Anche in questi matrimoni l’inizio del processo era quello delle trattative, che però erano affidate più ad amici e parenti che a sensali di professione. Anche le trattative tra popolari comportavano accordi sulla dote e sul corredo della sposa. Durante queste trattative il prete locale poteva svolgere funzione di notaio. Come per i matrimoni d’élite, era la stretta di mano a confermare l’accordo. Fatto ciò, tutta la comunità doveva partecipare a questo nuovo accordo, motivo per cui le persone toccavano la mano agli sposi per confrontarsi con loro. Il rito della promessa poteva essere accompagnato da altri gesti rituali come il bacio (anticipazione dei rapporti sessuali) o il bere insieme da un bicchiere che veniva rotto. Il bacio poteva anche avere analogie col ratto, perché bastava baciare una donna alla sprovvista per rivendicare il diritto a sposarla (“donna vasata, donna spusata”), anche contro la volontà della famiglia, motivo per cui il bacio improvviso era punito dalla legge. Anche gli uomini dei ceti popolari facevano doni alle future spose, ovviamente di oggetti molto più modesti (stoffe, accessori, abiti, ecc.). Era meno frequente che anche le donne offrissero dei regali, che comunque potevano essere dei fazzoletti di lino, ad esempio, che alludevano alla disponibilità della donna a unirsi in matrimonio (il fazzoletto richiamava l’atto di asciugarsi il sangue dopo il primo rapporto). La donna poteva esprimere dissenso all’unione rifiutando il dono. Questi rituali non permettevano di distinguere facilmente tra una promessa e un matrimonio. In alcune zone d’Italia la stretta di mano rappresentava il momento del matrimonio, mentre in altre zone, come al sud, era l’anello (spesso a forma di due mani che si intrecciavano con un cuore nel mezzo). Non a caso, i termini sposo/sposa (dal latino spondere , cioè “promettere”) e marito/moglie sono spesso considerati sinonimi, nonostante corrispondano a due momenti diversi. Baciare, toccare il seno e sotto le vesti della fanciulla erano comunque comportamenti consentiti al promesso sposo, riconosciuti anche dai familiari e dagli uomini di Chiesa, anche in virtù del fatto che l’uomo si sposava ad un’età non estremamente verde e perciò questi gesti (che ovviamente rispettavano la verginità) erano una valvola di sfogo per i loro bisogni sessuali. Ad ogni modo, il matrimonio si concludeva diventando pubblico col corteo, per mezzo di cui la moglie si trasferiva in casa del marito e la comunità ne era informata. Tra i matrimoni popolari, invece, non troviamo la ritornata, che si ritrova solo in Toscana e in Romagna tra fine ‘800 e inizio ‘900. È bene considerare che tra la promessa e la coabitazione potevano passare anche diversi anni. Il fatto che, sia nel caso dei matrimoni popolari sia per quelli d’élite, il matrimonio era sempre un processo lungo e ben diluito nel tempo è dovuto al fatto che la comunità avesse bisogno del suo tempo per accettare e assimilare un cambiamento radicale come il trasferimento di donne e beni da una famiglia all’altra. A livello sociale, il matrimonio di ‘300/’400 era una fase tra le tante nella vita di un uomo, mentre era il destino di una donna (sposa di un uomo o sposa di Cristo). Un uomo poteva essere riconosciuto socialmente tramite il suo mestiere, mentre la donna aveva uno status sociale riconoscibile solo come moglie o come monaca (non a caso, matrimonio e monacazione avevano riti di iniziazione molto simili, sempre con la centralità dell’anello). Per i matrimoni appena trattati, cioè popolari e d’élite di ‘300/’400, non era obbligatorio sposarsi in chiesa o alla presenza di un sacerdote. La coppia poteva volontariamente recarsi in chiesa nei giorni successivi al matrimonio per assistere alla messa nuziale. Rendere il tutto ‘volontario’ era una strategia della Chiesa per allentare il controllo dei matrimoni da parte del potere delle famiglie. Tra il Mille e il Milleduecento, poi, era sorto il dibattito su cosa effettivamente desse validità al matrimonio: le posizioni erano quella che affermava che bastasse il consenso e quella che affermava che servisse la consumazione. Alla fine prevalse la posizione consensualista, elaborata da Pietro Lombardo a metà XII secolo, che distingueva il consenso in per verba de futuro (promessa scioglibile in certi casi) e per verba de praesenti (che costituiva il matrimonio indissolubile). Grazie al matrimonio per verba de praesenti un uomo di almeno 14 anni e una donna di almeno 12 potevano unirsi indissolubilmente in matrimonio da soli, a prescindere dalla presenza di testimoni o di un sacerdote, a prescindere dal consenso dei genitori o dei signori feudali. Queste regole (consenso sposi, monogamia, indissolubilità) restarono in piedi fino al XVI secolo, quando la Riforma Protestante e il Concilio di Trento imposero la cerimonia pubblica e solenne come obbligo per rendere valido il matrimonio (in Inghilterra ciò divenne valido dal Settecento). Prima di Lombardo c’era già stato Graziano, che a metà XII secolo aveva effettuato una sistemazione dei testi canonici presenti all’epoca e che aveva parlato di matrimonio dando sì importanza al consenso, ma affermando anche che questo diventava indissolubile con la consumazione del matrimonio. Comunque, non si può dire che fino al Concilio di Trento la Chiesa si disinteressasse delle modalità di svolgimento del matrimonio. Infatti, era interesse della Chiesa, per far sì che non venisse turbata la pace sociale da accordi privati, che i matrimoni fossero pubblici. Così, già il Concilio Lateranense IV (1215) stabilì che gli sposi dovessero pubblicare dei bandi con le loro intenzioni (come le odierne pubblicazioni) per informare la comunità, che poteva così segnalare eventuali unioni tra stretti consanguinei. Concili successivi proposero ancora nuove modalità come la celebrazione in faciae ecclesiae (di fronte alla chiesa) alla presenza del prete. Ribadiamo, comunque, che per i fedeli la fase più importante restava lo scambio del consenso tra i due sposi, non i passaggi religiosi. Poteva capitare che, per i ceti popolari, il prete fungesse da notaio nel rendere pubblico un atto contenente l’accordo consensuale, ma ciò non ha niente a che vedere con la sua funzione religiosa. riuscivano a far prevalere la volontà della fanciulla. Contro le eccessive pretese dei maschi sulle famiglie si mobilitò anche la Chiesa: infatti, il diritto canonico puntava a far valere la volontà dei ragazzi perché spesso la volontà delle famiglie, che magari non vedevano di buon occhio la Chiesa, impediva loro di seguire la propria vocazione religiosa. Per concludere, occorre precisare come il matrimonio di età moderna non fosse un modello stabile da contrapporre alle instabili coppie di oggi. Piuttosto, considerata la precarietà della vita dovuta a guerre e carestie varie che si sono susseguite nel tempo, il matrimonio era una scelta tutt’altro che definitiva, nonostante vigesse il vincolo dell’indissolubilità. In una coppia che si sposava spesso ci si separava, e questo avveniva perché la coppia dell’età moderna era contraddistinta da adattabilità e instabilità. 2. Matrimoni protestanti e matrimoni cattolici Punti in comune sul matrimonio tra protestanti e cattolici A partire dal Cinquecento sia i cattolici sia i protestanti si impegnavano per abbattere credenze e tradizioni popolari e sostituirle con regole precise che garantissero una maggiore disciplina nell’ambito del matrimonio e della vita familiare. Nel Cinquecento sia i cattolici sia i protestanti si impegnarono affinché si imponesse una forma di celebrazione pubblica del matrimonio. Il matrimonio protestante era un matrimonio religioso, che andava formalizzato in chiesa davanti ad un pastore, allo stesso modo di quello cattolico. Sia cattolici sia protestanti volevano limitare la sessualità legittima alla sfera del matrimonio. Si condannava, se fatto fuori dal matrimonio, sia il sesso sia il “fare all’amore”. Ciò portò entrambe le Chiese a inculcare nei giovani il senso del peccato, terrorizzandoli con le punizioni che Dio avrebbe potuto infliggere loro. Sia cattolici che protestanti si schieravano, ad esempio, contro il ballo. L’arcivescovo di Milano Carlo Borromeo, uno dei protagonisti della Controriforma, attuò una politica repressiva nei confronti del ballo, tanto da ordinare che nei giorni festivi fossero proibiti balli ma anche rappresentazioni teatrali e tutte quelle circostanze in cui si rischiava di commettere peccati. Questa politica di Borromeo era così repressiva che le autorità laiche si rivolsero allo stesso papa Gregorio XIII, per protestare. Borromeo rappresentava uno dei pochi casi isolati che addirittura intendevano punire comportamenti come la coabitazione e i reati prematrimoniali come se si trattasse di stupro. Carlo Borromeo, comunque, fu colui che introdusse i confessionali, a dimostrazione del ruolo fondamentale che la confessione assunse durante la Controriforma per scovare eventuali comportamenti sessuali illeciti e regolare la vita sessuale delle persone. Differenze tra matrimoni protestanti e cattolici Lutero negava il carattere di sacramento del matrimonio, anche perché riteneva che in pochi fossero in grado di praticare realmente la castità. Perciò egli abbatté la tradizione del celibato del clero instaurata dai padri della Chiesa e pose quasi sullo stesso piano laici e chierici. Oltre a Lutero, anche Erasmo da Rotterdam si schierò a favore del matrimonio e contro il celibato dei chierici. Lo stesso Lutero, inoltre, si sposò nel 1525 con Caterina von Bora. Bisogna, comunque, considerare che nella Chiesa medievale il concubinato era assai diffuso e ciò provocava scandalo solo se i sacerdoti in questione non adempivano ai loro compiti sacerdotali. Solo con il Concilio di Trento si elaborò tutta una moralizzazione dei costumi dei chierici cattolici. Poco prima del Concilio, tra gli anni ’30 e ’40 del ‘500, nei paesi protestanti si operò, invece, la chiusura dei conventi e dei bordelli, “liberando” così suore e prostitute. La chiusura dei monasteri aprì il dibattito sulla questione della libertà delle donne: senza il convento le donne erano più o meno libere? Il Cattolicesimo, fin dai tempi più antichi, sosteneva che la monaca fosse una donna libera, da contrapporre alla donna sposata, soggetta alla costrizione e schiava dell’uomo. Tuttavia, c’è chi anche nel Seicento non era d’accordo con l’idea della “monacazione come libertà”, come suor Arcangela Tarabotti, che scrisse un’emblematica opera dal titolo Inferno monacale. Riguardo al rapporto tra condizione dell’uomo e della donna, sebbene Lutero avesse emancipato le donne chiudendo i monasteri (che magari portò a molti casi di donne costrette a sposarsi, ma almeno evitò molte monacazioni forzate) e consentendo loro di sposare i pastori protestanti, comunque non mise mai in discussione il fatto che esse erano subordinate all’uomo, a quel padre- marito che per Lutero era “vescovo nella propria casa”. Quindi, Lutero emancipò le donne ma accrebbe l’autorità del pater familias. La moglie doveva sottomettersi all’uomo e, a causa del peccato originale, partorire nel dolore, mentre l’uomo nutriva lei e la sua famiglia. Per Lutero, marito e moglie erano come il sole e la luna: la luna (donna) splende di meno e ha meno dignità rispetto al sole (uomo), ma insieme risplendono al di sopra delle altre stelle. Ecco come Lutero ridisegnò la famiglia, unità importantissima nella visione religiosa, poiché è da lì che partiva l’educazione religiosa dei fanciulli, tanto che nel 1529 scrisse il Piccolo Catechismo, un testo per i genitori per istruire a dovere i figli nelle proprie case (secondo Calvino, invece, chi doveva provvedere per prima all’educazione dei fanciulli era la scuola). I catechismi di Lutero e Calvino, comprensibili anche dai bambini, furono ripresi e adattati dai gesuiti nella realtà cattolica. Quindi, se i protestanti attribuivano alla famiglia un ruolo così importante, lo stesso non si può dire per la Chiesa Cattolica, soprattutto quella post-tridentina, che invece puntava molto di più sulle scuole di dottrina cristiana e subordinava il pater familias all’autorità del clero (quindi forte distinzione chierici vs laici per i cattolici). Un altro punto di differenziazione tra protestanti e cattolici è il divorzio. Il Cristianesimo ammetteva la “separazione di letto e di mensa” dei coniugi, senza la possibilità di risposarsi, mentre l’annullamento consentiva di risposarsi in quanto dichiarava non valido il primo matrimonio. I protestanti, che non consideravano il matrimonio come un sacramento, non portavano avanti nemmeno il vincolo dell’indissolubilità. Tuttavia, il divorzio non era, per i protestanti, la soluzione a tutti i problemi della coppia, motivo per cui in generale i protestanti limitarono tantissimo la concessione del divorzio, e concedevano di risposarsi soltanto al coniuge innocente. Quindi, furono poche le coppie protestanti a cui il divorzio fu concesso, anche nell’Olanda che, nel 1572, introdusse i dettami della Riforma in seguito alla rivolta contro Filippo II. Qui i rarissimi divorzi concessi erano motivati da adulterio e abbandono. Nemmeno la violenza familiare, considerata nei paesi cattolici un pretesto valido per ottenere la separazione, veniva vista come un motivo sufficiente per divorziare dalla dottrina di Lutero, Calvino e altri riformatori. I giudici protestanti, infatti, al contrario dei cattolici, cercavano di ristabilire l’armonia di coppia, correggere i comportamenti sbagliati e ricordare ai coniugi che era necessario sopportarsi a vicenda e vivere in pace. Quindi, si può dire che fosse più facile liberarsi di un coniuge inadatto nei paesi cattolici piuttosto che in uno protestante. [Paesi protestanti: Germania, nelle zone in cui il principio cuius regio eius religio vigeva dalla Pace di Augusta del 1555; Paesi Bassi, dove dopo la rivolta contro Filippo II del 1572 ci fu una scissione tra Paesi Bassi del sud (attuale Belgio), cattolici e di dominio spagnolo, e Paesi Bassi del nord (chiamati Olanda dal nome della principale regione), indipendenti e calvinisti. Riguardo al matrimonio, c’era una differenza di fondo tra cattolici e protestanti. Questa differenza riguarda il concetto di clandestinità: mentre per i cattolici il matrimonio era clandestino se mancavano certe forme di celebrazione intorno al consenso dei soli coniugi, per i protestanti il matrimonio era clandestino se mancava il consenso dei genitori, oltre ad una cerimonia pubblica (voluta anche dai cattolici post-Concilio, come abbiamo visto). Nel corso del Cinquecento, quindi, il matrimonio sia cattolico sia protestante divenne soggetto ad una cerimonia pubblica, celebrata da un chierico alla presenza di testimoni, preceduta dalla pubblicazione dei bandi per tre giorni festivi e registrata nei libri parrocchiali. Tuttavia, se il Concilio di Trento aveva stabilito regole comuni per i cattolici, nei luoghi della Riforma ci furono diverse modalità di cerimonia, a seconda della dottrina dei diversi riformatori. Per i paesi cattolici, il Concilio di Trento produsse il Decreto Tametsi che imponeva una certa forma di celebrazione affinché il matrimonio fosse valido: cerimonia davanti alla chiesa (dentro la chiesa solo dopo il rituale romano del 1614), alla presenza di due testimoni e di un parroco che interrogasse gli sposi riguardo al loro reciproco consenso; pubblicazioni (che si evitavano nel caso in cui si sospettasse che qualcuno potesse sabotare il matrimonio); annuncio del matrimonio per tre messe di giorno festivo precedenti alle nozze; registrazione delle nozze nel libro parrocchiale. La Chiesa Cattolica post-tridentina non considerava il consenso paterno un requisito necessario per un matrimonio valido; l’unico consenso necessario era quello degli sposi. Questa era l’unica differenza degna di nota tra matrimonio cattolico post-tridentino e matrimonio protestante. La Chiesa Cattolica, con il Decreto Tametsi, accresceva l’autorità del parroco rispetto a quella del pater familias; era il parroco che presiedeva il matrimonio, la sua presenza rendeva valido un matrimonio in cui era richiesto il solo consenso degli sposi (questo portava anche al cosiddetto “matrimonio a sorpresa”), non dei genitori. Tra l’altro, il parroco interrogava gli sposi proprio per scovare eventuali imposizioni da parte dei genitori. Grazie al Decreto Tametsi i matrimoni clandestini diminuirono drasticamente, anche se non scomparvero del tutto, e nel giro di alcuni decenni il matrimonio tridentino riuscì ad imporsi. Nonostante sia la Chiesa cattolica sia quella protestante promuovessero un matrimonio in chiesa, sobrio, austero e silenzioso, per scacciare via tutte quelle celebrazioni popolari e tradizionali che avevano in passato accompagnato il matrimonio, per secoli la Chiesa si trovò a combattere con queste usanze. Prospero Lambertini, papa Benedetto XIV, quando ancora era arcivescovo di Bologna si lamentava del fatto che la chiesa fosse vuota mentre i banchetti nelle case degli sposi fossero pieni di invitati. Quindi, il matrimonio tridentino riuscì ad affermarsi, ma non riuscì a cancellare le vecchie usanze tradizionali, piuttosto si affiancò ad esse. Le chiese vuote, infatti, si potevano rintracciare, come abbiamo visto, per i matrimoni cattolici del ‘700 ma anche per quelli protestanti del Seicento in Germania. Nonostante non fosse un sacramento, anche per i protestanti il matrimonio era qualcosa di sacro, perché era stato istituito da Dio e simboleggiava l’unione di Cristo con gli uomini. A differenza di quello cattolico, il matrimonio protestante non era un sacramento e non portava alla salvezza, ma consentiva comunque di tenere lontani i peccati della carne. Nei territori protestanti la giurisdizione sui matrimoni passò in mano al potere secolare, ma in seguito a questa transizione nacquero i cosiddetti “tribunali del matrimonio”, all’interno dei quali lavoravano sia laici sia pastori. Il primo di questi fu istituito a Zurigo nel 1525 da Zwigli. Dal 1580 l’Olanda introdusse in maniera duratura il matrimonio civile, anticipando di secoli molti altri paesi europei. Qui si instaurò una politica di tolleranza che consentiva anche alle minoranze protestanti non calviniste di professare liberamente la propria fede (ma non ai cattolici, visto che il neonato stato olandese si era appena separato dalla cattolica Spagna) e ciò consentiva una convivenza pacifica di più religioni. Ad Amsterdam, già dal Seicento una persona su tre si sposava con rito civile; nel Settecento una su due. È eccezionale che l’Olanda abbia introdotto il matrimonio civile nel 1580, con lo Stato che prendeva in mano quei poteri in materia di matrimonio che fino al Medioevo erano appartenuti alla Chiesa, mentre in Francia ciò accadrà solo nel 1787, in pieno Illuminismo. In Olanda, al contrario degli altri paesi protestanti, non vennero istituiti degli appositi “tribunali del matrimonio” composti sia da chierici sia da laici, perché qui il matrimonio era di competenza dello Stato, quindi esclusivamente del tribunale secolare. È, in fondo, questa la vera differenza nella giurisprudenza sul matrimonio che divide cattolici e protestanti a fine Cinquecento: mentre i protestanti istituirono i “tribunali del matrimonio”, con l’Olanda calvinista che addirittura relegava questa materia al potere del tribunale secolare, i cattolici conferivano, invece, il potere di giudicare il matrimonio solo al tribunale diocesano. Dalla fine del Cinquecento, vinte le eresie, il Tribunale dell’Inquisizione iniziò a rivolgere le proprie attenzioni contro reati come magia, superstizione ma anche comportamenti sessuali proibiti. In caso di gravidanza dovuta a rapporti sessuali prematrimoniali, c’era una differenza tra cattolici e protestanti: i figli dei cattolici erano accolti in appositi ospedali, mentre i protestanti affidavano questi figli abbandonati alle parrocchie. Nonostante il Concilio di Trento avesse distinto sessualità lecita e sessualità illecita, dopo di esso si continuò a pensare che il sesso prematrimoniale fosse un Tuttavia, nonostante questo aumento del proprio prestigio, le donne non ottennero di condividere il potere con gli uomini. La valorizzazione del ruolo materno non riuscì, infatti, a cancellare gli stereotipi della debolezza e della fragilità delle donne, stereotipi che contribuirono ad escludere le donne dalla vita pubblica. Tuttavia, se le donne non venivano riconosciute come cittadine, venivano almeno riconosciute come madri di futuri cittadini, alle quali spettava il compito di educare i propri figli ai valori dell’uguaglianza e della libertà. Quindi, alla fine del Settecento il ruolo femminile non riusciva ad oltrepassare le mura domestiche, ma al loro interno la donna acquisì un ruolo importante, perché, in quanto educatrice dei figli, era chiamata comunque a costruire la nazione. Nell’Italia dell’Ottocento, negli anni in cui si perseguiva e si raggiunse l’unità nazionale, la famiglia era il luogo in cui anche le madri educavano i figli alla patria; a questo modello si contrapponeva la famiglia che voleva la Chiesa Cattolica italiana nel nuovo stato italiano: un luogo in cui essere educati alla fede anziché alla patria. A fine Settecento fu consentito il divorzio non solo per i motivi previsti dalla legge, ma anche per consenso comune dei coniugi o per incompatibilità di carattere. In una società nuova come quella nata dalla Rivoluzione Francese, il matrimonio smetteva di essere un patto indissolubile per diventare, piuttosto, un contratto basato sull’amore e sulla felicità della coppia. Infatti, solo un matrimonio felice poteva essere alla base della rigenerazione morale che avrebbe consolidato i valori della Rivoluzione. Perciò, se mancavano l’affetto e la comprensione era lecito rompere il contratto matrimoniale. La possibilità di divorziare creò una nuova immagine del matrimonio: adesso le relazioni tra i coniugi erano meno impari e i rapporti con le famiglie di appartenenza meno costrittivi, poiché la coppia adesso aveva il potere di divorziare. Ma perché erano soprattutto le mogli a chiedere il divorzio? Innanzitutto perché i mariti avevano diversi altri stratagemmi per guadagnare una posizione vantaggiosa sulla moglie nella coppia, e poi perché questi continuavano a godere di una certa libertà nell’intrattenere relazioni extra-coniugali che permettevano di alleggerire la vita di coppia. Fare figli continuò ad essere l’obiettivo del matrimonio: tuttavia, il procreare non era indirizzato a alla continuità del nome e del patrimonio, ma si facevano figli per amarli, educarli e proteggerli fino a che non fossero diventati autonomi. Questa idea era già stata proposta da John Locke, ma fu la Rivoluzione Francese a tradurla in un atto legislativo nel 1792, quando la potestà paterna venne abolita e sostituita dalla tutela esercitata da entrambi i genitori nell’interesse dei figli (non più del padre!). Dalla patria potestas del diritto romano si era così passati al dovere di cura esercitato sia dai padri che dalle madri, fino a quando il figlio non diveniva indipendente. Nonostante fosse stato introdotto l’obbligo del consenso genitoriale per il matrimonio dei figli inferiori ai 21 anni, i genitori vennero privati del diritto di diseredare i figli che si sposavano contro la volontà familiare, un’arma che era stata fino ad allora importantissima per i genitori di Ancien regime, sin dai tempi dell’editto di Enrico II (1556). Oltre al diritto di diseredare, i padri di Antico regime persero anche la facoltà di fare testamento per privilegiare alcuni figli a scapito di altri: infatti, l’uguaglianza dei diritti proclamata nel 1789 stabiliva anche l’uguaglianza dei figli, anche dei figli nati fuori dal matrimonio, che i rivoluzionari chiamavano “naturali” anziché “illegittimi” o “bastardi”. Solo i figli nati da un adulterio venivano ancora considerati illegittimi, perché il matrimonio rivoluzionario, in quanto basato sulla libera scelta e sull’amore, non tollerava l’adulterio. L’ideologia della Rivoluzione considerava il ruolo del padre un ruolo volontario; la madre, invece, che era sempre certa, aveva il ruolo della crescita e dell’educazione del figlio. Ricordiamoci che in questo contesto aleggiava comunque una certa sfiducia nei confronti delle donne sole, che per tutto il Settecento vennero considerate sempre più le uniche responsabili della perdita della loro verginità. Il colpo di stato di Napoleone del 18 brumaio 1799 cambiò le cose anche in merito alla famiglia. Infatti, con la salita al potere di Napoleone, il desiderio di ordine e autorità dopo un decennio di instabilità comportò anche la voglia di ripristinare un certo controllo sul matrimonio, innanzitutto limitando la libertà di divorziare e rafforzando la patria potestà. Napoleone non mise in discussione la laicizzazione del matrimonio, nonostante avesse firmato con Pio VII un concordato per mantenere una certa pacificazione religiosa. Quindi, la celebrazione religiosa non fu proibita, ma fu subordinata a quella civile di fronte a un pubblico ufficiale. Il divorzio non sparì dal codice, ma venne limitato e complicato (ad esempio non fu più ammesso il divorzio per incompatibilità di carattere, troppo facile da ottenere). La patria potestà che la Rivoluzione aveva ridimensionato fu in parte ripristinata: restituire potere ai padri di famiglia era considerato fondamentale per assicurare ordine e disciplina dopo il caos della Rivoluzione. Napoleone voleva una famiglia forte in uno stato forte. La famiglia forte e l’autorità paterna servivano a Napoleone per ristabilire l’ordine in Francia. Anche se l’autorità sui figli spettava sia al padre che alla madre, solo il padre poteva esercitarla. Il codice ripristinò il potere paterno di incarcerare il figlio minorenne, potere che poteva servire a far accettare al figlio le strategie matrimoniali della famiglia. Vediamo ora i diritti delle donne nubili e coniugate. In epoca di Antico regime, tra ‘600 e ‘700, tutte le donne erano rimaste escluse dai diritti politici. Ancora nell’800, in particolare con Napoleone, veniva ribadito alle donne quanto fossero inferiori all’uomo e destinate ad obbedirgli (Napoleone faceva in modo che questi concetti venissero letti in occasione dei matrimoni). Il principio di uguaglianza tra uomini e donne, che in tanti sostenevano, non veniva applicato alle donne sposate; si nota, infatti, nel codice penale del 1810, che l’infedeltà coniugale della moglie, anche occasionale, era punita severamente, mentre quella del marito era punita con pene più leggere solo nel caso in cui avesse commesso adulterio continuato sotto il tetto coniugale; all’uomo era permessa una certa libertà sessuale, mentre non era tollerata nessuna deviazione della donna, che doveva essere moglie e madre esemplare. Neanche la Rivoluzione era riuscita a scalfire il principio di inferiorità della donna; anche gli stessi Rousseau e Verri, così attenti alle necessità dei bambini, consideravano la moglie subordinata al marito. Il codice Napoleone fu un punto di riferimento per i legislatori dell’Ottocento, sia in Europa sia in America. In Italia, come in Germania, l’elaborazione del codice civile si intreccia al processo di unificazione politica, che ha portato alla nascita del Codice Pisanelli nel 1865. Nel Codice Pisanelli venne accolto anche un principio della Rivoluzione Francese, l’uguaglianza di tutti i figli, maschi e femmine, nella successione legittima. Il Codice Pisanelli, sulla scia del codice Napoleone, stabiliva la subordinazione della famiglia al capofamiglia, il quale doveva provvedere al sostentamento della moglie e dei figli; l’unica differenza tra i due codici, in questo ambito, era il fatto che il Codice Pisanelli attribuiva alla moglie rimasta vedova non la potestà (che era sempre e solo del padre) ma quantomeno la tutela dei figli. La tutela dava minori poteri rispetto alla potestà e cessava in caso di nuove nozze. Vediamo ora come tra i ragazzi e le ragazze delle classi medio-basse, nell’Ottocento, fosse consueto prendersi e lasciarsi, con amoreggiamenti che potevano durare mesi o anni e interrompersi quando sentimenti e progetti cambiavano. Solo quando si prendeva la decisione di sposarsi e venivano coinvolte le famiglie il rapporto diventava più formalizzato e i confini si irrigidivano. Ancora alla fine degli anni ’60 dell’800 si parlava di promessi sposi, e non di fidanzati, e gli incontri tra questi erano regolati e controllati dai parenti: gli incontri avvenivano in casa della ragazza, sotto gli occhi dei familiari, i quali potevano ricorrere anche alla figura dell’angelo custode. Questo non pregiudicava il fatto che le coppie giungessero caste al matrimonio; infatti, i rapporti sessuali prematrimoniali erano considerati legittimi se poi sfociavano nelle nozze. La Chiesa cattolica continuò a lungo ad applicare il favor matrimonii, battezzando figli di coppie non sposate e celebrando il matrimonio di coppie già con figli. Ciò testimonia la capacità di adattamento del clero secolare ai mutamenti dei comportamenti matrimoniali. Fin dal Medioevo, la Chiesa era interessata al momento del parto perché era importante che il bambino fosse battezzato. Perciò, la Chiesa si preoccupò di istruire le levatrici, presenti al momento del parto, affinché potessero battezzare i bambini nati in situazioni di emergenza, quando non c’era il tempo per chiamare un parroco. La levatrice, detta anche comare o mammana, veniva guardata con sospetto perché aveva a che fare coi corpi delle donne e con un momento segreto e misterioso come quello del parto. Il Concilio di Trento si impegnò affinché la mammana non fosse vista come la ‘strega’ antagonista del prete, ma come sua alleata; la Chiesa post-tridentina voleva che il parto fosse meno misterioso e più chiaro. Le levatrici erano fondamentali per scovare i figli illegittimi di cui era segreto il nome del padre; infatti, esse potevano estorcere importanti informazioni alle madri nel momento doloroso delle doglie (es. badessa di Castro). Mentre la Chiesa cattolica e quella anglicana detenevano, anche grazie alle levatrici, il controllo sul parto, nei paesi protestanti la formazione delle levatrici passò ai poteri secolari, per togliere alla Chiesa il monopolio sui parti. Sebbene nei paesi cattolici la Chiesa continuò ad avere in pugno i parti, con l’avanzare della scienza la Chiesa iniziò a perderne l’egemonia. Se nel Settecento veniva usato il parto cesareo per estrarre i piccoli corpi da battezzare dal corpo della madre morta di parto, con l’Ottocento il cesareo divenne uno strumento per salvare la vita terrena di madre e figlio, che comunque veniva battezzato con acqua santa iniettata nel ventre della madre. Oltre allo sviluppo della scienza, anche la nascita della fabbrica ha contribuito a tutelare il fisico della donna: la lavoratrice, nell’Ottocento, veniva considerata come soggetto da tutelare perché il suo corpo era destinato a diventare fecondo. Si proteggeva, sul lavoro, la sua vocazione alla maternità. Quindi, se per le donne di Antico regime il lavoro era una priorità e i figli andavano affidati alla balia (tanto la loro salute dipendeva da Dio), in età contemporanea la priorità delle donne era proprio la cura dei propri bambini (addirittura, la madre lavoratrice dava l’idea di cattiva madre). Vennero allora prodotte delle leggi apposite per tutelare le madri lavoratrici, ma limitatamente a fabbriche e miniere, con tante deroghe tra l’altro. Le donne, poi, non usufruivano molto di queste leggi: consideriamo che esse entrarono in massa in fabbrica solo durante la Prima guerra mondiale, quando sostituirono gli uomini al fronte. Quindi, tra fine Settecento e Ottocento le relazioni familiari cambiarono perché nacquero una cultura dell’infanzia e una nuova cultura della maternità. Il fascismo escluse le donne dal lavoro rivolgendo incentivi di maternità ai padri lavoratori: la donna si occupava della crescita dei figli nello spazio domestico. Il fascismo si attivò direttamente per le donna incinte o puerpere povere istituendo l’ONMI nel 1925. Riguardo al matrimonio, i regimi fascista e nazista operarono affinché i matrimoni fossero ‘puri’ e preservassero la razza ariana. Nel resto d’Europa, invece, tra fine ‘800 e inizio ‘900 decaddero le restrizioni del passato (es. sposarsi con uno dello stesso status). Il Novecento ha visto affermarsi un processo che ormai accomuna Europa occidentale ed orientale: la degiuridicizzazione e deistituzionalizzazione delle relazioni private e familiari, cioè la progressiva scomparsa della legge dalla regolazione del matrimonio, sia nel momento della nascita sia nel momento dello scioglimento. Le leggi più recenti si muovono per favorire l’autonomia individuale, evitando di interferire nelle scelte dei singoli, a condizione che siano rispettati principi fondamentali come l’uguaglianza, la solidarietà e soprattutto l’interesse dei minori. Questo non significa che oggi lo Stato sia sparito dalle questioni della famiglia; piuttosto, ha cambiato modo di agire. Infatti, se lo Stato non interferisce più nelle decisioni matrimoniali dei singoli individui, li sottopone comunque a tutto un apparato burocratico, piuttosto pesante, e mette a loro disposizione diverse figure professionali in caso di difficoltà o bisogno. Gli strumenti con cui oggi lo Stato entra nella famiglia sono le indennità di disoccupazione e di malattia, le pensioni di vecchiaia e di reversibilità, gli assegni familiari, ecc. Tra i paesi dell’Europa occidentale che più si distinguono per il sostegno alla famiglia c’è sicuramente la Francia, che ha sviluppato una politica di sostegno al costo dei figli, erogando liquidità monetaria ma anche servizi per la famiglia, per far sì che i genitori possano lavorare; anche i paesi scandinavi spiccano tra i migliori, ma questi puntano più sui servizi che sulla liquidità monetaria; i paesi mediterranei come Italia, Spagna e Grecia, invece propongono scarso sostegno sia a livello monetario che di servizi, rafforzando così un modello familiare in cui sono le donne a doversi prendere cura dei bambini. Anche per quanto riguarda i minori si nota, oggi, un incremento di interesse. Oggi il rapporto genitori-figli non pone più l’accento sui diritti dei genitori, ma sui doveri di cura che questi hanno nei confronti dei figli. Oggi si parla di autorità parentale e responsabilità genitoriale anziché di patria potestà, a conferma del fatto che, grazie al Sessantotto, l’autoritarismo paterno è decisamente crollato.
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