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Riassunto di Diritto Amministrativo: CAPITOLO II LA SEPARAZIONE GIUDIZIALE, Sintesi del corso di Diritto Amministrativo

Diritto Amministrativo<br /><div>SINTESI CAPITOLO II</div>

Tipologia: Sintesi del corso

2011/2012

Caricato il 16/07/2012

anna.d.v
anna.d.v 🇮🇹

4.3

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Scarica Riassunto di Diritto Amministrativo: CAPITOLO II LA SEPARAZIONE GIUDIZIALE e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Amministrativo solo su Docsity! CAPITOLO II la separazione giudiziale 2.1 Nozioni Il nuovo sistema disegnato dalla L. 80/2005 prevede, come in passato, due fasi, l’una dinanzi al presidente del tribunale o giudice delegato e l’altra dinanzi al giudice istruttore1. La l. n.80 del 2005 ha dunque ripristinato la cosiddetta bifasicità dei giudizi, la fase a cognizione piena è la fase contenziosa, che in quanto tale si contrappone alla fase presidenziale. Questa scelta è stata determinata dalla volontà di favorire, per quanto possibile, la conciliazione tra i coniugi, o comunque la prosecuzione non contenziosa dei giudizi. La fase presidenziale si conclude, sempre che non venga raggiunta la conciliazione o comunque un accordo tra le parti, con l’emissione dei provvedimenti temporanei ed urgenti nell’interesse dei coniugi e della prole. Il presidente, al fine di decidere, può limitarsi a sentire i coniugi e ad esaminare la documentazione allegata, in primis quella di carattere fiscale. Nei procedimenti di separazione di coniugi con figli minorenni il presidente deve, inoltre, procedere all'audizione degli stessi, pena - a seguito delle recenti riforme - la nullità dei provvedimenti assunti, a prescindere dal fatto che l'audizione venga poi effettuata nella fase di trattazione. La fase contenziosa si conclude con sentenza ed è soggetta agli ordinari mezzi di impugnazione oltre che a speciali procedimenti di modifica delle condizioni di separazione ex art. 710 c.p.c.. 1 1 Per un primo sguardo d’insieme delle riforme citate v. F. TOMMASEO, La disciplina processuale della separazione e del divorzio dopo le riforme del 2005 (e del 2006), in Famiglia e diritto, 2006,1, pagg. 7 ss.; M. FINOCCHIARO, Separazione e divorzio, in Guida al diritto, 2005, 22, pagg. 91-99 2.2 Competenza Prima della riforma i criteri per stabilire la competenza nei procedimenti di separazione e divorzio erano innanzitutto quello del foro del coniuge-convenuto (indicazione comune sia all’art. 706, 1° comma, c.p.c. che all’art. 4 L. 898/70): quindi la domanda di separazione personale dei coniugi così come la domanda per ottenere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio si proponevano innanzi al tribunale del luogo in cui il coniuge convenuto aveva la residenza o il domicilio2. La riforma ha, di fatto, confermato i suddetti criteri anteponendo però ad essi, quale criterio principale, quello del luogo di “ultima residenza comune dei coniugi”. Viene in tal modo armonizzata la disciplina nazionale con i criteri di competenza giurisdizionale introdotti all’art. 3 del Regolamento matrimoniale dell’Unione Europea n. 2201 del 2003 in cui si fa riferimento sia la criterio della “residenza abituale dei coniugi” sia a quello dell’ “ultima residenza abituale dei coniugi sei uno di essi vi risiede ancora”. La norma sostanzialmente tende a collegare il giudizio con il luogo di svolgimento della vita matrimoniale riconoscendo la competenza al giudice del luogo in cui si è effettivamente svolta la vita stessa e sia quindi quest’ultimo luogo, in caso di difformità con la residenza 2.4 La fase presidenziale o sommaria 2 2 Infatti nell’art. 706 c.p.c., sono stati inseriti quei criteri di competenza precedentemente ricordati ed indicati espressamente solo nell’art. 4 della legge sul divorzio (L. n. 898/1970) ma già applicabili anche ai procedimenti di separazione in virtù dell’art. 23 L. 74/87. Inoltre, A. Dionisio, La modifica del procedimento di separazione e divorzio, in AIAF, 3/2005, p. 7, ritiene che: “nell’ipotesi in cui il coniuge convenuto sia residente in Italia è utile distinguere a seconda che i coniugi, prima del giudizio, abbiano o meno avuto una residenza comune. Nel primo caso, sussiste la competenza inderogabile del tribunale del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi. Nel caso, invece, in cui tale residenza comune sia venuta meno ab origine, sarà competente il luogo di residenza del convenuto”. convenuto è libero di comparire, anche senza difensore, all’udienza presidenziale ed essere ascoltato dal presidente5. 2.4.2 L’ordinanza di fissazione dell’udienza e le difese del convenuto Il terzo comma del nuovo articolo 706 c.p.c. ,stabilisce che il presidente, nei cinque giorni successivi al deposito del ricorso in cancelleria, fissi, con decreto, la data dell’udienza di comparizione dei coniugi davanti a sé. Il provvedimento, esente da formalità, è in genere scritto in calce al ricorso; esso fissa la data dell’udienza dinanzi a sé entro un termine di novanta giorni dall’avvenuto deposito. Tuttavia, anche questo termine non è perentorio, il che non significa che la sua inosservanza sia priva di conseguenze: si tratta di un termine ordinatori il cui mancato rispetto non produce alcuna conseguenza, se non eventualmente disciplinare6. L’art. 706 c.p.c. stabilisce altresì che il presidente fissi il termine entro cui ricorso e decreto devono essere notificati al convenuto ed il termine entro cui quest’ultimo può depositare in cancelleria memoria difensiva e documenti. Tutti i termini indicati restano compresi nell’arco dei novanta giorni, entro cui l’intera attività deve svolgersi, per consentire la tempestiva celebrazione dell’udienza presidenziale.7 5 5 Secondo Tommaseo, La disciplina processuale della separazione e divorzio dopo le riforme del 2005 (e del 2006), in Fam. dir., 2006, 7 ss. il convenuto potrà limitarsi ad una memoria di replica; secondo Salvaneschi, I procedimenti di separazione e divorzio, ivi, 2006, 356 si rende comunque necessario il patrocinio di un difensore tecnico 6 I termini ordinatori, a differenza dei termini perentori, hanno la funzione di dare ordine all’attività amministrativa, indirizzandola verso esiti desiderati. Nell’ambito del processo, l’art. 152 c.p.c., 2° comma, afferma che i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, “salvo che la legge stessa non li dichiari espressamente perentori” 7 M. Finocchiaro, in Guida al Diritto, n. 22/2005, pag. 96 definisce “molte volte vergognosi i tempi dei giudizi di separazione e divorzio, in confronto alle esigenze ed alle aspettative che animano gli stessi (“atteso il vissuto e la tragedia umana che sono dietro quei fogli protocolli”) e teme che le nuove disposizioni possano allargare il numero dei termini che la dottrina, fondatamente, ama chiamare canzonatori”. Nuova è la disposizione relativa al termine, per il convenuto, per il deposito di documenti e memoria, il cui scopo è quello di evitare che il resistente presenti documentazioni (in passato anche copiose) al momento dell’udienza e di consentire al giudice ed alla controparte di prendere visione degli atti prima dell’udienza stessa, con evidenti vantaggi in termini di celerità e completezza di celebrazione8. In pratica, ancora una volta si evidenzia che, il procedimento è stato ridisciplinato nel senso di rimettere ad un momento successivo alla fase presidenziale la vera e propria introduzione del giudizio, con la conseguenza che le preclusioni collegate alla costituzione in giudizio di entrambe le parti sono rimandate ad un successivo momento processuale, cosicché l’atto contenente le prime difese non deve necessariamente rendere manifeste le argomentazioni, le contestazioni e le prove che si intende utilizzare nel prosieguo. Infine, la dottrina si è chiesta altresì se il convenuto possa presentare la memoria difensiva senza valersi dell’assistenza del difensore. Il carattere tecnico del documento in oggetto e il fatto che il successivo articolo 707c.p.c. preveda l’assistenza obbligatoria del difensore durante la comparizione inducono a ritenere che il convenuto qualora intenda depositare una memoria difensiva deve farlo necessariamente attraverso il ministero del difensore. 2.4.3 La conciliazione 6 8 Tommaseo, La disciplina processuale della separazione e del divorzio dopo le riforme del 2005 (e del 2006), in Famiglia e Diritto 1/2006, p. 9 afferma che la nuova normativa non offrendo criteri per quantificare i termini assegnati al ricorrente e al convenuto, rispettivamente, per notificare il ricorso con il pedissequo decreto e depositare la memoria difensiva, crea una lacuna che in precedenza non sussisteva. Infatti l’art. 4, comma 6, della L. 898/1970, come modificato con la riforma del 1987, stabiliva che “tra la data della notificazione del ricorso e del decreto e quella dell’udienza presidenziale dovevano decorrere i termini a comparire di cui all’art. 163 bis c.p.c., ridotti di metà”. Ne consegue che il termine per notificare il ricorso dovrà essere molto breve per consentire al convenuto di esercitare il proprio diritto di difesa e presentare la memoria difensiva. L’Autore propone di applicare analogicamente quanto previsto dall’art. 709 c.p.c. per la notificazione dell’ordinanza presidenziale di fissazione dell’udienza davanti all’istruttore, in modo tale da lasciar decorrere interamente i termini previsti dall’art. 163 bis, ridotti della metà. Della riconciliazione si occupano gli artt.. 154 e 157 c.c.. La prima norma si riferisce alla riconciliazione nel corso del giudizio, mentre la seconda riguarda la riconciliazione intervenuta dopo l’emanazione di una sentenza o, di un decreto di omologazione della separazione. Dottrina e giurisprudenza sono d’accordo nel ritenere che, poiché l’art. 154 non definisce la riconciliazione, anche ai fini della norma predetta si possa utilizzare la definizione proposta dall’art. 157 e che l’istituto della riconciliazione sia unico. La presentazione o la firma del ricorso per la separazione personale, dunque, non costituiscono un fatto irrevocabile e definitivo, le parti non rimangono vincolate alla volontà espressa ed hanno ancora facoltà di revocarla o porla nel nulla. All’udienza il presidente deve sentire i coniugi personalmente comparsi (artt. 707, comma 1° c.p.c. e 4, comma 7°, l div), prima separatamente, poi congiuntamente e tentare la conciliazione tra gli stessi9. L’omissione del tentativo di conciliazione provoca la nullità del procedimento. La comparizione personale dei coniugi è inderogabile nei processi di separazione.10 Se la conciliazione riesce, si redige processo verbale ed il giudizio si estingue; può accadere che le parti raggiungano un accordo per una separazione consensuale, da omologarsi successivamente, ovvero un accordo per proporre domanda congiunta di divorzio. Se la conciliazione non riesce i coniugi devono essere nuovamente sentiti, unitamente ai loro difensori, al fine dell'emanazione dei provvedimenti temporanei ed urgenti (arte. 708, comma 3°, c.p.c. e 4, comma 8°, 1. div.). 7 9 Comolli, La fase presidenziale della separazione, legge incostituzionale o prassi incostituzionale?, in Dir. Fam. Pers., 1984, pag. 1164, afferma: “Durante la prima fase dell’udienza presidenziale, al Presidente è inibito parlare con i coniugi del merito della vertenza, merito di cui il Presidente può prendere cognizione leggendo il ricorso e la comparsa di costituzione o gli altri atti, se del caso riservando alla seconda fase dell’udienza taluni approfondimenti da lui ritenuti opportuni”. 10 Cass. 9 maggio 1997 n. 4056, in Foro It., Mass., 1997. Cass. 29 novembre 1990 n. 11523, in Giur. It., 1991, I, 1, pag. 1022. Cass. 26 ottobre 1968 n. 3562, in Foro It., Mass., 1968. dal 1990 sino ad oggi, aveva ritenuto incolmabile a mezzo dell'applicazione analogica dell'art. 669 terdecies c.p.c., sul presupposto della natura non cautelare dell'ordinanza presidenziale. L'introduzione di un mezzo che, si potrebbe definire "di impugnazione” avverso i provvedimenti presidenziali è novità da valutare con favore nella misura in cui, anche alla luce dei principi del giusto processo, si colloca nella prospettiva di consentire una forma di riesame, da parte di un giudice collegiale, di provvedimenti che, seppur sommari ed inidonei al passaggio in giudicato, tuttavia incidono sui diritti - anche indisponibili - delle parti. Il rischio, di contro, è che il reclamo provochi un appesantimento, ed un rallentamento, dei procedimenti di cui si tratta, nei quali invece l'esigenza di speditezza è particolarmente sentita. L'art. 708, comma 4°, c.p.c. prevede che contro i provvedimenti emessi dal presidente a norma dell'art. 708, comma 3°, c.p.c. "si può proporre reclamo con ricorso alla Corte d'appello che si pronuncia in camera di consiglio. Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione del provvedimento". Il reclamo - che potrà essere proposto contro i provvedimenti temporanei ed urgenti emessi dopo il 16 marzo 2006, data di entrata in vigore della 1. n. .54 del 2006 - è uno strumento a disposizione di entrambe le parti. Anche il convenuto che non abbia partecipato alla fase presidenziale, ovvero vi abbia partecipato senza l'assistenza del difensore, potrà proporre reclamo avverso l'ordinanza presidenziale che reputi pregiudizievole ai propri interessi. Per quanto riguarda l'ambito di applicazione del nuovo istituto, si deve chiarire se siano soggette a reclamo solo le ordinanze presidenziali ovvero anche i provvedimenti del giudice istruttore che abbiano modificato o revocato i provvedimenti presidenziali. Dibattuta è l’interpretazione, da far apparire opportuno un intervento della Corte di Cassazione. 10 2.5 La fase a cognizione piena o giudiziale 2.5.1 La memoria integrativa L’inizio della fase contenziosa del procedimento di separazione è segnata dal deposito della memoria integrativa, dunque non dal deposito del ricorso introduttivo, né dalla notificazione dell’ordinanza presidenziale. II primo, infatti, ha la funzione di aprire la fase presidenziale, ora più di prima strutturalmente e funzionalmente autonoma rispetto al giudizio contenzioso, e consentire così i fondamentali adempimenti che devono svolgersi in quella sede; la seconda ha una funzione di garanzia. Dal deposito della memoria integrativa si producono, pertanto, gli effetti sostanziali della domanda di separazione e divorzio, diversamente da quelli processuali che si producono al momento del deposito del ricorso. E’ la memoria integrativa, ai sensi degli artt. 709, comma 3°, c.p.c. e 4, comma 10°, l. div., ad avere ora il contenuto di cui all'art. 163, comma 3°, numeri 2, 3, 4, 5 e 6 c.p.c.: deve pertanto 11 esservi indicata la cosa oggetto della domanda, i fatti e gli elementi di diritto costituenti le ragioni della stessa con le relative conclusioni ed i mezzi di prova di cui la parte intende avvalersi. Nella memoria integrativa potranno essere ripetuti gli elementi oggettivi dell'azione, già contenuti nel ricorso, e potranno essere esposti per la prima volta gli elementi di diritto che fondano la domanda principale e le domande accessorie12. La mancanza di uno dei requisiti dell'atto di citazione previsti a pena di nullità dall'art. 164 c.p.c. - e richiamati dalle suddette norme speciali - produrrà la nullità della memoria integrativa, nullità che potrà essere eccepita dal convenuto in comparsa di risposta ma anche rilevata d'ufficio dal giudice, secondo le regole del citato art. 164 c.p.c. Ciò premesso, è evidente che nulla osta a che la memoria integrativa sia veicolo di nuove domande rispetto a quelle eventualmente esposte nel ricorso introduttivo. Potrà quindi essere proposta per la prima volta, nella separazione, la domanda di addebito o, in entrambi i giudizi, le altre domande accessorie a quella principale, come quella relativa all'assegnazione della casa familiare, all'assegno, all'affidamento dei figli. La legge non prevede che la memoria integrativa sia notificata al convenuto. Il problema, come è evidente, sorge soprattutto nei casi in cui il convenuto non abbia partecipato alla fase presidenziale: egli si vedrà notificare solo l'ordinanza presidenziale nella quale verrà a conoscere il termine concesso all'attore per il deposito della memoria, ma non il contenuto della stessa13. 12 12 salvaNeschi, I procedimenti di separazione e divorzio, in Fam. e dir., 2006, p. 358. Anche secondo Cass., 5 novembre 2007, n. 23051, in Mass. Giur. it., 2007 l'atto di costituzione dinanzi al giudice istruttore segna il momento in cui si verificano le preclusioni. 13 In questo senso tommaseo, Nuove norme per i giudizi di separazione e di divorzio, in Fam. e dir., 2005, pp. 233-234; id,, La disciplina processuale della separazione e del divorzio dopo le riforme del 2005 (e del 2006), in Fam, e dir., 2006, 1, p. 12; contro P. danovi, II procedimento, cit., pp. 185-186 il quale osserva «che la conoscenza legale possa essere soddisfatta dalla notizia del deposito in cancelleria risulta anche dal sistema generale del rito ordinario, nel quale la comparsa di risposta del convenuto (potenzialmente contenente domande riconvenzionali) deve essere da questi unicamente depositata, e non già anche notificata all'attore, anche qualora lo stesso non si sia ancora costituito in giudizio». Questa disposizione ribadisce che nei procedimenti di separazione e divorzio l'attività istruttoria non è solo nella disponibilità delle parti: anche il giudice gode di poteri istruttori d'ufficio. Il riferimento, contenuto nell'ari. 155 sexies c.c., all'emanazione dei provvedimenti "anche in via provvisoria" riconosce, inoltre, poteri istruttori d'ufficio non solo al giudice istruttore, ma anche al presidente, per l'accertamento sommario dei rapporti tra le parti che si svolge nella fase precontenziosa dinanzi a lui. 4. Sentenza non definitiva ed appello Prima della riforma del 2005, l’art. 4, 9° comma, della legge divorzile disponeva che nel caso in cui il processo doveva proseguire per la determinazione dell’assegno (e quindi per le questioni di carattere economico), il tribunale poteva emettere sentenza non definitiva relativa allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio. Questa norma, non era prevista per le separazioni. 15 Tuttavia, la giurisprudenza la considerava applicabile anche a queste ultime15. La situazione non era mutata con la legge 80/2005, in quanto la stessa non aveva inserito, nella normativa codicistica della separazione, il precetto contenuto nell’art. 4, 9° comma, della legge 898/70. La lacuna è stata colmata con la legge 28 dicembre 2005, n. 263, il cui art. 1, n. 4, lettera b) ha aggiunto all’ultima parte dell’art. 709-bis c.p.c. il seguente periodo: “Nel caso in cui il processo debba continuare per la richiesta di addebito, per l’affidamento dei figli o per le questioni economiche, il tribunale emette sentenza non definiva relativa alla separazione...”. Rispetto al testo precedente, la norma attuale prevede l’emanazione della sentenza non definitiva e la prosecuzione del processo non solo per la determinazione dell’assegno, ma anche per l’addebito o per altre questioni quali ad esempio l’affidamento dei figli, la determinazione del mantenimento o del diritto di continuare ad abitare nella casa coniugale, superando così le discussioni svoltesi sul punto. In ordine al momento in cui il giudice potrà rimettere la causa in decisione per la pronuncia della sentenza “non definitiva” di separazione o divorzio, sembra potersi condividere l’opinione secondo 16 15 Cass., 29 novembre 1999 n. 13312, in Foro It., 2000, pag. 445: “Va innanzi tutto osservato che, come questa Suprema corte ha in più occasioni chiarito, l’art. 8 1. n. 74 del 1987 .. configura al 9° comma non una deroga, ma un’ipotesi normativa di applicazione del principio generale di cui all’art. 277, 2° comma, c.p.c. .. con l’unico elemento distintivo della sostituzione all’istanza di parte ed alla necessaria verifica della sussistenza di un apprezzabile interesse concreto di questa alla sollecita definizione della domanda, di una valutazione generale ed astratta della rispondenza della pronuncia non definitiva ad un interesse siffatto, in piena aderenza alla complessiva disciplina processuale ed allo spirito generale della legge di riforma del divorzio… Il legislatore del 1987 ha in sostanza inteso delineare, a prescindere dall’impulso del soggetto che ha promosso l’azione, uno strumento di accelerazione del processo volto ad assicurare una rapida definizione del rapporto personale tra i coniugi, eliminando l’incidenza negativa della durata della controversia attinente agli altri rapporti. Come già affermato da questa Suprema corte nella sentenza n. 12775 del 1995 .. e come è orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di merito, tale disposizione deve considerarsi applicabile al giudizio di separazione personale, in forza dell’espresso richiamo contenuto nel 1° comma dell’art. 23 1. n. 74 del 1987, non ravvisandosi profili di incompatibilità tra i due procedimenti che ostino a detta applicazione. Premesso invero che esiste un’evidente affinità tra i provvedimenti accessori concernenti l’affidamento dei figli, il contributo per il loro mantenimento, l’assegnazione della casa familiare, l’assegno al coniuge più debole, da emettere in sede di separazione e di divorzio, non può certo invocarsi la diversa natura dei due istituti quale ragione impeditiva dell’estensione della norma in oggetto al processo di separazione”. la quale il giudice possa decidere sull’opportunità di rimettere al collegio la decisione circa la sentenza non definitiva di separazione solo dopo che si è concluso lo scambio delle memorie ex art. 183, 6° comma, c.p.c., in quanto solo all’esito delle stesse sarà definito il thema decidendum16. L’utilità di una sentenza non definitiva di separazione va individuata nel tentativo di evitare evidenti intenti dilatori e giungere il prima possibile ad uno status di “separati” definitivo, considerato che per proporre l’azione di divorzio sono necessari il giudicato sullo status del giudizio di separazione ed il decorso triennale della comparizione delle parti davanti al Presidente. Avverso la sentenza non definitiva di separazione è ammesso soltanto appello immediato. Infatti, contrasterebbe con le finalità della legge consentire alla parte di attendere l’esito del giudizio relativo alle altre questioni prima di esercitare il diritto di impugnazione, così procrastinando il passaggio in giudicato della pronuncia17. L’appello immediato si svolge ed è deciso con le forme dei procedimenti in camera di consiglio. 17 16 Sul punto Dosi, Sentenza non definitiva di separazione e rapporti tra separazione e divorzio. Un’ipotesi di continenza di cause?, in Dal reclamo all’appello: le impugnative nei procedimenti per separazione e divorzio. L’autore sottolinea però anche la necessità di evitare inutili perdite di tempo specialmente laddove in alcuni tribunali dopo l’udienza ex art. 183 c.p.c. viene fissata un’udienza successiva per l’ammissione delle prove, oppure un’apposita udienza di precisazione delle conclusioni sulla sentenza definitiva; suggerisce così la possibilità di anticipare i tempi prevedendo che, fin dall’udienza di prima comparizione, il giudice inviti le parti a precisare e a replicare, nelle note istruttorie, in ordine alla eventuale sentenza non definitiva 17 Cass., sent. 18 luglio 2005 n. 15157, in Diritto e Giustizia, 2005, fasc. 35, 30: “La disposizione di cui all’art. 4, nono comma, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, nella formulazione introdotta dall’art. 8 della legge 6 marzo 1987, n. 74, in tema di procedimento di divorzio, secondo la quale, a fini acceleratori della definizione del rapporto personale tra i coniugi, la pronuncia sullo “status”, resa con sentenza non definitiva, è insuscettibile di appello differito, si rende applicabile anche ai giudizi di separazione personale, in virtù della disposizione di raccordo contenuta nell’art. 23 della legge n. 74 del 1987. Detta regola invero, ancor più che compatibile, è coessenziale al regime impugnatorio della sentenza parziale sulla domanda di separazione, atteso che una decisione siffatta non avrebbe ragione di essere anticipata ove, con lo strumento dell’appello differito, fosse consentito di bloccarne poi l’efficacia, mantenendola comunque legata ai tempi di decisione sul merito della domanda in ordine all’addebito, in tal modo condizionando la legittima aspirazione a conseguire lo stato di separato, quale necessaria condizione precedente alla definitiva rescissione del vincolo matrimoniale, alle esigenze istruttorie relative a questioni accessorie ancora da definire. (Nell’enunciare il principio di cui in massima, la S.C. ha anche precisato che al giudice della domanda di divorzio spetta di valutare l’inammissibilità della riserva di appello differito avverso la sentenza parziale di separazione ai fini della verifica del presupposto dell’intervenuto giudicato sulla separazione)”.
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