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Riassunto Diritto dell'Unione Europea - L. Daniele - 6^ edizione, aggiornata 2020, Sintesi del corso di Diritto dell'Unione Europea

Il documento contiene il riassunto della 6^ edizione del testo di Luigi Daniele del 2018, realizzato da Davide Angelini nel 2020. Il riassunto segue fedelmente la struttura del testo. Sullo stesso profilo è ora disponibile anche la più recente 8^ edizione (2022).

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 27/08/2020

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Scarica Riassunto Diritto dell'Unione Europea - L. Daniele - 6^ edizione, aggiornata 2020 e più Sintesi del corso in PDF di Diritto dell'Unione Europea solo su Docsity! DIRITTO DELL'UNIONE EUROPEA Riassunto del testo di LUIGI DANIELE, 6^ edizione realizzato da Davide Angelini nell'anno 2020 INTRODUZIONE LE ORIGINI E LO SVILUPPO DEL PROCESSO D'INTEGRAZIONE EUROPEA 1. Le esperienze di integrazione secondo il metodo della cooperazione intergovernativa È opportuno premettere un breve inquadramento storico e prendere coscienza dei passaggi più importanti che hanno segnato i quasi settant'anni di vita delle istituzioni europee: dal Trattato di Parigi del 12 aprile 1951, istitutivo della Comunità europea del carbone e dell'acciaio, al Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, alla recente riforma della governance economica adottata per far fronte alla crisi economico-finanziaria degli ultimi anni, e infine allo shock dell'uscita dall'Unione del Regno Unito (operativa a partire dal febbraio 2020). L'ideale di un continente europeo non più diviso in tanti Stati perennemente in lotta tra loro si afferma sin dal 19° secolo, ma l'occasione per passare dai progetti alle realizzazioni concrete si presenta soltanto alla fine della seconda guerra mondiale. Inizialmente la cosa prende piede soltanto tra gli Stati dell'Europa occidentale, mentre gli Stati dell'Europa orientale danno vita a forme di aggregazione alternative (il “Patto di Varsavia”, in materia militare, e il “Comecon”, in materia economica) facenti riferimento all'Unione Sovietica. A seguito della caduta del muro di Berlino (1989) e allo scioglimento dell'Unione Sovietica (1991) tali Stati hanno cominciato a partecipare in misura crescente alle forme di integrazione di matrice occidentale. 1 L'integrazione dell'Europa occidentale segue due metodi distinti: un metodo tradizionale, definito di cooperazione intergovernativa, e un metodo innovativo: il metodo comunitario. Le caratteristiche del metodo di cooperazione intergovernativa sono: a) prevalenza di organi di Stati, le cui persone agiscono come rappresentati dello Stato di appartenenza; b) prevalenza del principio dell'unanimità (o per consenso) delle deliberazioni prese dagli organi dell'organizzazione, che consente il potere di veto di uno Stato; c) assenza o rarità del potere di adottare atti vincolanti, dato che normalmente gli atti presi sono semplici raccomandazioni. In ordine cronologico, il primo settore in cui trova applicazione il metodo della cooperazione intergovernativa è quello della cooperazione militare. Abbiamo come esempi l'UEO (Unione dell'Europa Occidentale) fondata col Trattato di Bruxelles del 17 marzo 1949, cui aderiscono 10 Stati europei (Belgio, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lussemburgo, Paesi bassi, Portogallo, Spagna, Regno Unito). L'idea avanzata nel Trattato di Amsterdam del 1997 di fare dell'UEO uno strumento attraverso cui attuare nell'ambito dell'Unione Europea la PESC è stata abbandonata a partire dal Trattato di Nizza del 2001; l'UEO è stata defitivamente sciolta nel 2011. La NATO (Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico), fondata col Trattato di Washington del 4 aprile 1949, è composta non solo da Stati europei, facendone parte anche USA e Canada. L'organo principale dell'organizzazione è costituito dal Consiglio del Nord Atlantico composto da rappresentanti permanenti degli Stati membri o, quando si riunisce a livello ministeriale, dai Ministri degli esteri, dai Ministri della difesa o dai capi di Stato e di Governo. Le decisioni sono prese per consenso (unanimità). La cooperazione intergovernativa trova importante applicazione anche nel settore dell'integrazione economica. L'occasione viene data dall'esigenza di gestire il cd Piano Marshall, un piano di aiuti finanziari accordati dagli USA all'Europa, alla condizione che la loro gestione avvenga in maniera coordinata fra tutti gli Stati beneficiari. Un nutrito gruppo di Stati dell'Europa occidentale danno così vita all'OECE (Organizzazione Europea per la Cooperazione 2 Il Consiglio speciale dei ministri, composto da un rappresentante del governo di ogni Stato membro, ha funzioni consultive rispetto all'Alta Autorità, talora mediante pareri vincolanti. L'Assemblea comune riunisce i rappresentanti dei parlamenti nazionali e ha funzioni consultive. La Corte di giustizia esercita funzioni di controllo giurisdizionale sulla legittimità degli atti o dei comportamenti delle istituzioni comunitarie. La CECA viene descritta come primo esempio di ente sovranazionale, dato l'ampio potere di vincolare gli Stati membri e i soggetti degli ordinamenti interni. I sei Stati fondatori della CECA provano a replicare la formula utilizzata per la creazione della CECA anche nel settore della difesa, e istituiscono la Comunità Europea di Difesa (CED) col Trattato di Parigi del 27 maggio 1952, trattato che, però, non entrerà mai in vigore a causa del rifiuto dell'Assemblea nazionale francese di ratificarlo (anche a causa della perdità radicale e immediata di sovranità che l'entrata in vigore del trattato avrebbe comportato). Fallito l'esperimento della CED, gli Stati membri della CECA avanzano l'idea della creazione di un mercato comune generale, nonché di un regime speciale per il settore dell'energia atomica. Ciò porta alla firma a Roma, il 25 marzo 1957, del Trattato che istituisce la Comunità Economica Europea (CEE) e del Trattato che istituisce la Comunità Europea dell'Energia Atomica (CEEA o EURATOM). Le Comunità europee diventano così tre. Anche le due nuove comunità prevedono quattro isttituzioni: la Commissione (che corrisponde all'Alta Autorità CECA), il Consiglio, l'Assemblea parlamentare e la Corte di Giustizia. Mentre il Trattato CECA è considerato un trattato-legge, in quanto stabilisce nel dettaglio tutte le regole di disciplina del settore carbo-siderurgico, così che l'Alta Autorià eserciti un potere di tipo amministrativo, i Trattati CEE ed Euratom sono considerati trattati-quadro, in quanto prevedono l'attuazione dei princìpi e degli obiettivi ivi contenuti attraverso l'emanazione di veri e propri atti normativi da parte delle istituzioni create, in particolare da parte del Consiglio. 5 3. Lo sviluppo dell'integrazione comunitaria europea: l'unificazione del quadro istituzionale e le modifiche della membership La complessità nell'avere tre Comunità dotata ciascuna di propri organi porta all'adozione, contestualmente alla firma dei Trattati di Roma del 1957, di una Convenzione per effetto della quale le tre Comunità hanno da subito in comune Assemblea parlamentare e Corte di Giustizia. Nel 1965 viene firmato il Trattato di Bruxelles che istituisce un Consiglio e una Comissione unici per tutte e tre le Comunità. Da questo momento le tre Comunità hanno tutte e quattro le istituzioni in comune. Dal 2002, scaduto il Trattato CECA, il settore carbo-siderurgico è stato assorbito nella CEE (già divenuta CE a partire dal Trattato di Maastricht del 1992). La CE cessa di esistere come ente autonomo, in quanto incorporata nell'Unione europea, con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona nel 2009. L'Euratom, invece, sopravvive ancora oggi come ente autonomo. Nel frattempo hanno aderito alle Comunità europee numerosi nuovi Stati membri (e uno di loro ne è poi uscito: il Regno Unito). Attualmente fanno parte dell'Unione europea 27 Stati . Questa la cronologia della loro adesione o uscita:  nel 1973 hanno aderito Danimarca, Irlanda, Regno Unito;  nel 1981 ha aderito la Grecia;  nel 1986 hanno aderito Portogallo e Spagna;  nel 1995 hanno aderito Austria, Finlandia e Svezia;  nel 2004 hanno aderito Repubblica Ceca, Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovacchia, Slovenia e Ungheria;  nel 2007 hanno aderito Bulgaria e Romania;  nel 2013 ha aderito la Croazia;  A seguito del referendum sulla “brexit” del 23 giugno 2016, il Regno Unito ha esercitato il diritto di recesso previsto dall'art. 50 TUE. L'uscita del Regno Unito è divenuta ufficiale il 31 gennaio 2020. 6 4. La riduzione del deficit democratico Uno dei grandi problemi che la struttura istituzionale dell'Unione europea ancora oggi presenta è costituito dal cosiddetto deficit democratico. Si sottolinea che il princìpio democratico fa parte dei valori su cui l'Unione è fondata e che sono comuni agli Stati memebri (art. 2 TUE). Così come immaginata in origine, tuttavia, la struttura istituzionale non era stata prevista per rispondere ai princìpi sui quali sono basati gli Stati moderni. Inizialmente l'istituzione dotata di maggiori poteri era il Consiglio (dei ministri), composto dai rappresentanti dei Governi degli Stati membri, e quindi del potere esecutivo, non di quello legislativo. In ciò consisteva il problema del deficit democratico: l'organo rappresentativo del potere legislativo, l'Assemblea parlamentare (divenuta poi con l'Atto Unico Europeo del 1986 “Parlamento europeo”), nasceva infatti con funzioni puramente consultive. Si è assistito così ad un lento ma inesorabile ampliamento dei poteri del Parlamento europeo, peraltro sempre in una prospettiva di affiancamento al Consiglio e di condivisione di poteri tra le due istituzioni. Il sistema europeo è di tipo (in senso lato) bicamerale, e ciò per tenere conto della duplice fonte di legittimazione su cui l'azione dell'Unione si fonda: da un lato la volontà dei cittadini, che si esprime attarverso l'elezione a suffragio universale diretto dei membri del Parlamento europeo; dall'altro la volontà degli Stati membri, che si esprime attraverso i rappresentanti dei rispettivi governi nel Consiglio. La logica della doppia legittimazione è stata ribadita nel Trattato di Lisbona (art. 10 TUE). L'ampliamento dei poteri del Parlamento europeo è avvenuto per tappe. Col combinato dei Trattati del Lusssemburgo (1970) e di Bruxelles (1975), noti come Trattati di bilancio, vengono attribuiti al Parlamento europeo ampi poteri in merito all'approvazione del bilancio unificato delle tre Comunità Europee: il bilancio viene infatti (ancora oggi) adottato congiuntamente dal Consiglio e dal Parlamento europeo. Poco dopo (1976) si decide di dare attuazione ad una norma del vecchio Trattato sulla comunità europea che consentiva il passaggio al suffragio universale diretto per l'elezione dei membri del Parlamento europeo; in origine i membri erano invece designati da ciascun 7 6. Dalle Comunità europee all'Unione europea Anche l'istituzione dell'Unione europea, quale realtà che ha incorporato le Comunità europee, avviene inizialmente nel segno del metodo intergovernativo. Col passare del tempo, però, si decide di assegnare via via sempre nuovi settori alle competenze della Comunità europea e, quindi, al metodo comunitario. Già l'Atto Unico Europeo aveva introdotto quattro nuovi settori di intervento comunitario: ricerca scientifica e tecnologica, ambiente, ambiente di lavoro, politica regionale. Il TUE ne aggiunge altre sette: cooperazione allo sviluppo, protezione dei consumatori, reti transuropee, sanità pubblica, industria, cultura, Unione Economica e Monetaria (UEM). Il Trattato di Amsterdam vi aggiunge i seguenti settori: visti, diritto d'asilo, immigrazione e circolazione di cittadini di Paesi terzi, nonché occupazione e cooperazione doganale. Il Trattato di Lisbona vi aggiunge il settore della politica spaziale, nonché quelli dell'energia, del turismo, della protezione civile e della cooperazione amministrativa. A partire dagli anni '70 molti Stati membri non accettano di agire col metodo comunitario, prediligendo invece il metodo intergovernativo. Ciò ha portato gli Stati membri a cooperare tra loro su due piani differenti, per quanto complementari. Il settore più importante in cui si continua ad utilizzare il metodo della cooperazione intergovernativa è quello della politica estera, seguito poi dai settori della giustizia e degli affari interni (cooperazione giudiziaria in materia civile, immigrazione, visti, asilo, cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale). Nel 1992 il TUE formalizza la Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC), cui si affianca la Giustizia e Affari Interni (GAI). PESC e GAI vanno così a completare la struttura a tre pilastri su cui si fonda l'Unione europea (nel disegno originario di cui al Trattato di Maastricht del 1992), il cui I° pilastro è rappresentato dalle Comunità europee, il II° dalla PESC e il III° dal GAI. Si rammenta che le stesse istituzioni (Commissione, Consiglio, Consiglio europeo, Parlamento europeo, Corte dei conti, Corte di giustizia) operano nell'ambito di tutti e tre i pilastri, anche se le modalità di azione restano molto diverse. Col Trattato di Amsterdam (1997) e, in parte minore, col Trattato di Nizza (2001), i tre pilastri compiono dei passi verso la loro assimilazione: da un lato una buona parte delle materie del GAI (visti, asilo, immigrazione) vengono trasferiti nel I° pilastro (e sottoposti 10 quindi al metodo comunitario); dall'altro si assiste all'introduzione parziale nel II° e nel III° pilastro di alcuni princìpi caratterizzanti il metodo comunitario. Nel III° pilastro fa la sua comparsa (molto limitata) anche la Corte di giustizia. Col Trattato di Lisbona (2007) viene meno la distinzione tra I° e III° pilastro, in quanto quasi tutto ciò che caratterizzava quest'ultimo è stato assorbito nel primo (che utilizza il metodo comunitario). Di quello che era il III° pilastro rimane solo lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia cui è dedicato un apposito titolo del TFUE. La PESC rimane invece tuttora soggetta ad un regime speciale per quanto riguarda le procedure decisionali, gli atti da adottare e gli scarni settori assegnati alla Corte di giustizia. 7. L'Europa a più velocità La progressiva (e ancora imprefetta) riconduzione al metodo comunitario delle forme di cooperazione che in passato avevano carattere puramente intergovernativo porta alla creazione di settori “ibridi”, ossia utilizzanti un metodo comunitario “contaminato” da soluzioni di carattere intergovernativo. Ciò in quanto gli Stati membri non accettano subito di utilizzare il metodo comunitario in certi settori ritenuti più “delicati”, preferendo procedere per gradi. Si fa così sempre più ricorso a forme di cooperazione differenziata, definita anche Europa a più velocità (o “a geometria variabile”), mediante l'uso di specifici accordi o protocolli. Un primo esempio di cooperazione differenziata è data dall'Accordo di Schengen del 1985 tra Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi (+ altri Stati che hanno aderito più tardi). L'Accordo è finalizzato a ridurre drasticamente i controlli fisici sulle persone alle fronitere. Un secondo esempio di cooperazione differenziata riguarda l'Unione Economica e Monetaria (UEM), cui non partecipano tutti gli Stati membri dell'UE (ne rimangono fuori Regno Unito, Danimarca, Svezia, Repubblica Ceca e altri Stati di recente adesione all'UE). Esempi simili si moltiplicano col Trattato di Amsterdam, che prevede attraverso appositi protocolli allegati al TUE clausole a favore di Regno Unito, Irlanda e Danimarca, che 11 consentono loro di non essere vincolati dalle misure adottate nei settori in precedenza rientranti nel GAI. Il Trattato di Amsterdam crea addirittura un apposito istituto di applicazione generale per permettere l'adozione di iniziative di integrazione, limitate ad alcuni Stati membri (esclusi quelli beneficiari delle già citate clausole di favore): la cooperazione rafforzata nei settori di cui al I° e III° pilastro. Il Trattato di Nizza estende la cooperazione rafforzata anche al II° pilastro (ossia alla PESC). 8. Il Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa Le riforme dei Trattati originari si sono succedute negli ultimi decenni con ritmo incalzante. La ragione di questo continuo ricorrere alla procedura di revisione è che nessuna delle riforme di volta in volta approvate sono state giudicate sufficienti La genesi dell'ultimo trattato di riforma dei trattati europei, quello di Lisbona, è particolarmente complessa. Al Trattato di Nizza del 2001 viene allegata una Dichiarazione relativa al futuro dell'Europa, nella quale si stabilisce che un'ulteriore Conferenza intergovernativa di revisione sarebbe stata convocata nel 2004. Il Consiglio Europeo di Laeken del 2001 approva poi la Dichiarazione di Laeken nella quale viene deciso di convocare nel frattempo una Convenzione composta dai principali partecipanti al dibattito sul futuro dell'Unione (Commissione e Parlamento europeo, rappresentanti dei parlamenti nazionali e portavoce dell'opinione pubblica nei vari settori della politica, dell'economia e della società civile). La Convenzione trasmette nel 2003 al Presidente del Consiglio europeo in carica un progetto di Trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa. Nell'ottobre 2003 si aprono i lavori della nuova Conferenza intergovernativa che dura fino a metà 2004. Il 29 ottobre a Roma viene firmato il Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa. Solo 18 Stati membri provvedono alla ratifica del nuovo trattato (per l'Italia v. L. 7 aprile 2005, n. 57), o quantomeno ottengono l'autorizzazione parlamentare a procedere in questo 12 10. La ritardata entrata in vigore del Trattato di Lisbona Come tutti i trattati di modifica di quelli preesistenti, anche il Trattato di Lisbona, per entrare in vigore, ha avuto necessità della ratifica di tutti gli Stati membri. Si sono incontrati problemi in sede di ratifica da parte dell'Irlanda e della Repubblica Ceca. Il Consiglio europeo, riunitosi in due occasioni tra il dicembre 2008 e il giugno 2009, adotta alcune misure che permettono al governo irlandese di indire un secondo referendum per l'ottobre 2009, che stavolta ha esito positivo. Anche la Repubblica Ceca, alla fine, ha aderito al nuovo trattato (per la verità più per il cambio della leadership avvenuto in Repubblica Ceca nel frattempo). Pure in Germania la ratifica del Trattato di Lisbona ha incontrato problemi, dovuti ad un intervento della sua Corte costituzionale federale. Le riserve indicate dalla Corte vengono tuttavia superate e la ratifica viene perfezionata. Il Trattato di Lisbona entra così in vigore il 1° dicembre 2009. 11. La riforma della governance economica Di fronte alla crisi economica mondiale originata dal fallimento negli USA della Lehman Brothers, gli Stati membri dell'Unione europea hanno dovuto impegnarsi a rifinanziare le proprie banche. Ciò ha peggiorato la finanza pubblica, specie negli Stati che già presentavano squilibri di bilancio. A partire dal 2009 si manifesta la crisi del debito sovrano, dapprima in Grecia, poi in Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia (cd PIIGS), vale a dire in alcuni tra gli Stati membri la cui moneta è l'euro. Gli investitori, temendo che tali Stati non siano in grado di onorare i propri debiti, richiedono tassi di interesse molto alti. La differenza tra i tassi richiesti agli Stati con debito più basso e quelli richiesti agli Stati con debito più alto è noto come spread. Il rischio di un default di uno o più Stati della zona euro, o la loro possibile uscita dall'euro, ha indotto l'Unione e i suoi membri a promuovere una profonda riforma delle politiche economiche quale originariamente disciplinate dai Trattati. La riforma è consistita in due diverse componenti: 1. istituzione di un sistema per venire in soccorso agli stati membri che si trovino in 15 gravi difficoltà finanziarie (istituzione del MES); 2. rafforzamento del coordinamento e della vigilanza delle politiche economiche nazionali (riforma della governance economica). Con riferimento al sistema di soccorso, gli Stati membri della zona euro hanno dato vita al Fondo salva-Stati, creato col Trattato istitutivo del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), firmato l'11 luglio 2011, in una prima versione, e poi il 2 febbraio 2012 nella versione definitiva. L'istituzione del MES ha reso necessaria una previa modifica del TFUE; è stato così aggiunto all'art. 136 un paragrafo 3 che non istituisce esso stesso il MES, ma abilita gli Stati membri della zona euro a farlo tra di loro, cosa che in effetti hanno poi fatto col Trattato istitutivo del MES, il quale risulta complementare al sistema UEM. Il MES è un'organizzazione finanziaria internazionale simile al Fondo Monetario Internazionale. La sede è a Lussemburgo e l'oggetto dell'organizzazione è quello di reperire fondi, sotto stretta condizionalità, per l'assistenza finanziaria agli Stati contraenti che conoscano, o siano minacciati, da gravi difficoltà finanziarie, per garantire la stabilità della zona euro. Pur dotata di organi autonomi, all'organizzazione partecipano con ruolo molto importante la Commissione europea e la BCE. Sul versante della riforma della governance economica, e dunque per un rafforzamento del coordinamento e della vigilanza sulle politiche economiche nazionali, a partire dal 2010 sono state assunte le seguenti iniziative:  misure approvate a trattati immutati (ad es. una serie di atti legislativi che compongono il cd Six Pack);  misure che sono state adottate fuori dal contesto dell'Unione, attraverso accordi intergovernativi tra i soli Stati membri disponibili (es. il Fiscal Compact);  misure che hanno natura di soft law e non sono pertanto vincolanti (es. Patto Europlus). Con particolare riferimento al Fiscal Compact, lo stesso consiste nel Trattato per la stabilità, il coordinamento e la governance dell'unione economica e monetaria con cui si sono stabiliti: 16 1) il Patto di bilancio, che contiene il principio del “pareggio di bilancio” (cd golden rule) e l'obbligo di riduzione del disavanzo eccessivo che superi il 60% del PIL in ragione di un ventesimo l'anno. L'Italia ha a tal fine modificato gli artt. 81, 97, 117 e 119 della Costituzione con L. cost. n. 1 del 2012); 2) novità in materia di governance economica attraverso l'istituzione del Vertice euro (cd Euro Summit), organo composto dai Capi di Stato e di Governo degli Stati membri la cui moneta è l'euro, nonché dal Presidente della Commissione europea; 3) il Patto per l'euro, che stabilisce un coordinamento più stretto delle politiche economiche e la convergenza, noto come Patto Europlus. Consiste peraltro in un atto di soft law, e dunque non è vincolante. 12. La natura dell'Unione europea L'Unione europea non è uno Stato e, peraltro, gli Stati membri non hanno perso la loro statualità individuale. Dunque, non si può parlare di un fenomeno affine a quello degli Stati federali sorti per il comune volere di Stati preesistenti. Anche dal punto di vista empirico non si può sostenere che l'Unione europea eserciti effettivamente un potere completo di governo su un proprio territorio e su una propria popolazione. La natura non statuale dell'Unione emerge altresì da alcune caratteristiche riscontrabili dopo il Trattato di Lisbona:  manca nell'Unione il potere di definire autonomamente le proprie competenze (vige il principio di attribuzione ad opera degli Stati membri);  vi è la necessità del consenso unanime degli Stati membri per modificare i Trattati (che continuano ad avere natura di trattati internazionali, e non rappresentano una vera e propria costituzione europea);  è previsto il diritto di recesso unilaterale di uno Stato membro ai sensi dell'art. 50 TUE (cosa verificatasi con l'uscita del Regno Unito, o brexit, ufficializzata il 31 gennaio 2020). Gli Stati rimangono pertanto i padroni dei Trattati e ne decidono il destino, financo col recesso unilaterale. Ci si potrebbe a questo punto chiedere se l'Unione europea, dato che non è uno Stato simil- 17 TCE, risultano ora distribuite tra il TUE (che contiene le disposizioni più importanti) e il TFUE (che contiene le disposizioni più di dettaglio). Parlamento europeo, Consiglio europeo, Consiglio e Commissione sono definite istituzioni politiche dell'Unione, svolgendo funzioni di politica attiva dell'Unione. Corte di giustizia e Corte dei conti possono definirsi invece istituzioni di controllo (giurisdizionale la prima, contabile la seconda). La BCE è un'istituzione specializzata, dal momento che agisce soltanto nell'ambito dell'Unione economica e monetaria (UEM). Ai sensi dell'art. 13, par. 1, comma primo, TUE, “l'Unione dispone di un quadro istituzionale che mira a promuoverne i valori, perseguirne gli obiettivi, servire i suoi interessi, quelli dei suoi cittadini e quelli degli Stati membri, garantire la coerenza, l'efficacia e la continuità delle sue politiche e delle sue azioni”. Assume particolare importanza il princìpio di coerenza, che mira al coordinamento delle azioni svolte dalle istituzioni nei diversi settori di competenza dell'Unione, in particolar modo per quanto riguarda l'azione “esterna” (la cui responsabilità spetta a Consiglio e Commissione, con l'assistenza dell'Alto rappresentante). L'art. 13, par. 2, TUE enuncia un altro importante princìpio: il principio dell'equilibrio istituzionale (o delle competenze). Ai sensi di tale princìpio, ciascuna istituzione agisce nei limiti delle attribuzioni (competenze) che le sono conferite dai Trattati, secondo le procedure, le condizioni e le finalità da essi previsti. La violazione di tale principio trova apposita sanzione nel vizio di incompetenza, che comporta l'illegittimità dell'atto adottato. La garanzia del princìpio in oggetto è altresì assicurata dalla rigorosa osservanza delle procedure decisionali previste dal Trattato per le singole materie. Altro princìpio enunciato dall'art. 13, par. 2, TUE è il princìpio della leale collaborazione tra le istituzioni dell'Unione. L'art. 4, par. 3, TUE ribadisce tale princìpio anche con riferimento ai rapporti tra l'Unione e gli Stati membri. 20 Nella causa C-246/07 Commissione c. Svezia la Corte di giustizia ha concluso che viola il princìpio di leale collaborazione, nell'azione esterna dell'Unione, lo Stato membro che assume determinazioni unilaterali in spregio a una strategia comune concertata in seno al Consiglio per l'attuazione di un accordo misto in materia ambientale. Prima del Trattato di Lisbona si riteneva che per le istituzioni valesse anche il princìpio del rispetto dell'aquis, ossia di quanto è stato realizzato ed acquisito in un determinato momento storico sul piano dell'integrazione europea (trattati, atti adottati dalle istituzioni, princìpi generali e giurisprudenza della Corte di giustizia). Ai sensi di tale princìpio non sarebbe stato consentito approvare atti (né da parte delle istituzioni, né da parte degli Stati membri) che costituissero un regresso rispetto all'obiettivo di una sempre maggiore integrazione europea. É dubbio che il princìpio del rispetto dell' aquis sia stato confermato dal Trattato di Lisbona . L'art. 48, par. 1, TUE consente infatti ora che i Trattati siano modificati nel senso di ridurre anziché ampliare le competenze dell'Unione; inoltre, la parte dell'art. 3, primo comma, TUE che impegnava le istituzioni a rispettare e a sviluppare l'aquis, è stata soppressa. Specularmente, l'art. 2, par. 2, seconda frase, TFUE chiarisce che “gli Stati membri esercitano nuovamente le loro competenze nella misura in cui l'Unione ha deciso di cessare di esercitare la propria”. 2. Il Parlamento europeo Originariamente denominato “Assemblea”, quindi “Assemblea parlamentare”, l'istituzione ha assunto, prima con propria deliberazione (nel 1962), e poi in virtù dell'art. 3 dell'Atto unico europeo (nel 1986), la denominazione di Parlamento europeo. Ai sensi dell'art. 14, par.2, TUE, il Parlamento europeo è un organo di individui e non di Stati: è composto di rappresentanti dei cittadini dell'Unione. I membri sono eletti a suffragio universale diretto, libero e segreto. La disciplina elettorale attualmente in vigore si limita a stabilire alcuni princìpi comuni che riguardano: il carattere proporzionale del sitema di voto e il regime delle incompatibilità (è vietato il “doppio mandato”, ossia la doppia carica di parlamentare nazionale e parlamentare europeo). Per il resto, la disciplina della procedura elettorale resta affidata alla competenza esclusiva di ciascuno Stato membro per quanto riguarda l'elezione dei propri rappresentanti. 21 La durata del mandato è di 5 anni. Quanto al numero dei membri, l'art. 14, par. 2, TUE si limita a stabilire un numero massimo che non può essere superiore a 750, più il presidente, e che la rappresentanza dei cittadini è garantita in modo degressivamente proporzionale, con una soglia minima di 6 seggi e una soglia massima di 96 seggi per Stato. Con il recesso del Regno Unito (reso operativo il 31.1.2020), a partire dal 1° febbraio 2020 il numero di parlamentari è di 7 04, più il presidente . Dei 73 seggi che appartenevano al regno Unito, 27 sono stati redistribuiti ad altri Paesi, mentre i restanti 46 sono stati posti in riserva per ulteriori futuri allargamenti. Il Parlamento europeo dispone di alcuni organi interni. Tra questi particolare importanza assume il Presidente, il quale dirige i lavori del Parlamento e lo rappresenta nelle relazioni internazionali, nelle cerimonie, negli atti amministrativi e giudiziari. Vi sono anche le commissioni. Queste sono di due tipi: le commissioni permanenti, che si ripartiscono gli affari di cui l'istituzione è investita a seconda della materia, e le commissioni temporanee, a loro volta o speciali o d'inchiesta. Quanto alle funzioni, ai sensi dell'art. 14, par. 1, TUE, il Parlamento europeo:  esercita congiuntamente al Consiglio la funzione legislativa e la funzione di bilancio;  esercita autonomamente funzioni di controllo politico e consultivo alle condizioni stabilite dai Trattati;  elegge il presidente della Commissione europea . Per esercitare le funzioni di controllo politico, il Parlamento dispone di numerosi canali attraverso i quali riceve informazioni sull'operato di altre istituzioni e, in misura minore, degli Stati membri e dei privati. L'informazione regolare e periodica è assicurata dalla presentazione al Parlamento di relazioni, tra cui la più importante è la relazione generale annuale presentata dalla Commissione europea. Il Parlamento dispone altresì del potere di procurarsi autonomamente informazioni attraverso lo strumento delle interrogazioni e quello delle audizioni della Commissione, del Consiglio e del Consiglio europeo (art. 230 TFUE). 22 I modi di deliberazione del Consiglio sono:  la maggioranza semplice (vi rientra anche quella assoluta);  la maggioranza qualificata;  l'unanimità. Il modo normale di deliberazione è la maggioranza qualificata. Ai sensi dell'art. 16, par. 4, TUE, a decorrere dal 1° novembre 2014 per maggioranza qualificata si intende almeno il 55% dei voti dei membri del Consiglio, con un minimo di 15 Stati membri rappresentati che totalizzino almeno il 65% della popolazione dell'Unione. Dunque, per il raggiungimento della maggioranza qualificata sono necessari: a) un quorum numerico minimo (55% dei voti in cui siano compresi almeno 15 Stati membri); b) un quorum demografico minimo (la popolazione complessiva degli Stati membri che hanno dato il voto non deve essere inferiore al 65% della popolazione totale dell'Unione). Tuttavia, il mancato raggiungimento del quorum demografico minimo non impedirà l'approvazione dell'atto, qualora a votare contro siano non più di 3 Stati membri (con 4 Stati membri, invece, scatta l a “minoranza di blocco” che impedisce il raggiungimento della maggioranza qualificata). L'altro sistema di deliberazione del Consiglio che ancora oggi è previsto con una certa frequenza (la maggioranza semplice è prevista in rari casi) è costituito dall'unanimità. In tal caso impedisce l'approvazione il voto contrario di uno Stato membro (potere di veto), non la sua astensione. I governi degli Stati membri possono assumere decisioni senza utilizzare il Consiglio, ma uti singuli per mezzo di “rappresentanti degli Stati membri”. Non trattandosi in tal caso di atti di un'istituzione dell'Unione, tali atti non sono soggetti al controllo della Corte di giustizia. Anche il Comitato dei rappresentanti permanenti (COREPER), previsto dagli artt. 16, par. 7, TUE, e 240, par. 1, TFUE, rispecchia la composizione del Consiglio. Esso riunisce i rappresentanti diplomatici che ciascuno Stato membro accredita presso l'Unione europea. La composizione è quindi identica a quella del Consiglio per quanto riguarda la nazionalità 25 dei membri, ma non per quanto riguarda la qualifica degli stessi, dato che nel caso del COREPER si tratta di diplomatici e non di persone a livello ministeriale. La Presidenza del COREPER spetta al rappresentante permanente dello Stato membro che esercita la presidenza di turno del Consiglio. Quanto alle funzioni, il COREPER è responsabile della preparazione del lavoro del Consiglio e dell'esecuzione dei compiti che quest'ultimo gli assegna (art. 240, par. 1, TFUE). Il compito più importante consiste nell'esame preliminare di tutte le proposte che la Commissione vuole sottoporre al Consiglio. Costituisce una sorta di “filtro” tra Consiglio e Commissione. Quando la Commissione intende sottoporre una proposta al Consiglio, deve prima sottoporla all'esame del COREPER: se tale organo delibera all'unanimità, il Consiglio approva senza discussione, altrimenti le proposte necessitano di una preventiva discussione in seno al Consiglio. Il Trattato di Lisbona ha istituito, inoltre, la carica di Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (art. 18 TUE). L'Alto rappresentante: a) guida la PESC, con il compito di formulare proposte per l'elaborazione di tale politica e di attuarla in qualità di mandatario del Consiglio; b) presidede il Consiglio “Affari esteri”; c) è uno dei Vicepresidenti della Commissione europea; d) è invitato a partecipare alle riunioni del Consiglio europeo. La nomina dell'Alto rappresentante spetta al Consiglio europeo a maggioranza qualificata, con l'accordo del Presidente della Commissione (art. 18, par. 1, TUE). La durata del mandato coincide con quella degli altri membri della Commissione. 4. Il Consiglio europeo Come il Consiglio, anche il Consiglio europeo è un organo di Stati, in quanto è composto da soggetti che rappresentano direttamente i singoli Stati membri di appartenenza. La composizione del Consiglio europeo è ora definita dall'art. 15, apr.2, TUE, secondo cui è composto da:  i Capi di Stato e di governo degli Stati membri (designati secondo il rispettivo 26 ordinamento costituzionale);  il Presidente;  il Presidente della Commissione. L'Alto rappresentante è invitato a partecipare ai lavori. Prima del Trattato di Lisbona, il Presidente del Consiglio europeo era il Capo di Stato o di governo dello Stato membro che deteneva la presidenza del Consiglio secondo il sistema di rotazione semestrale. Il Trattato di Lisbona ha disposto che il Consiglio europeo elegge il Presidente a maggioranza qualificata per un mandato d i due anni e mezzo , rinnovabile una volta sola . Il Presidente assicura la preparazione e la continuità dei lavori del Consiglio europeo, in cooperazione con il Presidente della Commissione e in base ai lavori del Consiglio Affari etseri. Tradizionalmente, il modo di deliberazione tipico del Consiglio europeo è il consenso (nessuno si oppone al testo presentato dal Presidente, senza bisogno di votare). In alcuni casi è prevista la maggioranza qualificata (ad esempio per nominare il proprio Presidente): in questi casi il Presidente del Consiglio europeo e il Presidente della Commissione non partcipano al voto (votano solo i Capi di Stato e di governo). Il Consiglio europeo dà all'Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e ne definisce gli orientamenti e le priorità generali. Non esercita funzioni legislative (art. 15, par. 1, TUE). É supremo organo di indirizzo dell'intera Unione e costituisce sempre di più una sorta di presidenza collegiale dell'Unione. A) In alcuni casi il Consiglio europeo ha un ruolo esclusivo e determinante nella nomina di organi monocratici, quali il proprio Presidente, l'Alto rappresentante e il Presidente della Commissione. B) In altre ipotesi il Consiglio europeo si atteggia come organo dotato di poteri di tipo costituzionale, prendendo decisioni che integrano o danno attuazione a disposizioni dei Trattati (ad es. sulla composizione del Parlamento europeo, sull'elenco delle formazioni del Consiglio e sul sistema della rotazione), oppure, in certi casi, che si sostituiscono a queste (ad es. nel quadro delle procedure semplificate di revisione dei trattati). C) Vi sono infine ipotesi (moltiplicate dal Trattato di Lisbona) in cui il Consiglio 27 Commissione: il procedimento legislativo non può nemmeno iniziare senza una sua proposta, salvo i casi in cui i Trattati dispongano diversamente (vi sono casi in cui la Commissione può essere sollecitata da altre istituzioni, come il Consiglio europeo, oppure dai cittadini stessi dell'Unione, ma è comunque la Commissione poi ad avanzare formalmente la proposta legislativa). Tra i vari compiti, la Commissione ha quello di vigilare sull'applicazione dei Trattati e delle misure adottate dalle istituzioni in virtù dei Trattati stessi, nonché, in generale, del diritto dell'Unione, sotto il controllo della Corte di giustizia. La Commissione è infatti considerata custode della legalità nell'ambito dell'UE. Tale compito viene esercitato: 1. nei confronti degli Stati membri, soprattutto attraverso lo strumento del ricorso per infrazione (artt. 258 e ss. TFUE); 2. nei confronti delle altre istituzioni, soprattutto attraverso lo strumento del ricorso d'annullamento o in carenza (artt. 263 e 265 TFUE); 3. nei confronti delle persone fisiche e giuridiche, come ad esempio nel settore delle regole di concorrenza applicabili alle imprese (artt. 101 e 102 TFUE). 6. La Corte di giustizia dell'Unione europea La Corte di giustizia dell'Unione europea (nel senso di Corte-istituzione) si articola al suo interno in più rami, dotati di autonomia funzionale (piena) e amministrativa (parziale). Ai sensi dell'art. 19, par. 1, TUE, essa comprende:  la Corte di giustizia (nel senso di Corte-giurisdizione);  il Tribunale;  i tribunali specializzati (con l'abolizione del Tribunale per la funzione pubblica oggi non sono presenti tribunali specializzati). Le varie componenti della Corte-istituzione sono tutte organi di individui, i cui membri, pur dipendendo da una nomina di natura politica, perchè affidata al comune accordo dei governi degli Stati membri, svolgono le loro funzioni in piena imparzialità e secondo coscienza. Le più importanti fonti normative che disciplinano l'attività della Corte di giustizia (Corte- giurisdizione) e, in parte, del Tribunale, sono contenute negli stessi Trattati (artt. 251-281 30 TFUE); molte altre disposizioni sono contenute nel Protocollo n. 3 sullo Statuto della Corte- istituzione. Va ricordato, infine, il regolamento di procedura della Corte-giurisdizione che, pur se stabilito dalla Corte stessa, necessita dell'approvazione del Consiglio a maggioranza qualificata. La Corte di giustizia (Corte-giurisdizione) è composta da un giudice per Stato membro, ed è assistita da avvocati generali (art. 19, par. 2, TUE). Attualmente il numero di giudici è di 27 , mentre gli avvocati generali sono 11 (il Consiglio, su richiesta della Corte, può aumentarne il numero con delibera unanime). Tra i giudici (che durano in carica 6 anni, rinnovabili) viene eletto per 3 anni (rinnovabili) il suo Presidente. I giudici fanno parte del collegio giudicante che emette le decisioni-sentenze. Gli avvocati generali invece hanno una funzione ausiliaria: l'avvocato generale, su richiesta della Corte, presenta pubblicamente, con assoluta imparzialità e in piena indipendenza, conclusioni motivate (che contengono un parere non vincolante) sulle cause che, conformemente allo statuto della Corte, richiedono il loro intervento. Per quanto riguarda la nazionalità degli avvocati generali, la prassi vuole attualmente che vi siano sempre quattro avvocati generali di ciascuno degli Stati membri maggiori (Francia, Germania, Italia, e Regno Unito, peraltro ciò prima dell'uscita di quest'ultimo dalla UE). La Corte opera nelle seguenti formazioni di giudizio (art. 251 TFUE e art. 16 Statuto della Corte):  sezioni semplici composte da 3 o 5 giudici (formazione ordinaria);  grande sezione formata da 15 giudici, tra cui il Presidente, il vicepresidente e tre presidenti delle sezioni a 5 giudici; è convocata nelle cause di notevole importanza, oppure quando lo richiedono uno Stato membro o un'istituzione dell'UE che siano parti in causa;  seduta plenaria con la partecipazione di tutti i giudici. La convocazione avviene per la rimozione del Mediatore europeo o di un membro della Commissione o di un membro della Corte dei conti, oppure ancora per giudizi pendenti di eccezionale importanza. 31 La procedura davanti alla Corte prevede due fasi: La prima è la fase scritta che consiste nello scambio o deposito di memorie scritte. La seconda è la fase orale (eventuale), che segue solo se vi è richiesta da una delle parti, e può non essere concessa dalla Corte. Tale fase consiste in un'udienza con le parti e nella lettura o deposito delle conclusioni dell'Avvocato generale. Successivamente la Corte di giustizia si riunisce in camera di consiglio per deliberare. La sentenza è letta in pubblica udienza. Le principali funzioni della Corte hanno natura giurisdizionale, ma la stessa esercita anche funzioni di natura consultiva in base alla quale esprime pareri parzialmente vincolanti (nel senso che il loro contenuto condiziona il comportamento delle istituzioni e degli Stati membri). Le competenze giurisdizionali sono esaminate nel dettaglio nella parte V. 7. Il Tribunale dell'Unione europea e i tribunali specializzati L'organizzazione e il funzionamento del Tribunale dell'Unione europea sono disciplinati dalle stesse fonti normative della Corte-giurisdizione (TFUE e Statuto). Anche il Tribunale approva un proprio regolamento di procedura, ma deve farlo di concerto con la Corte di gisutizia e con l'approvazione del Consiglio a maggioranza qualificata. Il Tribunale è composto da almeno un giudice per Stato membro, ma il numero effettivo dei giudici è stabilito dalla Corte di giustizia. Dal 1° settembre 2019 il Tribunale è composto da due giudici per Stato membro (e dunque oggi sono 54 ) . Non è stata finora utilizzata la possibilità, prevista dall'art. 256 TFUE, di avere avvocati generali. Anche la nomina dei giudici del Tribunale (il cui mandato è di 6 anni, rinnovabili) avviene di comune accordo dai governi degli Stati membri. Anche i giudici del Tribunale eleggono tra di loro un presidente che resta in carica 3 anni (rinnovabili). Quanto alle formazioni di giudizio, il Tribunale si riunisce:  in sezioni semplici di 3 o 5 giudici;  nella grande sezione;  in seduta plenaria;  nella persona del giudice unico. 32 tratta della Banca centrale europea (BCE) e del Sistema europeo delle banche centrali (SEBC). La BCE è un'istituzione che gode di personalità giuridica, ha diritto esclusivo di autorizzare l'emissione dell'euro ed è indipendente nell'esercizio dei suoi poteri e nella gestione delle sue finanze (art. 282, par.3, TFUE). Essa si articola al suo interno in un Comitato esecutivo, composto da un presidente, un vice- presidente e altri quattro membri nominati dal Consiglio europeo (su raccomandazione del Consiglio e previa consultazione del Parlamento europeo e del Consiglio direttivo), e un Consiglio direttivo, composto dai membri del Comitato esecutivo e dai Governatori delle Banche centrali nazionali degli Stati membri la cui moneta è l'euro (art. 283 TFUE). La BCE è tenuta a presentare una relazione annuale sulla propria attività al Consiglio europeo, al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissione (art. 284, par. 3, TFUE). Il funzionamento e l'organizzazione della BCE e del SEBC sono oggetto del Protocollo n. 4 sullo Statuto del Sistema europeo delle banche centrali e della BCE. Le funzioni della BCE e del SEBC sono disciplinate dagli artt. 127, 128 e 132 TFUE. Il TFUE indica come obiettivo principale del SEBC il mantenimento della stabilità dei prezzi e prevede che esso agisca in conformità del princìpio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza. Ai sensi dell'art. 127 TFUE, i compiti che la BCE deve assolvere tramite il SEBC sono:  definire e attuare la politica monetaria dell'Unione;  svolgere le operazioni sui cambi;  detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri;  promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento;  svolgere attività consultiva in merito a qualsiasi proposta di atto dell'Unione che rientri nelle sue competenze. Ai sensi dell'art. 128 TFUE la BCE ha il diritto esclusivo di autorizzare l'emissione di banconote in euro, mentre il conio delle monete può essere effettuato dagli Stati membri, con approvazione della BCE per quanto riguarda il volume del conio. Per l'assolvimento dei propri compiti, l'art. 132 TFUE conferisce alla BCE un potere normativo (quello di adottare regolamenti, decisioni e formulare raccomandazioni o pareri). In relazione a tali atti la BCE gode anche di un potere sanzionatorio, potendo infliggere 35 ammende. La BCE dispone inoltre di un potere di indirizzo, consistente nell'invio alle Banche centrali nazionali di indirizzi e istruzioni. Anche la BCE è sottoposta per la propria attività al controllo giurisdizionale della Corte di giustizia, nelle forme ordinarie previste dal TFUE. É a sua volta legittimata a proporre ricorsi avanti la Corte di giustizia. Gli artt. 308 e 309 TFUE hanno ad oggetto la Banca europea degli investimenti (BEI). Questa è dotata di una propria personalità giuridica distinta da quella dell'Unione, e di essa sono membri gli Stati che ne sottoscrivono il capitale. Le sue funzioni consistono nel facilitare, mediante concessione di prestiti e garanzie, senza perseguire scopi di lucro, il finanziamento di progetti finalizzati a contribuire allo sviluppo equilibrato del mercato interno. Va dato conto infine della tendenza affermatasi negli ultimi anni di creare, attraverso atti del Consiglio, o di Parlamento e Consiglio, appositi organi (es. Europol ed Eurojust), o agenzie indipendenti, queste ultime a loro volta o di semplice regolamentazione (forniscono pareri di carattere tecnico-scientifico, come nel caso dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare), oppure dotate di veri e propri poteri decisionali, come nel caso dell'Ufficio dell'Unione europea per la proprietà intellettuale. Nell'ambito della cooperazione rafforzata è stata istituita, con reg. UE 2017/1939 del Parlamento europeo e del Consiglio, la Procura europea (EPPO). La Procura europea è chiamata a cooperare con Eurojust ed Europol. È indipendente sia dagli Stati membri, sia dalle istituzioni dell'Unione. Ha il compito di individuare, perseguire e portare in giudizio gli autori dei reati indicati nell'art. 86 TFUE, esercitando l'azione penale e svolgendo le funzioni di pubblico ministero davanti agli organi giurisdizionali nazionali competenti. A livello centrale, la Procura europea è composta da un Procuratore capo europeo nominato da Parlamento europeo e Consiglio per un mandato di 7 anni non rinnovabile, e dai procuratori europei, nominati dal Consiglio nel numero di uno per ogni Stato membro, e da due sostituti del Procuratore capo europeo, individuati fra i procuratori europei. 36 Procuratore capo e procuratori europei formano il Collegio con funzioni di supervisione dell'attività dell'EPPO. A livello decentrato sono presenti procuratori europei delegati designati dagli Stati membri e nominati dal Collegio. _______________________ PARTE II LE PROCEDURE DECISIONALI 1. Considerazioni generali Per procedure decisionali si intende la sequenza di atti o fatti richiesta dai Trattati affinchè la volontà dell'Unione si possa manifestare attraverso determinati atti giuridici. Le procedure decisionali hanno prevalentemente carattere interistituzionale e si compongono di atti o fatti provenienti da più di un'istituzione, in particolare dalle istituzioni politiche. In alcuni settori prevalgono le istituzioni rappresentative degli Stati membri (Consiglio europeo e Consiglio); in altri settori si pongono in posizione di parità Consiglio e Parlamento europeo. Molto spesso le procedure decisionali necessitano dell'iniziativa della Commissione, ma in altri casi l'iniziativa può provenire da altri soggetti, persino da uno Stato membro. La disciplina delle procedure decisionali è stabilita direttamente dai Trattati, ed è pertanto inderogabile dalle istituzioni. Per l'adozione di atti legislativi sono previste alcune specifiche procedure definite, per l'appunto, procedure legislative:  la procedura legislativa ordinaria, di applicazione generale, che consiste nell'adozione congiunta di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio su proposta della Commissione (art. 289, par. 1, TFUE); 37 3. La procedura legislativa ordinaria Ai sensi dell'art. 289 TFUE la procedura legislativa ordinaria consiste nell'adozione congiunta di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio su proposta della Commissione. In passato (art. 251 TCE) era nota come procedura di codecisione e veniva applicata in pochi casi: oggi è la procedura ordinaria. La procedura si fonda su un sistema di 3 letture della proposta di atto legislativo da parte delle due istituzioni. É possibile che la procedura si arresti non appena le due istituzioni siano pervenute ad un accordo su un medesimo testo. In generale la procedura legislativa ordinaria si apre con la proposta della Commissione. Parlamento europeo e Consiglio godono del potere di sollecitare la Commissione a presentare una proposta, anche se non è prevista alcuna sanzione per il caso in cui la Commissione non si attivi (nemmeno il ricorso in carenza). Proposte possono essere sollecitate anche da altre istituzioni od organi, in particolare dal Consiglio europeo. Anche un milione di cittadini dell'UE (iniziativa legislativa dei cittadini) possono invitare la Commissione a presentare una proposta appropriata su materie in merito alle quali tali cittadini ritengono necessario un atto giuridico dell'Unione, ai fini dell'attuazione dei Trattati (art. 17, par. 4, TUE). Quando la Commissione integra la proposta con una valutazione di impatto (studi diretti a verificare il possibile impatto economico, ambientale o sociale di un atto legislativo), la proposta medesima viene sottoposta al previo aprere del Comitato per il controllo normativo istituito nel 2015. La procedura si apre con la proposta della Commissione, la quale viene indirizzata simultaneamente al Consiglio e al Parlamento europeo (art. 294, par. 2, TFUE). In applicazione del Protocollo n. 2 sull'applicazione dei princìpi di sussidiarietà e di proporzionalità, è prescritta una fase preliminare anteriore alla prima lettura: se i parlamenti nazionali danno voto negativo alla proposta in quanto non rispettosa dei suddetti princìpi, la proposta può essere bloccata (v. Parte sesta, cap. 3). La prima lettura consiste nell'adozione da parte del Parlamento europeo della propria posizione che viene trasmessa al Consiglio.  Il Consiglio può approvare la posizione del Parlamento: in questo caso l'atto è così adottato. 40  In caso contrario, il Consiglio adotta a maggioranza qualificata una posizione in prima lettura. Il Consiglio può anche emendare la proposta, ma solo deliberando all'unanimità. Fintantochè il Consiglio non ha deliberato, la Commissione può modificare la propria proposta ed anche ritirarla (art. 293, par. 2, TFUE). Inizia allora la seconda lettura, fase in cui il Parlamento europeo ha 3 mesi di tempo per: a) approvare la posizione del Consiglio; b) omettere di deliberare; c) respingere la posizione del Consiglio (a maggioranza assoluta); d) proporre emendamenti (a maggioranza assoluta). Nei casi sub a) e b) l'atto è adottato. Nel caso c) l'atto non è adottato. Nel caso d) la Commissione deve emettere un parere sugli emendamenti. Ricevuto il parere, il Consiglio può:  approvare tutti gli emendamenti a maggioranza qualificata; l'atto viene adottato;  non approvare tutti gli emendamenti. Viene allora convocato un Comitato di conciliazione (composto da membri del Consiglio e del Parlamento) che ha il compito di approvare entro 6 settimane un progetto comune con la collaborazione della Commissione. Se il Comitato non riesce ad approvare un progetto comune, l'atto si considera non adottato; se, invece, il Comitato approva un progetto comune si passa alla terza lettura. Sulla base del progetto comune elaborato dal Comitato, l'atto deve essere approvato in terza lettura dal Consiglio (a maggioranza qualificata) e dal Parlamento europeo entro ulteriori 6 settimane; in tal modo l'atto è adottato. In mancanza di approvazione dell'una o dell'altra istituzione, l'atto si considera non adottato. 4. Le procedure legislative speciali: la procedura di consultazione e la procedura di approvazione Diverse disposizioni del TFUE prevedono procedure legislative speciali. Nella maggior parte dei casi esse consistono nell'adozione dell'atto da parte del Consiglio a maggioranza qualificata o all'unanimità, previa consultazione del Parlamento europeo 41 (procedura di consultazione). In un numero limitato di casi l'atto deliberato dal Consiglio è sottoposto all'approvazione del Parlamento europeo (procedura di approvazione). Quanto al potere di iniziativa, salvo eccezioni l'istituzione competente non può deliberare in mancanza di una proposta della Commissione. Quando il TFUE prevede che il potere di adottare atti legislativi in un certo settore spetti al solo Consiglio, il potere di questa istituzione è controbilanciato dall'obbligo di consultare il Parlamento europeo (es. art. 192, par. 2, in materia di ambiente). È questa la procedura di consultazione, in cui il Parlamento è chiamato ad emettere un parere consultivo obbligatorio, ma non vincolante. É stato chiarito che la consultazione debba essere effettiva e regolare: il parere non deve solo essere stato richiesto, ma anche emanato prima dell'adozione dell'atto da parte del Consiglio. Il chiarimento in questione è stato fornito dalla Corte di giustizia nella sentenza del 1980 Roquette Frères (causa 138/79), in cui afferma che la consultazione del Parlamento esige che questo esprima effettivamente la propria opinione. Tale esigenza non si può considerare soddisfatta da una semplice richiesta di parere da parte del Consiglio. Non è previsto alcun termine per l'emanazione del parere da parte del Parlamento. Si deve comunque ritenere che questo sia tenuto, in osservanza al princìpio di leale collaborazione, ad emanare il parere entro un termine ragionevole. Da ultimo, il parere del Parlamento deve essere dato sull'atto che poi sarà effettivamente adottato dal Consiglio; se il Consiglio apporta delle modifiche all'atto trasmesso al Parlamento per il parere, oppure la Commissione ritira la proposta e ne presenta al Consiglio un'altra diversa, è necessaria una seconda consultazione del Parlamento. In alcuni casi di particolare importanza, il TFUE prevede che l'atto legislativo deliberato dal Consiglio debba essere approvato dal Parlamento europeo (procedura di approvazione). Ciò avviene, ad esempio, in tema di discriminazioni. In pratica, la procedura in questione si avvicina a quella legislativa ordinaria, ma mentre in quest'ultimo caso il Parlamento ha ampio spazio di manovra per contribuire a determinare il contenuto dell'atto, nella procedura di approvazione il Parlamento si limita ad approvare o a respingere in blocco l'atto. 42 economiche degli Stati membri e dell'Unione. Sulla base degli indirizzi di massima viene seguita una procedura di sorveglianza multilaterale in cui viene controllata la congruenza delle politiche economiche di ciascuno Stato con gli indirizzi di massima. In tale procedura il Consiglio adotta raccomandazioni sulla base di una raccomandazione della Commissione. Particolarmente complessa è anche la procedura per i disavanzi pubblici eccessivi, il cui momento centrale è costituito dalla decisione del Consiglio che, su proposta della Commissione, sentite le osservazioni dello Stato membro interessato, stabilisce che esiste un disavanzo eccessivo; adotta allora nei confronti dello Stato interessato le raccomandazioni necessarie al fine di far cessare tale situazione entro un determinato periodo, pena una successiva decisione di intimazione e, in mancanza di ottemperanza, l'applicazione di sanzioni. 7. Le procedure nel settore della PESC L'art. 24, secondo comma, TUE dispone che la PESC è soggetta a procedure decisionali specifiche, che si differenziano da quelle che si applicano normalmente nel campo del TFUE. Assume in questo settore un ruolo molto importante il Consiglio europeo, che esercita un vero e proprio potere decisionale, seguendo un'apposita procedura. In questo settore il Consiglio europeo individua gli interessi strategici dell'Unione, fissa gli obiettivi e definisce gli orientamenti generali della politica estera e di sicurezza comune, ivi comprese le questioni che hanno implicazioni in materia di difesa, e adotta le decisioni necessarie (art. 26, par. 1, TUE). Le decisioni vengono prese all'unanimità su proposta degli Stati membri, dell'Alto rappresentante o del Consiglio. Anche il Consiglio adotta nel settore della PESC decisioni prese all'unanimità su proposta di Stati membri o dell'Alto rappresentante (quest'ultimo da solo o con l'appoggio della Commissione). È prevista la cd astensione costruttiva (art. 31, par. 1, secondo comma, TUE): in caso di astensione dal voto (che non esclude l'unanimità), ciascun membro del Consiglio può 45 motivare la propria astensione con una dichiarazione formale. In tal caso esso non è obbligato ad applicare la decisione, ma accetta che essa impegni l'Unione (e gli altri Stati membri). Lo stesso art. 31, al par. 2, prevede la possibilità che alcune deliberazioni vengano assunte dal Consiglio a maggioranza qualificata, e non all'unanimità. Ciò avviene:  quando adotta una decisione che definisce un'azione o una posizione dell'Unione sulla base di una decisione del Consiglio europeo;  quando adotta una decisione che definisce un'azione o una posizione dell'Unione in base a una proposta dell'Alto rappresentante, presentata a seguito di una richiesta specifica rivoltogli del Consiglio europeo;  quando adotta decisioni relative all'attuazione di una decisione che definisce un'azione o una posizione dell'Unione;  quando nomina un rappresentante sociale. La possibilità di assumere deliberazioni a maggioranza qualificata può essere paralizzata con la clausola di salvaguardia: se un membro del Consiglio dichiara che, per specificati e vitali motivi di politica nazionale, intende opporsi all'adozione di una decisione che richiede la maggioranza qualificata, non si procede alla votazione. L'Alto rappresentante cerca con lo Stato membro interessato una soluzione. In mancanza di un risultato il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può chiedere che della questione sia investito il Consiglio europeo, al fine di ottenere una decisione all'unanimità (art. 31, par. 2, secondo comma, TUE). La politica estera e di sicurezza comune è attuata dall'Alto rappresentante e dagli Stati membri, ricorrendo ai mezzi nazionali e a quelli dell'Unione. Il Parlamento europeo non svolge alcun ruolo attivo nell'ambito della PESC; è oggetto di semplice consultazione, e può solo rivolgere interrogazioni o formulare raccomandazioni al Consiglio o all'Alto rappresentante. 8. La procedura per la conclusione di accordi internazionali La procedura per negoziare e concludere accordi internazionali dell'Unione con Stati terzi o 46 con altre organizzazioni internazionali, e che vede un ruolo centrale del Consiglio, è disciplinata dall'art. 218 TFUE. Il Consiglio autorizza il negoziato, la firma, la stipula e la sospensione dell'accordo. Nel corso dell'intera procedura il Consiglio delibera normalmente a maggioranza qualificata. Delibera invece all'unanimità:  nel caso di accordi che riguardano un settore per il quale è richiesta l'unanimità per l'adozione di un atto interno dell'Unione;  nel caso di accordi di associazione ex art. 217 TFUE;  nel caso di accordi di cui all'art. 212 TFUE con gli Stati candidati all'adesione;  nel caso di accordo sull'adesione dell'Unione alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU). La conclusione dell'accordo (stipula) avviene generalmente secondo il modello della procedura di consultazione. Si segue invece il modello della procedura di approvazione nel caso di:  accordi di associazione;  adesione dell'Unione alla CEDU;  accordi che creano un quadro istituzionale specifico organizzando procedure di cooperazione;  accordi che hanno ripercussioni finanziarie considerevoli per l'Unione;  accordi che riguardano settori ai quali si applica la procedura legislativa ordinaria, oppure quella speciale con approvazione del Parlamento europeo. In caso di mera consultazione, il Parlamento europeo formula il suo parere nel termine fissato dal Consiglio in ragione dell'urgenza; in mancanza di parere entro detto termine, il Consiglio può deliberare. Se la procedura richiede l'approvazione del Parlamento europeo, l'eventuale termine, in caso di urgenza, deve essere concordato tra Consiglio e Parlamento. È possibile la consultazione anche della Corte di giustizia, a richiesta di uno Stato membro, del Parlamento europeo, del Consiglio o della Commissione, per conoscere anticipatamente se un accordo da stipulare sia compatibile con le disposizioni dei Trattati. 47 PARTE III L'ORDINAMENTO DELL'UNIONE EUROPEA 1. Considerazioni generali Che tipo di ordinamento costituisce l'Unione europea? La Corte di giustizia, nella sentenza del 1963 sul caso Van Gend & Loos, C 26/62, conclude che “la Comunità costituisce un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale, a favore del quale gli Stati hanno rinunziato, anche se in settori limitati, ai loro poteri sovrani, ordinamento che riconosce come soggetti non soltanto gli Stati membri ma anche i loro cittadini”. Tale concezione viene ribadita anche nella sentenza del 1964 sul caso Costa c. Enel, C 6/64, in cui la Corte afferma che “a differenza dei comuni trattati internazionali, il Trattato CEE ha istituito un proprio ordinamento giuridico integrato nell'ordinamento giuridico degli Stati membri all'atto dell'entrata in vigore del Trattato e che i giudizi nazionali sono tenuti ad osservare”. Vi è qui l'enunciazione del princìpio del primato del diritto comunitario, vincolante per gli Stati membri e per i loro cittadini. L'ordinamento comunitario è dunque autonomo tanto rispetto all'ordinamento internazionale generale, quanto e soprattutto rispetto agli ordinamenti interni degli Stati membri. Nel parere 2/13 del 2014 la Corte ha trasposto all'ordinamento dell'Unione (dopo che col Trattato di Lisbona è stata soppressa la CE come ente autonomo), nel suo complesso, le caratteristiche di autonomia originariamente riconosciute all'ordinamento comunitario. Le fonti dell'ordinamento dell'Unione hanno una propria gerarchia:  i Trattati, i princìpi generali del diritto, la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (cd diritto “primario”);  le norme del diritto internazionale generale e gli accordi internazionali conclusi dall'Unione con Stati terzi (cd diritto “intermedio”);  gli atti di base adottati dalle istituzioni (cd diritto “secondario di base”);  gli atti di attuazione o di esecuzione adottati dalla Commissione o dal Consiglio (cd diritto “secondario di attuazione o esecuzione”). 50 Gli atti di attuazione o di esecuzione devono rispettare gli atti di base e restare nei limiti della eventuale delega conferita. Gli atti di attuazione si distinguono dagli atti di base perchè sono sempre adottati dalla Commissione su delega disposta da un atto legislativo adottato congiuntamente da Parlamento europeo e Consiglio, oppure dall'una o dall'altra di queste istituzioni. Gli atti di esecuzione, invece, sono emessi dalla Commissione oppure, in casi specifici, dal Consiglio, allorchè siano necessarie condizioni uniformi di esecuzione degli atti giuridicamente vincolanti dell'Unione. Gli atti del diritto secondario possono anche essere suddivisi in atti legislativi e atti non legislativi. La distinzione si basa sulla procedura decisionale applicabile, e così ai sensi dell'art. 289, par. 3, TFUE, soltanto gli atti giuridici adottati mediante procedura legislativa sono atti legislativi. Dal momento che la procedura decisionale applicabile è data dalla base giuridica , è quest'ultima che determina la natura legislativa o meno degli atti adottati. Il fatto che un atto giuridico sia o meno legislativo comporta alcune importanti conseguenze:  i lavori del Consiglio per l'adozione di un atto legislativo devono svolgersi in seduta pubblica;  in merito agli atti legislativi vanno esercitati i poteri di controllo dei parlamenti nazionali circa il rispetto del princìpio di sussidiarietà;  le condizioni di ricevibilità dei ricorsi di annullamento delle persone fisiche o giuridiche sono più severe se l'atto impugnato ha carattere legislativo. Anche dal punto di vista della struttura, gli atti delle istituzioni presentano grandi differenze. Ai sensi dell'art. 288 TFUE gli atti tipici delle istituzioni sono:  i regolamenti (vincolanti);  le direttive (vincolanti);  le decisioni (vincolanti);  i pareri (non vincolanti);  le raccomandazioni (non vincolanti). 51 Pareri e raccomandazioni non sono atti vincolanti, e come tali non possono fungere da vere e proprie fonti del diritto, come invece sono regolamenti, direttive e decisioni, che sono atti vincolanti. L'art. 288 non prevede alcuna gerarchia tra gli atti vincolanti di tipo diverso, per cui una direttiva potrebbe abrogare un regolamento, e una decisione potrebbe derogare ad una direttiva. Normalmente la base giuridica specifica di volta in volta quale tipo di atto le istituzioni possono adottare. Può capitare che il tipo di atto da adottare non venga affatto precisato, ed allora spetta alle istituzioni effettuare la scelta nel rispetto del princìpio di proporzionalità. I Trattati prevedono anche atti non corrispondenti ai tipi di cui sopra, e vengono definiti atti atipici. Tra questi vi sono atti previsti nel settore della PESC nonchè il bilancio della Comunità. In via di prassi sono andati ad affiancare gli atti atipici alcuni atti della Commissione nel settore della concorrenza (artt. da 101 a 106 TFUE) e degli aiuti di Stato alle imprese (artt. 107 e 108 TFUE). Tali atti sono costituiti da comunicazioni (che si presentano come circolari interne) e da prese di posizione (che si presentano come lettere ad uno Stato membro). Gli artt. 296 e 297 TFUE disciplinano alcuni aspetti comuni a tutti gli atti delle istituzioni: motivazione, firma (del Presidente del Parlamento europeo e/o del Presidente del Consiglio, oppure, per gli atti non legislativi, dal Presidente dell'istituzione che li adotta) ed entata in vigore (gli atti pubblicati nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea entrano in vigore 20 giorni dopo la pubblicazione, salvo che sia disposto diversamente). 2. I trattati Le fonti di diritto primario dell'Unione sono in massima parte contenuti nei Trattati (TUE e TFUE), come emendati dai Trattati di revisione e modificati dai Trattati di adesione. Il rapporto tra i due Trattati è paritetico dal punto di vista della natura giuridica, mentre è gerarchico dal punto di vista funzionale, dal momento che il TFUE è strumentale rispetto al 52 prevedono che il Consiglio deliberi all'unanimità in un settore o in un caso determinato, oppure che il Consiglio adotti atti legislativi secondo una procedura legislativa speciale (questa procedura semplificata viene anche definita “procedura passerella”, dato che può essere deciso il passaggio alla procedura legislativa ordinaria). La procedura in ogni caso consta delle seguenti fasi: 1) iniziativa del Consiglio europeo; 2) trasmissione dell'iniziativa ai parlamenti nazionali, ciascuno dei quali può bloccare l'iniziativa; 3) in mancanza di opposizioni dei parlamenti nazionali, il Consiglio europeo delibera all'unanimità previa approvazione del Parlamento europeo. Manca la ratifica degli Stati membri. Vi sono limiti alla revisione dei Trattati? La Corte di giustizia ha affermato (parere 1/91 sul progetto di Accordo relativo alal creazione dello Spazio Economico Europeo) che non sarebbe consentita l'introduzione di norme che pregiudicassero il sistema giurisdizionale previsto dai Trattati. Si ritiene che siano del pari immodificabili le norme che costituiscono il “nocciolo duro” dell'ordinamento dell'Unione, quali l'art. 2 TUE sui valori dell'Unione, l'art. 6 TUE che impone alla'Unione il rispetto dei diritti dell'uomo, l'art. 14 TFUE che stabilisce il princìpio del mercato interno. Un altro modo per modificare i Trattati è previsto dall'art. 49 TUE, che disciplina la procedura di adesione all'Unione da parte di un nuovo Stato. La procedura di adesione prevede: 1) la domanda di adesione da presentarsi al Consiglio; 2) approvazione della domanda all'unanimità da parte del Consiglio, previa consultazione della Commissione e approvazione del Parlamento europeo; 3) condizioni per l'ammissione e adattamento dei Trattati che sono oggetto di un trattato apposito (trattato + atto di adesione dello Stato candidato) concluso tra gli Stati membri e lo Stato candidato, a che va ratificato da tutti gli Stati contraenti. 55 Un'innovazione di grande rilievo introdotta dal Trattato di Lisbona consiste nella possibilità di recesso dall'Unione (art. 50 TUE). Lo Stato membro che intende ritirarsi notifica tale intenzione al Consiglio europeo. Il recesso può essere concordato (tramite un accordo tra l'Unione e lo Stato recedente), oppure unilaterale (se non sia possibile raggiungere un accordo entro 2 anni dalla notifica); in questo caso i Trattati cessano automaticamente di applicarsi allo Stato interessato. L'art 50 TUE è stato attivato per la prima volta nel caso della brexit, ossia dell'uscita dell'Unione europea del Regno Unito. La mancanza di accordo nel termine di 2 anni ha reso tale recesso operativo unilateralmente il 31 gennaio 2020, con effetti a decorrere dal 1 febbraio 2020. Tenendo conto della funzione costituzionale svolta dai Trattati, non è possibile modificare gli stessi al di fuori delle procedure di revisione previste, nemmeno da una prassi difforme degli Stati membri. Nella sentenza del 1976 sul caso C. 43/75 Defrenne c Sabena, la Corte di giustizia ha confermato che un obbligo imposto dai Trattati continua ad operare pur se in determinati Stati non viene osservato. Dunque , la prassi non può prevalere sulle norme dei Trattati (circostanza ribadita dalla Corte della sentenza del 1994 nella causa C 327/91 Francia c. Commissione). 3. I princìpi generali del diritto Tra le fonti assimilabili a quelle di diritto primario si segnalano anzitutto i princìpi generali del diritto, comprensivi dei princìpi relativi alla tutela dei diritti fondamentali dell'uomo. La tipologia dei princìpi generali è ampia, e gli stessi possono essere suddivisi in: A) princìpi generali propri dell'Unione; B) princìpi generali del diritto comuni agli ordinamenti degli Stati membri; C) princìpi generali posti a protezione dei diritti fondamentali (i quali non sono più oggi categoria autonoma, in quanto inglobati in diverse fonti richiamate dall'art. 6 TUE, come modificato dal Trattato di Lisbona. Pertanto, detti princìpi ora fanno parte o dei princìpi generali propri dell'Unione, o dei princìpi generali del diritto comuni agli ordinamenti degli Stati membri). Si distinguono dai princìpi generali i valori dell'Unione i quali, ancorchè proclamati da una norma primaria (art. 2 TUE), non costituiscono fonti di diritto provviste di efficacia precettiva, ma assumono rilevanza solo sul piano politico e morale, ed ispirano il legislatore 56 dell'Unione e delle altre istituzioni politiche dell'Unione. A) I princìpi generali del diritto dell'Unione trovano espressione in determinate norme dei Trattati e rivestono carattere imperativo e inderogabile. Tra detti princìpi ricordiamo:  il princìpio di non discriminazione che trova applicazione in diverse disposizioni del TFUE, come ad esempio nell'art. 18 che vieta discriminazioni legate alla nazionalità, divieto ribadito nelle norme relative alle libertà di circolazione delle persone e dei servizi (artt. 45, 49 e 57). Nella sentenza del 1989, causa 186/87 - Cowan, la Corte di giustizia affronta il caso di un cittadino britannico il quale, durante un soggiorno turistico in Francia, è stato oggetto di aggressione, ed al quale viene negato un indennizzo che è previsto per casi del genere, dalla legislazione francese, solo a favore di cittadini nazionali. Dopo aver qualificato la posizione del signor Cowan come quella di un destinatario di servizi ai sensi dell'art. 56 TFUE, la Corte statuisce che il princìpio di non discriminazione vada applicato ai destinatari di servizi ai sensi del Trattato, quanto alla protezione contro i rischi di aggressione ed al diritto di ottenere una riparazione pecuniaria contemplata dal diritto nazionale, allorchè un'aggressione si sia verificata. Dato che quello di non discriminzione è un princìpio generale, va applicato anche ad ipotesi non espressamente contemplate da una norma (cd autonomia del princìpio di non discriminazione). La manifestazione positiva del princìpio di non discriminazione è ravvisabile nel princìpio di parità di trattamento o di uguaglianza. Nonostante le molte sollecitazioni ricevute, la Corte di giustizia non ritiene invece che rientrino nell'ambito del princìpio di non discriminazione le cd “discriminazioni alla rovescia”. Si tratta di situazioni che si creano quando norme di uno Stato membro prevedono per i propri cittadini un trattamento deteriore rispetto a quello riservato ai cittadini di altri Stati membri, in situazioni puramente interne e perciò estranee al campo di applicazione della libera circolazione di persone e servizi. Un esempio di discriminazione allo rovescia si produce nel caso esaminato dalla sentenza del 1992, causa 332/90 – Steen. Il Sig. Steen, cittadino tedesco, lamenta di subire una discriminazione rispetto ai cittadini di altri Stati membri i quali, a differenza dei cittadini tedeschi, possono essere assunti con contratti di diritto privato a condizioni più favorevoli. La Corte si limita ad affermare che, non avendo il Sig. Steen mai esercitato la libera circolazione all'interno della Comunità, egli non ha veste per invocare gli artt. 18 e 45 del 57 a) i diritti fondamentali vanno tutelati nell'ordinamento comunitario in quanto rientranti nei princìpi generali del diritto; b) tali princìpi generali vengono desunti: 1. dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri; 2. dai trattati internazionali in materia di tutela dei diritti umani (tra cui la CEDU nella parte sui diritti fondamentali). La soluzione elaborata dalla giurisprudenza della Corte è stata poi recepita e consacrata dall'art. 6 TUE nella sua versione originale (oggi contenuta al par. 3 di tale articolo): i diritti fondamentali dell'uomo sono princìpi generali del diritto e, conseguentemente, vincolano l'Unione e sono parametro di legittimità per atti comunitari e per atti e comportamenti degli Stati membri nell'ambito di applicazione dei Trattati. La mancata adesione formale dell'Unione alla CEDU (che, si ricorda, al di fuori dei diritti fondamentali, oggi facenti parte dei princìpi generali dell'Unione, non è fonte direttamente vincolante l'Unione) solleva il problema della responsabilità degli Stati membri di fronte alla Corte EDU in conseguenza di attività delle istituzioni o degli Stati membri in esecuzione di atti delle istituzioni. La Corte EDU ha ribadito che gli Stati i quali abbiano trasferito a un'organizzazione sovranazionale (la UE) taluni poteri sovrani non sono sottratti, per quanto riguarda l'esercizio dei poteri sovrani oggetto del trasferimento, all'obbligo di rispettare i diritti tutelati dalla CEDU. Secondo la Corte EDU, se gli Stati membri si limitano ad attuare atti dell'Unione e manca ogni discrezionalità in capo agli stessi, la Corte non ritiene di dover intervenire, in quanto l'Unione tutela comunque i diritti fondamentali quali princìpi generali dell'Unione, per cui sussiste una cd protezione equivalente (trattasi di presunzione relativa, passibile di prova contraria, come affermato dalla Corte EDU nella sentenza del 2005 nel caso Bosphorus c. Irlanda). Se, invece, sussiste margine di discrezionalità in capo agli Stati membri nel dare attuazione agli obblighi derivanti dal diritto dell'Unione, la Corte EDU afferma la piena responsabilità degli Stati membri nei confornti della Corte stessa (v. la sentenza del 2011 della Corte EDU nella causa Belgio c. Grecia sul trasferimento di un richiedente asili afgano dal Belgio in 60 Grecia). 5. La Carta dei diritti fondamentali dell'unione europea Per ovviare all'eccessiva discrezionalità e flessibilità della Corte di giustizia nell'applicare i princìpi generali a tutela dei diritti fondamentali, nonché l'impossibilità di una rapida adesione alla CEDU, l'Unione, nel 1999, ha predisposto la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. La Carta è stata approvata dal Consiglio europeo nell'ottobre 2000, e proclamata dal Consiglio europeo svoltosi a Nizza nel dicembre 2000 (per questo viene anche definita la “Carta di Nizza”). Fino al Trattato di Lisbona il valore giuridico della Carta è rimasto incerto, e il suo utilizzo avveniva solo a fini interpretativi, per ricostruire la portata dei diritti fondamentali protetti nell'ambito dell'ordinamento dell'Unione. Solo col Trattato di Lisbona il valore giuridico della Carta è stato definito: viene qui affermato il riconoscimento di diritti, libertà e princìpi sanciti dalla Carta, e viene attribuito alla stessa il medesimo valore giuridico dei Trattati (art. 6, par. 1, TUE). Per la precisione, il testo della Carta cui fa riferimento l'art. 6, par. 1, TUE non è quello proclamato nel dicembre del 2000 a Nizza, bensì quello leggermente modificato adottato nel dicembre del 2007 a Strasburgo. La Carta, dunque, è oggi posta sullo stesso piano delle altre fonti di diritto primario quali il TUE e il TFUE. Le sue disposizioni hanno acquisito lo stesso carattere cogente delle norme dei Trattati. Per il vero, la Carta non sembra avere un vero e proprio carattere normativo, nel senso che non crea diritti che non siano già ricavabili dalle fonti richiamate dal suo preambolo (ossia i cd “obiettivi” della Carta): tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, trattati internazionali in materia di diritti fondamentali, in particolare la CEDU. La Carta sembra invece avere più che altro carattere documentale, perchè riassumerebbe in un unico documento l'elenco e la descrizione dei diritti fondamentali ricavabili dalle suddette fonti e già facenti parte, in quanto tali, dei princìpi generali del diritto vincolanti per l'Unione. Nel caso di conflitto tra fonti richiamate e la Carta, l'art. 53 della stessa stabilisce la cd clausola di compatibilità: nessuna disposizione della Carta deve essere interpretata come 61 limitativa o lesiva dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione, dal diritto dell'Unione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali delle quali l'Unione o tutti gli Stati membri sono parte, in particolare la CEDU. Dunque, è ammessa l'applicazione di altre fonti che, rispetto alla Carta, prevedano una tutela più ampia dei diritti umani . Tuttavia, per la Corte di giustizia uno Stato membro può applicare gli standard nazionali di tutela dei diritti fondamentali, a patto che tale applicazione non comprometta il livello di tutela previsto dalla Carta come interpretato dalla Corte, né il primato, l'unità e l'effettività del diritto dell'Unione (quindi per la Corte è ammessa una tutela anche solo paritaria e non per forza più ampia). Tuttavia, se il grado di tutela del diritto fondamentale in esame è stato cristallizzato da una specifica norma o atto di diritto dell'Unione, e vi sia stato nell'emanare tale norma un bilanciamento (approvato dagli Stati membri) da parte del legislatore dell'Uione rispetto a interessi generali concorrenti, la Corte non ammette che uno Stato membro pretenda di applicare il proprio livello di protezione maggiore (v. sentenza del 2013 nel caso Melloni, condannato in contumacia in Italia per bancarotta fraudolenta, e che invocava la maggior protezione accordatagli dall'ordinamento spagnolo. La Corte ha sostenuto che la decisione- quadro sul mandato di arresto europeo avesse già operato un bilanciamento e che, pertanto, fossero sufficienti le garanzie previste dall'ordinamento italiano in quanto in linea con quelle europee). Nel caso Taricco II (causa 42/17, con sentenza della Corte del 2017) la Corte è stata più elastica nell'ammettere il livello di protezione maggiore garantito dalla Costituzione italiana (nel frangente il principio di legalità dei reati e delle pene di cui all'art. 25 Cost. nell'applicare la prescrizione del reato tributario commesso dal Taricco). L'art. 52, par. 3 della Carta si occupa invece soltanto della CEDU, introducendo la cd clausola di equivalenza: la Carta deve essere applicata in maniera che il livello di protezione assicurato dalla stessa ai diritti tutelati anche dalla CEDU sia almeno equivalente a quello garnatito da quest'ultimo strumento. Resta invece salva la possibilità che il diritto dell'Unione preveda un livello di tutela superiore. 62 a) accordi internazionali conclusi (solo) dagli Stati membri; b) accordi internazionali conclusi (solo) dall'Unione; c) accordi internazionali conclusi dall'Unione e dagli Stati membri (cd accordi misti). a) I primi non fanno parte dell'ordinamento dell'Unione e, se conclusi prima della data in cui i Trattati sono entrati in vigore rispetto allo Stato membro in questione, possono essere invocati da quest'ultimo per giustificare il mancato rispetto di obblighi derivanti dai Trattati. Ciò alla luce di un princìpio di diritto internazionale generale secondo cui uno Stato parte di due trattati, anche stipulati in tempi diversi, con controparti differenti, è tenuto a rispettare entrambi i trattati. Alla luce di detto princìpio l'art. 351 TFUE, per dirimere i possibili contrasti derivanti dall'appartenenza di uno Stato membro a trattati incompatibili coi trattati comunitari, contiene un'apposita “clausola di compatibilità”: le disposizioni dei Trattati comunitari non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni concluse, anteriormente al 1° gennaio 1958 o, per gli Stati aderenti, anteriormente alla data della loro adesione, tra uno o più Stati membri da una parte e uno o più Stati terzi dall'altra. Gli Stati membri devono però ricorrere a tutti i mezzi atti ad eliminare le incompatibilità constatate. È bene osservare che la clausola di compatibilità consente allo Stato membro di sottrarsi agli obblighi derivanti daiTrattati comunitari solo nella misura strettamente necessaria per permettergli di rispettare gli obblighi assunti nei confronti dello Stato terzo. Inoltre, la clausola di compatibilità di cui all'art. 351 TFUE incontra il limite del rispetto dei diritti fondamentali (v. sentenza del 2008, cause riunite C 402/05 e C415/05, Kadi). b) Quanto agli accordi conclusi (solo) dall'Unione con Stati terzi o con altre organizzazioni internazionali, essi fanno parte senz'altro dell'ordinamento dell'Unione a partire dalla data della loro entrata in vigore (art. 216, par. 2, TFUE). c) Gli accordi misti sono conclusi a nome dell'Unione ed anche dei singoli Stati membri nelle materie che non rientrano nella competenza dell'Unione, oppure nelle materie sottoposte alla competenza concorrente di Unione e Stati membri. La Corte di giustizia considera che gli accordi misti hanno. nell'ordinamento dell'Unione, la stessa disciplina giuridica degli accordi conclusi senza la partecipazione degli Stati membri per quanto riguarda le disposizioni che rientrano nella competenza dell'Unione. 65 Quanto al valore giuridico degli accordi internazionali e al loro rango nel sistema delle fonti dell'ordinamento comunitario, occorre distinguere i rapporti di tali accordi con le fonti di diritto primario e assimilate, da un lato, e i rapporti con gli atti delle istituzioni dall'altro. Per quanto riguarda il rapporto coi Trattati comunitari, gli accordi internazionali stipulati dall'Unione sono ad essi subordinati e devono rispettarli. In caso contrario, l'atto delle istituzioni con cui è stata decisa la conclusione dell'accordo è illegittimo e può essere annullato. Vedi ad esempio la sentenza del 1998, causa C 122/95, Germania c. Consiglio, con cui viene annullata la decisione del Consiglio di conclusione di un accordo-quadro sulle banane con alcuni paesi del Centro e Sud America, per violazione, tra l'altro, del princìpio di non discriminazione tra produttori e consumatori di cui all'art. 40, par. 2, TFUE. La giurisprudenza ha chiarito che gli accordi internazionali sono anche suordinati ai princìpi generali, in particolare quelli che tutelano i diritti fondamentali. Per la Corte, gli obblighi imposti da un accordo internazionale non possono avere l'effetto di compromettere i princìpi costituzionali del Trattato, tra i quali vi è il princìpio secondo cui tutti gli atti comunitari devono rispettare i diritti fondamentali, atteso che il loro rispetto costituisce il presupposto della loro legittimità (sentenza del 2008 già citata, nelle cause riunite C 402/05 e C 415/05, Kadi). Per quanto riguarda i rapporti tra gli accordi internazionali e gli atti delle istituzioni (diritto derivato), i primi prevalgono (art. 216, par. 2, TFUE). In generale, pertanto, gli accordi internazionali fungono da parametro di legittimità degli atti delle istituzioni, quali norme interposte ai Trattati e ai princìpi generali. 8. I regolamenti Il regolamento, ai sensi del secondo comma dell'art. 288 TFUE, ha portata generale, è obbligatorio in tutti i suoi elementi ed è direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri. Portata generale significa che il regolamento ha natura normativa e si rivolge pertanto alla generalità dei soggetti (anche di gruppi di soggetti, come ad es. i consumatori, trattandosi pur sempre di portata generale, in quanto i soggetti non sono specificamente individuati). Essere obbligatorio in tutti i suoi elementi significa che il regolamento va rispettato nella sua interezza, e che gli Stati membri non possono limitarne il campo di applicazione dal 66 punto di vista temporale, territoriale o personale, né subordinarlo a condizioni d'applicazione non previste o introdurre facoltà di deroga non contemplate dal regolamento stesso. Diretta applicabilità significa che l'adattamento degli ordinamenti nazionali al regolamento avviene direttamente, ossia immediatamente e automaticamente, senza che sia necessario e nemmeno consentito agli Stati membri subordinare l'applicazione del regolamento ad uno specifico atto interno di adattamento o di attuazione. Nello stesso momento in cui entrano in vigore nell'ordinamento comunitario, i regolamenti sono applicabili anche all'interno di ciascuno Stato membro. La diretta applicabilità non esclude, però, che gli Stati membri siano chiamati ad adottare provvedimenti nazionali integrativi. Talvolta è il regolamento stesso a richiederlo. L'applicabilità diretta dei regolamenti implica altresì la loro capacità di produrre effetti diretti all'interno degli ordinamenti degli Stati membri (cd efficacia diretta). Avendo applicabilità diretta in tutti gli Stati membri, il regolamento è lo strumento adottato per l'uniforme applicazione del diritto comuntario in tutti gli Stati membri. 9. Le direttive Il terzo comma dell'art. 288 TFUE prevede che “la direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi”. Dunque, la direttiva ha portata individuale e non generale, in quanto ha destinatari definiti, ossia uno o più Stati membri. Le direttive rappresentano uno strumento di normazione in due fasi: 1) la prima accentrata a livello dell'Unione, dove vengono fissati gli obiettivi e i princìpi generali; 2) la seconda decentrata a livello nazionale, dove ciascuno Stato membro attua, attraverso strumenti normativi completi e dettagliati, gli obiettivi e i princìpi generali fissati dalla direttiva. Lo strumento della direttiva è adottato quando si vuole avvicinare progressivamente le legislazioni degli Stati membri su una data materia (cd “armonizzazione” dei diritti degli 67 Gli atti che possono essere adottati nell'ambito PESC non hanno mai carattere legislativo, però sono vincolanti per gli Stati membri. 12. L'adattamento dell'ordinamento italiano al diritto dell'Unione europea I Trattati istitutivi delle Comunità europee e quelli che li hanno modificati nel tempo si presentano nella forma di normali trattati internazionali. L'Italia ha dato loro ingresso nel nostro ordinamento tramite l'ordine di esecuzione dato con legge ordinaria. Più precisamente, l'ordine di esecuzione di ciascun trattato è stato dato con la medesima legge (ordinaria) con cui il Parlamento italiano ha autorizzato la ratifica del trattato stesso da parte del Capo dello Stato, ai sensi dell'art. 80 Cost. Il ricorso ad una legge “solo” ordinaria per eseguire trattati così importanti come quelli europei ha dato luogo a difficoltà. Molti ritenevano necessaria una norma costituzionale ad hoc, che autorizzasse l'accettazione delle limitazioni di sovranità nazionali legate all'appartenenza alla Comunità, prima, e poi all'Unione. In assenza di una norma costituzionale specifica, si è ritenuto di poter ricondurre l'adesione italiana alla Comunità e poi all'Unione all' art. 11 Cost . La seconda parte di questa norma prevede che l'Italia “consente in condizioni di parità con gli altri Stati alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. La possibilità di far rientrare nell'art. 11 la partecipazione dell'Italia alla Comunità/Unione ha trovato conferma nella giurisprudenza della Corte costituzionale. Secondo quanto affermato nella “storica” sentenza del 1964 Costa c. Enel, l'art. 11 non è solo una norma “permissiva”, che abilita ad accettare le limitazioni di sovranità, ma è anche una norma procedurale: essa consente di accettare limitazioni di sovranità senza necessità di procedere ad una revisione costituzionale. In tale frangente, la Corte ha però anche negato il riconoscimento del primato del diritto comunitario (in particolare delle norme di diritto secondario o derivato) sul diritto interno incompatibile, attribuendo al diritto comunitario lo stesso rango di legge ordinaria dell'ordine di esecuzione utilizzato. Il rapporto tra norme interne e norme comunitarie 70 avveniva pertanto utilizzando i normali criteri di soluzione delle antinomìe tra norme statali (gerarchico, cronologioco, di specialità). Pertanto, è risultato più difficile assicurare l'attuazione in Italia del diritto secondario o derivato comunitario, specie delle direttive, che richiedono una specifica attività di attuazione da parte degli organi nazionali (per inciso, la Corte costituzionale avrebbe poi riconosciuto il primato del diritto comunitario, e dunque anche del diritto derivato, già a partire dalla metà degli anni '70). Uno strumento di attuazione degli atti comunitari è stato adottato con la L. 9 marzo 1989, n. 86, nota come “Legge La Pergola”, successivamente sostituita dalla L. 4 febbraio 2005, n. 11, a sua volta poi abrogata dalla L. 24 dicembre 2012, n. 234 (Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea). Mentre la Legge La Pergola e la L. 11/2005 prevedevano l'adozione di un unico strumento legislativo annuale, denominato “legge comunitaria”, la L. 234/2012 contempla due distinti provvedimenti:  la legge di delegazione europea, che utilizza il metodo della delega legislativa al Governo, prevedendo i criteri per l'attuazione delle norme dell'Unione da parte dello stesso mediante successivi decreti legislativi. La legge di delega può inoltre contenere disposizioni che autorizzano il Governo all'attuazione delle direttive in via regolamentare (cd delegificazione delle materie interessate);  la legge europea, che ha un contenuto diverso rispetto alla delegazione europea, dando attuazione diretta agli obblighi derivanti dal diritto dell'Unione, attraverso l'abrogazione o la modifica di disposizioni statali vigenti. La L. 234/2012 si occupa anche dell'attuazione del diritto dell'Unione da parte delle Regioni. L'art. 117 Cost. (il cui 1° comma, come modificato nel 2001, fornisce un'ulteriore fondamento giuridico, rispetto all'art. 11 Cost., alla partecipazione dell'Italia al processo di integrazione europea ed al primato del diritto comunitario), al suo 5° comma, prevede che le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, nelle materie di loro competenza (tanto esclusiva quanto concorrente), provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite con legge dello Stato, 71 che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza. In attuazione di quanto previsto dall'art. 117, l'art. 30, par. 1, della L. 234/2012 prevede che le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, nelle materie di loro competenza, possono dare immediata attuazione alle direttive, senza dover attendere un preventivo intervento da parte dello Stato, non appena queste entrano in vigore. Ciò non esclude l'intervento dello Stato che, nelle materie di competenza concorrente, determina “a monte” i princìpi fondamentali da seguire (che vengono indicati nella legge di delegazione europea). Quanto all'esercizio del potere sostitutivo, la L. 234/2012 ribadisce il sistema previgente e consistente in un meccanismo di sostituzione preventiva: lo Stato adotta decreti legislativi o regolamenti di attuazione applicabili a partire dalla data di scadenza dell'obbligo di attuazione della direttiva, e solo nel territorio delle Regioni inadempienti. Qualora le Regioni poi provvedano, le norme statali cadranno. La L. 131/2003 (cd Legge La Loggia), richiamato dalla L. 234/2012, prevede poi una procedura di sostituzione successiva. Lo Stato mette in mora la Regione inadempiente con l'assegnazione di un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari. Decorso inutilmente detto termine, il Consiglio dei ministri provvederà direttamente o nominando un'apposita commissione. 72 responsabile. 2. I presupposti dell'efficacia diretta L'efficacia diretta non è prerogativa di ogni norma dell'Unione, pertanto il giudice nazionale ha l'onere di verificare d'ufficio se la norma presenti o meno le caratteristiche necessarie, avvalendosi, se del caso, del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia ai sensi dell'art. 267 TFUE. La Corte, perchè si possa parlare di efficacia diretta di una norma, richiede che la stessa sia sufficientemente precisa ed incondizionata. Nella sentenza “storica” del 1964, causa 26/62, Van Gend & Loos, la Corte afferma, a proposito della clausola di standstill in materia di dazi doganali, che il disposto dell'allora art. 12 TCE pone un divieto chiaro e incondizionato che si concreta in un obbligo non già di fare, bensì di non fare. A quest'obbligo non fa riscontro alcuna facoltà degli Stati membri di subordinarne l'efficacia all'emanazione di un provvedimento di diritto interno. Il divieto di cui all'art. 12 è per sua natura perfettamente atto a produrre effetti sui rapporti giuridici intercorrenti fra gli Stati membri e i loro amministrati. Il presupposto della sufficiente precisione ha riguardo alla formulazione della norma, in particolare del suo precetto, perchè i destinatari possano comprenderne la portata. Tale precetto deve specificare: a) il titolare dell'obbligo; b) il titolare del diritto; c) il contenuto del diritto-obbligo creato dalla norma stessa. Il test basato sui tre aspetti del precetto è stato elaborato dalla Corte nella sentenza del 1991, cause riunite C 6/90 e C 9/90, Francovich. Il sig. Francovich chiedeva allo Stato italiano il pagamento dell'indennità istituita da una direttiva a vantaggio dei lavoratori in caso di insolvenza del datore di lavoro. Malgrado la scadenza del termine, l'Italia non aveva adempiuto all'attuazione della direttiva. Secondo la Corte è necessario chiedersi se la direttiva contiene disposizioni sufficientemente precise sotto tre aspetti: la determinazione dei beneficiari della garanzia stabilita dalla disposizione, il contenuto di tale garanzia e, infine, l'identità del soggetto tenuto alla garanzia. La Corte perviene, nel caso di specie, ad una soluzione negativa per quanto riguarda il terzo aspetto. La direttiva in questione, infatti, lascia aperta la possibilità di mettere la garanzia a carico del bilancio dello Stato oppure di un fondo costituito dai contributi dei datori di lavoro, a scelta delo Stato. Il presupposto dell'incondizionatezza attiene all'assenza di clausole che subordinino 75 l'applicazione della norma ad ulteriori interventi normativi da parte degli Stati membri o delle istituzioni dell'Unione, oppure consentano agli Stati membri un ampio margine di discrezionalità nell'applicazione. Nel caso Rahman (causa C 83/11), concluso con sentenza del 2012, la direttiva invocata dai fratelli e dal nipote (cittadini del Bangladesh) del sig. Rahman (cittadino irlandese) in materia di diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari (diversi dagli stretti congiunti) di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri per il ricongiungimento familiare, lascia lo Stato membro ospitante (nel caso di specie il Regno Unito) un ampio potere discrezionale quanto all'identificazione degli elementi della dipendenza da cui può desumersi un diritto al ricongiungimento familiare. Non vi è pertanto efficacia diretta della direttiva in questione, a meno che venga accertato il superamento da parte dello Stato dei limiti di discrezionalità. In linea di massima, i presupposti dell'efficacia diretta sono gli stessi qualunque sia il tipo di norma dell'Unione, ma le caratteristiche proprie di ciascuna fonte portano ad alcune soluzioni particolari. Per quanto riguarda le disposizioni dei Trattati, alcune di esse si riferiscono espressamente ai singoli (ad es. le norme in materia di concorrenza). Nella causa Manfredi (cause riuntie C 295/04 e C 298/04), la Corte, con sentenza del 2006, ha ricordato che qualsiasi singolo è legittimato a far valere in giudizio la violazione delle norme che vietano le intese o pratiche lesive della concorrenza e, di conseguenza, di invocare la nullità delle stesse. Le norme dei Trattati producono effetti diretti tanto nei rapporti verticali, quanto in quelli orizzontali. Si parla pertanto sia di efficacia diretta verticale che di efficacia diretta orizzontale. Il problema dell'efficacia diretta si è posto anche con riguardo ai princìpi generali e alle norme della Carta dei diritti fondamentali. Per quanto riguarda i primi, la Corte ha accordato efficacia orizzontale al princìpio di non discriminazione sulla base dell'età in materia lavoristica, e al princìpio della parità di trattamento, del quale il primo costituisce soltanto un'espressione particolare. Quanto alla Carta dei diritti fondamentali, le sue norme, in quanto dirette a tutelare i diritti individuali delle persone, godono in generale di efficacia diretta, nel senso che possono essere invocate dagli interessati in rapporti verticali, cioè a difesa di comportamenti lesivi assunti da poteri pubblici, ma anche in rapporti orizzontali nell'ambito di controversie tra 76 privati. Tuttavia, le disposizioni della Carta contenenti meri princìpi (invece che diritti e libertà vere e proprie) non sarebbero in grado di produrre effetti diretti. Il problema dell'efficacia diretta si pone anche riguardo agli accordi internazionali conclusi dall'Unione con Stati terzi. L'analisi della Corte si rivolge in questo caso particolarmente al contesto, e si svolge in due tempi:  dapprima occorre dimostrare che la natura e la struttura dell'accordo permettono di riconoscere effetti diretti alle sue disposizioni in generale;  successivamente, è necessario provare che la specifica disposizione invocata presenti le caratteristiche della sufficiente precisione ed incondizionatezza. Riguardo ai regolamenti, il problema dell'efficacia diretta ha scarsa consistenza dato che la caratteristica dell'applicabilità diretta implica che, normalmente, le disposizioni dei regolamenti siano anche capaci di produrre effetti diretti. Tuttavia, vi possono essere regolamenti che richiedono (implicitamente o esplicitamente) l'emanazione da parte degli Stati membri di provvedimenti di integrazione o di esecuzione. In questi casi, in mancanza dei provvedimenti nazionali, non si può fare a meno di verificare che la disposizione regolamentare in questione presenti i presupposti della sufficiente precisione e della incondizionatezza. Anche i regolamenti producono effetti diretti tanto nei rapporti verticali quanto in quelli orizzontali. 3. Casi particolari (direttive, decisioni, atti degli ex pilastri non comunitari Il problema dell'efficacia diretta delle direttive si pone in termini parzialmente diversi da quelli sin qui esposti. Per quanto riguarda i presupposti sostanziali, anche le direttive, per essere direttamente efficaci, devono presentare le caratteristiche della sufficiente precisione e dell'incondizionatezza (le caratteristiche proprie dell'essere self-executing). 77 quando sono chiamati ad applicare norme interne, gli operatori giuridici sono tenuti ad interpretarle, ove possibile, in conformità col diritto dell'Unione. La differenza tra efficacia diretta e interpretazione conforme (efficacia indiretta) risiede nel fatto che, mentre nel primo caso il giudice disapplica la norma interna confliggente con la norma dell'Unione, nel secondo egli applica pur sempre la norma interna, ma interpretandola in modo aderente a quella dell'Unione. Per la Corte (sentenza 1984, causa 14/83, Von Colson) il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto nazionale alla luce della lettera e dello scopo della direttiva, onde conseguire il risultato contemplato dall'art. 189, 3° comma TCE (oggi art. 288, 3° comma, TFUE). Spetta al giudice nazionale dare alla legge adottata per l'attuazione della direttiva, in tutti i casi in cui il diritto nazionale gli attribuisce un margine discrezionale, un'interpretazione ed un'applicazione conformi alle esigenze del diritto comunitario.  Come detto dalla Corte, l'obbligo di interpretazione conforme è subordinato all'esistenza di un margine di discrezionalità che consenta all'interprete di scegliere più interpretazioni possibili della norma interna. Se, invece, la norma interna è inequivocabilmente contraria alla norma dell'Unione, e questa è priva di efficacia diretta, l'obbligo in esame viene meno.  Inoltre, l'obbligo di interpretazione conforme non sorge prima della scadenza del termine di attuazione della direttiva.  Infine, nell'interpretare le norme di diritto interno rispetto al contenuto di una direttiva, il giudice deve rispettare i princìpi generali che fanno parte del diritto comunitario, e in particolare quelli della certezza del diritto e dell'irretroattività. Deve ad esempio tenere conto che una direttiva non può avere l'effetto di per sé, e indipendentemente da una legge interna di uno Stato membro adottata per la sua attuazione, di determinare o aggravare la responsabilità penale (creando nuove ipotesi di reato o estendendo il campo di applicazione di quelle previste dall'ordinamento interno) di coloro che agiscano in violazione delle sue disposizioni. 5. Il risarcimento del danno Un'altra forma di efficacia indiretta consiste nel riconoscere che la norma dell'Unione, anche se non direttamente efficace, può essere fonte di un diritto al risarcimento del danno. Secondo la Corte, il princìpio della responsabilità dello Stato per danni causati ai singoli in 80 violazione del diritto comunitario ad esso imputabili è inerente al sistema del Trattato (sentenza del 1996, cause riunite C46/93 e C48/93, Brasserie du Pechur). Non vi è dubbio che qualora gli organi di uno Stato membro ledano il diritto attribuito ad un singolo da una norma dell'Unione direttamente efficace, provocando un danno, tali organi siano tenuti al risarcimento. In questi casi il diritto al risarcimento costituisce il corollario necessario dell'effetto diretto. Nel caso invece di una direttiva priva di efficacia diretta, il comportamento omissivo degli organi statali impedisce il sorgere stesso del diritto che la direttiva intendeva garantire ai singoli, per cui il pregiudizio subìto non si rapporta alla lesione di un diritto già sorto, ma ne precede il sorgere. Il diritto al risarcimento costituisce allora non già un'integrazione o un'alternativa rispetto ad un diritto principale, ma un diritto a sé stante. Il diritto ad ottenere il risarcimento del danno subìto in conseguenza della mancata attuazione di una direttiva non direttamente efficace è stato affermato per la prima volta nella sentenza del 1991, cause riunite C6/90 e C9/90, Francovich. Le condizioni definite da detta sentenza perchè il diritto al risarcimento sorga sono 3: 1) la norma dell'Unione violata deve essere diretta a conferire diritti ai singoli danneggiati, il cui contenuto possa essere individuato in base alla norma stessa; 2) la violazione della norma deve essere sufficientemente grave e manifesta; 3) tra la violazione e il danno deve esistere un nesso di causalità. Quanto agli organi che, col loro comportamento commissivo od omissivo, possono causare la responsabilità per danni dello Stato, la Corte ha riconosciuto nelle sue sentenze che può trattarsi degli organi legislativi di uno Stato, di autorità fiscali, di una cassa previdenza, di un ente locale, del potere giudiziario, etc. Le condizioni formali e sostanziali per l'esercizio del diritto al risarcimento, compresa la definizione del giudice competente, dipendono dalle varie legislazioni nazionali. 6. La tutela processuale dei diritti derivanti da norme dell'Unione Si è visto come le norme dell'Unione possono essere invocate, direttamente o indirettamente, di fronte ai giudici degli Stati membri. Occorre stabilire quale fonte regoli gli aspetti attinente all'esercizio in giudizio del diritto 81 dell'Unione (gli aspetti processuali): termini di prescrizione o decadenza, giudice competente, domande proponibili, oneri processuali da soddisfare, ripartizione dell'onere della prova, etc. In linea di massima, salvo eventuali interventi d'armonizzazione da parte delle istituzioni dell'Unione, la definizione degli aspetti processuali spetta all'ordinamento nazionale dello Stato membro nel cui ambito la norma dell'Unione è azionata. Tale princìpio è noto come quello dell'autonomia processuale degli Stati membri. Tuttavia, non sempre le norme processuali nazionali possono essere applicate alle azioni esercitate per la tutela di diritti originati da una fonte dell'Unione. Le condizioni (cumulative) perchè ciò possa avvenire sono:  le modalità definite dal diritto nazionale per l'esercizio di posizioni che derivano dal diritto dell'Unione non possono essere meno favorevoli di quelle applicate per la protezione in via giudiziale di posizioni analoghe di origine puramente interna (princìpio di equivalenza, manifestazione del princìpio generale di non discriminazione);  le modalità non possono essere tali da rendere impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti derivanti da norme dell'Unione (princìpio di effettività, o di effettiva tutela giurisdizionale). Il princìpio dell'autonomia processuale degli Stati membri e i limiti di tale princìpio si applicano anche nel caso di azioni per ottenere il risarcimento del danno imputabile agli organi statali per violazione del diritto dell'Unione. Il princìpio esaminato al capitolo 4 di interpretazione conforme delle norme dell'Unione può incidere anche sull'applicazione delle norme processuali interne, siano esse penali o civili. 7. Il primato del diritto dell'Unione La capacità del diritto dell'Unione di produrre effetti diretti all'interno degli ordinamenti degli Stati membri pone il problema dei conflitti che possono sorgere tra le norme dell'Unione e le norme interne incompatibili. Conflitti del genere sono risolti in base al princìpio del primato del diritto dell'Unione, secondo il quale le norme nazionali non possono in alcun modo ostacolare l'applicazione del 82 8. La giurisprudenza della Corte costituzionale italiana La piena accettazione del princìpio del primato del diritto comunitario da parte della Corte costituzionale italiana è risultata particolarmente difficoltosa. A) Nella sentenza del 1964 Costa c. Enel (vicenda analoga a quella Costa c. Enel che dà vita alla sentenza della Corte di giustizia dello stesso anno) la Corte costituzionale non riconosce il primato del diritto comunitario e, pertanto, ogni norma comunitaria presenta lo stesso valore dell'ordine di esecuzione con cui sono stati recepiti i Trattati comunitari (legge ordinaria): da ciò consegue che una legge interna posteriore possa abrogare una norma comunitaria anteriore, secondo il criterio cronologico della successione delle leggi nel tempo. Per la Corte, l'art. 11 Cost. ha unicamente consentito la ratifica ed esecuzione di Trattati che comportano limitazioni di sovranità, pur anche solo con legge ordinaria, senza dunque dover procedersi a revisione costituzionale (funzione “permissiva” e “processuale” dell'art. 11). B) Un primo avvicinamento da parte della Corte Costituzionale rispetto a quella della Corte di giustizia avviene con la sentenza del 1975, nel caso I.C.I.C. Qui la Corte costituzionale deduce che l'art. 11 Cost. non solo consente all'Italia di accettare limitazioni di sovranità con semplice legge di esecuzione ordinaria, ma esige altresì che il legislatore nazionale rispetti le limitazioni di sovranità così accettate e, in particolare, non ostacoli, attraverso l'emanazione di leggi successive incompatibili, o anche meramente riproduttive, la diretta applicabilità dei regolamenti. In simili evenienze, la norma di legge interna è incostituzionale per violazione dell'art. 11. Tuttavia, secondo la Corte costituzionale, tale vizio, qualora riguardi una legge interna successiva alla norma europea, non può portare alla disapplicazione della norma di legge direttamente da parte del giudice ordinario, rendendosi invece necessaro il ricorso alla Corte costituzionale ai sensi dell'art. 134 Cost. C) La sentenza “Simmenthal” del 1978 sopra vista reca la risposta della Corte di giustizia a tale presa di posizione della nostra Corte, la quale modifica nuovamente il proprio orientamento con la sentenza del 1984, nel caso “Granital”. Qui la nostra Corte riconosce la natura dell'ordinamento comunitario come distinto ed autonomo, ma integrato e coordinato con quello degli Stati membri, il che pone la questione del rapporto tra i due sistemi normativi in quello dalla separazione delle competenze: l'art. 11 Cost. ha consentito il trasferimento agli organi comunitari le competenze che questi 85 esercitano, nelle materie loro riservate. Tale soluzione vale soltanto se e quando il potere trasferito alla Comunità si estrinseca in una normazione compiuta ed avente efficacia diretta, come nel caso dei regolamenti, oppure delle norme dei Trattati, delle direttive e decisioni self-executing. Sempre nella sentenza “Granital”, la Corte costituzionale esclude in due ipotesi il potere del giudice di applicare immediatamente la norma dell'Unione e di disapplicare l'eventuale legge interna incompatibile, esigendo invece che sia sollevata la questione di costituzionalità: 1) nel caso di una norma dell'Unione contraria ai princìpi fondamentali dell'ordinamento costituzionale e ai diritti dell'uomo (riprendendo la teoria dei controlimiti già esposta per la prima volta nella sentenza del 1973 sul caso “Frontini”); 2) nel caso di norme di legge dirette ad impedire il rispetto dei princìpi fondamentali dei Trattati. La Corte costituzionale sarebbe quindi chiamata ad accertare se il legislatore ordinario abbia ingiustificatamente rimosso alcuni dei limiti alla sovranità statale, da esso medesimo posti, mediante la legge di esecuzione del Trattato in diretto e puntuale adempimento dell'art. 11 Cost. Inoltre, la competenza della Corte costituzionale a conoscere di conflitti tra norme dell'Unione e norme interne sussiste anche al di fuori dei giudizi incidentali di costituzionalità, vale a dire nei giudizi di costituzionalità in via principale o diretta, nei giudizi sui conflitti di attribuzione e nel giudizio sull'ammissibilità del referendum. La Corte costituzionale è chiamata a risolvere detti i conflitti rispettando, come tutti gli organi dello Stato, il princìpio del primato del diritto dell'Unione. Con la riforma del Titolo V della Costituzione, il princìpio del primato del diritto dell'Unione su quello interno ha trovato un'esplicita consacrazione del nuovo testo dell'art. 117, 1° comma, secondo cui la potestà legislativa dello Stato e delle Regioni deve rispettare i vincoli derivanti dall'ordinamento internazionale e da quello comunitario. Da ultimo, va segnalato che per la Corte costituzionale, nel caso di contrasto tra una norma dell'Unione priva di efficacia diretta (es. una direttiva non self-executing) e una norma interna, il giudice, non potendo disapplicare quest'ultima, deve sollevare davanti alla Corte costituzionale eccezione di costituzionalità per violazione degli artt. 11 e 117, 1° comma, Cost. (come affermato nella sentenza del 2010 sul caso “M.K.P.”). 86 PARTE V IL SISTEMA DI TUTELA GIURISDIZIONALE 1. Considerazioni generali L'ordinamento dell'Unione comprende un sistema di tutela giurisdizionale ripartito su due livelli: 1) al primo livello il “sistema” Corte di giustizia dell'UE (articolata al suo interno nel Tribunale e nella Corte di giustizia vera e propria); 2) al secondo livello gli organi giurisdizionali degli Stati membri. Al primo livello spettano in via esclusiva alcune azioni tassative (cd. competenze dirette, art. 19, par. 3, lett. a del TUE): a) ricorsi per infrazione contro uno Stato membro accusato di aver violato gli obblighi derivanti dai Trattati; b) ricorsi di annullamento per illegittimità di atti delle istituzioni (e, una volta spirato il termine per proprorre l'azione, è sempre possibile opporre l'eccezione di invalidità); c) ricorsi in carenza per illegittimità delle omissioni delle istituzioni; d) ricorsi per risarcimento per responsabilità extracontrattuale delle istituzioni. Al di fuori di tali azioni vige la competenza dei giudici nazionali. Per un'applicazione ed interpretazione uniforme, da parte dei giudici nazionali, del diritto dell'Unione, è prevista la procedura di rinvio pregiudiziale, attraverso la quale il giudice nazionale ha facoltà (obbligo, se è giudice di ultima istanza) di deferire alla Corte di giustizia (che in tal caso esercita una competenza indiretta) le questioni riguardanti il diritto dell'Unione. Circa gli atti adottati nell'ambito dell'ex III° pilastro, si applica la disciplina giurisdizionale ordinaria, mentre con riguardo alla PESC è esclusa la competenza della Corte di giustizia in ordine alle disposizioni dei Trattati e degli atti adottati dalle istituzioni. Unica eccezione è costitutita dal ricorso di annullamento speciale avente ad oggetto le decisioni che prevedono misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche adottate dal Consiglio in base al titolo V, capo 2 del TUE. 87 Lo Stato membro è tenuto a prendere i provvedimenti che l'esecuzione della sentenza della Corte comporta. La mancata o ritardata adozione dei provvedimenti di cui sopra può indurre la Commissione ad avviare nei confronti dello Stato membro un secondo procedimento d'infrazione, per violazione dell'art. 260 TFUE. Tale secondo procedimento davanti alla Corte può condurre all'emanazione, a carico dello Stato membro inadempiente, di una vera e propria sentenza di condanna al pagamento di una sanzone pecuniaria (somma forfettaria oppure penalità di mora). SU INIZIATIVA DI UNO STATO MEMBRO La fase precontenziosa prevede che lo Stato membro si rivolga alla Commissione, chiedendole di agire nei confronti di altro Stato membro. La Commissione deve porre in condizione gli Stati interessati di presentare in contraddittorio le loro osservazioni scritte. Successivamente, la Commissione emette un parere motivato con la fissazione del termine entro cui lo Stato violatore deve provvedere. Trascorso inutilmente tale termine, la Commissione può dare avvio alla fase contenziosa presentando ricorso (se il parere non è stato formulato nel termine di 3 mesi dalla domanda, il primo Stato può presentare direttamente ricorso alla Corte). La fase contenziosa si sviluppa poi secondo quanto sopra già visto. 3. Il ricorso d'annullamento Il ricorso d'annullamento, disciplinato dagli artt. 263 e ss. TFUE, costituisce la forma principale di controllo giurisdizionale di legittimità prevista per gli atti delle istituzioni. Esso mira ad ottenere l'annullamento degli atti che risultino viziati. Il sistema di tutela giurisdizionale dell'Unione prevede altre procedure che consentono alla Corte di effettuare un controllo sulla legittimità degli atti delle istituzioni, quali l'eccezione di invalidità (art. 277 TFUE) e le questioni pregiudiziali di validità (art. 267 TFUE). Secondo la Corte di giustizia, essa è l'unico organo competente a controllare la legittimità degli atti dell'Unione e, se del caso, a dichiararne l'illegittimità o l'annullamento. 90 La teorizzazione del monopolio della Corte di giustizia sul controllo di legittimità degli atti dell'Unione è dovuta alla sentenza del 1987, causa 314/85, Foto-Frost. Se un giudice nazionale nutre dubbi sulla validità di un atto delle istituzioni non ha altra scelta che sottoporre la questione pregiudiziale di validità alla Corte. In questi casi il rinvio diviene obbligatorio, anche se il giudice non è di ultima istanza. Gli atti impugnabili vengono definiti facendo ricorso a tre criteri:  l'autore dell'atto (sono impugnabili gli atti di tutte le istituzioni, tranne della Corte di giustizia e della Corte dei conti);  il tipo di atto (sono impugnabili gli atti legislativi);  gli effetti dell'atto (sono impugnabili anche gli atti non legislativi che producono effetti nei confronti dei terzi). Un caso particolare è dato dagli atti preparatori (o endoprocedimentali), che esauriscono le varie fasi di un procedimento complesso, destinato a sfociare in un provvedimento finale. In linea di princìpio l'atto preparatorio, in quanto non definitivo, non è autonomamente impugnabile, e dunque i suoi vizi sono fatti valere impugnando l'atto finale (cd illegittimità derivata). La soluzione è diversa qualora l'atto preparatorio sia in grado, già di per sé, di modificare la posizione giuridica degli interessati; produce pertanto effetti giuridici che ne giustificano l'immediata ed autonoma impugnabilità (sentenza del 1992, causa C47/91, Italia c. Commissione). I soggetti legittimati attivi a proporre il ricorso d'annullamento sono compresi in tre categorie:  prima categoria – ricorrenti privilegiati (il diritto di ricorso ha portata generale, ossia possono proporre ricorso contro qualunque atto impugnabile, senza dimostrare un particolare interesse a ricorrere): a) gli Stati membri; b) il Parlamento europeo; c) il Consiglio; d) la Commissione.  Seconda categoria – ricorrenti intermedi (il diritto di ricorso è specificamente finalizzato a salvaguardare le proprie prerogative, per cui i ricorrenti devono sostenere che l'atto impugnato invade la sfera riservata alle proprie competenze o ne pregiudica l'esercizio): a) la Corte dei conti; 91 b) la Banca centrale europea; c) il Comitato delle Regioni.  Terza categoria – ricorrenti non privilegiati (contro atti che devono essere stati adottati nei confronti del ricorrente, o devono riguardarlo direttamente ed individualmente, oppure contro regolamenti che lo riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d'esecuzione): a) qualsiasi persona fisica o giuridica. Tale categoria riguarda, dunque, atti adottati nei confronti del ricorrente quale destinatario dell'atto, oppure atti che lo pregiudicano direttamente ed individualmente, pur senza essere il ricorrente il destinatario, oppure ancora atti di natura regolamentare (a portata generale ma non legislativi, in cui oggi vengono fatti rientrare non solo i regolamenti propriamente detti, ma anche diversi atti, comprese le decisioni della Commissione in materia di aiuti di Stato e gli atti adottati non da istituzioni bensì da altri organi) che riguardano direttamente il ricorrente e non comportano alcuna misura d'esecuzione. Qualora il ricorrente non sia il destinatario dell'atto si parla anche di interesse diretto e interesse individuale. L'interesse diretto sta nella dimostrazione, da parte del ricorrente, del pregiudizio che gli viene recato direttamente dall'atto impugnato e non da successivi provvedimenti di esecuzione o attuazione. L'interesse individuale sta nella dimostrazione che l'atto riguarda individualmente il ricorrente non destinatario, qualora il provvedimento lo tocchi a causa di determinate qualità personali, oppure di particolari circostanze atte a distinguerlo dalla generalità, e quindi lo identifichi alla stessa stregua dei destinatari (cd formula Plaumann ricavabile dalla sentenza del 1963, causa 25/62, Plaumann). La presenza di un interesse individuale è inoltre dimostrata dalla circostanza che l'atto impugnato contenga un espresso riferimento a determinati soggetti, oppure dalla circostanza che il comportamento di determinati soggetti sia stato preso in considerazione nel corso del procedimento per l'emanazione dell'atto impugnato. L'interesse individuale può ancora derivare dalle caratteristiche del procedimento che conduce all'atto impugnato: qualora infatti sia prescritto che il procedimento coinvolga 92  prima categoria - ricorrenti privilegiati, che dispongono di un diritto di ricorso non soggetto a limitazioni quanto all'interesse ad impugnare o al tipo di carenza contestata. Essi sono gli Stati membri e le altre istituzioni;  seconda categoria – ricorrenti non privilegiati, che dispongono solo di un diritto di ricorso limitato all'omessa emanazione nei loro confronti (che li rigurardino direttamente e individualmente) di un atto che non sia una raccomandazione o un parere. Tali ricorrenti sono le persone fisiche o giuridiche. Nella sentenza del 1998, causa T95/96, Telecinco, il Tribunale dell'UE ha considerato la ricorrente direttamente ed individualmente riguardata dall'insussistenza di una decisione della Commissione dopo l'instaurazione, da parte della stessa, del procedimento preliminare di esame delle dotazioni attribuite dalle varie atutorità statali spagnole agli enti televisivi pubblici. Se il ricorso viene accolto, il giudice dell'Unione emana una sentenza di mero accertamento della carenza, ma non spetta allo stesso adottare l'atto omesso, e nemmeno condannare l'istituzione responsabile ad un obbligo di facere specifico. La sentenza fa però sorgere a carico dell'istituzione un obbligo di agire. 5. Il ricorso per risarcimento danni Ai sensi dell'art. 268 TFUE, la Corte di giustizia è competente a conoscere delle controversie relative al risarcimento dei danni da responsabilità extracontrattuale causati dalle istituzioni o dai suoi agenti nell'esercizio delle loro funzioni, conformemente ai princìpi comuni ai diritti degli Stati membri. La Corte non è invece competente in caso di responsabilità contro l'Unione nell'ambito della PESC. Con riferimento invece alla responsabilità contrattuale dell'Unione, la stessa è regolata dalla legge applicabile al contratto. La competenza spetta ai giudici nazionali, a meno che sia prevista dal contratto una clausola compromissoria in favore della Corte di giustizia. Il ricorso per risarcimento si configura come rimedio residuale rispetto alla tutela che possono offrire i giudici nazionali, per cui se è possibile proporre azione davanti ai giudici nazionali che sia in grado di soddisfare pienamente la pretesa, la competenza della Corte è esclusa. 95 I presupposti della responsabilità extracontrattuale vanno tratti dai princìpi generali comuni ai diritti degli Stati membri. Secondo la Corte, presupposti della responsabilità dell'Unione sono:  un danno effettivo;  l'illegittimità del comportamento delle istituzioni;  il nesso causale tra danno e comportamento delle istituzioni. A questi presupposti, necessari, se ne aggiungono altri due, qualora il comportamento delle istituzioni consista nell'esercizio di poteri caratterizzati da un ampio margine di discrezionalità e, in particolare, nell'adozione di atti normativi (es. regolamenti) implicanti scelte di politica economica; in tali casi, per aversi risarcimento danno è necessario anche che:  la norma violata dalle istituzioni sia preordinata a conferire diritti ai singoli;  la violazione di tale norma sia sufficientemente caratterizzata (deve essere grave e manifesta). In epoca più recente la giurisprudenza è stata chiamata a decidere se in taluni casi fosse possibile prescindere dal presupposto dell'illegittimità del comportamento che ha provocato il danno (cd responsabilità da attività lecita). Il presupposto di questo tipo di responsabilità sarebbe l'eccezionalità del danno subìto da un determinato soggetto come effetto di un'attività svolta nell'interesse generale. Nella sentenza del 2008, cause riunite C120/06 e C121/06, FIAMM, la Corte nega la stessa possibilità di una responsabilità delle istituzioni per fatto lecito. Il diritto al risarcimento dei danni è comunque soggetto ad un termine di prescrizione di 5 anni, a decorrere dal momento in cui avviene il fatto che dà loro origine, ossia dal momento in cui il comportamento controverso produce i suoi effetti dannosi in capo alle persone cui si dirige (così nella sentenza del 2013, causa C460/09, Cremonini). 6. La competenza pregiudiziale: concetti generali A norma dell'art. 267 TFUE, la Corte di giustizia può o, a seconda dei casi, deve essere chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale sulle questioni riguardanti il diritto dell'Unione 96 che si pongono nell'ambito di un giudizio instaurato davanti ad un organo giurisdizionale di uno degli Stati membri. Il giudice nazionale richiede alla Corte di pronunciarsi su determinate questioni perchè reputa necessaria una decisione sul punto onde emanare la sua sentenza. La pronuncia della Corte ha natura pregiudiziale sia in senso temporale, perchè precede la sentenza del giudice nazionale, sia in senso funzionale, perchè è strumentale rispetto all'emanazione di detta sentenza. Trattasi di competenza indiretta della Corte, in quanto l'iniziativa di rivolgersi alla stessa non è assunta direttamente dalle parti interessate, bensì dal giudice nazionale, nonché di competenza limitata alle questioni sollevate da quest'ultimo. Lo scopo della competenza pregiudiziale della Corte sta nell'evitare che ciascun giudice nazionale interpreti e verifichi la validità delle norme dell'Unione in maniera autonoma, col rischio di infrangere l'unitarietà del diritto dell'Unione. Inoltre, detta competenza mira ad offrire ai giudici nazionali uno strumento di collaborazione per superare le difficoltà interpretative che il diritto dell'Unione può sollevare. Per quanto riguarda il settore della PESC, la Corte non ha competenza pregiudiziale, salvo il caso eccezionale del rinvio pregiudiziale di validità per valutare la legittimità di decisioni che prevedono misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche (v. sentenza del 2017, causa C72/15, PJSC Rosneft Oil Company). É stata invece estesa dal Trattato di Lisbona la competenza pregiudiziale della Corte in relazione ai settori dell'ex III° pilastro (cooperazione penale): in tali casi è previsto che la Corte possa trattare il rinvio anche con procedimento d'urgenza. La competenza pregiudiziale viene in rilievo anche sotto il profilo del diritto fondamentale ad una tutela giurisdizionale effettiva, tutelato dalla CEDU e dall'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione. Il rinvio pregiudiziale consente infatti di aiutare il giudice nazionale a superare le difficoltà interpretative che il diritto dell'Unione può porre. 7. Ammissibilità e rilevanza della questione pregiudiziale L'assenza di un rapporto gerarchico spiega perchè la Corte di giustizia non eserciti alcun tipo di controllo sulla competenza del giudice nazionale, oppure sulla regolarità del giudizio davanti a questo e, in particolare, del provvedimento di rinvio pregiudiziale. Si tratta di aspetti che non sono disciplinati dal diritto dell'Unione, bensì dal diritto interno 97
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