Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Corso di diritto processuale civile. I - Il processo di cognizione, agg. Riforma Cartabia., Sintesi del corso di Diritto Processuale Civile

Riassunto completo del secondo volume di Procedura civile I parte (1^) - Il processo di cognizione, aggiornato alla Riforma Cartabia. Primo volume "Nozioni introduttive" scaricabile qui https://www.docsity.com/it/corso-di-diritto-processuale-civile-libro-i-nozioni-introduttive/10569594/?utm_source=generic&utm_medium=button&utm_campaign=document_share

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

In vendita dal 11/01/2024

Eisblume98
Eisblume98 🇮🇹

3.6

(5)

11 documenti

1 / 112

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Corso di diritto processuale civile. I - Il processo di cognizione, agg. Riforma Cartabia. e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! DIRITTO PROCESSUALE CIVILE I IL PROCESSO DI COGNIZIONE ASPETTI GENERALI Il processo di cognizione costituisce l’oggetto della disciplina del Libro II del Codice di Procedura civile, che disciplina e descrive gli atti del processo, nei loro aspetti pubblicistici e privatistici, nell’ordine e secondo la linea normale della sua evoluzione (vs. vicende anormali). Il Libro II è strutturalmente più complesso (vs. Libro I – disposizioni generali: riferimento generico ai soggetti, all’oggetto e agli atti), in quanto il processo può svolgersi davanti a diversi giudici (giudice di pace, tribunale, Corte d’appello, Corte di cassazione) e in diversi gradi (primo, secondo e terzo grado; rinvio, revocazione, opposizione di terzo); in particolare, il codice assume come paradigma il giudizio di primo grado innanzi al tribunale (cfr. più frequente e con la sfera di competenza più ampia), disciplina-tipo valida per ogni tipo di processo e davanti a ciascun giudice in tutti i gradi, integrando le regole e particolarità specifiche dei singoli tipi di processo e con una disciplina autonoma della Corte di cassazione (vs. disciplina autonoma per ogni tipo di processo):  Libro II: giudizio di primo grado: o Titolo I: composto dalla disciplina dello svolgimento normale del processo, ripartito convenzionalmente in 3 fasi, che non hanno una vera e propria autonomia, ma hanno un loro funzione e caratteristiche strutturali proprie (C. I-III), di un’appendice ad esso (C. IV), e delle eventuali vicende anormali del processo (C. V-VII):  Capo I: introduzione della causa;  Capo II: istruzione della causa, articolata nelle sottofasi di trattazione e istruzione in senso stretto;  Capo III: decisione della causa;  Capo IIIbis (cfr. d. lgs. 51/1998): procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica;  Capo IIIter (cfr. d. lgs. 51/1998): rapporti tra collegio e giudice monocratico;  Capo IIIquater (cfr. d. lgs. 149/2022): procedimento semplificato di cognizione, rito alternativo al processo ordinario di cognizione per le controversie meno complesse innanzi al tribunale monocratico o collegiale.  Capo IV: esecutorietà e della notificazione delle sentenze (cfr. appendice allo svolgimento normale del processo di cui ai primi 3 capi);  Capo V: correzione delle sentenze e delle ordinanze;  Capo VI: procedimento in contumacia;  Capo VII: sospensione, interruzione ed estinzione del processo. o Titolo II: procedimento dinnanzi al giudice di pace (cfr. norme del titolo o norme relative al tribunale monocratico o al procedimento semplificato, in quanto applicabili); o Titolo III: impugnazioni:  Capo I: impugnazione in generale;  Capo II: appello, limitandosi alle particolarità proprie e ad una norma di richiamo generale ex art. 359, per cui si osservano le norme dettate per il procedimento ordinario, se non incompatibili;  Capo III: disciplina completa ed autonoma del giudizio innanzi alla Corte di cassazione e del giudizio di rinvio;  Capo IV: revocazione, disciplinata da regole proprie e da una norma di richiamo generale ex art 400, per cui si osservano le norme stabilite per il procedimento dinnanzi al giudice adito, in quanto non derogate;  Capo V: opposizione di terzo: disciplinata da regole proprie e da una norma di richiamo generale ex art 406, per cui si osservano le norme stabilite per il procedimento dinnanzi al giudice adito, in quanto non derogate. o Titolo IV: controversie in materia di lavoro, previdenza e assistenza, interamente rinnovato dalla L. 533/1973 che configura un processo speciale di cognizione piena, cioè articolato, nei due gradi, con caratteristiche proprie; o Titolo V: controversie in materia di persone, minorenni e famiglie, introdotto dal d. lgs. 149/2022 che configura un processo speciale di cognizione piena, cioè articolato, nei due gradi, con caratteristiche proprie. Il legislatore, esternamente al codice, ha disciplinato le procedure che influenzano il processo di cognizione:  Mediazione finalizzata alla conciliazione (d. lgs. 28/2010): controversie civili e commerciali, con profili di connessione con il processo di cognizione (cfr. ricorso volontario su iniziativa di parte o obbligo di esperimento, per legge o imposto dal giudice; procedura innanzi ad organismi appositi prima del processo);  Negoziazione assistita da avvocati (L. 162/2014). PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE Fase introduttiva Il Capo I è dedicato all’introduzione della causa, in cui predomina l’iniziativa di parte, in quanto si disciplina una serie di atti e situazioni giuridiche che hanno la funzione di introdurre la causa e, quindi, instaurare il processo, realizzando il primo contatto giuridico tra i soggetti del processo attraverso la proposizione della domanda (cfr. tipico atto nel quale si concreta l’iniziativa del soggetto che chiede la tutela giurisdizionale).  Talvolta, la procedibilità dell’atto introduttivo del processo è condizionata dal previo esperimento della procedura di mediazione (cfr. materie elencate dall’ art. 5 d. lgs. 28/2010) – per cui l’avvocato deve informare della possibilità di mediare con un documento sottoscritto dall’assistito e allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio, a pena di annullabilità del contratto d’opera tra avvocato e assistito, salva la possibilità che sia il giudice ad informare la parte della possibilità di mediazione – o di negoziazione assistita. Atto di citazione La domanda si propone con l’atto di citazione, salvo eccezioni (cfr. ricorso nel processo semplificato e alcuni processi speciali), cioè un atto scritto, redatto e sottoscritto dal difensore. Esso è doppiamente recettizio, in quanto è un unico atto rivolto a due destinatari con le modalità predeterminate dalla legge, cioè al convenuto (i.e. nei cui confronti l’attore vuole proporre la domanda) e al giudice (i.e. al quale l’attore rivolge la domanda), con conseguente duplice contenuto e funzione, in quanto da un lato consiste nella vocatio in jus (i.e. l’attore chiama in giudizio il convenuto e quindi instaura il contraddittorio) e dall’altro nell’editio actionis (i.e. l’attore chiede la tutela giurisdizionale al giudice, previa affermazione del diritto di cui si chiede la tutela e della conseguente determinazione dell’oggetto del processo). Per assolvere alla sua doppia funzione, l’art. 163.3 indica i requisiti dell’atto di citazione:  Individuazione dei 3 soggetti fondamentali del processo: o Giudice (n. 1): indicazione del tribunale davanti al quale la domanda è proposta; o Parti (n. 2): nome, cognome, residenza e codice fiscale dell'attore, il nome, il cognome, il codice fiscale, la residenza o il domicilio o la dimora del convenuto e delle persone che rispettivamente li rappresentano o li assistono. Se attore o convenuto è una persona giuridica, un'associazione non riconosciuta o un comitato, la citazione deve contenere la notificazione dell’atto di citazione o, se l’atto introduttivo assume la forma del ricorso, nel deposito presso il giudice.  Sostanziali: effetti marginali che non possono prodursi con la domanda stessa, ma solo a seguito dell’accertamento contenuto nella pronuncia (cfr. la domanda non può essere accolta nel momento in cui è proposta, in quanto deve svolgersi il processo), evitando al contempo che il tempo processuale non torni a danno di chi ha ragione: o Effetti estintivi: il tempo processuale non deve dare luogo ad effetti estintivi (cfr. norme che disciplinano gli effetti della domanda giudiziale sulla prescrizione del diritto sostanziale), per cui la proposizione della domanda interrompe la prescrizione (cfr. art. 2943 c.c. – la prescrizione è interrotta dalla notificazione dell'atto con il quale si inizia un giudizio, di cognizione o esecutivo) e impedisce le decadenze. Dal momento del passaggio in giudicato della sentenza comincia a decorrere un nuovo termine di prescrizione (interruzione- sospensione), per cui anche se l'interruzione è avvenuta mediante un atto contenente una domanda giudiziale la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza; o Retroattività: quando il diritto viene riconosciuto, ciò deve avvenire come se avvenisse al momento della proposizione della domanda (es. l'obbligo di corrispondere gli interessi legali ad un tasso pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativi ai ritardi di pagamento per le transazioni commerciali; obbligo del possessore di buona fede di restituire frutti percepiti dalla proposizione della domanda; opponibilità delle sentenze che accolgono domande relative ai beni mobili, i terzi che abbiano acquistato diritti su quei beni dopo la proposizione della domanda, purché la domanda stessa sia stata trascritta prima della trascrizione dell'atto di acquisto del terzo). Nullità della citazione L'art. 156 dispone che la nullità è comminata espressamente dalla legge (cfr. la legge, anziché lasciare la valutazione al giudice caso per caso, stabilisce quando la mancanza di taluni requisiti annulla l’atto) e va pronunciata quando l'atto manca dei requisiti indispensabili per il raggiungimento del suo scopo obiettivo. Con riguardo all'atto di citazione, siffatta valutazione preventiva, è compiuta dall’art. 164. Innanzitutto, lo scopo dell'atto di citazione nel suo complesso è quello di funzione preparatoria della prima udienza di trattazione, agli effetti del tentativo di conciliazione tra le parti, della trattazione del giudizio e della programmazione dell'attività processuale. Inoltre, dalla sua disciplina emergono scopi diversi in relazione alle diverse parti o settori nei quali si articola l'atto di citazione. In particolare, la norma distingue tra vizi e conseguenze che investono:  Vocatio in ius: scopo di instaurare il contraddittorio col convenuto per metterlo in condizione di potersi difendere. L’art. 164.1 dispone che la citazione è nulla se è omesso o risulta assolutamente incerto (es. indicazioni contraddittorie o insufficienti) alcuno dei requisiti stabiliti ex art. 163 (1, giudice) (2, parti), se manca l'indicazione della data dell'udienza di comparizione, se è stato assegnato un termine a comparire inferiore a quello stabilito dalla legge, ovvero se manca l'avvertimento ex art. 163 (7). Il convenuto non sarebbe messo in condizioni di difendersi se non sapesse con sicurezza davanti a quale giudice è citato, da chi è stato citato o senza il tempo necessario per predisporre una difesa. Tuttavia, vi sono dei casi in cui la realtà concreta smentisce le previsioni astratte del legislatore circa l'indispensabilità del requisito mancante. Infatti, l’art. 164 – riprendendo quanto disposto ex art. 156.3 che fa salvi i casi in cui l'atto abbia raggiunto lo scopo a cui è destinato – disciplina la rilevabilità dei vizi e le loro conseguenze, distinguendo: o Costituzione del convenuto (art. 164.3): la costituzione del convenuto sana con efficacia ex tunc i vizi della citazione, restando irrilevanti eventuali dichiarazioni in senso contrario (cfr. miglior indice che la citazione ha ugualmente conseguito il suo scopo), e restano salvi gli effetti sostanziali e processuali di cui al secondo comma, salvo che il convenuto deduca inosservanza del termine a comparire o la mancanza dell'avvertimento ex art. 163 (7) che può pregiudicare la possibilità di predisporre tempestivamente le proprie difese, per cui il giudice fissa una nuova udienza nel rispetto dei termini, restando eliminata ogni conseguenza del vizio; o Mancata costituzione del convenuto (art. 164.2): il giudice, rilevata la nullità della citazione ai sensi del primo comma nelle verifiche preliminari, nella prima udienza o in qualsiasi altro momento senza richiedere una nuova procura, ne dispone d'ufficio la rinnovazione entro un termine perentorio (cfr. la nullità non ha comunque effetti distruttivi o paralizzanti ma vi sono possibilità di recupero). In questo caso, la rinnovazione sana i vizi e gli effetti processuali e sostanziali della domanda si producono sin dal momento della prima notificazione (cfr. senza conseguenze per i diritti quesiti); viceversa, se la rinnovazione non viene eseguita, il giudice ordina la cancellazione della causa dal ruolo e il processo si estingue ex art. 307.3 (cfr. se l'attore non provvede neppure alla rinnovazione a cui è onerato presta implicitamente acquiescenza agli effetti distruttivi già potenzialmente insiti nel vizio della citazione).  Editio actionis: scopo di precisare al convenuto ciò che si chiede contro di lui per consentirgli di difendersi sul merito e di offrire al giudice gli elementi per il giudizio. L’art. 164.4 dispone che la citazione è nulla se è omesso o risulta assolutamente incerto il requisito ex art. 163 (3, petitum) ovvero se manca l'esposizione dei fatti ex art. 163 (4). Il convenuto non sarebbe posto in condizioni di conoscere l'oggetto della domanda dalla quale deve difendersi se vi fosse omissione o assoluta incertezza degli elementi individuati del petitum o della causa petendi. Tuttavia, le conseguenze della nullità sono diverse, in quanto se il convenuto si costituisce, il giudice fissa un termine perentorio per integrare la domanda (con notificazione della domanda integrata al difensore del convenuto costituito ex art 170), mentre se non si costituisce fissa all'attore un termine perentorio per rinnovare la citazione, fissando anche il giorno dell'udienza. In merito, si dovrà distinguere: o Rinnovazione o integrazione: se la rinnovazione o l'integrazione avvengono, restano ferme le decadenze maturate e salvi i diritti quesiti anteriormente alla rinnovazione o all'integrazione (sanatoria ex nunc), in quanto è stata rilevata intrinsecamente l'inidoneità dell'originario atto di citazione ad assolvere alla sua funzione, con la conseguente inidoneità a salvare dalle decadenze e ad interrompere la prescrizione del diritto oggetto della domanda, già maturate nel momento della rinnovazione dell'integrazione; o Inosservanza dell’ordine: se rinnovazione o integrazione non avvengono, nel silenzio del codice, si ritiene che si debba dare luogo all’estinzione, nel caso di mancata rinnovazione (cfr. vocatio in ius), e alla nullità da dichiararsi con sentenza, nel caso di mancata integrazione. Successivamente all’eventuale rinnovazione, le successive preclusioni si riferiscono all'atto rinnovato e la successiva comparsa di risposta (vs. integrazione, per cui il giudice deve fissare la prima udienza e si applica l’art. 167 per quel che riguarda l'attività difensiva del convenuto rispetto alle parti della citazione integrate). Viceversa, se, quando in mancata costituzione del convenuto, il giudice non rilevi i vizi (e conseguentemente non dispone la rinnovazione), sembra configurabile la possibilità di rinnovazione o di sanatoria anche in appello, in applicazione del principio della conversione di vizi di nullità in motivi di gravame. Sebbene la sanatoria dei vizi si riferisca soltanto ai vizi della citazione, si ritiene applicabile anche ai vizi della notificazione della stessa. In ogni caso, indipendentemente dall'ordine di rinnovazione, l'attore può sempre proporre una nuova citazione, la cui validità potrà ovviare ai vizi della precedente, previa riunione dei due procedimenti (ex art. 273), o provvedere alla notificazione di un atto di citazione integrativo del primo. Infine, la disciplina della nullità della citazione ex art. 164, essendo una specificazione delle regole generali ex art- 156, va coordinata con queste ultime anche agli effetti dell'esplicita previsione di vizi diversi che investono l'idoneità dell'atto al raggiungimento dello scopo. Costituzione dell’attore Il processo civile e una serie di atti che progredisce ad impulso di parte; pertanto, l’atto di citazione nei confronti del giudice costituisce l'atto processuale con il quale l'attore assolve all'onere di dare ulteriore impulso al processo appena instaurato. In particolare, la portata recettizia della citazione nei confronti del giudice, quale secondo destinatario naturale dell'atto di citazione (l’attore propone la domanda al giudice), si concreta nella costituzione dell'attore, per cui l’art. 165 stabilisce che l'attore:  Entro 10 giorni dalla notificazione della citazione al convenuto: sebbene l'attore possa validamente costituirsi nei 10 giorni dalla consegna della citazione all'ufficiale giudiziario, l'effettiva decorrenza del termine di costituzione si ha dal momento della consegna dell'atto al destinatario (cfr. scissione tra gli effetti della notificazione tra richiedente e destinatario).  Deve costituirsi in giudizio:  A mezzo di procuratore o personalmente nei casi consentiti dalla legge (dichiarando la propria residenza o eleggere domicilio nel comune ove ha sede il tribunale): l’attore, o più in generale la parte, effettua il deposito per il tramite di colui per mezzo del quale sta in giudizio, cioè il difensore, salvi i casi in cui è consentito stare in giudizio personalmente;  Depositando con modalità telematiche: o Nota di iscrizione a ruolo; o Proprio fascicolo: importante significato giuridico, in quanto consiste in un'autopresentazione formale dell'attore, o più in generale della parte, al giudice, con cui diviene ufficialmente ed attivamente presente nel processo (con l’investitura ufficiale di presenza attiva anche del relativo difensore) rivolgendo la sua domanda al giudice ed instaurando con lui un rapporto diretto. Tale fascicolo deve contenere:  Originale della citazione, munito della relazione di notificazione;  Procura, ove non sia contenuta nell’atto di citazione (cfr. art. 125.2 – la procura può essere rilasciata anche in data posteriore alla notificazione dell'atto, purché anteriormente alla costituzione della parte rappresentata);  Documenti offerti in comunicazione. La costituzione per mezzo del difensore attribuisce la presenza formale nel processo per tutto il grado introdotto con la citazione, indipendentemente dal fatto che alla presenza legale corrisponda la presenza effettiva o di fatto alle udienze. Infatti, la parte costituita può comparire o non comparire all'udienza, ossia restare assente anche se legalmente presente (cfr. la costituzione diverge dalla comparizione); viceversa, la parte non costituita, cioè contumace, rimane rigorosamente estranea allo svolgimento del processo, ferma la sua qualità di parte. L’art. 165.2 stabilisce che nel caso di citazione di più persone, l'originale della citazione deve essere inserito nel fascicolo entro 10 giorni dall'ultima notificazione, procrastinando però solo l'inserimento dell'originale della citazione notificata nel fascicolo e non la costituzione, che deve avvenire comunque entro 10 giorni. Costituzione del convenuto e comparsa di risposta Il soggetto che ha ricevuto l'atto di citazione è divenuto parte convenuta, la quale si trova nella condizione di dover scegliere tra restare inerte, ma pur sempre parte del processo (con le relative conseguenze), o l’assumere una partecipazione attiva. Nel caso in cui il convenuto voglia assumere la partecipazione attiva al processo ha l'onere di compiere la comparsa di risposta, cioè un atto analogo a quello della costituzione dell'attore, con la sola differenza che il convenuto entra in un processo il cui oggetto è stato già determinato dall'attore, in cui il contraddittorio è già stato instaurato e le cui attività difensive proposte al giudice sono svolte con riferimento alla domanda dell'attore, senza dover assumere alcuna iniziativa. In particolare, l’art. 166 dispone che il convenuto deve costituirsi in giudizio, a mezzo del procuratore o personalmente nei casi consentiti dalla legge, almeno 70 giorni prima dell'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione, depositando la comparsa di risposta ex art 167 con la copia della citazione notificata, la procura e i documenti che offre in comunicazione. Pertanto, la legge prevede la redazione di un atto difensivo scritto contrapposto alla citazione che deve essere depositato con modalità telematiche insieme alla copia della citazione notificata stessa. Il codice prevede un termine, con funzione acceleratoria, successivo a quello dell’attore (cfr. entro 10 giorni dalla notificazione), ma precedente alla data dell’udienza, al fine di lasciare al convenuto un adeguato periodo di tempo per predisporre la propria linea difensiva e La designazione deve avvenire non oltre il secondo giorno successivo alla costituzione della parte più diligente e, subito dopo, il cancelliere iscrive la causa sul ruolo della sezione e su quello del giudice istruttore. La designazione deve avvenire, in assoluta libertà, senza vincoli per il presidente della concomitanza tra il giorno prescelto dall'attore per la prima udienza e il giorno nel quale il giudice tiene le udienze di prima comparizione (secondo la generica determinazione che il presidente deve compiere all'inizio di ciascun anno giudiziario); infatti, se esistesse al vincolo, l'attore potrebbe scegliere, anche se indirettamente, il giudice- persona. Tuttavia, escludendo tale vincolo, il legislatore ha dato luogo ad un problema pratico; pertanto, l’art. 168bis.4 dispone che, se nel giorno fissato per la comparizione il giudice istruttore designato non tiene udienza, la comparizione delle parti è d'ufficio rimandata all'udienza immediatamente successiva tenuta dal giudice designato. In questo caso, il termine di costituzione del convenuto rimane ancorato al giorno dell'udienza originariamente fissata con le conseguenti preclusioni. Il giudice, una volta designato, è immutabile per tutto il corso del giudizio e, soltanto in caso di assoluto impedimento o di gravi esigenze di servizio, può essere sostituito con decreto del presidente (cfr. art. 174). Ritardata o mancata costituzione L’art. 171.2 stabilisce che se una delle parti si è costituita entro il termine rispettivamente a lei assegnato, l'altra può costituirsi successivamente, ma restano ferme per il convenuto e le decadenze ex art. 167. In particolare, il codice stabilisce termini differenti per la costituzione delle parti, allo scopo di porre il convenuto nella condizione di predisporre la propria difesa dopo la costituzione dell'attore – che dovrebbe costituirsi per primo.  Tuttavia, il mancato rispetto del termine da parte dell'attore non condiziona la prosecuzione del processo, in quanto il convenuto potrebbe comunque costituirsi per primo (cfr. nel termine ex art. 166), sostituendosi all'attore nell'onere di dare impulso al processo, chiedendo l'iscrizione a ruolo e provocando la designazione del giudice istruttore, salvando così la funzionalità integrale del processo, anche con riguardo la partecipazione dell'attore, che può costituirsi successivamente (art. 171);  Viceversa, se l'attore si costituisce entro il termine scrivendo la causa a ruolo, il convenuto fruisce ancora della possibilità di differire la sua costituzione (cfr. successivamente). Il comma terzo stabilisce che la parte che non si costituisce entro il termine ex art. 166 è dichiarata contumace con ordinanza del giudice istruttore o del giudice della causa, salva la disposizione ex art. 291. Pertanto, l'istituto della contumacia riguarda sia il convenuto sia l'attore e, in ogni caso, la dichiarazione non impedisce la costituzione tardiva della parte. Pertanto, l'attore, per evitare di essere dichiarato contumace, deve costituirsi entro il termine ultimo di costituzione del convenuto (cfr. richiamo art. 166, cioè entro 70 giorni dall'udienza). Solo dopo la scadenza dei 70 giorni, il giudice può procedere alle verifiche preliminari ex art. 171bis (anche quelle che potrebbero portare alla dichiarazione di contumacia dell'attore). Nel caso in cui nessuna delle due parti si costituisca, mancando l'iscrizione a ruolo e non essendo stato designato un giudice che debba o possa prendere provvedimenti in una prima udienza, non avverrà un processo; inoltre, l’art. 171.1 stabilisce che se le parti, pur essendosi costituite, non abbiano rispettato il proprio termine, si applicano le disposizioni inerenti all'estinzione del processo (art. 307.1, per cui avvenuta l’iscrizione al ruolo in correlazione con la costituzione tardiva, non seguita dalla costituzione dall'altra parte, il giudice designato terrà la prima udienza per ordinare la cancellazione della causa dal ruolo). In realtà, la mancata iscrizione a ruolo o di avvenuta cancellazione dal ruolo costituisce solo una tappa per il determinarsi della fine anticipata del processo:  L’art. 307.1 stabilisce che il processo, ancora formalmente pendente, entra in uno stato di quiescenza che potrà durare fino a tre mesi dalla scadenza del termine stabilito per la costituzione del convenuto (art. 166) o dalla data del provvedimento di cancellazione (ex art. 307.1). Entro tale termine, pena l’estinzione definitiva, il processo può essere rimesso in moto dalla parte che vi è interesse, attraverso la notificazione al procuratore costituito della comparsa di riassunzione (cfr. caratteri propri della citazione, compresa la nuova vocatio in jus, che ha la sola funzione di riprendere il medesimo processo); o La comparsa di riassunzione può altresì dar vita ad un processo autonomo, potendo superare l'eventuale invalidità dell'originario atto di citazione, e sempre che la comparsa di riassunzione abbia tutti i requisiti di un atto autonomo di citazione.  L’art. 307.2 stabilisce che, dalla notificazione della comparsa di riassunzione, decorrono i nuovi termini di costituzione (con riferimento alla nuova data di comparizione, il cui mancato rispetto provoca estinzione immediata del processo. In ogni caso, il rilievo del vizio di costituzione deve coordinarsi con la regola della conversione in motivo di gravame del giudicato interno. Pertanto, se non viene fatto valere in appello, non potrà essere dedotto in sede di ricorso per Cassazione. Verifiche preliminari del giudice L’art. 171bis prevede che, alla scadenza del termine ex art. 166 per la costituzione del convenuto e prima dell’udienza di comparizione, il giudice, nei successivi 15 giorni, verifica d'ufficio la regolare instaurazione del giudizio dal punto di vista del contraddittorio tra le parti e pronuncia, quando occorre (cioè quando rilevi un vizio della corretta instaurazione del processo), i provvedimenti conseguenti:  Integrazione del contraddittorio nei confronti del litisconsorte necessario pretermesso (art. 102.2);  Chiamata in causa di un terzo, ove ritenga la causa comune anche al terzo (art. 107);  Sanatoria della nullità della citazione riguardante la vocatio in jus e l’editio actionis (art. 164.2, 3, 5, 6);  Integrazione dell'eventuale domanda riconvenzionale proposta, ove nulla per assoluta incertezza del petitum o della causa petendi; autorizzazione del convenuto a chiamare in causa il terzo; spostamento dell'udienza di prima comparizione e trattazione, per consentirgli di farlo nel rispetto dei termini di difesa ex art 163 bis (art. 167.2, 3);  Dichiarazione di contumacia della parte che non si sia costituita nel termine stabilito ex art. 166 (art. 171.3);  Invito del giudice a completare o a mettere in regola gli atti e i documenti che riconosce difettosi (es. versamento del contributo unificato) o, in caso di mancanza della procura al difensore o un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione, l'assegnazione della parte di un termine perentorio per sanare il vizio (art. 182);  Rinnovo della notificazione, in caso di mancata costituzione del convenuto e di rilievo da parte del giudice di una nullità nella notificazione della citazione, e l'individuazione degli atti da notificare personalmente della parte contumace (artt. 291-292). Il secondo comma stabilisce che, nel caso in cui, dall'esercizio del controllo giudiziale e dall’adozione dei conseguenti provvedimenti emerga la necessità di fissare una nuova data per lo svolgimento della prima udienza ex art 183, le parti dovranno tener conto della nuova data d'udienza ai fini della decorrenza dei termini per lo scambio delle memorie integrative (art. 171ter). Viceversa, il terzo comma stabilisce che, qualora manchi tale l'esigenza, il giudice si limita a confermare l'udienza già fissata nell'atto di citazione oppure a differirla per ragioni organizzative, fino ad un massimo di 45 giorni (da cui decorrono i termini per le memorie). In ogni caso, la cancelleria deve comunicare il decreto della data dell'udienza alle parti costituite, per consentire loro di venire a conoscenza delle determinazioni giudiziali, dell’eventuale nuova data d'udienza e della conseguente decorrenza a ritroso dei termini per la presentazione delle memorie. Infine, al fine di consentire alle parti di esercitare il diritto al contraddittorio con lo scambio di memorie integrative, in sede di verifiche preliminare, il giudice può indicare alle parti, sulla base degli atti introduttivi delle stesse, le questioni rilevabili d'ufficio di cui ritiene opportuna la trattazione (es. eccezioni di rito o di merito), anche con riguardo alle condizioni di procedibilità della domanda (es. preventivo espletamento della procedura di mediazione o di negoziazione assistita) e alla sussistenza dei presupposti per procedere con il rito semplificato di cognizione (e, di conseguenza, disporre il relativo mutamento del rito). Memorie integrative A seguito delle verifiche preliminari, l'art. 171ter disciplina lo scambio tra le parti delle memorie integrative, al fine di definire, prima dell'udienza ex art. 183, il quod decidendum e il quod probandum oggetto del giudizio, e quindi consentire al giudice di organizzare al meglio l'attività processuale a fronte di un quadro allegativo e probatorio tendenzialmente definitivo per pervenire al più presto alla decisione senza bisogno di ulteriori rinvii. Prima memoria In particolare, le parti possono, almeno 40 giorni prima dell'udienza, a pena di decadenza (i.e. barriera preclusiva per tutte le parti che matura nel corso della fase introduttiva del processo dopo quella già prevista ex art 167 a carico del solo convenuto), con memorie scritte integrative:  Proporre nuove domande ed eccezioni (conseguenza di quelle proposte dal convenuto o dal terzo): a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta, conseguono nuove difese a favore dell’attore (vs. nel caso di mancata costituzione del convenuto nei termini, non vi sarebbe tale esigenza difensiva, perché il convenuto sarebbe già incorso nelle preclusioni e non avrebbe potuto emettere comparsa di risposta). Infatti, se il convenuto avesse proposto domande riconvenzionali, l'attore può: o Proporre le eccezioni e le ulteriori contro-domande (reconventio reconventionis) volte a paralizzarle o che potrebbero implicare allegazioni di fatti nuovi o Chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo (art. 106 e 269), nel caso in cui le esigenze dovesse emergere dalle difese svolte dal terzo, intervenuto o chiamato (cfr. anche il convenuto). In termini generali, questa prima memoria integrativa ha come conseguenza quella di allargare l'oggetto del processo (mutatio libellis) con l'allegazione di nuovi fatti, costitutivi, estintivi, modificativi o impeditivi.  Precisare o modificare le domande, eccezioni e conclusioni già proposte negli atti introduttivi: tutte le parti possono: o Precisare: rettificare, senza mutare i fatti principali allegati (i.e. divieto implicito di proporre una domanda nuova imposto anche dalle esigenze del contraddittorio – salva la possibilità di proporre tali domande in un nuovo processo), la portata delle domande (eccezioni e conclusioni) con riguardo al medesimo petitum (es. un immobile comprende anche un locale prima non menzionato) e causa petendi (es. ad un contratto sono state aggiunte nuove clausole) – non si allarga l’ambito del giudizio postulato; o Modificare: le S.U. hanno rilevato che l’emendatio può riguardare anche uno o entrambi gli elementi identificativi della stessa domanda sul piano oggettivo (petitum e causa petendi), sempre che essa risulti strettamente connessa alla vicenda sostanziale oggetto del giudizio (es. modifica dell’iniziale domanda di esecuzione dell’obbligo di concludere un contratto con la domanda di accertamento dell’avvenuto effetto traslativo) – allargamento dell’ambito del giudizio postulato, con l’allegazione di fatti principali nuovi, ma senza modificare l’oggetto; o Contestare: precisazione o modificazione implica la possibilità di contestare i fatti ex adverso allegati, al fine di evitare che tali fatti siano da considerare pacifici e di conseguenza idonei ex art. 115.1 a essere assunti in decisione dal giudice senza bisogno di essere sottoposti all'istruzione probatoria. Seconda memoria Alla scadenza del termine per presentare la prima memoria integrativa, inizia a decorrere il termine per la seconda memoria, con la quale le parti, sempre a pena di decadenza(seconda barriera preclusiva per tutte le parti), possono, almeno 20 giorni prima dell'udienza  Replicare alle eventuali domande ed eccezioni nuove o modificate dalle altre parti e proporre eccezioni che sono conseguenza delle domande nuove nella prima memoria: esercizio del proprio diritto di difesa;  Indicare i mezzi di prova ed effettuare le preclusioni e le produzioni documentali, con riferimento ai fatti allegati negli atti introduttivi, sia con riferimento agli eventuali fatti nuovi allegati nella prima o nella seconda memoria integrativa. Poteri Subito dopo l’art. 174, che pone il giudice designato come propulsore del processo di cognizione, in quanto investito di tutta l'istruzione della causa, il Capo II del Libro II si apre con l’art. 175 – direzione del procedimento, un criterio generico di orientamento interpretativo in ordine al modo con il quale il giudice deve, in concreto, esercitare i suoi poteri, stabilendo che egli esercita tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento. Il secondo comma conferma che il giudice influisce direttamente sulla rapidità del giudizio, in quanto fissa:  Udienze successive alla prima (fissata dall’attore nella domanda, salvo il differimento ex art. 171bis): pur essendo possibile che l'istruzione si esaurisca in una sola udienza (cfr. art. 187.1 nei casi in cui il giudice riscontri che la causa sia già matura per la decisione), le udienze successive sono rese necessarie dalle esigenze della trattazione e d’istruzione probatoria, pur salvaguardando il sollecito svolgimento del processo stabilendo un intervallo massimo di 15 giorni tra un'udienza istruttoria e l'altra. o Istruttorie: nelle controversie di competenza del tribunale collegiale, le udienze non sono pubbliche (art. 84 disp. att.), in quanto si svolgono davanti all'istruttore e ai difensori delle parti (e alle parti personalmente, nei casi stabiliti dalla legge, ma senza poter interloquire se non con l'autorizzazione del giudice; o Discussione: l’ultima udienza, in quanto già appartenente alla fase di decisione, si svolge, nel caso in cui la fase decisoria con le modalità della discussione orale ex art. 275bis, sempre davanti al collegio, mentre, nel caso in cui essa si svolga con le modalità ex art. 275, si svolge davanti al collegio solo quando ciò venga richiesto da una delle parti.  Termini entro i quali le parti devono compiere gli atti processuali (cfr. art. 152.2 termini normalmente ordinatori). Provvedimenti L’art. 176 stabilisce che i provvedimenti con i quali il giudice realizza lo svolgimento dell’istruzione assumono la forma dell'ordinanza, che assolve tipicamente la funzione ordinatoria del processo, salvo che la legge disponga altrimenti (es. decreto ex art. 82.4 disp. att.), che possono essere pronunciate:  In udienza: si ritengono conosciute, senza bisogno di comunicazione, dalle parti presenti e da quelle che avrebbero dovuto essere presenti (cfr. comma 2, per cui implicito onere delle parti costituite ad essere presenti all'udienza e attraverso i loro difensori);  Fuori dall’udienza a seguito di riserva, che deve essere sciolta entro i 5 giorni successivi (art. 186): devono essere comunicate alle parti costituite, a cura del cancelliere, entro i 3 giorni successivi. L’art. 177 dispone che le ordinanze pronunciate durante la fase istruttoria, comunque motivate, non possono mai pregiudicare la decisione della causa, in quanto possono essere modificate o revocate dal giudice che le ha pronunciate, salvi i casi elencati nel comma successivo, cioè quando esse siano:  Pronunciate su accordo delle parti su materie di cui queste possono disporre;  Dichiarate espressamente non impugnabili dalla legge;  Assoggettate ad uno speciale mezzo di reclamo. Comparizione e trattazione Una volta acquisita la reciproca presa di coscienza tra le parti delle contrapposte domande delle parti e da parte del giudice, può avviarsi la trattazione, in cui il giudice – che ha esaminato i fascicoli delle parti costituite e gli atti in essi contenuti (cfr. atto di citazione; comparsa di risposta; memorie integrative) – deve individuare e mettere nel dovuto ordine logico e giuridico le singole questioni nelle quali si articola il giudizio. In particolare, il primo avvio della trattazione si verifica nell'udienza di comparizione delle parti e trattazione della causa (art. 183), che l'attore ha indicato nell'atto di citazione, eventualmente differita ex art. 171bis, 2 e 3. Comparizione e conseguenze La nozione di comparizione è data in primo luogo dall'art. 101 come alternativa alla regolarità della citazione, intesa quindi come costituzione in giudizio (cfr. riferimento al contraddittorio); tuttavia, la costituzione, atto necessario per la partecipazione giuridica al processo, non è ancora sufficiente per la partecipazione effettiva, per la quale occorre la presenza alle udienze attraverso il difensore. Infatti, l’art. 181 ne completa la definizione, per cui la comparizione riguarda la presenza effettiva all'udienza della parte costituita, che compare a mezzo del difensore, intesa come l'eventualità contrapposta dell'assenza alla prima udienza (cfr. la parte potrebbe costituirsi, ma non essere presente alla prima udienza). In particolare, l'art. 181 disciplina l'ipotesi in cui nessuna delle parti si presenti alla prima udienza, per cui il giudice fissa un'udienza successiva, di cui il cancelliere dà comunicazione alle parti costituite. Se nessuna delle parti compare alla nuova udienza, il giudice ordina che la causa sia cancellata dal ruolo e dichiara l'estinzione del processo. In questo modo, il legislatore ha attribuito alla comparizione dell’attore (o anche dell’attore) il carattere proprio di un atto di impulso di parte, implicitamente configurando il mancato assolvimento all'onere come volontà di rinunciare alla prosecuzione del processo (vs. l'inerzia del convenuto ha rilievo soltanto come implicita accettazione delle conseguenze di quella dell'attore; se costituito, il convenuto che non sia comparso resterà semplicemente assente). Inoltre, nel caso di mancata comparizione del solo attore, il secondo comma stabilisce che se l'attore costituito non comparisce alla prima udienza, e il convenuto non chiede che si proceda in assenza di lui, il giudice fissa una nuova udienza, della quale il cancelliere dà comunicazione all'attore. Se questi non compare alla nuova udienza, il giudice, se il convenuto non chiede che si proceda in assenza di lui, ordina che la causa sia cancellata dal ruolo e dichiara l'estinzione del processo (cfr. con la richiesta di procedere in assenza dell’attore si smentisce la presunzione di accettazione delle conseguenze dell'inerzia dell'attore). Verifiche sulla regolare costituzione delle parti L’art. 182 stabilisce che il giudice istruttore, come ulteriore aspetto della funzione di direzione del procedimento ex art. 175, verifica d'ufficio la regolarità della costituzione delle parti, e, quando occorre, le invita a completare o a mettere in regola gli atti e i documenti che riconosce difettosi.  Questo controllo è preposto al fine di consentire la sanatoria di eventuali vizi a vantaggio del sollecito svolgimento del processo, per evitare le conseguenze della mancanza, irregolarità o vizi (es. atti da includersi nel fascicolo; modalità della procura o requisiti soggettivi del difensore) che potrebbero compromettere la funzionalità pratica del processo e di cui le parti potrebbero approfittare a fini dilatori. Inoltre, il secondo comma offre nello specifico uno strumento di ratifica, per sanare ex tunc (cfr.) taluni vizi del contraddittorio (cfr. mancanza di procura al difensore; difetto della capacità processuale; difetto di funzionamento dello strumento organico – es. persona giuridica che agisce a mezzo in un organo privo di poteri), in quanto, quando rileva la mancanza della procura al difensore o un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione che ne determina la nullità, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l'assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni o della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. L'osservanza del termine sana i vizi, mentre gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono sin dal momento della prima notificazione.  Rappresentanza tecnica: il secondo comma si pone in contrasto con l'art. 125.2, ove è previsto il conferimento della procura al difensore dell'attore anche dopo la notifica della citazione, ma purché anteriormente alla costituzione della parte rappresentata (vs. secondo comma che consente di superare tale limite temporale). Tale contrasto si appiana ritenendo implicitamente abrogato l'art 125.2 o ammettendo che tale ipotesi vada limitata al solo caso della regolarizzazione documentale di una procura esistente, ma conferita in modo irregolare (es. verbalmente);  Rappresentanza processuale: la sanatoria si rinviene dell'esplicita affermazione ex art. 182 che l'osservanza del termine concesso dal giudice sana i vizi, mentre gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono sin dal momento della prima notificazione. Si ritiene che il giudice, salvi gli ampi poteri che può esercitare in sede di verifiche preliminari ex art. 171bis, possa far valere la sanatoria retroattiva anche in un momento successivo, ma comunque non oltre la rimessione in decisione della causa. Udienza di prima comparizione delle parti L’art. 183 disciplina l'udienza di prima comparizione delle parti e di trattazione della causa, per cui stabilisce che, all'udienza fissata, le parti devono comparire, al fine di sottoporsi all'interrogatorio libero e al tentativo di conciliazione, personalmente (cfr. la parte deve assolvere direttamente e non per mezzo del difensore – tale attività non rientra nell’ambito normale della procura), mentre la mancata comparizione delle parti senza giustificato motivo costituisce comportamento valutabile ex art. 116.2 (cfr. desunzione degli argomenti di prova). Tentativo di conciliazione Il giudice interroga liberamente le parti, richiedendo, sulla base dei fatti allegati, i chiarimenti necessari e tenta la conciliazione ex art 185 – richiamo che comporta che:  Le parti possono farsi rappresentare da un procuratore generale o speciale, che deve essere a conoscenza della causa (vs. comparizione personalmente);  La procura deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata (con possibile autentica dello stesso difensore della parte) e deve attribuire il potere di conciliare o transigere la controversia;  La mancata conoscenza, senza giustificato motivo, dei fatti della causa è valutata come argomento di prova ex art 116.2 (cfr. mancata comparizione della parte). Se, dopo la prima udienza e nel corso del giudizio, le parti facciano richiesta congiunta del tentativo di conciliazione, il giudice deve disporre la comparizione personale delle parti e tentarne la conciliazione; inoltre, tale tentativo può essere rinnovato d'ufficio dal giudice in qualunque momento della fase istruttoria nel rispetto del calendario del processo, cioè tenendo conto dell'organizzazione che lo stesso giudice ha dato alla trattazione della causa attraverso il calendario delle udienze successiva alla prima che deve fissare ex art 183.4 (cfr. in concreto, tale disposizione prevede che debba essere modificato il calendario originale delle udienze). Proposta transattiva o conciliativa del giudice L’art. 185bis, al fine di incentivare il ricorso allo strumento conciliativo, stabilisce che il giudice, fino al momento in cui fissa l'udienza di rimessione della causa in decisione, formula alle parti ove possibile, avuto riguardo alla natura del giudizio, al valore della controversia e all'esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto, una proposta transattiva o conciliativa – che non può costituire motivo di ricusazione o astensione del giudice. Tale proposta, a differenza della transazione ex artt. 1965 ss. c.c., produce effetti sia sostanziali (propri della transazione) sia processuali, in quanto il suo accoglimento comporta la fine del processo in corso, immediatamente ed ipso jure (vs. dichiarazione di estinzione o cancellazione dal ruolo), e quando le parti si siano conciliate, si forma processo verbale (con le modalità di redazione ex art. 88 disp. att.) della convenzione conclusa, che costituisce titolo esecutivo. Si tratta di una conciliazione giudiziale, in quanto frutto del tentativo o della proposta del giudice o di iniziative sorte sviluppate nell'ambito del giudizio (vs. conciliazione stragiudiziale, che si svolge al di fuori del giudizio allo scopo di prevenirlo, definirlo o condizionandone l'avvio – es. mediazione o negoziazione assistita obbligatorie). Mediazione demandata L’art. 5 d. lgs. 28/2010 disciplina, nella stessa ottica, la mediazione demandata dal giudice che, nel corso del giudizio di primo grado o di appello e fino al momento della precisazione delle conclusioni (prima della chiusura della fase di trattazione), valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione, il comportamento delle parti ogni altra circostanza, può disporre con ordinanza motivata, l'esperimento di un procedimento di mediazione davanti agli organismi di mediazione. idonea a definire il processo) – il richiamo alla norma implica la sostanziale applicazione integrale (cfr. proposizione entro 15 giorni dall'ordinanza pronunciata in udienza, dalla sua comunicazione o notificazione se è avvenuta prima; competenza del collegio).  La sola differenza riguarda l'ipotesi dell'accoglimento del reclamo, dopo il quale il giudizio prosegue innanzi al magistrato diverso da quello che ha emesso l'ordinanza reclamata, al fine di assicurare che il convincimento espresso dal magistrato che ha pronunciato l'ordinanza sia inevitabilmente condizionato dal convincimento già espresso.  Rigetto per manifesta infondatezza o per vizio non sanato dell’editio actionis (art. 183quater): esigenza del sistema processuale di evitare di percorrere l'intero iter processuale e impedire un uso improprio dello strumento processuale per domande che appaiano manifestamente infondate o viziate: o Ordinanza di rigetto della domanda nel merito: domanda (o domande) manifestamente infondata, acquisita mediante una cognizione meramente sommaria, perché superficiale, dei fatti costitutivi allegati dall'attore e delle contestazioni delle allegazioni di fatti modificativi, impeditivi o estintivi da parte del convenuto; o Provvedimento di rigetto in rito della domanda giudiziale proposta: quando è omesso o risulta assolutamente incerto il petitum o la causa petendi (cfr. requisito ex art. 163.3 (3) – cosa oggetto della domanda), e la nullità non è stata sanata o se, nonostante l'ordine di rinnovazione della citazione o di integrazione della domanda (ex art. 164.5), persiste la mancanza dell'esposizione dei fatti (cfr. art. 163.3 (4) – esposizione in modo chiaro e specifico dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni). In caso di pluralità di domande, l'ordinanza può essere pronunciata solo se tali presupposti ricorrano per tutte le domande. Il legislatore inserisce tali ordinanze nella categoria dei provvedimenti sommari-provvisori-esecutivi (vs. ordinanze anticipatorie di condanna ex art. 186bis ss.), in quanto adottati sulla base di cognizioni sommarie destinate a produrre la sola efficacia esecutiva (vs. anticipatorietà degli effetti della futura sentenza) e per questo non si impedisce la riproponibilità della domanda (dopo l’accoglimento o dopo il rigetto). Le ordinanze sono infatti immediatamente, ma provvisoriamente esecutive (se hanno contenuto condannatorio, nel caso di accoglimento):  Reclamabili ex art. 669terdecies: in mancanza o rigetto del reclamo, l'ordinanza definisce il giudizio e non è ulteriormente impugnabile, determinando la chiusura immediata del processo in corso; infatti, con la stessa ordinanza il giudice liquida le spese di lite. In ogni caso, le parti possono, anche dopo la pronuncia dell'ordinanza, esercitare nuovamente l’azione di cognizione diretta a ottenere l'accertamento (negativo, se proposta dal convenuto) con efficacia del giudicato dello stesso diritto oggetto della tutela provvisoria e sommaria. o In caso di accoglimento del reclamo, il giudizio prosegue davanti a un magistrato diverso.  Non acquistano efficacia di giudicato ex art. 2909 c.c., in quanto un provvedimento assunto sulla base di una cognizione sommaria non è trasformabile in cognizione piena;  L’autorità (es. l'accertamento del diritto) non può essere invocata in altri processi. Trattazione L’art. 187 è genericamente dedicato ai provvedimenti che il giudice istruttore deve prendere a coronamento o a svolgimento della trattazione, di cui il primo comma rappresenta l'ipotesi più semplice, per cui il giudice istruttore, se ritiene subito la causa già matura per la decisione di merito senza bisogno di assunzione di mezzi di prova, rimette le parti davanti al collegio. Questioni pregiudiziali di rito e preliminari di merito Viceversa, i commi successivi dispongono le ipotesi opposte. Infatti, sulla base delle domande ed eccezioni delle parti, si possono individuare le singole questioni che devono essere trattate nel dovuto ordine logico (cfr. vera sostanza della trattazione), che condizionerà lo svolgimento dell'istruzione (cfr. come e se deve proseguire) e il dovere del giudice di pronunciarsi sul merito della domanda:  Questioni pregiudiziali di rito (art. 187.3): questioni pregiudiziali al merito che ostacolano la decisione sul merito, in quanto concernono i requisiti del processo (cfr. rito: es. giurisdizione, competenza, capacità o legittimazione processuale, condizioni dell’azione o altre pregiudiziali);  Questioni preliminari di merito (art. 187.2): questioni che investono già il merito, con carattere preliminare rispetto all’esame dell’oggetto specifico della domanda introdotte da un'eccezione (vs. domanda vera e propria) in senso proprio (es. eccezione di prescrizione del diritto o di pagamento del credito oggetto della domanda attorea). Esse ostacolano la decisione, in quanto il loro accoglimento rende superfluo il giudizio sul merito del diritto fatto valere con la domanda della controparte. Siccome il compito del decidere sulla questione – da cui dipende l'arresto immediato del giudizio o la prosecuzione nell'istruzione – spetterebbe al collegio nelle cause elencate nell'art. 50bis, mentre l’istruzione è affidata al giudice istruttore (vs. cause da decidere in composizione monocratica o davanti al giudice di pace, per cui non si pone il problema), il codice offre una soluzione di compromesso per risolvere la problematica nel caso in cui la questione sorga innanzi al giudice istruttore (che non dovrebbe decidere), affidando al giudice istruttore il potere di compiere una valutazione provvisoria e implicita della questione, sufficiente per stabilire se proseguire o meno nell’istruzione, lasciando impregiudicata la decisione della questione stessa per il collegio:  Sussistenza della questione: la decisione impedirebbe la prosecuzione della trattazione, imponendo un'immediata definizione del giudizio con una pronuncia del difetto che sia stato rilevato (es. sussistenza del difetto di competenza) o di fondatezza della pregiudiziale di merito (es. avvenuta prescrizione del credito). Pertanto, la decisione deve avvenire subito e ad opera del collegio nelle cause indicate dall'art. 50bis;  Insussistenza della questione: la decisione non implicherebbe la definizione del giudizio, ma si limiterebbe a rimuovere l'ostacolo per la prosecuzione della trattazione. In questo caso, il giudice istruttore potrà accantonare la decisione fino al completamento dell'istruzione, terminata la quale, potrà rimettere la causa al collegio per la definitiva decisione sul merito. Da questa distinzione, che consente o meno all'istruttore di completare l'istruzione o rimettere immediatamente la decisione al collegio, si giustifica la necessità di una valutazione – implicita, provvisoria e non vincolante – sulla sussistenza o meno della questione da parte del giudice istruttore, non intaccando i poteri del collegio né sminuendo i compiti dell'istruttore. Il collegio potrebbe non condividere la valutazione, ma si tratta di un rischio calcolato e certamente accettabile, oltre che scarsamente probabile, in quanto l'istruttore stesso fa parte del collegio. La valutazione risulta necessaria, in quanto il secondo comma dispone che il giudice istruttore può rimettere le parti al collegio affinché sia deciso separatamente una questione di merito avente carattere preliminare (cfr. o questioni di rito, in quanto il codice dispone che il giudice provvede analogamente se sorgono questioni attinenti alla giurisdizione, competenza o ad altre pregiudiziali) solo quando ritenga che la decisione di essa possa definire il giudizio. Viceversa, quando l'istruttore ritenga infondata l'eccezione o insussistente l'ostacolo alla pronuncia sul merito, il terzo comma dispone che l'istruttore può anche disporre che le questioni siano decise unitamente al merito.  In coordinato disposto con l'art. 38.3, il rilievo dell'incompetenza (per materia, valore, territorio inderogabile), non può avvenire oltre l'udienza ex art. 183. Pertanto, se tale rilievo si dovesse concretare in un'eccezione di parte proposta tempestivamente nella comparsa di risposta, nulla cambia rispetto alla facoltà di scelta da parte dell'istruttore, mentre se il rilievo è effettuato d'ufficio, esso implica già l'esercizio della sua facoltà di scelta in funzione della decisione immediata sulla competenza. Nelle cause da decidersi dal tribunale in composizione monocratica o dal giudice di pace, essendo le funzioni istruttorie e decisorie riunite in una sola persona, l'orientamento del giudice dell'istruzione è sicuramente lo stesso dell'organo decidente (salvi mutamenti di opinione). In questo caso, il giudice continuerà ad operare la sua scelta ex art. 187 commi due e tre, con la differenza che, nel caso ritenga la questione idonea a definire il giudizio, naturalmente non effettuerà la rimessione al collegio, ma la rimessione in decisione (termini ex artt. 281quinquies e sexies). Ammissione dei mezzi di prova Definito l'oggetto del giudizio e superate eventuali questioni, la programmazione del giudizio comincia a riferirsi al merito, attraverso la sintesi tra giudizio di diritto, cioè l'attività interpretativa della norma astratta, e il giudizio di fatto, cioè l'attività di verifica o riscontro circa l'accadimento sul piano storico dei fatti affermati dalle parti come costitutivi del diritto sostanziale che costituisce oggetto del processo. Mentre per il giudizio di diritto non è necessaria l'acquisizione di alcun elemento (cfr. jura novit curia), quello di fatto si concentra sulle allegazioni dei fatti e sugli strumenti necessari per il riscontro della loro verità, ossia sui mezzi di prova:  Prove precostituite: mezzi che producono il loro effetto dimostrativo o di convincimento circa l'andamento dei fatti senza necessità di alcuna particolare attività all'infuori della loro offerta ad opera della parte e del loro esame da parte del giudice (es. prove documentali);  Prove costituende: vs mezzi che producono effetto di convincimento solo a seguito della loro assunzione nel corso del processo (es. prove testimoniali; interrogatorio formale della parte; ispezione giudiziale), cioè necessitano un'attività di esperimento o di acquisizione delle prove (cfr. istruzione in senso stretto, come fase eventuale dell’istruzione in senso ampio). Si pone quindi il problema di come valutare la possibilità e l'utilità dell'eventuale ammissione dei mezzi di prova. Infatti, è necessario verificare che sussistano le condizioni alle quali l'ordinamento subordina l'esperimento di quel determinato mezzo di prova (cfr. ammissibilità del mezzo di prova secondo le regole del Codice civile) e se quelle circostanze oggetto del mezzo di prova eventualmente provate possono dare un contributo effettivo al giudizio di merito (cfr. rilevanza della prova offerta). Si tratta dello stesso problema rilevato per le questioni preliminari, in quanto si riscontra la commistione e reciproca implicazione tra attività decisoria e attività istruttoria, in quanto l'ammissione o meno di un mezzo di prova può già implicare, in tutto o in parte, la decisione della causa (es. se un soggetto può portare solamente una testimonianza per affermare un proprio diritto, se la testimonianza viene rigettata, lo sarà anche la domanda).  Il giudizio di ammissibilità e di rilevanza costituiscono fasi essenziali, seppur preliminari, dell'iter logico del giudizio di merito, perché nel giudizio è necessario stabilire gli strumenti sui quali esso può fondarsi e perché, per stabilire se una prova sia rilevante o meno, occorre immaginare il possibile contenuto del giudizio ipotizzando l'esito positivo della prova (cfr. frustra probatur quod probatum non relevat, in quanto sarebbe inutile ammettere una prova – e provare qualcosa – che non abbia rilevanza). Ancora, come accade per le questioni preliminari o pregiudiziali, il legislatore ha attribuito al giudice istruttore il potere di decidere anche le questioni di ammissibilità o di rilevanza dei mezzi di prova in modo provvisorio ed esplicito, non pregiudicando l'integrità del potere decisorio del collegio. In particolare, la pronuncia del giudice istruttore si concreta al termine della prima udienza in un'ordinanza ex art. 183.4, revocabile e modificabile (dall'organo decidente o dall'istruttore stesso), al fine di coprire le eventuali mutazioni (es. dichiarazione di inammissibilità o irrilevanza della prova da parte del collegio).  Infatti, l’art. 176 stabilisce che tutti i provvedimenti del giudice istruttore hanno la forma dell'ordinanza;  L’art. 177 stabilisce che le ordinanze, comunque motivate, non possono mai pregiudicare la decisione della causa e possono essere sempre modificate o revocate dal giudice che le ha pronunciate;  Infine, l’art. 183.4 dispone che il giudice ammette i mezzi di prova che ritiene ammissibili e rilevanti. Infine, l’art. 178 precisa che le parti, senza bisogno di mezzi di impugnazione, possono proporre al collegio a cui è rimessa la causa tutte le questioni risolute dal giudice istruttore con ordinanza revocabile (con reclamo se si tratta di un’ordinanza che dichiara l'estinzione del processo). Ordinanze anticipatorie di condanna Durante lo svolgimento della trattazione, il giudice istruttore, su istanza di parte, può pronunciare una delle ordinanze anticipatorie di condanna ex artt. 186bis, ter e quater riconducibili alla categoria delle condanne speciali. proporre subito l'impugnazione, anche al fine di ottenere la sospensione dell'esecutività. Tuttavia, siccome l'ordinanza non è impugnabile ma solo revocabile, la parte intimata può, entro 30 giorni, manifestare la volontà di ottenere la pronuncia della sentenza con ricorso notificato all'altra parte e depositato in cancelleria. Decorso inutilmente il termine, l'ordinanza acquista automaticamente l'efficacia di sentenza impugnabile notificata agli effetti della decorrenza del termine breve per impugnare (cfr. Decorrenza del termine per l'impugnazione anche avverso le ordinanze di accoglimento parziale e/o la pronuncia delle spese, eventualmente con appello incidentale). In ogni caso, l'impugnazione può proporsi (e quindi l'eventuale giudicato potrà prodursi) soltanto con riguardo all'oggetto dell’istanza, cioè alla specifica domanda di pagamento o di consegna o di rilascio. Intervento di terzi Modalità dell’intervento L’ultima sezione del Capo II dell’istruzione disciplina l’intervento dei terzi nel processo. Intervento volontario L’art. 267 stabilisce che il terzo, per intervenire nel processo ex art. 105, deve (ha l’onere) di costituirsi depositando una comparsa ex art. 105 con le copie per le altre parti, i documenti e la procura, mentre il cancelliere deve comunicare dell'intervento alle altre parti, per permettere loro di esercitare il proprio diritto di difesa nei confronti del terzo interventore.  Siccome il terzo interviene in un processo già pendente e nei confronti di coloro che sono già presenti, è sufficiente un atto analogo a quello con cui il convenuto entra nel processo (vs. atto di citazione, per cui sarebbero superflui la vocatio in jus e gli elementi che attengono all'introduzione del processo come la notificazione). Tuttavia, mentre il convenuto che si costituisce depositando la comparsa di risposta è già parte del processo (ha già assunto qualità di parte e può essere contumace), l'intervento volontario può diventare solo parte attiva, e quindi far coincidere il momento dell'ingresso formale con il momento della costituzione, attraverso il deposito del fascicolo. L’art. 268 dispone che l'intervento può avere luogo sino al momento in cui il giudice fissa l'udienza di rimessione della causa in decisione. Tuttavia, per non rallentare il processo, egli non può compiere atti che non siano più consentiti ad alcuna altra parte.  Subendo le preclusioni già verificatesi a carico delle parti, le possibilità di intervento del terzo sono limitate al solo interventore adesivo dipendente o del co-legittimato all’azione (vs. principale e litisconsortile), al fine di sostenere le ragioni di una delle parti e non per proporre domande proprie (cfr. l'attività allegativa delle parti originarie è preclusa dopo la scadenza del termine per la prima memoria integrativa). Le sue possibilità di difesa sono altresì limitate, soprattutto dal punto di vista probatorio, in quanto le parti (e quindi il terzo), alla scadenza per le seconde memorie integrative, subiscono la preclusione relativa all’indicazione di nuovi mezzi di prova e alla produzione di nuovi documenti probatori, essendo utilizzabile la terza memoria solo per le prove contrarie a quelle dedotte dalla controparte. Il secondo comma stabilisce un'eccezione per cui il terzo può compiere atti quando comparisce volontariamente per l'integrazione necessaria del contraddittorio, ossia nel caso in cui l'intervento costituisca strumento per sanare il vizio di non corretta attuazione del litisconsorzio necessario ex art. 102. Intervento coatto Il terzo viene fatto entrare non spontaneamente, ma a mezzo di un atto di citazione, con la cui notificazione acquista la qualità di parte. Come il convenuto, può decidere se restare contumace o partecipare attivamente al processo mediante la sua costituzione. Il terzo può essere citato:  A istanza di parte: l’art. 269 stabilisce che, alla chiamata di un terzo nel processo ex art. 106, la parte ha l'onere di provvedere mediante citazione a comparire nell'udienza fissata dal giudice istruttore, osservando i termini ex art. 163bis, al fine porre il terzo nella condizione di poter partecipare al processo fin dall’inizio senza subire preclusioni. Infatti, il giudice è tenuto a differire la prima udienza o a fissarne una successivamente, ogni qualvolta la parte abbia interesse alla chiamata, che può essere: o Convenuto (es. ha la pretesa di essere garantito dal terzo in caso di soccombenza): deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di risposta e contestualmente chiedere al giudice istruttore lo spostamento della prima udienza allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini ex art. 163bis.  Il giudice istruttore, in accoglimento dell'istanza di spostamento e, nel termine previsto ex art 171 bis, provvede con decreto a fissare la data della nuova udienza, che verrà comunicata dal cancelliere alle parti costituite e la citazione notificata al terzo a cura del convenuto (cfr. le S.U. hanno stabilito che, salvo le ipotesi di litisconsorzio necessario, il provvedimento del giudice di fissare una nuova udienza è discrezionale, potendo il giudice respingere la richiesta per ragioni di economia processuale, ove non lo ritengo opportuno). o Attore: a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta, l'attore che ne abbia interesse deve, a pena di decadenza, chiederne l'autorizzazione al giudice istruttore nella memoria ex art. 171ter.1 (1), cioè alla prima udienza???  Il giudice istruttore, se concede l'autorizzazione (cfr. valutazione circa la comunanza di cause e derivazione dell’interesse dalle difese del convenuto), fissa una nuova udienza allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini ex art. 163bis e la citazione è notificata al terzo a cura dell'attore entro il termine perentorio stabilito dal giudice;  Mentre restano ferme per le parti le preclusioni maturate anteriormente alla chiamata in causa del terzo, i termini ex art. 171ter decorrono nuovamente (a ritroso) rispetto all'udienza fissata per la citazione del terzo (cfr. riapertura dei termini, al fine di esercitare il diritto di difesa nei confronti dell'attività svolta dal terzo – es. integrazioni o modifiche all'attività già precluse per le parti, come riformulazione di eccezioni già avanzate o l’integrazione delle istanze probatorie). Per questa ragione, le parti possono essere rimesse in termini anche rispetto alle preclusioni già maturate;  In ogni caso (cfr. citazione in prima udienza o nella nuova fissata), l'atto va depositato nel termine di costituzione dell'attore, poiché il chiamante è attore rispetto al terzo chiamato, mentre quest'ultimo può, se non vuole restare contumace, costituirsi con le modalità proprie del convenuto (cfr. comparsa di risposta). La Cassazione ha ritenuto che, nel caso in cui un soggetto chiami il terzo perché titolare passivo del rapporto sostanziale (cfr. legittimazione passiva), non è necessaria la specifica richiesta della parte, in quanto si verifica l’estensione automatica della domanda al terzo (vs. altri casi in cui è necessaria la proposizione di una domanda).  Ordine del giudice: l’art. 270 dispone che il giudice istruttore, quando ne rilevi l'opportunità, può ordinare la chiamata di un terzo nel processo ex art. 107, in ogni momento nell'ambito della fase istruttoria (non vi sono precisi limiti temporali), per un'udienza che all'uopo egli fissa. A tal fine, previa instaurazione del contraddittorio il giudice emana ordinanza revocabile e modificabile, sottoposta al normale controllo del collegio. Tale ordine è comunque rivolto alle parti già presenti nel processo (e non al terzo); pertanto, la parte che abbia interesse ad evitare la cancellazione della causa dal ruolo (cfr. parte più diligente) deve chiamare a mezzo di citazione il terzo. Di converso, il terzo chiamato, se non vuole restare contumace, deve costituirsi (cfr. artt. 166, 167.1 e 171ter, con riferimento all’udienza per la quale è chiamato) e può, a sua volta, chiamare in causa un altro terzo, facendone dichiarazione a pena di decadenza nella comparsa di risposta ed essere poi autorizzato dal giudice (cfr. convenuto). o L’esigenza dell’ordine da parte del giudice si manifesta dopo la scadenza dei termini per la chiamata istanza di parte e la Cassazione considera il termine di chiamata come ordinatorio, in quanto, se alla mancata ottemperanza dell'ordine del giudice non abbia fatto seguito il provvedimento di cancellazione, vi sarà un'implicita revoca dell'ordine. Risoluzione delle questioni In ogni caso, le modalità dell'intervento prescindono dalle ragioni di connessione o di necessità del litisconsorzio che fondano la legittimazione del terzo ad intervenire o ad essere chiamato nel processo, in quanto l'intervento può verificarsi anche indipendentemente dall'esistenza di queste ragioni. Mentre l'organo decidente può effettuare un controllo rispetto alla legittimazione in generale del terzo, quando la causa gli viene rimessa in sede di rimessione totale e cioè quando il giudice la ritenga matura per la decisione (cfr. art. 187.1) o quando siano sorte questioni preliminari di merito o pregiudiziali di rito ritenute idonee a definire il giudizio (cfr. art. 187.2 e 3); l’art. 272 dispone che, con riguardo alla legittimazione specifica del terzo, le questioni relative all'intervento sono decise dal collegio insieme col merito, al fine di non ritardare il processo per decidere la questione sull'intervento, salvo che il giudice istruttore disponga ex art. 187.2 (cfr. preliminari di merito), cioè quando ne venga investito subito e quindi la questione sia decisiva per l'intero giudizio sul merito.  Pertanto, il controllo del giudice concerne tutte le possibili questioni (cfr. nel caso di ordine coatto, per la comunanza di causa o relativa all’opportunità). L'esito negativo del controllo potrà dar luogo ad un provvedimento di estromissione e/o scissione di cause. L'art. 272 deve essere però coordinato:  Autorizzazione: l’art. 269.3 dispone che l'attore può chiamare il terzo con l'autorizzazione del giudice, quando le ragioni conseguono alle difese svolte dal convenuto (e art. 271 per il terzo che intende a sua volta chiamare un altro soggetto);  Competenza: i poteri decisori spettano al collegio nelle cause elencate ex art. 50 bis, mentre nelle altre cause spettano al giudice monocratico. Rimessione della causa in decisione Ripartizione delle materie La nozione di organo giudicante contiene le due figure del collegio e del giudice monocratico, a cui spettano gli stessi poteri, ma a cui spettano diverse materie:  Collegio: l’art. 50 contiene l'elencazione, ridotta dalla Riforma Cartabia, delle cause riservate alla decisione collegiale del tribunale – ripartizione che non investe la competenza o la costituzione del giudice. Il tribunale giudica in composizione collegiali per ragioni diverse: o Cause nelle quali è obbligatorio l'intervento del p.m., salvo altrimenti disposto: l'indisponibilità dei diritti oggetto, che aveva giustificato la partecipazione necessaria del p.m. al giudizio, e l'inderogabilità della competenza territoriale ex art. 28 stanno alla base della ragione dell'opzione collegiale; o Cause appartenenti alla materia fallimentare: procedure concorsuali che necessitano il coordinamento con la disciplina del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza  Cause di opposizione, impugnazione, revocazione e in quelle conseguenti a dichiarazioni tardive di crediti (L. 95/1979) e alle altre leggi speciali disciplinanti la liquidazione coatta amministrativa;  Cause di omologazione del concordato fallimentare e del concordato preventivo. o Cause devolute alle sezioni specializzate: ratio consistente nella delicatezza delle materie o nella loro funzionalità (es. tribunale dei minorenni) e per la necessità di affidare le controversie a giudizi specializzati (es. tribunale delle imprese, alla quale il legislatore ha affidato una vasta competenza – es. tutela della proprietà industriale; diritti d’autore; concorrenza).  Fanno eccezione le sezioni specializzate in materia di immigrazione e protezione internazionale, per cui si prevede espressamente che il tribunale giudica in composizione monocratica. o Cause sulla responsabilità civile dei magistrati (L. 117/1988): delicatezza delle materie; o Azioni di classe risarcitoria a tutela dei consumatori e utenti (art. 140bis codice del consumo): delicatezza; o Procedimenti in camera di consiglio ex artt. 737 e seguenti, salvo che sia altrimenti disposto: delicatezza delle materie trattate, indipendentemente dal loro oggetto sostanziale e dal tipo di provvedimento nel quale sono destinati a sfociare e quale che sia la sua efficacia.  Giudice monocratico: o L’art. 50ter stabilisce, a chiusura del sistema, che fuori dai casi ex art 50 bis, il tribunale giudica in composizione monocratica. La conseguente tassatività delle ipotesi lascia spazio a Le parti, nella precisazione delle conclusioni, possono richiedere che ci sia l’udienza di discussione della causa davanti al collegio. L’art. 275.2 stabilisce che, fermo il rispetto dei termini ex art. 189, il presidente del collegio revochi l'udienza di rimessione della causa in decisione fissata dal giudice istruttore e fissi con decreto l’udienza di discussione davanti al collegio, da tenersi entro i 60 giorni. In udienza, dopo la relazione orale del giudice istruttore, il presidente ammette le parti alla discussione e la sentenza è depositata in cancelleria entro i 60 giorni successivi. In ogni caso, le parti hanno soltanto l'onere (e non il dovere) di depositare la propria comparsa conclusionale nel termine stabilito, quando ne abbiano interesse (cfr. valutazione circa l’utilità), in quanto il giudice potrà pronunciarsi comunque, eventualmente tenendo conto degli argomenti difensivi svolti negli atti precedenti e comunque riferendosi alle conclusioni già formulate. Discussione orale La Riforma ha introdotto l’art. 275bis, per cui è lo stesso giudice (vs. parti ex art. 275) disporre che la decisione venga assunta dal collegio a seguito di discussione orale. Infatti, quando ritiene che la causa possa essere decisa a seguito di discussione orale, fissa udienza davanti al collegio e assegna alle parti un termine, anteriore all'udienza, non superiore a 30 giorni per il deposito di note limitato alla precisazione delle conclusioni e un ulteriore termine non superiore a 15 giorni per note conclusionali. All'udienza così fissata, il giudice istruttore fa la relazione orale della causa e il presidente ammette le parti alla discussione. Al termine della discussione, il collegio può:  Pronunciare sentenza, dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. La sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del presidente del verbale che la contiene ed è immediatamente depositata in cancelleria;  Riservarsi di depositare sentenza nei successivi 60 giorni, in considerazione della particolare complessità della causa da decidere. Processo davanti al tribunale monocratico Il Capo IIIbis (L. II, T. I) dedica la sua disciplina ai procedimenti innanzi al tribunale in composizione monocratica, a cui l’art. 281bis estende la stessa disciplina dei procedimenti collegiali dei capi precedenti (introduzione, istruzione e decisione della causa), ove non derogate dalle disposizioni del presente capo:  Facoltà di disporre d’ufficio la prova testimoniale (art. 281ter): il giudice può (potere discrezionale) disporre d'ufficio la prova testimoniale formulandone i capitoli, quando le parti, nell'esposizione e allegazione dei fatti (non possono introdursi prove da cui le parti sono decadute), si sono riferite a persone che appaiono in grado di conoscere la verità. o Le parti possono indicare altri mezzi di prova e depositare memorie di replica (tutela ex art. 183.5).  Giudice (art. 281quater): le cause nelle quali il tribunale giudica in composizione monocratica sono decise, con tutti i poteri del collegio, dal giudice designato ex art. 168bis o, nell’ambito del processo esecutivo, ex art. 484.2;  Modalità di decisione: valutando la natura della causa, la sua complessità e una serie di circostanze, il giudice può scegliere: o Trattazione scritta o mista (art. 281quinquies): il giudice fissa davanti a sé l'udienza di rimessione in decisione, assegnando alle parti i termini ex art. 189. All'udienza trattiene la causa in decisione e la sentenza è depositata entro i 30 giorni successivi.  Se una delle parti lo richiede, il giudice, disposto allo scambio dei soli scritti difensivi ex art. 189 (1, precisazione delle conclusioni e 2, comparse conclusionali), fissa l'udienza di discussione orale non oltre 30 giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle comparse conclusionali e la sentenza è depositata entro 30 giorni (cfr. unica differenza è il dimezzamento dei termini ex art. 275). o Trattazione orale (art. 281sexies): il giudice, fatte precisare le conclusioni, può ordinare la discussione orale della causa nella stessa udienza o, su istanza di parte, in un'udienza successiva:  Sentenza immediata: il giudice può pronunciare sentenza in udienza al termine della discussione, dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. La sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene ed è immediatamente depositata in cancelleria – data da cui comincia a decorrere il termine lungo per l'impugnazione ex art. 321.1;  Differimento: al termine della discussione orale, il giudice può depositare la sentenza nei successivi 30 giorni senza quindi darne lettura in udienza. Il modello della trattazione orale si applica, quindi, ai procedimenti collegiali e monocratici e anche per i giudizi d’appello ex art. 350bis (Riforma Cartabia). L’art. 183bis prevede, anche per le cause di competenza del tribunale monocratico in sede di prima udienza, che il giudice può disporre la trattazione secondo le forme del processo semplificato di cognizione (cfr. passaggio dal rito ordinario a quello semplificato). Rimessione parziale della causa in decisione In deroga all'art. 189.2, secondo la quale la rimessione investe il collegio di tutta la causa, il codice configura due ipotesi di rimessione parziale all'organo decidente, per cui tutti i poteri decisori si riferiscono soltanto a una questione o domanda coordinata con la domanda principale e dotata di una certa autonomia rispetto ad essa, che le consente di essere decisa separatamente. L'opportunità della decisione separata è valutata discrezionalmente dal giudice nei casi tassativi, per la natura eccezionale di questa forma di rimessione (cfr. il legislatore non ha disciplinato unitariamente la rimessione parziale, ma si desume dalla disciplina dei singoli istituti a cui si riferiscono). In particolare, pronuncia il tribunale in composizione monocratica:  Querela di falso: querela di falso (art. 225.1 così modificato dalla Cartabia) proposta in via incidentale nel corso del giudizio (cfr. contestazione dell’autenticità di un atto pubblico come prova documentale), nonostante rientrerebbe nelle competenze del collegio, in quanto ad essa dovrebbe partecipare obbligatoriamente il p.m. ex art. 50bis. Il giudice può trattenere la causa in decisione sulla querela indipendentemente dal merito. In tal caso, può disporre che la trattazione della causa continui relativamente a quelle domande, che possono essere decise indipendentemente dal documento impugnato. Di conseguenza, la decisione può avvenire immediatamente e non deve attendere la conclusione dell'istruttoria sulla domanda di merito;  Verificazione della scrittura privata: identità di giudizi, che si svolgono in via incidentale, che hanno ad oggetto la contestazione della scrittura privata utilizzata nel processo come prova documentale. Rapporti tra collegio e giudice monocratico Il Capo IIIter disciplina la rimessione nei rapporti tra il collegio e il giudice monocratico:  Rimessione al giudice monocratico (art. 281septies): nel caso in cui il collegio, anche d'ufficio, rilevi che la causa a lui rimessa per la decisione non rientri tra quelle affidate ai suoi poteri decisori, rimette la causa con ordinanza non impugnabile al giudice istruttore perché decida come giudice monocratico. o La rimessione non implica che il procedimento riprenda dalla fissazione dell'udienza e dalla conseguente precisazione delle conclusioni, in quanto la fase decisoria si è già svolta e il giudice istruttore è funzionale solo a consentire la pronuncia della sentenza.  Rimessione al collegio (art. 281octies): nel caso in cui il giudice monocratico, dopo aver riservato la causa innanzi a sé per la decisione, rilevi che essa appartiene alla competenza del tribunale in composizione collegiale, dispone che egli rimette la causa al collegio per la decisione, con ordinanza comunicata alle parti. In ogni caso, il collegio può disattendere l’opinione dell’istruttore e rimettere ad esso nuovamente la causa. o Anche in questo caso, la rimessione è funzionale solo a consentire la pronuncia al collegio, salvo che le parti, entro 10 giorni dalla comunicazione dell'ordinanza, chiedano la fissazione dell'udienza di discussione davanti al collegio, per cui il giudice istruttore fissa direttamente l’udienza davanti al collegio ex art 275bis, a seguito della quale verrà pronunciata la sentenza.  Riunione (art. 281nonies): in caso di connessione propria tra cause attribuite al collegio e al giudice monocratico, il giudice monocratico (o il presidente del Tribunale, nel caso di diversità dei giudici monocratici nelle cause connesse – nonostante il mancato richiamo all’art. 274), all’esito dell’istruttoria, deve ordinare la riunione per la decisione innanzi al collegio ex art. 189 per la decisione di tutte, salvo che disponga la separazione ex art. 279.2 (2). o La Riforma ha aggiunto che, alle cause riunite, si applica il rito previsto per la causa in cui il tribunale giudica in composizione collegiale e restano ferme le decadenze le preclusioni già maturate in ciascun procedimento prima della riunione. L'inosservanza delle regole di ripartizione, se non rilevata dall'organo decidente che abbia quindi comunque pronunciato la sentenza, è causa di un'autonoma nullità, sanabile se non fatto oggetto di tempestiva impugnazione del provvedimento conclusivo. Conseguentemente, se non fatto valere nei modi e nei termini dell'impugnazione, il vizio resta sanato e il giudizio di appello che lo rilevi devo comunque giudicare nel merito e non può rinviare al giudice di primo grado. La riforma organica della magistratura onoraria (d. lgs. 116/2017) ha previsto e regolato la possibilità che specifici procedimenti di competenza del Tribunale possano essere assegnati ai giudici di pace, che possono essere altresì delegati al compimento di attività proprie dei procedimenti di competenza del tribunale o far parte dei collegi di tribunale. In questi casi, il Presidente del tribunale deve coordinare organizzare e dirigere l'ufficio del giudice di pace che ha sede nel circondario. Inoltre, il giudice onorario può essere assegnato, su proposta del Presidente del tribunale, all’ufficio per il processo presso il Tribunale (e non esercitare le funzioni giurisdizionali presso l’ufficio del giudice di pace), in cui coadiuva il giudice professionale e, sotto la sua direzione e coordinamento, compie, anche per i procedimenti nei quali il tribunale giudica in composizione collegiale, tutti gli atti preparatori utili per l’esercizio della funzione giurisdizionale da parte del giudice professionale (cfr. studio dei fascicoli, approfondimento giurisprudenziale e dottrinale; predisposizione delle minute dei provvedimenti) e può assistere alla camera di consiglio. Inoltre, sono possibili ulteriori deleghe:  Il giudice professionale, con riferimento a ciascun procedimento civile e al fine di assicurarne la ragionevole durata, può delegare al giudice onorario di pace, compiti e attività, anche relativi a procedimenti nei quali il tribunale giudica in composizione collegiale, purché non di particolare complessità (es. assunzione dei testimoni; tentativi di conciliazione; procedimenti speciali previsti dagli articoli 186bis e 423.1; provvedimenti di liquidazione dei compensi degli ausiliari; provvedimenti che risolvono questioni semplici e ripetitive).  Pronuncia di provvedimenti definitori in determinate materie (es. volontaria giurisdizione in materie diverse dalla famiglia);  Trattazione di specifici procedimenti di competenza del tribunale, in quantità non superiore ad 1/3 del numero medio nazionale e ricorrendo le condizioni eccezionali (ad eccezione di procedimenti cautelari e possessori; impugnazione dei provvedimenti del giudice di pace; rapporti di lavoro, previdenza e assistenza obbligatorie; in materia societaria e fallimentare; materia di famiglia). Infine, i giudici onorari di pace possono essere destinati a comporre collegi del tribunale, in numero non superiore a uno per ogni collegio e comunque non nei collegi giudicanti dei procedimenti in materia fallimentare delle sezioni specializzate. Istruzione probatoria Prova Le prove sono gli strumenti processuali per mezzo dei quali il giudice forma il suo convincimento circa la verità o la non verità dei fatti della causa. Infatti, nell'ambito del giudizio di cognizione, la funzione della prova concerne l'espletamento, da parte del giudice, del giudizio di fatto o sui fatti, cioè l’aspetto della sua attività genericamente decisoria nel quale opera come uno storico per la verifica dei fatti (costitutivi, estintivi, modificativi o impeditivi) affermati dall'una o dall'altra parte (vs. giudizio di diritto, nel quale il giudice interpreta la norma senza tener conto della prova, salvi casi marginali delle norme straniere e consuetudini).  Viceversa, data proprio la tipicità dei mezzi di prova, si dispone la nullità o comunque l'inefficacia delle prove illecite o anomale volte ad aggirare divieti o preclusioni dettati da disposizioni, sostanziali o processuali, o contro disposizioni di legge. Le prove incidono direttamente sul giudizio nella sua globalità; infatti, il primo libro del codice disciplina due regole:  Disponibilità delle prove in capo alle parti (art. 115);  Libera valutazione delle prove da parte del giudice, secondo il suo prudente apprezzamento e salvo che la legge disponga altrimenti (art. 116). Pertanto, il giudice deve prestare la sua attività decisoria seguendo tali regole e tenendo conto della differenza di efficacia tra i diversi mezzi di prova, a seconda che rientrino nell'ambito della regola o ne costituiscano eccezione. Questo criterio fonda la distinzione tra: o Prove liberamente valutabili; o Prove legali: eccezione alla regola della libera valutazione, in quanto vincolano il giudice al loro risultato probatorio, senza margine per esprimere un convincimento diverso da quello voluto dal legislatore. Una volta che la prova legale sia stata esperita (es. confessione, giuramento) o comunque acquisita (es. produzione di un atto pubblico), il giudice non può attribuire rilievo ad eventuali dubbi sull'effettiva rispondenza verità delle risultanze della prova.  Quale vincolo sorge in epoche storiche caratterizzate dalla sfiducia verso il giudice che ora potrebbe suscitare perplessità è un ordinamento che si orienta in senso opposto. Con riguardo all'efficacia delle prove e virgola in particolare, al modo con il quale esse determinano il convincimento del giudice, si distingue tra prove:  Dirette: prove idonee a far conoscere immediatamente il fatto da provarsi;  Indirette: prove che facciano conoscere uno o più fatti diversi dalla cui conoscenza si può risalire, attraverso un'operazione logica, al fatto da provarsi (cfr. indizi). o Presunzione semplice: l’art. 2727 c.c. dispone che le presunzioni semplici (hominis) sono le conseguenze che il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato; mentre l’art. 2729 attribuisce il rilievo alle sole presunzioni gravi, precise e concordanti (cfr. la Cassazione ritiene, al contrario della prevalente dottrina e l’uso del plurale, che basti un solo fatto indiziario) ed esclude il loro impiego nei casi in cui non è ammessa la prova per testimoni. In ogni caso, la presunzione semplice non è propriamente un mezzo di prova, ma un'operazione logica di elaborazione della prova raggiunta con altri mezzi – che in ogni caso sembra postulare un altro strumento di convincimento; o Presunzione legale: lo stesso art. 2727 dispone che le presunzioni legali sono le conseguenze che la legge (vs. giudice) trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignoto; tuttavia, esse non sono né un mezzo di prova e non hanno natura processuale, pur influendo sulla regola dell'onere della prova. Con riguardo all'intensità dell'efficacia probatoria si distingue:  Prova: o Piena; o Superficiale: il legislatore, ponendosi sul terreno della probabilità, si accontenta del formarsi di un convincimento secondo il quale il fatto affermato è credibile o verosimile (es. fumus boni iuris, in sede cautelare; sommarie informazioni).  Prova: o Propriamente detta; o Argomento di prova: desumibile dal comportamento delle parti nel processo (cfr. art. 116.2), offrendo al giudice soltanto elementi di valutazione di altre prove e perciò discrezionalmente utilizzabile e che non può costituire l'unico fondamento per il giudizio di fatto (sebbene vi siano pronunce giurisprudenziali in senso contrario) né l'indizio su cui fondare la presunzione semplice. Onere della prova Nel caso di mancanza di prove delle circostanze di fatto allegate dall'una o dall'altra parte (es. mancata offerta; inammissibilità o che non diano conferma dei fatti; insufficienza della prova equiparata alla prova mancante), è necessario stabilire una regola per determinare preventivamente le conseguenze dell'eventuale mancata prova. Infatti, da un punto di vista intuitivo ed empirico – ove non vi fossero le prove, che sono strumento essenziale per il giudizio – se il giudice si limitasse a rifiutare il giudizio si implicherebbe comunque giudicare in un certo modo non accogliendo la domanda. Per questa ragione, l'ordinamento non consente al giudice di fermarsi al non liquet, ma gli impone di giudicare sempre sulle domande proposte, indipendentemente che disponga o meno di prove. Inoltre, il giudice non può effettuare un giudizio provvisorio o allo stato degli atti – suscettibile di riaprirsi qualora la parte interessata riesca a disporre delle prove – in quanto è tenuto ad emettere un provvedimento che, attraverso l'iter dei possibili mezzi di impugnazione, è destinato ad acquistare l'efficacia della cosa giudicata, ossia a regolare il rapporto in modo definitivo ed incontrovertibile. Siccome il giudice deve giudicare sempre, è necessario stabilire come il giudice debba farlo attraverso la regola di logica e buon senso secondo cui si deve si dovrebbe dar torto alla parte che sarebbe stata tenuta a provare – e non ha provato – le circostanze di fatto necessarie e che costituiscono oggetto del giudizio e, correlativamente, dar ragione all'altra parte. Tale regola di giudizio per il caso del difetto di prova si traduce in concreto nell’art. 2697 c.c. che disciplina la distribuzione tra le parti dell'onere della prova, stabilendo che, chi vuol far valere un diritto in giudizio, deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento – in questo modo, si pone il criterio in base al quale il giudice, che rileva il difetto di prova su una certa circostanza, può e deve stabilire quale delle parti fosse onerata della relativa prova, per dedurne la soccombenza della parte onerata e la vittoria dell'altra parte. La regola è fondata sul principio dell’onus probandi incumbit ei qui dicit, secondo cui chi chiede il giudizio su un diritto di cui allega i fatti costitutivi, affrontando volontariamente l'alea del giudizio su cui fatti, deve assumere l'implicito impegno di provare ciò che afferma, con la conseguente responsabilità dell'eventuale difetto o insuccesso di quella prova. Viceversa, l'altra parte cercherà di provare il contrario, ossia il non accadimento dei fatti costitutivi, ma, se di quei fatti non provati l'accadimento o il non accadimento, riuscirà vittoriosa sulla domanda fondata su quei fatti, mentre risulterà soccombente la parte che era onerata rispetto ad essi, cioè quella che ha affermato i fatti costitutivi del diritto senza riuscire a provarli. In questo caso, il giudice respingerà la domanda dichiarando inesistente il diritto affermato, con una pronuncia destinata ad acquisire irrimediabilmente l'efficacia di cosa giudicata (cfr. actore non probante, reus absolvitur).  Ciò vale anche per il convenuto che abbia proposto domanda riconvenzionale; Il secondo comma stabilisce che, nello stesso modo con cui l'attore è onerato della prova dei fatti costitutivi , chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti o che il diritto sia modificato o estinto, deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda. Pertanto, sul convenuto grava l’onere della prova sui fatti modificativi, impeditivi o estintivi del diritto oggetto della domanda giudiziale, ossia quei fatti che possono essere posti a fondamento di eccezioni di merito. Nel silenzio della norma, il giudice deve determinare in concreto la linea di demarcazione tra i fatti costitutivi – considerati sicuramente causali rispetto al diritto; e i fatti modificativi, impeditivi o estintivi – presenti nella fattispecie costitutiva soltanto in via occasionale, attraverso le massime di esperienza, talora recepite o sottintese in molte specifiche norme o altrimenti lasciate ad un certo empirico coordinamento tra il buon senso e le massime di esperienza che di solito conduce le pronunce dei giudici alla soluzione più corretta. Nel caso in cui l'attore in accertamento negativo si limita a negare la sussistenza di fatti costitutivi (non invoca fatti estintivi) della controparte che vanti il diritto, l'onere della prova dei fatti costitutivi gravano sulla controparte, nonostante sia convenuta rispetto all'azione di mero accertamento negativo. Presunzioni legali In taluni casi, è la legge a stabilire direttamente la ripartizione dell'onere della prova. In particolare, l’art. 2727 c.c. disciplina le presunzioni legali, cioè le conseguenze che la legge trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato, al cui fondamento vi è l’art. 2728, secondo cui esse hanno l'effetto di dispensare dalla prova coloro a favore dei quali esse sono stabilite (es. art. 1335 – presunzione di conoscenza della proposta, accettazione o revoca di un contratto, nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato senza sua colpa nell’impossibilità di averne notizia; art. 1147 – presunzione di buona fede). Le presunzioni legali sono espedienti di tecnica legislativa imperniati sulla distribuzione dell'onere della prova (cfr. limiti o predeterminazione dell'asset dell'onere probatorio) e ispirati dalla finalità di facilitare la tutela di talune situazioni giuridiche (cfr. appartengono al diritto sostanziale). Si distingue tra:  Juris tantum: la legge consente dall'altra parte di offrire la prova contraria;  Juris et de jure: la legge esclude la possibilità della prova contraria. Regolamentazione pattizia o non contestazioni In altri casi, sono gli stessi soggetti del rapporto ad influire sulla distribuzione (limitare o attenuare) dell'onere della prova, attraverso una regolamentazione pattizia, sia pur limitatamente ai diritti disponibili e purché ciò non renda eccessivamente difficile l'esercizio del diritto (art. 2698), o attraverso la non specifica contestazione dei fatti allegati dalla controparte o di ammissione di tali fatti ad opera della parte del difensore, anch’essa idonea a rendere pacifici i fatti allegati dalla controparte, e dunque non bisognosi di prova (art. 115.1). Superamento dell’onere della prova La prova, una volta acquisita, opera a prescindere da quale parte l'abbia offerta. Infatti, l'acquisizione della prova fa sì che il giudice possa prescindere dal fatto che sia entrata nel processo per iniziativa della parte onerata oppure dall'altra parte o, ove possibile, dello stesso giudice, purché i fatti oggetto di prova siano stati allegati dalla parte che fruisce della prova. Inoltre, la rigida applicazione della distribuzione dell'onere della prova è superata nei casi in cui il giudice possa disporre la prova d'ufficio (es. ispezione giudiziale; richiesta di informazioni alla p.a.; interrogatorio libero; consulenza tecnica; prova testimoniale; processo del lavoro e in materia di persone, minorenni e famiglie) e nei casi di fatti notori, cioè i fatti che rientrano nella comune esperienza che possono essere poste a fondamento della decisione senza bisogno di prova (art. 115.2), a patto che siano fatti di cui il giudice conosce perché noti alla generalità delle persone (vs. scienza privata del giudice, in quanto i fatti accidentalmente già conosciuti dal giudice sono irrilevanti), in quel determinato ambito e momento, come nozioni comuni e generali (es. pioveva il giorno dell’incidente, ove rilevi) e sempre in quanto siano stati comunque allegati in giudizio dalle parti. Procedimenti istruttori di integrazione Consulenza tecnica La Sezione III (C. II) disciplina la nomina e le indagini del consulente tecnico. Con tale collocazione, posta prima sia della disciplina dei singoli mezzi di prova sia dell'assunzione dei mezzi di prova in generale, il legislatore ha considerato la consulenza tecnica appartenente all'istruzione probatoria (vs. categoria dei mezzi di prova – come accadeva per la perizia collocata tra le prove nel codice del 1865). Infatti, la consulenza tecnica non è un mezzo di prova, poiché ha la funzione di offrire all'attività del giudice l'ausilio di cognizioni tecniche che il giudice di solito non possiede (vs. convincimento del giudice circa la verità o la non verità di determinati fatti). Infatti, già tra le disposizioni generali, il consulente tecnico appare come ausiliario del giudice, che integra l'attività di quest'ultimo in funzione del giudizio. Pertanto, la loro acquisizione appartiene alla fase preparatoria o istruttoria del giudizio, mentre la loro valutazione appartiene alla fase decisoria. In particolare, il consulente tecnico integra l'attività del giudice quale:  Nel tentare la conciliazione delle parti, compito che il giudice istruttore può affidargli in relazione agli aspetti tecnici contabili della controversia. Se la conciliazione riesce, se ne redige processo verbale, al quale il giudice attribuisce efficacia di titolo esecutivo; o Se non riesce, il consulente espone nella sua relazione i risultati delle sue indagini e le dichiarazioni delle parti che possono essere valutate come argomenti di prova (art. 116.2). Altri procedimenti istruttori strumentali o di integrazione di altre prove Oltre alla consulenza tecnica la funzione di integrare e coordinare le risultanze di altre prove – offrendo elementi per il loro apprezzamento singolarmente (es. consulenza grafologica sull’autenticità di una sottoscrizione) o in correlazione con altre risultanze probatorie (es. confronto delle tracce di una frenata che i testimoni dicono di aver visto e quelle di una fotografia) – è affidata, dalla legge, anche ad altri procedimenti istruttori:  Interrogatorio libero: procedimento che presenta i maggiori elementi di autonomia disciplinato nell’art. 117 che ne dispone l'ammissibilità anche d’ufficio in qualunque stato e grado del processo e nell'art. 116.2 che ne determina l'efficacia probatoria, stabilendo che, dalle risposte rese, il giudice può trarre argomenti di prova, ossia elementi integratori delle risultanze di altre prove;  Interrogatorio formale: procedimento diretto a provocare la confessione con la sua tipica efficacia di prova legale. Altri procedimenti hanno funzione integratrice delle prove documentali, in cui si sostanzia la disciplina di talune modalità di ingresso nel processo o di verifica dell'efficacia delle prove documentali (es. ordine di esibizione delle prove documentali; procedimenti di verificazione delle scritture private; querela di falso dei documenti in genere). La disciplina di questi procedimenti esaurisce quasi interamente la disciplina delle prove documentali. Assunzione dei mezzi di prova Nel distribuire la materia delle prove tra il codice civile e il codice di procedura civile ha lasciato alla disciplina processuale solamente le regole concernenti la disponibilità e la valutazione delle prove (ex artt. 115.116), e la disciplina dell'iter procedimentale di ingresso e di acquisizione delle prove:  Precostituite: disciplina della produzione in giudizio, ordini di esibizione e giudizi di verifica;  Costituende: disciplina dell'iter più complesso che si articola nelle fasi d’istanza, ammissione e assunzione. In particolare, l’art. 202 stabilisce il giudice istruttore (o monocratico) deve disporre l'assunzione delle prove con ordinanza, se non può assumerle nella stessa udienza, ove stabilisce il tempo, il luogo e il modo dell'assunzione. Se questa non si esaurisce nell'udienza fissata, il giudice ne differisce la prosecuzione ad un giorno prossimo. All'udienza possono assistere i difensori o le parti personalmente (art. 206). L’art. 207 stabilisce che dell’udienza deve redigersi processo verbale sotto la direzione del giudice, che deve riportare in prima persona le dichiarazioni delle parti o dei testimoni a cui devono essere lette e, quando lo ritiene opportuno, può descrivere il contegno (cfr. art. 116) della parte e del testimone (art. 207, con soppressione della necessità di sottoscrizione). La funzione direttiva del giudice si estrinseca anche nel potere di pronunciarsi con ordinanza su tutte le questioni che sorgono durante l'assunzione della prova (art. 205) ed opera fino alla dichiarazione della chiusura dell'assunzione, dopo il suo esaurimento o quando lo stesso giudice ne ritenga superfluo alla prosecuzione (art. 209). L’art. 208 stabilisce che se la parte su istanza della quale deve iniziarsi o proseguirsi la prova non si presenta all'udienza fissata, il giudice istruttore la dichiara decaduta dal diritto di farla assumere, salvo che l'altra parte presente non ne chieda l'assunzione (cfr. principio di acquisizione), con ordinanza, anche d’ufficio. Il giudice deve comunque fissare una nuova udienza successiva, nella quale può revocare l’ordinanza di decadenza, su istanza della parte interessata, quando il giudice stesso riconosca che la mancata comparizione della parte dovuta a causa a lei non imputabile. L'operare del principio dell'impulso di parte si concreta anche nell'onere di denunciare l'eventuale vizio nell'espletamento nella prima istanza o difesa successiva (art. 157.2). Rogatoria L’art. 203 stabilisce che, nel caso in cui i mezzi di prova debbano essere assunti fuori dalla circoscrizione del tribunale, il giudice delega, con ordinanza (contenente il termine entro il quale la prova deve assumersi; udienza di comparizione delle parti per la prosecuzione del giudizio), a procedervi il giudice del luogo, salvo che le parti richiedano concordemente e il presidente del tribunale consenta che vi si trasferisca al giudice stesso. Il giudice delegato, ad assunzione del mezzo di prova avvenuta, rimette d'ufficio il processo verbale al giudice delegante.  Il giudice delegante, anche a mezzo del giudice delegato, può prorogare il termine per l'assunzione, purché l'istanza di proroga sia proposta prima della scadenza del termine. Tale procedura si applica anche al giudice di pace. L’art. 204 stabilisce che se il mezzo di prova deve essere assunto all'estero, il giudice dispone la rogatoria alle autorità estere e la relativa trasmissione per via diplomatica, salvo che il mezzo di prova riguarda i cittadini italiani residenti all'estero, nel cui caso il giudice delega il console competente, che provvede a norma della legge consolare. In entrambi i casi, il giudice delegante stabilisce i termini e fissa l'udienza di prosecuzione davanti a sé, come nel caso della prova delegata.  Se deve essere assunto in uno Stato membro UE, si applica il Reg. 1206/2001, che prevede sia l'assunzione attraverso richieste dall'autorità giudiziaria dello Stato richiedente a quella competente dello Stato richiesto, sia all'assunzione diretta della prova in un altro Stato membro;  Quando siano i giudici stranieri a disporre l'assunzione in Italia di prove civili, si applicano gli artt. 69-70 L. 218/1995, che configurano il vincolo dello Stato italiano a prestare assistenza in materia istruttoria, previa autorizzazione della Corte d'appello del luogo in cui deve compiersi l'atto, che verifica la non contrarietà con l'ordinamento del mezzo di prova richiesto Prove precostituite ed esibizione Il documento è il mezzo di prova più efficace e sicuro, in quanto può essere ogni oggetto materiale in qualsiasi modo idoneo a rappresentare o a dare conoscenza di un fatto, il quale può essere immediatamente rilevante per il giudizio (es. video che abbia ripreso lo svolgimento di un sinistro automobilistico) o avere rilievo mediato (es. fotografia del veicolo prima del sinistro e dalla quale risulta lo stato di usura delle gomme, che si assume essere stato causa del sinistro stesso). Generalmente il documento è uno scritto, cioè un documento cartaceo formato, direttamente o indirettamente (tramite altre persone o mezzi) dal soggetto che ha concepito un pensiero e ha voluto estrinsecarlo o concretizzandolo attraverso segni grafici o parole scritte (cfr. documentazione). L’estrinsecazione di un pensiero ha rilievo per:  Contenuto intrinseco: come volontà negoziale o come contenuto della narrazione di un fatto. o Contenuto:  Narrativo;  Dichiarativo. o Dichiarazioni:  Volontà;  Scienza.  Contenuto estrinseco: ancor prima di essere rilevante per il suo contenuto intrinseco, il documento di per sé rilevante per la sua provenienza, ossia per il fatto che il pensiero espresso con le parole contenute nel documento sia stato concepito o comunque voluto esprimere da quel determinato soggetto, in quanto ciò condiziona ogni rilievo probatorio del documento. o Sottoscrizione: l'ordinamento, per individuare il soggetto che abbia effettivamente e consapevolmente estrinsecato il pensiero espresso nelle parole, come pensiero proprio, ha utilizzato un'abitudine sociale da assurgere a massima di esperienza, secondo la quale si riconosce come proprio (o fatto proprio anche a posteriori) il pensiero espresso in uno scritto attraverso la sottoscrizione, ossia apponendovi in calce il proprio nome, una sigla o la firma digitale.  In questo caso, si tratta di documenti in scritture private, ossia gli scritti la cui provenienza può essere desunta dalla sola sottoscrizione o da altri elementi ancor meno sicuri. Talvolta, la sottoscrizione può non essere necessaria o, viceversa, sufficiente, in quanto potrebbe non esprimere la volontà di far proprio il pensiero manifestato nello scritto (es. sostituzione di un foglio): o Data: funzione di collocare la documentazione nel tempo e nello spazio, individuando il momento della sua formazione; o Attestazione ufficiale: funzione di determinati soggetti di attribuire al documento pubblica fede, ossia di dare certezza ufficiale circa la provenienza dello scritto, cioè sul fatto estrinseco che le parole contenute nel documento sono state scritte o pronunciate da una determinata persona, alla presenza del notaio o di un altro pubblico ufficiale espressamente autorizzato.  In questo caso si tratta di atti pubblici (art. 2699 c.c.), la cui provenienza è attestata dal pubblico ufficiale e di cui il contenente (cfr. documento) si comprende – e talvolta si confonde – con il contenuto, ossia l'atto giuridico contenuto nel documento. Il documento scritto assolve, prima della funzione probatoria, la funzione di dar forma all'atto giuridico, ossia di realizzarne l'estrinsecazione in forma scritta. L'impiego della forma scritta – che non è la sola possibile forma di estrinsecazione dell'atto che può assumere anche la forma orale o verbale – è prescritta dalla legge:  Ad probationem: per assolvere la funzione probatoria, con riguardo alla maggior facilità e sicurezza con la quale è possibile offrire la prova di un atto redatto per iscritto rispetto ad un atto verbale, le cui possibilità di prove sono affidate alla labile memoria di testimoni, che possono anche mancare, a cui vien data anche maggior fiducia;  Ad substantiam: per dare validità dell'atto, in quanto la forma scritta è richiesta sotto pena di nullità. In ogni caso, possono esistere atti giuridici non documentati in uno scritto o scritti che non documentano atti giuridici, anche se lo scritto può assumere rilievo giuridico sotto altro profilo (es. foglio contenente la scrittura autografa di una celebre composizione poetica). Efficacia probatoria del documento In generale, il documento rileva prevalentemente per la sua efficacia probatoria, che la legge disciplina in maniera diversa, in quanto valuta l’accertamento della provenienza del pensiero espresso nel documento stesso (cfr. profilo estrinseco) come uno strumento di efficacia assoluta e indiscutibile del giudice (piena prova o prova legale), mentre lascia più ampia libertà di apprezzamento circa la veridicità del documento (cfr. contenuto intrinseco). Atto pubblico L’art. 2699 c.c. definisce l'atto pubblico come il documento redatto, con le richieste formalità (cfr. ambito territoriale nel quale ha l’autorizzazione), da un notaio o da un altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l'atto è formato. L'efficacia propria dell'atto pubblico è condizionata dall'esistenza di taluni requisiti, mancando i quali, il documento, se ed in quanto sottoscritto dalle parti, avrà soltanto l'efficacia della scrittura privata.  Atto pubblico informatico (d. lgs. 110/2010): il notaio può redigere atti pubblici in formato elettronico e può sottoscrivere utilizzando la firma digitale, che dovrà apporre per ultimo dopo quella di tutti i soggetti intervenuti e sempre e solo in loro presenza (cfr. legge notarile L. 89/2013). La formazione con questa modalità consente la piena equiparazione della sua efficacia probatoria a quella dell'atto pubblico cartaceo. L’art. 2700 disciplina l’efficacia probatorio dell'atto pubblico, cartaceo o informatico, che fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti.  In tutti gli altri casi, l'idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità. L'utilizzo del dispositivo di firma elettronica qualificata o digitale si presume riconducibile al titolare di firma elettronica, salvo che questi dia prova contraria. Inoltre, le riproduzioni di documenti informatici, essendo equiparate (cfr. art. 2712) alle altre riproduzioni meccaniche, hanno l'efficacia di piena prova in giudizio dei fatti delle cose in esse rappresentante in mancanza di disconoscimento della conformità ad opera della controparte. Tuttavia, le copie su supporto analogico di documento informatico, anche sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, hanno la stessa efficacia probatoria dell'originale da cui sono tratte se la loro conformità all'originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato. Le copie e gli estratti su supporto analogico del documento informatico, conformi alle vigenti regole tecniche, hanno la stessa efficacia probatoria dell'originale se la loro conformità non è espressamente disconosciuta. Resta fermo, ove previsto l'obbligo di conservazione dell'originale informatico. Infine, si ha per riconosciuta la firma elettronica qualsiasi altro tipo di firma elettronica avanzata autenticata dal notaio o da o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato. Data La data non costituisce elemento essenziale della scrittura privata. Infatti, la legge lascia la più ampia autonomia alle parti di provare il momento di formazione della documentazione e al giudice nella relativa valutazione. Tuttavia, è necessaria una data certa rispetto ai terzi, ossia con riguardo all’opponibilità ai terzi della data della scrittura privata. Mentre l'autenticazione della sottoscrizione è idonea a dare la prova legale anche della data della scrittura privata, in quanto esiste l'attestazione di un pubblico ufficiale circa la sottoscrizione avvenuta in sua presenza in un dato momento; l’art. 2704 afferma che, nel caso in cui la scrittura privata non sia autenticata, ma riconosciuta o verificata giudizialmente, la data della scrittura non è certa e opponibile anche ai terzi se non in quanto concorrano altri eventi idonei a rendere certa l'anteriorità della formazione del documento (es. registrazione della scrittura; sopravvenuta morte o impossibilità fisica del sottoscrittore; riproduzione della scrittura in un atto pubblico), con la possibilità di provare con ogni mezzo la data della scrittura privata non rivolta a persone determinate e delle quietanze. Figure particolari La legge prevede figure particolari di scritture private:  Telegrammi: se di norma l'efficacia probatoria spetterebbe soltanto all'originale, sottoscritto o almeno scritto di pugno dal mittente, per aumentare le possibilità pratiche di utilizzare il telegramma come mezzo di prova, la legge stabilisce una generale presunzione di conformità della riproduzione (foglio che riporta quanto detto dal mittente, ma che può non essere né sottoscritto né scritto dal mittente – es. dettato al telefono) all'originale, che rimane presso gli uffici telegrafi, salvo la prova contraria, che può essere fornita con ogni mezzo, anche indiziario – e riconosce efficacia probatoria della scrittura privata, nei casi di sottoscrizione dell'originale da parte del mittente e nei casi in cui egli abbia consegnato l'originale o lo abbia fatto consegnare all'ufficio anche senza sottoscriverlo, salva comunque la possibilità di fare autenticare da un notaio la sottoscrizione dell'originale o di far accertare comunque l'identità del sottoscrittore;  Registri domestici: utilizzati come elementi di prova libera: o L’art. 2707 dispone che le carte e i registri domestici scritti per uso proprio (vs. per precostituire prove) possono far prova contro chi li ha scritti quando denunciano espressamente un pagamento ricevuto o contengono l'espressa menzione che l'annotazione è stata fatta per supplire alla mancanza di un titolo a favore di chi ha indicato come creditore – regola di esperienza secondo cui nessuno scrive cose contro i propri interessi se non sono vere; o L’art. 2708 attribuisce efficacia contro il creditore alla sua eventuale annotazione, in calce, in margine o a tergo di un documento rimasto in suo possesso, che tende ad accertare la liberazione del debitore, anche in mancanza di sottoscrizione, e all'annotazione fatta dal creditore su una quietanza o su un'esemplare del documento posseduto dal debitore. o Scritture contabili degli imprenditori:  L’art. 2709 attribuisce efficacia probatoria alle scritture contabili delle imprese soggette a registrazione contro l'imprenditore, per cui chi vuol trarne vantaggio non può scinderne il contenuto;  L’art. 2710 dispone che tali scritture possono far prova anche a favore del loro autore, purché si tratti di libri bollati (anche se l’obbligo della bollatura è stato soppresso per alcuni libri obbligatori) e vidimati a norma di legge e regolarmente tenuti, e limitatamente ai rapporti tra imprenditori inerenti all'esercizio dell'impresa. La ragione dell'estensione dell'efficacia probatoria sta nei controlli ai quali l'annotazione sono assoggettate nella loro continuità cronologica, nella fiducia che una contabilità regolarmente tenuta merita e nella correlazione con le annotazioni sui libri degli altri imprenditori. Querela di falso L'efficacia probatoria dei documenti presuppone la loro autenticità, sotto il profilo estrinseco, e veridicità, sotto il profilo intrinseco. Viceversa, la falsità, cioè la discordanza tra la realtà e ciò che appare dal documento stesso, compromette l'efficacia probatoria:  Falsità materiale: investe il documento nella sua materialità estrinseca, concretandosi: o Contraffazione: il documento viene materialmente formato da un soggetto diverso dal suo autore apparente o posto in essere in data o luogo diverso da quello indicato; o Alterazione: modificazione delle risultanze del documento compiuta successivamente alla sua formazione.  Falsità ideologica: enunciazione falsa del suo contenuto intrinseco, che puoi investire soltanto le dichiarazioni di scienza o comunque di contenuto narrativo (vs. dichiarazioni di volontà, che non possono essere vere o false, ma soltanto conformi o difformi alla volontà stessa, dando luogo al fenomeno della simulazione) o quando si tratti di una dichiarazione che appartiene all’estrinseco del lato documentato e che è investita dall'efficacia di prova legale (es. falsa attestazione del notaio che una certa persona abbia compiuto davanti a lui una dichiarazione che non ha compiuto). Siccome il documento falso può determinare nel giudice un falso convincimento, è necessario eliminare o comunque rendere innocua questa possibile fonte di errori. La falsità, potendo rilevare sia in ambito civile sia in quello penale (cfr. la legge punisce il comportamento di colui che ha compiuto il falso, in quanto prima causa degli errori ai quali può dare luogo il documento falso), può dar luogo all'avvio di due processi distinti, senza che ciò renda necessaria la sospensione del processo civile in pendenza del processo penale – che potrebbe non verificarsi nei casi in cui la falsità stessa non costituisca il risultato di un reato (es. difetto di dolo) nei casi in cui sia chiuso da un provvedimento di archiviazione o si sia estinto (es. amnistia; morte del reo) o sia comunque divenuto non perseguibile. Innanzitutto, la falsità può venire in rilievo dal giudizio di verificazione della scrittura privata, che, tuttavia, dà luogo a un giudizio limitato sull’autenticità della sottoscrizione o della scrittura, equiparando la scrittura privata (art. 2702) all’atto pubblico (art. 2700), che hanno entrambi l'attitudine a dare piena prova della provenienza dello scritto. Entrambi però fino a querela di falso, con la quale infatti si possono contestare le risultanze estrinseche dell'atto pubblico o della scrittura privata riconosciuta, autenticata o verificata, e cioè quelle risultanze alle quali la legge attribuisce efficacia di prova legale. La querela di falso è un'iniziativa giudiziaria che costituisce il solo strumento per contestare le risultanze dell'atto pubblico o della scrittura privata riconosciuta, autenticata o verificata. Rispetto al giudizio di verificazione, la querela di falso ha un oggetto più ampio, in quanto si possono far valere anche le falsità ideologiche che concernono l’estrinseco, ha efficacia erga omnes e può investire, oltre all'atto pubblico e alla scrittura privata riconosciuta o autenticata, anche la scrittura privata verificata. In generale, non potrebbe proporsi querela di falso per sostenere la medesima falsità che fosse già esclusa nel giudizio di verificazione (cfr. ne bis in idem), salvo che l’oggetto della querela sia più ampio o diverso (es. falsità della sottoscrizione nel giudizio di verificazione e falsità del testo della scrittura nella querela) o riferirsi a fatti successivi al giudicato (es. contraffazione che si assume compiuta dopo il giudizio di verificazione). L’art. 221 stabilisce che la querela di falso può proporsi a scelta del querelante in via principale o in via incidentale, cioè in corso di causa di un qualunque stato e grado di giudizio (cfr. primo o secondo grado, purché prima della rimessione della causa in decisione; non in giudizio di Cassazione né in sede di rinvio), finché la verità del documento non sia stata accertata con sentenza passata in giudicato:  Strutturazione simile a quella del giudizio di verificazione con la possibilità che la querela di falso segua il giudizio di verificazione, con salvezza del giudicato;  L'interesse ad agire può essere costituito dalla rilevanza del documento nel giudizio in corso o dall'opportunità di privare il documento falso dell'attitudine a costituire mezzo di prova in qualsiasi futuro giudizio. Vista la particolare gravità del giudizio, il codice lo riserva alla competenza esclusiva del tribunale e prevede la sospensione del processo per il caso che la querela sia proposta in pendenza del giudizio di primo grado davanti al giudice di pace o in sede d'appello davanti alla Corte d'appello. Inoltre, la domanda, che si propone con citazione o con dichiarazione da unirsi al verbale di udienza contenente l'indicazione degli elementi e delle prove della falsità, va proposta personalmente dalla parte oppure a mezzo di procuratore speciale (vs. ministero del difensore), e si prevede l'obbligatorietà dell'intervento del p.m., visto l'interesse pubblico al regolare svolgimento del giudizio sul falso. L’art. 222 dispone che, quando è proposta la querela di falso in corso di causa, il giudice istruttore interpella la parte che ha prodotto il documento se intende valersene in giudizio:  Risposta negativa: il documento non è utilizzabile in causa;  Risposta affermativa: il giudice, che ritiene il documento rilevante, autorizza la presentazione della querela nella stessa udienza o in una successiva, ammette i mezzi istruttori che ritiene idonei e dispone i modi e i termini della loro assunzione. Il documento viene depositato nelle mani del cancelliere alla presenza del p.m. e delle parti, redigendone processo verbale contenente anche la descrizione dello stato del documento (cfr. art. 223) e, se il documento si trova presso un terzo, il giudice può disporne il sequestro e stabilire particolari cautele per la sua conservazione (cfr. art. 224). L’art. 225 dispone che, sulla querela di falso, pronuncia il tribunale in composizione monocratica – nonostante si tratti di un giudizio con la partecipazione obbligatoria del p.m. (per cui dovrebbe appartenere alla competenza del collegio ex art. 50bis):  Sentenza di accoglimento (art. 226.2): dopo che la sentenza sia passata in giudicato deve ordinarsi la sua esecuzione, anche d'ufficio, con le modalità dell'art. 537 c.p.p., facendo risultare sul documento l'avvenuta dichiarazione della sua falsità (art. 227);  Sentenza di rigetto (art. 226.1): menzione sull’originale del documento e condanna della parte che ha proposto la querela a una pena pecuniaria. La sentenza potrà essere definitiva dell'intero giudizio (se proposta in via autonoma o in via incidentale con rimessione totale) o non definitiva (se proposta in via incidentale con remissione parziale). Copie degli atti e delle scritture L'efficacia probatoria di ogni documento può essere trasferita in un altro documento che riproduca il primo, e di cui costituisce copia. Per la legge, la copia è la riproduzione che risale alle parole, come contenuto ideologico dei segni riproducendo le stesse parole nel loro preciso ordine (vs. riproduzione dei segni grafici nella loro esteriorità, come nella copia fotografica), anche se riportate sulla carta con segni diversi (es. Uno scritto a macchina copiato a mano). Pertanto, l'efficacia probatoria delle copie dipende dalla loro conformità all'originale, che deve essere attestata, cioè autenticata da chi ne ha l’autorizzazione (cfr. depositari pubblici; notai), con il rilascio della copia autentica – che avrà la stessa efficacia probatoria dell'originale (cfr. art. 2714 per gli atti pubblici; art. 2715 per le scritture private depositate).  Confessione stragiudiziale: quando la confessione non venga resa (o non venga rivolta) davanti al giudice, è necessario che il giudice si convinca che essa sia realmente avvenuta: o Orale: se la confessione stragiudiziale avviene verbalmente, può essere provata a mezzo di testimonianza, salvo che verta su un oggetto sul quale la prova testimoniale non sia ammessa (cfr. art. 2735 c.c.); o Scritta: se la confessione stragiudiziale avviene per iscritto (es. quietanza di pagamento), la prova della dichiarazione può essere fornita secondo le ordinarie regole probatorie (es. scrittura privata). o Negoziazione assistita (cfr. Cartabia): la dichiarazione confessoria eventualmente resa dalla parte nel corso della procedura di negoziazione assistita dagli avvocati è assimilabile alla confessione stragiudiziale, per cui si stabilisce che, se lo prevede la convenzione di negoziazione assistita stipulata tra le parti, ciascun avvocato può invitare la controparte a rendere per iscritto dichiarazioni su fatti, specificamente individuati e rilevanti in relazione all'oggetto della controversia, ad essa sfavorevoli e favorevoli alla parte nel cui interesse sono richieste.  In questo caso, il documento nel quale viene resa la dichiarazione confessoria, sottoscritto dalla parte e dal suo avvocato ai fini della certificazione della firma, fa piena prova di quanto l'avvocato testa essere avvenuto in sua presenza e può essere prodotto nel giudizio iniziato dalle parti della controversia negoziazione assistita sulla medesima controversia, e ha la stessa efficacia ed è soggetto agli stessi limiti (della confessione stragiudiziale fatta alla parte o a chi la rappresenta. L’oggetto della confessione possono essere soltanto i fatti della causa (costitutivi, estintivi, modificativi, impeditivi) e non è necessario che tali fatti siano oggetto di percezione diretta del confidente, potendo anche conseguire la narrazione di altri soggetti se la parte riconosce la fondatezza della domanda avversaria – tale riconoscimento non ha alcun effetto vincolante per il giudice se non nei limiti in cui include il riconoscimento della verità dei fatti; viceversa, in difetto di tale esplicito riconoscimento, la dichiarazione ricognitiva del diritto potrà dispensare dall'onere della prova colui a favore del quale la dichiarazione compiuta (cfr. art. 1988).  Seppur oggetto della confessione siano soltanto i fatti sfavorevoli alla parte che confessa, il loro riconoscimento può accompagnarsi con l'affermazione di altri fatti o circostanze tendenti a infirmare l'efficacia del fatto confessato o modificarne e restringerne gli effetti. In tal caso, l’art. 2734 dispone che le dichiarazioni hanno l'efficacia di prova legale nella loro integralità se l'altra parte non contesta la verità dei fatti o delle circostanze aggiunte. Viceversa, il confitente è onerato della prova dei fatti aggiunti o contrari, mentre il giudice può valutare discrezionalmente l'efficacia probatoria delle dichiarazioni confessorie. L’autore della confessione può essere soltanto la parte personalmente (art. 229); pertanto, le dichiarazioni rese dal difensore possono assumere rilievo soltanto come ammissioni di esso e come tali idonee a rendere pacifici i fatti ammessi e a dispensare la controparte dall'onere della prova (cfr. art. 115.1). Allo stesso modo, la non contestazione (vs. efficacia confessoria) di fatti allegati dalla controparte è un comportamento negativo che non prova il fatto, ma lo rende non bisognoso di prova, esonerando la parte che lo allegato dall'onere di provarlo. La confessione giudiziale ha l'efficacia probatoria della prova legale, vincolando il giudice nel suo apprezzamento, in quanto essa forma piena prova contro colui che l'ha fatta, purché non verta sui fatti relativi a diritti non disponibili, per evitare collusioni delle parti (cfr. art. 2733). L’art. 2735 distingue l’efficacia probatoria della confessione stragiudiziale, precisando che essa ha efficacia di prova legale se resa alla controparte o a chi la rappresenta; mentre se fatta ad un terzo o sia contenuta in un testamento, essa è liberamente apprezzata dal giudice. Inevitabilmente, all'attribuzione della validità di prova legale alla confessione e al conseguente vincolo del giudice nel suo apprezzamento consegue la disposizione del diritto al quale si riferiscono infatti della causa della parte che confessa (cfr. per questo la confessione può essere fatta per oggetti disponibili). Pertanto, siccome la confessione può produrre le stesse conseguenze di una dichiarazione negoziale, è necessario disciplinare:  Capacità (art. 2731): la confessione non è efficace se non proviene da persone capaci di disporre del diritto a cui i fatti confessati si riferiscono. Qualora sia resa da un rappresentante, è efficace solo se fatta entro i limiti e nei modi in cui questi vincola il rappresentato;  Revocabilità (art. 2732): la confessione non può essere revocata se non si prova che è stata determinata da errore di fatto o da violenza (cfr. vizi della volontà). In ogni caso, la confessione non è un negozio giuridico, in quanto gli effetti dispositivi nel campo del diritto sostanziale si producono soltanto attraverso la pronuncia del giudice (vs. automaticamente); pertanto, la confessione, in quanto dichiarazione di scienza e non di volontà rimane soltanto uno strumento di convincimento giudice, ossia una prova, nonostante il legislatore abbia disciplinato conseguenze indirette assimilabili a quelle di una dichiarazione di volontà (cfr. la confessione deve comunque essere consapevolmente voluta – animus confitenti – ma ciò concerne la dichiarazione e non i suoi effetti). Confessione giudiziale e interrogatorio formale L’art. 2733 c.c. e art. 228 disciplinano nello specifico nella confessione resa in giudizio che può essere:  Spontanea (art. 229): può essere contenuta in qualsiasi atto processuale firmato dalla parte personalmente, salvo il caso dell’interrogatorio libero (art. 117). o Interrogatorio libero: si contrappone all'interrogatorio formale, in quanto non può dar luogo ad una vera e propria confessione, ma consente alle parti di parlare al giudice liberamente, potendo anche giovare alla propria tesi, dei fatti della causa, mentre consente al giudice, che deve o può disporre d'ufficio, di informarsi liberamente su quei fatti superando i rigidi schemi delle contrapposte allegazioni.  Provocata mediante interrogatorio formale: diretto a provocare la confessione giudiziale, potendo soltanto nuocere, e mai giovare, alla parte interrogata. Perciò esso è un procedimento probatorio strumentale che, in quanto è soggetto alla regola della disponibilità delle prove in capo alle parti (art. 115), può essere soltanto disposto ad istanza della parte contrapposta a quella da interrogarsi. Ciascuna parte infatti può chiedere l'interrogatorio formale della controparte per provocarne la confessione. Trattandosi di prova costituenda, si applicano le regole generali sulla richiesta, sull’ammissione e assunzione dei mezzi di prova e quelle specificamente dedicate all'istituto: o Art. 230: l’interrogatorio deve essere dedotto per articoli separati e specifici, con riferimento a precise singole circostanze di fatto, per ciascuna delle quali l'interrogatorio dovrà dire se gli risultano vere o non vere). Il giudice istruttore procede all'assunzione dell'interrogatorio nei modi e termini stabiliti dall'ordinanza che lo ammette: non possono farsi domande su fatti diversi da quelli formulati nei capitoli, ad eccezione delle domande su cui le parti concordano e che il giudice ritiene utili; ma il giudice può sempre chiedere chiarimenti opportuni sulle risposte date; o Art. 231: che la parte interrogata deve rispondere personalmente e non può servirsi di scritti preparati, ma il giudice può consentirle di valersi di note o appunti, quando deve far riferimento a nomi o a cifre, o quando particolari circostanze lo consigliano; o Art. 232: se la parte alla quale è stato deferito l'interrogatorio formale non si presenti o rifiuti di rispondere senza giustificato motivo o quando si limita a dare risposte reticenti ed evasive, il collegio, valutato ogni altro elemento di prova, può ritenere come ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio (art. 116.2). Viceversa, se la mancata presentazione è dovuta a motivi che il giudice riconosce giustificati, può fissare altra udienza allo scopo o recarsi fuori dalla sede giudiziaria per assumere l'interrogatorio; o Art. 2733.3: in caso di litisconsorzio necessario, la confessione resa da solo alcuni di essi è liberamente apprezzata dal giudice; mentre in caso di litisconsorzio facoltativo, costituisce prova legale nei confronti del solo confitente, ma non nei confronti degli altri litisconsorti, rispetto ai quali è solo liberamente apprezzabile. Giuramento della parte Il giuramento della parte è una dichiarazione compiuta da una delle parti sulla verità di fatti della causa, che non nuocciono, ma giovano alla parte dichiarante. Pertanto, non potendosi fondare sulla massima di esperienza (vs. confessione che fa ritenere veri fatti che nuocciono a chi li dichiara), l’attendibilità si deve fondare nella solennità delle forme con le quali avviene la dichiarazione giurata – che non può essere spontanea ma soltanto provocata e resa in giudizio (cfr. è sempre e solo prova costituenda) – e nell'efficacia intimidatrice della gravità delle conseguenze che colpirebbero chi venisse scoperto di aver giurato il falso quando la falsità del giuramento venisse scoperta (conseguenze di natura morale o sociale accomunate in una sorta di squalifica sociale, ma soprattutto d'ordine penale, essendo il falso giuramento configurato come reato). Il giuramento della parte può essere:  Decisorio (art. 2736 (1) c.c.): dichiarazione che una parte deferisce all'altra per farne dipendere la decisione, totale o parziale, della causa. In ogni caso, la dichiarazione concerne sempre e soltanto fatti di rilevanza sicura e determinante agli effetti della decisione totale o parziale della causa. o Art. 234 c.p.c.: la sfida a giurare può essere rilanciata contro la stessa parte che la propone, poiché la parte alla quale il giuramento è differito può riferirla alla parte che gliel’ha deferito, sfidandola a giurare sugli stessi fatti, ma in senso contrario.  Suppletorio (art. 2736 (2) c.c.): dichiarazione deferita d'ufficio dal giudice (manca l'elemento della sfida dall'una all'altra parte) a una delle parti al fine di decidere la causa, quando l’organo decidente ritiene più giusto evitare il rigore della regola dell'onere della prova: o Quando la domanda o le eccezioni non sono pienamente provate, ma non sono del tutto sfornite di prova, acquisendo così la conferma (o la smentita) intorno al suo non ancor fermo convincimento sul fatto stesso; o Al fine di stabilire il valore della cosa domandata, se non lo si può accertare altrimenti, in quanto mancano altri elementi per determinarne il valore (cfr. giuramento estimatorio). Oggetto del giuramento possono essere soltanto fatti rilevanti in maniera decisiva per l'esito della pronuncia sui diritti disponibili, su un fatto proprio della parte a cui si riferisce (cfr. giuramento de veritate) o la conoscenza che ha di un fatto altrui (cfr. giuramento de scientia o de notitia), (cfr. art. 2739.2). Viceversa, l’art. 2739 dispone che non può essere riferito se il fatto che ne è l’oggetto non sia comune a entrambe le parti; né è ammesso su fatti illeciti o su contratti per la validità dei quali si è richiesta la forma scritta ad substantiam, né per negare un fatto che da un atto pubblico risulti avvenuto alla presenza del pubblico ufficiale, che ha formato l'atto stesso. Il giuramento ha un’efficacia probatoria molto intensa, in quanto la dichiarazione vincola il giudice al suo esito (cfr. prova legale) e, considerata la portata sempre decisiva dei fatti giurati, si riflette altresì sulla pronuncia che, dopo aver constatato an juratum sit (se sia prestato giuramento), deve senz'altro dichiarare vittoriosa, su tutta o sulla parte di causa investita dai fatti oggetto di giuramento, la parte che ha giurato, mentre è soccombente l'altra parte oppure la stessa parte che rifiutasse di giurare (cfr. art. 2738 c.c. e 239 c.p.c.), senza che l'altra parte possa essere neppure ammessa a provare il contrario di quanto giurato.  Tale vincolo permane anche quando il giuramento venga riconosciuto o dichiarato falso, in quanto l’art. 2738 esclude espressamente la possibilità di avvalersi della revocazione (cfr. art. 395: rimedio straordinario per i casi in cui sia giudicato sulla base di prove poi riconosciute false). Infatti, se interviene sentenza penale per falso giuramento, la parte soccombente potrà ottenere soltanto il risarcimento del danno. In caso di litisconsorzio necessario, il giuramento prestato ad alcuni soltanto dei litisconsorti è liberamente apprezzato dal giudice. Siccome la natura di prova legale del giuramento fa sì che esso possa offrire uno strumento di disposizione, seppur in diretta, del diritto in contesa (cfr. confessione), ogni atto relativo al giuramento (deferimento, riferimento, prestazione) deve essere prestato personalmente o da un procuratore speciale. Ammissione della testimonianza Gli artt. 244 ss. dedicati alla testimonianza hanno carattere integrativo delle regole generali di ammissione e assunzione delle prove costituende (cfr. modalità; tempi; ordinanza). L'istanza di ammissione può essere proposta da ciascuna delle parti, salva la facoltà del giudice monocratico di disporre d'ufficio la prova testimoniale ex art. 281ter. L’art. 244 stabilisce che la prova per testimoni deve essere dedotta mediante indicazione specifica dei testimoni, cioè delle persone da interrogare, e dei fatti, formulati in articoli separati (cfr. medesima tecnica, a pena di inammissibilità, dell’interrogatorio formale o giuramento), sui quali ciascuna di esse deve essere interrogata. Il giudice, per pronunciarsi su di essa, dovrà tener conto anche di quanto, rispetto a ciascuna di tali istanze, richieda l'altra parte, che potrà aderire alla richiesta, eventualmente indicando altri testimoni da sentire su quei medesimi articoli o capitoli, ma sotto il profilo di un’allegazione opposta (es. Tizio chiama Bianco per testimoniare che in un dato giorno ha consegnato a Caio una chiave; viceversa, Caio può aderire alla richiesta, chiamando Rosso a provare che quella consegna non avvenne), oppure – ipotesi più frequente – opporsi (es. sostenendo l'inammissibilità della prova per testimoni per i limiti della prova o l'irrilevanza delle circostanze di cui ai capitoli) e chiedendo la prova contraria soltanto in via subordinata, ossia per l'ipotesi dell'ammissione. In pratica, la controparte, sia che la prova testimoniale sia stata offerta con la citazione, con la comparsa di risposta o con la memoria integrativa ex art. 171ter (2), potrà valersi della memoria integrativa ex art. 171ter (3) per le eventuali indicazioni della prova contraria. L’art. 245 stabilisce che, con l'ordinanza che ammette la prova, il giudice istruttore riduce le liste dei testimoni sovrabbondanti ed elimina i testimoni che non possono essere sentiti per legge. Inoltre, la rinuncia fatta da una parte all'audizione dei testimoni da essa indicati non ha effetto se le altre non vi aderiscono e se il giudice non vi consente. Testimoni Il codice configura il rendere la testimonianza come un dovere del testimone, ma, al contempo limita tale dovere, stabilendo casi in cui il testimone non può deporre, o investe la legittimazione del testimone a deporre, configurando casi in cui il testimone può non deporre:  Dovere di deporre: risulta indirettamente: o Art. 255: il giudice ha il potere di disporre, nel caso di mancata comparizione, l'accompagnamento coattivo e di condanna a pena pecuniaria (€100-1000), salvi i casi eccezionali di impossibilità o di altre ragioni per le quali il giudice può recarsi nell'abitazione o nell'ufficio del testimone; o Art. 249: facoltà di astensione dal deporre (cfr. artt. 200, 201 e 202 c.p.p. – segreto) – può non deporre; o Art. 256: casi di rifiuto di deporre e di falsa testimonianza, per i cui reati è altresì prevista la denuncia al p.m. Il dovere di deporre si specifica nel dovere di comparire, di indicare le proprie generalità (art. 252), di prestare giuramento (art. 251) e di dire la verità.  Non può deporre: il codice prevede casi eccezionali in cui, data l'esistenza di una situazione che rende presumibile una certa parzialità – e quindi inattendibilità – la persona indicata come testimone è incapace a testimoniare (art. 246 – parrebbe più corretto parlare di difetto di legittimazione a deporre): o Personale interesse giuridicamente qualificato che potrebbe ipoteticamente legittimarlo alla partecipazione al giudizio; o Rapporto personale particolarmente qualificato (es. coniugio, parentela, affinità) con una delle parti (art. 247) – dichiarato incostituzionale per il limite che comporterebbe alla tutela giurisdizionale; o Rappresentanza (non può testimoniare la parte rappresentata né colui che, nel processo stesso agisce come rappresentante né il difensore); o Giudice o difensore: l'ufficio del testimone è incompatibile con quello del giudice e con quello di difensore, salvo che questo abbia rinunciato al mandato. In ogni caso, il codice non fa dipendere la legittimazione a testimoniare né dalla capacità di agire né al raggiungimento della maggiore età. Assunzione Dopo la fissazione – con l'ordinanza ex art. 202 e 245 – dell'udienza per l'assunzione dei testimoni, la parte interessata alla loro deposizione chiederà, a mezzo del procuratore, all'ufficiale giudiziario di provvedere ad intimare ai testimoni nel termine ex art. 103 disp. att. (7 giorni prima) di comparire all'udienza stessa, con le modalità ex art. 250 (cfr. possibilità, per i testi ammessi su richiesta delle parti private, dell’intimazione diretta da parte del difensore – a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, pec o telefax – con il contenuto ex art. 103 e con successivo deposito in cancelleria di copia dell’atto con attestazione di conformità).  Tale atto non è indispensabile, in quanto il giudice, se la deposizione sia già stata ammessa, può sentire il testimone che sia comparso spontaneamente o su invito verbale dell'una o dell'altra parte. In questo modo si impedisce, nel caso di mancata comparizione, la dichiarazione di decadenza della prova (art. 104 disp. att.) e si consente la pronuncia dei provvedimenti ex art. 255.1, salva la fissazione di un'altra udienza. L’art. 251 stabilisce che all'udienza, la parte istante – che ha l'onere di essere presente (art. 208) – può chiedere che i testimoni vengano esaminati separatamente. Il giudice istruttore deve innanzitutto rivolgere al testimone le ammonizioni e le modalità per raccoglierne il giuramento; successivamente, si procede all'identificazione del testimone, che viene invitato a dichiarare i suoi eventuali rapporti con una delle parti o questi o i suoi eventuali interessi nella causa con conseguente possibilità di osservazioni delle parti circa l'attendibilità del testimone (art. 252). Il giudice risolve le questioni circa la legittimazione del testimone a deporre con ordinanza. Quindi, il giudice provvede ad interrogare il testimone sui fatti intorno ai quali è chiamato a deporre, rivolgendosi tutte le domande, formulate dal giudice d'ufficio o su istanza di una delle parti o dei loro difensori o del p.m. (che non possono interrogare direttamente i testimoni), che ritiene utili a chiarire i fatti medesimi. Essi devono rispondere personalmente con le modalità che l'art. 231 indica per l'interrogatorio formale della parte (art. 253).  L’art. 255 dispone per il caso di mancata presentazione del testimone o di sua impossibilità presenziare. L’art. 254 dispone che, se vi sono divergenze tra le deposizioni di due o più testimoni, il giudice, su istanza di parte o d'ufficio, può disporre che essi siano messe a confronto. L’art. 257 dispone che, se alcuno dei testimoni si riferisce, per la conoscenza dei fatti, ad altre persone, il giudice può disporre d'ufficio che esse siano chiamate a deporre; il giudice può altresì disporre che siano sentiti i testimoni in precedenza esclusi o che siano nuovamente interrogati testimoni già sentiti, per ottenere chiarimenti o eliminare eventuali irregolarità. Infine, il giudice può escludere le deposizioni che ritiene superflue. Gli eventuali vizi nella deduzione, ammissione e assunzione dei testimoni, ancorché dedotti prima dell'assunzione, sono sanati se non eccepiti subito dalla parte interessata; in caso di decadenza, la conseguente sanatoria è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo. Testimonianza scritta L’art. 257bis disciplina l'utilizzazione, a determinate condizioni, della prova testimoniale in forma scritta (vs. resa in udienza), per cui il giudice, su accordo delle parti, tenuto conto della natura della causa e di ogni altra circostanza, può disporre di assumere la deposizione chiedendo al testimone, anche nelle ipotesi ex art. 203, di fornire, per iscritto e nel termine fissato, le risposte ai quesiti sui quali deve essere interrogato. Con lo stesso provvedimento, il giudice dispone che la parte che ha richiesto l’assunzione predisponga il modello di testimonianza in conformità agli articoli ammessi e lo faccia notificare al testimone. In tal caso, il testimone rende la deposizione compilando il modello di testimonianza in ogni sua parte, con risposta separata a ciascuno dei quesiti, e precisa quali sono quelli cui non è in grado di rispondere, indicandone la ragione (cfr. nel caso in cui si avvalga della facoltà d’astensione ex art. 249, dovrà altresì indicare le complete generalità e i motivi di astensione), apponendo la propria autentica su ciascuna delle facciate del foglio di testimonianza, che spedisce in busta chiusa con plico raccomandato o consegna la cancelleria del giudice nel termine stabilito, pena la condanna alla pena pecuniaria ex art. 255.1.  Quando la testimonianza ha ad oggetto documenti di spesa già depositati dalle parti, essa può essere resa mediante dichiarazione sottoscritta dal testimone e trasmessa al difensore della parte nel cui interesse la prova è stata ammessa, senza il ricorso al modello di testimonianza. In tal caso, il giudice, esaminate le risposte o le dichiarazioni, può sempre disporre che il testimone sia chiamato a deporre davanti a lui o davanti al giudice delegato. Contrasto costituzionale Tale istituto, seppur già operante in diversi ordinamenti stranieri e in quello italiano per il giudizio arbitrale, potrebbe porsi in contrasto con le esigenze del contraddittorio e i principi del giusto processo, per cui ogni atto del processo diverso dagli atti ontologicamente solo di parte, dovrebbero svolgersi sempre nel contraddittorio tra le parti e sotto il controllo di un giudice terzo ed imparziale. Pertanto, l’ordinamento pone in essere delle cautele:  La testimonianza scritta presuppone il consenso di entrambe le parti e una previa valutazione del giudice, dopo aver sentito le parti, e tenuto conto del particolare oggetto della causa;  Viene predisposto un modello di testimonianza in conformità agli articoli ammessi che restringe l’ambito delle dichiarazioni che il testimone può compiere in assenza di contraddittorio;  Il giudice può comunque sempre disporre il diretto controllo sull'attendibilità delle dichiarazioni scritte dal testimone nel rispetto del contraddittorio, da parte sua o da parte del giudice delegato. Tuttavia le perplessità rimangono virgola in quanto tali che cautele sono comunque lasciate interamente alla discrezionalità del giudice virgola che potrebbe applicarle con estremo rigore o solo in ipotesi eccezionali. Lo stesso problema si riscontra nella possibilità che, in sede di negoziazione assistita (Cartabia), viene data a ciascun avvocato di invitare un terzo a rendere dichiarazioni su fatti specificamente individuati rilevanti in relazione all'oggetto della controversia, presso il suo studio professionale o presso il Consiglio dell'Ordine degli avvocati, in presenza degli avvocati che assistono le altre parti. Anche in questo caso, il documento può essere prodotto nell'eventuale successivo giudizio sulla medesima controversia, dove fa piena prova di quanto gli avvocati attestano essere avvenuto in loro presenza ed è valutato dal giudice come prova liberamente valutabile (art. 116.2), ma allo stesso giudice può sempre disporre che l'informatore sia escusso come testimone. Ispezione giudiziale L'ispezione giudiziale – uno dei mezzi di prova che il giudice può esperire d'ufficio – ha sia le caratteristiche proprie delle prove costituende (cfr. prove orali: confezione, giuramento e testimonianza) sia la caratteristica delle prove documentali di ricondurre la sua efficacia probatoria ad un elemento obiettivo o materiale. Infatti, l’ispezione è lo strumento con il quale si acquisisce l'efficacia probatoria di cose, mobili o immobili, luoghi o corpi di persone – considerate nella loro essenza corporea – ossia di oggetti che, non essendo acquisibili al processo come documenti, possono soltanto essere fatti materia di osservazione, il cui risultato potrà invece essere acquisito al processo. Il giudice, eventualmente con il consulente tecnico, effettua l'operazione dell'osservare, cioè l’attuarsi o il costituirsi di questa prova (costituenda), documentandola in un processo verbale che viene acquisito al processo. L’art. 118, per contemperare le esigenze di natura probatoria con il rispetto dei diritti e della riservatezza delle parti o di terzi, dispone che il giudice può ordinare alle parti e ai terzi di consentire sulla loro persona o sulle cose in loro possesso le ispezioni che appaiono indispensabili per conoscere i fatti della causa, purché ciò possa compiersi senza grave danno per la parte o per il terzo e senza costringerli a violare uno dei segreti ex artt. 200-202 c.p.p.  Se la parte rifiuta di eseguire tale ordine senza giusto motivo, il giudice la condanna a una pena pecuniaria (€500-3.000) e può da questo rifiuto desumere argomenti di prova ex art. 116.2 (vs. condanna €250-1500 dell'eventuale rifiuto ingiustificato del terzo). all'udienza, dopo la relazione del giudice istruttore, il presidente ammette le parti alla discussione e la sentenza verrà depositata in cancelleria entro i 60 giorni successivi;  Decisione immediata: la sentenza può essere pronunciata subito dopo la discussione, nel caso in cui sia stato il giudice istruttore ad optare per la decisione della causa a seguito di discussione orale, in considerazione della natura non particolarmente complessa della causa. Infatti, l'art. 275bis stabilisce che, all'esito della discussione, il collegio pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, salvo che il collegio non scelga comunque di depositare sentenza nei successivi 60 giorni.  Tribunale in composizione monocratica: disciplina sostanzialmente identica, dimezzandone i termini: o Scambio di memorie: se, rimessa la causa in decisione, non c’è richiesta di discussione orale, la sentenza deve essere depositata entro i 30 giorni successivi allo scadere dei termini ex art. 189; o Discussione orale: se una delle parti ha richiesto la discussione orale, il giudice fissa l'udienza non oltre 30 giorni dalla scadenza per il deposito delle comparse conclusionali e, dopo la discussione, la sentenza è depositata entro 30 giorni.  Decisione immediata: se è stato lo stesso giudice ad optare per la discussione orale (art. 281sexies), nella stessa udienza o, su richiesta di parte, in un'udienza successiva, la sentenza viene pronunciata al termine della discussione dandone lettura in udienza del dispositivo e della concisa motivazione, salvo che non decida di depositarla nei successivi 30 giorni. L’art. 276 disciplina la deliberazione della sentenza da parte del tribunale collegiale, stabilendo che, rimessa la causa in decisione:  Camera di consiglio: la decisione è deliberata nel segreto della camera di consiglio, a cui possono partecipare soltanto i giudici che abbiano assistito alla discussione o, se la discussione non vi sia stata, quelli dinanzi ai quali sono state precisate le conclusioni (cfr. in un’unica udienza possono essere discusse più cause con più giudici istruttori, per cui possono essere presenti più dei 3 membri del collegio);  Questioni: il collegio, sotto la direzione del presidente, decide gradatamente le questioni nelle quali si articola la causa secondo l'ordine logico, secondo cui devono essere decise prima le questioni pregiudiziali di rito (in primis, sulla giurisdizione) e poi le questioni di merito preliminari – ordine non vincolante, in quanto nulla impedisce l'immediata pronuncia sul merito (es. evidente e facile soluzione);  Decisione: la decisione del collegio, il cui svolgimento è segreto, è presa a maggioranza di voti: il primo a votare è il relatore quindi l'altro giudice e infine il presidente. Se intorno ad una questione si prospettano più soluzioni e non si forma la maggioranza alla prima votazione, il presidente mette ai voti due delle soluzioni per escluderne una, quindi mette ai voti la non esclusa e quella eventualmente restante, e così successivamente finché le soluzioni siano ridotte a due, sulle quali avviene la votazione definitiva;  Stesura e sottoscrizione: chiusa la votazione, il presidente scrive e sottoscrive il dispositivo su un foglio che ha funzione di documentazione interna e provvisoria, mentre il relatore – che diviene estensore – stende successivamente il testo completo della sentenza, salvo che il presidente non ritenga di stenderlo egli stesso o di affidarlo all'altro giudice che abbia partecipato alla votazione (es. l’opinione del relatore è difforme dalla maggioranza). o Motivazione: succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, – anche con riferimento a precedenti conformi con le indicazioni specifiche delle questioni discusse dal collegio e alle norme di legge applicate o, nel caso di pronuncia secondo equità, alle ragioni di equità. Si omettono invece le citazioni degli autori giuridici; o Minuta: l'estensore predispone una prima stesura provvisoria che, previa rilettura ed eventuali correzioni da parte del presidente (o dell'intero collegio), viene sottoscritta dal presidente e all'estensore e consegnata al cancelliere, il quale scrive il testo originale; Il presidente e il relatore, verificata la corrispondenza, sottoscrivono la sentenza (art. 119 disp. att.).  Deposito e pubblicazione: dopo la deliberazione la sentenza viene depositata in cancelleria, concretando la sua pubblicazione ex art. 133 – momento oltre il quale non si può più tener conto dell'eventuale jus superveniens. Se il collegio pronuncia ordinanza, questa viene sottoscritta dal solo presidente e, se pronunciata insieme con una sentenza, è depositata in cancelleria insieme con questa. Provvedimenti dell’organo giudicante L’art. 279 – forma dei provvedimenti del collegio distingue i casi in cui l’organo giudicante deve pronunciare:  Ordinanza: provvede soltanto su questioni relative all'istruzione della causa, senza definire il giudizio, nonché quando decide soltanto questioni di competenza, impartendo con la stessa ordinanza i provvedimenti per l’ulteriore istruzione della causa.  Sentenza: l'organo giudicante, con la rimessione totale, è investito di tutti i poteri relativi alla causa (art. 189.2) e può acquisire una visione unitaria e sintetica della causa stessa orientandosi nella scelta delle diverse possibili soluzioni (cfr. se decidere; come decidere; con quali limiti). Infatti, innanzitutto deve effettuare la valutazione di maturità della causa in funzione della decisione, e potrà definire totalmente il giudizio: o Definire immediatamente il giudizio per la sussistenza di questioni pregiudiziali di rito (es. difetto di un presupposto processuale; condizione dell’azione) o questioni preliminari di merito, per cui l'organo giudicante, se ritiene che le questioni siano fondate, può definire immediatamente il giudizio.  Viceversa, dovrà passare a decidere il merito della causa, indipendentemente che la rimessione fosse stata compiuta con riguardo alla sola questione o se si fosse ritenuta la causa matura per la decisione sul merito (art. 187). o Decidere sul merito: l'organo giudicante potrà condividere o meno l'opinione del giudice istruttore – così come il giudice monocratico può cambiare opinione – circa la maturità della causa in funzione della decisione (perché sufficientemente istruita; non bisognosa di istruzione o per altro motivo), l'ammissibilità o la rilevanza dei mezzi di prova ammessi o non ammessi; o potrà decidere alcune questioni, richiedendo all’istruttore una nuova istruzione. In questo modo, potrà pronunciare sul merito, tenendo conto delle prove eventualmente esperite o ammettere prove non ammesse dall'istruttore, rimettendo la causa a quest'ultimo.  Pronuncia sulle spese: pronuncia accessoria alla sentenza definitiva che chiude il processo davanti all'organo giudicante (cfr. art. 91), in applicazione del criterio della soccombenza, ed eventualmente della responsabilità aggravata o temerarietà attenuata (art. 96). Sentenze L’art. 277 prevede che le sentenze possono essere:  Definitive (art. 277.1): il collegio, nel deliberare sul merito, deve decidere tutte le domande proposte e le relative eccezioni, definendo il giudizio. Da questa norma risulta che la pronuncia del giudice – specificando il generico dovere decisorio del giudice ex art. 112 – deve essere sintetica, globale ed esauriente. L’art. 279.2 elenca le ipotesi – da considerarsi tassative – per cui il giudice pronuncia sentenza definitiva quando definisce o chiude il giudizio davanti a sé decidendo: 1) Questioni di giurisdizione: la decisione è definitiva quando sia in senso ostativo, ossia neghi la giurisdizione in capo al giudice adito. Se la causa è riassunta davanti al giudice munito di giurisdizione, si verifica la translatio e il processo proseguirà dinanzi a lui; 2) Questioni pregiudiziali di rito o questioni preliminari di merito: la decisione è definitiva quando sia in senso ostativo, ossia si arresta dinanzi all'ostacolo è determinato dal difetto di un requisito del processo (es. presupposto processuale; condizione dell’azione) o della situazione sostanziale preliminare (es. prescrizione del diritto); 3) Totalmente il merito: eventualmente previa decisione, in senso non ostativo, su una delle questioni ex numeri 1 e 2. 5) Valendosi della facoltà ex artt. 103.2 e 104.2 decide solo alcune delle cause fino a quel momento riunite, e con distinti provvedimenti (ordinanze) dispone la separazione delle altre cause e l'ulteriore istruzione riguardo alle medesime, o la rimessione al giudice inferiore delle cause di sua competenza: nel caso di cumulo di domande, per connessione oggettiva o soggettiva, gli artt. 103 e 104 consentono all'organo giudicante di separare le cause, quando vi sia istanza di tutte le parti o quando la continuazione della riunione ritarderebbe il processo. La situazione che si crea si distingue da quella ex art. 277.2, in quanto vi è un provvedimento che dispone la separazione delle cause (o una pronuncia sulle spese che presuppone la separazione).  La sentenza è definitiva, in quanto le cause separate e non decise vanno a formare oggetto di un processo distinto davanti a un giudice diverso, nei casi di pronuncia tra soggetti diversi o nei casi di pronuncia tra gli stessi soggetti in presenza di un provvedimento di separazione o di pronuncia sulle spese; mentre è non definitiva nell'ipotesi ex art. 277.2 e comunque in mancanza del provvedimento di separazione.  Non definitive (art. 277.2): il collegio, anche quando il giudice istruttore gli ha rimesso la causa ex art. 187.1, può limitare la decisione ad alcune domande, se riconosce che per esse soltanto non sia necessaria un’ulteriore istruzione, e se la loro sollecita definizione è di interesse apprezzabile per la parte che ne ha fatto istanza – in questi casi, è possibile prendere decisioni separate. L’art. 279.2 elenca altresì le ipotesi, per cui il giudice pronuncia sentenza non definitiva, che non esaurisce il compito di quel determinato giudice, quando: 4) Decidendo alcune delle questioni di cui ai numeri 1, 2 e 3, non definisce il giudizio e impartisce distinti provvedimenti (ordinanze) per l'ulteriore istruzione della causa:  Le eventuali pronunce sulle questioni pregiudiziali o preliminari sono avvenute in senso non ostativo;  L'eventuale pronuncia sul merito riguarda soltanto alcune delle domande cumulate (cfr. si tratta della stessa pronuncia ex art. 277.2, rispetto alla quale ha la funzione di stabilire che essa deve assumere le forme della sentenza non definitiva, sotto il profilo della sua irrevocabilità e impugnabilità, anche se emessa erroneamente in forma di ordinanza). La sentenza non definitiva non può essere modificata dalla successiva sentenza definitiva, in quanto autonomamente impugnabile. Inoltre, l'art. 278 prevede una particolare sentenza non definitiva, basata su una già accertata sussistenza di un diritto (an), mentre rimane controversa la quantità della prestazione (quantum), per cui si consente la pronuncia della condanna generica, con l'ulteriore possibilità della concessione di una provvisionale che, siccome è fondata su una cognizione completa sull’an e sul quantum nei limiti in cui l’organo non giudicante ritenga già raggiunta la prova, è una sentenza di condanna non definitiva dotata di efficacia esecutiva. Efficacia esecutiva Con la pubblicazione, la sentenza acquista l'efficacia di dictum del giudice, non ancora idonea a operare sempre nel campo sostanziale (perché non ancora incontrovertibile), ma è già dotata dell'efficacia processuale di esaurire (se definitiva) i poteri decisori del giudice, di costituire il presupposto e l'oggetto dell'eventuale serie delle possibili impugnazioni o di un eventuale processo esecutivo (se di condanna) ed infine di precostituire lo schema del futuro regolamento sostanziale del rapporto nell'ipotesi che essa successivamente acquisti l'efficacia del giudicato (vs. ordinanza, che esaurisce la sua efficacia nel singolo grado del processo di cognizione). Con il passaggio in giudicato, la sentenza diviene incontrovertibile, in quanto l'accertamento in essa contenuto fa stato ad ogni effetto tra le parti, gli eredi o aventi causa (ex art. 2909), cioè informa di sé il diritto sostanziale. All’efficacia di mero accertamento – propria di tutte le sentenze – può affiancarsi:  Efficacia costitutiva: qualora si tratti di sentenza costitutiva;  Efficacia esecutiva: qualora si tratti di condanna con latitudine a fondare un processo di esecuzione forzata. L'esecutorietà è attribuita senz'altro e per forza di legge prima ed indipendentemente dal loro passaggio in giudicato. Infatti, l’art. 282 dispone che la sentenza di primo grado (di natura condannatoria), e la condanna alle spese giudiziali (anche se accessoria ad una pronuncia costitutiva o di mero accertamento) è provvisoriamente esecutiva tra le parti (cfr. la Cassazione ha interpretato tale disposizione escludendo che si possa applicare anche per le sentenze di altra natura). L’art. 287 estende la possibilità di impiego del procedimento di correzione anche all'ordinanza, purché non revocabili.  La stessa ratio sussiste anche per i decreti non revocabili (es. decreto ingiuntivo) e, secondo le S.U., anche per il caso di mancata liquidazione delle spese giudiziali nonostante in motivazione il giudice avesse deciso di porle a carico della parte soccombente. Infine, l'art. 289 prevede che, se l'ordinanza dell'organo decidente e istruttore non contengono la fissazione dell'udienza successiva o del termine entro il quale le parti devono compiere gli atti processuali è necessaria l'integrazione del provvedimento, da pronunciarsi, su istanza di parte o d'ufficio, entro il termine perentorio di 6 mesi dalla pronuncia (o dalla comunicazione o notificazione) del provvedimento. Il decreto di integrazione – disposto dal presidente o dall'istruttore – deve essere comunicato a tutte le parti a cura del cancelliere. Vicende anormali del processo Riunione, separazione e trasferimento dei procedimenti Le vicende anormali del processo sono situazioni eventuali ed accidentali fondate sono diverse ragioni ed opportunità:  Riunione (art. 273): o Stessa causa: se più procedimenti relativi alla stessa causa pendono (cfr. art. 39 – litispendenza) davanti:  Allo stesso giudice-ufficio (es. giudice istruttore o organo decidente): questi, anche d'ufficio, ne ordina la riunione, con la conseguente definizioni in rito del procedimento introdotto per secondo;  A giudici diversi: se il giudice istruttore o il presidente della sezione ha notizia della contemporanea pende ad altro giudice o ad altra sezione dello stesso tribunale, ne riferisce al presidente, il quale, sentite le parti, ordina con decreto la riunione, determinando la sezione o designando il giudice davanti al quale il procedimento deve proseguire. o Connessione (art. 274): se più procedimenti relativi a cause connesse (cfr. artt. 103.1-104.1) pendono davanti:  Allo stesso giudice: questi, anche d'ufficio, può (discrezionalmente) disporne la riunione.  A giudici diversi: se il giudice istruttore o il presidente della sezione ha notizia che per una causa connessa pende procedimento davanti ad altro giudice o davanti ad altra sezione dello stesso tribunale, ne riferisce al presidente, il quale, sentite le parti, ordina con decreto che le cause siano chiamate alla medesima udienza davanti allo stesso giudice o alla stessa sezione per i provvedimenti opportuni – e non necessariamente la riunione (vs. stessa causa, per cui vi è la necessità – e non la mera opportunità – di trattazione congiunta attraverso la riunione).  Separazione (art. 279.2 (5): il giudice (organo decidente o giudice istruttore) può disporre la separazione (artt. 103.2-104.2) delle cause connesse. In questo modo, decide solo alcune delle cause fino a quel momento riunite e separa le altre cause (rimettendole eventualmente al giudice inferiore). Infatti, la connessione non impone la trattazione congiunta delle cause connesse ma solo l'opportunità);  Translatio judicii (art. 50): se la riassunzione della causa davanti al giudice dichiarato competente (dalla Cassazione con il regolamento di competenza o dal giudice dichiaratosi incompetente) avviene nel termine fissato nella ordinanza dal giudice o, in mancanza, in quello di 3 mesi dalla comunicazione dell'ordinanza di regolamento o dell'ordinanza che dichiara l'incompetenza del giudice adito, il processo continua davanti al nuovo giudice, altrimenti si estingue. Fenomeni simili alla translatio sono: o Incompetenza (art. 38.2): riassunzione in caso di proposizione da parte del convenuto e dell'eccezione per territorio derogabile e di adesione delle altre parti costituite alle indicazioni del giudice competente fornite dal convenuto nel formulare le eccezioni; o Privo di giurisdizione (art. 59 L. 69/2009): riassunzione del giudizio davanti al giudice indicato come munito di giurisdizione dal giudice che se ne è dichiarato privo o dalla Cassazione in sede di regolamento di giurisdizione. Processo in contumacia La contumacia – che riguarda il processo di cognizione nelle sole fasi di merito (esclusa la Cassazione) – è la situazione d'inattività unilaterale nell'ambito del principio della disponibilità della tutela, che consegue al mancato esercizio di una parte del potere-onere (e non di un obbligo) di costituzione per partecipare attivamente al giudizio.  Si parla di partecipazione attiva, in quanto la qualità di parte (partecipazione formale) si acquisisce con la proposizione della domanda (onere dell’attore), ossia con la regolare citazione, dalla quale la regola del contraddittorio ex art. 101 fa dipendere ogni potere decisorio del giudice, in quanto assolve alla funzione di porre anche la parte nei cui confronti la domanda proposta nella condizione di difendersi attivamente se ed in quanto lo voglia. L’art. 171.3 stabilisce che la parte, dopo aver proposto la domanda o dopo essere stata regolarmente citata, che non si costituisce, pur essendo ritualmente parte, entro il termine ex art. 166 è dichiarata contumace, previa verifica dei suoi presupposti, con ordinanza del giudice istruttore, salvo l’art. 291 (vs. se entrambe si costituiscono si realizza la normale situazione dalla quale dipende la partecipazione attiva di entrambe; viceversa, quando nessuna delle parti si costituisce (attore e convenuto), non avviene l'iscrizione al ruolo e si mette in moto il meccanismo dell'estinzione del processo). L'ulteriore svolgimento del processo dopo la dichiarazione dà luogo al processo contumaciale, caratterizzato dall'attuazione formale (vs. sostanziale) del contraddittorio. Con la dichiarazione di contumacia, la situazione di fatto diviene una situazione di diritto, alla quale consegue l'applicabilità delle norme del Capo VI – del procedimento in contumacia. In ogni caso, la mancanza del provvedimento formale di dichiarazione di contumacia o la dichiarazione in mancanza di presupposti non è, per se stessa, causa di nullità – che si verifica solo in quanto si sia concretamente ed effettivamente omesso di applicare qualcuna delle regole dettate a tutela della posizione di colui che avrebbe dovuto o non avrebbe dovuto essere dichiarato contumace.  Infatti, la funzione dell'istituto di contumacia è quella di ridurre, nei limiti del possibile e del giusto, il pregiudizio che può derivare dalla mancata partecipazione al processo – e non quella della soccombenza automatica né attribuire altre conseguenze per se stesse sfavorevoli al contumace. Per assolvere a questa funzione, il codice disciplina il processo in contumacia, dettando alcune norme che si sovrappongono alla normale disciplina del processo e che sono ispirate dall'esigenza di ovviare al fatto che la mancata presenza attiva di una delle parti ridurrebbe ad una finzione la posizione di uguaglianza delle parti stesse nel processo. Presupposti per la dichiarazione La dichiarazione di contumacia deve avvenire, di regola, in sede di verifiche preliminari effettuate dal giudice ex art. 171bis, a seguito della constatazione della mancata costituzione di una delle parti. In particolare, gli artt. 290 e 291 dispongono che tale dichiarazione deve essere preceduta da altre verifiche e controlli, a seconda che la parte che dovrebbe essere dichiarata contumace sia:  Attore: il codice richiede che il convenuto dichiari esplicitamente di voler proseguire il processo stesso; viceversa (es. preferisce non coltivare il processo), si verifica subito la cancellazione della causa del ruolo e l'estinzione;  Convenuto: il giudice deve verificare d'ufficio la regolarità della notificazione, al fine di valutare se la mancata costituzione fosse dipesa da difetto di conoscenza dell’instaurazione della causa. Ove rilevi un vizio di nullità, ne dispone la rinnovazione entro un termine perentorio, con la conseguente possibile sanatoria ex tunc. Se il convenuto, dopo la nuova notificazione, non si costituisce anteriormente alla pronuncia del decreto ex art. 171bis.2, il giudice lo dichiara contumace con ordinanza ex art. 171bis.3 (vs. ove non rilevi vizi, dichiara immediatamente la contumacia). La rinnovazione della notificazione impedisce ogni decadenza – compresa quella relativa al termine per l'impugnazione ove si tratti di citazioni in sede di appello – mentre la mancata attuazione dell'ordine di rinnovazione conduce alla cancellazione della causa dal ruolo e all'estinzione del processo ex art. 307.3. Una volta avvenuta la dichiarazione di contumacia, il processo si svolge secondo le regole normali, alle quali si sovrappongono quelle dettate con riguardo specifico al processo in contumacia a tutela della posizione del contumace:  Notificazione personale: la parte costituita deve notificare personalmente al contumace, nei termini che il giudice istruttore fissa con ordinanza, alcuni atti che introducono oneri particolarmente pesanti o altre conseguenze gravi per l’inerzia del contumace, che di norma non andrebbero notificati in quanto la parte costituita ne verrebbe a conoscenza attraverso il difensore (di cui il contumace è privo). o Gli atti da notificare sono elencati tassativamente nell’art. 292, per cui deve essere notificata l'ordinanza che ammette l'interrogatorio o il giuramento e le comparse contenenti domande nuove o riconvenzionali da chiunque proposte – che allargano l’oggetto del processo; a cui si aggiunge (cfr. C. Cost. 250/1986 e 317/1989) il verbale in cui si dà atto della produzione della scrittura privata non indicata in atti notificati in precedenza. Infatti, le altre comparse si considerano comunicate con il deposito in cancelleria e con l’apposizione del visto del cancelliere all'originale, mentre tutti gli altri atti non sono soggetti a notificazione o comunicazione, salvo le sentenze che sono notificate alla parte personalmente.  Costituzione tardiva: l’art. 293 consente al contumace la costituzione tardiva in ogni momento fino all'udienza di precisazione delle conclusioni (o meglio, fino all'effettuazione della precisazione delle conclusioni), attraverso il deposito di una comparsa con la procura ed i documenti o con la comparizione in udienza. Inoltre, con la costituzione tardiva, si deroga alla regola generale, secondo cui chi entra tardivamente nel processo non potrebbe compiere atti che nel momento in cui entra sarebbero già preclusi: o Art. 115.1: la relevatio ab onere probandi, che consegue alla non contestazione specifica dei fatti allegati dalla controparte, opera solo se proviene dalla parte costituita e non anche in caso di parte contumace. Esclusione che permane fino a quando la parte rimanga contumace, ma che è destinata a venir meno con la costituzione in giudizio, con la quale riemerge l'onere di specifica contestazione dei fatti allegati dalla controparte; ??? o Art. 293.3: il costituito tardivo ha la possibilità – che sarebbe preclusa per effetto dell’art. 215 (2) – di disconoscere le scritture private prodotte contro il contumace; o Art. 294: la parte costituita tardivamente può anche chiedere la rimessione in termini (che l’art. 153.2 estende al processo contumaciale). Il giudice, quando il contumace dimostri di non aver potuto partecipare tempestivamente al processo (cfr. nullità della citazione o della notificazione che gli ha impedito di avere conoscenza del processo; causa a lui non imputabile), potrà ammettere il contumace a compiere attività che gli sarebbero altrimenti precluse con ordinanza ex art. 176, indipendentemente dal consenso dell’altra parte o dall’eventuale ritardo che ne conseguirebbe per la rimessione in decisione.  Viceversa, se il contumace non chiede o non ottiene la remissione, deve accettare il processo nello stato in cui si trova, senza poter compiere le attività già precluse alle altre parti.  Impugnazione: in ogni caso, gli effetti della dichiarazione di contumacia sono limitati al grado nel quale la situazione si verifica. Pertanto, il contumace avrà la facoltà di proporre impugnazione anche dopo la scadenza del termine ex art. 327, ove dimostri di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della citazione o della notificazione. Sospensione del processo Gli artt. 295 ss. disciplinano la sospensione come una vicenda anormale del processo, in quanto è un arresto temporaneo, ma totale, dell'iter processuale a causa di un determinato evento e fino alla sua cessazione. L'arresto non avviene automaticamente, ma a seguito di un provvedimento del giudice – nei soli gradi di merito (esclusa la Cassazione) – per cui si distingue la sospensione:  Necessaria per pregiudizialità (art. 295): il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso, anche d’ufficio, in cui egli stesso o altro giudice (civile, amministrativo, arbitro) deve risolvere una controversia già pendente, dalla cui definizione dipende la decisione della causa (cfr. Riassunzione L’art. 297 dispone che, salvo che il provvedimento di sospensione non contenga già la fissazione di un'udienza per riprendere l’iter, le parti (e in particolare, la parte più interessata alla prosecuzione) devono richiedere, non oltre 10 giorni prima della scadenza del termine di sospensione, al giudice istruttore o, in mancanza, al presidente del tribunale, la fissazione della nuova udienza entro il termine perentorio di 3 mesi, che decorre dal momento della conoscenza che la parte abbia avuto della cessazione della causa di sospensione (estinzione del processo pregiudiziale o passaggio in giudicato della sentenza che lo definisce). Il giudice deve fissare l'udienza con decreto da notificare alle altre parti insieme con il ricorso (ma non anche al contumace), nel termine stabilito dal giudice.  Nel caso di sospensione per pregiudizialità costituzionale, la conoscenza della cessazione della causa di sospensione è determinata dalla comunicazione del giudice alle parti, nel termine ex art. 136, a seguito della trasmissione della sentenza della Corte al giudice che ha promosso il giudizio, salva la notificazione ad iniziativa di parte;  In caso di sospensione per il rinvio pregiudiziale alla Cassazione, la conoscenza della cessazione della causa di sospensione si ha con la comunicazione alle parti ad opera della cancelleria e del decreto del primo presidente dichiarativo dell'inammissibilità del rinvio o della definizione della questione e della conseguente restituzione degli atti al giudice di merito. Interruzione del processo L’art. 304, nel disciplinare gli effetti dell'interruzione, si limita a compiere un richiamo all'art. 298 – effetti della sospensione, in quanto l'interruzione del processo consiste, come la sospensione, nell'arresto dell'iter processuale a causa di un determinato evento, mentre si differenzia da essa per le cause che vi danno il luogo, in quanto la funzione dell'interruzione è quella di modificare situazioni delle parti o del difensore (vs. sospensione che dipende da eventi che investono la funzione decisoria del giudice) che compromettono l'effettività del contraddittorio in ogni fase del giudizio di merito (escluso solo il giudizio di Cassazione, nel quale opera l'impulso d'ufficio) e garantire l'effettiva e concreta possibilità di una delle parti di agire nel processo a proprio favore e di svolgere attività difensiva. Pertanto, in virtù del principio di uguaglianza formale delle parti – alla base del principio del contraddittorio e alla difesa – il codice blocca il processo, congelandolo in una totale stasi destinata a durare fino a quando, per iniziativa dell'una o dell'altra parte, non si è ristabilita l’effettività del contraddittorio e comunque non oltre un periodo di tre mesi, il cui eventuale decorso senza la restaurazione del contraddittorio darebbe luogo all'estinzione. L’art. 299 elenca gli eventi interruttivi, che possono colpire:  Parte: o Morte della parte: la morte o gli eventi assimilabili (estinzione della persona giuridica; morte presunta; scomparsa della persona fisica a processo iniziato) danno luogo al subingresso del successore nelle situazioni giuridiche processuali, così come in ogni altro diritto del defunto. Per evitare di pregiudicare il successore (che non fa ingresso automaticamente e immediatamente nel processo), il processo si deve interrompere e il successore svolge ulteriori atti con cui assume, spontaneamente o meno, l'effettività del contraddittorio.  Estinzione delle società: le S.U. hanno chiarito che, qualora l'estinzione intervenga in pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo (artt. 299 ss.) per effetto della cancellazione. Ove l'evento non sia stato fatto constare nei modi previsti o se si è verificato quando non sarebbe stato più possibile farlo constare, l'impugnazione della sentenza pronunciata nei confronti della società deve provenire o essere indirizzata dai soci o nei confronti dei soci succeduti con la società estinta.  Viceversa, la fusione per incorporazione non determina gli effetti dell'interruzione, in quanto essa va qualificata come vicenda meramente evolutiva modificativa dello stesso soggetto giuridico (art. 2504). o Perdita della capacità (legittimazione) processuale della parte (interdizione; inabilitazione; dichiarazione di assenza; dichiarazione di fallimento, ove si controverte sui rapporti giuridici patrimoniali); o Morte o perdita della capacità del rappresentante legale (e non anche volontario); o Cessazione della rappresentanza legale: dalla cessazione della rappresentanza legale (vs. volontaria per revoca o procura; organica per sostituzione del CEO, salvo conseguente ad intrinseca trasformazione dell’ente) consegue la perdita anche della legittimazione processuale del rappresentante (es. il minore ha raggiunto la maggiore età).  Difensore: morte; radiazione o sospensione dell’avvocato (o cancellazione volontaria dall’albo). o Non hanno effetto interruttivo la revoca o la rinuncia della procura. Il codice disciplina in maniera diversa, a seconda del momento nel quale si verifica l'evento interruttivo, il modo con il quale l'interruzione processo consegue all'evento interruttivo:  Se l’evento colpisce la parte personalmente o Prima della sua costituzione (e in quanto non sia scaduto il termine di costituzione): l’art. 299 dispone che, se uno degli eventi interruttivi riguardanti la parte si verifica prima della sua costituzione in giudizio, il processo è interrotto immediatamente come conseguenza automatica dell'evento, indipendentemente dal provvedimento con il quale viene dichiarata, salvo che si verifichi la costituzione spontanea o la citazione in riassunzione ad opera dell'altra parte di coloro ai quali spetta proseguire il processo (es. successore; rappresentante legale; minore divenuto maggiorenne).  La ratio è che il difensore, cioè il soggetto che dovrebbe far valere l’evento interruttivo, non è ovviamente ancora presente nel processo. o Dopo la sua costituzione:  Difensore (art. 300.1-2): se alcuno degli eventi si avvera nei riguardi della parte che si è costituita a mezzo di procuratore, questi lo dichiara in udienza o lo notifica alle altre parti. Dal momento di tale dichiarazione o notificazione il processo è interrotto, salvo che avvenga la costituzione volontaria o la citazione in riassunzione.  Il codice condiziona l'interruzione alla dichiarazione dell'evento interruttivo, mentre fino alla dichiarazione o in mancanza della stessa, il processo prosegue regolarmente nei confronti della parte che ha subito l'evento, mentre il procuratore assume su di sé la responsabilità, sul piano sostanziale rispetto ai successori della parte, conseguente alla mancata interruzione. La giurisprudenza afferma che, in tal caso, l'evento interruttivo rimane processualmente irrilevante anche se dichiarato dall'altra parte o da questa conosciuto e che, se l'evento interruttivo si è verificato in primo grado e non si sia dichiarato notificato nei modi e nei tempi dell'art. 300, si applica la regola dell'ultrattività del mandato al difensore, anche a seguito di proposizione dell'impugnazione.  Personalmente (art. 300.3): se la parte non si è costituita a mezzo difensore, il processo è interrotto al momento dell'evento (cfr. art. 299);  Contumace (art. 300.4): se l'evento riguarda la parte dichiarata contumace, il processo è interrotto dal momento in cui il fatto interruttivo è documentato dall'altra parte, o è notificato o è certificato dall'ufficiale giudiziario nella relazione di notificazione di uno dei provvedimenti ex art. 292. o Durante il termine per impugnare: se l'evento si verifica durante la decorrenza del termine per impugnare, tale termine resta interrotto; viceversa, se si verifichi o sia notificato dopo la chiusura della discussione (davanti all'organo decidente o dopo la rimessione della causa in decisione) non dovrebbe produrre effetto, salvo il caso di riapertura dell'istruzione. o Gradi successivi: se l'evento si verifica durante il giudizio d'appello, l'interruzione opera come in primo grado; mentre in Cassazione l'interruzione non si verifica, essendo il giudizio in Cassazione dominato dall'impulso d'ufficio.  Se l’evento colpisce il difensore-procuratore: se la parte è costituita a mezzo di procuratore, il processo è interrotto automaticamente dal giorno della morte, radiazione o sospensione del procuratore stesso, salva la facoltà della parte rappresentata di nominare altri difensore (o nel caso siano già più di uno). Infatti, la mancanza del difensore rende comunque impossibile un suo intervento per far valere l'evento in giudizio (cfr. art. 299). Prosecuzione La prosecuzione del processo, con la conseguente fine dell'interruzione (o prima che essa avvenga), si verifica quando venga ricostituita l'effettività del contraddittorio da parte di coloro ai quali spetta di proseguire il processo:  Costituzione spontanea: l’art. 302 depone che la costituzione può avvenire all'udienza o a norma dell’art. 166 (deposito della comparsa), provando la qualità di successore. Se non è fissata alcuna udienza, se ne può chiedere la fissazione con ricorso al giudice o, in mancanza, al presidente. Il ricorso e il decreto sono notificati alle parti a cura dell'istante a mezzo del suo difensore, che sono altresì onerate a costituirsi;  Citazione in riassunzione: se la riassunzione non avviene ex art. 302, l’art. 303 prevede la richiesta di fissazione dell'udienza a cura dell'altra parte e la notifica del ricorso e del decreto a coloro che debbono costituirsi per proseguire il processo. In caso di morte della parte, il ricorso deve contenere gli estremi della domanda e la notificazione, entro un anno dalla morte, può essere fatta collettivamente e impersonalmente agli eredi nell'ultimo domicilio del defunto. Viceversa, all'infuori di questa ipotesi, la parte che riassume ha l'onere di provare la legittimazione processuale degli eredi che sono tutti litisconsorti necessari. Se la parte che ha ricevuto e la notificazione non si costituisce e non compare all'udienza fissata, si procede in sua contumacia. In ogni caso, l’art. 305 dispone che il processo deve essere proseguito o riassunto entro il termine perentorio di tre mesi dalla conoscenza dell'interruzione, altrimenti si estingue (cfr. sospensione). Estinzione del processo La fine del processo può essere determinata da una vicenda anormale che dà luogo al suo arresto anticipato, ossia alla sua fine senza che sia avvenuta la pronuncia della sentenza definitiva. La funzione dell'estinzione è quella di evitare la prosecuzione dell'attività processuale quando tutte le parti, per accordo esplicito (rinuncia e relativa accettazione) o per comportamento concludente (inattività), la ritengono inutile – per cui neppure lo Stato (il p.m. non prende l’iniziativa) ha interesse a tenere impegnati i propri organi giurisdizionali, protraendo un’obiettiva situazione di incertezza. L’estinzione, immediata o differita, costituisce la conseguenza del mancato compimento di determinati atti ritenuti essenziali per l’iter processuale entro i termini stabiliti. Infatti, l'intera disciplina del processo è fondata sul principio dell'impulso di parte, seppur coordinato con l'impulso d'ufficio, per cui i termini – perentori con funzione acceleratoria – sono fissati come stimolo alle parti stesse affinché compiano tempestivamente gli atti di impulso. Casi di estinzione Rinuncia (e accettazione) L’art. 306 stabilisce che il processo si estingue per rinuncia, cioè una dichiarazione esplicita della parte che ha proposto la domanda, agli atti del giudizio (domanda e atti successivi) quando questa è accettata dalle parti costituite che potrebbero aver interesse alla prosecuzione (vs. parti non costituite; che non abbiano interesse ad una pronuncia sul merito – es. han sollevato eccezioni processuali). Il codice richiede un vero e proprio consenso esplicito e incondizionato sulla rinuncia, affinché possa produrre l'effetto dell'estinzione, in quanto l'accettazione (o la rinuncia stessa) non è efficace se contiene riserve o condizioni. La rinuncia è un accordo risultante da una duplice dichiarazione unilaterale, e a contenuto non negoziale, in quanto produce effetti predeterminati e puramente processuali, anche se comunque si sottintende un accordo tra le parti sul piano sostanziale (che non deve essere documento negli atti di rinuncia e accettazione) – nel caso in cui l'accordo abbia un contenuto più complesso è comunque diverso dalla pura e semplice rinuncia e dalla sua accettazione, l’art. 185 prevede l'istituto della conciliazione giudiziale. Siccome dalle dichiarazioni di rinuncia e di accettazione dipende l'esistenza del processo, esse vanno compiute dalle parti personalmente o dai loro procuratori speciali verbalmente all'udienza o con atti sottoscritti e notificati alle altre parti. Il giudice, verificata la regolarità, dichiara l'estinzione del processo. Cessazione della materia del contendere La cessazione della materia del contendere è un fenomeno diverso dall'estinzione (non è un’autonoma via processuale per dar termine al processo), in quanto è il riflesso processuale del mutamento della situazione sostanziale, che dà luogo al venir meno della ragion d'essere del giudizio, per ragioni obiettive (es. morte di un coniuge in un giudizio di divorzio) o soggettive (es. riconoscimento concorde di tutte le parti). Tale mutamento potrebbe costituire una delle possibili ragioni sostanziali che stanno a monte dell’estinzione, sia per rinuncia che per inattività delle parti. In mancanza, l'eventuale prosecuzione del giudizio di solito fonda una pronuncia dichiarativa della cessazione della materia del contendere, salvo poi a vedere se una siffatta pronuncia possa assumere rilievo autonomo in un ordinamento che non la prevede espressamente. Mentre si ritiene la natura processuale dell’istituto nei casi in cui l'evento sopravvenuto abbia natura esclusivamente processuale (es. morte del coniuge), con la conseguente riproponibilità della domanda (???); nei casi in cui l'evento investe direttamente il rapporto sostanziale, si conferma la sua natura sostanziale e, di conseguenza, la sua idoneità al giudicato sostanziale. PROCESSO SEMPLIFICATO DI COGNIZIONE La riforma Cartabia ha introdotto nel codice il nuovo Capo IIIter (281decies-281terdecies) dedicato al processo semplificato di cognizione, cioè un rito a cognizione piena ed esauriente alternativo a quello ordinario, con la finalità di differenziare, in virtù del principio di proporzionalità, il modello processuale a seconda della natura più o meno complessa della causa da decidere, a discrezionalità del giudice sulla base di alcuni criteri fissati dal legislatore, applicabile a tutte le controversie civili, salvo quelle per cui si prevede un rito speciale. Siccome ha le caratteristiche proprie del processo a cognizione piena ed esauriente, ad esso si applica la disciplina del processo ordinario, salvo disposizioni derogatorie. Tuttavia, esso si ispira a un modello processuale diverso:  Fase introduttiva: introduzione con ricorso (vs. citazione);  Prima udienza di comparizione e trattazione: definizione delle preclusioni allegative e probatorie per le parti con la chiusura della prima udienza di comparizione trattazione (vs. verifiche preliminari prima dell’udienza; definizione del quod decidendum et probandum oggetto del giudizio attraverso lo scambio delle memorie integrative). Ambito di applicazione L’art. 281decies distingue i casi in cui il processo semplificato è previsto:  Rito obbligatorio (comma 1): indipendentemente dalla composizione del Tribunale, il giudizio deve essere introdotto nelle forme del procedimento semplificato, in sostituzione del rito ordinario, quando l’istruzione manca del tutto, in quanto i fatti di causa non sono controversi o la domanda è fondata su prova documentale, oppure quando l’istruzione ha natura semplificata, cioè è di pronta soluzione o richiede un'istruzione non complessa. o La valutazione di sussistenza dei presupposti spetta in primo luogo all'attore, ma il giudice potrebbe comunque disporre la conversione del rito da semplificato in ordinario (cfr. art. 281duodecies – es. il convenuto non ha subito contestato i fatti di causa, ma lo fa nella comparsa di risposta).  Rito facoltativo (comma 2): nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, la domanda può sempre essere proposta nelle forme del procedimento semplificato, in alternativa al rito ordinario. o L’attore può richiedere il rito a prescindere dalla sussistenza dei presupposti di cui al primo comma, ma il giudice, valutata la complessità della lite e dell'istruzione probatoria, deve, all'esito della prima udienza, stabilire se il processo possa proseguire con le forme del rito semplificato o debba convertirsi in quello ordinario. Il rito semplificato è altresì previsto quale:  Rito prevalente: in caso di trattazione congiunta di cause connesse (art. 40.3), ove alcune delle quali sottoposte al processo semplificato e altre a un processo speciale (diverso dal processo del lavoro), si applica per tutte la trattazione decisione con il rito semplificato;  Rito esclusivo: o Cause di competenza del giudice di pace; o Cause sulla responsabilità sanitaria, ove la conciliazione fra le parti non si è raggiunta dopo l'esperimento del procedimento ex art. 696bis; o Cause sulla riduzione e semplificazione dei riti speciali per una serie di controversie.  Rimedio preventivo: ai fini della richiesta di equa riparazione per la violazione della ragionevole durata del processo. Ricorso introduttivo e costituzione di parti L’art. 281undecies stabilisce che la domanda si propone con ricorso (vs. citazione), sottoscritto ex art. 125, che deve contenere le indicazioni di cui ai numeri 1), 2), 3), 3-bis), 4), 5), 6) e l'avvertimento di cui al numero 7) del art. 163.3. Il secondo comma stabilisce che il giudice, entro cinque giorni dalla designazione, fissa con decreto l'udienza di comparizione delle parti assegnando il termine per la costituzione del convenuto, che deve avvenire non oltre dieci giorni prima dell'udienza. Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell'udienza, deve essere notificato al convenuto a cura dell'attore. Tra il giorno della notificazione del ricorso e quello dell'udienza di comparizione debbono intercorrere termini liberi non minori di 40 giorni (o 60 se il luogo della notificazione si trova all'estero).  Il contenuto del ricorso è sostanzialmente identico alla citazione; tuttavia, la scelta della forma comporta che la data dell'udienza di prima comparizione e trattazione deve essere indicata con decreto del giudice competente dopo il deposito del ricorso (vs. attore). Inoltre, i termini minimi a difesa del convenuto sono notevolmente ridotti rispetto a quelli del rito ordinario (cfr. 120 giorni, o 150 se deve avvenire all’estero), in quanto per il rito semplificato non sono previste né le verifiche preliminari né lo scambio delle memorie integrative prima dell'udienza di comparizione delle parti. Il terzo comma stabilisce che il convenuto si costituisce, non oltre 10 giorni prima dell’udienza (vs. 70 giorni), mediante deposito della comparsa di risposta, nella quale deve proporre le sue difese e prendere posizione in modo chiaro e specifico sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda, indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti che offre in comunicazione, nonché formulare le conclusioni. A pena di decadenza, deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non sono rilevabili d'ufficio (stesse preclusioni del rito ordinario).  Sempre a pena di decadenza, se il convenuto intende chiamare un terzo deve farne dichiarazione nella comparsa di costituzione e chiedere lo spostamento dell'udienza. Il giudice, con decreto comunicato dal cancelliere alle parti costituite, fissa la data della nuova udienza assegnando un termine perentorio per la citazione del terzo. La costituzione del terzo in giudizio avviene ex terzo comma. Prima udienza di comparizione delle parti e trattazione Nel processo semplificato, siccome non vi sono le verifiche preliminari ex art. 171bis né lo scambio delle memorie integrative ex art. 171ter, l'udienza di prima comparizione è il primo momento nel quale il giudice compie il controllo sulla corretta instaurazione del processo e, se necessario, pronuncia i provvedimenti conseguenti (es. necessità di fissare una nuova udienza, nel caso in cui debba essere integrato il contraddittorio) e ove maturano per le parti le preclusioni allegative e istruttorie. Nella stessa sede, il giudice deve verificare la sussistenza dei presupposti ex art. 281decies per procedere con le forme del processo semplificato; infatti, l’art. 281duodecies prevede che il giudice dispone con ordinanza non impugnabile la prosecuzione del processo nelle forme del rito ordinario, fissando l'udienza ex art. 183, rispetto alla quale decorrono – a ritroso – i termini previsti ex art. 171ter., nel caso in cui rilevi che, per la domanda principale o per la domanda riconvenzionale non ricorrono i presupposti (cfr. fatti non contestati o prova documentale, di pronta soluzione o istruttoria non compressa, nel caso di rito obbligatorio) o se valutata la complessità della lite e dell'istruzione probatoria, ritiene che la causa debba essere trattata con il rito ordinario (cfr. rito facoltativo).  Nel caso in cui il giudice disponga la conversione del rito il giudice, fissa l'udienza ex art. 183 da cui decorrono a ritroso i termini per lo scambio tra le parti delle memorie integrative, con la piena reintegrazione delle parti nell'articolazione della fase introduttiva del rito ordinario e senza che rilevino le preclusioni già maturate, con la sola esclusione delle preclusioni maturate per l'attore e per il convenuto con gli atti introduttivi. Viceversa, se il processo può continuare con le forme del rito semplificato, è necessario che, nella prima udienza, sia definito il quod decidendum et probandum oggetto del giudizio prima di valutare se procedere o meno con l'istruzione. Per questa ragione, l'attore può compiere delle attività in replica a quanto compiuto dal convenuto nella comparsa di risposta. Infatti, il secondo comma prevede che, entro la stessa udienza, l'attore può chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo, se l'esigenza è sorta dalle difese del convenuto. Il giudice, se lo autorizza, fissa la data della nuova udienza assegnando un termine perentorio per la citazione del terzo. Se procede ai sensi del primo comma, il giudice provvede altresì sulla autorizzazione alla chiamata del terzo. La costituzione del terzo in giudizio ex art. 281undecies.3. Il terzo comma stabilisce che, alla stessa udienza, a pena di decadenza, le parti, al fine di assicurare che ognuna delle parti replichi alle difese della controparte, possono proporre le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale e delle eccezioni proposte dalle altre parti – si ritiene che le parti possono altresì avanzare reconventio reconventionis o comunque domande conseguenti alle eccezioni delle controparti, in quanto altrimenti la disposizione sarebbe posta al dubbio di legittimità costituzionale.  Nel rito semplificato, maturano le stesse preclusioni che, nel rito ordinario, maturano con la prima delle memorie integrative; infatti, con la prima udienza del processo semplificato matura la preclusione per l'attore di chiamare in causa un terzo, quando l'esigenza sia sorta dalle difese del convenuto e, per ognuna delle parti, di proporre le domande e le eccezioni conseguenza delle difese del convenuto. Sempre nell'ottica di definitiva determinazione del quod decidendum et probandum, il quarto comma stabilisce che, all’esito della prima udienza, se richiesto dalle parti e sussiste giustificato motivo, il giudice può concedere alle parti, perché possano provvedere ad una sorta di appendice scritta della stessa udienza:  Termine perentorio non superiore a 20 giorni: con la prima memoria integrativa ex art. 171ter da depositare entro il termine indicato le parti possono: o Precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni: possono puntualizzare i fatti già allegati, allegarne di nuovi, senza mutare il petitum e la causa petendi, o contestare i fatti ex adverso allegati; o Indicare i mezzi di prova e produrre documenti: possono avanzare nuove richieste istruttorie e produrre nuovi documenti probatori in riferimento ai fatti già allegati in precedenza o quelli allegati ex novo con la stessa memoria.  Termine successivo non superiore a 10 giorni: con la seconda e successiva memoria da depositare entro il termine indicato, le parti possono: o Replicare alle precisazioni e/o modificazioni delle domande, eccezioni e conclusioni proposte dalla controparte con la prima memoria; o Indicare prova contraria e documenti, per stare le prove proposte e i documenti prodotti dalla controparte con la prima memoria. Nel silenzio del codice, si ritiene che, ove non sia richiesta la concessione degli ulteriori termini per l'appendice scritta o, se richiesta, non sia accolta dal giudice perché ritenga non giustificato il motivo addotto, alla chiusura della prima udienza maturano le preclusioni allegative e probatorie. Pertanto, si  Trattazione della causa (art. 320): nella prima udienza, il giudice di pace interroga liberamente le parti e tenta la conciliazione, con l’eventuale redazione del processo verbale ex art. 185.ult. Viceversa, se la conciliazione non riesce, il giudice di pace procede ex art. 281duodecies: o Entro l'udienza di comparizione delle parti, l'attore può chiedere di essere autorizzata a chiamare in causa un terzo, se l'esigenza è sorta dalle difese del convenuto; se il giudice lo autorizza provvede anche a fissare una nuova udienza; o Alla stessa udienza, le parti possono proporre le eccezioni e le domande che sono conseguenza della domanda riconvenzionale ed eccezioni proposte dalle altre parti; o Se richiesto e sussiste giustificato motivo, il giudice può concedere due termini perentori (20+10) per precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni, per indicare i mezzi di prova e produrre documenti; e per replicare e dedurre prova contraria. Fatta salva l'ipotesi dell'appendice scritta, la chiusura della prima udienza segna il maturare delle preclusioni allegative e probatorie a carico delle parti e anche l'ultimo momento utile per contestare le allegazioni della controparte, determinando l'operatività ex art. 115.1. Una volta definito il quad decidendum et probandum, il giudice, se non ritiene la causa matura per la decisione, procede agli atti di istruzione rilevanti per la decisione. o In riferimento all'istruttoria, si applica l’art. 203 sulla prova delegata; tuttavia, la circoscrizione territoriale va intesa genericamente come circoscrizione del giudice delegante e il giudice di pace può solo delegare quello competente per territorio (vs. tribunale).  Decisione (art. 321): il giudice di pace, quando ritiene matura la causa per la decisione, procede ex art. 281sexies, cioè, dopo la precisazione delle conclusioni, procede alla discussione della causa e alla pronuncia della sentenza con lettura in udienza o, eventualmente, con riserva di depositarla in cancelleria entro i 15 giorni successivi. o Per le cause di valore inferiore a 1.100€, la sentenza va pronunciata secondo equità (vs. secondo diritto, per i giudizi sui diritti indisponibili e su rapporti relativi a contratti conclusi secondo moduli o formulari ex art 1342). Impugnazione Tutte le sentenze del giudice di pace sono appellabili:  Senza limiti: sono sempre appellabili ex art. 341 le cause di valore superiore a 1.100€ e quelle che prescindono dal valore (cfr. cause di valore indeterminato o per cui l’attore non abbia dichiarato di voler contenere il valore entro il limite, per cui è presunto nei limiti di competenza del giudice);  Con limiti: sono appellabili ex art. 339.3 le sentenze di valore inferiore a €1.100 pronunciate secondo equità a norma dell'art. 113.2, esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia. Stante l'inapplicabilità degli artt. 42 e 43, la Cassazione sostiene l'impugnabilità con il regolamento di competenza necessario della sentenza del tribunale, quale giudice d'appello, che abbia pronunciato negativamente sulla sola competenza nei confronti di una sentenza del giudice di pace??? Infine, in caso di doppia pronuncia del giudice di pace di domande connesse, le due statuizioni (una sulla domanda principale secondo equità, perché di valore inferiore; e l'altra sulla riconvenzionale di valore superiore) possono essere soggette a due distinti mezzi di impugnazione, se queste sono separabili. Viceversa, nel caso in cui le due domande cumulate non separate né separabili sono state decise con un'unica sentenza in diritto, si ritengono entrambe appellabili. IMPUGNAZIONI Nozioni generali Nozione di impugnazione Il legislatore, in sede di disciplina del processo di cognizione, deve soddisfare le esigenze contrapposte, per cui non può accontentarsi di un primo giudizio, che potrebbe essere viziato, ingiusto o perfettibile, e allo stesso tempo deve garantire la certezza del diritto e ottenere un giudizio definitivo. Come tutti gli ordinamenti moderni, trova una soluzione di compromesso stabilendo la definitività del giudizio dopo una serie finita di mezzi di impugnazione, cioè dopo l'eventuale espletamento di una sola sua rinnovazione (cfr. doppio grado di giurisdizione: primo e secondo grado) e un eventuale giudizio di controllo sulla legalità delle prime due fasi (cfr. giudizio di legittimità o Cassazione). Come in primo grado, le ulteriori fasi di giudizio sono lasciate alla disponibilità della tutela giurisdizionale, cioè all'iniziativa della parte che si ritenesse insoddisfatta dell'esito della precedente fase del giudizio, a cui è attribuito un autonomo potere di iniziativa, l’impugnazione, cioè una contestazione, in tutto o in parte, di un atto, per cui l'impugnazione tende a far valere un difetto o un vizio, o di un provvedimento, per ottenere la sua eliminazione o sostituzione, all'esito di una sorta di rinnovazione del giudizio che ha dato luogo al primo provvedimento. L'impugnazione presuppone l'avvenuta pronuncia di un provvedimento rispetto al quale la parte impugnante possa lamentare un pregiudizio; per cui, con lo stesso termine, si intende sia l’ulteriore fase di giudizio, nella quale ritorna in discussione l'oggetto del provvedimento impugnato o il provvedimento stesso, sia l'atto introduttivo della fase (mezzo di impugnazione). In ogni caso, limitando le impugnazioni alla generale ipotesi di contestazione della decisione del giudice, l'impugnazione può essere riferita genericamente ad ogni tipo di provvedimento (decisorio; ordinatorio, definitivo o non definitivo) e, in un senso più ristretto, alla sentenza, cioè il provvedimento che tipicamente chiude una fase del giudizio di cognizione. Incontrovertibilità Infatti, l’art. 323 – che apre il Titolo III – disciplina i mezzi di impugnazione della sentenza (cfr. regolamento di competenza; appello; ricorso per cassazione; revocazione; opposizione di terzo) che, pur avendo il carattere di atto introduttivo di un nuovo giudizio, non costituiscono esercizio di un'azione diversa da quella già esercitata nella fase che ha dato luogo al provvedimento impugnato. Infatti, il potere di impugnazione appartiene alla serie che costituisce, nel suo complesso, l'esercizio dell'azione. La parte può esercitare tale facoltà, e quindi introdurre la nuova fase del giudizio, fino all'esaurimento della serie delle possibili impugnazioni – o non esercitarla, lasciando inutilmente decorrere il termine perentorio e rinunciando implicitamente e liberamente all'impugnazione, accettando il provvedimento, che diventa incontrovertibile (cfr. necessità o necessarietà delle impugnazioni).  In questo senso, le impugnazioni sono necessarie (cfr. art. 324) quando la loro mancata proposizione rende il provvedimento incontrovertibile (vs. regolamento facoltativo di competenza, che non ha il carattere di necessarietà). Nell'ambito della generale enucleazione ex art. 323, l'art. 324 stabilisce una specifica serie limitata di mezzi di impugnazione ordinari in cui si articola il giudizio di cognizione, nell'assolvimento della sua funzione di determinazione della certezza (cfr. incontrovertibilità della sentenza). Nel caso in cui non si impugni entro dati limiti, la pronuncia di primo grado diverrà incontrovertibile (implicita accettazione); viceversa, nel caso di effettivo esercizio del potere di impugnazione, sarà la nuova pronuncia del giudice che, esaurita la serie limitata delle correzioni o sostituzioni a cui può essere sottoposta la pronuncia (che può essere anche respinta), potrà divenire incontrovertibile. Pertanto, la serie delle impugnazioni assolve alla duplice funzione di soddisfare l'esigenza di riesame del giudizio e di conseguire, attraverso l'esaurimento della serie limitata delle possibilità di tale riesame, la conseguente incontrovertibilità della pronuncia e quella relativa certezza che costituisce il risultato tipico del giudizio di cognizione, consistente nella cosa giudicata formale o processuale (art. 324) – per cui, infatti, si intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta ai mezzi di impugnazione – da cui discende l'ulteriore fenomeno per il quale l'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato, in senso formale, fa stato tra le parti, loro eredi e aventi causa (art. 2909 – cosa giudicata sostanziale: l’incontrovertibilità che riguarda il rito, investe altresì il diritto sostanziale). Pendenza dei termini (efficacia) Seppur l'efficacia di accertamento si verifica soltanto con il passaggio in giudicato della sentenza, durante la pendenza dei giudizi di impugnazione e mentre decorrono i termini per impugnare, la sentenza non è priva di efficacia, anche se si tratta di un mero progetto rispetto al presumibile assetto della situazione di diritto sostanziale, che emergerà eventualmente dal giudicato. Infatti, oltre alla funzione sostanziale di determinare la certezza, la sentenza, quando sia di condanna, ha anche la funzione processuale di fondare l'esecuzione forzata, per cui, agli effetti dell'efficacia esecutiva, si accontenta di un livello di certezza inferiore, ma comunque ritenuto sufficiente a tal fine, rispetto a quello massimo conseguibile con il giudicato. In particolare, l'art. 282 stabilisce l'efficacia immediatamente esecutiva delle sentenze di condanna di primo grado, così come l’art. 337 stabilisce che l'esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto dell'impugnazione di essa, salvi gli artt. 283, 373, 401, 407. Mezzi straordinari di impugnazione Oltre ai mezzi di impugnazione contro le sentenze elencate nell'art. 324, l'ordinamento prevede impugnazioni straordinarie, che non condizionano il fenomeno della cosa giudicata e operano al di fuori della funzione di determinazione dell’incontrovertibilità. Condizioni delle impugnazioni L’impugnazione, in quanto atto di ulteriore esercizio dell'azione con funzione introduttiva di una nuova fase di giudizio, ha le sue condizioni dell'azione:  Esistenza di un provvedimento: presupposto dell’impugnazione;  Interesse ad impugnare: si concreta nell’insoddisfazione di una parte che si sviluppa in una critica al provvedimento, di cui quindi vuole ottenere la modificazione, totale o parziale (cfr. motivi di impugnazione). L'insoddisfazione, che ha rilievo soltanto sul piano oggettivo (vs. vanno trascurate le valutazioni strettamente soggettive del singolo), si manifesta, e quindi l'interesse ad impugnare si riconosce, indipendentemente dal risultato, quando il provvedimento non corrisponde o non corrisponde interamente a ciò che la parte aveva chiesto al giudice e l'impugnazione è fatta al fine di portare un concreto vantaggio all'impugnante: o Soccombenza formale: evidentemente, la parte soccombente può impugnare il provvedimento a lui sfavorevole; o Soccombenza sostanziale?: le parti possono impugnare indipendentemente dal dato formale; pertanto, anche la parte vittoriosa (all’esito del processo) può impugnare per ottenere il margine di vantaggio obiettivo che può emergere dal raffronto tra la sentenza impugnata e la sentenza che la sostituirebbe qualora l'impugnazione fosse accolta (vi è stata soccombenza, perché non c’è stata esatta corrispondenza tra quanto chiesto e quanto ottenuto).  Legittimazione ad impugnare: siccome una soccombenza è concepibile solo in capo a un soggetto che sia stato parte del giudizio che ha condotto alla decisione impugnata, solo i soggetti che abbiano assunto la qualità di parte in quel giudizio hanno la legittimazione ad impugnare (o legittimazione passiva a ricevere l’impugnazione), salva l’opposizione del terzo. o L'interesse e la legittimazione ad agire si concretano nella soccombenza e nella qualità di parte nel precedente grado, come fenomeni reali e non semplicemente affermati (vs. condizioni dell’azione: modalità della domanda, consistenti in un’affermazione di fatti costitutivi e lesivi, nonché della titolarità attiva e passiva del rapporto dedotto in giudizio), di cui il giudice può riscontrarne immediatamente la sussistenza o meno (vs. ragioni dell’impugnazione che al momento dell’impugnazione, possono essere solamente affermate). sentenza (art. 326), salvo che per il regolamento di competenza (cfr. 30 giorni dalla comunicazione dell’ordinanza). o La Cartabia ha stabilito, al fine di salvaguardare l'unitarietà del termine per impugnare, che la decorrenza del termine vale dal perfezionamento della notifica per il destinatario, sia per il soggetto notificante che per il destinatario stesso. In particolare, la notificazione va effettuata ex art. 285 a istanza della parte (o del suo difensore) che voglia far decorrere il termine breve per impugnare, direttamente al difensore dell'altra parte o a quest'ultima personalmente, ma sempre presso lo stesso difensore nel domicilio eletto per il giudizio all'esito del quale è stato pronunciato il provvedimento impugnato; o Le SU hanno riconosciuto che, in caso di esito negativo della notificazione per cause non imputabili al notificante, questi ha l'onere di riprendere tempestivamente il procedimento notificatorio entro la metà dei termini indicati, salvo circoscrive circostanze eccezionali.  Lunghi: indipendentemente dalla notificazione della sentenza, al fine di evitare che il passaggio in giudicato possa essere protratto indefinitivamente ad arbitrio delle parti (es. non notificano la sentenza), l’impugnazione non può proporsi decorsi 6 mesi (inizialmente di un anno) dalla pubblicazione della sentenza (art. 327), per cui vi è decadenza decorsi sei mesi da essa, salvo per la parte contumace che dimostri di non aver avuto conoscenza del processo (cfr. nullità della citazione o notificazione). L’art. 328 dispone che, se durante la decorrenza del termine si verifica un evento che l’art. 299 prevede come causa di interruzione (es. morte o perdita di capacità della parte), il termine si interrompe e il nuovo termine decorrerà dalla rinnovazione della notificazione della sentenza, che può essere effettuata agli eredi, collettivamente e impersonalmente, nell'ultimo domicilio del defunto, e la relativa impugnazione andrà effettuata nei confronti del successore.  Se dopo sei mesi (cfr. la metà del termine, quando era fissato ad un anno) dalla pubblicazione della sentenza non notificata, si verifica uno degli eventi interruttivi, il termine lungo è prorogato di sei mesi dal giorno dell'evento per tutte le parti. In realtà, tale disposizione deve essere interpretata – se non ritenuta implicitamente abrogata – nel senso che dopo il decorso della metà del termine lungo, cioè 3 mesi, (inizialmente, il termine lungo era fissato ad un anno), esso è prorogato di altri tre mesi per tutte le parti. Modalità della proposizione Per evitare la decadenza, l'impugnazione deve essere proposta prima che il termine sia scaduto. Tuttavia, indipendentemente dall'atto introduttivo utilizzato (cfr. citazione o ricorso), esso non produce effetti fino a quando non sia notificato; pertanto, l'atto che deve essere compiuto prima della scadenza del termine è la notificazione alle altre parti dell'impugnazione, ossia dell'atto indirizzato al giudice competente per la specifica impugnazione proveniente dal soggetto legittimato e sottoscritto dal difensore munito di procura. In particolare, l’art. 330 indica le modalità con cui deve essere compiuta la notificazione (sia quando si impugni nel termine breve o lungo), per cui se nell'atto di notificazione della sentenza la parte ha dichiarato la sua residenza o eletto domicilio nella circoscrizione del giudice che l'ha pronunciata, l'impugnazione deve essere notificata nel luogo indicato; altrimenti si notifica ai sensi dell’art. 170 presso il procuratore costituito o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio.  Alla parte contumace, la notifica va effettuata personalmente (art. 292.4).  Se la parte vittoriosa è defunta dopo la notificazione della sentenza, l'impugnazione può essere notificata negli stessi luoghi collettivamente e impersonalmente agli eredi;  Nel caso in cui manchi la dichiarazione di residenza o le elezioni di domicilio e, in ogni caso, dopo un anno dalla pubblicazione della sentenza (termine da intendersi riferito a quello semestrale, eventualmente integrato dal periodo di sospensione feriale), l'impugnazione, se è ancora ammessa dal codice (es. art. 327.2), si notifica personalmente alla parte ex art. 137 ss. L'ufficiale giudiziario che ha notificato un atto di impugnazione deve darne immediatamente avviso scritto al cancelliere del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata affinché ne compia annotazione sull'originale (cfr. art. 123 disp. att.). Acquiescenza Le parti possono decadere dall’impugnazione, indipendentemente dalla decorrenza di un termine, per effetto dell’acquiescenza, cioè nell'accettazione espressa della sentenza ad opera della parte personalmente o di un suo mandatario speciale, oppure nell'accettazione implicita nel compimento di atti incompatibili con la volontà di avvalersi dell'impugnazione non ancora proposta (altrimenti, si tratta di rinuncia). L'impugnazione parziale implica invece acquiescenza delle parti della sentenza non impugnata, con la conseguenza che su tali parti discende il giudicato parziale. Inammissibilità, improcedibilità ed estinzione La decadenza dall'impugnazione dà luogo:  Inammissibilità dell'impugnazione: ostacolo allo svolgimento del giudizio di impugnazione, che deve concludersi con una pronuncia di rito. L'impugnazione dichiarata inammissibile, eventualmente anche per cause diverse dalla decorrenza del termine (es. difetto di condizioni; mancata specificazione dei motivi d'appello), non può essere riproposta anche se non è decorso il termine fissato dal codice per la sua preposizione (cfr. consumazione o consunzione dell’impugnazione);  Estinzione (art. 338): del procedimento di appello o di revocazione, che fa passare in giudicato la sentenza impugnata, salvo che ne siano stati modificati gli effetti con provvedimenti pronunciati nel corso del procedimento estinto;  Improcedibilità: omissione degli atti di impulso necessari per legge. L'inammissibilità e l'improcedibilità sono riconducibili alla più ampia nozione di nullità, per cui si impone la rilevabilità d'ufficio, salvo soltanto il giudicato interno, e quindi la non rinnovabilità e l’insanabilità dell’impugnazione. In caso di impugnazione, anche incidentale, respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. Pluralità di parti e impugnazioni Al fine di mantenere unitario il giudizio di impugnazione contro la stessa sentenza, il codice stabilisce:  Pluralità di parti: al giudizio di impugnazione devono partecipare tutti coloro che furono parti nel precedente grado di giudizio, salvi i casi in cui siano possibili delle pronunce separate: o Pluralità sopravvenuta: la pluralità, che non sussisteva nel giudizio che ha condotto la pronuncia impugnata, può conseguire alla successione di una parte deceduta o estinta a favore di più soggetti, che dovranno partecipare quali litisconsorti necessari; o Pluralità già sussistente.  Pluralità delle impugnazioni: tutte le impugnazioni dello stesso tipo contro la stessa sentenza devono essere proposte nello stesso processo. Pluralità di parti già sussistente Nel caso in cui la pluralità fosse già sussistente nel grado precedente, si distingue:  Cause inscindibili (art. 331): se la causa è inscindibile (cfr. necessarietà del litisconsorzio ex art. 102 o imposta da eventi sopravvenuti – es. successione di più persone ad una delle parti; intervento di un terzo la cui posizione non può scindersi da quella delle parti principali) o le cause sono tra loro dipendenti (cfr. connessione oggettiva per pregiudizialità-dipendenza o per garanzia), sussiste litisconsorzio necessario processuale (anche se non fosse già precedentemente sussistente), in quanto l'impugnazione deve essere proposta nei confronti di tutte le parti del precedente grado di giudizio. Viceversa, la sentenza pronunciata nei confronti solo di alcune delle parti sarebbe inutiliter data. o Nel caso in cui la sentenza pronunciata tra più parti non sia stata impugnata nei confronti di tutti, il giudice ordina l'integrazione del contraddittorio fissando il termine nel quale la notificazione deve essere fatta e, se è necessario, l'udienza di comparizione. Se tale ordine non viene osservato l'impugnazione proposta è inammissibile e può svolgersi solo non nei confronti di tutti coloro che parteciparono al precedente grado del giudizio; o La giurisprudenza, sull’impossibilità per lo svolgimento del procedimento, ha fondato il principio dell'unitarietà del termine di impugnazione, per cui la notificazione di una sentenza vale a far decorrere, nei confronti del soggetto stesso e della parte alla quale è fatta, il termine per la proposizione di impugnazione nei confronti di tutte le altre parti; e la regola dell'effetto conservativo dell'impugnazione, per cui la rituale e tempestiva proposizione dell'impugnazione nei confronti di una delle parti vittoriose o da parte di uno dei più soccombenti produce l'effetto conservativo dell'impugnazione nei confronti delle altre parti.  Cause scindibili (art. 332): se le cause sono scindibili (cfr. cumulate e trattate insieme in primo grado per la loro connessione oggettiva) sussiste litisconsorzio facoltativo; pertanto, le cause possono essere separate, potendo una sentenza passare in giudicato verso un determinato soggetto ed invece sostituire il provvedimento impugnato nei confronti di un altro. o In ogni caso, per evitare che si svolgano diversi giudizi di impugnazione nei confronti della stessa sentenza, nel caso in cui l'impugnazione sia stata proposta soltanto da una delle parti nei confronti di alcune di esse, il giudice dispone l'ordine di notificare l'impugnazione anche alle parti nei cui confronti l'impugnazione non sia già preclusa (vs. ordine di integrazione del contraddittorio), con la fissazione di un termine entro il quale la notificazione deve essere effettuata, per consentire anche ad esse di proporre impugnazione. L’inottemperanza dell'ordine – siccome l’effettiva partecipazione di tutte le parti non è più essenziale, ma si vuole evitare la creazione di autonomi giudizi di impugnazione – comporta la sospensione del processo di impugnazione (vs. inammissibilità dell’impugnazione) fino alla decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione delle altre parti rimaste estranee (cfr. l'impugnazione proposta contro una parte soltanto fa decorrere, nei confronti dello stesso soccombente, il termine per proporla eventualmente contro le altre parti). Le parti provocate, nei cui confronti sia avvenuta l'integrazione del contraddittorio o la notificazione dell'impugnazione, possono:  Restare contumaci;  Costituirsi: o Resistere all'impugnazione, chiedendone il rigetto; o Associarsi all’impugnazione, chiedendone l’accoglimento.  Impugnare la sentenza per altri motivi nello stesso processo, al fine di evitare il frazionamento in più giudizi di impugnazione (cfr. art. 333 – impugnazioni incidentali). Impugnazioni incidentali In virtù del principio dell’unità del giudizio di impugnazione, l’art. 333 prevede che le parti (anche quando le parti siano soltanto due e ciascuna sia rimasta parzialmente soccombente) alle quali sono state fatte le notificazioni (o siano rimaste soccombenti) devono – se intendono impugnare la stessa sentenza – proporre, a pena di decadenza, le loro impugnazioni in via incidentale nello stesso processo, e, più precisamente, nel primo atto di ingresso nel giudizio di impugnazione ex art. 343.1 per l'appello e 371.1 per il ricorso per Cassazione. Allo stesso fine, l’art. 335 dispone che tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza devono essere riunite, anche l'ufficio, in un solo processo. In taluni casi, l'impugnazione incidentale può essere condizionata all'accoglimento o al rigetto dell'impugnazione principale (es. parte vincitrice sul merito o sulla domanda principale, soccombente invece su una questione pregiudiziale o preliminare). La natura incidentale dell'impugnazione – che non sussiste nei casi di impugnazione adesiva, ossia nei casi di impugnazione per le stesse ragioni già fatte valere dall’impugnante principale – viene in rilievo anche nell'art. 334 – impugnazione incidentale tardiva (vs. tempestiva), secondo la quale le parti contro le quali è stata proposta impugnazione e quelle chiamate ad integrare il contraddittorio (e non anche quelle alle quali l'impugnazione sia stata notificata) possono proporre impugnazione incidentale anche quando per esse sia decorso il termine o abbiano fatto acquiescenza alla sentenza.  La ratio è quella di consentire alla parte parzialmente soccombente, per la quale la sentenza dovrebbe già essere passata in giudicato per decorrenza dei termini o per acquiescenza, la possibilità di attivarsi contro il provvedimento a seguito dell'iniziativa impugnatoria della controparte, senza conseguenze negative. Ne deriva che, quando l'impugnazione principale sia stata sentenza impugnata o risarcimento di danni sofferti o conosciuti dopo la sentenza stessa. Per stabilire quando si ha domanda nuova, si fa ricorso ai principi dell'identificazione delle azioni, cioè si ha mutamento di domanda quando muti anche uno solo degli elementi soggettivi od oggettivi (cfr. personae, petitum, causa petendi).  Non si ha domanda nuova con il mutamento della sola qualificazione giuridica del fatto; con la limitazione dell'an debeatur dell'originaria domanda estesa anche al quantum; con la limitazione al risarcimento per equivalente dell'originaria domanda di risarcimento specifico; allegazione di un titolo diverso fondamento di un diritto autodeterminato o con la proposizione in via principale di una domanda proposta in primo grado in via subordinata; possibilità di dedurre per la prima volta in appello circostanze fattuali sopravvenute. La violazione del divieto di eventuali domande (ed eccezioni) in appello può essere rilevata anche d'ufficio, nel senso che le eventuali domande nuove vanno dichiarate inammissibili e non esaminate nel merito. L’art. 345 prevede altresì l'inammissibilità di nuovi mezzi di prova o di nuovi documenti, salvo il giuramento decisorio, prove e documenti che la parte dimostri di non aver potuto proporre nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Sono invece da ritenere ammissibili la prova delle circostanze allegate al sostegno delle nuove domande ed eccezioni, il disconoscimento della scrittura privata da parte del contumace prodotta nella precedente fase e utilizzata nella sentenza impugnata. Le preclusioni restituiscono al giudizio d'appello la natura di controllo e di rinnovazione del giudizio di primo grado sulla base dei medesimi elementi (cfr. revisio prioris instantiae). La proposizione dell'appello non determina alcun effetto sospensivo dell'efficacia esecutiva o dell'esecuzione della sentenza di condanna di primo grado. Infatti, l’art. 337 dispone che l'esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto dell'impugnazione di essa, salvi gli artt. 283, 373, 401, 407. Procedimento L’art. 349bis, introdotto dalla Cartabia, stabilisce che, quando l'appello è proposto davanti alla Corte di appello, il presidente, se non ritiene di nominare il relatore e disporre la comparizione delle parti davanti al collegio per la discussione orale, designa un componente (cfr. consigliere istruttore) di questo per la trattazione e l'istruzione della causa. L’art. 350, così come modificato dalla Cartabia, stabilisce che, davanti alla Corte di appello, la trattazione dell'appello è affidata all'istruttore, se nominato, e la decisione è collegiale, mentre davanti al tribunale l'appello è trattato e deciso dal giudice monocratico:  Parti: appellante, cioè chi propone l'appello, e appellato, cioè quello che lo subisce, che può altresì assumere il ruolo di appellante in via incidentale con la proposizione dell'appello incidentale nella comparsa di risposta ed entro 20 giorni prima dell'udienza fissata nell'atto d'appello principale o differita). o Terzi: l’art. 344 dispone che possano intervenire solo i terzi che potrebbero proporre l'opposizione di terzo ex art. 404 contro la potenziale pronuncia di appello,  Giudice competente: giudice di grado superiore a quello che ha pronunciato la sentenza di primo grado e nel cui circondario o circoscrizione ha sede quest'ultimo: o Tribunale: rispetto alle sentenze del giudice di pace (cfr. il tribunale può essere si di primo, sia di secondo grado). o Corte d’appello: rispetto alle sentenze di primo grado del tribunale (cfr. la corte d’appello è soltanto giudice di secondo grado, salvo che in materia di contestazione del riconoscimento di provvedimenti stranieri e altri casi particolari nei quali svolge le funzioni di giudice di primo grado). Il procedimento d’appello è così disciplinato:  Atto introduttivo (art. 342): nel processo ordinario o semplificato di cognizione, l'appello si propone con lo stesso atto di citazione che introduce il giudizio di primo grado che, oltre a presupporre l'interesse ad impugnare e la soccombenza, deve contenere gli elementi essenziali (salvo indicazioni e avvertimento) ex art. 163 (vs. ricorso, nel processo del lavoro, locatizio e in quello in materia di stato delle persone, minorenni e famiglie). L'appello deve essere motivato, e per ciascuno dei motivi deve indicare a pena di inammissibilità, in modo chiaro, sintetico e specifico, le indicazioni che sostanziano la causa petendi: o Capo della decisione di primo grado che viene impugnato (cfr. appello parziale); o Errore di fatto: l’appellante non si limita a denunciare il vizio e quindi l'ingiustizia della decisione del giudice di prime cure, ma deve puntualizzare le censure proposte alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado, rispetto alla quale chiede la riforma del provvedimento; o Errore di diritto: violazioni di norme, processuali e sostanziali, e la loro rilevanza per gli esiti della decisione impugnata. I principi di sinteticità e chiarezza sono solo la modalità in cui l'indicazione deve avvenire, in quanto l'atto è inammissibile solo quando manchino le indicazioni dei requisiti espressamente richiamati. Per produrre i suoi effetti, l'atto di citazione deve essere sottoscritto e notificato prima della scadenza del termine per impugnare, che impedisce la relativa decadenza. o Difesa dell’appellato: tra il giorno della citazione e quello della prima udienza di trattazione devono intercorrere termini liberi non minori di 90 giorni (o 150, se all'estero).  Comparsa di risposta (art. 343): primo atto difensivo della parte appellata, che deve depositare la comparsa di risposta (cfr. giudizio di primo grado), almeno 20 giorni prima dell'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione o dell'udienza fissata ex art. 349bis.2 (cfr. il presidente differisce la data fino ad un massimo di 45 giorni), con cui l’appellato può: o Riproporre le domande ed eccezioni legittimamente non accolte dal giudice di primo grado ex art. 346; o Proporre l'eventuale appello incidentale: unica possibilità di impugnazione della sentenza da parte dell'appellato:  Appello tardivo: quando l'interesse a proporlo sorga dall'impugnazione proposta da altra parte che non sia l'appellante principale. In quest'ultimo caso, l'appello si propone nella prima udienza successiva alla proposizione dell'impugnazione stessa con un termine è un rinvio della trattazione;  Appello condizionato: può essere condizionato dall'accoglimento dell'appello principale.  Costituzione delle parti (art. 347): secondo le forme e i termini per i procedimenti davanti al tribunale. L'appellante deve inserire nel proprio fascicolo copia della sentenza appellata, mentre ciascuna delle parti deve contenere il fascicolo di primo grado. Il cancelliere richiede la trasmissione del fascicolo d'ufficio al cancelliere del giudice di primo grado. o La costituzione dell'appellato comporta la sanatoria dei vizi di nullità della citazione attinenti alla vocatio in ius con efficacia ex tunc (cfr. art. 164.3). Se nessuna delle parti si costituisce, vi è cancellazione della causa dal ruolo e la possibilità di riassunzione entro tre mesi, a pena di estinzione.  Fase di trattazione: affidata all'istruttore, se nominato, e la decisione è collegiale (davanti alla Corte d’appello); affidata, insieme alla decisione, al giudice monocratico (davanti al Tribunale). o Modalità ordinaria (art. 350.2): nella prima udienza di trattazione, il giudice verifica la regolare costituzione del giudizio e, quando occorre, ordina l'integrazione di esso o la notificazione ex art. 332, dichiara la contumacia dell'appellato oppure dispone che si rinnovi la notificazione dell'atto di appello, e provvede alla riunione degli appelli proposti contro la stessa sentenza;  Conciliazione (art. 350.4): quando non provvede ai sensi del terzo comma, nella stessa udienza il giudice procede al tentativo di conciliazione ordinando, quando occorre (disposta discrezionalmente, in funzione dell’interrogatorio libero e conciliazione), la comparizione personale delle parti; provvede inoltre sulle eventuali richieste istruttorie, dando le disposizioni per l'assunzione davanti a sé delle prove ammesse. o Modalità semplificata (art. 350.3): quando rilevi l’inammissibilità o manifesta infondatezza dell’appello principale e incidentale (ex art. 348bis) o, viceversa, quando l’appello appaia manifestamente fondato o sia caratterizzato da ridotta complessità o urgenza di decisione (ex art. 350.2), il giudice, sentite le parti, dispone la discussione orale della causa ex art. 350bis e la sentenza avviene nella forma semplificata ex art. 281sexies, non essendovi necessità istruttoria. Allo stesso modo, può provvedere quando l'impugnazione appare manifestamente fondata, o comunque quando lo ritenga opportuno in ragione della ridotta complessità o dell'urgenza della causa. Inammissibilità e improcedibilità Il giudice può pronunciare l’inammissibilità (es. proposto appello dopo la decadenza per la decorrenza del termine; per acquiescenza; difetto di una o più delle condizioni per impugnare; inottemperanza dell'onere di specifica motivazione; inottemperanza dell'ordine di integrazione del contraddittorio) o improcedibilità (cfr. l'appello è ammissibile ed è avvenuta l'iscrizione al ruolo, ma l'appellante non si è costituito in termini; non sia comparso neanche alla seconda udienza fissata dal giudice dopo la mancanza alla prima) con sentenza.  Una volta dichiarata, l'appello non è più proponibile neppure quando non sia ancora decorso il termine di legge per impugnare, facendo così passare in giudicato la sentenza di primo grado. Viceversa, nel caso della nullità dell'atto di appello, non sanata dalla costituzione dell'appellato, l'appello può essere ancora riproposto fino a quando non sia decorso il termine per impugnare. Infine, quando l'appello sia proposto ad un giudice incompetente, l’art. 50 dispone la riassunzione nel termine facendo sì che il processo continui davanti al giudice competente;  L'improcedibilità dell'appello principale non impedisce la proseguibilità dell'appello incidentale tempestivamente proposto; ove non venisse dichiarata, la mancata costituzione dell'appellante toglie rilievo al comportamento dell'altra parte, per cui la tempestiva costituzione dell'appellato con accettazione del contraddittorio non può sanare comunque il vizio. Sospensione della sentenza di primo grado Alla prima udienza, le parti possono chiedere la sospensione dell'esecuzione o dell'efficacia esecutiva (anche fosse già iniziata) della sentenza di primo grado ex art. 283, con l'impugnazione principale o incidentale e anche nel corso del giudizio d'appello. Il collegio (se nominato l’istruttore, questi deve sentire le parti e riferire al collegio) provvede con ordinanza sull'istanza e può concederla, in tutto o in parte, con o senza cauzione, se sussistono valide ragioni, cioè la manifesta fondatezza dell'appello o rischio di un pregiudizio grave ed irreparabile dall'esecuzione della sentenza.  Pronuncia anticipata (art. 351.3): siccome tra la notificazione della citazione in appello e la data della prima udienza deve decorrere il termine a comparire e la pronuncia sulla sospensione può risultare urgente, l’art. 351.2 dispone che la parte costituita può, con ricorso al presidente del collegio o al tribunale, chiedere che la decisione sulla sospensione sia pronunciata prima dell'udienza di comparizione. Il presidente del collegio o il tribunale, con decreto in calce al ricorso, ordina la comparizione delle parti in camera di consiglio, rispettivamente, davanti all'istruttore o davanti a sé. Con lo stesso decreto, se ricorrono giusti motivi di urgenza, può disporre provvisoriamente l'immediata sospensione dell'efficacia esecutiva o dell'esecuzione della sentenza; in tal caso, con l'ordinanza non impugnabile pronunciata all'esito dell'udienza in camera di consiglio il collegio o il tribunale conferma, modifica o revoca il decreto con ordinanza non impugnabile. L'istanza può essere proposta o riproposta nel corso del giudizio di appello se si verificano mutamenti nelle circostanze, che devono essere specificamente indicati nel ricorso, a pena di inammissibilità; Al fine di evitare istanze pretestuose di sospensione, il giudice d'appello deve sanzionare l'istanza inammissibile o manifestamente infondata con una pena pecuniaria, a carico della parte che la proposta e a favore della cassa delle ammende (€250-10.000) irrogabile con ordinanza non impugnabile, ma comunque revocabile dalla sentenza che definisce il giudizio. Decisione immediata L’art. 351.4 dispone altresì che il giudice, quando sia chiamato a decidere sull’istanza di sospensione, se ritiene la causa matura per la decisione, può provvedere ex art. 281sexies, con pronuncia della sentenza a seguito di discussione orale e lettura in udienza del dispositivo e della concisa motivazione.  Davanti alla corte di appello, se l'udienza è stata tenuta dall'istruttore il collegio, con l'ordinanza con cui adotta i provvedimenti sull'esecuzione provvisoria, fissa udienza davanti a sé per la Nel merito, la sentenza di secondo grado può essere di accoglimento o di rigetto dell'appello e ha effetto sostitutivo, in quanto si sostituisce a quella di primo grado, nei limiti della domanda d'appello, determinandone la caducazione, inclusa la pronuncia sulle spese del primo grado, da sostituirsi secondo la regola della soccombenza con riferimento ai due gradi di giudizio. La sentenza di accoglimento può anche disporre la restituzione di quanto sia stato corrisposto in esecuzione della sentenza di primo grado, se richiesta con l'atto d'appello e, secondo altro orientamento, anche se non richiesta e comunque dovuta come conseguenza automatica della riforma. Il giudice d'appello può limitarsi a pronunciare una sentenza sul processo, che preclude l'esame del merito (es. inammissibilità o improcedibilità dell'appello; nullità dell'atto introduttivo del giudizio di appello). Nel caso in cui si tratti di appello contro sentenza non definitiva seguita da ordinanza collegiale che disponeva l'istruttoria, se l'istruttoria era stata sospesa, si prevede la riassunzione entro sei mesi dalla comunicazione della sentenza che definisce l'appello (cfr. art. 125bis disp. att.). Questa norma viene coordinata con l'art. 129bis disp. att. che, con riguardo al caso della riforma della sentenza non definitiva, prevede la facoltà dell'istruttore di disporre, in caso di ricorso per cassazione e previa istanza della parte interessata, la sospensione dell'istruttoria fino alla definizione del giudizio di Cassazione, ove ritenga che i provvedimenti dati con l'ordinanza per l'ulteriore istruzione nella causa siano dipendenti dalla sentenza riformata. La sentenza d'appello di condanna, come quella di primo grado, ha efficacia esecutiva. Il giudizio di appello può chiudersi per rinuncia, dando luogo al passaggio in giudicato della sentenza appellata:  Rinuncia agli atti: accettazione dell'altra parte;  Rinuncia all’impugnazione: facendo venire meno il potere dovere del giudice di pronunciare. Vi è passaggio in giudicato anche quando vi sia pronuncia di estinzione del giudizio rinviando alla disciplina del giudizio di primo grado ex art. 359, esigendo che la pronuncia avvenga nei modi e con le forme dell'art. 308.2. Ricorso per cassazione e giudizio di rinvio Nozioni introduttive Il ricorso per Cassazione è un mezzo di impugnazione ordinario, in quanto la sua proposizione puoi impedire il passaggio in giudicato. Esso non ha però effetto devolutivo (vs. appello), in quanto non introduce una rinnovazione del giudizio e non può essere quindi considerato una terza istanza di giudizio, ma è un giudizio a critica vincolata (vs. libera) ed a cognizione determinata dall'ambito della denuncia del vizio compiuta dal ricorrente, principale o incidentale, attraverso i motivi di impugnazione, con la quale si possono far valere soltanto errori commessi nel precedente grado di giudizio, esclusa la generica ingiustizia della decisione impugnata. Come ogni altra impugnazione, il ricorso per Cassazione presuppone la legittimazione e l'interesse ad impugnare, precludendo l'accesso alla parte vittoriosa e, nei casi in cui la decisione si fondi su diverse ragioni, il ricorso deve investirle tutte. La Corte di cassazione è strutturata in modo che ne esclude l'idoneità le attività istruttorie che sono funzionali al giudizio sul fatto, con problematiche nei casi marginali in cui la Corte deve portare il suo giudizio anche sui fatti. Funzioni La Corte di cassazione, generalmente, esaurisce la sua attività al giudizio rescindente, in quanto tende all'eventuale cassazione (cancellazione) della sentenza impugnata e lascia l'eventuale giudizio rescissorio al giudice di rinvio in una nuova fase. Solo eccezionalmente, quando non risultino necessari ulteriori accertamenti, si può effettuare direttamente anche il rescissorio nello stesso giudizio di Cassazione. Il rimedio della Cassazione è essenzialmente di legalità, ripresentando nell'ordinamento vigente, con le modalità proprie del ricorso, l'oggetto dell'antica querela nullitatis, per cui i vizi di nullità della sentenza e gli atti che hanno condotto ad essa sono riassorbiti nel mezzo di impugnazione, in quanto non possono essere fatti valere altrimenti. La funzione del rimedio è quella di rendere immune il giudizio di merito da errori che possono averlo viziato:  Errores in procedendo: errori nello svolgimento del giudizio stesso;  Errores in judicando: errore nell'interpretazione e applicazione delle norme di diritto sostanziale;  Giurisdizione e competenza: la Corte di cassazione statuisce sul regolamento di giurisdizione e di competenza, anche in via abbreviata o anticipata. L’art. 65 ord. giud. statuisce che la Corte di cassazione – che sta al vertice dell'ordinamento giudiziario ed è unico in tutto il territorio dello Stato – assicura l'esatta osservanza (opera come un normale giudice sul caso concreto) e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni (assolve alla funzione di nomofilachia); si tratta pertanto di un giudizio essenzialmente di diritto inteso a controllare la puntuale applicazione della legge ad opera dei giudici, che sono i primi e diretti destinatari del controllo di legalità.  Funzione di orientamento: per assolvere alla sua funzione, le decisioni della Corte di cassazione vengono massimate da un apposito ufficio (cfr. massimario), in modo tale che le decisioni, pur non essendo vincolanti per i giudici di futuri giudizi che si trovassero a dover risolvere le medesime questioni di diritto, costituiscano precedenti che orientino nello stesso senso della Cassazione. Infatti, le argomentazioni giuridiche della Corte si fondano sulla ragionevolezza di eventuali decisioni difformi (cfr. art. 3 Cost.), sull'autorità del giudice dal quale promanano e in considerazione del fatto che la Cassazione è il giudice ove la questione potrebbe essere in definitiva sottoposta. L’art. 363 stabilisce che, quando parti sono decadute dal potere di ricorrere per decorso di termini o per rinuncia o quando il provvedimento non è ricorribile in Cassazione o non è altrimenti impugnabile, il Procuratore generale presso la Corte di cassazione può chiedere che la Corte enunci nell'interesse della legge il principio di diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi, in una funzione di guida della giurisprudenza (la decisione non influisce più sui rapporti tra le parti).  La richiesta del procuratore generale, contenente una sintetica esposizione del fatto e delle ragioni di diritto poste a fondamento dell'istanza, è rivolta al primo presidente, il quale può disporre che la Corte si pronunci a sezioni unite se ritiene che la questione è di particolare importanza;  Il principio di diritto può essere pronunciato dalla Corte anche d'ufficio, quando il ricorso proposto dalle parti è dichiarato inammissibile, se la Corte ritiene che la questione decisa è di particolare importanza. Nelle disposizioni del processo del lavoro e con i pubblici dipendenti, si prevede un'immediata pronuncia, con sentenza ricorribile solo per cassazione, su questioni pregiudiziali che riguardino l'interpretazione di contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro. Inoltre, si prevede un altro esempio di esercizio anticipato della funzione nomofilattica, in relazione al rinvio pregiudiziale alla Cassazione da parte dei giudici di merito per la risoluzione di una specifica questione di diritto. Sospensione Il ricorso per Cassazione non ha effetto sospensivo della sentenza impugnata, in correlazione con la normale efficacia esecutiva della sentenza di condanna già in primo grado ex art. 282, salvo che dall'esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno, per cui l'art. 373 consente al giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata di disporre con ordinanza non impugnabile la sospensione dell'esecuzione e dell'efficacia esecutiva, a seguito di ricorso da proporsi, al presidente del collegio o al giudice monocratico che ha pronunciato la sentenza impugnata. Provvedimenti impugnabili L’art. 360 prevede che possono essere impugnate con ricorso per cassazione:  Sentenze pronunziate: o In grado d'appello (del Tribunale o della Corte); o In unico grado, cioè le sentenze inappellabili per la particolare struttura del giudizio (es. sentenze pronunciate dalla Corte d’appello come giudice di primo grado), per legge (es. sentenze pronunciate secondo equità ex art. 114; sentenze in sede di opposizione agli atti esecutivi ex art. 618) o accordo delle parti (es. sentenze appellabili del tribunale, rispetto alle quali parti si sono accordate per proporre il ricorso per Cassazione omisso medio, per violazione o falsa applicazione di norme di diritto dei contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro).  Violazione di legge: l’art. 111.7 ha esteso l'ambito dell’esperibilità del ricorso, stabilendo che contro le sentenze è sempre ammesso il ricorso in Cassazione per violazione di legge. In realtà, esso è ammesso ogniqualvolta si tratti di un provvedimento, anche con forma diversa dalla sentenza, ma che abbia natura decisoria o comunque incida su diritti soggettivi e sia definitivo in quanto non altrimenti impugnabile;  Sentenze non definitive: oltre alle sentenze definitive, sono impugnabili: o Sentenze non definitive parziali (art. 361.1): per le sentenze di condanna generica e provvisionale (ex art. 278) o che decidono una o alcune delle domande senza definire l'intero giudizio, il ricorso per cassazione può essere:  Immediato: stesse conseguenze sul processo davanti al giudice che le ha pronunciate applicate nell'appello immediato;  Differito: qualora la parte soccombente ne faccia riserva (cfr. art. 129.1-2 disp. att.), a pena di decadenza, entro il termine per la proposizione del ricorso, e in ogni caso non oltre la prima udienza successiva alla comunicazione della sentenza stessa. In caso di estinzione del processo, la sentenza non definitiva è immediatamente impugnabile (cfr. art. 129.3). o Sentenze non definitive su questioni (art. 360.3): non sono immediatamente impugnabili con ricorso per cassazione le sentenze che decidono di questioni, di rito (es. giurisdizione) o di merito (es. non intervenuta prescrizione), insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio. Il ricorso per cassazione avverso tali sentenze può essere proposto, senza necessità di riserva, allorché sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente, il giudizio (quindi impugnabili solo insieme). In caso di estinzione del processo, la sentenza non definitiva su questioni è immediatamente impugnabile (cfr. art. 129.3). L’art. 361.2 stabilisce che, in caso di riserva, il ricorso va proposto unitamente a quello contro la sentenza definitiva o quello contro altra sentenza successiva, mentre il comma terzo stabilisce che la riserva non può più farsi (o perde efficacia se già effettuata), quando la sentenza sia impugnata con ricorso immediato da alcune delle altre parti.  Sentenze di giudici speciali (art. 362): possono essere impugnate con: o Ricorso per cassazione:  Nel termine di 60 giorni ex art. 325.2, le decisioni in grado di appello o in unico grado del giudice amministrativo o di un giudice speciale, per motivi attinenti alla giurisdizione del giudice stesso;  In ogni tempo :  Conflitti positivi o negativi di giurisdizione tra giudici speciali, o tra giudice amministrativo e giudice speciale, o tra questi e i giudici ordinari;  Conflitti negativi di attribuzione tra la pubblica amministrazione e il giudice ordinario. o Revocazione (art. 391quater): decisioni dei giudici ordinari passate in giudicato quando il loro contenuto è stato dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo contrario alla Convenzione ovvero ad uno dei suoi Protocolli. L’art. 368 disciplina le modalità di instaurazione del regolamento di giurisdizione (art. 41.2), per risolvere il conflitto di attribuzione che sorge quando la pubblica amministrazione, che non è parte in causa, contesti la giurisdizione del giudice ordinario a causa dei poteri attribuiti dalla legge alla pubblica amministrazione stessa:  Il prefetto fa richiesta per la decisione della Corte di cassazione con decreto motivato, notificato, su richiesta del prefetto, alle parti e al p.m. presso il giudice davanti al quale pende la causa, e comunicato dal p.m. al capo dell'ufficio giudiziario davanti al quale pende la causa;  L’ufficiale giudiziario sospende il procedimento con decreto da notificarsi alle parti;
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved