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Riassunto di Erler, Platone. Un'introduzione, Sintesi del corso di Storia della filosofia antica

Riassunto di Michael Erler del libro "Platone. Un'introduzione" con approfondimenti.

Tipologia: Sintesi del corso

2016/2017

In vendita dal 27/12/2017

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Scarica Riassunto di Erler, Platone. Un'introduzione e più Sintesi del corso in PDF di Storia della filosofia antica solo su Docsity! JANE_EYRE_ 1 Platone. Un’introduzione (Michael Erler) 1. Platone. Vita e personalità 1. Famiglia Platone è nato ad Atene, o ad Egina, nel 428 o 427 a. C.. Era di famiglia agiata e nobile; gli era stato imposto il nome del nonno, Aristocle, mentre quello di “platon” gli fu dato più tardi con scherzosa allusione al suo esser "largo". Aveva due fratelli, Adimanto e Glaucone, e una sorella, Potone. 2. Retroterra politico Quando nasce Platone sono già scoppiate le Guerre Peloponnesiache (431-404), Pericle era appena morto. Quando Platone ha ottanta anni, nella città greca inizia la dominazione macedone. La sua fase giovanile è segnata: - Dal conflitto con Sparta; - La catastrofe della campagna in Sicilia; - La devastazione dell’Attica; - Il golpe degli oligarchi in Atene nel 411; - L’ostracismo e il richiamo di Alcibiade in patria; - L’affondamento della flotta ateniese a Egospotami; - La sconfitta di Atene; Platone vive la prese del potere dei Trenta Tiranni e visse grandi mutamenti culturali. 3. Giovinezza e discepolato presso Socrate Platone ebbe un'educazione artistica, studiando musica, pittura e letteratura e segnalandosi in particolare nella composizione poetica e drammatica. Già nel periodo della giovinezza venne in contatto con la filosofia, come dimostra il fatto che ebbe Cratilo tra i suoi maestri. Fondamentale il suo incontro con Socrate che, dopo la parentesi del governo, oligarchico e filo- spartano, dei Trenta tiranni, del quale faceva parte lo zio di Platone Crizia, fu accusato dal nuovo governo democratico di empietà e di corruzione dei giovani e condannato a morte nel 39 a.C.. L'influsso determinante di Socrate sul suo pensiero è documentato dai moltissimi scritti in cui la figura del maestro viene idealizzata e il suo pensiero presentato in forma drammatica. Platone ne rimase, infatti, affascinato per il suo uso della dialettica, dello spirito critico e delle tematiche incentrate sulla natura della virtù e quindi sul rapporto tra etica e politica, tra il cittadino e la polis. La morte di Socrate assunse per Platone un significato significativo, e lo fece riflettere su un’idea di Stato ideale in cui regni la giustizia e possano emergere i valori morali socratici. JANE_EYRE_ 2 La filosofia e la pedagogia platonica sin dall’inizio si basano su una riflessione avente finalità e contenuti politici, perciò su di un impegno educativo. Dopo la morte di Socrate, a cui, come ricorda egli stesso nel Fedone, non assisté a causa di una malattia, si recò, insieme con altri condiscepoli, a Megara presso il socratico Euclide, da dove tornò presto ad Atene. 4. Primo viaggio in Sicilia Platone visitò la Magna Grecia e la Sicilia (389-387), e fu a Siracusa alla corte di Dionigi I il Vecchio, grande estimatore della cultura della madrepatria e conoscente del pitagorico Archita di Taranto, con cui Platone era entrato in rapporto. A Siracusa strinse amicizia col giovane cognato di Dionigi, Dione, che restò per sempre conquistato ai suoi ideali filosofici ed etico-politici. 5. Fondazione dell’Accademia Tornato ad Atene, Platone vi fondò, nel 387, nella forma d'una comunità religiosa dedicata al culto delle Muse, un centro di discussione e di studi, che dalla sua sede, la quale traeva il nome dal mitico eroe Academo, ovvero l’Accademia. Gli studi del primo periodo dell’Accademia consistono nel momento post-socratico, nel quale Platone ricerca un fondamento oggettivo del conoscere. Sono di questo periodo i testi: il Clitofonte, il Menone, il Fedone, L’Eutidemo, i libri della Repubblica, il Cratilo e il Fedro. 6. Secondo e terzo viaggio in Sicilia All'indagine filosofica in seno all'Accademia Platone si dedicò per vent’anni. Nel 367 successe a Dionigi I il Vecchio, sul trono di Siracusa, il figlio Dionigi il Giovane: e Dione lo persuase a invitare nuovamente Platone a Siracusa. Qui Platone si recò nel 366. Dionigi, divenuto sospettoso di Dione, lo bandisce, ma trattiene Platone presso di sé. Quando nel 365 scoppiò una guerra in Sicilia e Platone tornò ad Atene, Dionigi gli promise che, al termine della guerra, lo avrebbe invitato di nuovo a Siracusa insieme con Dione. Finita la guerra, il tiranno fece di tutto per indurre Platone a tornare a Siracusa. Platone intraprese nel 361 il suo terzo e ultimo viaggio in Sicilia. Tuttavia, Dionigi inasprì i provvedimenti contro Dione, e i suoi rapporti con Platone si incrinarono. Nel 360, Platone tornò ad Atene. 7. Gli ultimi anni Da allora in poi Platone, dedito esclusivamente ai lavori dell'Accademia, non si mosse più dalla sua città, ove si spense nel 348-347 a. C. Scrisse il Filebo, il Timeo, le Leggi e una lezione sul bene. JANE_EYRE_ 5 Colui che scrive darà perciò ai discepoli un’apparenza del sapere, ma non la verità, perché senza l’insegnamento (dialogo) essi crederanno di essere più colti, ma in realtà saranno soltanto degli ignoranti. Il filosofo paragona la scrittura alla pittura; infatti nei quadri le figure sembrano esseri viventi, ma se gli si domanda qualche cosa, restano in assoluto silenzio. I discorsi scritti fanno altrettanto: sembra che parlino, ma se si desidera approfondire qualche argomento, significano una cosa sola e sempre la stessa. Platone sostiene che il dialogo è capace di difendersi e sa con chi conviene parlare o tacere, a differenza del discorso scritto. Sostiene che sia molto più bello, rispetto alla scrittura, servirsi della dialettica per seminare e piantare la sapienza, che emergerà sempre in discorsi facendone scaturire altri. Quando si trattano determinati argomenti e si vive con essi, infatti nel dialogo la verità traspare e brilla come una fiamma viva, che di se stessa si nutre. L’oralità dialogante è per Platone un criterio metodologico fondamentale. Dietro gli scritti platonici vi è sempre il dialogo vivente: di Socrate con i suoi interlocutori, di Platone coi propri discepoli e nell’insegnamento accademico. Questo perché per il filosofo la ricerca del vero non è mai fine a se stessa, ma in funzione dell’azione di rigenerazione etica, individuale e sociale. Il vero sapere non è una semplice nozione, ma nasce dal ragionamento, dal pensare bene, da un atto che coinvolge tutta intera la personalità. Per Platone l’identità del sapere si afferma con l’azione, non soltanto con la ricerca, ma anche nella capacità di poter intervenire. Platone è filosofo perché aspira ad essere educatore, per una formazione di uomini nuovi in una polis rinnovata. Ciascun dialogo socratico non giunge ad una conclusione definitiva poiché quando la definizione di una virtù sembra essere a portata di mano, essa si dimostra inafferrabile e porta a nuove direzioni. 4. I dialoghi come opere letterarie Platone non ha inventato il dialogo, egli si inserisce nella tradizione letteraria portata avanti anche da Antistene, Fedone, ed Eschine, che composero dialoghi socratici e trattati filosofici per imitare il maestro. All’inizio, Platone era solo uno dei tanti autori di scritti socratici. 5. Il mito Platone si serve della rappresentazione del mito come: - Uomini palla nel Simposio; - Biga alata nel Fedro; - Storia di Atlantide nel Crizia; - Miti dell’aldilà nel Fedone, nel Gorgia e nella Repubblica; I miti servivano per argomentare le teorie filosofiche. JANE_EYRE_ 6 3. L’ambiente culturale 1. Il rapporto con la tradizione I dialoghi di Platone mostrano come egli viva le istanze culturali del suo tempo: - NEI DIALOGHI GIOVANILI fa discutere con Socrate interlocutori privi di formazione filosofica; - IN UN ULTERIORE GRUPPO DI DIALOGHI incontra i sofisti come Protagora, Gorgia, Callicle, Ippia, Menone; - NELLE OPERE TARDE compaiono scuole e posizioni filosofiche, matematici come Teodoro o Teeteto o esperti di tendenze filosofiche. 2. Un caso esemplare: il concetto platonico di filosofia Per Platone la filosofia non è solo una parola, ma un concetto specifico che designa una disciplina indipendente. Philo denota un rapporto di familiarità con un oggetto, e in questo caso i philo- sophoi sono coloro ai quali si attribuisce un rapporto familiare con il sapere, cioè coloro che sono saggi, sophoi, nel senso che si intendono di campi specifici del sapere. 3. Un uomo bizzarro: il ritratto di Socrate e i Sofisti Ciascun dialogo socratico non giunge ad una conclusione definitiva poiché quando la definizione di una virtù sembra essere a portata di mano, essa si dimostra inafferrabile e porta a nuove direzioni. Secondo Platone ogni definizione di virtù si ricongiunge ad una Virtù unificante, ovvero la virtù che le include tutte. Le singole virtù sono aspetti inseparabili di un’unica Virtù. Platone lascia intendere di voler andare oltre Socrate, questa prospettiva lo condurrà alla scoperta dell’Idea ovvero al fondamento oggettivo del nostro conoscere ( quindi al fondamento oggettivo della giustizia e della riforma della polis). Le indagini sulla definizione di virtù si trovano nel Protagora, nel quale Platone dimostra che le virtù rimandano ad una base comune (ovvero il Bene) e che i Sofisti con le loro opinioni non riescono a dire nulla di significativo e perciò non sono affatto dei maestri di virtù. L’arte sofistica non ha un vero e proprio contenuto di insegnamento. Il tema centrale del dialogo riguarda la possibilità di insegnamento per quanto concerne la virtù e se abbia qualche consistenza la pretesa dei Sofisti di proporsi come maestri di virtù. L’andamento della ricerca fa giungere Platone a due conclusioni: - Le virtù hanno un denominatore comune, e quindi non possono essere separate; - le virtù si fondano su un sapere scientifico simile al Bene. Il dialogo si conclude con Protagora che dice di non sapere cosa sia la virtù, non conoscendone la natura o l’essenza. Platone perciò afferma che la sofistica è pura retorica e non ha quindi un JANE_EYRE_ 7 consistente contenuto culturale; l’unico maestro di virtù è per lui Socrate, che però dà solo delle definizioni provvisorie, pertanto la ricerca della virtù deve continuare. Nel Gorgia Platone mette in luce il vuoto morale contenutistico dei sofisti. Non solo essi non sono maestri di virtù (politica), ma sul terreno in cui operano (cura dell’anima) sono dei cattivi maestri. In apertura Socrate domanda a Gorgia quale sia l’oggetto di analisi della retorica, egli risponde che essa è “la capacità di persuadere tutti coi discorsi” precisando che questa persuasione si applica in tribunale e nelle assemblee, perciò riguarda il giusto e l’ingiusto. Dato che Gorgia perciò ammette che il retore non può conoscere ogni cosa e aggiunge che l’uso della retorica può essere sia giusto che sbagliato, Socrate ribatte giustamente che la retorica non è un’arte (techne) poiché opera con le parole sulle apparenze e non sulle conoscenze. Inoltre sostiene che essa sia molto contraddittoria, perché se il retore conoscesse veramente la giustizia, sarebbe impossibile che potesse operare ingiustamente (Il giusto per Socrate opera solo giustamente “Conoscere il bene è farlo”) Con la sua sincerità Gorgia ha finito per fare delle concessioni che gli sono costate care. Polo , che interviene dopo il maestro, esprime invece il pensiero dei sofisti di nuova generazione. Per Polo la retorica non ha nulla da spartire con la giustizia poiché essa persegue come scopo la “ possibilità di fare ciò che si vuole”. L’aretè e la paideia socratica e sofista sono nettamente differenti: - il sofista pensa alla felicità e al piacere di un uomo considerato come passione e senso; - il socratico pensa alla “cura dell’anima” all’uomo che è intelligente, soggetto di conoscenza che tende al bene. Socrate dice: è meglio subire ingiustizia che fare ingiustizia. Fare ingiustizia, infatti, è per Socrate negare l’armonia interiore, introdurre una frattura nella vita personale. 4. Eristica e filosofia: l’Eutidemo Questo dialogo non tratta temi etici e politici, ma ha come oggetto l’arte del contendere dei Sofisti. In esso abbiamo la parodia dell'eristica, l'arte sofistica di “battagliare” a parole allo scopo di confutare le tesi avversarie, qui rappresentata dai due fratelli Eutidemo e Dionisodoro. Platone critica quest'arte, per mezzo della quale è impossibile cogliere la verità e quindi poter insegnare o apprendere qualcosa. Lo scopo di Platone nell’Eutidemo è difendere Socrate dalle calunnie che gli erano state mosse, mostrando come il maestro si differenziasse nel pensiero e nelle azioni dai sofisti a cui veniva equiparato. Egli costruisce dunque il dialogo come fosse una commedia (un prologo, 5 atti e un epilogo), attribuendole un compito serio, quello di mettere in guardia i ceti elevati dalla capziosità dei Sofisti e di chi, come Isocrate, dice di poter formare cittadini virtuosi attraverso l'insegnamento della retorica. A ciò inoltre si aggiunge l'intento polemico che Platone sembra avere nei confronti delle altre scuole socratiche. JANE_EYRE_ 10 confrontarsi in tribunale. I due si incontrano in piazza, davanti al palazzo dell’arconte al quale entrambi chiedono udienza poiché stanno per agire in giudizio o, nel caso di Socrate, per subirlo. Eutifrone muove, infatti, causa a suo padre che ha lasciato morire in cella un omicida mentre mandava a chiedere agli interpreti della legge cosa dovesse farne. Le circostanze fortuite della morte dell’uomo, che escludono la volontarietà dell’azione paterna, evidenziano il dogmatismo del sacerdote che pretende di conoscere cosa sia pio e cosa empio senza riuscire però a definirli. Eutifrone sostiene, infatti, che santo è ciò che lui stesso sta facendo, cioè trascinare in giudizio un omicida benché sia suo padre. Socrate lo spinge allora a dichiarare se santo sia ciò che è amato dagli dèi o se, viceversa, proprio perché santo sia amato, con una discussione che si snoda per più ipotesi concludendosi senza risultati. 3. Filosofia e retorica: Il Gorgia e il Fedro Accanto alla religione, è importante il tema della retorica. Il Gorgia è uno dei dialoghi platonici più estesi e sul suo sfondo resta come si debba vivere. Nei discorsi tra Socrate, Gorgia, Polo e Callicle si presenta la critica e la rivalutazione della retorica, che vede lo scontro tra Sofisti. Nel Gorgia si discute sul ruolo da attribuire alla retorica, mentre nel Fedro si prosegue con questa riflessione. Socrate incontra Fedro, dopo aver assistito ad un discorso di Lisia. Fedro sta passeggiando come gli ha consigliato Acumeno, il padre di Erissimaco. Socrate vuole sapere come Fedro e Lisia si sono intrattenuti, essi hanno parlato dell’Amore. Lisia ha scritto di un giovane che è stato insidiato da un corteggiatore e ha detto che bisogna concedersi a chi non ama, piuttosto che a chi ama. Socrate ha molta voglia di ascoltare tale discorso, cita Erodico (un medico), ironizzando sull’eccessivo salutismo di Fedro; egli continua a fare dell’ironia sul fantomatico studio del discorso di Lisia da parte di Fedro, egli ha tra le mani il manoscritto. I due attraversano il fiume Ilisso e leggono sotto un platano: luogo in cui Borea, personificazione del vento del nord, rapì la nereide Borizia. Fedro chiede a Socrate se crede a tale mito, egli però non si preoccupa di tali questioni. Sotto il platano sembra di stare in un posto amato da Acheloo, il padre delle ninfe; Fedro inizia a leggere: l’Amore è una sorta di malattia le cui vittime agiscono non volontariamente, mentre chi non ama è padrone di se stesso. Il non amante però vuole il piacere carnale, ciò nonostante riesce a mantenere il controllo di sé. Secondo Lisia quando due persone si amano e la passione viene meno, gli amanti si dispiacciono del bene che si sono fatti l’un l’altro; ciò non accade tra due non-amanti poiché essi non sono costretti, ma scelgono. Gli amanti si annullano per gli amati, mentre i non amanti no: i primi sono malati e non sanno dominarsi. Quando noi scegliamo il nostro amato, la scelta è tra pochi (perché pochi ci amano), mentre il non amato sceglie tra molti il più utile. Molti amanti desiderano il corpo prima di conoscere l’anima: dopo averlo ottenuto potrebbero non volere l’amicizia; invece coloro che non sono innamorati anche prima di ottenere il corpo del non amato continueranno ad essergli amico. JANE_EYRE_ 11 Noi miglioreremo ascoltando Lisia, mentre ascoltando le lusinghe dell’amante, sentiremo solo falsità e lusinghe. Lisia non dice a Fedro o a chi l’ascolta di donarsi a tutti coloro che non amano, ma a coloro da cui trarrebbero vantaggio. Socrate è scosso, Fedro sembra lodare Lisia, ma in realtà il discorso è ripetitivo e mal argomentato. Secondo Socrate molti, come Saffo e Anacreonte, hanno fatto di meglio. Socrate sa di non sapere, è come un vaso vuoto, si è riempito di conoscenze sentendole da qualcun altro, si è però dimenticato di chi gliele ha dette. Fedro lo sfida a fare un discorso non più breve di Lisia e non ispirato all’oratore. 4. Platone e i mezzi di comunicazione Platone ragiona sull’opportunità e sull’inopportunità di scrivere. Nel Fedro, Platone va molto oltre, giungendo a negare piena validità a qualunque discorso scritto, attraverso l'aneddoto, costruito artificiosamente, di Theuth e Thamus, narrato a Fedro da Socrate, verso la fine del dialogo. Theuth, dio egizio delle arti e dei mestieri, dalla brillante intelligenza, corrispondente al greco Ermes, si presenta al faraone Thamus, magnificandogli l'utilità prodigiosa della sua ultima invenzione, la scrittura, capace di fissare in eterno le conoscenze umane: Thamus, tuttavia, rifiuta il dono, sostenendo che la forma scritta è in realtà nemica della vera conoscenza, perché il discorso vero è quello comunicato oralmente, capace di incidersi nell'anima di chi ascolta, mentre la parola scritta rimane fissata in una perenne e muta immobilità. Al di là dell'aneddoto, Platone afferma, attraverso Socrate, che solo la comunicazione diretta tra maestro e allievo è capace di innalzare l'anima dello studente verso la vera conoscenza e, nel sostenere il valore della parola orale quale unico mezzo in grado di penetrare nell'anima di chi ascolta, di riflesso nega validità a tutti i suoi stessi scritti, quasi che tutti i dialoghi a noi pervenuti non siano altro che un semplice supporto mnemonico e una pallida copia dell'essenza del pensiero filosofico, cui avevano accesso solo gli studenti al più alto grado all'interno dell'Accademia. Dopo la celebrazione dell'oralità, alla quale il sapiente affida la sua conoscenza, il dialogo si chiude con la preghiera che Socrate rivolge a Pan e alle altre divinità del luogo in cui si trovano lui e Fedro che sempre la bellezza alberghi in lui e lo faccia agire in accordo con la sua essenza. La discussione sui mezzi di comunicazione non riguarda solo la parola scritta, si desume tuttavia la preferenza accordata da Platone alla comunicazione orale rispetto ai testi scritti, sebbene anche nell’oralità esistano problemi di produzione e trasmissione del sapere. È fondamentale il motivo dell’ascolto del vero, lo smarrimento della verità. Spesso, Socrate o i suoi interlocutori portano alla conversazione conoscenze che hanno sentito da altri e che sono rilevanti per il merito della discussione o che prospettano possibilità di soluzione. Tuttavia, i tentativi di impiegare quanto si è udito sono quasi sempre fallimentari. JANE_EYRE_ 12 5. Educazione come conversione. Il mito della caverna nella Repubblica L’idea di orientare l’anima verso la verità è una costante nei libri VI-VII perché la Repubblica è un itinerario di orientamento della coscienza che è rivolta al mondo sensibile. Tale separazione è esemplificata nel mito della caverna: gli esseri umani sono legati in fondo alla caverna col volto rivolto alla parete su cui scorrono le ombre, senza potersi voltare a causa delle catene; tale situazione può cambiare solo se ricevono la possibilità di riorientare lo sguardo (liberazione). Platone immagina gli uomini chiusi in una caverna, gambe e collo incatenati, impossibilitati a volgere lo sguardo indietro, dove arde un fuoco. Tra la luce del fuoco e gli uomini incatenati vi è una strada rialzata e un muricciolo, sopra la strada alcuni uomini parlano, portano oggetti, si affaccendano nella vita di tutti i giorni. Gli uomini incatenati non possono conoscere la vera esistenza degli uomini sulla strada poiché ne percepiscono solo l'ombra proiettata dal fuoco sulla parete di fronte e l'eco delle voci, che scambiano per la realtà. Se un uomo incatenato potesse finalmente liberarsi dalle catene potrebbe volgere lo sguardo e vedere finalmente il fuoco, venendo così a conoscenza dell'esistenza degli uomini sopra il muricciolo di cui prima intendeva solo le ombre. In un primo momento, l'uomo liberato, verrebbe abbagliato dalla luce, la visione delle cose sotto la luce lo spiazzerebbe in forza dell'abitudine alle ombre maturata durante gli anni, ma avrebbe comunque il dovere di mettere al corrente i compagni incatenati. I compagni, in un primo momento, riderebbero di lui, ma l'uomo liberato non può ormai tornare indietro e concepire il mondo come prima, limitandosi alla sola comprensione delle ombre. Nel mito della caverna la luce del fuoco rappresenta la conoscenza, gli uomini sul muricciolo le cose come realmente sono (la verità), mentre la loro ombra rappresenta l'interpretazione sensibile delle cose stesse (l'opinione). Gli uomini incatenati rappresentano la condizione naturale di ogni individuo, condannato a percepire l'ombra sensibile (l'opinione) dei concetti universali (la verità), ma Platone insegna come l'amore per la conoscenza (la filosofia stessa) possa portare l'uomo a liberarsi delle gabbie incerte dell'esperienza comune e raggiungere una comprensione reale e autentica del mondo. 6. Platone e gli interpreti. Lo Ione Platone giudica la poesia dal punto di vista estetico, etico e filosofico-ontologico. Nello Ione, emerge la discrepanza tra pretesa e realtà, si affronta il rapporto tra poeta, interprete e destinatario. Ione viene descritto all'inizio con l'articolo premesso al suo nome, che indica personaggio noto. Tuttavia il personaggio non è noto da altre fonti. Rappresenta in modo emblematico il rapsodo e la sua professione. Il rapsodo per parecchio tempo presso i Greci ebbe il ruolo di recitare le poesie e in particolare i poemi omerici. Recitavano a memoria su una specie di palco, anche con abilità di attori , con attraenti vesti e ben adornati. Dapprima accompagnarono la recitazione dei poemi con il suono della lira; successivamente tennero in mano una verga. Nelle grandi feste partecipavano a JANE_EYRE_ 15 4. Aporia come appello. Il Carmide Questo dialogo si conclude in modo aporetico, e libera dall’illusione di conoscenza apparente, producendo la consapevolezza di un determinato problema. Socrate, la voce narrante di questo dialogo, racconta di essersi recato in una palestra ateniese reduce dalla battaglia di Potidea, colonia calcidica tributaria di Atene. Nel 433 si ribellò al suo dominio e fu attaccata l'anno successivo. Carmide è figlio di Glaucone il vecchio e dunque fratello della madre di Platone. Entrambi, poco meno di tre decenni dopo, faranno parte dei Trenta tiranni. Socrate chiede se fra i giovani ce n'è qualcuno che eccella per sophia e bellezza. Crizia gli indica Carmide. Socrate si dice di bocca buona quanto a bellezza, ma chiede se il ragazzo è bello, oltre che nel corpo, anche nella psyche. Nel dialogo la sophia, analogamente alla bellezza, è trattata come una dote personale, e non come una semplice disciplina teorica. Socrate chiede a Carmide che cos'è la sophrosyne, cioè la temperanza, e vengono date varie risposte: - Moderazione; - Pudore; - Fare; Le risposte non sono soddisfacenti, secondo Crizia la sophrosyne è conoscere sé stessi. Ma se la sophrosyne è una conoscenza - prosegue Socrate - essa dovrà essere episteme (scienza) di qualcosa. Crizia risponde che le scienze non sono tutte uguali. La sophrosyne è caratterizzata dall'essere scienza di tutte le scienze e anche di sé stessa. La sophrosyne così descritta è una scienza che non ha nessun oggetto esterno a se stessa; ma che si occupa di se stessa e delle altre scienze non in quanto dotate di oggetto, bensì in quanto scienze; essendo la scienza della scienza, deve essere in grado di riconoscere anche la mancanza di scienza; ma questo riconoscimento non può fondarsi sul confronto con un oggetto esterno e deve essere riflessivo. Si viene a formare un paradosso. Il dialogo si conclude nell'imbarazzo generale, perché non si è riusciti a trovare una definizione coerente dell'oggetto della discussione. L’uso della aporia si troverà anche nella Repubblica. JANE_EYRE_ 16 5. Unità delle virtù. Il Protagora Le discussioni aporetiche sono senza via d’uscita, mentre il Protagora non è un dialogo aporetico, poiché approda ad un risultato a prima vista positivo, eppure si instillano dubbi e perplessità nel lettore che deve contestare che questo risultato è dedotto sulla base di una discussione in disaccordo con le dottrine socratico-platoniche. Gli interlocutori sono Socrate, Ippia di Elide, Prodico di Ceo, Callia, Alcibiade e Protagora. Apre la discussione Protagora, che afferma essere la sofistica la base del progresso umano e l'unica scienza capace d'insegnare la virtù politica (l'arte di convivere assieme). Socrate avanza dubbi su quest'ultima affermazione e Protagora, per salvare la sua tesi, introduce un mito: Giove diede agli uomini la giustizia e il pudore, fondamento della virtù politica. Questa è quindi una virtù innata e quando la si insegna ai giovani si cerca di farla armonizzare con la virtù in senso generale. Socrate allora chiede se le singole virtù fanno parte della virtù così intesa oppure se ognuna di esse fa parte a sé. Protagora si dichiara per l'indipendenza delle varie virtù. Intervengono gli altri presenti; Callia si schiera con Protagora, Alcibiade con Socrate. Ora l'interrogante è Protagora, che però si slancia in un lungo excursus sulla differenza fra la “difficoltà di diventar buoni” e la “difficoltà di essere buoni”. Socrate, usando le stesse arti di Protagora, gli rivolta il discorso e gli dimostra che “nessuno fa il male volontariamente”; quindi riprende le sue domande e chiede a Protagora se rimanga del parere di prima. Protagora ammette che le varie virtù sono simili fra loro, ma che da esse si differenzia il coraggio. Socrate incalza osservando che anche il coraggio, se non è folle temerarietà, si riconduce alla saggezza con cui l'uomo coraggioso disciplina le sue forze. Quindi la virtù è una e come tale si deve insegnare. In questo dialogo si affrontano importanti aspetti di merito e metodo. Protagora tende al monologo e Socrate entra in un sistema di domande e risposte finalizzato alla verità. Il problema di cosa si debba intendere per virtù rimane, e tornerà nel Menone. 6. Virtù come sapere insegnabile. Il Menone Il Menone è strutturato in sessioni sulla definizione della virtù, sull’insegnamento e l’apprendimento. Menone è allievo di Gorgia, e chiede se la virtù sia insegnabile. Quando Socrate chiede che cosa sia la virtù, dà vari esempi, ma Menone la riduce alla capacità di imposizione dei propri interessi. L’aporia lo costringe a porsi domande sulla possibilità in senso assoluto di una ricerca della verità. Ma come si può ricercare ciò che non si conosce? Ci sono delle conoscenze pregresse nell’anima, che è immortale. La vera conoscenza deve essere acquisita in modo attivo mediante l’insegnamento, ma non passivamente. Ciò è dimostrato con l’esempio di uno schiavo che riuscirà a sapere la lunghezza di un quadrato di cui si raddoppi la superficie. Viene interrogato uno schiavo di Menone che, per sua stessa ammissione, ignora i fondamenti della geometria. Socrate disegna sul terreno un quadrato di due piedi per lato e chiede allo schiavo di trovare la misura del lato del quadrato che abbia area doppia rispetto a quello disegnato (otto piedi quadrati). JANE_EYRE_ 17 Dopo alcuni tentativi, Socrate disegna sul terreno quattro quadrati uguali a quello di partenza, uno a fianco all'altro così che formino un quadrato di lato quattro piedi e di area sedici piedi. Il ragazzo riconosce che il quadrato di partenza è la quarta parte del quadrato così ottenuto. A questo punto riconosce anche che il quadrato ottenuto tracciando una delle due diagonali di ciascun quadrato da due piedi è quello cercato, ossia quello che ha area uguale a otto piedi. Socrate si dimostra soddisfatto ribadendo a Menone che lo schiavo è giunto a questa conclusione da solo, ha solo avuto bisogno di qualcuno che lo aiutasse a ricordare la conoscenza che l'anima aveva già dentro di lui. Questa conoscenza viene acquisita attraverso l’esame critico e la costante formulazione di domande, per mezzo di ricerca e riscoperta. 7. Erotismo e amore platonico. Il Simposio e il Fedro Il tema dell’amore verso i bei giovani e l’eros sono fondamentali per i dialoghi platonici. Alla fine del Simposio, dialogo sull’eros, tutti lodano Socrate e poi si sente bussare alla porta, è Alcibiade. Egli è ubriaco e, dopo una breve schermaglia con Socrate, ne tesse il più splendido elogio. Socrate è come il sileno Marsia, egli col suo flauto incanta i presenti. Egli è come una sirena, per questo Alcibiade deve allontanarsi da lui tappandosi le orecchie, in quanto non sa opporsi a lui. Socrate è come un sileno: ruvido fuori e dentro pieno di sapienza. Cerca di offrirsi a Socrate, ma egli non lo accetta, una volta però lo invita a cena e riesce a farlo dormire presso la sua dimora. Alcibiade è come se fosse stato morso da una vipera e parla della sua esperienza soltanto con chi è stato già morso. Socrate gli ha resistito quando egli gli ha fatto dono della propria bellezza, perché non a questo mirava. Era attratto piuttosto «dalla bellezza in sé, genuina, pura, non mescolata, non incorporata di carni umane, né di colori, né di ogni altra vacuità mortale». Era desideroso di contemplare la «bellezza divina nel suo unico aspetto». Durante il simposio, si discute sulla natura dell’eros: - Fedro: Eros è il più antico tra gli dei ed egli lo dimostra. Esiodo nelle Teogonie afferma che dopo il Caos nacquero Terra e Amore. Essendo l’Eros il più antico genera tantissimi beni: esso ci dà l’amore che prova l’amante per il giovane fanciullo. Secondo Fedro noi ci vergogniamo davanti al nostro amato se compiamo qualcosa di sbagliato: se ci fosse un esercito di amati e amanti, le cose sarebbero organizzate molto meglio. - Pausania: l’Amore non è uno solo ma due, come lo sono le Afroditi: celeste: ama gli uomini e la loro anima; Volgare: questo amore opera a casaccio e ama più il corpo dell’anima. Ci sono diverse leggi d’amore: in alcune zone della Grecia è vietato compiacere agli amanti, ma in realtà qualsiasi cosa se compiuta legalmente non può essere biasimata. Ad Atene però, tutti i comportamenti che le persone biasimerebbero per i loro atteggiamenti, sono perdonati agli JANE_EYRE_ 20 6. Platone e il linguaggio 1. Come spieghi tu questo? Il linguaggio è il fondamento di ogni filosofare, il logos è una sicura zattera sulla rotta della conoscenza. I dialoghi platonici descrivono il corretto rapporto con il logos. Egli ha riflettuto sul linguaggio nel Cratilo e nel Sofista. 2. Convenzione o naturalismo: il Cratilo Il Cratilo è un dialogo dove si cerca di contestare la possibilità di non errare. Il Cratilo prende il nome da un seguace di Eraclito, che aveva radicalizzato le posizioni del maestro e si era molto soffermato sul panta rei: a suo avviso è impossibile dare i nomi alle cose perchè cambiano di continuo. Secondo Cratilo è impossibile conoscere qualcosa che cambia sempre. Quindi in teoria, dal momento che non si possono attribuire nomi, bisognerebbe solo indicare le cose. Platone nel Cratilo effettua un'ampia discussione sulla problematica della lingua. Al tempo dei sofisti vi erano state interessanti considerazioni a riguardo, legate al binomio convenzione e natura. Alcuni sofisti sono del parere che si attribuiscano i nomi in maniera spontanea, secondo natura, come se la natura stessa ci suggerisse la nomenclatura di cui servirsi nei suoi confronti. Altri la pensavano in modo opposto: gli uomini attribuiscono i nomi in maniera assolutamente artificiale, secondo convenzione. Socrate sostiene che le parole abbiano una funzione informativa e distintiva in quanto all’essenza, esse designano un oggetto e lo distinguono dagli altri. Le parole servono come strumenti per l’istruzione e la differenziazione dell’essere. Le parole non sono né costruite in modo artificiale, né in modo naturale, esse sono riproduzioni delle cose che cambiano con l’uso. Bisogna riferirsi alle idee che nascono ed esistono indipendentemente dalle cose sensibili. La convenzione rimane riservata alla forma, l’essenza interiore si riferisce alle idee come l’unico vero essere. 3. Proposizione ed essere. Il Sofista Il Sofista continua il Teeteto, ed è legato al Politico. Gli interlocutori sono Teodoro e Teeteto, due matematici. Tema guida del dialogo è la distinzione del sofista dal filosofo. Il sofista si rivela un’artista dell’inganno che dà una falsa impressione di sé. Nel Sofista, Socrate come da accordo nel Teeteto si incontra con Teodoro e i suoi allievi per continuare la discussione del giorno addietro. Teodoro ha però portato con sé un ospite, uno straniero originario di Elea che dimostra di avere tutte le doti del filosofo. Socrate acconsente a rendere partecipe l'ospite della discussione, e gli pone una richiesta: cercare di trovare una definizione per le parole "sofista", "politico" e "filosofo". Lo Straniero decide di condurre l'indagine con il metodo diairetico, aiutato dal giovane Teeteto lì presente, cercando inizialmente la definizione di un tipo umano più semplice da illustrare, il "pescatore con la lenza", per poi spostarsi su quella più complessa del "sofista". Vengono passate in rassegna sei definizioni del sofista, nessuna delle quali risulta esaustiva. Lo Straniero passa ad elaborare una settima JANE_EYRE_ 21 definizione che colga più da vicino l'aspetto illusionistico del "logos sofistico, concentrandosi sul tema della tecnica mimetica che produce immagini difformi dalle cose rappresentate. Sarà proprio in questo contesto che lo Straniero e Teeteto si imbatteranno nel problema del non essere: come può un'immagine essere la raffigurazione di ciò che non è? Da questa domanda ha inizio la sezione centrale del dialogo, dedicata alla discussione delle tematiche inerenti all'essere e il non essere. 7. L’antropologia 1. L’uomo, una pianta celeste L’uomo è un essere dotato di corpo e anima. Secondo Omero l’anima è un soffio vitale che abbandona l’uomo come fumo al momento della morte. Il pitagorismo parlava di una reincarnazione dell’anima, mentre i presocratici collegano la questione dell’essenza dell’anima a riflessioni sull’inizio e l’origine delle cose. Per Platone, l’uomo è stato plasmato con lo sguardo al modello cosmico ed è costruito in modo analogo a questo anche l’universo. L’uomo si distingue dal cosmo in quanto il corpo umano è transeunte in modo diverso rispetto ai corpi celesti. L’anima umana stabilisce col corpo una relazione temporanea da cui emergono differenze dovuto a durata e intensità con cui l’anima ha contemplato le idee prima della reincarnazione. 2. La natura dell’anima Platone riprende la teoria dell’anima di matrice orfico-pitagorica nel Fedone, ma nel Fedro e nella Repubblica ne formula una sua. Egli rifiuta la contrapposizione antitetica anima-corpo: il desiderio, dunque, è parte integrante dell’anima, non è una prerogativa del corpo. All’interno dell’anima coesistono diversi centri motivazionali ognuno dei quali cerca di avere la meglio sugli altri. Nella Repubblica, Platone, per bocca di Socrate, ha il compito di difendere l’idea secondo cui solo la vita giusta genera felicità, dagli attacchi dei suoi interlocutori: Trasimaco, Adimanto e Glaucone. Essi sostengono, al contrario, che solo la vita ingiusta può realizzare la felicità perché solo vivendo ingiustamente si può realizzare il bisogno di imporsi sugli altri sopraffacendoli. Allora, Socrate enuncia una teoria dello stato secondo la quale gli uomini non si riuniscono in una società per paura l’uno dell’altro, ma per il bisogno che hanno l’uno dell’altro, in quanto ogni membro della società è chiamato a svolgere il suo ruolo specifico in base alle sue doti naturali. Le figure principali saranno: - il contadino; - il muratore; - il tessitore; - il commerciante; JANE_EYRE_ 22 Nonostante in questa società non si incarni ancora la virtù della giustizia, perché l’unione dei soggetti umani è suggerita dalla necessità di rispondere a bisogni primari, vi è una pallida anticipazione di questa virtù. Tale traccia di giustizia corrisponde alla distribuzione del lavoro secondo le capacità naturali dei soggetti umani. Socrate osserva che dall’associazione degli uomini nasceranno altre necessità ed esigenze cui bisognerà rispondere e la città primitiva si trasformerà in una città gonfia di lusso, in cui si riproporrà l’ideale della sopraffazione. Entreranno in scena altre figure sociali: - i cuochi; - i medici; - gli addetti alla cosmesi femminile; - una nuova casta di soldati; Secondo Platone, proprio dalla nuova casta militare, i guardiani, nascono le condizioni per trasformare la città gonfia di lusso in una città giusta. Attraverso un processo educativo specifico che ha lo scopo di formare i futuri governanti della città, in questa casta cominciano a distinguersi due sottogruppi: - gli arconti, che per natura sono portati a comandare; - i soldati, il cui compito è quello di difendere i confini della città. La società sarà così ripartita in tre ceti: produttori (contadini, calzolai, muratori, tessitori…), soldati e arconti. A questo punto, Socrate verifica se il concetto di giustizia valido per la città, secondo cui è giusto «fare ciò che è proprio» secondo l’inclinazione naturale, è valido anche per l’anima. Tale concetto può essere applicato all’anima in virtù dell’“isomorfismo” tra anima e città: come la città si divide in tre gruppi sociali, così nell’anima si distinguono tre centri motivazionali. L’anima non è qualcosa di unitario. L’uomo è corpo (dimensione sensibile) e anima ( dimensione non sensibile della sua personalità). L’anima è tripartita in: - anima concupiscibile (temperanza) - anima irascibile (fortezza) - anima razionale (sapienza) L’anima concupiscibile e l’anima irascibile premono per un rapporto diretto dell’uomo con l’universo sensibile, l’anima razionale lo sollecita invece a disciplinare la concupiscenza (temperanza) e l’irascibilità (fortezza) al fine di una conoscenza superiore (sapienza) e di una condotta equilibrata (giustizia). JANE_EYRE_ 25 Questa analogia è collocata nel punto centrale della Repubblica, il dialogo più famoso di Platone. Il senso della sua presenza è di illustrare il rapporto tra il principio di tutte le cose (Bene in sé) e l’essere generato dal principio. Socrate spiega che senza riferimento ad un’esperienza reale di questo Bene in sé non sarebbe possibile governare una comunità giusta e armonica. Non è possibile realizzare nulla di quello che Socrate ha accennato riguardo alla costituzione della comunità retta secondo giustizia. Questa analogia è seguita da altre due immagini: - La linea che illustra le varie forme di conoscenza nel loro rapporto con il Bene; - La caverna che illustra la condizione degli esseri umani rispetto alla vera conoscenza e alla formazione che porta ad essa; La Repubblica è un dialogo in cui si caratterizza la struttura della comunità giusta, ma il centro d’attenzione è la giustizia nell’anima. Parte da un incontro tra Socrate ed alcuni interlocutori in cui si avvia una discussione sull’essenza della giustizia, questa discussione si arena e Socrate allora propone di facilitare il confronto ricorrendo ad un approfondimento di ciò che è l’analogo dell’anima in una prospettiva più ampia: la comunità.  Analogo: che vive secondo gli stessi principi ma in un’altra dimensione di realtà. Il governo di una comunità che manifesta la giustizia non è identificato con qualcosa di astratto, ma con esseri umani concreti che in quanto individui hanno compiuto un percorso che porta a manifestare la giustizia in modo pieno. Se non ci fossero tali individui nessun ordinamento potrebbe realizzare quello che si propone di esporre Socrate. Al centro dell’attenzione è il percorso dell’uomo per raggiungere l’esperienza che gli consenta di praticare la giustizia, il cui culmine è la percezione del Bene in sé. Per capire cosa ha a che fare il bene con il sole: - Passo del Timeo 29e-30a in cui Platone spiega perché il demiurgo ha creato l’universo: il Dio era buono e in chi è buono non sussiste mai invidia di qualcuno o di qualche cosa. A partire dall’assenza di invidia, il Dio volle che tutte le cose fossero il più possibile simili a lui. Cosa è essere buono? Consiste nel volersi comunicare. L’essere buono del demiurgo è consistito nel comunicarsi in quanto essere buono, in ciò consiste l’assenza di invidia. Il Bene non è un geloso possesso ma lo vuole comunicare: condividere! L’essere buono è qualcosa che si dona, si comunica liberamente, senza condizionamenti. Il Bene e l’essere buono consiste nella relazione. Proprio perché tale comunicazione è libera, non implica una riproduzione (l’opera del demiurgo non è condizionata dal voler affermare la sua identità), ma l’universo viene prodotto come realtà autonoma (34b), sussiste da solo ed è pienamente cosciente di sé. Il comunicare il Bene non implica la produzione di qualcosa che riproduce la sua identità, ma implica la generazione di qualcosa che è auto-sussistente e dotato di coscienza di sé. JANE_EYRE_ 26 Il carattere fondamentale del dono di sé è la libertà. Per comunicarsi veramente questo Bene, deve comunicare anche la sua piena autonomia ciò che genera è autonomo rispetto a chi lo genera. Il Bene e l’essere buono è ciò che non può essere pensato senza relazione con un essere autonomo che si manifesta a partire dal dono di sé. Come il sole non può essere pensato senza il manifestarsi incondizionato come luce, così non ci sarebbe il bene senza il suo manifestarsi come essere. 9. La dottrina dei principi 1. Dialogo scritto e riflessione orale sui principi Platone ha un atteggiamento critico verso i testi scritti, si pensa che il filosofo abbia continuato a discutere oralmente sulla dottrina delle idee. Platone si è sforzato a ricondurre il tutto a delle cause prime e a pochi principi fondamentali, come emerge nella Repubblica, nel Sofista, nel Politico e nel Timeo. In queste opere si parla di principi supremi e di supremi oggetti di conoscenza, ma si allude al fatto che non si possano effettuare indagini che giungano più in profondità. 2. Unità e molteplicità. Un tentativo di ricostruzione Ci sono delle testimonianze di dottrine non scritte, come quelle lasciate da Aristotele. La dottrina dei principi rappresenta una protologia, ovvero una dottrina sui primi fondamenti dell’essere. Platone voleva abbozzare una teoria degli elementi per giustificare l’esistenza delle idee. Platone si preoccupa di trovare dei principi da cui muovano le unità. Le unità hanno due movimenti: - Movimento di induzione dalla molteplicità dei fenomeni ai principi attraverso le idee; - Movimento di deduzione che dai principi discende per gradi fino ai fenomeni; I due principi sono: - L’Uno: è responsabile della determinazione, univocità e stabilità delle cose; - Principio del grande e del piccolo (diade illimitata): il principio è aperto da entrambi i lati, cioè è soggetto a diminuzione e incremento, ha la funzione di giustificare ciò che nelle cose è biunivoco e indeterminato; L’Uno è identificato con il Bene, causa di forma e limitazione, il principio della diade illimitata è causa di indeterminatezza, ovvero fondamento del male. I due principi costituiscono gli elementi in cui consistono le idee, i numeri e tutte le altre cose. JANE_EYRE_ 27 3. L’insegnamento orale come complemento al dialogo scritto Sono pervenute testimonianze che riferiscono un’ulteriore discussione dell’autore dei problemi sollevati nella discussione verbale. Esisteva un altro insegnamento platonico parallelo ai dialoghi e ciò nell’antichità non era giudicato un problema. 10. La filosofia pratica 1. Etica e politica Platone si chiede sempre come debba comportarsi l’uomo; l’etica è collegata a condizioni ontologiche, gnoseologiche e cosmologiche. 2. L’eudaimonia è fattibile È la felicità il criterio per le scelte di vita. Le azioni non sono valutate da Platone come imperativi che includono il proprio obiettivo, sono giudicate in base alle loro conseguenze e al vantaggio per la felicità. Anche Socrate individua il fine di ogni azione in ciò che è bene per se stessi. L’obiettivo della felicità è auspicabile, ma anche raggiungibile, come rivela l’espressione di saluto che utilizza Platone, che significa “fa bene” e anche “sta bene”. 3. Socrate vero politico nel Gorgia Uno dei temi importanti del dialogo è la retorica, specialmente nel dialogo tra Socrate e Callicle, dove è in primo piano la domanda sulla condotta morale. La condotta retta è accentuata dall’alternativa tra politica e filosofia. Essi discutono di svantaggi e vantaggi della vita politica, difesa da Callicle, e di quella filosofica, difesa da Socrate. - VITA POLITICA: stile esistenziale che ha come riferimento il senso comune e l’imposizione dei propri interessi; - VITA FILOSOFICA: fondamenti paradossali alla concezione comune; Per Socrate, felicità e tornaconto sono criteri di condotta retta, come per Callicle, ma egli trasforma queste istanze tradizionali mettendo al centro l’anima del soggetto agente e interiorizzando il concetto di felicità. Da proprietà delle azioni, per Callicle, la felicità, per Socrate, è una qualità dell’anima del soggetto. Essa non dipende da circostanze esterne, ma dimora nell’anima umana. Felicità e infelicità si misurano sul beneficio e sul danno arrecati ad essa. 4. Da Atene a Callipoli. La Repubblica Essa è l’opera principale di Platone, dove viene abbozzato l’idea di uno stato ideale, Callipoli. Quest’opera è letta come manifesto della filosofia politica di Platone, in realtà essa ha per oggetto la giustizia come fondamento di una condotta morale individuale che conduce alla felicità personale. JANE_EYRE_ 30 Anche nelle Leggi, la sovranità di queste è accettata come una delle migliori soluzioni, ovvero la seconda. Il tema di quest’opera sono le leggi, che sono considerate incarnazione della ragione e operano attraverso l’accettazione volontaria, non con la coercizione. Lo Stato platonico è teonomo. Quest’opera analizza i fondamenti della legislazione e collega queste riflessioni a prescrizioni concrete. La Magnesia platonica è una città cretese calata nel tempo e nello spazio, un concreto schizzo costituzionale. Essa è una variazione dello Stato perfetto, dove il tema dell’educazione rimane centrale. Il compito di regolare la vita reale è dato dalle norme scritte, nonostante vi sia un governo di filosofi. 11. L’osservazione della natura come terapia dell’anima 1. Natura ed etica. Il Timeo La cosmologia di Platone è legata a norme etiche, il testo centrale per quest’ultima è rappresentato dal Timeo, il cui sottotitolo è “della natura”. Platone introduce il dialogo come la continuazione di un dibattito che si era svolto il giorno precedente e al quale prendono parte Crizia, Timeo di Locri, Ermocrate e Socrate i quali discutono sugli argomenti che affronteranno quel giorno, definendo quindi i temi centrali dell'opera. Dopo il prologo, Platone presenta la sua riflessione intorno alla costituzione del cosmo e alla realtà naturale. Egli vuole spiegare come sia analizzabile e descrivibile il mondo sensibile, ciò non è possibile attraverso la scienza naturale che genera un sapere congetturale e probabile, non giungendo ad una verità assoluta. Al centro del mito cosmologico di questo dialogo c'è la figura del demiurgo, il divino artefice che ha dato forma e inizio all'universo e che ha un'intelligenza ordinatrice con lo scopo di raggiungere la perfezione ideale. Il mondo è nato come un tutto ordinato a cui è stata aggiunta un’anima così come al corpo umano. Il demiurgo è simbolo dell'intelligenza e del finalismo che vi è nell'universo, mentre la materia esprime la resistenza, la casualità che la ragione incontra nella spiegazione della formazione del mondo corporeo; utilizza forme geometriche per adattare allo spazio i quattro elementi e generare il mondo dei corpi. Il demiurgo non è un dio onnipresente in senso cristiano, egli produce qualcosa da una materia preesistente, la quale gli oppone una certa resistenza, chiamata da Platone “necessità”. Per Platone, il mondo è l’unico essere affine al modello originario, esso è una sfera perfetta che si muove in cerchio su se stessa. Esso è attraversato dall’anima cosmica che lo avvolge tutto intorno. L’anima cosmica è collocata tra il mondo intelligibile e il mondo sensibile, ha una posizione intermedia tra ciò che è eterno e transeunte. Il demiurgo plasma un’immagine variabile grazie al tempo. I creatori incaricati dal demiurgo di plasmare l’uomo creano un uomo la cui anima aspiri a imitare l’anima cosmica e a riconfluire in essa dopo un ciclo di reincarnazioni. JANE_EYRE_ 31 3. Cosmologia come terapia. Due modelli di vita Nel cosmo, come nell’anima umana, deve dominare la ragione. Se c’è ordine e armonia tra corpo e anima, allora il corpo e l’anima sono in salute. Altrimenti, si ammalano. La malattia di anima e corpo è guaribile, bisogna ristabilire la natura originaria del corpo, e quella dell’anima imitando l’ordine divino che si nasconde come struttura intelligibile dietro ai fenomeni. Solo allora si ha un’approssimazione a Dio  il processo di guarigione è possibile poiché l’uomo è una pianta celeste le cui radici affondano nei cieli. La filosofia naturale serve all’assimilazione dell’uomo alla struttura divina del mondo, che lo conduce ad una vita felice ed eccellente. 4. L’uomo come parte della natura La filosofia della natura è molto importante per Platone, essa rende possibile all’anima di trascendere il mondo del divenire. L’osservazione dell’ordine insito nella natura può provvedere a quello dell’anima, che è presupposto di una vita retta, in sé e nei confronti della comunità. 13. La vita morale secondo Platone 1. L’antica controversia sul piacere e sulla ragione Platone vuole distinguere le condotte morali buone da quelle cattive. La sua filosofia, proprio per la pretesa di una cura dell’anima, si contraddistingue come un’arte del vivere. Secondo Platone occorre conoscere ciò che è realmente utile e ciò che è buono soltanto in apparenza, e distinguere il bene dal male quando si trovano mescolati. Per Socrate, il piacere non è un criterio, non rappresenta un principio adeguato, poiché per valutare ciò che è piacevole o fastidioso, in realtà servono misura e conoscenza. 2. Filebo o la riabilitazione del piacere In questo dialogo affiora la discussione sulla priorità del piacere o della ragione per la condotta morale. Si riuniscono e approfondiscono concetti dell’antica disputa e si aggiungono nuove prospettive. Nel Filebo, Platone intende stabilire che cosa e il bene per l’uomo. La vita umana come tale sarà una vita mista, di piacere e intelligenza; e tutto sta a rendersi conto della misura, della giusta proporzione in cui essi devono mescolarsi insieme per costituire la vita propriamente umana. Il piacere è un illimitato e bisogna imporre un ordine, di cui sarà causa l’intelligenza. Devono inoltre far parte della vita solo i piaceri puri, dovuti alla contemplazione delle belle forme. La gerarchia dei valori viene allora stabilita così: ordine, misura; ciò che è proporzionato, bello e compiuto; l’intelligenza come causa della proporzione e della bellezza; la scienza e l’opinione; i piaceri puri. JANE_EYRE_ 32 Il Filebo pone esplicitamente la questione dell’esistenza virtuosa e ne inquadra la problematica: vivere rettamente presuppone la somma di visione, di vivacità, godimento, piacere, serenità, che portano all’armonia. 13. Ricezione Platone si colloca all’inizio della metafisica europea e segna profondamente la sua storia. Ogni epoca ha il suo Platone, secondo Whitehead la conoscenza della filosofia europea corrisponde a delle note in calce alla filosofia platonica. Sin dalla sua epoca, presso l’Accademia, vi era confronti critici in merito al filosofo. I primi due capiscuola dopo Platone, Speusippo e Senocrate, si occuparono del perfezionamento della teoria dell’essere. L’Accademia di mezzo da Carneade in poi interpretò il carattere aporetico dei dialoghi platonici come un invito a giudicare con scetticismo. Con Filone di Larissa l’astensione scettica acquisì un ruolo importante. La storia dell’Accademia successiva al I secolo a.C non è documentata. Nell’86 a.C., durante l’assedio di Atene da parte di Silla, il boschetto della scuola venne distrutto. Quando Cicerone, nel 79 a.C, visitò il luogo, non si tenevano più attività filosofiche. A partire dal I secolo, accanto alla diffusione dell’aristotelismo, si diffonde il medioplatonismo, periodo che giunge fino ad Ammonio Sacca, maestro di Plotino, legato ai nome di Gaio, Albino, Apuleio, Attico e Plutarco di Cheronea. I Medioplatonici volevano ridurre a sistema le trattazioni di Platone. Nel II secolo si diffuse il neoplatonismo, il cui iniziatore fu Plotino, e gli altri appartenenti Porfirio, Giamblico e Proclo. Plotino riprende il sapere di Platone concentrandosi sul cosiddetto Uno, ciò che permette ad ogni essere di ricevere la sua perfezione. L’Uno si effonde come emanazione sui successivi gradi ontologici dell’intelletto e dell’anima interpretati come ipostasi e fino alla materia. Platone venne recuperato anche nell’interpretatio Christiana e nel Medioevo. Autori cristiani come Ambrogio, Mario Vittorino, Agostino e Boezio furono influenzati dalla filosofia platonica. Anche durante il Rinascimento ci fu un forte ricorso a Platone, in particolare al neoplatonismo. La discussione sull’epoca platonica riguarda Giorgio Gemisto Pletone, Giorgio di Trapezunte e il Cardinal Bessarione. Nel 1424, l’Aurispa porta gli scritti platonici in Occidente. Nel 1484 ci fu la prima traduzione latina del Ficino. Dal XVI al XVIII secolo, il platonismo prese piede in Inghilterra grazie a Erasmo, Tommaso Moro, Edmund Spenser, e i Platonici di Cambridge. Dal XVIII secolo, grazie a Rousseau e a Shaftesbury emersero nuovi aspetti della filosofia platonica. Tra il XIX e il XX secolo si cercò di ricercare il Platone storico e di separarlo dai suoi interpreti neoplatonici. Questa evoluzione sfocia nell’introduzione, tuttora normativa, di Schleiermacher. Attualmente la filosofia e l’opera di Platone sono ancora controversi e oggetto di discussione.
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