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Riassunto di "Freud e la psicologia dell'arte" di E. Gombrich, Schemi e mappe concettuali di Psicologia Della Percezione

Riassunto completo di "Freud e la psicologia dell'arte" di E. Gombrich per il corso da 6 CFU di Psicologia dell'arte della prof.ssa C. Tartarini, a.a. 2022-23.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2022/2023

Caricato il 17/05/2023

Carolinab1998
Carolinab1998 🇮🇹

4.6

(139)

63 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto di "Freud e la psicologia dell'arte" di E. Gombrich e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Psicologia Della Percezione solo su Docsity! Gombrich Freud e la psicologia dell’arte Capitolo 1 – Freud e l’arte Freud guardò l’arte e la letteratura con gli occhi di Goethe e Schopenhauer, aveva una concezione di arte che caratterizzava i “vittoriani” più colti dell’Europa centrale, tuttavia egli ebbe una funzione determinante nel distruggere questa tradizione. La sua “scoperta” della pittura viene descritta in una lettera scritta dopo aver visitato la Pinacoteca di Dresda nel dicembre del 1883: ➢ rimane infastidito dalla bruttezza dei lineamenti delle figure della Madonna di Holbein, ma reputa che la Vergine abbia un aspetto sublime ➢ è invece molto affascinato dalla Madonna Sistina di Raffaello, dove la Vergine invece è una giovinetta che guarda il mondo con innocenza e vivacità ➢ l’unico quadro che l’ha realmente entusiasmato era il Cristo della moneta di Tiziano, nella cui raffigurazione non trova però nulla di divino: Cristo ha un nobile volto umano, tutt’altro che bello, ma pieno di serietà, sincerità, profondità Nel XIX secolo, la priorità veniva attribuita al “contenuto spirituale” di un quadro: la bravura di un artista veniva valutata in base al modo in cui aveva raffigurato azioni e personaggi sacri, e il compito del critico era quello di mettere in luce queste sottigliezze. → Il colore distraeva la mente dal contenuto spirituale del dipinto. → L’interesse per il contenuto spirituale faceva sì che l’elemento religioso insito nel patrimonio artistico del passato non poteva essere respinto da coloro che volevano sentirsi parte della cultura del tempo. Il Louvre aveva lasciato Freud più freddo, del museo aveva apprezzato soprattutto le sale assire ed egiziane: lo affascinava l’aura onirica di queste immagini, tanto che qualche tempo dopo iniziò a collezionare oggetti d’arte antichi e del Vicino Oriente. Per Freud furono anche molto importanti le sue brevi gite in Italia, dove non si limitò a visitare le consuete tappe (Italia settentrionale, Toscana), ma si diresse anche a Roma. Compì anche un viaggio in Grecia, visitando Atene nel 1904, dando prova del suo interesse per l’arte e la civiltà greche (N.B. all’epoca era un’impresa viaggiare così lontano). Freud, durante il soggiorno a Roma nel 1907, visitò Villa Borghese, dove poté osservare Amor sacro e amor profano di Tiziano, ritenendo che il titolo fosse privo di senso e che fosse sufficiente che il quadro fosse bello → è con sorpresa che si scopre che Freud non condivideva il gusto di individuare il significato simbolico delle allegorie del Rinascimento che invece prosperò nelle sue stesse ricerche: i simboli per lui erano adatti solo al gabinetto di consultazione, in Tiziano cercava solo la bellezza. Freud inoltre “psicanalizzò” Leonardo, nella sua monografia del 1910 analizzò la Monna Lisa e la Sant’Anna come se fossero le fantasie di un paziente. Tuttavia partì da un presupposto errato riguardo un ricordo d’infanzia dell’artista, perché da un errore di traduzione da parte di Marie Herzfeld pensò che Leonardo, ancora in fasce, avesse avuto un incontro ravvicinato con un avvoltoio e non con un nibbio. → Da qui partì per sviluppare dei ragionamenti sul simbolismo egizio, portando anche a individuare la sagoma dell’avvoltoio nelle pieghe della veste di Maria. → Tour de force fondato su erronee premesse, tuttavia lo stesso Freud considerava tale suo studio come una “fantasia mezzo romanzesca”. Inoltre tale fantasia era frutto delle sue riflessioni basate anche su un racconto storico, Il romanzo di Leonardo da Vinci di Merezkovskij, in cui viene anche narrata una situazione edipica (Leonardo da giovane usciva furtivamente dalla casa paterna per andare a trovare la madre, anche di notte, infilandosi sotto le sue coperte). → Secondo Freud, la Sant’Anna documentava la storia della fanciullezza di Leonardo, in quanto in casa del padre quest’ultimo aveva trovato non solo una matrigna ma anche una nonna. Tuttavia, l’immagine della nonna si era fusa con quella della vera madre Caterina. → Leonardo ebbe quindi due madri, e questo spiegherebbe la genesi del dipinto. Freud dette sempre per scontato che quello che si deve cercare nell’opera d’arte sia il massimo contenuto psicologico delle figure stesse, come si può ben notare nel suo studio sul Mosè di Michelangelo. → Freud si recò a San Pietro in Vincoli ogni giorno per 3 settimane durante il suo soggiorno a Roma nel 1912, con la volontà di indagare perché la statua stesse seduta proprio in quella posizione. → Jones aveva ipotizzato che la concentrazione di Freud per il patriarca irato fosse dovuta alle tensioni sperimentate in seno alla Società Psicanalitica. Jones inoltre riporta che il pittore preferito di Freud fosse Rembrandt (artista che predilesse scene dell’Antico Testamento e che studiò modelli ebrei con interesse e simpatia). Ulteriore conferma del carattere conservatore della concezione freudiana dell’arte la si trova nei giudizi di Freud sull’arte a lui contemporanea. Nel 1920 Pfister inviò a Freud un opuscolo sulle basi psicologiche e biologiche della pittura espressionista, in cui propone di affrontare il problema attraverso la psicoanalisi, associando l’artista con i suoi disegni, che vengono trattati come sogni. Pfister deduce che l’artista espressionista è un tipo autistico, introverso, prigioniero delle proprie repressioni. → La risposta di Freud è che tali individui non possano pretendere al titolo di artisti. La sua posizione s’irrigidì ulteriormente un paio d’anni dopo, quando Karl Abraham gli aveva inviato un disegno fatto da un artista espressionista e Freud sostenne che artisti del genere sono nati con innati gravi difetti della vista. Solo 16 anni dopo, nel 1938, Freud accettò di incontrare uno di questi artisti moderni, Salvador Dalì. → Fino a quel momento, Freud aveva considerato i Surrealisti dei folli, tuttavia sostenne che sarebbe stato interessante esplorare analiticamente le origini di tale pittura, anche se il concetto di arte resiste al fatto di essere esteso oltre il punto in cui il rapporto quantitativo tra materiale inconscio ed elaborazione preconscia non è mantenuto entro certi limiti (per questo motivo sostenne che l’Espressionismo e il Surrealismo fossero non-arte). Nelle sue Psychoanalitic Explorations in Art (1952), Ernst Kris indicò che nel libro di Freud sul motto di spirito è contenuta la spiegazione della creazione artistica secondo le linee freudiane, ed è questo modello che Freud allude quando parla di mantenere entro certi limiti il rapporto quantitativo tra il materiale inconscio e l’elaborazione preconscia. ➢ La formula usata da Freud sul motto di spirito è: “un’idea preconscia è esposta per un momento all’influenza dell’inconscio”; ciò che il motto di spirito deve all’inconscio non è tanto il contenuto quanto la forma, la condensazione quasi onirica di significato caratteristica del processo primario (quello in cui le impressioni e le esperienze della nostra vita da svegli sono mescolate in combinazioni imprevedibili). → Nel motto di spirito, l’Ego usa il processo primario per investire un’idea di un fascino particolare, facendo diventare un pensiero indecoroso/brutale accettabile e addirittura gradito (es. “Is life worth living?” “It depends on the liver”, nella risposta affiorano in superficie idee preconsce, non totalmente represse e quindi accessibili al pensiero cosciente). → Nel motto di spirito c’è dunque un equilibrio tra l’elaborazione preconscia e quella inconscia. ➢ Il processo primario è comune a ogni intelletto: Freud liquida Espressionisti e Surrealisti come matti perché confondono tale processo con l’arte. Tuttavia non lo convinceva il fatto che la maestria di questi artisti fosse stata usata per dare a un’idea preconscia (quindi comunicabile) una struttura derivante da meccanismi inconsci. Gombrich discute poi sulla possibilità di applicare il modello freudiano del motto di spirito ad altre forme di creazione artistica, in quanto tale modello spiega l’importanza sia del mezzo, sia della capacità di padroneggiarlo. → I giochi di parole non vengono fabbricati, sono bensì scoperti nel linguaggio, e il processo primario facilita tale scoperta attraverso il suo rapido andirivieni di associazioni. → Il bambino prova piacere nel giocare con il linguaggio perché tale piacere è funzionale alla padronanza del linguaggio stesso: sperimentando con parole e sillabe senza senso, l’Ego acquista il controllo e la padronanza del processo primario e impara a selezionare o respingere le formazioni che emergono dall’inconscio. → In questo caso c’è un affinità con il poeta che si diletta a giocare con le parole (la ricerca della rima dà un senso di finalità e di soddisfazione alla ricerca del pensiero). Freud tacciò di pazzia la negazione di realtà, l’incapacità di adeguarsi ad essa: nel mondo dell’arte non cercava solo il contenuto inconscio di impulsi biologici e memorie infantili, anzi insisté sul grado di adeguamento alla realtà, l’unico elemento in grado di trasformare un sogno in un’opera d’arte. Espressionismo = centrifugo Influenza del linguaggio sul messaggio (motto di spirito) = centripeta • un pensiero inconscio turba l’artista nel suo intimo e viene espulso verso l’esterno per mezzo dell’arte, turbando così anche la mente del pubblico • la forma è un involucro per i contenuti inconsci che il consumatore libera dall’involucro e scarta → Freud invece ritiene • Pasternàk: “la priorità non è più dell’uomo né dello stato d’animo che egli cerca di rendere, ma del linguaggio con cui vuole esprimerlo” • il rapporto tra contenuto e forma si capovolge: è il mezzo ad essere attivo e ad esprimere i pensieri, l’opera d’arte è affrancata dalla che sia l’involucro a determinare il contenuto: solo le idee inconsce che possono essere adeguate alla realtà delle strutture formali divengono comunicabili → il codice genera il messaggio soggettività e viene collocata in un contesto obiettivo In arte esiste l’elemento della “culla di spago”, un’immagine utilizzata per esprimere il concetto che l’arte nasce dall’arte, che il giovane artista subentra nel gioco ai suoi predecessori introducendovi poi delle variazioni. Nelle società occidentali, l’arte è diventata una sorta di gioco di società tra gli artisti e lo schema che emerge ad ogni mossa deve almeno altrettanto alle mosse compiute in passato quanto alle ingegnose variazioni introdotte dall’attuale giocatore. Nel capitolo introduttivo delle Psychoanalitic Explorations in Art, Kris attirò l’attenzione sullo sviluppo dell’arte nell’ambito di una data situazione-problema alla quale l’artista si adegua e contribuisce. Quelli che riguardano la “culla di spago” sono problemi reali, che sono imposti dalla situazione e non dall’umore o dalle esperienze infantili dell’artista. In una conferenza sull’arte moderna, Paul Klee descrisse i molti elementi (linea, colore, forma) coi quali l’artista crea il proprio ordine. La loro importanza è anche decisiva in senso negativo, poiché sono essi a decidere se un certo contenuto possa rimanere inesprimibile nonostante la più favorevole disposizione psicologica. L’artista, in quest’ottica, è un creatore di strutture che trasferisce l’elemento primo in un ordine superiore. Secondo la teoria centrifuga dell’espressione artistica, l’artista sa da sempre inconsciamente quale oggetto sarebbe emerso e tutta la complicata pretesa di costruire una struttura formale non è altro che una razionalizzazione che nasconde all’artista e al suo pubblico quello che veramente accade. Invece la teoria centripeta freudiana del motto di spirito attribuisce il debito peso all’aspetto del gioco, al piacere infantile di sperimentare varie combinazioni e permutazioni. Sostenere che lo sperimentatore sapesse già prima quale combinazione sarebbe stata utile ai suoi fini sarebbe poco realistico, così come il pittore può non essere in grado di prevedere i risultati. ↓ Il genio di un artista e la sua preparazione lo portano a scegliere un tema che si presta al suo obiettivo e a scartare le alternative che si sarebbero risolte in sviluppi meno interessanti, ma egli sarà sempre in debito con le convenzioni del suo tempo e con la padronanza che egli ne ha. → Le possibilità strutturali della “culla di spago” possono portare alla luce uno stato d’animo o un’esperienza che sarebbero rimasti dormienti nell’artista se non ci fosse stato questo suggerimento. L’artista sperimenta, gioca e va alla ricerca di nuove scoperte (del linguaggio se è della rappresentazione, anche se lo spettatore è aiutato nella lettura del dipinto dalle rime visive che guidano l’occhio nella costruzione del quadro. Alla generazione di Raffaello la Venere di Botticelli deve essere apparsa più simbolica che vera. 4) Probabilmente anche la Galatea di Raffaello avrà fatto a sua volta lo stesso effetto a una generazione posteriore che aveva già visto l’Europa di Tiziano, in cui il gioco di luci, l’impeto del movimento, i dettagli (es. le compagne di Europa che corrono verso la spiaggia a sinistra), il corpo di donna tangibile lasciano pensare che l’artista potesse contare su un pubblico pronto a superare queste difficoltà di lettura. Ricapitolando: negli 80 anni che separano Botticelli da Tiziano l’abilità era cresciuta in modo impressionante, e si trattava di un’abilità non solo di rappresentazione, ma anche nel ricavare un senso di simboli rappresentazionali. → Ernst Kris fu il primo a parlare di un atteggiamento estetico nei confronti della pittura, il quale comporta una reazione “di scarica”: l’intenditore desidera identificarsi con l’artista e vuole creativo anche lui facendosi guidare dall’artista stesso. ↓ Questa visione psicoanalitica aiuta a spiegare evoluzioni rapide come quelle appena esaminate. Troppo spesso l’evoluzione degli stili e dei modi della rappresentazione sono considerati risultato di un crescere organico, di un’evoluzione. Tuttavia oggi comprendiamo come questa conclusione verosimile sia però superficiale: un’arte matura può crescere solamente entro i limiti di un’“istituzione” (= contesto sociale di un determinato atteggiamento estetico); quando viene meno questo contesto, la rappresentazione in breve tempo ricade nella più primitiva (e più leggibile) forma dell’immagine concettuale / ideografica (v. confronto tra la Venezia di Tiziano e la Londra di Shakespeare: il pubblico di Shakespeare non era più primitivo di quello di Tiziano, tuttavia nessuno dei suoi componenti sarebbe stato in grado di dipingere un quadro complesso come quello di Tiziano). Nella sfera della pittura il rapporto estetico crea una maggiore libertà, es. il contenuto erotico di Europa è assorbito nella ri-creazione (= procedimento estetico di sensazioni comunicate): l’intensificarsi della partecipazione attiva dello spettatore va di pari passo con l’allentamento delle convenzioni e dei tabù. Gombrich inoltre, nell’ambito dei suoi studi sulle caricature, osservò la natura compensatrice dell’appagamento estetico: il ritratto caricaturale tardò ad apparire nella storia dell’arte a causa della componente aggressiva sempre presente nella distorsione di una fisionomia. Esso viene ammesso sul piano dell’arte solamente se il piacere estetico elargito è tale da compensare l’aggressività della caricatura. A sua volta questo gioco presuppone le reazioni di un intenditore capace di ripetere nella propria mente il lavoro già realizzato dalla fantasia dell’artista. → È lo stesso meccanismo base che Freud scoprì nell’umorismo verbale. Questi esempi suggeriscono che dev’esserci un equilibrio necessario tra l’attività estetica e il piacere “regressivo” (nel senso psicanalitico del termine). Se così fosse ci sarebbero conseguenze importanti per l’interpretazione dei cambiamenti di stile, perché la mancanza di un simile equilibro risulterebbe in un senso di disagio estetico. Gombrich, per mettere a prova tale teoria, analizza la Venere di Bouguereau. Venere di Bouguereau In questo dipinto vi sono ulteriori progressi verso una maggiore precisione nella rappresentazione, al punto che B., aiutandosi anche grazie alla fotografia, riesce a dare un’immagine molto convincente di una modella nuda. Come si spiega allora quell’effetto stucchevole e quasi vomitevole che ha su di noi? → Non ci si trova di fronte a un’opera d’arte, ma a una pin-up: l’erotismo del quadro è tutto in superficie, non è compensato da una nostra partecipazione allo sforzo compiuto dall’artista con la sua fantasia, la lettura dell’immagine è di una desolante facilità e urta lo spettatore. Tutto ciò cela un perturbamento più profondo: il disagio è rafforzato dal fatto che lo spettatore si sente costretto ad apporre una certa resistenza ai metodi di seduzione di cui è oggetto. → Opere di questo genere sono state dipinte in concomitanza con una tendenza regressiva del gusto: in quell’epoca le persone più avvertite si misero la ricerca di piaceri più difficili e li trovarono nel culto del primitivo. Gombrich cita poi un altro scritto di Ernest Jones, L’influenza della moglie di Andrea del Sarto sulla di lui arte: se i fatti biografici raccontati da Vasari sono veri (e Jones era cosciente del fatto che Vasari non fosse sempre una fonte affidabile, senza tener conto del fatto che la sua intera opera dovrebbe essere letta come una serie di racconti morali a cui ispirarsi o cattivi esempi da cui mettersi in guardia), ovvero che Andrea faceva la parte del marito maltrattato e debole che come artista non riuscì a raggiungere le vette , allora l’analisi di Jones (caso di omosessualità repressa) si regge benissimo. → Jones s’interessò soprattutto al fatto che l’artista venne ostacolato dal suo stesso virtuosismo, soffrendo per la sua troppa facilità nel dipingere. Il peccato dell’impeccabilità è una scoperta dell’Ottocento: cosa c’è che non va nella perfezione? Perché scherniamo i capolavori di Bouguereau giudicando la bravura col quale sono dipinti superficiale o addirittura nauseante? → Opere di questo tipo ci sembrano stucchevoli, di una dolcezza sintetica, descrivono la nostra reazione a un eccesso di appagamento orale. ↓ L’appagamento orale è di fondamentale importanza come modello genetico per i piaceri estetici: sin dalla nascita, le facoltà critiche vengono concentrate sul cibo prima di ogni altra cosa. Ma il pregiudizio platonico a favore dei sensi spirituali (vista e udito) è così forte che la disapprovazione sociale sembra ancora colpire soddisfazioni ritenute animali (es. mangiare e bere). La Venere di Botticelli o un autoritratto di Rembrandt concretizzano altri significati e valori rispetto a cibi e bevande, tuttavia quando si parla di equilibrio tra troppo e troppo poco viene subito in mente la cucina: tutte quelle qualità che esercitano un’attrazione biologica immediata (grasso, dolcezza, morbidità) producono reazioni negative quando sono eccessive e queste reazioni negative dovevano fungere da segnali di allarme per avvertire l’animale umano di non abbandonarsi ai piaceri della gola. → Il segnale d’allarme si sposta dal piano biologico al piano psicologico, diventando un allarme anche contro altre seduzioni: tutto ciò che ci procura soddisfazioni troppo banali e puerili ci disgusta e ci invita alla regressione, poiché non ci sentiamo abbastanza sicuri per poter cedere. → Una simile reazione s’intensifica con il passare degli anni e il crescere della civiltà: gli uomini di oggi hanno preferenze meno ovvie, meno arrendevoli, a differenza degli uomini del passato, che apprezzavano cose più stucchevoli. → Lo psicoanalista Edward Glover, nel suo studio The Significance of the Mouth in Psyche-Analysis, descrisse come tali tipi di appagamento penetrino in ogni ambito della vita quotidiana e come tutte le soddisfazioni potessero essere divise in: ➢ attive (morsicatore) ➢ passive (succhiatore) → ciò che appare stucchevole nell’arte è un’insinuazione di passività, tanto meno gradita quanto più si è scaltri: l’intellettuale, l’uomo colto, il critico sono artisti delusi, che non possono soddisfare le proprie aspirazioni con la creatività e desiderano almeno proiettarle Inoltre il godimento non è simulato, è bensì autentico quanto la nostra avversione per ciò che è dozzinale e volgare. Esempio: Le tre grazie di Bonnencontre Quest’opera stucchevole, se vista attraverso una lastra di vetro ondulata, risulta più interessante in quanto occorre un maggiore dispendio di attività da parte dell’osservatore per ricostruire l’immagine. Se poi si pone la lastra di vetro a una distanza maggiore, lo sforzo da compiere per integrare le parti storpiate costringe l’osservatore a proiettare un certo vigore nell’immagine che la rende addirittura “croccante”. Questo smussamento artificiale ripercorre la via seguita dalla pittura durante l’ondata di ribellione alla fase Bouguereau: ➢ Renoir, effetto smussato conseguito dall’Impressionismo, che richiede allo spettatore di indietreggiare per riuscire a leggere meglio il dipinto ➢ Cézanne stimolò l’attività dello spettatore inducendolo a sforzi anche maggiori, facendogli ripetere i tentativi dell’artista di conciliare le esigenze della rappresentazione con il rispetto dell’armonia del disegno → questa conciliazione non è mai completa, ci si trova di continuo di fronte a tensioni che impediscono allo sguardo di scorrere lungo le linee del quadro → per questo Cézanne non sembra mai noioso Qualcosa di simile a questo processo di compensazione accade anche nel modello orale: il morsicatore che non conosce i piaceri della passività trova compensazione sfogando i suoi impulsi aggressivi. Una tale ridistribuzione di appagamenti psicologici ha dovuto avverarsi anche nell’epoca successiva a Bouguereau: la semplice art officiel non richiedeva alcun dispendio di attività da parte dello spettatore, richiedeva al massimo di “completare l’aneddoto”, d’immaginare l’antefatto e il seguito della scena raffigurata. L’Impressionismo riuscì invece ad escludere le associazioni d’idee letterarie e a limitare il rapporto tra pittura e spettatore alla sola lettura delle macchie di colore. → Si trattò di un piacere regressivo destato da pennellate di colori forti che fino a quel momento erano stati banditi dalle convenzioni accademiche perché giudicati troppo crudi e primitivi. → Il trionfo del nuovo metodo fu molto rapido e in seguito ad esso tutta la pittura anteriore sembrò soltanto un simbolo. → L’Impressionismo è situato su uno spartiacque fra 2 diversi tipi di appagamento: ➢ esso è l’apice di un procedimento in cui il simbolo pittorico si accosta sempre più alle apparenze ➢ esso è anche l’inizio di un’arte apertamente regressiva, cioè l’inizio del primitivismo La complessità di un Cézanne permise di allentare le regole di quella precisione rappresentazionale che per secoli era stata la norma. Van Gogh e Gauguin abbandonarono del tutto queste regole e adottarono immagini crude e aggressivamente regressive. ↓ È in questo contesto che risulta comprensibile l’avvento delle Demoiselles d’Avignon Picasso era un bambino prodigio e divenne presto un virtuoso con grande facilità di mano: non è da escludere che proprio per la facilità con la quale realizzava i suoi primi dipinti, egli si sentisse come Andrea del Sarto. → L’esposizione dei Fauves (1905) e la mostra postuma di Cézanne (1907) ebbero un grande effetto su di lui, si rese conto che la lotta e la sofferenza di un Cézanne avevano più valore della sua facilità. → Decise di “applicare il sistema del vetro ondulato”, ma spingendosi ancora più in là. Ma dal punto di vista psicologico l’interessante non è che Picasso abbia agito secondo la logica della situazione, ma è lo sforzo che gli costò disfarsi dell’abilità e del sentimento e appagare invece l’esigenza di un maggiore dinamismo e una maggiore aggressività: • nei primi tempi, il quadro del bordello doveva essere dipinto nel suo stile precedente e una delle figure doveva tenere in mano un teschio, mantenendosi ancora in contatto con la tradizione → il tono moralistico ricorda Le tentazioni di Sant’Antonio di Cézanne, per Picasso le prostitute erano simbolo delle vittime della società • successivamente, Picasso riesce a eliminare ogni traccia dell’aneddoto e prefiggersi di creare qualcosa di più appassionato e selvaggio → questi nuovi simboli riescono ad articolarsi solamente a contatto con cose viste: arte primitiva, maschere negre, feticci africani, ecc., tuttavia in questi oggetti e nel dipinto permaneva un residuo di sentimento ↓ Solo con l’abbandono della pittura e la lavorazione del legno Picasso riuscì finalmente ad imboccare la strada giusta e ad arrivare alle forme regressive, da cui venne bandita ogni traccia di Bouguereau. Picasso versò in queste sculture tutta l’aggressività e la ferocia che gli ribollivano dentro, dando il via al grande furore iconoclasta e inventando il Cubismo, l’arte di rappresentare le schegge e i frantumi. Considerando la Chitarra di Picasso ci si rende conto che, da qualunque parte ci si volge, ci si trova di fronte a una contraddizione, il nostro cervello sembra agitarsi, sbattendo qua e là. Ma c’è anche una gratifica che ci compensa per la regressione, ovvero, nel tentativo di ricostruire la figura frammentata, si fa avanti un processo primario: in questo mondo assurdo e folle tutto è possibile, quindi • la chitarra, con le sue curve e il suo corpo vuoto, è anche il simbolo di un corpo femminile • la figura di una bottiglia accanto a un’altra chitarra può nascondere un simbolo fallico Quello che conta in una pittura come questa non è che il suo creatore abbia un inconscio in cui vive una simbolizzazione arcaica, bensì che egli si sia trovato in una situazione in cui i suoi conflitti privati hanno acquistato importanza artistica. Senza i fattori sociali (= atteggiamenti, stili e tendenze del gusto della sua epoca), le necessità private del creatore non potrebbero trasformarsi in arte. In questa trasformazione, il significato privato sparisce quasi completamente. Un’ultima considerazione: se a Bonnencontre neghiamo la nostra partecipazione di spettatori perché la sua pittura è troppo stucchevole , dobbiamo trarne come conseguenza che un quadro cubista che ci piace proprio perché ostico sia senz ’ altro un’opera d ’ arte buona? → Le cose non sono così semplici: ogni genere di gusto e ogni stile possono diventare lo strumento di un grande artista, ma mentre il gusto può prestarsi all’analisi psicologica, per l’arte questo non è possibile. Gombrich ritiene che le ridistribuzioni nell’equilibrio dell’appagamento sono meno complesse e meno significative di quanto si voglia spesso credere quando si studiano i movimenti stilistici: esse riguardano i gusti acquisiti, una parte molto malleabile della natura umana, che risente facilmente delle pressioni sociali. → L’artista può trovare una voce solo per mezzo dei simboli presentatigli dall’epoca in cui vive, ma ciò non toglie che la vera opera d’arte è qualcosa di più dell’appagamento di alcune bramosie analizzabili. Esistono innumerevoli attrazioni e repulsioni che resistono all’analisi. È l’Io che impara a trasmutare e a canalizzare gli impulsi dell’Id e a unirli in modo da realizzare le opere d’arte, le quali sono simboli e non sintomi di questa facoltà organizzatrice. È l’Io che riceve da queste figurazioni la certezza che la risoluzione di un conflitto, la libertà ottenuta senza nessuna minaccia, non sono irraggiungibili dalla mente umana che aspira. contribuito allo sviluppo della psicologia cognitiva e della psicologia culturale nel campo della psicologia dell’educazione) chiama “meccanismo della cateratta” il principio di economia in simili condizioni percettive: dove noi non possiamo o non vogliamo più ottenere informazioni, chiudiamo la cateratta e passiamo ad altro. L’opera d’arte invece è un “segno aperto”, non ha limiti definiti, anzi può essere pienamente vissuta e compresa solo quando cessiamo di chiudere la cateratta. Nulla ci vieta ormai di cercare l’eco del significato in sempre nuove stratificazioni di forme. Ma anche dove il significato primario è andato perduto, dedicarsi alle forme serve comunque: ognuno è in grado di distinguere tra senso e nonsenso, e i presupposti di una tradizione / mezzo espressivo / genere artistico / cultura imbrigliano la fantasia dello storico. N.B.: l’intensità dell’esperienza artistica non coincide necessariamente con la chiarezza della comprensione. Anzi, l’incomprensibile esercita un particolare fascino proprio perché non ci vincola a una determinata elaborazione di idee consecutive. La lettura, ovvero l’interpretazione di segni appartenenti ad un sistema noto, impone una determinata disciplina: bisogna considerare ogni segno nella sua funzione e aggiungerne il senso al significato generale. Segni e simboli ignoti ci fanno un’impressione diversa non solo perché non ne conosciamo il significato, ma anche perché non sappiamo cosa e quanto in ognuno di essi sia significativo (v. nell’antichità classica e nel Rinascimento si riteneva che le figure e i segni dell’antico Egitto contenessero profonde rivelazioni). Il simbolo del neoplatonismo Quello che riguarda lo psicologo, in questo caso, è il tentativo di fondare su basi filosofiche la fede nella profondità di quei simboli. • Marsilio Ficino (neoplatonico rinascimentale) riteneva che i sacerdoti egizi avessero scritto i misteri divini in figure anziché lettere per determinate ragioni, dovute al fatto che il sapere di Dio risulta dalla visione totale e immutabile → solo le intelligenze superiori possono contemplare l’immutabile verità. • Secondo Platone, anche noi un tempo abbiamo contemplato le idee, prima che la nostra anima fosse relegata al corpo. • Secondo Plotino, talvolta all’eletto è riservata la contemplazione immediata nell’estasi, quando egli riesce a rinnegare il suo corpo. ↓ Grazie a Ficino, il simbolo figurato diventa immagine della più alta visione. • A questo proposito Weinhandel parla di “simbolo- chiave”, una figura che non è vincolata ad alcun limite di segno e si schiude sempre nuove rivelazioni a chi la contempla, es. simbolo mistico del serpente che si morde la coda: secondo il Ficino, i sapienti egizi lo interpretavano come simbolo del tempo ed esso manifesta ciò che solo per gradi la ragione riesce ad enumerare (il tempo fugge, collega il futuro al passato, insegna la saggezza, ci porta e ci rapisce le cose). → Da un punto di vista puramente psicologico, non sembra un caso che proprio questo simbolo sia stato scelto come contrapposto al segno razionale, infatti la sua interpretazione contrasta con ogni logica conseguenza: il serpente che divora sé stesso è un paradosso e quanto più lo osserviamo, tanto meno riusciamo a sciogliere l’enigma. Però è proprio questo paradosso che sprona il mistico a trascendere i limiti della ragione e a inoltrarsi in una sfera in cui la legge della contraddizione perde ogni valore. Simboli dell’arte Simbolo mistico • ci danno l’impressione di essere profondi grazie al principio di “consonanza del significato”: il senso vibra consono nel sensibile • oltre alla consonanza di significato, qui si aggiunge un principio di dissonanza → l’analogia / metafora nasconde qualche rischio, ad esempio quello dell’interpretazione letterale, ed è per questo che la rivelazione si serve spesso di immagini improprie che denunciano chiaramente il proprio carattere allegorico → tali simboli spronano a cercare sotto la loro forma il significato vero, passando dal mondo sensibile a quello dello spirito ↓ per quanto astruso possa essere il simbolo mistico, esso deve indicare l’allusione al mistero che sta dietro di esso La simbologia romantica L’orientamento verso il mito e la religione di Friedrich Creuzer discende in linea diretta dall’interpretazione neoplatonica dei geroglifici. Secondo lui, il simbolo diventa significativo proprio per l’incongruenza tra la sua sostanza e la sua forma: esso è uno sguardo nell’infinito, da cui lo spirito ritorna più ricco. L’intelletto prova una viva soddisfazione nell’atto di risolvere quanto è celato. Un complesso simbolico di questo tipo viene definito mistico ed esso riesce a rendere visibile il divino. → Ciò che distingue il simbolo è “il fosco, il crepuscolare”, per natura incompatibile con la chiarezza del segno. Tale concetto di simbolo di Creuzer deriva dal neoplatonismo, ma si ricollega anche a Hegel: secondo quest’ultimo, ai primordi dell’arte si trova un simbolismo inconscio, una “pre-arte”. Il suo quadro dell’arte indiana ed egizia risponde all’idea di una fase dello spirito che, ancora confusa e trasognata, tende ad un’espressione evidente. Per Hegel, ciò che distingue il simbolo è la sua “inadeguatezza”. In questo senso egli ritiene il simbolismo inconscio in contrasto con l’arte vera e propria, che per lui corrisponde all’arte classica, in cui significato e rappresentazione sensibile sono un’unica cosa: l’Apollo del Belvedere non era soltanto un simbolo della divinità solare, era bensì una schietta manifestazione del dio in forma umana. Sembra però giusta l’osservazione del contrasto fra la concezione classica dell’arte e la concezione mistica del simbolo, poiché la classicità mira alla consonanza dei significati. • La concezione dell’arte sacra che nasce in Grecia cerca il segno aperto nella figura umana fortemente espressiva. Da qui in poi, nel complesso fisionomico forma e contenuto si stringono sempre più in un’unica unità. → La riduzione a simbolo si sarebbe fusa con l’espressione del carattere, es. Vincenzo Cartari, per dare forma all’allegoria del tempo ricorre alla figura di Saturno, dove l’uroboro diventa un semplice attributo → allegoria integralmente tradotta in forma umana. • Il Rinascimento reiterò i tentativi di introdurre nell’arte la concezione mistica del simbolo dissonante, ma tali tentativi rimasero sterili agli effetti dell’arte vera e propria. • Dal Romanticismo in poi l’arte si è sempre più allontanata dall’idea della consonanza armonica per volgere ai propri fini l’elemento inquietante e oscuro della dissonanza. L’ineluttabile perdita di chiarezza dev’essere compensata da un’accresciuta densità di significati. Per Hegel il simbolo corrispondeva ad un grado primitivo, basso, inferiore alla chiara conoscenza. La sua concezione si può ancora conciliare con quella della Chiesa latina, secondo la quale il simbolo del divino deve adattarsi al limitato intelletto mondano; ma per questa dottrina era agevole fondersi con l’idea di una primordiale rivelazione già concessa all’umanità in forme simboliche per proteggere la scienza divina dalla minaccia della profanazione (punto di vista neoplatonico). → All’inizio del ‘700 vi si oppose Vico (filosofo, storico e giurista italiano), il quale rifiutò la dottrina della scienza primeva, pur insistendo nell’affermare che figura, simbolo e metafora appartengono a uno stadio primitivo nell’evoluzione dello spirito umano. Così la rivolta dei romantici contro la ragione trasse alimento da più fonti, e l’idea del simbolo, che può essere tramite di profondi presagi meglio del puro segno convenzionale, stava al centro della disputa. Kant riteneva che “simbolico” fosse solo una specie di ciò che è intuitivo e che in quanto tale si opponesse al discorsivo. Inoltre sosteneva simbolica ogni nostra conoscenza di Dio (avvicinandosi così alla tradizione religiosa). Secondo Schiller, infine, il simbolo corrisponde alla puerizia dell’umanità (cioè al periodo precedente al peccato della ragione) in quanto precoce rivelazione, strumento di educazione del genere umano. ↓ Presagire è più profondo che pensare, il simbolo è più che il segno. Il concetto freudiano del simbolo, e il romanticismo Anche i simboli onirici di Freud sono enigmatici, mostruosi, opachi, sono anzi maschere destinate a travestire i nostri desideri inconsci, per aggirare la censura della coscienza. Essi condividono con i simboli mistici la funzione di rivelare una sfera altrimenti inaccessibile, ma per Freud solamente la libera associazione può svelare a chi sogna questa infinita molteplicità di strati significativi, sotto l’apparente assurdità del manifesto contenuto onirico. È facile intendere l’idea freudiana di simbolo come una forma della metafora, soprattutto se si tiene conto del fatto che del simbolo importa non tanto l’analogia con la cosa simboleggiata, quanto ciò che, entro una determinata matrice di oggetti, sia il meno dissimile al referente. → Nel sogno di ognuno, la matrice si costituisce con i residui del giorno, che stanno in primo piano nel manifesto contenuto onirico, incarnandone e mascherandone al tempo stesso il senso più profondo, più profondo agli istinti di chi sogna. Sicuramente le scoperte di Freud ci hanno messo in grado di guardare più a fondo nelle consonanze e dissonanze dei molteplici strati significativi intessuti nel simbolo artistico. Tuttavia, l’atteggiamento di Freud nei confronti dell’arte e della cultura mirava a risolvere tali significati in consci simboli collettivi, e nessuno meno di lui poteva approvare un’evoluzione che innalzasse il simbolo onirico a modello dell’opera d’arte. → Freud era convinto che il simbolo onirico dovesse rimanere incomprensibile a tutti quelli che non hanno accesso alle libere associazioni del sognatore. Soltanto nel sistema di Jung il concetto freudiano di simbolo è regredito alla sua fase più antica, quella del misticismo neoplatonico, tramite l’equiparazione della sfera trascendente della tradizione religiosa con il contenuto ineffabile dell’inconscio collettivo, che comunica tramite enigmi. Quanto più a lungo ci si occupa di quest’idea mistica del simbolo, tanto più chiaramente si vede come sia difficile per noi uomini appagarci del fatto che non ci sia altro per noi se non segni, che sono pure opera umana. La fede in un contatto diretto con la psiche dell’Altro seduce a tentare il balzo oltre il limite del segno per liberarci dalle catene della ragione. Non deve mai abbandonarci la consapevolezza che tutto quanto intendiamo per arte non fu creato come espressione della personalità, ma piuttosto in quanto ricerca di metafore alle quali potevano consentire tutti quelli che aspiravano a dar forma sensibile al soprasensibile.
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