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Riassunto di geografia fisica, Sintesi del corso di Geografia

Capitoli da portare all’esame di geografia umana

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Riassunto di geografia fisica e più Sintesi del corso in PDF di Geografia solo su Docsity! GEOGRAFIA FISICA CAPITOLO 5: LA RAPPRESENTAZIONE DELLA SUPERFICIE TERRESTRE 1. PERCHE’ E COME RAFFIGURARE IL TERRITORIO Il tentativo di raffigurare la superficie terrestre ha impegnato l’uomo fin dall’antichità. All’inizio questo problema è stato risolto con schizzi e disegni indicativi che illustravano le fattezze principali delle zone terrestri allora conosciute. Poi, con la scoperta di nuove terre, i metodi di rappresentazione sono migliorati, fino a giungere alla produzione delle CARTE GEOGRAFICHE che usiamo comunemente. I progressi della tecnologia hanno fornito un nuovo mezzo di rappresentazione della superficie terrestre : il TELERILEVAMENTO. Esso offre immagini nitide e ricche di indicazioni. i SATELLITI che orbitano intorno alla TERRA tramettono immagini più dettagliate, inoltre dagli aerei in volo si eseguono fotografie minuziose di zone ristrette della superficie terrestre. Qualcuno potrebbe chiedersi se ha senso costruire le carte geografiche. Il telerilevamento è di grande utilità per lo studio del nostro pianeta e per la costruzione delle carte geografiche, ma queste ultime rimangono uno strumento indispensabile per ogni esame della superficie terrestre e dei suoi vari aspetti, fisici e biologici. Per questo le carte geografiche e il telerilevamento sono integrativi, ossia entrambi risultano utili e indispensabili. 2.I GLOBI E LE CARTE GEOGRAFICHE La Terra ha una forma sferoidale , per cui la sua superficie non è sviluppabile su un piano, ma è SFERICA, e viene rappresentata usando un GLOBO. Esso è una FEDELE RIPRODUZIONE IN PICCOLO DELLA TERRA. 1 sui globi possono essere riportati solo i lineamenti generali della superficie del pianeta. Una maggiore quantità di dati compaiono invece nelle CARTE GEOGRAFICHE, che forniscono una raffigurazione in piano del nostro pianeta o di una sua parte. 2.1PECULIARITA’ E REQUISITI DELLE RAPPRESENTAZIONI CARTOGRAFICHE Una carta geografica è definita come la RAPPRESENTAZIONE RIDOTTA, APPROSSIMATA E SIMBOLICA di una zona della superficie terrestre.  RIDOTTA: Le sue dimensioni devono essere rimpicciolite secondo un rapporto di riduzione delle lunghezze chiamato SCALA.  APPROSSIMATA: poiché non è possibile sviluppare su un piano una superficie sferica senza che subisca delle deformazioni. I metodi sono le PROIEZIONI GEOGRAFICHE.  SIMBOLICA: Gli oggetti geografici devono essere indicati tramite simboli cartografici, detti SEGNI CONVENZIONALI. Perché una rappresentazione possa essere considerata esatta, deve presentare 3 requisiti:  L’EQUIDISTANZA: cioè si deve mantenere inalterato il rapporto tra le lunghezze grafiche e quelle reali,  L’EQUIVALENZA: deve essere costante il rapporto tra le aree geografiche e quelle reali.  L’ISOGONIA: l’angolo formato tra due linee della rappresentazione deve essere uguale all’angolo tra le linee reali della superficie. Le rappresentazioni della superficie terrestre che possiedono questi requisiti sono dette EQUIDISTANTI, EQUIVALENTI, e ISOGONE (o conformi). Soltanto i globi hanno contemporaneamente i tre requisiti, mentre le carte geografiche possono rispettarne al massimo uno. Se le zone rappresentate sono molto ristrette, le carte moderne possono essere considerate quasi esatte. 2  LE CARTE IDROGRAFICHE CONTINENTALI: relative alle acque delle terre emerse,  LE CARTE AERONAUTICHE: per la navigazione aerea  LE CARTE TURISTICHE  LE CARTE GEOLOGICHE: indicano i diversi tipi di rocce e la loro età, i giacimenti minerari ecc. spesso sono fatte rientrare nelle carte tematiche.  CARTE TEMATICHE: mettono in risalto particolari aspetti fisici, biologici o antropici. Si distinguono in:  CARTE GEOMORFOLOGICHE: rappresentano le forme del rilievo e la loro genesi.  CARTE CLIMATICHE: la distribuzione dei climi.  CARTE DELLA VEGETAZIONE: il tipo di copertura vegetale.  CARTE ANTROPOLOGICHE ed ETNOLOGICHE: la distribuzione delle popolazioni, delle lingue e delle regioni.  CARTE ECONOMICHE: la distribuzione delle attività economiche.  In base al METODO DI COSTRUZIONE, le carte geografiche possono essere distinte in:  CARTE RILEVATE: sono costruite con misure e osservazioni dirette eseguite sul terreno.  CARTE DERIVATE: si ottengono dalle rilevate, con semplificazioni e riduzioni. 4.2ALTRI PRODOTTI ATTINENTI ALLA CARTOGRAFIA Sono:  Le AEROFOTOGRAFIE e le IMMAGINI DA SATELLITE sono di grande utilità perché: o forniscono un’immagine diretta, o costituiscono un mezzo per la costruzione delle carte geografiche. Esse non possono essere considerate come carte geografiche, perchè gli oggetti geografici non sono rappresentati con simboli. 5  i CARTOGRAMMI sono grafici con una base cartografica che funge soltanto da supporto. Su di essa infatti viene rappresentata la distribuzione o l’entità di fenomeni fisici, demografici o economici. Fra le rappresentazioni vi sono i DIAGRAMMI, che sono di grande utilità per lo studio delle variazioni dei fenomeni geografici.  L’ATLANTE è una raccolta sistematica di carte generali a piccola scala, assieme a numerose carte speciali e tematiche. Questo termine fu introdotto da MERCATORE ispirandosi a una collezione cartografica, il cui frontespizio riportava il TITANO ATLANTE che sosteneva sulle spalle il globo terrestre. Negli atlanti moderni, compaiono spesso cartogrammi, tabelle di dati statistici, fotografie aeree e immagini da satellite. 5.LE PROIEZIONI GEOGRAFICHE I sistemi per riportare sul piano il reticolato geografico sono chiamati PROIEZIONI GEOGRAFICHE. esse si dividono in:  proiezioni pure: il reticolato geografico viene riportato su una superficie, applicando i principi geometrici.  proiezioni modificate: si ottengono dalle pure, apportando delle correzioni per diminuire le deformazioni poichè la superficie terrestre non è perfettamente sviluppabile in piano.  proiezioni convenzionali sono basate su relazioni matematiche esistenti fra i punti della superficie terrestre e quelli sulla carta. È possibile costruire carte che rispettino uno dei tre requisiti: equidistanza, equivalenza e isogonia. 5.1LE PROIEZIONI PURE è la categoria delle PROIEZIONI VERE E PROPRIE, che in genere si suddividono in PROSPETTICHE e DI SVILUPPO.  Nelle PROIEZIONI PROSPETTICHE si immagina di proiettare il reticolo geografico su di un piano tangente alla Terra. Il PUNTO DI VISTA è quello da cui si immagina che fuoriescano le visuali e si trova dalla parte opposta rispetto al piano di proiezione, detto QUADRO. Il quadro intercetta le visuali che fuoriescono dal punto di vista. Entrambi possono occupare infinite posizioni nello spazio. 6 Per il punto di vista si considerano quattro posizioni che danno il nome ad altrettante proiezioni:  CENTROGRAFICHE O GNOMONICHE: con punto di vista al centro della TERRA,  STEREOGRAFICHE con punto di vista sulla superficie terrestre  SCENOGRAFICHE con punto di vista a distanza finita dalla TERRA,  ORTOGRAFICHE con punto di vista all’infinito. In base alla posizione del quadro, si parla di:  PROIEZIONI POLARI, quando il piano di proiezione è tangente a un polo,  PROIEZIONI EQUATORIALI, con il piano di proiezione tangente a un punto dell’equatore,  PROIEZIONI OBLIQUE, con il piano di proiezione tangente ad un altro punto qualsiasi della superficie terrestre. la PROIEZIONE ORTOGRAFICA POLARE è molto utile per la rappresentazione delle aree delle zone polari. essa è isogonica.  Nelle PROIEZIONI DI SVILUPPO il reticolo geografico è proiettato su una superficie rappresentata da un cilindro o da un cono, perciò si parla di proiezioni cilindriche e di proiezioni coniche.  Nelle proiezioni cilindriche l’asse terrestre viene a coincidere con l’asse del cilindro. Soltanto l’EQUATORE (nella proiezione tangente) o i due paralleli prescelti (in quella secante) presentano in scala una lunghezza pari a quella reale. Tra le varie proiezioni cilindriche ricordiamo la PROIEZIONE CILINDRICA VERA, che è equivalente ed equidistante solo lungo l’Equatore; essa è nota anche come PROIEZIONE CILINDRICA EQUIVALENTE DI LAMBERT.  Nelle proiezioni coniche il solido ausiliario è un cono retto. Si immagina che la superficie laterale del cono sia disposta sulla SFERA TERRESTRE e tangente a questa lungo un parallelo oppure secante lungo due paralleli. la PROIEZIONE CONICA VERA è equidistante solo lungo il parallelo medio della zona da rappresentare. 7 L’insieme di più basi calcolate forma un reticolato di triangoli: è la RETE GEODETICA FONDAMENTALE. Con lo stesso procedimento, all’interno di questi triangoli si opera una triangolazione che fornisce la RETE DEL II ORDINE. IN ITALIA esistono otto basi geodetiche:  una in LOMBARDIA,  una nella VENEZIA GIULIA,  una in TOSCANA,  una in CALABRIA,  una in SICILIA,  una in SARDEGNA  due in PUGLIA. I punti trigonometrici sono stati scelti in modo che in ognuno dei fogli che compongono la CARTA topografica d’ITALIA ne cadesse almeno uno della rete geodetica del I ordine. La seconda fase della costruzione di una carta è il RILEVAMENTO DEL TERRENO (o levata topografica). Appoggiandosi alla rete geodetica, si stabiliscono le posizioni e le distanze dei punti del terreno contenuti nei triangoli, e le loro altezze rispetto al livello del mare. 6.2STRUMENTI MODERNI PER LA CARTOGRAFIA La tecnica topografica ha raggiunto grandi progressi con l’introduzione del metodo delle fotografie dei territori da rilevare. Esse possono essere riprese a terra (fotogrammetria terrestre) oppure da macchine installate a bordo di aerei (aerofotogrammetria) e sono di solito due per ogni zona. In laboratorio le due fotografie vengono inserite nei restitutori, i quali sono in grado di rappresentare la zona nei minimi particolari. Questo metodo è di grande utilità per rilevare il terreno in zone impraticabili o poco visibili. L’uso del radar permette di realizzare la TRILATERAZIONE, cioè la misura diretta di lati grandissimi, che sostituisce la triangolazione classica. 10 esso rende possibile misure geodetiche precise su scala intercontinentale, collegando fra loro punti che si trovano a distanze grandissime. 7.IL SIMBOLISMO CARTOGRAFICO Una carta geografica è SIMBOLICA poiché l’andamento del terreno e gli oggetti geografici sono raffigurati con simboli, detti SEGNI CONVENZIONALI. I simboli sono tanto più numerosi quanto più grande è la scala della carta. essi sono riprodotti in calce o a lato della carta geografica, accompagnati dal loro significato. Si distinguono in due tipi:  quelli relativi alla planimetria.  quelli relativi all’altimetria. 7.1I SIMBOLI PLANIMETRICI NELLE CARTE GEOGRAFICHE Tra i simboli relativi alla planimetria vi sono quelli che si riferiscono all’idrografia, quelli relativi alle vie di comunicazione, quelli che raffigurano le opere stabili e i confini politici o amministrativi, quelli relativi alla vegetazione e alle proprietà. 7.2LA RAPPRESENTAZIONE DEL RILIEVO TERRESTRE L’andamento altimetrico di una zona può essere raffigurato in vari modi, legati alla scala della carta e alle sue finalità. Tra i principali metodi di rappresentazione del rilievo abbiamo:  SFUMO: si mettono in risalto le parti prominenti del rilievo con una ombreggiatura più o meno intensa.  TRATTEGGIO: il rilievo viene evidenziato da una serie di trattini convergenti. Si ottengono delle facce con trattini tanto più fitti e marcati quanto maggiore è la pendenza dei versanti montuosi.  TINTE ALTIMETRICHE: le variazioni dell’altitudine si rappresentano per mezzo di colori convenzionali. In genere i colori usati sono i toni del verde per le zone comprese fra gli 0 ed i 200 m, del giallo dai 200 ai 500 m, e del marrone dai 500 m in su, mentre per le profondità marine o lacustri si ricorre a tonalità dell’azzurro. 11  ISOIPSE O CURVE DI LIVELLO: questo sistema è importante per le carte topografiche o corografiche. Una isoipsa (dal greco: uguale altura) è una linea ideale che unisce tutti i punti del terreno aventi la stessa altezza rispetto al livello medio del mare. nel caso in cui le curve di livello rappresentano le profondità marine o lacustri, ad esse si dà il nome di ISOBATE (uguale profondità). In ogni carta la distanza verticale fra isoipse o isobate contigue è sempre la stessa e prende il nome di EQUIDISTANZA. La distanza grafica fra due curve di livello contigue è invece variabile. Le linee grafiche non sono tutte di egual spessore, ogni 4/5 di esse, se ne incontra una più marcata, detta CURVA DIRETTRICE, mentre le più fini si dicono CURVE INTERMEDIE. Inoltre si inseriscono le CURVE AUSILIARIE, ossia delle linee tratteggiate la cui equidistanza è di solito di 5 m. Per rendere più plastica la rappresentazione del rilievo nelle carte si introduce spesso il LUMEGGIAMENTO: si cerca di evidenziare certe parti creando un contrasto di chiaro-scuro, illuminando alcune zone ed ombreggiandone altre.  Se la sorgente luminosa si immagina alla ZENIT, ossia sulla verticale del foglio, si ha un LUMEGGIAMENTO ZENITALE, per cui risultano illuminate le cime e le creste e più in ombra le parti basse.  Nel LUMEGGIAMENTO OBLIQUO, si suppone la sorgente luminosa posta a NORD OVEST e a 45° di altezza sul foglio. 8.LA CARTA TOPOGRAFICA D’ITALIA Tra il 1861 e l’inizio del 1900 per rappresentare il nostro paese si ricorreva alla PROIEZIONE POLIEDRICA, per cui ogni foglio corrispondeva ad un trapezio isoscele. Nel 1945 è stata scelta la rappresentazione conforme di GAUSS, che era stata adottata per l’ITALIA dal geodeta BOAGA. Infine, nel 1948, anche l’ITALIA, si è inserita nel SISTEMA CARTOGRAFICA UTM (UNIVERSAL TRANSVERSE MERCATOR), che è l’estensione della rappresentazione di GAUSS a tutto il globo. 8.1IL SISTEMA UTM 12 L’ISTITUTO IDROGRAFICO DELLA MARINA provvede ai rilevamenti delle coste e dei mari italiani e pubblica carte idrografiche in cui sono segnate le profondità marine, le accidentalità del fondo, la posizione dei fari e tutte quelle configurazioni fisiche di ostacolo alla navigazione. esse non hanno tutte la stessa scala. Compito del SERVIZIO GEOLOGICO NAZIONALE è l’elaborazione e la preparazione della CARTA GEOLOGICA D’ITALIA alla scala 1:100.000. Il SGN ha avviato la produzione della nuova CARTA GEOLOGICA D’ITALIA alla scala 1: 50.000. Importante l’opera del TOURING CLUB ITALIANO (TCI) che cura la stampa di carte stradali ed automobilistiche, tra cui la CARTA STRADALE D’ITALIA, la CARTA AUTOMOBILISTICA D’ITALIA e la CARTA STRADALE D’EUROPA. Sempre del TCI è importante la CARTA dell’uso del suolo d’ITALIA , oltre a carte turistiche, all’ATLANTE FISICO-ECONOMICO D’ITALIA e all’ATLANTE INTERNAZIONALE. 10.LA LETTURA E L’UTILIZZAZIONE DELLE CARTE GEOGRAFICHE La consultazione delle carte geografiche è uno strumento fondamentale per ogni studio di tipo ambientale. È indispensabile una buona lettura e interpretazione delle carte. La scelta di queste dipende da:  il tipo di fenomeno geografico studiato,  l’estensione della regione  il livello dell’indagine. 10.1LA LETTURA DELLE CARTE TOPOGRAFICHE Le CARTE TOPOGRAFICHE forniscono una visione della superficie terrestre rappresentata nei particolari planimetrici e altimetrici, e la posizione dettagliata degli elementi antropici. La loro lettura può essere integrata con la costruzione di profili topografici e di stereogrammi. 15 I profili topografici forniscono una visione bidimensionale dell’orografia. Essi si ottengono intersecando il rilievo con un piano verticale: si avrà così una linea continua che rappresenta il PROFILO TOPOGRAFICO (O PROFILO ALTIMETRICO). Se l’orografia è raffigurata tramite isoipse, si potrà ricostruire il suo profilo lungo un segmento, detto TRACCIA DEL PROFILO. I profili vengono eseguiti adottando la stessa scala per le distanze e le altezze. La costruzione dei profili topografici costituisce la premessa indispensabile nelle opere umane in cui è necessario avere una visione precisa dell’andamento altimetrico del terreno. Tuttavia I profili topografici evidenziano l’andamento del rilievo solo lungo una linea. La visione completa dell’andamento orografico può essere ottenuta con la costruzione degli stereogrammi (o blocco-diagrammi). essi forniscono una visione tridimensionale dell’orografia e consistono in rappresentazioni spaziali di un territorio secondo le leggi della prospettiva. Gli stereogrammi consentono anche di mettere in risalto alcune caratteristiche geologiche, come la relazione tra le forme del rilievo e la struttura del sottosuolo. Per costruirlo si parte da una carta in cui il rilievo sia rappresentato con curve di livello . essa costituisce la base da cui, attraverso opportune operazioni geometriche, si ricava lo stereogramma. Infine si rappresentano gli aspetti di rilievo, sempre in prospettiva. 10.2LA LETTURA DELLE CARTE COROGRAFICHE LE CARTE COROGRAFICHE e le carte GEOGRAFICHE propriamente dette, si usano quando la regione da studiare ha dimensioni notevoli. In essa la comprensione dell’andamento orografico è più immediata. Fra le carte geografiche sono di particolare interesse le CARTE SPECIALI, e quelle TEMATICHE ( che raffigurano fatti fisici, biologici o economici, ognuno dei quali rappresenta un TEMA). 16 La consultazione delle carte tematiche è di aiuto nello studio della distribuzione di fatti e fenomeni grafici e ne danno una visione che può essere:  QUALITATIVA: quando nella rappresentazione si tiene conto solo della loro esistenza e delle loro caratteristiche;  QUANTITATIVA: se viene raffigurato pure il loro ordine di grandezza e di importanza. i CARTOGRAMMI raffigurano la distribuzione quantitativa di fenomeni statistici riguardanti la popolazione, le produzioni agricole o industriali. Da essi però non si può ricavare l’ubicazione esatta dei fenomeni. È sempre riportata la LEGENDA della simboleggiatura adottata. Importanti sono poi gli ATLANTI. Essi ci consentono di conoscere i molteplici aspetti del nostro pianeta. 10.3L’USO DELLE CARTE SUL TERRITORIO Le carte geografiche sono utili quando ci troviamo in una regione e intendiamo conoscerla direttamente. L’uso delle carte topografiche e di quelle corografiche sul terreno è indispensabile ai fini turistici e presuppone il suo corretto ORIENTAMENTO: disponendo la carta nella giusta posizione rispetto ai punti cardinali, si possono individuare sul terreno gli oggetti rappresentati su di essa. le carte moderne sono stampate con il nord verso l’alto, il Sud verso il basso, l’ovest a sinistra e l’est a destra. Nei casi in cui questa convenzione non è rispettata, sulla carta è segnata la posizione di uno dei punti cardinali. E poi si gira la carta in modo che la direzione del nord coincida con quella del nord sull’orizzonte. CAPITOLO 8: I FENOMENI VULCANICI 1.IL VULCANISMO Sul nostro pianeta sono presenti 600 vulcani attivi, da cui fuoriescono lava, gas e vapori. A ciò si aggiungono le emissioni di lave sul fondo degli oceani, lungo le 17 il termine MAGMA si riferisce al materiale fuso presente all’interno della crosta, mentre quando esso fuoriesce in superficie, perdendo i gas e i vapori, si parla di LAVA. Gas e vapori vanno ad arricchire l’atmosfera, mentre i prodotti solidi si accumulano fino a costruire l’edificio vulcanico. Gli edifici vulcanici si accrescono nel punto in cui il materiale fuso fuoriesce:  All’estremità in superficie (cratere) di un condotto di forma cilindrica (VULCANI CENTRALI O AREALI),  Lungo spaccature che penetrano nell’interno della TERRA (VULCANI LINEARI). Il condotto vulcanico (o camino vulcanico) mette in comunicazione l’edificio esterno con l’area di alimentazione. Nella risalita il magma può ristagnare in una CAMERA MAGMATICA (O BACINO MAGMATICO) a debole profondità. La forma di un edificio vulcanico dipende dal tipo dei prodotti eruttati, in base ai quali si riconoscono due tipi di vulcani:  I vulcani-strato: si formano quando fasi di effusioni laviche si alternano con fasi di emissioni esplosive di frammenti di lava, che si depositano intorno al cratere, dando origine ai PIROCLASTITI. L’edificio, chiamato VULCANO COMPOSTO, assume la forma di un cono.  I vulcani a scudo, come quelli delle HAWAII e dell’ISLANDA, hanno forma appiattita. Queste lave sono in grado di scorrere per molti km in larghe colate, prima di consolidarsi; gli episodi esplosivi sono assenti. Tra i vulcani a scudo si annoverano quelli più grandi della TERRA: il maggiore tra essi è il MAUMA LOA, nell’isola HAWAI. 2.2I DIVERSI TIPI DI ERUZIONE la classificazione dei vulcani in base al TIPO DI ERUZIONE presenta dei limiti perchè in un stesso vulcano si possono alternare tipi di attività diversi. I fattori che influenzano il tipo di eruzione sono: o la viscosità del magma in risalita. essa varia molto,infatti è:  molto elevata nei magmi acidi, che danno origine a lave di tipo RIOLITICO, 20  molto minore nei magmi basici, da cui derivano lave di TIPO BASALTICO. o il contenuto in aeriformi, soprattutto acqua, che agisce con la capacità di espansione ESPLOSIVA, quando diminuisce la PRESSIONE DI CONFINAMENTO, cioè la resistenza dell’ammasso roccioso, attraverso cui il magma sta risalendo. IDROMAGMATICA ATTIVITA’ EFFUSIVA DOMINANTE: Magma fluido e contenuto in acqua variabile:  Eruzioni di tipo hawaiiano: sono caratterizzate da effusioni di lave fluide, che danno origine ai vulcani a scudo. La sommità è occupata da una depressione, chiamata CALDERA, che si è formata per collasso del tetto della camera magmatica. i gas si liberano tranquillamente dalle lave fluide, ma nella loro fuga possono trascinare getti di lava fusa: si innalzano allora FONTANE DI LAVA.  Eruzioni di tipo islandese, nelle quali la lava fuoriesce da lunghe fessure. Il ripetersi di queste eruzioni porta alla formazione di ESPANDIMENTI LAVICI BASALTICI, quasi orizzontali. 21 ATTIVITA’ EFFUSIVA PREVALENTE Magma meno fluido:  Eruzioni di tipo stromboliano: in queste predomina un’attività esplosiva. La lava ristagna nel cratere, dove inizia a solidificare. Si forma così una crosta solida, al di sotto della quale si accumulano i gas che si liberano dal magma: la pressione di questi gas cresce fino a far saltare la crosta con esplosioni, che lanciano in aria brandelli di lava fusa. La lava torna a ristagnare sul fondo del cratere e si forma una nuova crosta solida. ATTIVITA’ MISTA (EFFUSIVA-ESPLOSIVA) Magma viscoso e contenuto in aeriformi elevato:  Eruzioni di tipo vulcaniano: sono caratterizzate da un meccanismo simile a quello stromboliano, solo che la LAVA è meno viscosa. Perciò i gas si liberano con più difficoltà, e la lava solidifica nella parte alta del condotto.  Il termine vesuviano: indica un’attività vulcanica caratterizzata dalla violenza dell’esplosione iniziale. Il magma può risalire con velocità da zone profonde, uscendo dal cratere, dissolvendosi poi in una nube di goccioline.  Eruzioni di tipo pliniano: quando le esplosioni raggiungono il loro aspetto più violento. Così chiamate da PLINIO IL GIOVANE, che per primo ne descrisse una nell’eruzione del VESUVIO del 79 d.c.. i vapori e gas fuoriescono dal condotto con velocità da salire verso l’alto per alcuni km. Dalla nuvola ricadono, grandi quantità di lava vetrificata, sotto forma di pomici.  Eruzioni di tipo pelèeano: la lava viene spinta fuori dal condotto quasi solida e forma cupole alte qualche centinaio di metri. Dalla base sfuggono nuvole di gas e vapori, che scendono come valanghe lungo le pendici del vulcano e si espandono su vaste aree con grande velocità. ATTIVITA’ SOLO ESPLOSIVA interazione tra magma e acqua: 22 Il VULCANISMO EFFUSIVO si ha quando il magma fluido risale verso la superficie, e gli aeriformi in esso disciolti si liberano con forza, mentre inizia a traboccare la lava. La manifestazione più imponente avviene sott’acqua ed è associata alle DORSALI OCEANICHE che tagliano l’intera crosta oceanica. esse corrispondono a un inarcamento del fondo oceanico, alla cui sommità si aprono le fessure da cui finisce il magma. Si tratta di eruzioni lineari, che avvengono sul fondo del mare: o se i materiali eruttati si trovano a notevole profondità, la lava fluisce tranquillamente dalle fessure e si solidifica con strutture a CUSCINI. o Se l’eruzione avviene a profondità moderata, la fuoriuscita della lava è accompagnata da esplosioni che liberano sulla superficie marina nubi bianche di vapore acqueo. L’edificio può emergere dal mare: Così è nata dal mare, nel 1963 , l’isola di SUNSEY, vicino le coste dell’ISLANDA. Un esempio di vulcanismo effusivo è quello delle isole HAWAII, vulcani a scudo associati a un punto caldo. I PUNTI CALDI sono zone ristrette della superficie terrestre, caratterizzate da vulcanismo attivo. Sotto di essi si ha una fusione del materiale, che viene continuamente rimpiazzato dalla risalita di PENNACCHI di materiale caldissimo. 3.2IL VULCANISMO ESPLOSIVO Il VULCANISMO ESPLOSIVO si ha quando il magma che risale è viscoso, i gas iniziano a liberarsi in singole bollicine, ma la viscosità non permette loro di espandersi e la pressione da essi esercitata sale in modo continuo; lo stesso accade per magmi meno viscosi ma molto ricchi in aeriformi. Quando si arriva all’esplosione, i gas fuggono con violenza, trascinando frammenti di rocce e lava . Si forma così una NUBE ARDENTE che sale in superficie a gran velocità per migliaia di metri. 25 Quando la nube perde energia e i gas si disperdono, il materiale solido ricade sul vulcano e scorre lungo le sue pendici, formando COLATE PIROCLASTICHE (o FLUSSI PIROCLASTICI), prima di arrestarsi e originare un accumulo di PIROCLASTITI. Se l’esplosione avviene lateralmente, la nuvola rotola lungo il pendio. La forma più devastante è quella delle NUBI ARDENTI TRABOCCANTI che fuoriescono da fessure lunghe vari km, e che arrivano a centinaia di km di distanza dal punto di emissione. L’accumulo piroclastico viene detto IGNIMBRITE (pioggia di fuoco), ed è formato da frammenti di vetro, rocce e cristalli. Gas, vapori e ceneri permangono nell’atmosfera con pesanti conseguenze. Nel 1815 l’eruzione del vulcano TAMBORA, nell’isola di GIAVA, disperse i suoi prodotti su un’area vastissima. Le ceneri più fini salirono fino alla stratosfera e presero a girare intorno alla TERRA, riflettendo nello spazio parte della radiazione solare. Il 1816 è noto come l’ANNO SENZA ESTATE e si ebbero raccolti scarsi in tutto il mondo. Il vulcanismo esplosivo è associato a magmi nella cui origine è coinvolta la crosta continentale. 3.3LA DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DEI VULCANI La distribuzione dei 600 vulcani attivi non è casuale né uniforme: tende a concentrarsi in lunghe fasce o catene di edifici, mentre solo una parte sembra avere una distribuzione sparsa. Si possono distinguere tre diverse situazioni geografiche:  VULCANISMO DA EDIFICI LINEARI LUNGO LE DORSALI OCEANICHE,  VULCANISMO DA EDIFICI CENTRALI LUNGO I MARGINI DEI CONTINENTI O CATENE DI ISOLE,  VULCANISMO DA EDIFICI CENTRALI O LINEARI IN CENTRI ISOLATI (punti caldi), in aree continentali e piane abissali oceaniche. Il tipo di vulcanismo più esteso è legato all’emissione di lave basaltiche dalle fessure delle dorsali oceaniche. Si tratta di un vulcanismo sottomarino effusivo, con 26 grandi accumuli di LAVA A CUSCINI. Tale fenomeno arriva a manifestarsi sopra il livello del mare. I grandi vulcani della Terra si sono sviluppati per lo più lungo i margini di continenti affiancati dalle depressioni del fondo oceanico (note come FORME ABISSALI), oppure fanno parte di catene di isole vulcaniche. Più del 60% di questi vulcani si trova lungo il margine dell’OCEANO PACIFICO, dove costituiscono la CINTURA DI FUOCO. Questi sono tutti vulcani altamente esplosivi, i cui prodotti sono di natura da neutra ad acida, ma anche basica. I centri di emissione di prodotti vulcanici associati a punti caldi sono distribuiti in modo casuale in area oceanica o all’interno del continente. L’ETNA è il più grande vulcano d’EUROPA. È formato da più edifici vulcanici. La sua attività è iniziata 600.000 anni fa, con un vulcano sottomarino. L’edificio si è accresciuto fino ad emergere dal mare. Oggi le eruzioni avvengono sia da bocche stabili, sia da bocche laterali. La lava è in prevalenza un basalto fluido che alimenta estese colate. Le ricerche hanno trovato numerosi piccoli monti sottomarini a forma di cono, assimilabili ai vulcani. Ne sono stati contati oltre 200.000 per lo più estinti. Il vulcanismo si manifesta come il trasferimento di materiali dall’interno del pianeta fino in superficie. esso avviene con processi diversi:  Nelle dorsali oceaniche, materiali solidi e caldi risalgono nel mantello, fluiscono attraverso fessure lungo le dorsali e tagliano tutta la crosta.  A ridosso delle fosse oceaniche, i magmi risalgono da profondità minori, ma interagiscono con i materiali della crosta, arricchendosi di aeriformi, per cui eruttano in superficie con esplosioni violente.  Nei punti caldi, il materiale molto caldo risale da grandi profondità e provoca effusioni per milioni di anni. 4.I VULCANI E L’UOMO 27 Mise in evidenza che , prima del terremoto, anno dopo anno, quelle strade si erano incurvate nel punto in cui attraversavano il percorso della faglia. REID allora comprese che le rocce si comportano in maniera elastica e si deformano progressivamente fino a che non viene raggiunto il limite di rottura. In quel momento nella roccio si crea una lacerazione nel punto più debole e poi una faglia, lungo la quale le rocce possono scorrere le uno contro le altre in direzioni opposte. Le due parti della massa rocciosa riacquistano il loro volume e la loro posizione di equilibrio bruscamente, con una serie di vibrazioni rapide , che si trasmettono alle rocce circostanti e possono durare da pochi secondi a qualche minuto. Se nella massa rocciosa esiste già una faglia, il forte attrito tra le labbra di essa impedisce ogni movimento, per cui le rocce iniziano a deformarsi: quando però la tensione nelle rocce supera la resistenza dell’attrito, la faglia si RIATTIVA e il movimento avviene lungo di essa. Secondo il modello del RIMBALZO ELASTICO di REID, con il brusco ritorno delle masse rocciose all’equilibrio, l’energia elastica si libera, sotto forma di:  calore per l’attrito,  violente vibrazioni. esse si propagano come onde sismiche verso tutte le direzioni, a partire da un certo volume di ROCCIA: L’IPOCENTRO. Nella TERRA le rocce sono sottoposte a sforzo da movimenti in atto nella crosta e nel mantello superiore. Nelle rocce interessate si accumula energia come deformazione elastica, finchè essa si libera improvvisamente, provocando il terremoto. Il fenomeno può esaurirsi in qualche secondo, ma può anche prolungarsi fino a 4/5 minuti e produrre terremoti violenti. la frattura si propaga con una certa velocità, finchè il movimento si blocca per l’attrito crescente e l’esaurirsi dell’energia. 1.3IL CICLO SISMICO 30 Secondo la teoria del rimbalzo elastico, una zona in cui si è verificato un terremoto, dovrebbe aver raggiunto un nuovo equilibrio, che garantirebbe un periodo di tranquillità sismica. Il perdurare delle forze tettoniche tornerà però ad accumulare altra energia fino a un succcessivo punto di rottura e di conseguenza un’altra crisi sismica. il processo si presenta come un CICLO SISMICO, in cui si distinguono più stadi:  quello PRE-SISMICO, la deformazione provoca variazioni in alcune caratteristiche delle rocce;  quello POST-SISMICO, l’area colpita va verso un nuovo equilibrio, attraverso SCOSSE SUCCESSIVE o REPLICHE. i terremoti possono verificarsi solo là dove esistono strutture geologiche in movimento. Le alterazioni delle rocce negli stadi precedenti al terremoto possono essere usate come fenomeni premonitori dell’avvicinarsi dell’evento. 2.PROPAGAZIONE E REGISTRAZIONE DELLE ONDE SISMICHE Nel rimbalzo elastico, le particelle vicino alla faglia compiono delle rapide oscillazioni intorno a un punto di equilibrio prima di fermarsi. questa perturbazione si propaga in tutte le direzioni. 2.1 DIFFERENTI TIPI DI ONDE SISMICHE I movimenti all’ipocentro producono diversi tipi di deformazioni, cui corrispondono diversi tipi di onde. La struttura della TERRA provoca fenomeni di rifrazione e riflessione. Nella zona in superficie sulla verticale dell’ipocentro, chiamata EPICENTRO DEL TERREMOTO, arriva una serie di onde e il terreno vibra a lungo e più violentemente. Per questo gli strumenti in vicinanza dell’epicentro vanno fuori scala o forniscono registrazioni confuse. Per riconoscere i tipi di onde emesse da un terremoto bisogna porsi a distanza dall’epicentro. Si distinguono tre gruppi di onde: 31  Onde longitudinali/ di compressione: sono quelle al cui passaggio, le particelle di roccia oscillano nella stessa direzione di propagazione dell’onda stessa; la roccia subisce variazioni di volume, dilatandosi a seconda delle oscillazioni. Sono le onde più veloci, per cui sono dette anche ONDE PRIME od ONDE P: si muovono nella crosta con velocità tra 4 e 8 km/s. si propagano in ogni mezzo: il rombo che accompagna l’inizio del terremoto è dovuto ad esse che arrivano in superficie e provocano spostamenti d’aria..  Onde trasversali / o di taglio: Al loro passaggio le particelle di roccia compiono delle oscillazioni perpendicolari alla direzione di propagazione; la roccia subisce variazioni di forma, ma non di volume. Sono più lente, hanno velocità variabile tra 2,3 e 4,6 km/s; perciò sono chiamate ONDE SECONDE o S. non possono però propagarsi attraverso i fluidi. Le onde P e S sono chiamate ONDE INTERNE O DI VOLUME, perché si generano nell’ipocentro.  Onde superficiali: quando le onde interne raggiungono la superficie, si trasformano in ONDE SUPERFICIALI. Tra esse ricordiamo le ONDE DI RAYLEIGH o ONDE R, e le ONDE DI LOVE o L. Le onde R furono calcolate su base matematica da STRUTT. Al propagarsi di un’onda R le particelle compiono orbite ellittiche in un piano verticale lungo la direzione di propagazione. le onde L furono previste dal matematico LOVE. Al loro passaggio, le particelle oscillano in modo trasversale alla direzione di propagazione. Le onde superficiali sono più lunghe di quelle interne e si muovono più lentamente; possono percorrere però lunghissime distanze. la velocità e la direzione di propagazione delle onde si modificano al passaggio attraverso materiali diversi per caratteristiche fisiche, per cui esse vengono riflesse e rifratte. In superficie, arrivano anche onde che rimbalzano più volte all’interno della TERRA. Sono stati fatti enormi progressi grazie all’invenzione di strumenti sempre più sensibili , cioè i sismografi, che consentono di raccogliere una grande quantità di informazioni sui terremoti. 2.2COME SI REGISTRANO LE ONDE SISMICHE 32 3.2LA MAGNITUDO DI UN TERREMOTO Le registrazioni dei terremoti hanno fornito lo strumento per valutare la FORZA di un terremoto. Nel 1935, il sismologo RICHTER propose di misurare la MAGNITUDO di un terremoto confrontando l’ampiezza massima delle onde registrate relative a quel terremoto con l’ampiezza massima delle onde registrate da un terremoto standard. Come riferimento egli scelse un TERREMOTO CHE PRODUCE SU UN SISMOGRAFO STANDARD, POSTO A 100 KM DALL’EPICENTRO, UN SISMOGRAMMA CON OSCILLAZIONE MASSIMA UGUALE A 0,001 MM. Per evitare numeri troppo grandi, RICHTER propose di ricorrere ai logaritmi in base 10. Non esiste un limite teorico della magnitudo, ma in pratica nel 20° secolo la massima magnitudo è stata intorno a 9. Essa dipende dalla quantità massima di energia che può essere accumulata in una roccia prima che si rompa. Lo stesso RICHTER affermò che il LIMITE è nella TERRA, non nella SCALA. La SCALA DELLA MAGNITUDO è LOGARITMICA, per cui un aumento di un’unità nella magnitudo corrisponde ad un aumento di 10 volte nell’ampiezza del movimento del terreno, e a una liberazione di energia 30 volte maggiore. La magnitudo non è una misura diretta dell’energia liberata da un terremoto, ma è correlabile tramite relazioni empiriche. 3.3MAGNITUDO E INTENSITA’ A CONFRONTO Non c’è sempre corrispodenza tra intensità e magnitudo, e può accadere che due terremoti di diversa magnitudo provochino effetti classificati nel stesso grado di intensità. Per un determinato terremoto, il valore della magnitudo è il medesimo in qualunque punto della TERRA venga effettuata la misurazione. L’intensità si riferisce agli effetti provocati dal terremoto in una certa zona e assume una serie di valori, da quello massimo nella zona dell’epicentro al valore nullo a una certa distanza. 35 L’intensità di un terremoto è quella massima registrata. I due concetti non sono intercambiabili, tuttavia è stato possibile elaborare una relazione empirica tra queste due misure. 4.GLI EFFETTI DEL TERREMOTO L’arrivo delle onde sismiche in superficie determina un’oscillazione del suolo, che viene trasmessa agli oggetti sovrastanti, che vengono fatti vibrare e subiscono danni, che possono arrivare fino al crollo degli edifici, così come è avvenuto in ITALIA di recente. 4.1I DANNI AGLI EDIFICI I danni principali agli edifici sono provocati da:  i movimenti orizzontali del suolo,  le forti accelerazioni che gli edifici subiscono,  la durata delle oscillazioni. Il TIPO DI COSTRUZIONI ha grande importanza: l’ingegneria antisismica è in grado di realizzare strutture resistenti alle sollecitazioni. Anche la NATURA GEOLOGICA del terreno su cui poggiano gli edifici, può modificare il comportamento delle onde sismiche. Altre volte sono le caratteristiche dei terreni a modificarsi: alcuni subiscono un fenomeno detto LIQUEFAZIONE e perdono ogni consistenza, per cui gli edifici sovrastanti affondano in essi. I movimenti del suolo possono venire localmente amplificati quando le onde sismiche passano da un basamento rigido a sedimenti non consolidati, lacustri o alluvionali. Tra gli altri effetti primari del terremoto ricordiamo la formazione di FRATTURE NEL TERRENO, il SOLLEVAMENTO o l’ABBASSAMENTO DEL SUOLO. Tra gli effetti secondari:  l’oscillazione del suolo  le variazioni del livello dell’acqua nei pozzi,  il rombo cupo che precede e accompagna il terremoto.  incendi, 36  carestie ed epidemie. 4.2GLI TSUNAMI Se il terremoto si verifica sotto il fondo del mare, si possono risentire gli effetti di un MAREMOTO, chiamato con il termine giapponese di TSUNAMI (ONDA DI PORTO). Esso può percorrere enormi distanze e si manifesta come un’onda d’acqua che si muove a grande velocità sulla superficie del mare e può essere causato da eventi diversi: collasso di isole vulcaniche, grandi frane sottomarine e grandi eruzioni vulcaniche, ma anche da improvvisi movimenti del fondo marino associati ad un terremoto. Quando il movimento della faglia fa sollevare o abbassare bruscamente un tratto del fondo marino, l’oscillazione provoca onde molto lunghe che si propagano con velocità tra 500 e 900 km/h. l’altezza delle onde cresce e alla fine ondate gigantesche si abbattono sulle coste, devastandole in profondità. se il ventre dell’onda arriva per prima alla costa, il livello del mare si abbassa improvvisamente e si ritira verso il largo, lasciando emerso un tratto del fondo. Subito dopo arriva la cresta dell’onda e il livello del mare si innalza, formando un’onda alta anche 30 metri, che si rovescia sulla costa travolgendo ogni cosa e trascinandola poi in mare con l’onda di ritorno. 5.I TERREMOTI E L’INTERNO DELLA TERRA Le onde sismiche portano con sé una serie di informazioni sui terreni attraversati, codificate sotto forma di variazioni delle loro traiettorie e della loro velocità di propagazione. La velocità di propagazione delle onde sismiche dipende da:  le caratteristiche elastiche del materiale  la sua densità. Le traiettorie delle onde P (rettilinee) si propagano verso l’interno della Terra lungo linee curve. Questo avviene perché le onde attraversano mezzi con caratteristiche 37 Alla base di questa ricerca vi è il modello del rimbalzo elastico. In una massa rocciosa sottoposta a sforzo, si verifica una deformazione elastica, ma prima si verifica uno stadio in cui la roccia tende a dilatarsi. Questo fenomeno, detto DILATANZA, provoca alcune anomalie:  la VARIAZIONE DELLA VELOCITA’ nella propagazione delle onde P,  SENSIBILI SOLLEVAMENTI di ampie aree,  l’AUMENTO DELLA QUANTITA’ DI GAS RADON (elemento radioattivo gassoso) disciolto nelle acque delle falde o che si libera nella superficie del suolo. La previsione deterministica richiede la sorveglianza di vaste aree, con risultati non ancora attendibili.  LA PREVISIONE STATISTICA si basa sul presupposto che la STORIA SISMICA abbia caratteristiche statisticamente simili nel tempo. Il modello del rimbalzo elastico prevede una periodicità dell’attività sismica in una data regione. Strumenti basilari sono i CATALOGHI SISMICI, che contengono i dati caratteristici di tutti i terremoti. Il nostro Paese ha una lunga tradizione nel campo degli studi storici sui terremoti, grazie al patrimonio delle sue biblioteche. L’Istituto nazionale di Geofisica ha realizzato il Catalogo dei Forti Terremoti in Italia. La previsione statistica è di scarsa utilità per un allarme sismico, ma di grande importanza per circoscrivere aree indiziate in cui è probabile l’arrivo di un terremoto. i due tipi di previsioni, statistiche e deterministiche, sono stati definite COMPLEMENTARI. 7.2LA PREVENZIONE DEL RISCHIO SISMICO La difesa dai terremoti può avvenire con una PREVENZIONE DEL RISCHIO SISMICO, che tiene conto di diversi parametri:  La PERICOLOSITA’ SISMICA: indica la probabilità che in un’area si risentano gli effetti di un terremoto.  La VULNERABILITA’ : è una valutazione della DEBOLEZZA di un territorio di fronte a un terremoto, 40  I COSTI: si riferiscono alle perdite di vite, ai danni degli edifici, agli interventi per la ricostruzione, al danno sociale per le attività. Per diminuire i costi si deve diminuire la vulnerabilità. La sismicità di un’area si può determinare in base all’intensità e alla frequenza dei terremoti che si sono verificati in passato. Si parte dai cataloghi sismici, arrivando a dividere il territorio in aree a diversa sismicità (ZONAZIONE SISMICA): ognuna caratterizzata dal valore massimo della magnitudo che ci si può aspettare in quell’area. Questa fase di previsione statistica permette di passare a una fase operativa, con l’applicazione di tecniche di EDILIZIA ANTISISMICA alle case, agli edifici pubblici e alle grandi opere. Nella prevenzione dovrebbe rientrare anche l’elaborazione di piani di soccorso adattati alle varie zone. È importante anche un’efficace EDUCAZIONE DI MASSA. Accanto alla zonazione sismica, detta MACROZONAZIONE, si è individuata una MICROZONAZIONE , applicata a zone ristrette, come nel caso dei CENTRI STORICI. In tale operazione viene data importanza alla struttura geologica di superficie. Infatti nella progettazione urbanistica, è necessario tener conto della RISPOSTA SISMICA dei terreni di fondazione. Le operazioni di zonazione e di prevenzione sismica sono molto complesse: la loro realizzazione è una questione scientifica e teorica, ma anche economica e politica, per il costo e la necessità di predisporre di leggi e norme specifiche. CAPITOLO 10: LA TETTONICA DELLE PLACCHE: UN MODELLO GLOBALE 1.LA DINAMICA INTERNA DELLA TERRA La scoperta di una dinamica interna della Terra ha spinto a cercare testimonianze di tali attività:  il VULCANISMO ha mostrato il trasferimento di materiale caldo dall’interno della TERRA in superficie, con la formazione di nuove rocce e la liberazione di fluidi.  La SISMICITA’ dimostra la posizione di fasce di CROSTA IRREQUIETE. 41 Negli anni 70 del 20° secolo la GEOLOGIA stava vivendo un MOMENTO MAGICO: i progressi tecnologici avevano fornito numerosi dati a sostegno di idee e ipotesi degli studiosi delle SCIENZE DELLA TERRA. Alcune intuizioni trovavano conferma, tanto da parlare di RISCOPERTA DELLA TERRA, che si concretizzò in una teoria globale, nota come TETTONICA DELLE PLACCHE: un modello che descrive il nostro pianeta come un insieme di sistemi tra loro interdipendenti. 2.ALLA RICERCA DI UN “MODELLO” 2.1LA STRUTTURA INTERNA DELLA TERRA La misura delle dimensioni del nostro pianeta ha permesso di calcolarne il VOLUME. Le leggi della FISICA hanno permesso di determinare la massa della TERRA (M). dal rapporto tra massa e volume si ricava la DENSITA’ MEDIA della TERRA. Dai calcoli sappiamo che l’interno del pianeta deve essere formato da materiali a densità molto elevata. Il nostro pianeta presenta una struttura a involucri concentrici:  Una sottile CROSTA ricopre lo strato sottostante,  Uno spesso MANTELLO avvolge il guscio più interno,  Un grosso NUCLEO metallico, molto denso. 2.2LA CROSTA la CROSTA è la parte più esterna del pianeta, il cui spessore varia da 35 km a 6 km. La sua composizione è molto eterogenea. La sua densità varia. La base della crosta è indicata da una discontinuità sismica, la SUPERFICIE DI MOHOROVICIC o MOHO. 2.3IL MANTELLO Il MANTELLO rappresenta l’82% in volume della TERRA e si estende dalla MOHO fino a circa 2900 km di profondità, dove è presente la discontinuità sismica di GUTENBERG. La pressione aumenta. Le rocce del mantello presentano molta RIGIDITA’. I dati sismici hanno messo in evidenza che tra 70 e 250 km di profondità si trova l’ASTENOSFERA, una zona in cui 42 Le linee di flusso indicano la presenza di una forza magnetica, la cui intensità diminuisce con la distanza dal pianeta. 4.1LA “GEODINAMO” Il campo geomagnetico si può definire prevalentemente dipolare. Al di sopra di una certa temperatura critica, detta di CURIE, i materiali magnetici perdono il loro magnetismo permanente, e tale temperatura è di 500 gradi , molto più bassa delle temperature all’interno della TERRA. Le ipotesi sull’origine del campo geomagnetico si sono orientate verso un modello simile a quello della DINAMO AD AUTOECCITAZIONE, in cui una bobina di filo conduttore viene fatta ruotare in un campo magnetico. Nel caso della TERRA, il materiale conduttore in movimento viene individuato nel nucleo esterno in metallo fuso. 4.2IL PALEOMAGNETISMO il PALEOMAGNETISMO consente lo studio del campo magnetico terrestre del passato. Molte rocce conservano una magnetizzazione propria, indotta dal campo geomagnetico esistente al momento della loro formazione. se esse non vengono fuse, la loro magnetizzazione rimane inalterata per milioni di anni. Il campo geomagnetico esiste da 3, 5 miliardi di anni. La direzione della magnetizzazione conservata in rocce antiche è diversa da quella del campo geomagnetico attuale. L’ipotesi che i POLI MAGNETICI della TERRA siano migrati si scontra con la constatazione che per una stessa età, rocce di continenti diversi indicano una diversa posizione del POLO MAGNETICO. In realtà sono stati i continenti a muoversi , scivolando lentamente sulla superficie terrestre , mentre i poli magnetici sono rimasti nella posizione attuale rispetto all’asse di rotazione della TERRA. Il PALEOMAGNETISMO ha scoperto che in molte rocce di età recente , la direzione di magnetizzazione risulta opposta a quella del campo geomagnetico attuale. 45 Il fenomeno si osserva anche in rocce molto più antiche, il cui campo magnetico riporta la presenza di INVERSIONI DI POLARITA’. Ciò indica che il campo magnetico terrestre è passato da NORMALE a INVERSO. È stato possibile ricostruire la successione dei periodi di tempo a polarità normale e inversa, stabilendo così una SCALA STRATOGRAFICA PALEOMAGNETICA. 5.LA STRUTTURA DELLA CROSTA Esistono due tipi di crosta:  LA CROSTA OCEANICA, che costruisce il pavimento degli oceani ed è coperta dalle loro acque,  La CROSTA CONTINENTALE, che corrisponde ai continenti e alla loro prosecuzione sotto il livello del mare. i due tipi di crosta sono molto diversi tra loro per vari aspetti:  Spessore  Quote medie della superficie  Età delle rocce che vi compaiono  Natura delle rocce e loro giacitura 5.1CROSTA OCEANICA E CROSTA CONTINENTALE  Lo SPESSORE della crosta è indicato dalla profondità della MOHO, che segna l’inizio del mantello. La crosta continentale è più spessa di quella oceanica: in media è spessa 35 km, tranne in corrispondenza delle catene montuose, dove arriva a 60-70 km. La crosta oceanica ha uno spessore medio di 6 km sotto il fondo del mare e si assottiglia in corrispondenza delle dorsali oceaniche. Quella continentale risulta AFFONDATA nel mantello più di quella oceanica.  ETA’ DELLE ROCCE: nella crosta continentale compaiono rocce di ogni età. Mentre la crosta oceanica si è formata in un periodo di tempo ultimo della storia della TERRA.  NATURA DELLE ROCCE E LORO GIACITURA: La CROSTA OCEANICA mostra una struttura a strati regolare. A partire dall’alto si riconoscono: 46 o Uno spessore di SEDIMENTI poco o per niente litificati, o Uno spessore di BASALTO. o Uno strato di GABBRO, la roccia magmatica. La MOHO segna il passaggio alle rocce ultrabasiche del mantello. LA CROSTA CONTINENTALE presenta una composizione eterogenea, in cui si affiancano ROCCE SEDIMENTARIE, METAMORFICHE e MAGMATICHE. LA CROSTA CONTINENTALE ha avuto un’evoluzione, dominata dal processo di OROGENESI (ORIGINE DELLE MONTAGNE), che ha portato alla formazione delle catene montuose. Quando una fascia di crosta ha subìto un’orogenesi, col tempo è diventata un lembo di crosta continentale stabile. Le aree continentali appaiono come un mosaico di aree cratoniche e di fasce orogeniche.  Le AREE CRATONICHE ( o CRATONI): sono formati dai resti di catene montuose molto antiche e sono stabili, cioè non sono stati più deformati nell’ultimo mezzo miliardo di anni.  Le FASCE OROGENICHE ( o OROGENI) sono quelle in cui l’orogenesi si è verificata in tempi meno antichi. Cratoni e orogeni rappresentano il prodotto del RICICLAGGIO della crosta continentale. 5.2L’ISOSTASIA LA CROSTA galleggia sul sottostante mantello più denso. Le catene montuose emergono in quota perché sotto di esse la crosta ha un forte spessore di rocce, meno dense rispetto al MANTELLO, ( dette RADICI) che le mantiene in equilibrio, grazie a una spinta paragonabile a quella di ARCHIMEDE. L’ISOSTASIA (eguale equilibrio/statica) è la tendenza della crosta a raggiungere una posizione di equilibrio attraverso il fenomeno del galleggiamento. Vengono detti AGGIUSTAMENTI ISOSTATICI, i movimenti verticali (verso l’alto o il basso) con cui la crosta reagisce alla modifica di equilibrio. 47 FONDI OCEANICI, secondo cui, le dorsali oceaniche sono sostenute dalla risalita di materiale caldo nel mantello. L’inarcamento della litosfera ne provoca la fratturazione e l’assottigliamento, per cui la RIFT VALLEY corrisponde a una CREPA, attraverso cui il materiale risale e alimenta il vulcanismo della dorsale. La litosfera oceanica si allontana da un lato e dall’altro della RIFT VALLEY, si raffredda e diviene più densa e si abbassa di quota rispetto alla dorsale, verso un nuovo equilibrio isostatico, con un movimento detto SUBDUZIONE: si immerge verso il basso nel mantello. Essa si riscalda e comincia a fondere finchè risulta riassimilata. Non tutto il materiale della litosfera viene però riciclato nel mantello. La discesa della litosfera avviene con attriti, che si manifestano come terremoti. La superficie di BENIOFF viene interpretata come una RADIOGRAFIA che permette di intravedere la litosfera che sprofonda. 7.LE ANOMALIE MAGNETICHE SUI FONDI OCEANICI Un contributo decisivo all’ipotesi dell’espansione dei fondi oceanici venne dal PALEOMAGNETISMO, che permise di riconoscere l’esistenza di numerose ANOMALIE MAGNETICHE. Esse indicano lo scarto tra la misura dell’intensità del campo magnetico attuale di un luogo e il suo valore teorico. essi sono provocati dalla presenza di masse rocciose con una propria magnetizzazione che interferisce con il campo geomagnetico attuale. le anomalie magnetiche risultavano distribuite in fasce disposte in modo parallelo alle dorsali. nel 1963 VINE e MATTHEWS interpretarono:  le zone di anomalie magnetiche positive dei fondi oceanici come risultato dell’interferenza positiva tra campo geomagnetico attuale e porzioni di crosta con magnetismo con orientazione UGUALE a quella attuale. 50  Le zone di anomalie negative risulterebbero dall’interferenza negativa tra campo geomagnetico attuale e porzioni di crosta con magnetismo con orientazione CONTRARIA a quella attuale. La presenza dei due tipi di anomalie dimostra che la crosta oceanica non si sia formata tutta insieme. Le fasce di anomalie magnetiche più vicine alle dorsali sono più recenti di quelle che si trovano a maggior distanza. L’età di una fascia di anomalie magnetiche si può calcolare dividendo la distanza tra la fascia e la dorsale da cui si è allontanata per la velocità di espansione delle varie dorsali. TEMPO(ETA’)=DISTANZA/VELOCITA’. 8.LA TETTONICA DELLE PLACCHE La TETTONICA delle PLACCHE prende in esame il comportamento della LITOSFERA, che si muove sull’ASTENOSFERA. 8.1LE PLACCHE LITOSFERICHE La litosfera è intersecata da fasce molto attive:  Le dorsali di espansione  Le fosse di subduzione  Le grandi faglie trasformi. Esse formano un’immensa rete che si espande su tutta la litosfera, dividendola in una ventina di PLACCHE. Esse possono essere formate da sola LITOSFERA OCEANICA o CONTINENTALE, o da entrambi tipi. I bordi delle singole placche chiamati MARGINI, vengono distinti in tre tipi:  MARGINI COSTRUTTIVI O DIVERGENTI: sono le dorsali oceaniche, lungo le quali si costruisce nuova litosfera oceanica,  MARGINI DISTRUTTIVI O DI CONVERGENZA: sono le fosse oceaniche, lungo le quali la litosfera viene distrutta nel processo di subduzione.  MARGINI CONSERVATIVI: sono le faglie trasformi, lungo le quali due placche scorrono l’una a fianco all’altra in direzioni opposte. 51 Poiché le placche sono a contatto reciproco, ogni margine è comune a due placche. Inoltre esse occupano tutta la superficie della terra, per cui non rimangono mai spazi vuoti tra di esse.  Alcune placche sono circondate da margini costruttivi,  Altre sono limitate sia da dorsali sia da fosse. 8.2L’OROGENESI Il movimento delle PLACCHE provoca la deformazione di interi settori di crosta con la formazione di CATENE MONTUOSE (OROGENI). L’OROGENESI può avvenire secondo vari meccanismi:  Per consuzione di crosta oceanica in subduzione sotto il margine di un continente: quello che sta accadendo lungo il margine pacifico del SUDAMERICA, il risultato è la CATENA DELLE ANDE.  Per collisione continentale dopo la consuzione di litosfera oceanica posta tra due placche tra loro convergenti: da essa è sorta la CATENA DELL’HIMALAYA.  Per accrescimento crostale, in seguito a collisioni di frammenti di crosta di varia natura trascinati a saldarsi lungo un margine continentale: si sarebbero formate le catene montuose costiere dell’ALASKA e degli STATI UNITI nordoccidentali.  Per consuzione di crosta oceanica in subduzione sotto crosta oceanica: si forma una catena di vulcani sottomarini, che arrivano a emergere. L’afflusso di magmi e l’accumulo di sedimenti dà origine all’ARCO INSULARE. Tipico esempio è l’arco delle ISOLE MARIANNE. 8.3IL CICLO DI WILSON Il movimento delle placche porta alla periodica aggregazione di un SUPERCONTINENTE destinato ogni volta a sembrarsi. Questo ciclo di eventi è 52 L’ATMOSFERA è un involucro che avvolge interamente il nostro pianeta ed è trattenuto ad essa dalla forza di attrazione, perciò costretto a seguirla nei movimenti nello spazio celeste. Sotto l’azione della gravità e della forza centrifuga della rotazione terrestre, deve aver assunto una forma simile a quella del globo. Per questo motivo, la chiamiamo ATMOSFERA ( dal greco atmos: vapore e sphaira:sfera). L’atmosfera protegge la Terra dalle radiazioni nocive e ne regola il riscaldamento da parte del SOLE. È composta da gas, tra i quali l’ossigeno, l’elemento indispensabile per la vita animale e vegetale. l’insieme degli organismi viventi agisce sull’atmosfera , intervenendo nella sua composizione e contribuendo a mantenerla pura o ad inquinarla. L’influenza dell’atmosfera si esercita:  sul rilievo terrestre con: o Processi chimici di alterazione delle rocce, o Processi fisici di disgregazione, trasporto e deposizione dei materiali rocciosi;  sulla superficie marina con i venti. Inoltre tramite essa, avviene la continua circolazione delle acque tra il mare e le terre emerse, (i processi di EVAPORAZIONE, CONDENSAZIONE, e PRECIPITAZIONE). Per cui la LITOSFERA, l’IDROSFERA e l’ATMOSFERA sono le componenti di un’unica entità, IL SISTEMA TERRA, tra le quali esiste un interscambio di materia e energia, e nelle quali si inserisce anche la BIOSFERA. L’atmosfera ha attirato l’attenzione dell’uomo fin dai tempi più remoti. Le origini della METEOROLOGIA affondano nella superstizione e nel folklore, ma come scienza nacque nel 17° secolo, quando si affermò il metodo sperimentaleper lo studio dei fenomeni naturali e furono inventati strumenti come il termometro e il barometro. Da allora ha fatto enormi progressi. 55 2.COMPOSIZIONE, SUDDIVISIONE E LIMITE DELL’ATMOSFERA L’atmosfera non è omogenea. la COMPOSIZIONE MEDIA dell’atmosfera, nella porzione più bassa, presso la superficie terrestre è:  78,08 % di azoto,  20,95 % di ossigeno,  0,93% di argon, e lo 0,03 % di anidride carbonica,  Altri gas per circa lo 0,01% 2.1UNA COMPOSIZIONE CHE VARIA CON LA QUOTA A quote più elevate, la radiazione solare realizza una dissociazione dei gas, con passaggio dallo stato molecolare allo stato atomico e con una serie di reazioni chimiche che fanno mutare la percentuale dei vari componenti. Essa contiene una certa quantità di impurezze, che costituiscono il PULVISCOLO ATMOSFERICO. Inoltre negli strati bassi è presente in quantità variabile il VAPORE ACQUEO. Poi vi è L’OSSIGENO, che è il componente dell’aria più importante per noi. Ad altezze superiori , l’atmosfera contiene l’ossigeno in molecole triatomiche, cioè l’OZONO, che assorbe le radiazioni ultraviolette del sole, nocive per gli esseri viventi. L’AZOTO è il componente più abbondante, è inerte nella funzione respiratoria nel mondo organico, così come l’ARGON e altri GAS RARI. L’ANIDRIDE CARBONICA viene assorbita dai vegetali con la funzione clorofilliana ed è usata per fissare il carbonio. Essa contribuisce anche a trattenere il calore irradiato dalla TERRA nello spazio, tanto che le sue variazioni influiscono sulla temperatura dell’aria. La sua quantità è variabile. 2.2UNA STRUTTURA A STRATI E UN CONFINE 56 Nella STRUTTURA DELL’ATMOSFERA si distinguono varie parti sovrapposte, dette SFERE. Dal basso verso l’alto le diverse sfere sono:  La troposfera  La stratosfera  La mesosfera  La termosfera  L’esosfera. Queste sfere sono separate l’una dall’altra da zone di transizione dette PAUSE (tropopausa, stratopausa, mesopausa, termopausa).  La TROPOSFERA è la parte più bassa e più densa dell’atmosfera. È qui che si verificano le perturbazioni meteorologiche e che si sviluppa la vita. In essa sono concentrati circa i ¾ della massa gassosa e quasi tutto il vapore acqueo. Nella troposfera la temperatura diminuisce con l’altitudine con un GRADIENTE TERMICO VERTICALE di 0,6° ogni 100 m.  Nella STRATOSFERA la composizione percentuale dell’aria è ancora costante, ma i gas sono sempre più rarefatti. Il vapore acqueo e il pulviscolo diminuiscono rapidamente con la quota e non si hanno formazioni nuvolose con precipitazioni. In essa la temperatura aumenta, con la quota, di 1-3° C per km e a volte appaiono delle nubi sottili dette MADREPERLACEE. Questo aumento è dovuto alla presenza di uno strato di ozono, l’OZONOSFERA, una specie di SCUDO, che assorbe gran parte delle radiazioni solari ultraviolette.  La MESOSFERA è caratterizzata dall’ulteriore rarefazione dei gas e dal graduale aumento di quelli più leggeri a scapito di quelli più pesanti. In essa la temperatura diminuisce con l’altezza, fino a raggiungere valori compresi tra i -70 e i -90 ° C intorno agli 80 km. A questa quota si possono osservare le NUBI NOTTILUCENTI, formate da cristalli di ghiaccio e polveri. Nella TERMOSFERA e nell’ESOSFERA si ha un progressivo aumento della temperatura.  La TERMOSFERA è anche detta IONOSFERA , per la presenza di moltissime particelle dotate di cariche elettriche (IONI). In essa si formano le AURORE POLARI. nella termopausa si raggiungono forse i 1000°C. 57 acque e perciò riscaldano e raffreddano l’aria sovrastante più rapidamente di quanto avviene sul mare. Di conseguenza, l’aria presenta oscillazioni termiche più marcate nelle zone più interne dei continenti (REGIME CONTINENTALE), e più attenuate vicino al mare (REGIME MARITTIMO o OCEANICO) o di grandi laghi.  Il mare con le correnti, può provocare aumenti o diminuzioni della temperatura che si mantengono per tutto il corso dell’anno nelle regioni costiere.  La copertura vegetale assorbe grandi quantità di calore ed emette vapore acqueo. Perciò dove la vegetazione è abbondante, le temperature estive sono attenuate e i valori invernali non sono mai molto bassi. Tutti questi fattori geografici (altitudine, latitudine, esposizione, posizione delle terre e dei mari, correnti marine, vegetazione) si intrecciano e fanno sì che la temperatura dell’aria vari nel tempo e nello spazio. La TEMPERATURA MEDIA GIORNALIERA si ottiene facendo la media delle temperature registrate a intervalli regolari di tempo nella giornata. Dai valori medi giornalieri si può passare alle TEMPERATURE MEDIE MENSILI e da queste alla TEMPERATURA MEDIA ANNUA. Per lo studio della temperatura si ricorre spesso al calcolo dei valori medi relativi ad un lungo periodo di anni di osservazione (in genere un trentennio). L’ESCURSIONE TERMICA GIORNALIERA è la differenza tra la temperatura massima e quella minima registrate in 24 ore. L’ESCURSIONE TERMICA MEDIA ANNUA è la differenza fra la temperatura media del mese più caldo e quella media del mese più freddo, è minima all’EQUATORE e va aumentando verso i POLI. 4.2LA RAPPRESENTAZIONE DELLE DIVERSITA’ TERMICHE La distribuzione della temperatura sulla superficie terrestre viene evidenziata sulle carte geografiche tramite ISOTERME, linee che uniscono i punti con uguale valore della tempeartura. Le carte delle isoterme possono riguardare le temperature giornaliere, mensili, stagionali o annue. 60 Esse indicano l’esistenza sulla TERRA di diverse ZONE TERMICHE, che non coincidono con le ZONE ASTRONOMICHE. Le più ricche di informazioni sono quelle delle ISOTERME DI GENNAIO e DI LUGLIO, ossia del mese più freddo e caldo dell’anno. Le CARTE DELLE ISOAMPLITUDINALI, o CARTE DELLE ISODIAFORE mostrano l’andamento dell’escursione termica media annua ottenuta dalla differenza tra le temperature medie del mese più caldo e quelle del mese più freddo. 5.LA PRESSIONE ATMOSFERICA E I VENTI La PRESSIONE ATMOSFERICA è il rapporto tra il peso dell’aria e la superficie su cui essa agisce. A livello del mare, alla latitudine di 45° e alla temperatura di 0° C, la pressione dell’atmosfera fa equilibrio a una colonnina verticale di mercurio alta 760 mm e con sezione uniforme di 1 cm2 . La pressione atmosferica viene espressa in MILLIBAR. Nel SISTEMA INTERNAZIONALE l’unità di misura è il PASCAL. Lo strumento usato per misurarla è il BAROMETRO, ideato da TORRICELLI. 5.1COME VARIA LA PRESSIONE ATMOSFERICA La pressione varia in funzione di fattori geografici e fattori meteorologici:  L’altitudine: diminuisce all’aumentare dell’altitudine.  La temperatura: diminuisce all’aumentare della temperatura dell’aria.  La quantità di vapore acqueo contenuta nell’aria: la pressione esercitata su una superficie da una massa di aria umida è minore di quella esercitata da una massa d’aria secca di pari volume. 5.2LE DIVERSITA’ DI PRESSIONE E I FLUSSI DEI VENTI: DALLE AREE ANTICICLONICHE ALLE AREE CICLONICHE La distribuzione della pressione sulla superficie terrestre viene riportata sulle carte geografiche per mezzo delle ISOBARE, cioè linee che uniscono i punti di ugual pressione riportata a livello del mare, alla temperatura di 0° C e alla gravità normale. 61 Le isobare delimitano zone di alta pressione, o ANTICICLONI, e zone di bassa pressione, o CICLONI.  Negli ANTICICLONI l’aria, più densa e pesante, si sposta verso il basso e diverge con moto vorticoso verso le aree di bassa pressione;  nei CICLONI l’aria, più leggera, si sposta verso l’alto e converge vorticosamente al centro. Un esatta valutazione delle VARIAZIONI BARICHE si ottiene considerando il GRADIENTE BARICO ORIZZONTALE, che è il rapporto tra la differenza di pressione fra due punti e la distanza che li separa. Le differenze nella distribuzione orizzontale della pressione producono i VENTI, cioè flussi d’aria che si verificano dalle zone di alta pressione alle zone di bassa pressione, per ristabilire l’equilibrio barico. I venti sono deviati dalla FORZA DI CORIOLIS ( verso destra nell’emisfero settentrionale, verso sinistra nell’emisfero australe). I venti sono tanto più veloci quanto maggiore è il GRADIENTE BARICO. La loro velocità è espressa in NODI e si misura con gli ANEMOMETRI. 5.3VENTI LOCALI A RITMO DIURNO E VENTI REGIONALI A RITMO STAGIONALE: LE BREZZE E I MONSONI Alcuni venti possono spirare alternativamente in direzioni opposte, come conseguenza del verificarsi di inversioni bariche ritmiche. È il caso delle BREZZE di mare e di terra, venti locali con ritmo diurno e notturno, e dei MONSONI, venti periodici con ritmo stagionale, che soffiano:  dal mare verso il continente nel semestre estivo, con piogge abbondanti,  dal continente verso il mare nel semestre invernale. 6.LA CIRCOLAZIONE GENERALE DELL’ATMOSFERA La distribuzione dei diversi valori della pressione atmosferica regola la CIRCOLAZIONE GENERALE DELL’ATMOSFERA. Essa nella bassa troposfera, a differenza di quanto avviene nell’alta troposfera, è fortemente influenzata dalla presenza delle terre emerse e dei mari. 62 L’UMIDITA’ ASSOLUTA è la quantità (in grammi) di vapore acqueo nell’unità di volume d’aria (1 m3). Essa aumenta con la temperatura e tende a diminuire con l’altitudine. Inoltre varia con il procedere verso l’interno dei continenti, diminuendo dove vi sono regimi di alte pressioni. La quantità massima di vapore acqueo che può essere contenuta in un volume d’aria a una data temperatura rappresenta il limite di SATURAZIONE. L’UMIDITA’ RELATIVA (espressa in percentuale,%) è il rapporto tra l’umidità assoluta dell’aria a una certa temperatura e il suo limite di saturazione alla stessa temperatura. Essa tende a variare:  in senso inverso alla temperatura,  diminuendo pure con l’altitudine, anche se in modo molto più regolare. Per misurare l’umidità dell’aria si usano vari strumenti detti IGROMETRI:  IGNOMETRO A CAPELLO: che sfrutta la proprietà che del capello umano di variare in lunghezza col variare dell’umidità relativa,  PSICROMETRO: consiste in una coppia di termometri affiancati, entrambi vengo esposti ad una corrente d’aria di un ventilatore e si determinano le temperature fornite dai termometri, tanto più diverse quanto meno umida è l’aria. 7.2IL RITORNO DELL’ACQUA AL MARE E ALLE TERRE: PIOGGE, NEVE E GRANDINE Quando l’aria è satura, ogni eccesso di vapore provoca:  la condensazione (il passaggio dell’acqua dallo stato aeriforme a quello liquido)  la sublimazione(diretto passaggio allo stato solido) . si può giungere a un eccesso di vapore per due vie:  aggiunta di vapore  raffreddamento dell’aria già satura. 65 La manifestazione di questi processi consiste nella formazione di goccioline d’acqua o ghiaccio, che originano: o NUBI (nuvole): si formani ad altezze elevate, o NEBBIE: hanno origine in prossimità del suolo. Quando le gocce d’acqua raggiungono dimensioni cospicue, danno origine alle PRECIPITAZIONI. Esse sono originate da nubi a spessore verticale, che hanno la base a basse quote. Le precipitazioni più comuni sono: o PIOGGIA: in forma liquida, o NEVE: in forma solida, o GRANDINE: caratteristica delle regioni temperate, è connessa con la frequenza dei temporali. I chicchi di grandine hanno una struttura concentrica, con strati di ghiaccio alternati a strati di neve fusa e ricongelata. Essa reca gravi danni alle colture, inoltre è pericolosa per gli animali e per gli uomini. o RUGIADA: forma particolare di condensazione, che si forma su superfici raffreddatesi più rapidamente dell’aria umida sovrastante. o BRINA: sublimazione diretta del vapore acqueo, con formazione di particelle di ghiaccio. La misura delle precipitazioni è data dall’altezza in mm alla quale si eleverebbe lo strato d’acqua caduta. Essa si ottiene dal volume d’acqua caduta su una superficie orizzontale di un’area. Su questo principio sono basati i PLUVIOMETRI , strumenti che si usano per eseguire la misura delle piogge. La neve e la grandine si misurano allo stesso modo con i NIVOMETRI. 7.3LUOGHI UMIDI E LUOGHI ARIDI La distribuzione delle precipitazioni sulla superficie terrestre è diseguale, e viene rappresentata sulle carte geografiche mediante le ISOIETE, linee che congiungono tutti i luoghi con uguali precipitazioni medie (annue, mensili o stagionali). Esse non si riferiscono solo alle piogge, ma anche le nevi e grandine. 66 La possibilità di ottenere informazioni dettagliate dipendono dalla disponibilità di dati sufficienti per costruire la carta, ma non tutte le regioni del mondo possiedono un’adeguata rete di stazioni pluviometriche. 7.4PERIODI PIOVOSI E PERIODI SECCHI Il REGIME PLUVIOMETRICO è la ripartizione mensile e stagionale delle precipitazioni. Esso è variabile da luogo a luogo della TERRA: o REGIME EQUATORIALE: le regioni hanno due massimi di precipitazione, o REGIME SUBEQUATORIALE: regioni con due stagioni umide alternati a due stagioni secche, o REGIME TROPICALE: regioni con un periodo asciutto ed uno piovoso, o REGIME MONSONICO: alternanza di una stagione piovosa e di una asciutta invernale con venti di terra, o REGIME MEDITERRANEO: estate secca e inverno piovoso, nelle regioni temperate: o REGIME MARITTIMO: piogge in tutte le stagioni, ma frequenti concentrazioni invernali, o REGIME CONTINENTALE: hanno prevalenti precipitazioni estive, o REGIME POLARE: le precipitazioni si verificano soprattutto d’estate e d’autunno. 8.IL TEMPO ATMOSFERICO E LE PERTURBAZIONI CICLONICHE Il TEMPO ATMOSFERICO è il complesso delle condizioni fisiche che caratterizzano l’atmosfera in un dato momento e in un determinato luogo. Il tempo atmosferico è regolato da cicloni temporanei e anticicloni temporanei. I cicloni temporanei vengono considerati come PERTURBAZIONI ATMOSFERICHE, che possono essere distinte in:  CICLONI TROPICALI: o delle basse latitudini,  CICLONI EXTRATROPICALI: o delle medie latitudini. 8.1I CICLONI TROPICALI E I TORNADO 67 Il clima è uno dei principali responsabili della formazione del suolo. Esso contribuisce alla distribuzione della vegetazione naturale, delle coltivazioni e degli insediamenti umani. 2.1LA NATURA E IL COLORE DEL SUOLO La PEDOLOGIA è la scienza che studia la composizione, le caratteristiche evolutive e la distribuzione geografica. Il SUOLO è la parte più esterna e sottile della crosta terrestre, costituita da sostanze solide, liquide e aeriformi:  La parte solida è sia inorganica che organica;  La parte liquida è una soluziona complessa in cui predomina l’acqua;  I gas sono gli stessi dell’atmosfera, insieme a quelli liberati dall’attività biochimica nel suolo. La prima caratteristica che si nota in un suolo è il COLORE, che si estende dal bianco al bruno e al nero, in base al contenuto via via maggiore di HUMUS, prodotto dalla decomposizione della frazione organica. Esso è legato alla rigogliosità della vegetazione e della vita microbica. 2.2I FATTORI DELLA PEDOGENESI E LA DINAMICA DEL “SISTEMA SUOLO” LA FORMAZIONE DEL SUOLO (PEDOGENESI) dipende da diversi fattori (pedogenici):  La natura della roccia madre: per la composizione mineralogica e la tessitura, fattore passivo  La configurazione del rilievo: fattore passivo  Il tempo di esposizione ai processi pedogenetici:fattore passivo  L’attività degli organismi: piante e animali con i loro cicli vitali, fattore attivo o agente  Il clima: per la disgregazione e alterazione delle rocce e quindi dell’esistenza di un mantello detritico, o regolite, attore attivo o agente Il REGOLITE è il manto di materiale eterogeneo, che deriva dall’azione degli agenti atmosferici sulla roccia. Gli elementi climatici più coinvolti nei processi pedogentici sono: 70  Le PRECIPITAZIONI: consentono l’esistenza di una soluzione ricca di sostanze assimilabili dalle piante. Penetrando nel suolo, l’acqua scioglie parte dei Sali minerali contenuti nei livelli più superficiali (ELUVIAZIONE), per poi depositarli in quelli più profondi (ILLUVIAZIONE). Dove l’acqua è presente in quantità sufficiente, il suolo assume un PROFILO peculiare con diversi ORIZZONTI ( ORIZZONTE A: ORIZZONTE ELUVIALE; ORIZZONTE B : ORIZZONTE ILLUVIALE);  Le TEMPERATURE elevate favoriscono l’attività chimica. Durante la pedogenesi, esse influiscono sulle modalità di alterazione e disgregazione della roccia madre e sulla velocità di decomposizione della sostanza organica;  Il VENTO favorisce l’evaporazione dell’acqua e può produrre l’accumulo (o l’asportazione) dei materiali che costituiscono il mantello detritico (regolite) nel quale si sviluppa il suolo. Il suolo è attraversato da flussi di energia e materia che provengono dall’esterno. Per cui può essere considerato un SISTEMA APERTO, in equilibrio dinamico con l’ambiente. I fattori ambientali che provocano i cambiamenti permanenti nei suoli conducono alla costituzione di SUOLI MATURI, i quali non subiscono più notevoli modifiche, e si realizzano in tempi variabili, da 50-100 anni ad alcune migliaia di anni. 3.LE CONDIZIONI CLIMATICO-AMBIENTALI E LA PRESENZA DI PIANTE E ANIMALI Le CONDIZIONI CLIMATICHE influiscono sul tipo e sulla densità della VEGETAZIONE e sulla diffusione della FAUNA. 3.1LE ESIGENZE ECOLOGICHE DEGLI ORGANISMI La distribuzione delle specie vegetali dipende da:  La LUCE: ogni specie vegetale può svilupparsi in un determinato intervallo di intensità luminosa. Si riconoscono PIANTE SCIAFILE (che necessitano di poca luce) e PIANTE ELIOFILE (che richiedono molta luce),  Il CALORE: per la vita delle diverse specie esiste un intervallo di temperatura ottimale. In base alle esigenze termiche si distinguono PIANTE: 71 o MEGATERME: richiedono temperature oltre i 20° C, o MESOTERME: l’intervallo termico è compreso fra i 15 e 20° C, o MICROTERME: con temperature comprese fra 0 e 15° C, o ECHISTOTERME: con temperature inferiori a 0° C.  l’ACQUA: viene assorbita dalle piante dal suolo. Le precipitazioni incidono parecchio sul ciclo biologico. Vi sono:  regioni in cui le precipitazioni sono abbondanti ma concentrate solo in certi periodi dell’anno,  regioni in cui sono distribuite uniformemente, la conseguenza è una diversa copertura vegetale. Se le piogge sono intense possono risultare dannose, poiché defluiscono rapidamente e penetrano poco nel terreno. Anche la neve ha la sua influenza, svolge un’azione protettiva per le piante a ciclo annuale. La quantità d’acqua di cui le piante hanno bisogno dipende dalla temperatura; quanto più è elevata, tanta più acqua è necessaria. in base alla loro necessità di acqua, le piante possono essere distinte in: o IGROFILE: adatte ad ambienti umidi, o MESOFILE: capaci di vivere in zone a media umidità, o XEROFILE: capaci di resistere in zone aride. o TROPOFILE: sono le piante che si adattano alla successione di periodi secchi e periodi umidi.  Il VENTO: la sua azione meccanica è in genere dannosa, ma per molti vegetali è importante, perché favorisce l’impollinazione.  IL SUOLO: vi sono piante che prediligono determinati tipi di terreno o sono esclusive di essi: o CALCIOFILE: che crescono solo sui terreni calcarei, o SILICOFILE: che vivono nei terreni ricchi di silice, o ALOFILE: che richiedono terreni salati. La fauna è soggeta come le piante alle condizioni di tipo climatico, ma a differenza dei vegetali, gli animali possono migrare verso aree più favorevoli alla loro sopravvivenza. La distribuzione della fauna dipende da: 72 Essi vengono distinti in base alle formazioni vegetali presenti e ai limiti di temperatura e di precipitazioni. Ciascuno dei grandi gruppi climatici comprende due o più tipi climatici, a cui corrispondono altrettanti BIOMI delle terre emerse. 5.CARATTERISTICHE E DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DEI DIVERSI CLIMI Ogni zona climatica della TERRA è caratterizzata da condizioni di temperatura, umidità e pressione quasi omogenee. Tra una zona e quella successiva non esiste un limite netto, ma si verifica un passaggio graduale da una combinazione di elementi climatici all’altra. Tenendo presente questi aspetti, si possono considerare le caratteristiche fondamentali dei diversi tipi climatici. 5.1CLIMI MEGATERMICI UMIDI Le aree interessate da questi climi sono quelle della zona intertropicale, la quale presenta precipitazioni abbondanti, una vegetazione molto fitta e varia, una fauna composta da animali di diverse specie, i suoli per lo più lateritici. In questo gruppo si distinguono tre tipi:  CLIMA EQUATORIALE o PLUVIALE: ha temperature medie elevate (25-30° C) che si mantengono invariate durante tutto l’anno, tanto da non permettere una distinzione in stagioni vere e proprie. La grande umidità favorisce lo sviluppo di una vegetazione rigogliosa, infatti il bioma è la foresta equatoriale o pluviale. Caratteristiche di questa zona sono le palme di vario tipo, la pianta della gomma, il mogano, l’ebano, il palissandro, le liane, ecc. tra i numerosi animali, vi sono grossi insetti, pesci voracissimi, anfibi, uccelli, scimmie, rettili di grandi dimensioni e mammiferi carnivori.  CLIMA DELLA SAVANA: le temperature sono sempre elevate, con una media annua superiore ai 20° C. le precipitazioni sono abbondanti, ma presentano una differenziazione stagionale. Queste aree sono soggette a più di tre mesi di siccità. Mano a mano ci si sposta verso i tropici, la foresta tende a diradarsi e si trovano formazioni vegetali aperte, con abbondanza di alberi, arbusti ed erbe. Piante tipiche della savana sono il baobab, le acacie, le euforbie. Lungo i corsi d’acqua esistono essenze arboree ravvicinate. tra gli animali vi sono gli insetti, i rettili, gli uccelli sono scarsi, poi molti mammiferi erbivori, quelli carnivori, e numerose scimmie. I fiumi sono popolati da coccodrilli, uccelli acquatici e ippopotami. 75  CLIMA MONSONICO (variazione di quello equatoriale): è caratteristico di un’ampia fascia che si estende nell’ASIA meridionale e lungo la costa orientale del MADAGASCAR. Le condizioni termiche sono molto varie a seconda delle regioni, ma la ripartizione delle precipitazioni nel corso dell’anno è particolare. la vegetazione è rappresentata dal bioma della giungla, caratterizzata dalla presenza di molti alberi che perdono le foglie nella stagione secca. La fauna comprende specie molto simili a quelle sia del clima equatoriale, sia della savana. Ciò che differenzia questi tre tipi climatici è il loro REGIME PLUVIOMETRICO. Esso risulta:  piuttosto regolare nel primo tipo,  con una marcata differenziazione stagionale nel secondo,  dipendente dal regime tipico dei monsoni nel terzo (MONSONI DI MARE/DI TERRA). 5.2CLIMI ARIDI Le precipitazioni sono scarse in rapporto alle temperature. Il tipo di vegetazione dipende dalla diversa piovosità, ma anche dal suolo: dove la roccia è coperta da una coltre di terreno sabbioso o argilloso, si incontra la STEPPA ASCIUTTA o PREDESERTO; dove prevalgono le distese sabbiose o ciottolose e il terreno è privo di humus, domina il DESERTO. Si distinguono due tipi climatici:  CLIMA PREDESERTICO: si caratterizza per la scarsità delle precipitazioni, e dalla lunghezza del periodo asciutto. Ha una vegetazione aperta, in prevalenza di arbusti, cespugli xerofili, gli alberi non riescono a svilupparsi facilmente. Nelle steppe sono presenti i ciuffi erbacei, arbusti spinosi come le acacie, le piante grasse, e le piante con radici profonde, foglie molto ridotte e semi resistenti. il bioma è la steppa predesertica. La fauna è rappresentata da animali di piccola taglia, rettili, canguri, qualche roditore e coyote.  CLIMA DESERTICO: è caratterizzato da forti escursioni termiche giornaliere o annue e da precipitazioni molto scarse, che possono mancare per lunghissimi periodi. 76 o I DESERTI CALDI: sono contraddistinti da forti escursioni termiche giornaliere, e da elevate temperature che favoriscono l’evaporazione. o I DESERTI FREDDI: in essi predominano le forti escursioni termiche annue, legate alla continentalità delle aree in cui si trovano. La vegetazione è rappresentata da formazioni erbacee o cespugliose molto rade. Nelle zone desertiche calde, in cui vi sono falde acquifere si incontrano delle OASI, con vegetazione abbondante , come palme da dattero. La fauna del deserto è limitata alle specie adattate all’estrema aridità: aracnidi, scorpioni, rettili, piccoli roditori, qualche antilope, cammelli e dromedari. 5.3CLIMI MESOTERMICI Sono climi delle medie latitudini, con precipitazioni moderate e inverni non troppo rigidi. la vegetazione si caratterizza per l’abbondanza di piante sempreverdi. La fauna è scarsamente omogenea e comprende animali provenienti da altre aree. Si distinguono tre tipi climatici, in funzione del regime pluviometrico:  CLIMA SINICO (o monsonico cinese): caratterizzato dallo spirare dei monsoni. Presenta un inverno secco, con piogge nei mesi estivi caldi; le escursioni termiche sono più accentuate , nelle zone interne della CINA centrale. la diversa distribuzione delle precipitazioni e le escursioni termiche sono attenuate nelle zone insulari, come in GIAPPONE. La vegetazione è caratterizzata da piante sempreverdi, con alternanze di piante tropicali come palme, bambù e orchidee. Tra gli animali sono caratteristici l’AIRONE in GIAPPONE e il PANDA in CINA.  CLIMA MEDITERRANEO (il bioma è la macchia mediterranea) si localizza nelle zone adiacenti alle zone aride subtropicali. È caratterizzato dalla presenza dell’anticiclone estivo e quindi da precipitazioni per lo più invernali. Le estati sono calde e secche, ma ad esse seguono autunni e inverni tiepidi ed umidi; la temperatura media del mese più caldo si aggira sui 22-28 °C. La vegetazione spontanea ha massimo sviluppo in primavera. Qui si trova la MACCHIA MEDITERRANEA, composta da alberi bassi e arbusti sempreverdi; raramente compaiono foreste o boschi, alternati con prati. Piante 77 La vegetazione è assai scarsa o assente del tutto. Tra gli animali esistono specie che d’inverno migrano verso latitudini più basse: orsi bianchi, lepri artiche, caribù, alci. Lungo le coste delle aree glaciali si incontrano pinnipedi, come foche, trichechi e elefanti marini; fra i molti uccelli sono caratteristici i pinguini e altri uccelli marini come le procellarie. si distinguono due principali tipi climatici:  Clima della tundra o subpolare: si trova ai margini del circolo polare artico, sui bordi del continente euroasiatico, in Islanda, lungo la Groenlandia e il Canada polare.  Clima del gelo perenne o polare: interessa le zone coperte dai ghiacci, come la parte interna della GROENLANDIA, le terre polari artiche e il continente Antartico. o Clima di alta montagna: con caratteristiche termiche e pluviometriche identiche al precedente, ma dovute alle elevate quote e non alla latitudine. Tutte le zone più elevate dei grandi rilievi della TERRA, come l’HIMALAYA e il PAMIR in ASIA, quasi tutta la cordigliera delle ANDE nel SUDAMERICA e le più alte cime delle Alpi in EUROPA. 6.LE VARIAZIONI DEL CLIMA DALLA PREISTORIA AI TEMPI ATTUALI Il clima è mutevole sia nello spazio che nel tempo. Durante l’OLOCENE (iniziato circa 10.000 anni fa), cioè dopo le grandi glaciazioni quaternarie, il clima della TERRA ha subìto varie oscillazioni, anche se di entità minore di quelle del PLEISTOCENE. la PALEOCLIMATOLOGIA è la scienza che studia le variazioni climatiche del passato, basandosi sugli indizi registrati dalla Natura e cercando di interpretarli (come le analisi di laboratorio eseguite su campioni di ghiaccio della Groenlandia e del continente Antartico o lo studio delle specie di microrganismi presenti nel sedimento oceanico. Così grazie ad essa, conosciamo le OSCILLAZIONI CLIMATICHE dell’OLOCENE, (che si sono succedute dopo la glaciazione wurmiana):  OPTIUM CLIMATICO POST-GLACIALE: che si protasse fino al 2000-1500 a.c. 80 l’aumento delle temperature produsse lo scioglimento dei ghiacci, con un innalzamento del livello del mare e l’invasione delle zone costiere da parte delle acque marine.  OPTIUM CLIMATICO MEDIEVALE : fino al 400 d.c. l’aumento termico provocò un marcato innalzamento del livello del maree il conseguente ingombro delle foci fluviali.  PICCOLA ETA’ GLACIALE: tra il 1590 e il 1850 : i ghiacciai che ricoprivano l’EUROPA e l’AMERICA SETTENTRIONALE si spinsero molto più a sud , il clima della TERRA subì un generale raffreddamento. Dalla metà del 19° secolo è iniziata una nuova fase climatica rilevata direttamente, mediante strumenti in grado di registrare i valori delle temperature, delle precipitazioni e delle frequenze, intensità e direzioni dei venti. Essa è caratterizzata da un generale riscaldamento che si è protratto fino alla metà del 20° secolo ed è stato interrotto da piccole oscillazioni contrastanti. Dalla metà degli anni Settanta del XX secolo si è registrato un costante aumento della temperatura media del globo, del quale sono responsabili anche gli esseri umani, che , con le loro attività, hanno prodotto un aumento di gas serra (in particolare l’anidride carbonica CO2). 7.IL TEMPO, IL CLIMA, L’UOMO E IL RISCHIO DI “RISCALDAMENTO ATMOSFERICO GLOBALE” Le attività umane possono indurre cambiamenti del clima di due tipi:  MODIFICAZIONI VOLONTARIE: prodotte dall’uomo per creare condizioni più favorevoli alle sue attività. o Fra le tecniche usate a SCALA LOCALE, vi sono le PIOGGE ARTIFICIALI, ottenute con la disseminazione di nuclei di condensazione nelle nubi adatte, favorendo così l’AGRICOLTURA. l’intervento umano può anche mirare a ridurre fenomeni dannosi, ne è un esempio la LOTTA CONTRO LA GRANDINE nelle zone destinate alle coltivazioni. o Esistono numerosi progetti su VASTA SCALA: alcuni tendono a mitigare la siccità e ad aumentare le riserve d’acqua, altri a prevenire le inondazioni o a fronteggiare il maltempo, altri a migliorare la 81 produzione alimentare o ad acquisire vantaggi economici o militari, altri a stabilizzare le condizioni climatiche di vaste regioni del globo intero. Tutti quanti possono produrre conseguenze dannose sulle regioni.  Fra i casi di MODIFICAZIONI CLIMATICHE PARZIALMENTE INEVITABILI vi è il fenomeno dell’URBANIZZAZIONE: le città sono spesso più calde nella parte centrale che in quella periferica; questo fenomeno produce un’ISOLA TERMICA URBANA, e può causare mutamenti anche nell’andamento delle precipitazioni, per cui esse sono più intense nella fascia urbana rispetto alle zone più lontane.  MODIFICAZIONI INVOLONTARIE:dannose per la biosfera. Sono ad esempio il diboscamento indiscriminato, le deviazioni dei corsi d’acqua o la captazione errata di grandi sorgenti o anche l’incremento dell’effetto serra, il principale responsabile del rischio di riscaldamento globale. Tale fenomeno sta portando a ridurre in misura consistente le masse di ghiaccio ai poli e quindi provocherebbe un sollevamento del livello dei mari. Per cercare di risolvere questo rapido riscaldamento atmosferico globale, è stato indetto un PROTOCOLLO A KYOTO NEL 1997. Esso prevede che i PAESI INDUSTRIALIZZATI riducano le proprie emissioni dei gas serra in percentuali variabili a seconda di considerazioni storiche e politiche che si applicano a ciascun paese. Essi possono realizzare alcuni obiettivi di riduzione anche con l’acquisto o la vendita di crediti di emissione o investendo in progetti di sviluppo sostenibile. Per un secondo gruppo di stati, che include i PAESI IN VIA DI SVILUPPO, non vi sono invece obblighi di riduzione delle emissioni di gas serra. L’accordo tuttavia non è stato ratificato da STATI UNITI e AUSTRALIA. CAPITOLO 14:L’AMBIENTE MARINO 1.UNA COMPONENTE FONDAMENTALE DEL SISTEMA TERRA L’IDROSFERA MARINA (OCEANO GLOBALE) è una massa liquida unitaria, componente caratteristica del nostro pianeta, di enorme importanza geografica e ambientale. 82 Gli OCEANI sono i bacini principali di maggiori dimensioni (OCEANO ATLANTICO, OCEANO PACIFICO e OCEANO INDIANO) e hanno un fondale di tipo basaltico. I MARI sono bacini secondari, distinti in:  MARI MEDITERRANEI: quasi del tutto circondati da terre emerse,  MARI ADIACENTI o MARGINALI: situati al margine degli oceani e un po’ isolati. spesso giacciono su un basamento di tipo continentale. Gli oceani, e in parte anche i mari, hanno un fondo molto movimentato. 3.LE CARATTERISTICHE CHIMICO-FISICHE DELLE ACQUE E LA VITA NEL MARE L’acqua del mare contiene in soluzione quasi tutti gli elementi noti in natura: 1. Alcuni Sali in notevole quantità, che sono nominati COSTITUENTI PRINCIPALI, 2. Altri Sali in quantità modesta, che sono nominati COSTITUENTI MINORI, 3. Un gran numero di ELEMENTI IN TRACCE, cioè a bassissima concentrazione. Tra le caratteristiche chimiche è molto importante la SALINITA’, cioè il contenuto di Sali (g/l). 3.1LA COMPOSIZIONE CHIMICA La salinità media delle acque di oceani e mari è intorno a 35 grammi per litro. Il valore della salinità varia soprattutto in funzione della temperatura e , quindi, della latitudine e della stagione. I rapporti tra i COSTITUENTI PRINCIPALI restano invariati anche al variare della salinità. I COSTITUENTI MINORI e gli ELEMENTI IN TRACCE, invece sono presenti in proporzioni variabili perché spesso sono influenzati da fenomeni biologici, come avviene per il fosforo, l’azoto e il silicio. Questi ultimi elementi, indispensabili per la vita, vengono detti NUTRIENTI. Nell’acqua di mare sono presenti anche GAS DISCIOLTI, che in genere provengono dall’atmosfera. La loro presenza dipende dalla pressione parziale che hanno nell’aria atmosferica e varia con la temperatura e la salinità. 85 3.2LE PROPRIETA’ FISICHE IN RAPPORTO CON L’INSOLAZIONE Tra le caratteristiche fisiche delle acque marine, tutte più o meno interdipendenti e connesse con le caratteristiche chimiche, le più importanti sono:  La DENSITA’, la quale aumenta all’aumentare della salinità, della profondità e diminuisce all’aumentare della temperatura;  La TEMPERATURA, che è più costante rispetto a quella delle terre emerse, ma comunque varia con la latitudine, la stagione, la profondità.  La PENETRAZIONE DELLA LUCE SOLARE nelle acque marine dipende dalla latitudine, dalla stagione, dall’ora del giorno, e dalla trasparenza dell’acqua.  Il COLORE: dipende dalla caratteristiche proprie dell’acqua, dalla riflessione del colore del cielo. 3.3L’ECOSISTEMA MARINO Un ECOSISTEMA è una comunità di organismi interdipendenti e in stretti rapporti con l’ambiente fisico circostante. Formato quindi da due componenti BIOTICA e ABIOTICA. L’ECOSISTEMA MARINO comprende: o Il BENTHOS , insieme di organismi che vivono a contatto con il fondale, o Il NECTON, formato dagli organismi dotati di movimento proprio, o Il PLANCTON, rappresentato dagli organismi animali o vegetali che si lasciano trasportare dalle acque, presso la superficie o in acque non molto profonde. L’ECOSISTEMA MARINO è minacciato sempre più dall’INQUINAMENTO DELLE ACQUE, non meno grave di quello dell’aria. 4.I MOVIMENTI DEL MARE I principali movimenti del mare sono:  le onde: che presentano movimenti irregolari,  le maree: che consistono in oscillazioni periodiche dell’intera massa marina,  le correnti: che fanno capo alla grande circolazione oceanica globale e in genere sono costanti. 4.1L’AGITAZIONE DELLE ACQUE SUPERFICIALI: LE ONDE MARINE 86 Il moto ondoso è dovuto principalmente allo spirare dei venti. La pressione e l’attrito che i venti esercitano sulle masse d’acqua generano ONDE FORZATE. Le onde che continuano ad agitare il mare anche dopo che è cessato il vento sono le ONDE LIBERE. In un’onda si distinguono diversi elementi: o La CRESTA e il VENTRE, ossia la parte più rilevata e la parte più depressa, o L’ALTEZZA, la distanza verticale tra la cresta e il ventre, o La LUNGHEZZA, la distanza orizzontale tra due creste o due ventri successivi. Altri parametri che caratterizzano le onde sono: o La VELOCITA’ DI PROPAGAZIONE: ossia lo spazio percorso nell’unità di tempo da una cresta (o da un ventre), o IL PERIODO: cioè l’intervallo di tempo compreso tra due passaggi consecutivi di una cresta per lo stesso punto fisso, o La DIREZIONE dell’orizzonte da cui l’onda sembra provenire. L’altezza, la lunghezza e gli altri parametri delle onde possono essere misurati mediante strumenti detti ONDAMETRI. Il comportamento e le caratteristiche del moto ondoso variano in funzione del vento e della distanza dalla costa: o In mare aperto si hanno ONDE DI OSCILLAZIONE, in cui non vi è trasporto di acqua. Nella realtà è difficile che vi siano perfette onde di oscillazione. o Quando la profondità del fondale è inferiore alla metà della lunghezza d’onda, si generano ONDE DI TRASLAZIONE, che comportano un trasporto di acqua; in prossimità della costa l’onda si rovescia in avanti formando un FRANGENTE DI SPIAGGIA e un flusso di ritorno o RISACCA. In prossimità della costa , a seconda della profondità del fondale si verifica: o LA RIFLESSIONE DELLE ONDE, consiste in un’oscillazione verticale del livello marino a breve distanza dall’ostacolo; avviene in corrispondenza di coste alte con fondali profondi, o a ridosso delle banchine dei porti. 87  GHIACCIAI e GHIACCI,  ACQUE SOTTERRANEE,  LAGHI e FIUMI,  ATMOSFERA,  BIOSFERA. Il complesso delle acque allo stato solido (ghiaccio e neve) prende il nome di CRIOSFERA. Il complesso delle acque allo stato liquido costituisce le ACQUE CONTINENTALI. La conoscenza delle caratteristiche dell’idrosfera continentale è fondamentale per l’uomo. Di questi temi si occupano alcuni settori della GEOGRAFIA FISICA:  GLACIOLOGIA: studia i ghiacciai e tutte le forme che il ghiaccio assume in natura;  IDROLOGIA: studia le proprietà, i movimenti, la distribuzione geografica e l’uso delle acque continentali superficiali,  LIMNOLOGIA: (dal greco LIMNE: LAGO, PALUDE) studia le caratteristiche fisiche, chimiche, biologiche dei laghi e delle altre distese di acqua dolce. IDROGEOLOGIA: è un settore della GEOLOGIA APPLICATA, che studia l’origine, le caratteristiche chimiche e la circolazione delle acque sotterranee. 2.IL CICLO DELL’ACQUA L’esistenza delle risorse idriche è legata alla continua circolazione delle acque tra atmosfera, idrosfera, litosfera e biosfera, cioè al CICLO DELL’ACQUA o CICLO IDROLOGICO. 2.1LE FASI DEL CICLO IDROLOGICO Il ciclo dell’acqua si realizza attraverso variazioni dello stato fisico dell’acqua ed è alimentato dall’ENERGIA SOLARE. Il riscaldamento provoca l’EVAPORAZIONE delle acque superficiali. 90 L’acqua entra nell’atmosfera sotto forma di vapore. Con la CONDENSAZIONE , l’acqua tornata allo stato liquido raggiunge in parte i continenti e in parte ritorna agli oceani e ai mari. Dall’acqua di precipitazione: o Una porzione penetra nel suolo per INFILTRAZIONE e può alimentare un DEFLUSSO PROFONDO, o Una porzione alimenta il DEFLUSSO SUPERFICIALE, che si concentra nei fiumi e poi torna all’oceano, o Una porzione torna all’atmosfera per EVAPORAZIONE, o Una porzione è assorbita dalle piante e da queste restituita all’atmosfera per TRASPIRAZIONE attraverso l’apparato fogliare. All’insieme di questi ultimi due processi si dà il nome di EVAPOTRASPIRAZIONE. 2.2IL BILANCIO IDROLOGICO Il ciclo dell’acqua può essere tradotto in termini quantitativi eseguendo il BILANCIO IDROLOGICO globale della TERRA, espresso dalla formula P=D+ET+I, dove :  P rappresenta l’entità delle precipitazioni,  D il deflusso superficiale,  ET l’evapotraspirazione  I l’infiltrazione. Il BILANCIO IDROLOGICO assume valori differenti nelle diverse zone del pianeta. La determinazione del bilancio idrologico di un dato territorio è importante ai fini della programmazione dell’uso dell’acqua. Si può eseguire anche su superfici ristrette, infatti particolarmente interessante è il BILANCIO IDROLOGICO di un BACINO IDROGRAFICO. 3.LE NEVI PERMANENTI, IL GHIACCIO E I GHIACCIAI 3.1IL LIMITE DELLE NEVI Neve e ghiaccio si conservano come tali soltanto al di sopra del LIMITE DELLE NEVI PERMANENTI, cioè laddove (per effetto di altitudine, latitudine, scarsa esposizione al Sole, venti) le condizioni climatiche sono tali da non consentire in estate, la completa fusione della neve caduta in inverno. Tale limite varia al variare della latitudine: raggiunge le quote massime in corrispondenza delle zone tropicali e non di quelle equatoriali. Ciò avviene perché 91 nelle zone prossime ai tropici sono scarse le precipitazioni, che abbondano invece vicino all’EQUATORE. Inoltre all’aumentare della latitudine il limite si abbassa molto più rapidamente nell’emisfero australe, invece tale quota non viene mai raggiunta nell’emisfero boreale. Questo perché in ANTARTIDE le precipitazioni avvengono solo in forma solida, mentre nell’ARTIDE in estate possono essere anche in forma liquida. La trasformazione della neve in ghiaccio è un processo lento, che avviene per modificazioni successive: la neve invernale che riesce a conservarsi fino alla stagione fredda successiva viene coperta e compressa da altra neve, fonde e ricristallizza, aumentando progressivamente la sua densità. A volte questo processo non avviene, a causa dell’equilibrio instabile in cui vengono a trovarsi gli accumuli nevosi quando giacciono su pendii ripidi. Se avviene una parziale fusione, si formano le VALANGHE , che precipitano verso valle. 3.2LE CARATTERISTICHE GENERALI E LE DIVERSITA’ DEI GHIACCIAI Un GHIACCIAIO è una grande massa di ghiaccio che occupa una superficie a varia inclinazione e si muove sotto la spinta del proprio peso. In ogni ghiacciaio si individuano: o Una ZONA DI ALIMENTAZIONE: è la parte più alta, ossia la zona di accumulo della neve che si trasforma in ghiaccio e rifornisce l’intero apparato glaciale. o Una ZONA DI ABLAZIONE: è tutta la parte che scende sotto il limite delle nevi permanenti. Qui prevale la fusione o la perdita di ghiaccio. Ogni ghiacciaio termina con la FRONTE, dalla quale può fuoriuscire un TORRENTE GLACIALE. In base alle PROPRIETA’ FISICHE (temperatura ed eventuale presenza di acqua di fusione), si distinguono: o GHIACCIAI POLARI, come la calotta dell’ANTARTIDE, con temperatura sotto gli 0° C; o GHIACCIAI TEMPERATI o caldi, come quelli delle ALPI, in cui la temperatura d’estate sale sopra lo zero. 92 tempo è direttamente proporzionale al rapporto tra il dislivello e la distanza orizzontale. 4.3LE SORGENTI Le acque infiltratesi nel sottosuolo possono riemergere attraverso le SORGENTI. In base alla loro ORIGINE si distinguono: o SORGENTI DI DEFLUSSO o SORGENTI DI SBARRAMENTO o SORGENTI DI TRABOCCO o SORGENTI CARSICHE In base alle acque erogate si distinguono in:  Normali acque potabili,  Acque minerali fredde,  Acque termali,  Acque termominerali. La portata di una sorgente è la quantità di acqua che sgorga nell’unità di tempo, ed è espressa in litri/secondo. 5.I CORSI D’ACQUA Un FIUME è un corso d’acqua perenne, alimentato dalle sorgenti, dalle piogge ed eventualmente dalla fusione delle nevi e dei ghiacci. Un TORRRENTE è un corso d’acqua intermittente. 5.1CARATTERISTICHE DEI SISTEMI FLUVIALI il BACINO IDROGRAFICO o IMBRIFERO, che è delimitato dalla LINEA SPARTIACQUE, è la porzione di terra emersa che con le sue acque alimenta un fiume o un torrente. IL BACINO IDROGEOLOGICO di un SISTEMA FLUVIALE (o RETICOLO IDROGRAFICO), ha estensione e limiti dipendenti dalla struttura geologica e perciò spesso non coincide con il bacino idrografico. Caratteristiche importanti dei corsi d’acqua sono: 95 o La LUNGHEZZA, che dipende dai caratteri orografici e geologici della zona in cui esso scorre. o LA PENDENZA: è il rapporto tra il dislivello esistente fra la sorgente e la foce e la lunghezza del suo percorso. I suoi valori dipendono dalle caratteristiche del rilievo. Anche nell’ambito di uno stesso fiume, la pendenza assume valori diversi, tanto che un fiume è di solito diviso in 3 parti:  IL CORSO SUPERIORE: con pendenza elevata,  IL CORSO MEDIO: con pendenza poco accentuata,  IL CORSO INFERIORE: con pendenza molto bassa o LA VELOCITA’: varia da un corso d’acqua all’altro, e in uno stesso corso d’acqua. o LA PORTATA LIQUIDA: esprime il volume d’acqua che passa nell’unità di tempo, attraverso una sezione trasversale alla corrente fluviale. È direttamente proporzionale all’ampiezza della sezione e alla velocità della corrente. o LA PORTATA SOLIDA: è la quantità complessiva dei materiali che vengono trasportati dalla corrente fluviale sul fondo. Dalla portata e dalla velocità dipende l’ENERGIA DELLA CORRENTE FLUVIALE, di tipo cinetico, poiché relativa ad una massa liquida in movimento. È direttamente proporzionale alla portata e al quadrato della velocità. 5.2RAPPORTI FRA GLI AFFLUSSI METEORICI E I DEFLUSSI FLUVIALI il REGIME di un corso d’acqua è la variazione della portata nell’arco dell’anno. Esso è connesso soprattutto al clima, e in particolare alla distribuzione delle precipitazioni meteoriche nei vari mesi dell’anno. ma dipende anche dalla struttura geologica, dalla topografia, dalla copertura vegetale e dalle opere umane. o Il DEFLUSSO è la quantità di acque che un fiume porta in mare in un anno. o L’AFFLUSSO METEORICO è la quantità di acqua che cade nel bacino idrografico del fiume in un anno. o Il rapporto tra il deflusso e l’afflusso meteorico è il COEFFICIENTE DI DEFLUSSO. 6.I LAGHI E LE CONCHE D’ACQUA MINORI 96 I LAGHI sono masse d’acqua, per lo più dolce, raccolte in depressioni naturali senza comunicazione diretta con il mare. Essa può avvenire tramite un braccio fluviale oppure essere del tutto assente. 6.1L’ORIGINE E LA CLASSIFICAZIONE DEI LAGHI In base alla loro ORIGINE si distinguono: o LAGHI DI ESCAVAZIONE GLACIALE: comprendono i laghi di circo e quelli vallivi; o LAGHI DI SBARRAMENTO: si originano per ostruzione di un tratto di valle, o LAGHI CRATERICI: occupano depressioni prodotte dall’azione chimica delle acque meteoriche sulle rocce calcaree, o LAGHI DI CAVITA’ TETTONICA: sono dovuti ad acque raccoltesi in depressioni causate da abbassamenti di porzioni della crosta terrestre per movimenti tettonici, o LAGHI RETTILI: in genere sono salati, sono masse d’acqua , in origine marina, rimaste isolate da movimenti tettonici o da abbassamento del livello del mare, o LAGHI COSTIERI: si formano per accumulo, verso mare, di cordoni litoranei di sabbia, o LAGHI DI SBARRAMENTO ARTIFICIALE: si sono formati per la costruzione di dighe e destinati a fornire energia elettrica o usati per l’irrigazione. 6.2I LAGHI ITALIANI L’ITALIA è ricca di laghi, secondo un inventario di un ISTITUTO DI RICERCA essi ammontano a 368 unità . i maggiori laghi sono concentrati nell’ITALIA settentrionale ai piedi delle ALPI, ma sono presenti anche lungo la penisola. I più estesi sono : o LAGO DI GARDA, o LAGO MAGGIORE, o LAGO DI COMO, o LAGO TRASIMENO, o LAGO DI BOLSENA, 97
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