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riassunto di geografia umana, fisica e della questione calabrese, Sintesi del corso di Geografia

riassunto dettagliato capitolo per capitolo del libro di geografia umana, dei capitoli in programma di geografia fisica (5-8-9-10-12-13-14-15-16) e del libro "Mezzogiorno urbano e questione calabrese" della professoressa Nicoletti

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 12/04/2021

solilla1522
solilla1522 🇮🇹

4.5

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Scarica riassunto di geografia umana, fisica e della questione calabrese e più Sintesi del corso in PDF di Geografia solo su Docsity! GEOGRAFIA FISICA CAPITOLO 5 LA RAPPRESENTAZIONE DELLA SUPERFICIE TERRESTRE 1 PERCHÉ E COME RAFFIGURARE IL TERRITORIO Il tentativo di raffigurare la superficie terrestre, o parti di essa, ha impegnato l’uomo fin dai tempi più remoti, sia per l’esigenza di individuare esattamente i luoghi da cui si possono trarre risorse, sia per il desiderio di conoscenza delle diverse regioni geografiche, dei fenomeni fisici e biologici che in esse si verificano e dei vari gruppi umani che vi operano. Inizialmente questo problema è stato risolto approssimativamente, mediante schizzi e disegni. Poi, con le scoperte di nuove terre, anche i metodi di rappresentazione sono migliorati, fino a giungere alla produzione delle vere carte geografiche che usiamo comunemente. I progressi della tecnologia hanno messo a disposizione un mezzo di rappresentazione della superficie terrestre che sembra perfetto: il telerilevamento. Con le moderne tecniche di telerilevamento si osserva a distanza (da un aereo o da un satellite artificiale) la superficie terrestre e si ottengono immagini mediante la registrazione dell’energia che le varie sostanze sono in grado di riflettere o emettere. Gli strumenti che registrano l’energia riflessa o emessa dagli oggetti geografici, sotto forma di radiazione elettromagnetica si chiamano sensori. L’adozione del telerilevamento ha assunto notevole importanza soprattutto dopo l’avvento dei satelliti artificiali. I dati raccolti dai sensori installati sui satelliti vengono trasmessi alla Terra, dove sono elaborati e tradotti in immagini, che consentono di costruire carte geografiche molto precise. Le tecniche di telerilevamento non vengono utilizzate solo per scopi cartografici, ma anche, più in generale, per lo studio dell’ambiente e delle risorse del pianeta. Indubbiamente, quindi, il telerilevamento è di enorme utilità sia per la conoscenza del pianeta che per la costruzione delle carte geografiche anche se quest’ultime rimangono uno strumento indispensabile per ogni serio esame della superficie terrestre e dei suoi vari aspetti, fisici e biologici. 2 I GLOBI E LE CARTE GEOGRAFICHE La Terra ha una forma sferoidale e pertanto la sua superficie non è sviluppabile su un piano. Solo il globo può essere considerato come una fedele riproduzione in piccolo della Terra. Ma, date le loro dimensioni troppo ridotte, sui globi possono essere riportati solo i lineamenti generali della superficie della terra. I globi non ci consentono di raffigurare la superficie terrestre con quella ricchezza di particolari che è necessaria negli studi geografici. Ben maggiore quantità di dati, rispetto a quelli che figurano sui globi, compaiono nelle carte geografiche. Una carta geografica si può definire come la rappresentazione ridotta, approssimata e simbolica di una zona più o meno vasta della superficie terrestre. Una carta geografica è, di conseguenza, ridotta, approssimata (poiché non è possibile sviluppare su un piano una superficie sferica senza che subisca delle deformazioni, che sono dette proiezioni geografiche). Infine gli oggetti geografici dovranno essere indicati tramite dei simboli, detti segni convenzionali, che sono descritti da una leggenda. Perché una qualsiasi rappresentazione della superficie terrestre possa essere considerata esatta, deve presentare 3 requisiti: EQUIDISTANZA (deve mantenere inalterato il rapporto tra le lunghezze grafiche e le lunghezze reali), EQUIVALENZA (il rapporto tra aree grafiche e aree reali) e ISOGONIA (l’angolo compreso tra due raffigurazioni grafiche deve essere uguale all’angolo compreso tra le superfici terrestri). Queste 3 caratteristiche sono tutte rispettate dai globi, e carte geografiche invece ne rispettano al massimo una. 3 LA SCALA DELLE CARTE GEOGRAFICHE + 4 LE TIPOLOGIE DI PRODOTTI CARTOGRAFICI + 7 RILIEVO Dato che non è possibile rappresentare la Terra con le sue vere dimensioni, le carte geografiche sono tutte rappresentazioni ridotte di zone più o meno vaste della superficie del pianeta. La riduzione è espressa dalla scala della carta geografica, cioè dal rapporto tra le misure delle lunghezze effettuate sulla carta e le misure 1 delle lunghezze corrispondenti sul terreno. In base alla scala si distinguono diversi tipi di carte: le carte geografiche propriamente dette (rappresentano aree estese come uno Stato); le carte corografiche (raffigurano zone piuttosto estese come una regione); le carte topografiche (sono ricche di particolari, rappresentano estensioni relativamente piccole); le piante e le mappe (rappresentano centri urbani, zone rurali). Oltre alla scala numerica (cioè quella espressa sotto forma di frazione), sulle carte è riportata spesso anche la scala grafica, cioè un segmento, suddiviso in tratti, che fornisce la corrispondenza tra le lunghezze rappresentate sulla carta e le corrispondenti lunghezze reali (proiettate su un piano). Oltre che per la scala, le carte geografiche di distinguono anche per il loro contenuto. Le carte generali possono essere distinte in carte fisiche (che rappresentano gli aspetti naturali di una data area), in carte politiche (rappresentano gli aspetti umani come città, strade, ferrovie); carte fisico-politiche (riportano entrambe le categorie prima elencate). Le carte speciali cono costruite per uno scopo preciso. Ne fanno parte il gruppo delle carte idrografiche, quelle nautiche, marine, aeronautiche e le carte turistiche. Le carte tematiche mettono in risalto un aspetto particolare-fisico, biologico, antropico o economico- del territorio. Nelle carte fisiche anche l’andamento del rilievo terrestre può essere reso in modi diversi. I metodi utilizzati per rappresentare il rilievo sono numerosi. Le variazioni di altitudine possono essere rappresentare, ad esempio, tracciando le isoipse o utilizzando tinte altimetriche (dall’azzurro al verde, al giallo e al marrone, salendo di quota). Una visione bidimensionale del rilievo è quella fornita dai profili topografici. il rilievo è messo in evidenza attraverso le sfumature di colore o il tratteggio. Un altro metodo sono le isoipse. L’isoipsa è una linea ideale che unisce tutti i punti del terreno aventi la stessa altezza rispetto al livello medio del mare. 5 LE PROIEZIONI GEOGRAFICHE Per traferire la superficie di una sfera su un piano bisogna per forza deformarla: in qualunque modo la ritagliamo, infatti, non riusciremo mai a distenderla perfettamente. Poiché i contorni degli oggetti sulla carta sono deformati rispetto a quelli reali, la carta geografica è una rappresentazione approssimata della superficie terrestre. I sistemi che consentono di rappresentare in piano il reticolato geografico, e quindi la superficie terrestre, sono detti proiezioni geografiche. Esse si distinguono in proiezioni pure, modificate e convenzionali. Nelle PROIEZIONI PURE il reticolato geografico viene riportato geometricamente su un piano di proiezione o quadro o oppure su una superficie. Le proiezioni pure possono essere PROSPETTICHE (si immagina di proiettare il reticolato geografico direttamente su un piano tangente alla sfera terrestre) e proiezioni DI SVILUPPO (il reticolo geografico è proiettato su una superficie ausiliaria rappresentata da un cilindro oppure da un cono. Per questo si parla anche di proiezioni cilindriche e di proiezioni coniche). Le proiezioni pure possono essere ritoccate per ridurre le deformazioni introdotte nel passaggio dalla sfera terrestre al piano o alla superficie ausiliaria: si ottengono così le PROIEZIONI MODIFICATE. In altri casi, addirittura, invece di applicare i principi geometrici, si ricostruisce il reticolo geografico ricorrendo alle relazioni matematiche che legano tra loro i vari puti della superficie terrestre: in tal modo si hanno delle rappresentazioni, dette anche proiezioni convenzionali. Nessuna proiezione è in assoluto migliore delle altre, in quanto nessuna ci consente di ottenere una rappresentazione completamente fedele del nostro pianeta. Per questo è necessario scegliere il tipo di proiezione volta per volta, in funzione dello scopo che vogliamo raggiungere. Un tipo di proiezione modificata è la proiezione conforme di Mercatore: essa deriva da una proiezione cilindrica pura, alla quale sono apportate alcune modifiche in modo da ridurre il notevole schiacciamento delle zone polari. In sostanza, il ritocco consiste nel dilatare le distanze tra i paralleli via via che ci si allontana dall’Equatore. Le proiezioni convenzionali non sono basate su regole geometriche, ma su calcoli matematici. A seconda dello scopo per il quale la carta viene usata, è possibile costruirla in modo che sia rispettato almeno 1 dei 3 requisiti citati nel paragrafo 2. 6 LA COSTRUZIONE DELLE CARTE GEOGRAFICHE 2 sotto della quale si vanno accumulando i gas che continuano a liberarsi dal magma. Nel giro di un’ora o anche solo pochi minuti, la pressione dei gas cresce fino a far saltare la crosta, con modeste esplosioni che lanciano in aria brandelli di lava fusa. Esaurita la spinta dei gas, la lava torna a ristagnare sul fondo del cratere. 4) ERUZIONI DI TIPO VULCANIANO= sono caratterizzate da un meccanismo simile a quello stromboliano, solo che in tal caso la lava è molto più viscosa. Perciò i gas si liberano con più difficoltà, e la lava solidifica nella parte alta del condotto, dove forma un tappo di grosso spessore. I gas impiegano quindi tempi più lunghi per raggiungere delle pressioni sufficienti a vincere l’ostruzione; quando ciò avviene, l’esplosione è violentissima. 5) ERUZIONI DI TIPO PLINIANO= quando le esplosioni raggiungono il loro aspetto raggiungono il loro aspetto più violento prendono questo nome, da Plinio di Giovane, che per primo ne descrisse una nell’eruzione del Vesuvio. La colonna di vapori e di gas fuoriesce dal condotto con tale forza e velocità da salire diritta verso l’alto per alcuni km, prima di perdere energia ed espandersi in una grande nuvola, che assume così una caratteristica forma che ricorda un pino marittimo. Dalla nuvola ricadono su un’ampia area grandi quantità di frammenti di lava. 6) ERUZIONI DI TIPO PELEEANO= la lava ad altissima viscosità a temperatura relativamente bassa viene spinta fuori dal condotto già quasi solida e forma cupole o torri alte qualche centinaio di metri. 7) ERUZIONI DI TIPO IDROMAGMATICO= questo tipo di vulcanismo è dovuto all’interazione tra un magma che si trova a modeste profondità e l’acqua che permea le rocce nella falda. Il brusco passaggio dell’acqua allo stato di vapore genera enormi pressioni, che possono far saltare l’intera colonna di rocce sovrastanti, aprendo un condotto verso l’esterno. Dal cratere esce con grande violenza una colonna di vapore, che trascina con sé frammenti di rocce e -se c’è stato contatto con il magma- lava finemente polverizzata. Dalla base di tale colonna parte una specie di onda d’urto concentrica, tipica di esplosioni violente, che dà origine a una densa nuvola di vapore e materiali solidi. Oltre alle eruzioni, esistono altri fenomeni legati all’attività vulcanica. Tra questi, troviamo i LAHAR che son colate di fango che si formano quando le ceneri presenti sui versanti di un vulcano si mescolano all’acqua piovana. Spesso, infatti, le eruzioni sono accompagnate o seguite da piogge intense, dovute alla condensazione del vapore acqueo emesso dal vulcano stesso. I lahar hanno l’aspetto del cemento fresco, ed essendo molto più densi dell’acqua sono in grado di trascinare via tutto ciò che incontrano sul loro percorso. La colato può muoversi lungo i fianchi del vulcano a una velocità di oltre 50 km/h. Esplosioni generate da vulcani o collassi di parti di isole vulcaniche possono provocare gli tsunami. Fenomeni legati a queste manifestazioni tardive sono i GEYSER, che abbondano nell’America Settentrionale e in Islanda, dove costituiscono un’attrazione turistica. Il termine inglese geyser è derivato dal nome Big Geyser che significa “emettere a fiotti”: il fenomeno si manifesta, infatti, quando da una cavità aperta in superficie viene emessa, a intervalli quasi regolari, che viene spinta a grandi altezze, come un’enorme fontana. Altre manifestazioni minori sono le fumarole, emissioni di gas e vapori caldi, e le mofete, emissioni di acqua e anidride carbonici. Sulla Terra i vulcani attivi si trovano sia sulle terre emerse sia sui fondi oceanici, e sono concentrati in lunghe fasce o catene di edifici vulcanici: lungo le dorsali oceaniche, che sono vulcani lineari sul fondo degli oceani; lungo alcuni margini di continenti (quelli fiancheggiati da fosse abissali); lungo alcuni archi di isole (anch’essi in corrispondenza di fosse abissali). Troviamo poi un certo numero di vulcani in punti isolati, che possono essere sia all’interno dei continenti sia nel mezzo delle piane abissali oceaniche; queste zone sono chiamate punti caldi. Gran parte dei fenomeni vulcanici si verifica in corrispondenza delle dosali oceaniche, dalla cui sommità fluiscono grandi quantità di lave basaltiche fluide, lungo grandi fessure 5 che attraversano la crosta. Queste lave, solidificando, si accumulano sui fondali oceanici. La maggior parte dei vulcani emersi della Terra è localizzata lungo i margini di alcuni continenti, oppure fanno parte di intere catene di isole vulcaniche. In entrambi i casi, gli allineamenti di vulcani sono fiancheggiati da profonde depressioni del fondo oceanico strette e lunghissime, chiamate fosse abissali. I vulcani allineati lungo le fosse abissali (per esempio quelli della Cintura di fuoco del Pacifico) sono tutti caratterizzati da un vulcanismo di tipo esplosivo. Alcuni vulcani non si trovano ai margini delle fosse, ma in punti isolati all’interno dei continenti o delle piane abissali: i punti caldi. Riguardo la distribuzione dei vulcani ci ritorneremo nel capitolo 10 3 VULCANISMO EFFUSIVO ED ESPLOSIVO La frequenza con cui i diversi tipi di eruzioni si manifestano e la quantità di prodotti cui ognuno di essi dà origine, suggeriscono che si ha a che fare essenzialmente con due tipi di vulcanismo, uno effusivo, l’altro esplosivo. Questi due tipi fondamentali di vulcanismo hanno una distribuzione geografica diversa: in certi settori del pianeta domina il vulcanismo esplosivo, in altri quello effusivo. Questa distribuzione non è casuale. VULCANISMO EFFUSIVO= Quando un magma fluido risale verso la superficie, gli aeriformi in esso disciolti, dopo aver fatto saltare con la loro pressione l’eventuale ostruzione, si liberano con forza, mentre inizia a traboccare la lava che fluisce rapidamente e si espande anche su grandi distanze. La manifestazione più imponente di vulcanismo effusivo sul nostro pianeta avviene sott’acqua ed è associata a una serie di profonde fessure che tagliano l’intera crosta oceanica e che segnano l’asse delle dorsali oceaniche (sono un inarcamento del fondo oceanico lungo la cui sommità si aprono le fessure da cui fluisce il magma). Uno degli esempi meglio studiati di vulcanismo effusivo è, però quello delle Isole Hawaii, giganteschi vulcani a scudo associati all’attività di un punto caldo. VULCANISMO ESPLOSIVO= quando il magma che risale è viscoso, i gas iniziano a liberarsi in singole bollicine, ma la viscosità non permette loro di espandersi liberamente e la pressione da essi esercitata sale continuamente. Quando si arriva all’esplosione i gas roventi fuggono dal condotto con estrema violenza, trascinando frammenti di rocce sbriciolate e lava polverizzata. Si forma così una nube ardente. Quando la nube perde energia e i gas si disperdono, la colonna di materiale solido (polveri, ceneri, lapilli) ricade sul vulcano (nube ardente ricadente) e scorre velocemente lungo le sue pendici. Se a causa di una parziale ostruzione del cratere, l’esplosione avviene lateralmente, la nuvola rotola lungo il pendio con grande velocità (nube ardente discendente). La forma più devastante di queste esplosioni è però quella delle nubi ardenti traboccanti che fuoriescono da fessure lunghe vari kilometri e che arrivano a centinaia di km di distanza. 4 I VULCANI E L’UOMO Le grandi eruzioni vulcaniche sono state e sono tuttora un importante fattore di condizionamento per la società umana. Ci sono circa 600 vulcani attivi e di essi 1 su 6 ha provocato vittime. La vulcanologia è in grado di riconoscere i vulcani pericolosi e di individuare i rischi caso per caso, in base allo studio dei depositi vulcanici di eruzioni precedenti. È possibile identificare i probabili percorsi di colate di lava o le zone di espansione di colate e questo consente di delimitare aree da abbandonare o su cui evitare l’occupazione. Inoltre, il continuo monitoraggio dei vulcani “indiziati” permette di riconoscere fenomeni premonitori come tremori, rigonfiamenti dei fianchi, emissioni di gas, inoltre, tutti questi segnali permetto di far evacuare la popolazione a rischio. Le eruzioni sono inevitabili ma la ricerca scientifica e una politica di protezione civile efficiente possono ridurre gli effetti catastrofici. La prevenzione del rischio resta l’unica difesa efficace, con l’allestimento di sistemi di monitoraggio e di allarme, con l’organizzazione di piani di evacuazione e con il divieto di occupare aree potenzialmente pericolose. APPROFONDIMENTO SUI VULCANI IN ITALIA 6 L’Italia è costellata dai vulcani, la maggior parte dei quali allineata lungo le coste dalla Toscana alla Sicilia. Il maggiore dei vulcani attivi è l’Etna, che è anche il più grande vulcano europeo. È un vulcano-strato formato da diversi edifici vulcanici che si sono succeduti nel corso del tempo. Presso Napoli, il Vesuvio è un vulcano- strato che dà luogo ad eruzioni esplosive. Come il Vesuvio anche i vicini Campi Flegrei e l’isola di Ischia si trovano oggi in una fase di temporaneo riposo. Nell’arcipelago delle Eolie troviamo il cono vulcanico, Stromboli, il quale è attivo a intervalli di pochi minuti. CAPITOLO 9 I FENOMENI SISMICI 1 LO STUDIO DEI TERREMOTI Un terremoto è una vibrazione che si verifica nella crosta terrestre. È dovuta a un’improvvisa liberazione di energia nel sottosuolo. Il punto nel sottosuolo in cui ha inizio la propagazione delle vibrazioni viene chiamato ipocentro; la sua proiezione sulla superficie terrestre è detta epicentro del terremoto. Le vibrazioni che si propagano sotto forma di onde sono chiamate onde sismiche. Nonostante ciò che si potrebbe pensare, i terremoti non sono fenomeni casuali; in un anno se ne verificano circa un milione: uno ogni 30 secondi. Soltanto qualche migliaio di essi è abbastanza forte da essere percepito dagli esseri umani. La maggior parte dei sismi è registrata solo da strumenti molto sensibili. I sismi si manifestano quasi esclusivamente entro certe fasce della superficie terrestre, che vengono dette aree sismiche, mentre mancano del tutte in altre zone, chiamate aree asismiche. Quando si verifica un forte terremoto, spesso nella zona interessata si osservano movimenti del terreno: possono aprirsi delle spaccature e può accadere che ferrovie, strade e corsi d’acqua che attraversano queste spaccature risultino spostati anche di molti metri. Osservando questi fenomeni il sismologo americano Reid propose la TEORIA DEL RIMBALZO ELASTICO. Il tutto partì dallo studio del terremoto che colpì San Francisco che fu accompagnato da vistosi movimenti del terreno lungo la faglia di San Andreas: Reid mise in evidenza, studiando le foto di 50 anni prima, che quelle strade, palizzate e corsi d’acqua si erano incurvati anno dopo anno nel tratto in cui attraversavano il percorso della faglia. Reid, allora, giunse alla conclusione che le rocce, sottoposte a qualche sforzo, si comportano in maniera elastica e si deformano progressivamente fino a che non viene raggiunto il limite di rottura. In quel momento nella massa rocciosa si innesca una lacerazione a partire dal punto più debole e si crea una faglia, lungo il cui piano le rocce possono scorrere le une contro le altre in direzioni opposte. Le due parti poi riacquistano bruscamente il loro volume e la loro pozione di equilibrio, con una serie di rapide vibrazioni, che si trasmettono alle masse rocciose circostanti. Il modello del rimbalzo elastico può essere spiegato con l’esempio di una bacchetta di plastica: quando noi la pieghiamo, all’inizio la bacchetta si incurva, successivamente per via dell’aumentare della pressione si spezza in due frammenti. Questi frammenti tornano di colpo ad avere forma rettilinea. Secondo il modello del rimbalzo elastico di Reid, con il brusco ritorno delle masse rocciose all’equilibrio, l’energia elastica accumulata durante la deformazione si libera, in parte sotto forma di calore per l’attrito, in parte sotto forma di vibrazione. 2 PROPAGAZIONE E REGISTRAZIONE DELLE ONDE SISMICHE Il punto all’interno della Terra in cui le onde sismiche si chiama ipocentro del terremoto. La proiezione di questo punto sulla superficie terrestre (cioè il punto situato sulla verticale dell’ipocentro) si chiama invece epicentro. Durante un terremoto vengono liberate onde di tre tipi: onde P, onde S (entrambe interne) e onde superficiali. Nell’epicentro del sisma, le onde dei differenti tipi arrivano sovrapponendosi e i sismografi danno informazioni confuse: un groviglio di onde di ogni lunghezza d’onda e la velocità che fanno vibrare il terreno più a lungo e più violentemente che se fosse raggiunto da una sola sequenza di onde. Le onde sismiche più veloci, che arrivano quindi per prime, sono le onde P (o longitudinali), seguite dalle onde S (trasversali). Queste onde si propagano all’interno del pianeta e, arrivate in superficie, 7 man mano che ci si allontana sono molto profondi). Questa superficie è nota come superficie di benieff dal sismologo russo che per primo mise in evidenza questa regolarità nella distribuzione degli ipocentri profondi. Le catene montuose di recente formazione con ipocentri da superficiali a intermedi. Dal mediterraneo all’ himalaya con un ramo che prosegue verso la Cina. E con alcuni archi insulari ad esso collegato (eolie, egeo) 7 LA DIFESA DAI TERREMOTI Un modo per difenderci è prevedere perché la previsione dovrebbe poter indicare quando e dove si verificherà un terremoto. La PREVISIONE DETERMINISTICA viene tentata attraverso l’esame di fenomeni precursori. Alla base della ricerca dei fenomeni sta il modello del rimbalzo elastico. In una massa rocciosa sottoposta a sforzo, si verifica una deformazione elastica, ma, prima della rottura della roccia, è stato individuato uno stadio in cui la roccia si dilata. Questo fenomeno è detto dilatanza e provoca alcune anomalie fisiche che possono essere usate come fenomeni precursori (variazione della velocità della propagazione delle onde P, sollevamenti di aree, aumento della quantità di gas radon). Il radon è un elemento radioattivo gassoso che si libera lentamente da alcuni minerali contenuti nelle rocce della crosta e che tende a sfuggire verso la superficie per disperdersi nell’atmosfera. Il brusco aumento della sua concentrazione viene visto come un campanello d’allarme. La PREVISIONE STATISTICA utilizza i vari cataloghi sismici per studiare ogni quanto avvengono terremoti e ne stima l’eventuale avvento. L’uomo può difendersi puntando su un’efficiente ingegneria antisismica, con una buona educazione di massa (organizzazione di soccorsi e vie di fuga) e attraverso la zonazione sismica attraverso la quale si suddivide il territorio in esame in aree a diversa sismicità. CAPITOLO 10 LA DINAMICA INTERNA DELLA TERRA 1 LA DINAMICA INTERNA DELLA TERRA Il vulcanismo e la sismicità segnano la continua attività del pianeta, sono il segno di una dinamica interna attiva della Terra. Lo studio del vulcanismo ha mostrato il continuo trasferimento di materiale caldissimo dall’interno della Terra in superficie, con la formazione di nuove rocce e la liberazione di fluidi che vanno ad alimentare l’idrosfera e l’atmosfera. La sismicità sottolinea invece la posizione di fasce di crosta irrequiete. Queste nuove conoscenze portarono alla formazione di un nuovo modello chiamato la TETTONICA DELLE PLACCHE: la formazione delle rocce, il sollevarsi di catene montuose, il vibrare sismico dell’intero pianeta, l’incessante affluire in superficie di magmi incandescenti, il modificarsi di forma dei continenti e degli oceani trovano nella nuova teoria un’interpretazione unificante, un modello che descrive il nostro pianeta come un insieme di sistemi tra loro interdipendenti, legati da processi chimici, fisici e biologici attivi da miliardi di anni 2 ALLA RICERCA DI UN MODELLO L’esame dei fenomeni sismici ci ha consentito di spingere le osservazioni fino al centro della Terra e mettere in luce, nel nostro pianeta, una struttura fatta di gusci. La CROSTA è la parte più esterna del pianeta; è un involucro rigido e sottile la cui base è indicata dalla Superficie di Mohorovicic o Moho. Il MANTELLO si estende da Moho fino alla discontinuità di Gutenberg. Le rocce del mantello presentano una notevole rigidità (resistono alle compressioni). Più in profondità i dati sismici hanno messo in evidenza una zona in cui il materiale del mantello è parzialmente fuso. La parte più rigida prende il nome di litosfera, mentre 10 quella più debole prende il nome di astenosfera. La discontinuità di Gutenberg segna il passaggio al NUCLEO. I dati sismici ci hanno permesso di individuare un nucleo esterno fluido (passavano solo le onde P e non le onde S) e un nucleo interno solido. 3 UN SEGNO DELL’ENERGIA INTERNA DELLA TERRA: IL FLUSSO DI CALORE L’interno della Terra è molto caldo e, come conseguenza, il pianeta perde continuamente calore da tutta la sua superficie. Numerosi fatti come l’attività vulcanica, la fuoriuscita di sorgenti calde o l’aumento di temperatura che si sperimenta scendendo in una miniera, ci dicono che l’interno della Terra è caldo, tanto più quanto più si scende in profondità. Il flusso termico terrestre (cioè la quantità di calore emessa nell’unità di tempo per ogni unità di superficie). L’interno della Terra è caldo per due motivi: il pianeta conserva ancora parte del calore che ha immagazzinato al momento della sua formazione; e in secondo luogo, all’interno del pianeta avvengono reazioni nucleari in elementi radioattivi contenuti in piccola quantità nelle rocce della crosta e del mantello. Poiché la concentrazione di elementi radioattivi non è uniforme, il flusso di calore varia da luogo a luogo della superficie terrestre. Le differenze di temperatura esistenti all’interno del pianeta provocano l’instaurarsi di moti convettivi che, attraverso i movimenti del materiale del mantello, solido ma abbasta plastico, contribuiscono alla ridistribuzione dell’energia termica e determinano la propagazione del calore. Un tempo si riteneva che il calore terrestre fosse unicamente il residuo dello stadio primordiale della Terra. Poi si è arrivati alla scoperta della radioattività. Tra i materiali che costituiscono la Terra, infatti, sono presenti isotopi radioattivi. Si tratta di isotopi instabili, che con il tempo si modificano spontaneamente con emissioni di particelle nucleari. L’energia cinetica delle particelle emesse dagli isotopi radioattivi si trasforma nel calore che fluisce continuamente dalla superficie della terra. Esistono sulla superficie terrestre, come ho già accennato, zone con flusso termico molto elevato della media, come le dorsali oceaniche; si ritiene che tali situazioni siano dovute all’esistenza di correnti convettive nel mantello, cioè a reali spostamenti di materiale più caldo (quindi meno denso) che risale da zone profonde verso l’alto, dove parte del calore si libera e fa aumentare il flusso termico locale, mentre altro materiale, raffreddatosi in vicinanza della superficie, riscende verso il basso. Quindi, in determinate condizioni, le rocce possono scorrere come se fossero dei fluidi: all’interno del mantello, masse di rocce divenute più calde del materiale circostante a causa del decadimento degli isotopi radioattivi, tendono a risalire verso la crosta, mentre masse di rocce vicine alla crosta, divenute più fredde, scendono verso il basso, dove tornano a riscaldarsi. L’origine di questi giganteschi rimescolamenti di materiale va cercata, quindi, in una disomogeneità termica del mantello dovuta, a sua volta, a una distribuzione disomogenea degli elementi radioattivi. La temperatura all’interno della crosta terrestre aumenta in media di circa 30 gradi ogni km di profondità: questo è il gradiente termico. I geofisici hanno costruito la curva dell’andamento della temperatura con la profondità, chiamata geoterma. I dati sismici indicano che il mantello è solido; poiché si ritiene che la temperatura dei componenti sia inferiore alla sua temperatura di fusione. 4 IL CAMPO MAGNETICO La Terra, come il Sole e altri pianeti, possiede un campo magnetico. La struttura del campo geomagnetico può essere descritta abbastanza bene supponendo di porre al centro del pianeta una barra magnetica. Le linee di flusso indicano in ogni punto dello spazio intorno alla Terra una presenza magnetica la cui intensità diminuisce con la distanza dal pianeta. Ma esiste veramente questa barra magnetica? Il campo geomagnetico non si può spiegare con la presenza di un corpo simile a una barra magnetica. Al di sopra di una certa temperatura critica, detta di Curie, i materiali magnetici perdono il loro magnetismo permanente e tale temperatura è dell’ordine di 500 °C, molto più bassa, quindi, della temperatura presenti all’interno 11 della terra. Esclusa perciò la presenza di un qualcosa di analogo a un magnete permanente, le ipotesi sull’origine del campo geomagnetico si sono orientate verso un modello simile a quello della dinamo ad autoeccitazione. Nella Terra, il materiale conduttore in movimento viene individuato nel nucleo esterno in metallo fuso, agitato da movimenti convettivi come quelli del mantello. L’innesco potrebbe essere stato causato in origine dall’attraversamento di un campo magnetico sporadico, forse di origine solare, mentre erano già in atto i moti convettivi. La conoscenza del campo geomagnetico ha aperto prospettive inaspettate con la scoperta del PALEOMAGNETISMO, che consente lo studio del campo magnetico terrestre del passato. Molte rocce, infatti, conservano una magnetizzazione propria, indotta dal campo geomagnetico esistente al momento della loro formazione. Quando una lava si raffredda, al suo interno si formano numerosi cristalli di minerali, alcuni dei quali sono particolarmente sensibili alla presenza del campo magnetico terrestre che esiste al momento della loro formazione. Tali minerali vengono magnetizzati per induzione dal campo magnetico e diventano minuscole calamite permanenti, con il loro piccolo ma sensibile campo magnetico orientato come quello terrestre che lo ha prodotto. In seguito, se la lava non viene nuovamente fusa, la sua magnetizzazione rimane inalterata per milioni di anni e continua ad indicare la direzione del polo magnetico al momento della sua solidificazione. La direzione della magnetizzazione conservata in rocce antiche è in genere diversa da quella del campo geomagnetico attuale; anzi, tale direzione cambia a seconda dell’età della roccia esaminata, come se il Polo nord magnetico avesse occupato nel tempo posizioni differenti. Non sono stati i poli magnetici a spostarsi, ma sono stati i continenti a muoversi, scivolando e ruotando lentamente sulla superficie terrestre. Il paleomagnetismo ha portato a un’altra importante scoperta. In molte rocce di età recente la direzione di magnetizzazione risulta esattamente opposta a quella del campo geomagnetico attuale, come se, al momento della formazione di quelle rocce, il Polo nord magnetico fosse al posto del Polo sud, e viceversa. Il fenomeno si osserva anche in rocce molto più antiche, il cui campo magnetico, oltre a indicare una direzione più o meno ruotata rispetto a quella attuale, rivela anche la presenza di ripetute inversioni di polarità. La conclusione che ne è stata tratta indica che il campo magnetico terrestre è passato da normale, cioè orientato con il Polo nord come oggi, a inverso. 5 LA STRUTTURA DELLA COSTRA Esistono due tipi di crosta: la CROSTA OCEANICA, che costruisce il pavimento degli oceani ed è interamente coperta dalle loro acque; e la CROSTA CONTINENTALE, che corrisponde ai continenti e alla loro prosecuzione sotto il livello del mare, comprende la piattaforma continentale e buona parte della scarpata continentale. I due tipi di crosta sono molto diversi tra loro per vari aspetti: spessore; quote medie della superficie (emersa o sommersa); età delle rocce che vi compaiono; natura delle rocce e loro giuntura. Lo spessore della crosta è indicato dalla profondità di Moho, che segna l’inizio del mantello. La crosta continentale è ovunque più spessa di quella oceanica. Nella crosta continentale compaiono rocce di ogni età, mentre nessun punto dei fondi oceanici presenta rocce molto antiche, anzi, tutti i bacini oceanici sono strutture giovani del pianeta, mentre le aree continentali sono strutture molto più persistenti. La crosta oceanica mostra una struttura a strati molto regolare. A partire dall’alto si riconoscono: un modesto spessore di sedimenti; un considerevole spessore di basalto; uno strato di gabbro. La costa continentale presenta una composizione eterogenea. Nemmeno la crosta continentale, pur con le sue rocce antichissime, è una struttura permanente, presente fin dall’inizio della storia della Terra. Essa ha avuto una 12 Fino alla fine dell’ottocento gli scienziati ritenevano che le grandi strutture della Terra, come i continenti e oceani, fossero stabili nel tempo e che il nostro fosse un pianeta statico. A partire dalla prima metà del 900, si fece strada l’idea che i continenti avrebbero potuto invece muoversi, creando spazi per nuovi oceani e facendone scomparire altri. La teoria più geniale e completa sugli spostamenti dei continenti, nota come deriva dei continenti, venne proposta, come ho già analizzato, da Wegener. Purtroppo non convinse a proposito delle forze responsabili degli spostamenti, per cui venne da molti contrastata. Fu ripresa poi agli inizi del 900. In quegli anni, i dati e le osservazioni sui fondi oceanici portarono alla formulazione della teoria della TETTONICA DELLE PLACCHE, un modello globale in grado di spiegare i principali fenomeni geologici del pianeta, come la formazione dei bacini oceanici e delle montagne, la distribuzione e le caratteristiche dei vulcani e delle fasce sismiche. La teoria prende in esame il comportamento della litosfera, cioè l’involucro rigido più esterno della Terra, che poggia sull’astenosfera, meno rigida. Secondo questa teoria, la litosfera si presenta suddivisa in circa 20 placche (o anche dette zolle) che, galleggiando sull’astenosfera, scivolando l’una a fianco dell’altra, si scontrano tra loro e si allontanano l’una dall’altra. I continenti, incastonati nelle placche, si muovono passivamente insieme a esse. La litosfera è attraversata da alcune fasce, caratterizzate da forte attività sismica e vulcanica, lunghe migliaia di km e corrispondenti in superficie alle dorsali oceaniche, alle fosse abissali, alle grandi faglie trasformi e ad alcune catene montuose di età recenti. Queste fasce attive costituiscono un’immensa rete, che si dirama sull’intera litosfera suddividendola in circa 20 placche, delle quali sette sono decisamente più estese delle altre. Le placche litosferiche (che insieme occupano l’intera superficie del pianeta) possono essere formate: esclusivamente da litosfera oceanica; prevalentemente da litosfera continentale; da porzioni di litosfera. Il movimento tra le placche può essere schematizzato in 3 tipi: convergente, quando le placche si allontanano; trasforme, quando le placche scorrono una a fianco dell’altra; divergente, quando le placche si allontanano. I bordi delle singole placche, chiamati MARGINI, sono distinti, a seconda dei movimenti relativi, in 3 tipi: 1) I MARGINI COSTRUTTIVI corrispondono al movimento di divergenza tra placche; sono le dorsali oceaniche, lungo le quali si costruisce nuova litosfera oceanica che via via si allontana dalla dorsale 2) I MARGINI DISTRUTTIVI corrispondono al movimento di convergenza tra placche; sono le fosse oceaniche, lungo le quali la litosfera, divenuta con il tempo fredda e densa, viene distrutta nel processo di subduzione. 3) I MARGINI CONSERVATIVI corrispondono al movimento trasforme; sono le faglie trasformi, lungo le quali i lembi di litosfera scorrono uno a fianco dell’altro, anche per centinaia di km, in direzioni opposte; lungo le faglie trasformi non si ha formazione né distruzione di litosfera. Alcune placche sono circondate in gran parte da margini costruttivi e, di conseguenza, la loro superficie aumenta con il passare del tempo; altre sono limitate sia da dorsali sia da fosse e la loro superficie può ridursi, rimanere costante o aumentare nel tempo. Le placche non sono immobili sulla superficie del pianeta ma galleggiano sull’astenosfera, la quale ha un ruolo importantissimo: comportandosi in modo plastico, permette non solo il galleggiamento ma anche lo scivolamento delle placche. Le placche possono quindi avvicinarsi, allontanarsi o scorrere una rispetto all’altra. I continenti sono parte delle placche e si muovono perciò con esse. Al momento della frammentazione della Pangea, i continenti non si sono spostati in singoli blocchi galleggianti sul mantello, come riteneva Wegener, ma insieme alle placche di cui facevano parte: la deriva dei continenti è quindi conseguenza del movimento delle placche. Quando due placche si avvicinano (perché una scivola sotto l’altra), il risultato è generalmente la formazione di una catena di vulcani, seguita da un’OROGENESI, cioè dal sollevamento di una nuova catena montuosa. Al contrario, la separazione di due placche provoca la formazione di un nuovo oceano. Dato che le placche si spostano alla velocità di pochi centimetri all’anno, 15 l’orogenesi e l’apertura di nuovi bacini oceanici richiedono decine di milioni di anni. L’orogenesi è un processo di intensa deformazione crostale che coinvolge grandi volumi di rocce, con fenomeni di metamorfismo e magmatismo, e che porta al sollevamento di una catena montuosa. Vediamo ora 3 diversi situazioni in cui può formarsi un orogeno: 1) COLLISIONE CONTINENTALE= se due placche che comprendono ciascuna un continente e una parte di crosta oceanica si avvicinano tra loro si ha la nascita di una catena montuosa. In un primo momento l’avvicinamento tra i continenti comporta la riduzione dell’oceano che li separa. La crosta oceanica entra in subduzione sotto la crosta continentale che è più leggera. Mentre l’oceano intermedio si riduce, la crosta oceanica si rompe in cunei che si accavallano sulla placca in avvicinamento.al termine di questo processo l’oceano è scomparso, i margini delle due porzioni di crosta continentale vengono a contatto e si frammentano anch’essi in cunei. È il momento della collisione: i due continenti spingono i lembi di crosta oceanica e continentale ad accavallarsi e si forma una catena montuosa. 2) CROSTA OCEANICA SOTTO CROSTA CONTINENTALE= in questo caso il processo dà luogo a un arco vulcanico. I sedimenti che si trovano sul fondo dell’oceano vengono raschiati nel contatto con la placca continentale e si accumulano, accavallandosi, al suo margine. Allo stesso tempo, le rocce che costituiscono la placca oceanica che viene inghiottita fondono. I materiali di fusione, più leggeri, risalgono come bolle di magma e possono perforare il margine del continente e gli accumuli di sedimenti, formando dei vulcani oppure fermarsi all’interno della crosta, costituendo dei batoliti. L’allineamento dei vulcani e gli accumuli di sedimento, con il tempo, costituiscono una catena montuosa. 3) CROSTA OCEANICA SOTTO CROSTA OCEANICA= quando due placche oceaniche si avvicinano si ha subduzione di litosfera oceanica sotto altra litosfera oceanica. In modo analogo alla formazione di un arco vulcanico, la roccia della crosta oceanica si inabissa comincia a fondere e il magma risale formando un allineamento di vulcani. Ma non essendoci un margine continentale per ospitarlo, non si forma una catena di vulcani, bensì un arco di isole vulcaniche, il quale emerge lungo il margine della placca che resta in superficie. 4) ACCRESCIMENTO CROSTALE= il meccanismo delle placche può portare alla formazione di una catena montuosa anche seguendo un’altra via, con un process 9 LA VERIFICA DEL MODELLO 16 Il modello della Tettonica delle placche ha superato oltre 40 anni di verifiche. Tuttavia non può essere considerato definitivo: nuove scoperte potrebbero portare verso un nuovo modello. In ogni caso, esso è attualmente quello che meglio spiega la maggior parte dei dati e delle osservazioni. Per esempio giustifica la distribuzione dei vulcani e dei terremoti. Il vulcanismo essenzialmente effusivo lungo l’asse delle dorsali oceaniche è dovuto alla risalita dalle profondità del mantello di materiale solido ma molto caldo che fa inarcare la litosfera. Il magma deriva dalla fusione parziale delle rocce del mantello. Il vulcanismo fortemente esplosivo è localizzato lungo gli archi insulari vulcanici o lungo il margine dei continenti che fronteggiano le fosse abissali. Attraverso la Tettonica delle placche è possibile spiegare anche la distribuzione dei vulcani all’interno delle placche, reinterpretando il concetto di punto caldo. Anche la distribuzione degli epicentri dei terremoti in fasce ben determinate ha trovato spiegazione: sono gli sforzi dovuti ai movimenti della litosfera, a provocare la continua deformazione di masse rocciose, in cui si accumula l’energia elastica che viene poi liberata dai terremoti. 10 MOTI CONVETTIVI E PUNTI CALDI 1) Il motore delle placche potrebbe essere rappresentato da movimenti convettivi all’interno del mantello 2) I moti convettivi potrebbero essere circuiti unici tra la base del mantello e la litosfera o circuiti separati nel mantello inferiore e in quello superiore. 3) Il movimento dei materiali all’interno della terra procederebbe in questo modo: la litosfera oceanica fredda e pesante sprofonderebbe nel mantello e alcuni lembi scenderebbero fino al limite con il nucleo. Dalle stesse zone risalirebbero i pennacchi che si manifestano in superficie come punti caldi. Questo gigantesco motore termico sarebbe mantenuto in attività dall’energia termica della terra prodotta dal calore latente che si libera nella solidificazione del nucleo (fluido) e nel decadimento degli isotopi radioattivi. CAPITOLO 12 L’ATMOSFERA TERRESTRE E I FENOMENI METEOROLOGICI 1 L’IMPORTANZA DELL’INVOLUCRO DI ARIA CHE CI CIRCONDA Ovunque si svolga la nostra vita, in alta montagna o in una pianura costiera, ad ogni momento siamo a contatto con l’atmosfera. L’esperienza quotidiana ci rivela (con i venti, le piogge e il bel tempo) che non si tratta certa di una parte tranquilla; le riprese da stellite ci offrono immagini sempre più chiare della sua dinamicità. Il nostro pianeta è interamente avvolto da questo involucro aeriforme. Sotto l’azione della gravità e della forza centrifuga dovuta alla rotazione terrestre, questa coltre di aria deve aver assunto una forma di globo, analoga alla Terra. L’atmosfera protegge la Terra dalle radiazioni nocive e ne regola il riscaldamento da parte del sole. Fra i gas che la costituiscono figura l’ossigeno, l’elemento indispensabile per la vita animale e vegetale; dall’altra parte, l’insieme degli organismi che popolano il globo terrestre agisce sull’atmosfera, intervenendo nella sua composizione e contribuendo così a mantenerla pura (come fanno le piante) o ad inquinarla (come va facendo l’uomo). L’influenza dell’atmosfera si esercita pure sul rilievo terrestre, del quale essa contribuisce a plasmare gli aspetti, sia mediante processi chimici di alterazione delle rocce, sia con processi fisici di disgregazione, trasporto e deposizione dei materiali rocciosi; ed anche la superficie marina ne subisce l’azione, reagendo con movimenti come le onde o le correnti. Ma l’aria è anche il mezzo attraverso cui si compie il ciclo dell’acqua, infatti è tramite l’aria che avvengono i processi di evaporazione, condensazione e precipitazione, e anche la continua circolazione 17 energia che giunge sull’unità di superficie. Perciò il calore che la superficie delle terre e del mare può cedere all’aria dipende dalla latitudine, dalla stagione, dall’ora del giorno e dall’esposizione ed inclinazione del terreno. Un altro fattore che influisce notevolmente sulla temperatura dell’aria deriva dal diverso comportamento delle terre e delle acque rispetto all’energia calorifica. In genere, il terreno e le rocce si riscaldano intensamente e rapidamente sotto l’azione dei raggi solari. Nelle terre emerse il riscaldamento interessa soltanto gli strati più superficiali che raggiungono presto elevate temperature (durante il giorno e d’estate), ma altrettanto rapidamente si raffreddano in mancanza di radiazioni (notte e inverno). Le acque, invece, avendo un maggior calore specifico ed essendo trasparenti alle radiazioni, possiedono una capacità termica più elevata. Inoltre, nel mare e nei grandi laghi, il rimescolamento prodotto dai venti, dalle onde e dalle correnti provvede a rinnovare lo strato superficiale e a distribuire il calore in una massa molto grande; il riscaldamento che interessa le acque fino a profondità elevate è molto più lento e meno pronunciato, e altrettanto lento è il raffreddamento. Queste diversità nell’assorbimento ed irraggiamento del calore solare si ripercuotono sull’andamento termico dell’aria, che presenta oscillazioni giornaliere e stagionali più marcate nelle zone più interne ad i continenti (regime continentale) e più attenuate in vicinanza del mare (regime marittimo o oceanico). Si deve considerare anche un altro fattore, il MARE, che con le sue correnti calde e fredde può anche provocare aumenti o diminuzioni della temperatura. Sulla temperatura dell’aria influisce anche la copertura vegetale: le piante assorbono notevoli quantità di calore per le loro funzioni vitali ed emettono in abbondanza vapore acqueo che mitiga il clima. Poiché la superficie terrestre ha componenti diversi (rocce, acque) con molteplici fattori (montagne, pianure, mari, laghi), i fattori geografici esaminati (altitudine, latitudine, esposizione, posizione delle terre e dei mari, le correnti marine e la vegetazione) si intrecciano e fanno sì che la temperatura vari non solo nel tempo ma anche da luogo a luogo. Facendo la media delle temperature registrate a intervalli regolari di tempo nella giornata si ottiene la temperatura media giornaliera. Dai valori medi giornalieri si può passare alle temperature medie mensili e da queste alla temperatura media annua. La temperatura comincia ad aumentare rapidamente dopo il sorgere del sole e continua a crescere per tutto il tempo fino a raggiungere il valore più basso quando sta per risorgere il sole. L’escursione termica giornaliera (la differenza tra la temperatura massima e quella minima registrate in uno stesso luogo nelle 24 ore) normalmente tende a diminuire con il crescere della latitudine; è maggiore d’estate che d’inverno; è netta nelle regioni continentali, smorzata in quelle marittime; è più elevata al livello del mare che ad alte quote. L’escursione termica media annua (la differenza fra la temperatura media del mese più caldo e quello più freddo)) è maggiore all’interno dei continenti che in prossimità degli oceani; è più alta nelle regioni aride o caratterizzate da scarsa nuvolosità che nelle zone ricche di vegetazioni o di corsi d’acqua o di piogge; tende a diminuire col crescere dell’altitudine, ma in maniera meno netta dell’escursione giornaliera. Per avere una visione immediata della distribuzione delle temperature sulla superficie terrestre si usa segnare sulla carta geografica il valore della temperatura misura e si congiungono con linee continue tutti i punti in cui la temperatura è risultata la stessa: le linee così ottenute sono le isoterme. Molto efficaci per lo studio della temperatura dell’aria su tutta la superficie terrestre sono pure le carte delle isodiafore che mostrano in una rappresentazione unica l’andamento dell’escursione termica media annua, dedotta dalla differenza fra le temperature medie del mese più caldo e del mese più freddo. 5 LA PRESSIONE ATMOSFERICA E I VENTI La pressione atmosferica è legata a diversi fattori geografici e fattori meteorologici. La pressione dipende innanzitutto dall’altitudine. Elevandosi sopra il livello del mare essa diminuisce. La pressione atmosferica varia anche con il variare della temperatura. Col riscaldamento l’aria si dilata, diventa meno densa e quindi il suo peso diminuisce, ed essa tende a spostarsi verso l’alto; al contrario, col raffreddamento l’aria subisce 20 una contrazione, diventa più densa e perciò più pesante e tende a spostarsi verso il basso. La pressione diminuisce con l’aumentare delle quantità di vapore acqueo. L’unità di misura più adottata in Meteorologia è il millibar. Nel sistema internazionale di unità, l’unità di pressione è il pascal. Le differenze di pressione tra zone contigue della superficie terrestre producono i venti. Lo studio della distribuzione della pressione atmosferica si esegue segnando sulle carte geografiche le isobare, linee che uniscono i punti di egual pressione ridotta al livello del mare. Come le isoterme, anche le isobare possono essere giornaliere, mensili o annue, a seconda dei dati considerati. Le isobare delimitano zone dove la pressione è più alta da altre dove la pressione è più bassa: le prime vengono dette aree anticicloniche o anticicloni e sono quelle nelle quali l’aria tende a spostarsi verso il basso. Le seconde dono dette aree cicloniche o cicloni e sono quelle in cui l’aria, meno densa, si sposta verso l’alto. Un’area è anticiclonica quando la sua pressione è maggiore di quella delle aree circostanti, è ciclonica se la sua pressione è minore. Dove le isobare sono molto vicine la pressione cambia rapidamente; dove sono molto spaziate, le variazioni bariche sono poco accentuate. Una esatta valutazione di queste variazioni si ottiene considerando il gradiente termico barico orizzontale che è il rapporto tra la differenza di pressione esistente fra due punti e la distanza che li separa. Le differenze nella distribuzione orizzontale nella pressione causano spostamenti d’aria che tendono a ristabilire l’equilibrio barico. I movimenti d’aria che avvengono parallelamente alla superficie terrestre, dalle zone anticicloniche verso le zone cicloniche, sono i venti. I venti assumono spesso il nome delle regioni da cui sembrano soffiare. La loro direzione viene indicata con i punti cardinali di provenienza. La velocità dei venti è tanto più elevata quanto maggiore è la differenza di pressione che li ha generati. In marina si usa classificare i venti secondo una scala di velocità, detta scala BEAUFORT. Per comprendere il meccanismo con cui si svolgono i movimenti dell’aria, possiamo esaminare alcuni venti locali come le BREZZE di mare e di terra. Questi sistemi sono dovuti al diverso comportamento termico delle acque marine e delle terre, e agli squilibri barici (ossia di pressione atmosferica) che ne derivano; perciò essi spirano alternativamente dal mare verso la terra nelle ore diurne e dalla terra verso il mare nelle ore notturne. In montagna, nei giorni sereni estivi, sulle cime montuose il riscaldamento del terreno e dell’aria è più rapido che nei fondovalle, come più rapido è il raffreddamento dopo il tramonto del sole: si hanno così le brezze di valle, che spirano dal basso verso l’alto nelle ore diurne, e le brezze di monte, che soffiano con moto di scendente nelle ore notturne. I MONSONI sono venti periodici, soffiano dal mare verso il continente nel semestre estivo, apportando piogge copiosissime, e dal continente verso il mare nel semestre invernale, durante il quale sono freddi e secchi. 6 LA CIRCOLAZIONE GENERALE DELL’ATMOSFERA Nell’esaminare l’andamento generale delle pressioni e dei venti bisogna fare una distinzione tra quanto avviene nella bassa troposfera (dove la circolazione dei venti è influenzata dalla presenza dei mari, terre emerse, rilievi montuosi) e quando avviene nell’alta troposfera (dove tutte le influenze non si fanno sentire). Analizziamo la BASSA TROPOSFERA: qui a basse latitudini troviamo gli ALISEI (spirano da NE nell’emisfero boreale e da SE nell’emisfero australe. Sono detti venti costanti perché mantengono costante la direzione e il verso durante tutto l’anno. Sono anche regolari perché mantengono una velocità media intorno ai 20 km/h. Nella zona equatoriale, quando l’aria calda e leggera assume un movimento ASCENDENTE, l’aria salendo si raffredda e ad altezza superiore agli 800-1000m, dà origine a venti costanti diretti in senso opposto a quello degli alisei, detti, appunto, COTRALISEI), verso i 35-55° di latitudine troviamo i VENTI OCCIDENTALI (sono spesso turbolenti; portano aria calda e umida sulle coste occidentali) e infine, ad altitudini estreme, troviamo i VENTI ORIENTALI POLARI (che portano aria fredda). Nell’ALTA TROPOSFERA i venti sono molto più veloci perché non incontrano ostacoli. Sopra i 3000-5000m troviamo i VENTI OCCIDENTALI con velocità crescenti che sono chiamati CORRENTI A GETTO e si muovono nello 21 stesso verso della rotazione della Terra, cioè da Ovest verso Est. Si tratta di veri e propri fiumi d’aria che si spostano a velocità diversa da quella delle masse d’aria circostanti. In ogni emisfero esistono: la corrente a getto subtropicale e la corrente a getto del fronte polare. 7 L’UMIDITÀ DELL’ARIA E LE PRECIPITAZIONI Il vapore acqueo è uno dei componenti più importanti dell’atmosfera. Esso proviene principalmente dall’evaporazione del mare e in minima parte dalla traspirazione delle piante. L’evaporazione varia con la temperatura (aumenta con il suo aumentare), invece la traspirazione è influenzata dall’insolazione e varia nelle diverse essenze vegetali. L’aria non può contenere una quantità illimitata di vapore acqueo e per questo ha un limite di saturazione oltre al quale non può andare. L’umidità assoluta è la quantità di vapore acqueo contenuta nell’unità di volume d’aria. Essa varia con la temperatura, l’altitudine (decrescendo in modo repentino all’aumentare di questa) e diminuisce nelle zone ad alte pressioni. L’umidità relativa è il rapporto tra la quantità di vapore acqueo presente in un dato volume di aria e la massima quantità che potrebbe esservi contenuta. L’umidità relativa decresce nelle zone e nei periodi più caldi e aumenta nelle zone e nei periodi più freddi. Quando l’aria è satura di vapore acquo, ogni eventuale eccesso di quest’ultimo, deve essere smaltito. Ciò avviene mediante la condensazione, ossia attraverso il passaggio dell’acqua dallo stato aeriforme allo stato liquido oppure mediante la sublimazione, cioè con diretto passaggio allo stato liquido. Come si espelle il vapore acqueo? Mediante la formazione di NEBBIE (hanno origine quando l’aria umida si trova a contatto con superfici fredde, come le nebbie mattutine), le NUBI (si formano ad altezze più elevate rispetto alle nebbie. Non sono masse d’aria inerti ma si trovano in uno stato di continuo disfacimento e riformazione. Quando le goccioline d’acqua o di ghiaccio raggiungono dimensioni tali da non poter più essere sostenute dall’aria, allora hanno luogo le precipitazioni come pioggia, neve e grandine). Una forma particolare di condensazione è la rugiada, che si forma frequentemente nelle notti calme d’estate, su superfici raffreddatesi più rapidamente dell’aria umida sovrastante. Se il raffreddamento scende sotto gli zero gradi si ha la sublimazione diretta del vapore acqueo, con formazione di particelle di ghiaccio: è la brina. La distribuzione delle precipitazioni sulla superficie terrestre è disuguale: vi sono regioni dove le precipitazioni non si verificano per interi anni o sono molto scarse (zone aride) ed altre dove cadono per diverse centinaia di millimetri o addirittura per alcuni metri all’anno (zone umide). La loro quantità è molto variabile da zona a zona. Nello studio delle precipitazioni si prendono in considerazione i valori medi relativi ad un periodo di osservazione sufficientemente lungo; la loro distribuzione geografica viene poi rappresentata sulle carte mediante le isoiete (linee che uniscono i luoghi che ricevono la stessa quantità di precipitazioni in un anno). 8 IL TEMPO ATMOSFERICO E LE PERTURBAZIONI CICLONICHE Le più importanti perturbazioni atmosferiche sono distinte in CICLONI TROPICALI E CICLONI EXTRATROPICALI. I CICLONI TROPICALI hanno una durata che in ceri casi può arrivare a due o tre settimane e si spostano con relativa lentezza (25-35 km/h). Essi si presentano in determinate stagioni. Si sviluppano solo sul mare e si estinguono rapidamente al loro ingresso sulla terraferma, dopo aver provocato mareggiate violentissime e danni imponenti. Il loro periodo di maggior frequenza coincide con la tarda estate e con l’inizio dell’autunno. I cicloni tropicali sono tra i più impressionanti fenomeni metereologici che si verificano sulla Terra e capaci di apportare in breve tempo più danni e distruzione di qualsiasi forza naturale. Ancora più terrificanti sono i tornado, essi sono simili a trombe d’acqua che si verificano a volte sui mari; si formano durante il maltempo e consistono in un lungo e stretto vortice. La formazione dei CICLONI EXTRATROPICALI è dovuta all’incontro, a bassa quota, tra masse d’aria calda di provenienza tropicale e masse d’aria fredde di provenienza polare. Per comprendere il comportamento dei cicloni 22 veniva indicato con il nome della pianta o animale che caratterizzava il luogo. Lo stesso autore però pervenne successivamente ad una classificazione che, pur tenendo conto delle diverse formazioni vegetali presenti in ogni tipo di clima, prendeva in considerazione i valori reali della temperatura e delle precipitazioni e fissava dei limiti termometrici e pluviometrici per distinguere i vari tipi climatici. Questi ultimi vennero raggruppati in 5 gruppi: CLIMI MEGATERMICI UMIDI; CLIMI ARIDI; CLIMI MESOTERMICI; CLIMI MICTROTERMICI; CLIMI NIVALI. 5 CARATTERISTICHE E DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DEI DIVERSI CLIMI CLIMI MEGATERMICI UMIDI -> sono caratteristici della calda fascia compresa fra i due tropici, nella quale le temperature medie non scendono sotto i 15 °C neanche nel mese più freddo. Possiamo distinguere 3 climi diversi: CLIMA EQUATORIALE O PLUVIALE (presenta temperature medie elevate, precipitazioni molto abbondanti. La grande umidità favorisce lo sviluppo della foresta equatoriale o foresta pluviale. Tra gli animali troviamo le scimmie, pantere, uccelli dal vario piumaggio), CLIMA DELLA SAVANA (le temperature sono sempre elevate, con una media annua che supera i 20°C. Le precipitazioni sono abbondanti. Man mano che ci si sposta verso i tropici, la foresta tende a diradarsi e si trovano formazioni vegetali di abbondanti alberi, arbusti ed erbe. Piante tipiche sono il baobab, tra gli animali troviamo sempre scimmie, cavallette, uccelli sono scarsi, troviamo erbivori come elefanti e carnivori come le iene) e infine il CLIMA MONSONICO (caratterizzato appunto dallo spirare dei monsoni. Abbiamo un periodo di intense precipitazioni durante lo spirare del monsone di mare /maggio-ottobre/ e uno di siccità quando soffia il monsone di terra /ottobre-maggio/). CLIMI ARIDI -> in base alle condizioni termiche, se ne possono distinguere diverse varietà, che vanno dal clima del deserto caldo, in cui la temperatura annua si mantiene sopra i 18 °C, al clima del deserto freddo nel quale la temperatura media del mese più freddo può scendere fino a -30°C. Ciò che accomuna queste zone non è la temperatura ma la scarsità delle piogge, che possono mancare per anni interi, e nei deserti, anche per decenni. Oltre che dalla diversa piovosità, il tipo di vegetazione dipende anche dal suolo. Si incontra la cosiddetta steppa asciutta, o predesertico; dove prevalgono le nude distese sabbiose o ciottolose o gli affioramenti rocciosi e il terreno è privo di humus, domina il deserto. Si possono riconoscere tipi differenti, il CLIMA PREDESERTICO (ha la temperatura del mese più freddo compresa fra i 2 e i 22 gradi, mentre quella del mese più caldo oscilla fra i 22 e i 34. È caratterizzato dalla scarsità di precipitazioni e da lunghi periodi di asciutto. Nelle steppe asciutte si incontrano prevalentemente piante grasse e la fauna, a causa della scarsa vegetazione, è rappresentata da animali di piccola taglia come roditori) e il CLIMA DESERTICO (caratterizzato da precipitazioni molto scarse che possono addirittura mancare per lunghissimi periodi. L’aridità è dovuta alla notevole distanza dal mare e alla presenza di alti rilievi montuosi che chiudono l’accesso alle masse d’aria umida oceaniche. La vegetazione è rappresentata da formazioni erbacee cespugliose. Nelle zone desertiche calde in cui esistono falde acquifere si incontrano delle oasi nelle quali la vegetazione può essere anche abbondante. La fauna è molto povera e limitata). CLIMI MESOTERMICI -> sono i climi temperati, con precipitazioni moderate ed inverni non troppo rigidi. La quantità delle precipitazioni è variabile da zona a zona, ma quasi sempre tali da assicurare una copertura vegetale continua; la neve compare in generale nelle zone montagnose. Il carattere generale ella vegetazione è dato dall’abbondanza di piante sempreverdi. Si possono distinguere 3 tipi di climi: il CLIMA SINICO (può essere considerato come una varietà del clima monsonico. È caratterizzato da un inverno secco, con piogge che hanno il loro massimo o sono del tutto concentrate nei mesi estivi molto caldi, in corrispondenza dello spirare del monsone di mare. La vegetazione è caratterizzata da piante sempreverdi come magnolie, camelie, con alternanza di piante tropicali come palme e bambù. Tra gli animali sono 25 caratteristici l’airone in Giappone e il panda in Cina), il CLIMA MEDITERRANEO (caratterizzato dalla presenza dell’anticiclone estivo e quindi da precipitazioni prevalentemente invernali. Le estati sono calde, ma ad esse seguono autunni e inverni tiepidi e umidi. La vegetazione è caratterizzata dalla macchia mediterranea, composta principalmente da alberi bassi e da arbusti sempreverdi; solo di rado compaiono veri boschi e foreste. Le regioni a clima mediterraneo coincidono con l’area di diffusione dell’ulivo. Altre piante caratteristiche sono gli agrumi, il fico, il mandorlo, l’alloro. Tra la fauna si incontra il capriolo, il cinghiale, la volpe, il coniglio selvatico. Nella nostra penisola il clima mediterraneo non si estende uniformemente da Nord a Sud, ma occupa le zone tirrene e costiere e ioniche e quelle adriatiche) e infine abbiamo il CLIMA TEMPERATO FRESCO (è mediamente umido, con piogge frequenti in tutte le stagioni nelle aree costiere. Gli inverni sono miti e le estati fresche. La vegetazione è rigogliosa, specialmente nelle aree che offrono condizioni di umidità più elevata dove troviamo brughiere, tigli, betulle. La fauna è caratterizzata da cervi, lupi, orsi e volpi. Per quanto riguarda ‘Italia, la Pianura Padana presenta nella parte più interna un clima che rientra più nel tipo temperato fresco). CLIMI MICROTERMICI -> questi climi sono diffusi soprattutto nell’emisfero boreale. Prevalgono periodi freddi più o meno prolungati. Le precipitazioni si verificano in estate e non sono di solito molto abbondanti; la caduta di neve è frequente. Il manto vegetale presenta caratteristiche differenti da zona a zona in base all’altitudine, latitudine, distanza dal mare. È possibile distinguere 2 principali tipi: CLIMA FREDDO AD ESTATE CALDA (presenta inverni rigidi mentre le estati sono brevi e relativamente calde. Le precipitazioni sia liquide sia solide si presentano in tutte le stagioni, con una maggior concentrazione nel periodo estivo) e un CLIMA FREDDO AD INVERNO PROLUNGATO (presenta una stagione invernale di durata superiore agli otto mesi, per cui le estati sono molto brevi. Le precipitazioni, sia liquide che solide, sono scarse. La copertura nevosa può permanere dai 5 agli 8 mesi, periodo durante il quale i laghi e i fiumi sono completamente ghiacciati. La vegetazione è caratterizzata da foreste di conifere, formazioni chiuse con prevalenza di pini, larici, abeti e rare presenze di betulle). CLIMI NIVALI -> sono localizzati prevalentemente oltre i circoli polari. La temperatura media del mese più caldo è inferiore ai 10 gradi. Le precipitazioni sono scarse. Il suolo è in molti casi gelato. Soltanto durante l’estate si ha un brevissimo disgelo della parte superficiale mentre la parte sottostante resta sempre gelata e prende il nome di permafrost. La vegetazione è molto scarsa, mancano alberi da fusto e sono presenti solo betulle nane, muschi e licheni. Tra gli animali esistono soltanto specie che d’invero migrano verso latitudini più basse: orsi bianchi, lepri artiche. Si incontrano anche le foche, trichechi e pinguini. Riscontriamo 3 tipi di clima: CLIMA DELLA TUNDRA (si trova ai margini del circolo polare artico), CLIMA DEL GELO PERENNE (interessa le zone coperte quasi per intere costantemente dai ghiacciai) e il CLIMA DI ALTA MONTAGNA (caratterizzate da questo clima sono tutte le zone più elevate dei grandi rilievi della Terra). 6 LE VARIAZIONI DEL CLIMA DALLA PREISTORIA AI TEMPI ATTUALI In passato il nostro pianeta è stato interessato da epoche glaciali e interglaciali. Lo studio delle oscillazioni del clima è dato alla PALEOCLIMATOLOGIA. I mezzi di indagine sono diversi rispetto a quelli odierni perché in passato, ad esempio, non esistevano degli strumenti per misure meteorologiche. Come fare? I paleoclimatologi devono utilizzare gli indizi della natura e imparare ad interpretarli. Le analisi di laboratorio eseguite su campioni di ghiaccio, prelevato in profondità, hanno evidenziato la presenza di isotopi di alcuni elementi chimici che indicano quale possa essere stata la temperatura al momento della formazione di un determinato strato di ghiaccio. Un altro mezzo che la natura ci offre per studiare il clima sono le profondità oceaniche. Sul fondo degli oceani è deposto un sedimento che include numerosi resti di minuscoli organismi, molti dei quali vivevano in prossimità della superficie dell’acqua: l’analisi di questi organismi 26 permette di risalire alle condizioni di salinità, profondità e temperatura dell’acqua di quel tempo. Mediante la paleoclimatologia è stato appurato che dalla preistoria ai tempi attuali si sono alternati momenti più caldi e momenti più freddi. Un costante aumento delle temperature caratterizza l’OPTIUM CLIMATICO POST- GLACIALE, in cui le variate condizioni termiche produssero un progressivo scioglimento dei ghiacci, con un sensibile innalzamento del livello dei mari. La distribuzione della vegetazione subì notevoli modifiche: la tundra scomparve e in tutta Europa si crearono le condizioni termiche idonee per la diffusione delle foreste. Dopo questa fare dell’optium climatico si ebbero delle oscillazioni climatiche che caratterizzarono una tendenza al raffreddamento e alla conseguente espansione dei ghiacciai. Subito dopo si registrò una nuova fase di riscaldamento chiamata OPTIUM CLIMATICO MEDIEVALE. Questo aumento termico provocò un innalzamento del livello dei mari e nelle zone costiere italiane si formarono ampie zone paludose che si trasformarono in focolai di malaria. L’evento climatico più importante fu quello indicato come Piccola Età Glaciale: i ghiacciai che ricoprivano l’Europa e l’America settentrionale si spinsero molto più a sud. Del generale raffreddamento che caratterizzò il clima della Terra dal 1590 al 1850 sono testimonianza le innumerevoli volte in cui i fiumi si sono ghiacciati e il fatto che in Inghilterra arrivarono i pattini da ghiaccio olandesi. La seconda metà del 19secolo segna l’inizio di una nuova fase climatica caratterizzata da un generale aumento delle temperature. Oggi le temperature sono destinate ad aumentare e non solo per fattori climatici ma a causa dell’aumento dell’inquinamento atmosferico (soprattutto di anidride carbonica) dovuto all’opera dell’uomo. 7 IL TEMPO, IL CLIMA, L’UOMO E IL RISCHIO DI RISCALDAMENTO ATMOSFERICO GLOBALE L’uomo, come tutti gli esseri, si è dovuto adattare al clima. Le sue condizioni di vita sono strettamente legate al clima (esigenze alimentari, popolazioni come eschimesi che si abituano a temperature assurde ma anche le capacità lavorative sono legate al clima) tanto che oggi si parla di bioclimatologia umana. L’uomo tuttavia può anche arrivare ad influenzare il clima sia volontariamente sia involontariamente. Un metodo volontario sono le piogge artificiali che si fanno ricadere sul raccolto in quei periodi e in quelle zone dove le precipitazioni sono scarse. Un altro strumento è il bacino che si sta cercando di costruire verso il Sahara facendo convogliare le acque del fiume Congo. Altri metodi sono la creazione di bacini artificiali. Tuttavia l’uomo influenza il clima anche involontariamente e lo fa attraverso disboscamenti, deviazioni dei corsi d’acqua ma soprattutto attraverso l’inquinamento atmosferico (aumento di concentrazione di anidride carbonica, arricchimento di polveri ina ria). Sappiamo ormai con certezza che la continua e crescente combustione di carbon fossile e di idrocarburi costituisce una delle principali fonti di inquinamento dell’aria. È noto ormai quando il ruolo dell’anidride carbonica sia determinante per l’effetto serra (fenomeno per cui l’atmosfera lascia passare senza perdite sensibili le radiazioni luminose solari ed intercetta invece le radiazioni luminose solari). L’aumento di anidride carbonica fa aumentare la temperatura che farebbe sciogliere i ghiacciai che innalzerebbero i livelli del mare, che a loro volta generebbero un aumento di temperatura. Si è cercato di risolvere il problema di anidride carbonica durante una conferenza svolta a Rio de Janeiro, senza grandi risultati. Il protocollo di Kyoto prevede che i Paesi industrializzati riducano le proprie emissioni di gas serra. CAPITOLO 14 L’AMBIENTE MARINO 1 UNA COMPONENTE FONDAMENTALE DEL SISTEMA TERRA L’insieme delle acque che costituiscono l’idrosfera marina caratterizza il nostro pianeta. In questi anni gli oceani e i mari hanno richiamato l’attenzione della scienza, dell’economia e della politica. Nel futuro essi contribuiranno sempre di più a soddisfare i bisogni dell’umanità, come risorsa alimentare, materie prime, come preziosa riserva d’acqua, fonte di energia ricavabile dai movimenti delle acque marine. Almeno in 27  DENSITÀ= l’acqua marina a salinità media congela alla temperatura di -2 °C. La densità aumenta con l’aumentare della salinità, e corrispondentemente si abbassa il punto di congelamento; con la pressione, ossia con le profondità delle acque.  LA PENETRAZIONE DELLA LUCE SOLARE= è funzione della latitudine e della stagione; dell’ora del giorno; della trasparenza dell’acqua.  IL COLORE= dipende dalle caratteristiche proprie dell’acqua; dalla riflessione del colore del cielo. Il colore è legato innanzitutto alla diffusione della luce e dalla profondità delle acque. (l’ecosistema marino) Le proprietà chimico-fisiche di cui abbiamo parlato hanno importanza fondamentale per la vita nel mare. Ricordiamo che l’enorme massa di esseri viventi nelle acque marine costituisce una comunità di organismi in stretti rapporti con il loro ambiente fisico: l’insieme di queste due componenti (biotica e abiotica) forma un immenso ecosistema, il maggiore dell’intera biosfera. Questo ecosistema comprende diversi ecosistemi minori, di ampiezza e natura varia, tutti più o meno correlati fra loro. 4 I MOVIMENTI DEL MARE Le interazioni che si svolgono tra l’atmosfera e l’idrosfera sono numerose e complesse. Le onde del mare costituiscono un esempio facilmente osservabile di queste interazioni. Le onde sono generale dal vento che colpisce le particelle superficiali dell’acqua e le mette in movimento. La pressione esercitata dal vento provoca inizialmente la formazione di leggere increspature che via via si fanno più accentuate, fino a diventare vere e proprie onde. Le onde così generate si chiamano onde forzate. Le onde forzate, una volta prodotte, si allontanano dal luogo in cui si sono formate, anche per migliaia di km. Le onde che si propagano in zone lontane dal luogo di origine e sono riscontrabili anche in assenza di vento vengono dette onde libere. In mare aperto le onde non provocano il moto degli oggetti, ma trasportano soltanto energia. Queste onde sono chiamate onde di oscillazione. In prossimità della costa le onde di oscillazione sono costituite dalle onde di traslazione che, oltre all’energia, trasportano anche la materia. L’agitazione delle particelle d’acqua che partecipano al moto ondoso non interessa tutta la colonna d’acqua, ma si esaurisce a una certa profondità. L’altezza delle onde varia da zona a zona. La velocità delle onde dipende dalla forza del vento che le produce. In tutti i tipi di onda è possibile riconoscere vari elementi:  La cresta è la parte più elevata  Il ventre è quella che sta più in basso  La lunghezza d’onda è la distanza tra due creste o ventri successivi  L’altezza è la distanza verticale tra la cresta e il ventre  La velocità è lo spazio percorso da una cresta nell’unità di tempo  Il periodo è il tempo che intercorre tra il passaggio di due creste successive per un punto di riferimento Da qualunque parte provenga il moto ondoso, in corrispondenza di bassi fondali il fenomeno di RIFRAZIONE (il cambiamento di direzione causato da variazioni della velocità) tende a disporre le creste delle onde parallelamente alla riva (con fondali alti le onde possono essere soltanto riflesse). I fronti d’onda (le creste) si deformano progressivamente mano a mano che, avanzando, incontrano il fondale sempre più basso. Nel contempo le onde perdono velocità e aumentano di altezza. Questo fenomeno spiega l’erosione dei promontori, dove l’energia delle onde si concentra, e l’accumulo di sabbia nelle baie, dove le onde si distendono e arrivano con meno energia. Un altro movimento del mare sono le MAREE. Le maree sono innalzamenti (flussi) e abbassamenti (reflussi) ritmici del livello del mare. La fase di massimo sollevamento delle acque si chiama alta marea, quella di massimo abbassamento prende il nome di bassa marea. La differenza tra l’altezza raggiunta dall’acqua durante l’alta marea e quella 30 raggiunta durante la bassa marea è detta ampiezza di marea. L’ampiezza delle maree varia da luogo a luogo: dipende dalle dimensioni e dalla forma dei bacini marini. Essa può essere notevole sulle coste degli oceani o nei golfi lunghi e stretti. Le maree sono causate da due forze: l’attrazione gravitazionale esercitata dalla Luna e dal Sole sulla Terra e la forza centrifuga dovuta al moto di rivoluzione che il sistema Terra-Luna compie attorno al baricentro comune. Gli effetti sono visibili sulle acque dei mari e degli oceani, che sono facilmente deformabili, al contrario dei materiali solidi che costituiscono il resto del pianeta. Anche l’atmosfera risponde all’attrazione luni-solare, ma delle maree atmosferiche sappiamo ancora poco. Il ritmo delle maree riflette le variazioni delle posizioni della Terra, della Luna e del Sole. In genere si hanno due alte maree e due basse maree in poco più di un giorno. Le maree sono provocate dall’attrazione gravitazionale che la Luna e, in misura minore, il Sole esercitano sulla Terra. La Luna è più piccola del Sole, ma è molto più vicina al nostro pianeta e pertanto esercita un’attrazione maggiore. Durante l’alta marea le acque (libere di muoversi al contrario delle rocce) si sollevano, attratte dalla Luna. Ciò non avviene soltanto dalla parte della Luna, ma anche dalla parte opposta, dove l’attrazione lunare è minima. Sulle acque oceaniche opposte alla Luna fa sentire maggiormente i suoi effetti la forza centrifuga, dovuta alla rotazione del sistema Terra-Luna attorno al baricentro. La forza centrifuga tende ad allontanare i due corpi uno dall’altro e, ancora una volta, sono le acque a risentirne di più. Nelle zone situate a longitudini di 90 °C da quelle in cui si verifica l’alta marea lo spessore dell’acqua diminuisce perché l’acqua è richiamata verso le zone di alta marea. In questi luoghi si ha la bassa marea. A causa dell’attrito col fondo e dell’attrito interno delle masse d’acqua, l’alta marea non si verifica esattamente quando la Luna culmina sul meridiano del luogo, ma si può presentare con un ritardo, variabile, detto ora di porto. A causa della rotazione terrestre, una località costiera è interessata in un giorno da due alte maree (una che si verifica quando la località è rivolta verso la Luna, l’altra quando si trova dalla parte opposta) e due basse maree. Il periodo completo è in realtà di 24 ore e 50 minuti, poiché, mentre la Terra ruota su se stessa, la Luna si muove attorno alla Terra. Perché una data località abbia di nuovo la Luna sulla verticale è necessario che la Terra compia una rotazione aggiuntiva di 12°, pari allo spostamento compiuto nel frattempo dalla Luna sulla sua orbita. La Terra impiega 50 minuti a effettuare questa ulteriore rotazione. Le ampiezze delle maree mutano durante un mese, a causa delle variazioni delle posizioni reciproche della Terra, della Luna e del Sole. Infatti, nel fenomeno interviene anche la forza di attrazione da parte del Sole, che agisce in modo analogo a quella della Luna, anche se con intensità minore. Quando il Sole, la Terra e la Luna sono allineati (luna piena) le due forze attrattive si sommano e l’ampiezza di marea raggiunge i valori massimi (maree vive). Quando invece le congiungenti Sole-Terra e Terra-Luna formano un angolo retto, gli effetti attrattivi dei due corpi sulle acque in parte si annullano e le oscillazioni di marea sono minori (maree morte). Una corrente marina può essere paragonata a un fiume che fluisce all’interno delle acque del mare, alla velocità di alcuni km da temperatura e salinità diverse da quelle della massa d’acqua in cui scorre. Sono proprio queste differenze che permettono all’acqua della corrente di non mescolarsi a quella nella quale scorre. Le correnti oceaniche esercitano una forte influenza sul clima delle coste che lambiscono e partecipano al trasporto di calore dalle zone più calde a quelle più fredde del globo. Le zone lambite da correnti calde hanno un clima più umido e spesso più mite rispetto alle zone poste alla stessa latitudine ma lambite da correnti fredde; queste ultime, infatti, riducono l’evaporazione delle acque e quindi rendono più arido il clima. Le correnti non si verificano solo negli oceani ma anche nei mari, dove sono dovute principalmente a differenze di temperatura e/o salinità tra le acque di bacini adiacenti. Se la Terra non ruotasse e non esistessero i venti, nelle acque di entrambi gli emisferi si verificherebbero due movimenti regolari nella direzione dei meridiani, causati dal diverso riscaldamento: in superficie ci sarebbe un movimento di acque calde dell’Equatore verso i poli; in profondità un movimento di compensazione, di acque fredde, dai poli all’Equatore. In realtà, i venti e il 31 moto di rotazione terrestre influenzano sensibilmente il moto delle acque, almeno di quelle superficiali (per le acque che scorrono in profondità rimane valido il meccanismo di compensazione). La forza di Coriolis, dovuta alla rotazione terrestre, è una forza (apparente) che devia gli oggetti in movimento, e quindi anche le correnti: verso destra nell’emisfero boreale, verso sinistra in quella australe. I venti costati (come gli alisei) e i venti periodici (come i monsoni) accelerano, rallentano o possono addirittura invertire il corso delle correnti superficiali. I continenti sono ostacoli che le correnti devono per forza aggirare. Il risultato è che le correnti superficiali formano dei circuiti chiusi e distinti nei diversi oceanini e nei due emisferi. Nell’emisfero boreale la circolazione avviene in senso orario, in quello australe in senso antiorario. Un esempio del meccanismo di compensazione che lega le acque superficiali e quelle profonde è dato da ciò che accade tra l’Oceano Atlantico e il Mar Mediterraneo, a causa delle differenze di salinità (e quindi anche di densità). L’acqua dell’Atlantico, meno salata e perciò più leggera, penetra attraverso lo Stretto di Gibilterra nel Mediterraneo occidentale, incanalata in una corrente superficiale; come conseguenza, l’acqua del Mediterraneo defluisce in senso opposto, al di sotto della corrente che proviene dall’oceano. Talvolta l’andamento delle correnti oceaniche subisce delle perturbazioni. È quanto accade ogni 3-8 anni nell’Oceano Pacifico orientale, dove si verifica un’inversione del normale verso di scorrimento delle correnti, i cui effetti si fanno sentire per oltre un anno in un’ampia parte del globo. Questa perturbazione è detta El Nino perché inizia in genere nel periodo natalizio. In condizioni normali gli alisei soffiano da Est a Ovest e spingono le acque oceaniche superficiali (calde) verso il Pacifico occidentale. L’aria presente sull’oceano si carica di umidità e provoca precipitazioni in Indonesia e in Australia. Lungo le coste dell’America del Sud l’acqua che si è allontanata verso Ovest viene rimpiazzata da acque fredde e l’aria sulle zone costiere è secca. Accade a volte -e si parla allora di El Nino- che gli alisei smettano di soffiare e il vento spiri in direzione opposta. Sotto questa spinta, le acque calde superficiali si muovono verso Est e, raggiunte le coste dell’America del Sud, impediscono la risalita delle acque fredde. La presenza di acque calde superficiali rende umida l’aria ì, determinando piogge e inondazioni che colpiscono le coste del Pacifico orientale. Nello stesso periodo, soffrono invece la siccità le regioni del Pacifico occidentale. CAPITOLO 15 I GHIACCIAI E LE ACQUE CONTINENTALI 1 UNA MODESTA MA ESSENZIALE PORZIONE DELL’IDROSFERA TERRESTRE Viste dallo spazio, le azzurre distese oceaniche mettono in evidenza quanto sia vasta quella copertura d’acqua del nostro pianeta che viene nominata idrosfera marina. Mostrano, chiaramente, anche la presenza di acqua sotto forma di ghiacciai (criosfera), fiumi e laghi (acque continentali). L’idrosfera continentale è costituita da acque dolci, una risorsa indispensabile per la sopravvivenza. Le risorse idriche della Terra sono tantissime e sono immagazzinate in quelle che vengono definiti serbatoi naturali. Sorgenti, corsi d’acqua, laghi e ghiacciai forniscono, sia ai vegetali che agli animali, quella quantità d’acqua che è indispensabile per il loro ciclo vitale. All’uomo interessa in particolare l’acqua potabile. Fiumi e laghi hanno condizionato il sorgere di centri abitati e di industrie, così come hanno fatto fiorire commerci per via acquea; inoltre, i corsi d’acqua hanno fornito, e possono ancora fornire, ingenti quantità di energia, preziose per l’attività umana. Ed è opportuno sottolineare che nelle acque continentali vivono microrganismo capaci di decomporre i rifiuti degli animali e dell’uomo (ma l’inquinamento crescente compromette la naturale efficacia di questo processo, provocando danni alle comunità acquatiche vegetali e animali). Lo studio dei ghiacciai avviene attraverso la GLACIOLOGIA, l’IDROLOGIA studia i movimenti, proprietà e distribuzione dell’acqua, la LIMNOLOGIA studia le caratteristiche fisiche, chimiche, biologiche dei laghi mentre l’IDROGEOLOGIA studia l’origine, le caratteristiche e la circolazione delle acque sotterranee. 32 natura. I movimenti di un ghiacciaio comportano il trasferimento della massa ghiacciata a quote o latitudini più basse, dove inizia l’ablazione, ossia la riduzione del ghiaccio per fusione o per distacco di iceberg e in minor misura anche per sublimazione (cioè per passaggio diretto dell’acqua dallo stato solido allo stato aeriforme). La differenza tra alimentazione e ablazione, ossia il bilancio di massa glaciale, determina o l’accrescimento o la riduzione del ghiacciaio. Quando la differenza tra alimentazione e ablazione è nulla, durante un lungo intervallo di tempo, le dimensioni del ghiacciaio rimangono invariate. Se l’accumulo supera l’ablazione, il ghiacciaio si accresce; se l’ablazione supera l’accumulo, il ghiacciaio si riduce. Le dimensioni dei ghiacciai mutano notevolmente nel corso dei tempi geologici, a causa dei moti millenari della Terra. I ghiacciai odierni sono i resti di ben più grandi apparati che si svilupparono. 4 LE ACQUE SOTTERRANEE E LE SORGENTI I processi che regolano in maniera più diretta l’esistenza delle risorse idriche sono: la penetrazione e la circolazione delle acque nel sottosuolo; il ritorno di queste acque in superficie; lo scorrimento delle acque superficiali. L’INFILTRAZIONE, ovvero il processo di penetrazione dell’acqua nel suolo e nelle rocce che dipende da vari fattori. Prima di tutto dipende dalla permeabilità delle rocce che a sua volta dipende dal loro grado di porosità. Un corpo roccioso sufficientemente permeabile da lasciarsi attraversare dalle acque profonde è detto ACQUIFERO. L’acqua che vi penetra si muove verso il basso per gravità, finché non incontra un corpo roccioso impermeabile, detto ACQUICLUDO, che ne ostacola o ne impedisce il movimento. L’acqua andrà gradualmente accumulandosi nell’acquifero, dove darà origine alla FALDA IDRICA. Una falda idrica è denominata FALDA FREATICA quando la quantità di acqua che riceve può giungere in contatto con il terreno. Esse contribuiscono a rifornire di acqua la vegetazione a radici ben sviluppate verso il basso, e vengono sfruttate con pozzi poco profondi. Una FALDA può essere anche IMPRIGIONATA quando le sue acque sono racchiuse tra due acquicludi. La maggior parte delle acque sotterranee si muove con velocità ridotta (i serbatoi sotterranei restano sempre pieni). Tuttavia questa lentezza dei flussi idrici sotterranei rende estremamente lenta la ricarica di una falda. Le acque sotterranee fluiscono lentamente ma non tutte con la stessa velocità. L’ingegnere inglese Henry Darcy capì perché: studiando la distanza orizzontale percorsa dall’acqua e la permeabilità degli acquiferi capì che al crescere della distanza orizzontale, decresce il volume d’acqua che fluisce in un certo intervallo di tempo. Le acque che si sono infiltrate nel sottosuolo riemergono, dopo un tempo più o meno lungo, sotto forma di SORGENTI. Le sorgenti sboccano spontaneamente: esse possono erogare acque con caratteristiche ed utilizzabilità diverse, a seconda della natura delle rocce: abbiamo acque potabili; acque minerali; acque termali e acque termominerali. L’elevata temperatura delle sorgenti calde può derivare da più cause: dal fatto che le acque sono scese fino in profondità; dall’esistenza, in alcuni casi, di una massa magmatica non ancora del tutto raffreddata; da possibili reazioni chimiche che sviluppano calore. I Sali delle acque mineralizzate vengono sciolti, durante la discesa o la risalita, dall’acqua stessa che passa attraverso rocce ricche di sostanze solubili. L’Italia è ricca di sorgenti minerali e sorgenti termominerali; le loro acque vengono usate come potabili (acque minerali) o per scopi curativi (acque minerali e acque termali). La quantità d’acqua che sgorga dalle scorgenti è la loro portata: vi sono sorgenti che fanno sgorgare soltanto pochi l/s, mentre altre ne erogano centinaia di l/s. 5 I CORSI D’ACQUA Un FIUME è un corso d’acqua perenne, alimentato dalle sorgenti, dalle piogge e dall’eventuale fusione di nevi e di ghiacci. Il termine perenne significa che possiamo definire come fiumi soltanto quei corsi in cui scorre acqua per tutto l’anno; quelli che durante le stagioni non piovose sono asciutti prendono il nome di torrenti. La porzione di terra emersa che contribuisce con le sue acque ad alimentare un fiume, o un 35 torrente, costituisce il bacino idrografico o bacino imbrifero. Il bacino idrografico è delimitato dalla linea spartiacque che lo separa dai bacini adiacenti e racchiude al suo interno un sistema fluviale, o reticolo idrografico, formato dal corso d’acqua principale e dai suoi affluenti. Le peculiarità topografiche dei corsi d’acqua vengono descritte dalla LUNGHEZZA (dipende dai caratteri orografici e geologici della zona in cui esso scorre. I fiumi più lunghi si trovano sui grandi continenti); PENDENZA (è il rapporto tra il dislivello esistente fra la sorgente e la foce e la lunghezza del suo percorso. I valori delle pendenze variano da un fiume all’altro ma anche durante il corso dello stesso fiume tanto che distinguiamo un corso superiore, che va solitamente dalla sorgente alla pianura e la pendenza è maggiore; un corso medio e un corso inferiore che è il tratto che porta alla foce), la VELOCITÀ (varia, ad esempio, se seguiamo la velocità di un fiume nel tratto montano sarà sempre più veloce del tratto di pianura e della foce), la PORTATA (è il parametro più utilizzato per studiare le caratteristiche idrologiche di un corso d’acqua. La portata di un fiume esprime il volume d’acqua che scorre nell’unità di tempo. La portata di un corso non è mai la stessa: distinguiamo una portata magra e una portata di piena. Questa è la portata liquida ma esiste anche la portata solida che è la quantità complessiva dei materiali che vengono trasportati dalla corrente fluviale) e l’ENERGIA DELLA CORRENTE FLUVIALE (dipende dalla velocità e dalla portata; il suo studio è importante poiché ad essa è legata l’attitudine dei fiumi a trasportare i materiali solidi e a scavare le proprie valli). Da un punto di vista geografico e idrologico è molto interessante considerare anche il REGIME di un corso, ossia la variazione della sua portata durante l’anno. È connesso al clima, in particolar modo dalla frequenza delle precipitazioni. Nessun corso d’acqua ha condizioni di scorrimento costanti: tutti i fiumi presentano periodi di magra o di piana. A determinare i periodi e l’ampiezza di queste due fasi, che differenziano i regimi dei corsi d’acqua, concorrono le sorgenti, la fusione delle nevi e dei ghiacci. A causa delle varie condizioni climatiche, anche il regime d’acqua italiani presenta sensibili diversità da regione a regione. Per molti scopi pratici è molto utile conoscere ad esempio il DEFLUSSO (la quantità d’acqua che un fiume porta al mare in un anno), l’AFFLUSSO METEORICO (la quantità d’acqua che cade in un bacino sotto forma di pioggia o neve) e il COEFFICIENTE DI DEFLUSSO (è il rapporto tra la quantità delle acque raccolte e convogliate in un corso d’acqua durante un determinato periodo di tempo e la quantità totale delle precipitazioni che in quello stesso periodo sono cadute sulla superficie del suo bacino). 6 I LAGHI E LE CONCHE D’ACQUA MINORI I LAGHI sono ecosistemi ricchi di biodiversità, regolatori del clima di zone anche vaste, luoghi di svago, fornitori di risorse utilizzabili dall’uomo. In termini fisici, i laghi possono essere definiti come masse d’acqua, per lo più dolce ma a volte anche salata, raccolta in depressioni naturali della superficie terrestre. Sulla base delle caratteristiche della depressione che contiene il lago distinguiamo: LAGHI DI ESCAVAZIONE GLACIALE, che a loro volta si distinguono in LAGHI CIRCO (occupano le conche scavate dai ghiacciai), LAGHI GLACIALI VALLIVI (sono dovuti all’evacuazione di un tratto terminale di valle ad opera delle parti più basse dei ghiacciai spariti). Poi distinguiamo i LAGHI DI SBARRAMENTO (si originano per ostruzione di un tratto di valle, la quale è sbarrata da una frana o una colata di lava); i LAGHI CARSICI (occupano depressioni prodotte dall’azione chimica delle acque sulle rocce calcaree); LAGHI DI CAVITÀ TETTONICA (occupano depressioni causate da abbassamenti di proporzioni della crosta terrestre); LAGHI CRATERICI (occupano i crateri spenti dei vulcani spenti); LAGHI RELITTI; COSTIERI E LAGHI DI SBARRAMENTO ARTIFICIALE. L’alimentazione di un lago può derivare da un fiume, che prende il nome di IMMISSARIO. Ma il lago può anche avere un EMISSARIO che asporta l’acqua in eccesso. Il bilancio idrico di un lago dipende da diversi fattori: presenza o assenza di collegamenti fluviali, drenaggio e raccolta delle acque piovane, evaporazione. Nel caso dei laghi privi di emissario, il bilancio dipende soprattutto dall’immissione fluviale e dall’evaporazione. Molto interessanti sono alcune caratteristiche come la 36 TRASPARENZA (l’acqua dei laghi è più trasparente di quella dei mari perché ci sono meno detriti); COLORE; TEMPERATURA (dipende dalla latitudine, altitudine, caratteri climatici locali, temperatura dell’acqua. In base alla temperatura distinguiamo: laghi di tipo temperato, polare, glaciale); la SALINITÀ (dipende dalla genesi del lago. Nel caso di laghi rimasti isolati dal mare e soggetti a forte evaporazione, la salinità è più alta di quella del mare); DINAMICA DEI LAGHI (cioè l’insieme dei movimenti delle loro acque, legata all’immissione ed emissione di acque. Caratteristica dei laghi sono le SESSE, oscillazioni dell’intera superficie acquea dovute a variazioni della pressione atmosferica). Sul fondo dei laghi si depongono staterelli di fanghi, chiari nei semestri caldi, e scuri in quelli freddi: studiandoli è possibile capire non solo l’età del sedimento, la velocità di accumulo e la lunghezza della vita in un lago. In un lago alla vita degli animali e della vegetazione si deve aggiungere quella del plancton. Accanto ai laghi dobbiamo distinguere le PALUDI (sono sottili distese di acque basse che possono rappresentare un vecchio lago, oppure dipendere dall’espansione di acque fluviali) e le MAREMME (sono estese piane acquitrinose che si estendono presso il mare). CAPITOLO 16 IL MODELLAMENTO DEL RILIEVO TERRESTRE 1 LE FORZE GEODINAMICHE L’eruzione dei vulcani o le scosse di un terremoto sono, si è già detto, un esempio della dinamicità interna del nostro pianeta. Anche una frana o lo straripamento di un fiume sono esempi dei processi evolutivi che si verificano sulla superficie terrestre. E questi sono soltanto i processi più visibili ma ci sono tanti altri che non sono poi così visibili (fenomeni orogenetici, responsabili della nascita delle catene montuose; i processi di logorio superficiale sulle rocce che vengono a contatto con ambienti diversi da quelli in cui si sono formati). La superficie della Terra presenta grande varietà di forme (montagne, coste, pianure) che sono frutto delle FORZE GEODINAMICHE: la FORZA ENDOGENA (sono quelle interne; provocano la formazione delle catene montuose, gli abbassamenti delle aree marine, il vulcanismo) e la FORZE ESOGENE (sono quelle esterne; dipendono dall’energia che la Terra riceve dal Sole sotto forma di radiazioni. Danno via a fenomeni come erosione, trasporto e deposito di detriti). La scienza che si occupa delle forme del rilievo terrestre, della loro genesi e della loro evoluzione è la GEOMORFOLOGIA. 2 LA DEGRADAZIONE METEORICA Se esaminassimo più volte una stessa roccia noteremmo che essa non è mai la stessa: ci sono componenti diverse, fessure più ampie o meno ampie ecc. Tutti questi cambiamenti sono dovuti sia, in parte, dall’uomo, dai fiumi o ghiacci, ma in parte anche dal continuo logorio degli agenti atmosferici. Questi ultimi attaccano fisicamente e chimicamente le rocce superficiali disgregandole e decomponendole, e preparano così l’erosione, cioè l’asporto di materiali detritici per effetto della gravità o per l’intervento dei corsi d’acqua, vento e ghiaccio, e i movimenti del mare. La degradazione che avviene per via degli agenti atmosferici è detta DEGRADAZIONE METEORICA e si distinguono: processi di degradazione fisica, che provocano la disgregazione delle rocce; e processi di degradazione chimica, che consistono nell’alterazione allo stato solido o nella dissoluzione. I processi elementari di degradazione fisica sono essenzialmente dovuti alle oscillazioni termiche che si verificano tra il giorno e la notte. Le oscillazioni giornaliere della temperatura causano nelle rocce esposte all’aria e all’insolazione continue dilatazioni e contrazioni. A causa della scarsa capacità termica delle rocce, le parti più esterne della massa rocciosa si riscaldano e si raffreddano rapidamente, mentre le parti più interne partecipano in minor misura e con un certo ritardo al riscaldamento diurno e al raffreddamento notturno. Quando le escursioni termiche di temperatura raggiungono valori di parecchi gradi centigradi, nel tempo le rocce sposte in superficie sono soggette ad un processo di frantumazione detto TERMOCLASTISMO. I tipi di disgregazione sono determinati dalla forma 37 sviluppate in senso orizzontale). Le cavità carsiche sotterranee hanno suscitato la curiosità dell’uomo: la SPELEOLOGIA è la scienza della nascita delle grotte. Parecchie grotte carsiche (come quelle di Castellana) sono state attrezzate per permettere ai visitatori di visitarle. Queste grotte presentano vere e proprie cascate pietrificate: le stalattiti (dall’alto) e le stalagmiti (dal basso). 8 L’AZIONE MORFOLOGICA DEI GHIACCIAI Sebbene la neve e il ghiaccio ricoprano solo il 10% della superficie delle terre emerse, l’azione erosiva e di deposito esplicata dai ghiacciai è di notevole importanza nel modellamento del rilievo terrestre. Abbiamo già appreso che il ghiaccio dei ghiacciai è dotato di movimento e si comporta come una massa molto viscosa che scorre, sollecitata dal suo stesso peso. La velocità varia da punto a punto. In virtù di questo movimento che i ghiacciai possono esercitare una loro azione erosiva, la quale si compie attraverso l’ESTRAZIONE (consiste nella frantumazione delle rocce per le continue alternanze di gelo e disgelo) e l’ESARAZIONE (consiste nell’erosione della corrente glaciale e delle acque di fusione che scorrono sotto il ghiaccio, le quali scavano il fondo ed esercitano un’azione abrasiva). In conseguenza alle azioni di estrazione e esarazione, una regione che è stata occupata da ghiacciai presenta forme di erosione caratteristiche: tra queste spiccano i CIRCHI (sono depressioni sedimentarie; essi sono dovuti alle forti pressioni esercitate dalle masse glaciali nelle zone di accumulo) e le VALLI GLACIALI (il ghiaccio erode per tutta la sua ampiezza la depressione nella quale scorre; data la sua caratteristica di massa molto vischiosa in movimento, esso tende a dare alla sezione del letto una forma ad U, chiamata VALLE GLACIALE). Con il suo movimento il ghiaccio non solo erode il fondo e i fianchi rocciosi delle valli, ma ingloba anche tutti i materiali che su di esso cadono. Questi detriti si raccolgono verso i fianchi, sul fondo e alla fronte del ghiacciaio, dove formano le MORENE. Le morene possono essere LATERALI, DI FONDO e FRONTALI. I depositi glaciali sono frequentemente ripresi e rimaneggiati dalle acque di fusione e dai torrenti glaciali che da queste si originano. Tali corsi d’acqua trasportano questi materiali fino a valle, dopo averli rielaborati, li depongono nuovamente nelle zone più basse pianeggianti, formando i depositi fluvioglaciali. È difficile individuare un ciclo di erosione glaciale. Le forme di erosione e deposito glaciali vengono cancellate in un tempo relativamente breve ad opera delle acque fluviali che scorrono nelle valli abbandonate dai ghiacciai e tendono a modificarne l’aspetto in relazione al proprio meccanismo erosivo (fiordi). 9 L’AZIONE DEL MARE SULLE COSTE Il mare esercita la sua opera di erosione, trasporto e deposizione lungo i litorali. L’erosione dovuta ai movimenti del mare è detta abrasione marina e viene attuata soprattutto dalle onde. Quando l’abrasione marina agisce in modo uniforme in un tratto di costa alta e rocciosa, in corrispondenza del livello medio del mare, si forma un solco di battigia che si approfondisce sempre più sino a determinare il crollo della parete rocciosa sovrastante. Si forma così una falesia. L’azione costruttiva del mare porta alla formazione delle spiagge, in zone con acque poco profonde e più o meno riparate. A breve distanza dalla costa, in acque basse si formano cordoni litoranei sottomarini che possono emergere e formare lidi. I lidi possono isolare lagune e laghi costieri. Anche l’evoluzione delle coste si svolge secondo un ciclo di erosione che tende alla rettificazione della linea di costa. In base alla morfologia delle coste vengono suddivise coste basse (spiagge, lidi, lagune) e coste alte (falese, fiordi, valloni). 10 LA DINAMICA DEI LITORALI Come tutti i tipi di paesaggio, i litorali non sono stabili nel tempo. Si verificano cambiamenti sia a lungo che a breve termine. I cambiamenti a lungo termine che si protraggono per tempi geologici sono dovuti a cause naturali. Ne sono responsabili i fenomeni orogenetici, i fenomeni isostatici, le oscillazioni del livello marino, 40 le oscillazioni legate ai fenomeni vulcanici. I cambiamenti a breve termine che si manifestano in tempi storici, stagionali e giornalieri sono dovuti sia a cause naturali sia a cause antropiche. Ne sono responsabili, ad esempio le opere marittime, i prelievi di materiale sabbioso e ghiaioso degli sbarramenti come le dighe. CAP 16 IL MODELLAMENTO DEL RILIEVO TERRESTRE (RIASSUNTI DIVERSI) LE FORZE GEODINAMICHE Tutte le forme del rilievo terrestre sono il prodotto di due grandi categorie di forze geodinamiche: • le forze endogene provocano il sollevamento delle montagne, l’innalzamento e abbassamento delle aree continentali e marine, il vulcanismo • le forge esogene si identificano con l’azione degli elementi atmosferici, delle acque correnti, dei ghiacciai e del mare. Gli agenti esogeni esplicano un’azione di  erosione  trasporto  deposizione la scienza che studia le forme del rilievo è la Geomorfologia. LA DEGRADAZIONE METEORICA La degradazione meteorica è un complesso di fenomeni che porta al disfacimento delle rocce per azione degli agenti atmosferici. I processi di degradazione fisica provocano la disgregazione delle rocce I processi di digradazione chimica consistono nell’ossidazione o nell’alterazione allo stato solido e nella dissoluzione delle rocce. Questi due gruppi di fenomeni si verificano contemporaneamente, rafforzandosi a vicenda. Tuttavia i processi fisici prevalgono nelle regioni aride o fredde, i processi chimici dominano nelle regioni calde e umide. • I principali agenti responsabili della disgregazione delle rocce sono: - le oscillazioni di temperatura-termoclastismo- il gelo e il disgelo – crioclastismo- - gli organismi viventi –bioclastismo- • l’alterazione delle rocce è operata principalmente dall’acqua resa leggermente acida dall’anidride carbonica in essa disciolta. • I materiali che derivano dalla disgregazione e dall’alterazione chimica delle rocce vanno incontro a differenti destini a seconda della pendenza del terreno: - Se le superfici rocciose sono orizzontali o poco inclinate, i prodotti della degradazione rimangono in posto e formano un mantello detritico-regolite- - Se le superfici rocciose sono molto inclinate i frammenti cadono, si accumulano alla base dei versanti e originano coni di detrito o falde di detrito I FENOMENI FRANOSI I movimenti di cospicue masse rocciose-coerenti o incoerenti- generati dalla forza di gravità sono detti Frane. Nelle frane si distinguono: 41 - La nicchia di distacco, l’intaccatura del pendio che segna il limite tra la roccia rimasta in posto e quella franata - Il pendio di - frana, il tratto di versante sul quale si sono spostati i materiali franati - L’accumulo di frana, costituito dai detriti rocciosi che si sono arrestati formando una massa caotica • Nell’innesco delle frane svolgono un ruolo determinante tutte quelle attività che alterano l’equilibrio dei versanti. L’AZIONE MORFOLOGICA DEL VENTO • Il vento è il principale agente atmosferico dell’erosione • L’azione meccanica del vento consiste nella spinta che esso imprime agli oggetti che si oppongono al suo movimento. Tale azione indipendentemente dalla gravità è particolarmente accentuato nelle zone di alta montagna e nelle zone aride dove la copertura vegetale è ridotta o assente. • L’azione morfologica del vento si esplica mediante - La deflazione: consiste nel prelievo e nel trasporto di detriti - La corrasione cioè l’abrasione delle rocce operata dai granuli trasportati - La deposizione. I depositi eolici sono formati di sabbie e polveri che possono costruire ampie distese sabbiose o piccoli rilievi: le dune. L’AZIONE MORFOLOGICA DELLE ACQUE CORRENTI SUPERFICIALI • L’azione morfologica delle acque superficiali è preceduta da quella delle piogge che possono vincere la coesione del terreno. • Le acque correnti superficiali sono rappresentate da o Acque dilavanti che non hanno un corso ben definito e scorrono a rivoli o a velo secondo le linee di massima pendenza o Acque incanalate in alvei o letti • Le acque dilavanti operano un’erosione areale. Le acque incanalate esercitano un’erosione lineare e scavano nel terreno solchi vallivi. • Il profilo longitudinale di un corso d’acqua è una curva la cui pendenza è variabile, pur tendendo a diminuire dal corso superiore al corso inferiore fino al livello di base. Con un meccanismo di erosione regressiva il profilo longitudinale con il tempo assume la forma di una curva parabolica tangente al livello di base: si raggiunge così il profilo di equilibrio. • I corsi d’acqua operano anche un’erosione laterale che determina lo scalzamento delle sponde o Dall’azione combinata dell’erosione lineare dell’erosione laterale e della denudazione dei versanti deriva la sezione trasversale a v delle valli fluviali. • Quando la velocità della corrente fluviale diminuisce tanto da non permettere più il trasporto dei materiali questi vengono abbandonati sotto forma di depositi alluvionali (alluvioni) • I corsi d’acqua producono anche alcune forme in parte di erosione e in parte di accumulo: i meandri e i terrazzi fluviali. 42 GEOGRAFIA UMANA CAPITOLO 1 CHE COS’È LA GEOGRAFIA UMANA? 1.1 INTRODUZIONE ALLA GEOGRAFIA Chi si specializza in geografia visita molti luoghi diversi nella propria carriera. Probabilmente questo avviene perché la geografia è una disciplina che incoraggia le persone a scegliere una regione o una materia della quale sono particolarmente appassionati e ad esplorarne diversi aspetti. Ti interessa la musica o qualsiasi altra cosa? C’è una geografia che studia ad esempio la globalizzazione dell’hip hop. Alcuni hanno pensato ingenuamente la globalizzazione avrebbe reso inutile la geografia. La globalizzazione, dicevano, ha reso il mondo più piccolo, più accessibile e quindi più facile da conoscere e da capire. Ma per provare a capire le conseguenze nei diversi paesi del cambiamento climatico globale sulla produzione agricola o sulle popolazioni costiere, ad esempio, è necessaria una prospettiva geografica. Allo stesso modo, non possiamo risolvere il problema della povertà senza conoscere a fondo le sue dimensioni geografiche. La globalizzazione, quindi, ha messo la geografia al centro della scena. Il termine geografia proviene da due parole greche (geo+grafia) che affiancate significano scrittura della terra. Si vuole distinguere tra una geografia fisica che studia gli ambienti e le componenti naturali e una geografia umana che si occupa degli 45 esseri umani sulla Terra. Questa distinzione non deve però essere intesa come una separazione. La geografia umana non può ignorare la geografia fisica, in quanto tutte le attività umana hanno qualche rapporto con gli ambienti naturali e non possono essere comprese, interpretate e valutate senza tener conto di ciò che direttamente o indirettamente ci lega al clima, al suolo, alle acque, alle forme del rilievo e agli altri organismi viventi. Quando parliamo di NATURA intendiamo tutto ciò che è estraneo alla creatività umana. Il concetto di CULTURA è più difficile da definire. Esso può intendere dall’arte, alla musica, la poesia, la tecnologia fino a ciò che può arrivare a distinguere i popoli: parliamo quindi di oggetti, vestiti, cibo, abitazioni, strumenti del lavoro. Uno dei massimi esponenti del rapporto tra natura e cultura, Luca Cavalli Sforza, ha definito la cultura in termini generali come l’accumulo di conoscenze, di capacità e di innovazioni, derivante dalla somma dei contributi individuali trasmessi attraverso le generazioni e diffusi all’intera società. negli ultimi decenni si è assistito ad un significativo ripensamento della nozione di cultura, che si fonda sui 3 argomenti seguenti: 1) La cultura è una costruzione sociale che riflette diversi fattori economici, storici, politici, sociali ed ambientali; 2) La cultura non è un qualcosa di fisso, si modifica nel tempo e può generare sia scambi pacifici, sia conflitti; 3) La cultura è un sistema dinamico complesso: interagendo tra loro, le persone creano ed esprimono una cultura, la quale, a sua volta, definisce ed influenza le caratteristiche delle persone che ne fanno parte. Storicamente le culture si presentano differenziate su base geografica e quindi si parla di culture locali, regionali, nazionali o anche sovranazionali. Oggi permangono notevoli diversità culturali su base territoriale, ma crescono le ibridazioni tra culture diverse e la globalizzazione tende a imporre certi caratteri culturali comuni a tutte le società e a tutti i territori. Nel pensiero occidentale esiste una lunga tradizione a considerare natura e cultura come separate e contrapposte tra loro. Tale dualismo tra natura e cultura ha svolto un ruolo importante nello sviluppo di diversi modi di considerare le differenze culturali e sociali. Nell’età moderna si è affermata l’idea che la cultura fosse ciò che permette all’uomo di porsi al di sopra della natura, di dominarla e trasformarla secondo i propri fini. Questa linea di pensiero è stata poi estesa a giustificare le gerarchie sociali e il colonialismo, portando ad esempio a considerare i popoli non occidentali come inferiori perché più vicini e più soggetti alla natura rispetto agli occidentali, definiti civili e acculturati. Oggi si va affermando una corrente di pensiero che rifiuta il dualismo tra cultura e natura, proprio a causa dei gravi problemi che nascono oggi dalla netta contrapposizione tra i due concetti. Si tende così a pensare che l’uomo, nonostante la propria predisposizione per la cultura, faccia pienamente parte della natura e che quindi la sua azione debba fare i conti con certe leggi fondamentali della natura stessa. Chi ritiene che i fattori naturali terrestri incidano direttamente sullo sviluppo delle caratteristiche fisiche ed intellettuali degli esseri umani abbraccia la teoria del DETERMINISMO AMBIENTALE. Già gli antichi Greci ipotizzarono che le diversità fra i popoli fossero strettamente legate alle differenze fisiche ambientali. Tra la fine del XIX secolo le teorie del determinismo ambientale, sotto l’influenza del geografo tedesco Friedrich Ratzel, ebbero una grande diffusione tra i geografi per poi essere rapidamente abbandonate, alla luce soprattutto di 3 elementi di critica. Innanzitutto non era dimostrabile scientificamente la relazione di causa-effetto tra ambiente e gli individui che lo abitavano. Una seconda critica del determinismo deriva dall’evidenza che fattori ambientali identici non necessariamente danno luogo a pratiche culturali o comportamenti umani simili. Terzo, il determinismo ambientale era sospettato di essere una ideologia travestita da teoria scientifica per giustificare il colonialismo. La reazione al determinismo ambientale ha portato, all’inizio del XX secolo, alla nascita del POSSIBILISMO, ad opera della scuola del geografo francese Vidal de la Blache. 46 L’idea che ne sta alla base è che i singoli e le collettività possono usare la propria creatività per reagire alle condizioni o alle costrizioni di un particolare ambiente naturale. È importante in questo caso utilizzare il termine costrizioni, per indicare il fatto che l’ambiente viene visto come una limitazione delle scelte e delle possibilità che le persone hanno a disposizione. Il POSSIBILISMO GEOGRAFICO ritiene che ogni ambiente naturale offra una gamma di alternative più o meno vasta e che in uno stesso ambiente naturale società e culture possano modellarsi in modi diversi a seconda delle loro scelte, basate sulle conoscenze e sulle capacità tecniche di cui dispongono. Le teorie del possibilismo ambientale hanno contribuito a diffondere la consapevolezza del ruolo dell’azione umana nei cambiamenti dell’ambiente, a partire dall’osservazione di come nel tempo tale azione ha modificato i paesaggi naturali, trasformandoli in paesaggi culturali. L’idea dell’uomo come agente trasformatore che domina la natura è già anticipata dalle parole che Iahvé rivolge a Noè e ai suoi discendenti dopo il diluvio: “crescete e moltiplicatevi; prendete possesso della terra e popolatela”. Nella mitologia greca la troviamo incarnata nella figura di Prometeo che portando il fuoco sulla terra dà l’origine a tutte le tecniche. Un grande geografo italiano, Lucio Gambi, affermava che l’uomo usa la natura per riplasmare e rifoggiare la Terra in termini umani quasi a ricrearne una sua. E se pensiamo agli spazi umani che vanno ricoprendo il pianeta non possiamo dargli torto. Purtroppo però nei due secoli scorsi il nuovo Prometeo si è comportato come se no ci fosse limite alla sua capacità trasformatrice. Le difficoltà e i rischi insisti in un rapporto dualistico con la natura, che al tempo stesso la violenta e la idealizza, possono essere superati con una visione realistica, che vede gli esseri umani intrinsecamente legati al mondo naturale e che può così essere sintetizzata: 1) La terra funziona come un sistema costituito da diverse componenti naturali e culturali, che interagiscono con modalità complesse, non riducibili a rapporti lineari di causa-effetto e quindi poco prevedibili 2) La terra è soggetta a continui cambiamenti, che derivano sia da eventi naturali, sia dall’azione umana 3) Il sistema culturale umano è un sottoinsieme di quello naturale terrestre: può modificarlo solo obbedendo ad alcune leggi naturali. La visione della cultura come l’insieme delle idee, delle pratiche e dei manufatti che caratterizzano società e territori è ormai da tempo alla base di gran parte della geografia umana, in particolare attraverso i due approcci basati sulla lettura dei paesaggi culturali e sull’analisi regionale. Il concetto di PAESAGGIO GEOGRAFICO è mutato nel corso del tempo. È stato introdotto dal grande geografo Alexander von Humboldt per indurre i suoi contemporanei a osservare e studiare i fenomeni geografici, immaginandoli come se si presentassero in una galleria di quadri. Questo approccio al paesaggio riconosceva ad esso il duplice significato di percezione soggettive e di realtà oggettive. Per il geografo il paesaggio è come un palinsesto, una pergamena che, per quanto ripetutamente cancellata e riscritta, conserva ancora le tracce di quello che vi è stato impresso nelle varie epoche. Le espressioni della cultura leggibili nel paesaggio come i modelli di insediamento, le tipologie di costruzioni, gli stili architettonici, e le modalità d’utilizzo del suolo, sono indizi riguardanti i valori delle popolazioni, la loro identità e, più in generale, le loro culture. In questo senso il paesaggio fa parte del patrimonio di un territorio, cioè dell’insieme di beni comuni naturali e culturali di libero accesso la cui conservazione e trasformazione nel tempo va tutelata e regolata come un valore da preservare. L’ANALISI REGIONALE è in parte diversa dalla lettura del paesaggio. Essa va oltre la semplice osservazione della superficie per indagare i fattori che determinano le diversità dei territori e suggeriscono la loro suddivisione in regioni. In geografia si hanno più tipi di regioni, in quanto la superficie terrestre può essere suddivisa secondo criteri diversi. Le regioni vanno considerate innanzitutto come costruzioni mentali, una forma di classificazione dei luoghi per raggruppamenti contigui, che si basa su fatti 47 esterno. Questa distinzione si trova nella duplice etimologia della parola latina territorium, che da un lato rimanda a terrere (terrorizzare, spaventare) e dall’altro a terere (arare). Il primo significato riguarda il rapporto difensivo nei confronti di altri. Nel secondo significato pensiamo allo spazio come a ciò che produce quanto ci occorre. I due significati si legano strettamente tra loro. Infatti il motivo per cui si difende un territorio è che esso fornisce le risorse che assicurano sopravvivenza e indipendenza a un gruppo umano molto più grande. Ciò ha una duplice conseguenza: (1) che le relazioni tra soggetti non sono solo quelle di esclusione e difesa ma anche di collaborazione; (2) che qualsiasi relazione sociale (politica, giuridica, economica) ha sempre un legame con i rapporti che intratteniamo col territorio. Lo spazio relazionale della geografia umana è fatto di relazioni intersoggettive territorializzate: fenomeni che sembrano puramente culturali o sociali o politici, se studiati nella loro distribuzione geografica, si rivelano sempre in qualche modo legate ai rapporti di territorialità.  SCALA CARTOGRAFICA E SCALA GEOGRAFICA = il concetto di scala è importantissimo in geografia, infatti, la scala è ciò che ci permette di rappresentare lo spazio o una sua porzione in misure ridotte. La scala cartografica esprime il rapporto tra le distanze sulla carta e le distanze reali sulla superficie terrestre. La scala geografica o scala d’osservazione, indica, invece, il livello di analisi utilizzato per un determinato studio o progetto. Quando i geografi parlano di una scala d’osservazione variabile, intendono dire che questa può estendersi da un livello circoscritto, che in questo caso si dice a piccola scala (come ad esempio lo spazio della vita quotidiana di una famiglia o di singoli suoi componenti), ad uno più ampio, a grande scala (ad esempio il territorio di uno Stato). 1.3 GLI STRUMENTI DELLA GEOGRAFIA  LE CARTE GEOGRAFICHE = sono rappresentazioni ridotte della Terra o di sue parti. Esse sono anche dette simboliche, approssimative. Le carte hanno una legenda e una scala. La maggiore difficoltà nella costruzione delle carte sta nel rappresentare in piano la superficie sferica deformandola quanto meno possibile. A tal scopo si ricorre a proiezioni geometriche. Vi sono proiezioni che mantengono le proporzioni tra le distanze, in questo caso si dicono equidistanti (come le carte stradali). Possono invece mantenere proporzionali le aree, perciò dette equivalenti (le carte politiche ed economiche). Oppure possono mantenere esatti gli angoli tra i meridiani e paralleli, allora sono dette isogone (carte nautiche). Le carte generali si distinguono in carte fisiche (che rappresentano i tratti naturali fondamentali) e politiche che, oltre a pochi tratti fisici, ripotano i confini degli Stati, le vie di comunicazione, le città e quanto è opera dell’uomo. Per lo studio di singoli fenomeni e delle loro variazioni sono molto importanti le carte tematiche: esse possono rappresentare anche cose che non si vedono nel paesaggio, come le caratteristiche sociali ed economiche. Le carte possono servire di base per rappresentazioni particolari dette cartogrammi, in cui dei dati numerici elaborati, sono riportati su una carta e rappresentati da colori diversi o da figure geometriche. Un cartogramma molto usato in geografia è il cartogramma a mosaico.  IL TELERILEVAMENTO = i geografi lo usano con strumenti capaci di ricavare alcuni fenomeni relativi alla superficie terrestre e raccogliere informazioni su di essi, attraverso sensori ed altri strumenti posti lontano dal soggetto studiato, come suggerisce il nome inglese del telerilevamento: remote sensing. Affidandosi a sensori montati sui satelliti, la distanza tra il soggetto studiato e i sensori che lo rilevano può essere anche di diverse migliaia di km. Le prime applicazioni del telerilevamento riguardavano soprattutto lo studio delle condizioni dell’ambiente naturale, in particolare nel settore della meteorologia e delle previsioni del tempo. Anche chi studia i disastri naturali fa grande uso del 50 telerilevamento, si studiano anche, ad esempio, le fuoriuscite di petrolio o di altre sostanze inquinanti.  GPS= utilizza una costellazione di satelliti artificiali e i segnali radio da essi trasmessi per determinare la posizione assoluta di persone, luoghi o elementi della superficie terrestre, misurando il tempo che il ricevitore GPS impiega per ricevere un segnale dal satellite e calcolando, di conseguenza la distanza del satellite dal ricevitore. Il GPS viene usato comunemente per stabilire i confini legali delle proprietà, tracciare e censire le diverse specie di piante e animali o per monitorare le condizioni delle coltivazioni, contribuendo, in questo caso, all’aumento della precisione nelle pratiche agricole, grazie alla raccolta di informazioni sulle tipologie di suolo, l’umidità, la diffusione di insetti nocivi. Negli ultimi anni i telefoni cellulari, per esempio, permettono di localizzare i ristoranti o i bancomat più vicini proprio grazie a tecnologie GPS  GIS= le mappe cartacee hanno dei limiti perché non permettono di conoscere nello specifico, ad esempio, l’estensione di un lago perché è necessario dover fare calcoli lunghi e complessi. La nascita del GIS è dovuta proprio alla necessità di migliorare la funzionalità delle carte e delle analisi spaziali di dati georeferenziati, cioè dati a cui è attribuita una precisa localizzazione sulla superficie terrestre. CAPITOLO 2 AMBIENTE, SOCIETÈ, TERRITORIO 2.1 GLI ECOSISTEMI Per comprendere a pieno il significato di ecosistema dobbiamo aver chiaro cosa si intende per ambiente: l’ambiente si riferisce a ciò che circonda un soggetto, cioè a tutti quei fattori biotici (viventi) e abiotici (non viventi) con i quali persone, animali e altri organismi coesistono e interagiscono. Da quasi ottant’anni gli studiosi usano il concetto di ecosistema per studiare le interazioni tra le diverse componenti dell’ambiente. Gli studiosi concordano nel ritenere che la complessità di un ecosistema derivi dalla sua biodiversità, cioè dalla varietà delle specie contenute in esso. Anche se gli scienziati possono tentare di studiare un singolo ecosistema come se fosse isolato, è un dato di fatto che tutti gli ecosistemi sono interconnessi e la totalità di queste relazioni costituisce la biosfera. Per mettere in evidenza i complessi rapporti che intercorrono tra l’ambiente naturale e le società umane è stato introdotto il concetto di capitale naturale. Il capitale naturale comprende i beni e i sevizi offerti dalla natura ed è composto da 4 elementi fondamentali: le risorse rinnovabili; le risorse non rinnovabili; la biodiversità terrestre; i servizi resi dagli ecosistemi. Le prime 3 costituiscono i beni o le riserve di risorse naturali, mentre la quarta componente si riferisce all’opera attiva dei processi naturali nell’offrire i servizi come il ciclo nutritivo degli ecosistemi, la fotosintesi, l’impollinazione degli alberi. Le risorse naturali si dividono in risorse non rinnovabili e rinnovabili. Quelle non rinnovabili vengono considerate esaurite quando vengono meno le condizioni per la loro rigenerazione mentre le rinnovabili si rigenerano in tempi ragionevoli. Le quantità di risorse non rinnovabili sono fisse e quindi soggette a esaurimento se totalmente prelevate e consumate. Solitamente però l’esaurimento totale delle risorse viene preceduto dal loro esaurimento economico, che si verifica quando il costo per l’estrazione della risorsa supera il valore economico della stessa. Il concetto di esaurimento economico può essere applicato anche alle risorse rinnovabili, sebbene gli studiosi tendano a preferire il concetto di rendimento sostenibile, ovvero la massima quantità di una risorsa che può essere sfruttata e utilizzata senza mettere in pericolo la sua capacità di rinnovarsi e rigenerare se stessa. Tuttavia un punto debole di questo concetto è che esso viene frequentemente applicato ad una singola specie naturale, senza considerare gli effetti che il suo sfruttamento potrebbe avere sull’ecosistema. Per questo motivo, diversi studiosi preferiscono usare il termine rendimento ecologicamente sostenibile. Degradare qualcosa significa danneggiare una o più delle sue proprietà fisiche. Il degrado ambientale dovuto alle attività umane può 51 essere diretto o indiretto: l’estrazione del petrolio sulla terraferma o in mare, per esempio costituisce un rischio diretto per le persone e la natura, dovuto alle sostanze tossiche che potrebbero essere rilasciate; le politiche che promuovono la costruzione di abitazioni su versanti pericolosi sono considerate una forma di degrado ambientale indiretto. Vi è degrado ambientale se si verifica una o più delle seguenti condizioni: 1) Quando una risorsa viene sfruttata a ritmi più rapidi di quelli della sua rigenerazione 2) Quando le attività umane danneggiano la produttività a lungo termine o la biodiversità di un luogo 3) Quando le concentrazioni di sostanze inquinanti superano il massimo livello consentito da leggi che tutelano la salute Le risorse possono essere anche di proprietà comune o risorse a libero accesso. Le risorse di proprietà comune, dette anche beni comuni naturali, includono foreste, pascoli, acque e zona di pesca. Nel mondo molte delle persone che non possiedono personalmente della terra dipendono dai beni naturali comuni per ottenere le risorse necessarie, come la legna da ardere, i beni alimentari e i pascoli per il bestiame. Le risorse di comune proprietà differiscono dalle risorse a libero accesso come l’aria che respiriamo, i mari, l’energia solare, i parchi nazionali. 2.2 LE RISORSE ENERGETICHE NON RINNOVABILI Le risorse energetiche non rinnovabili comprendono i combustibili fossili e l’uranio. I combustibili fossili derivano dai residui sepolti di piante e animali vissuti migliaia di anni fa. Una prima risorsa non rinnovabile è il PETROLIO che è una fonte di energia versatile per quei paesi industrializzati che hanno le infrastrutture necessarie per poterlo estrarre, raffinare e trasportare. Il petrolio può essere bruciato come carburante per il riscaldamento di edifici e per generare elettricità oppure raffinato e trasformato in benzina, cherosene o gasolio. Dalle bottiglie d’acqua ai telefoni cellulari, la maggior parte delle materie plastiche derivano dal petrolio così come i cosmetici e persino qualche farmaco. Una stima di quanto dureranno ancora le riserve attuali di petrolio viene espressa attraverso il rapporto riserve/produzione. Hubbert parlò di transizione energetica: egli segnalò che la produzione di petrolio sarebbe scemata e che ciò avrebbe costretto la popolazione ad usare differenti fonti di energia, con serie conseguenze per l’economia globale, qualora non ci si fosse preparati in anticipo ad affrontare questa transizione. Il maggior produttore di petrolio a livello mondiale è l’Arabia Saudita. In generale, giocano un ruolo importante i paesi del Golfo Persico che appartengono all’OPEC, influente organizzazione creata nel 1960 che svolge il ruolo si “cartello”: cioè come un’intesa che controlla la fornitura di un bene e quindi il suo prezzo. Esistono significative disparità geografiche nei modelli di produzione e consumo del petrolio. Gli Stati Uniti sono al primo posto sia per consumo che produzione. La Cina è la seconda maggior consumatrice di petrolio. L’Arabia, pur essendo la seconda maggior produttrice, non consuma. Il posto dell’Italia è simile a quello del Giappone: consumatrici più che produttrici. Il CARBONE è un’altra risorsa non rinnovabile. Deriva da depositi legnosi di alberi e piante parzialmente decomposte accumulatisi in ambienti paludosi. Il carbone è il combustibile fossile più abbondante e più diffuso nel mondo. A differenza del petrolio e del gas naturale, le popolazioni utilizzano il carbone come combustibile da migliaia di anni. Esso viene impiegato per riscaldare l’acqua e generare energia a vapore. Dopo il petrolio, il carbone è oggi il secondo combustibile fossile per utilizzo nel mondo ma, mentre il petrolio è usato principalmente per il trasporto e il riscaldamento, il carbone è il combustibile più sfruttato per la produzione di energia elettrica ed uno dei componenti chiave per la produzione d’acciaio. Anche se il carbone è il più abbondante dei combustibili fossili, l’estrazione e l’utilizzo di questa risorsa presentano una serie di gravi problemi. Il metodo d’estrazione più utilizzato è quello detto “miniera a cielo aperto”: i minatori in primo luogo liberano la superficie da tutta la vegetazione, poi con potenti esplosivi rimuovono la roccia che sta sopra il giacimento e la trasportano in aree libere nei dintorni. In 52 essere messe a rischio da temperature più calde. Nelle regioni aride e semi aride, ad esempio, i problemi di scarsità idrica e le siccità stanno già da alcuni anni manifestandosi con maggior frequenza. L’ANIDRIDE CARBONICA è uno dei principali fattori presi in considerazione dagli studi sul surriscaldamento globale, non solo perché la sua concentrazione è aumentata notevolmente ma anche per il fatto che essa persiste nell’atmosfera per lunghi periodi di tempo. I più ricchi e industrializzati paesi della Terra contribuiscono a quasi metà delle emissioni di anidride carbonica. Negli ultimi anni si è diffuso il concetto di CARBON FOOTPRINT (IMPRONTA DI CARBONIO) ovvero la quantità di anidride carbonica emessa dalle attività umane, che rende evidente ad esempio come le emissioni totali di paesi come la Cina e l’India sovrastino quelle dei paesi più poveri. Gli scienziati riconoscono che un altro fattore d’impatto sul clima globale è rappresentato dai cambiamenti nell’uso e nella copertura del suolo. Ad esempio la conversione di zone boschive in campi coltivati, la bonifica di zone umide, l’espansione delle città e delle aree asfaltate o la desertificazione causata dall’eccessivo sfruttamento dei terreni. Non tutti questi cambiamenti, comunque, sono direttamente indotti dalle attività umane. La siccità o stress naturali, per esempio, possono influenzare la capacità della vegetazione di rigenerarsi e alterare le biodiversità locali o regionali. La deforestazione spesso determina temperature più calde e condizioni climatiche più secche perché meno acqua evapora dalla vegetazione all’atmosfera, condizioni che hanno importanti conseguenze sulla formazione delle nubi e di conseguenza sui cicli delle piogge. Per più di 150 anni i paesi del Nord globale hanno contribuito in modo sproporzionato alla concentrazione atmosferica di anidride carbonica e di diversi altri gas serra di natura antropogenica. A tal scopo le Nazioni unite hanno indetto numerose conferenze internazionali. Le principali furono la COP3 di Kyoto, la COP15 di Copenaghen e la COP21 di Parigi. Nella conferenza di Kyoto, 38 Stati firmarono un “protocollo” che impegnava i paesi più industrializzati a ridurre del 5% le proprie emissioni di gas serra entro il 2021. Mancava però la firma degli USA. La COP15 di Copenaghen si concluse con un accordo firmato da 120 paesi, rivolto anch’esso alla riduzione delle emissioni responsabili dell’effetto serra. Tale accordo rappresentò un passo avanti nel riconoscere la gravità del problema. La successiva COP18, tenutasi a Doha, sancì la proroga del protocollo di Kyoto, ma vide anche il ritiro da esso di Russia, Giappone e Canada. Nel frattempo crescevano le evidenze dei rischi gravissimi del riscaldamento climatico globale. Si venne così al COP21 di Parigi del 2015, dove, dopo 15 giorni di estenuanti trattative, ben 195 paesi sottoscrissero un accordo per contenere da 1,5 a 2°C l’aumento della temperatura media mondiale entro il 2020. La Convenzione di Parigi segnò un passo avanti nella disputa tra paesi di vecchia industrializzazione, responsabili storici del mutamento climatico, e paesi poveri che, dipendono dall’agricoltura, ne subivano i danni maggiori. Gli ambientalisti, pur giudicando insufficiente e su molti punti ambiguo l’accordo COP21, riconoscono che esso segna un punto di non ritorno nella lotta ai fattori determinanti il riscaldamento climatico. CAPITOLO 3 POPOLAZIONE E MIGRAZIONI 3.1 LA POPOLAZIONE: CONCETTI BASE I 7,4 milioni di persone che abitano il mondo sono distribuiti in maniera molto disomogenea. Quando i geografi vogliono studiare la pressione esercitata da una certa popolazione sul territorio, calcolano la sua DENSITÀ, che può essere aritmetica, se si considera il semplice rapporto tra la superficie di un’area e il numero dei suoi abitanti, oppure fisiologica, quando lo stesso rapporto viene calcolato considerando solo le terre produttive, escludendo cioè tutte le aree non adatte all’agricoltura. La FERTILITÀ, che in senso generale indica la possibilità di avere dei figli, fa riferimento al numero di nascite all’interno di una determinata popolazione. I principali cambiamenti nella demografia di molte popolazioni, infatti, sono dovuti proprio al numero di nascite (natalità) e di morti (mortalità), entrambi condizionati da fattori biologici, sociali, economici, politici e culturali. I demografi misurano la fertilità utilizzando due indicatori: il 55 tasso di natalità e il tasso di fecondità. Il TASSO DI NATALITÀ descrive le tendenze delle nascite all’interno di una società nel suo complesso. Il tasso di natalità consente di valutare le dimensioni dei nuclei familiari e di effettuare delle previsioni sulle tendenze numeriche della popolazione. Quando questo tasso ha un valore di 2,1 si dice che una popolazione ha raggiunto il livello di sostituzione delle generazioni, quello necessario per consentire ad una popolazione di riprodursi senza diminuire di numero. Il TASSO DI FERTILITÀ varia da paese a paese e da regione a regione. Essa può venire condizionata sia da fattori biologici, sia dai modelli culturali che regolano la riproduzione. Tra queste il più importante è il ricorso o meno a pratiche contraccettive. I tassi di fecondità più elevati sono riconducibili a popolazioni in cui le donne diventano sessualmente attive molto presto e che si sposano in giovane età. Anche se spesso alla povertà vengono associati alti tassi di fecondità, la relazione tra questi due fattori è più complessa di come sembra ed è legata, ad esempio, al fatto che le persone con un reddito inferiore hanno spesso un grado di istruzione più basso. Come dimostrano molti studi, infatti, un’istruzione elevata è spesso correlata ad un’età del matrimonio o della nascita del primo figlio mediamente maggiore e, quindi, a tassi di fecondità inferiori. I governi possono controllare la fertilità, introducendo politiche nataliste o antinataliste, mirate ad incentivare o limitare la crescita della popolazione, influenzando i comportamenti riproduttivi delle persone. Il tasso di fecondità totale della Francia, per esempio, è in linea con la media mondiale, ma è più elevato di quello degli altri paesi europei, grazie anche a politiche nataliste a sostegno delle famiglie. La Cina, invece, rappresenta probabilmente l’esempio più noto di paese che ha applicato rigide politiche antinataliste. La preoccupazione per la crescita esplosiva della popolazione, che avrebbe potuto mettere a rischio lo sviluppo del paese, ha portato il governo cinese, già molti decenni fa, ad incentivare la riduzione della dimensione media delle famiglie, introducendo la cosiddetta politica del figlio unico. Accanto alla fertilità uno dei principali fattori che influenzano le dinamiche demografiche è il TASSO DI MORTALITÀ. Anche la mortalità ha una grande variabilità geografica che dipende da fattori sia naturali sia sociali. Tra i primi si annoverano i disastri naturali, che possono portare ad un improvviso incremento del numero di decessi. Un fattore naturale di variabilità spazio-temporale della mortalità che nel passato ha giocato un ruolo preponderante è rappresentato dalle epidemie. Tra i fattori politico-sociali che incidono sui tassi di mortalità di un determinato territorio ci sono le guerre. Una forte variabilità deriva dalle caratteristiche dei sistemi sanitari nazionali. In particolare nei paesi più poveri spesso non sono disponibili medici, ospedali, vaccinazioni o medicine che potrebbero prevenire o guarire molte malattie. La SPERANZA DI VITA indica la lunghezza media della vita delle persone. Nel mondo la speranza di vita media, sommando quella degli uomini e quella delle donne, è cresciuta molto. Le zone blu sono quelle zone dove la speranza di vita è notevolmente alta rispetto alla media mondiale. La speranza di vita può variare molto, in seguito, per esempio, ad una crescita della povertà o allo scoppio di guerre. I geografi che si occupano di demografia hanno messo in luce le variazioni spaziali, su scala globale, dell’impatto dell’Aids sulla vita media: se nei paesi più ricchi un migliore accesso alle cure mediche e ai farmaci ha contribuito ad elevare la speranza di vita delle persone sieropositive ad un livello analogo a quello del resto della popolazione, in altre parti del mondo l’epidemia di Aids ha ridotto la vita media di oltre 20 anni. Un secondo importante indicatore della qualità della vita di una popolazione è il TASSO DI MORTALITÀ INFANTILE, ovvero il numero di nati che muoiono prima di compiere un anno di età. Alti tassi di mortalità infantile sono segno di cure sanitarie inadeguate nei confronti delle donne in gravidanza e dei neonati. 3.2 LA COMPOSIZIONE DELLA POPOLAZIONE E I SUOI CAMBIAMENTI Ogni popolazione è caratterizzata da una specifica composizione e per studiarne le caratteristiche si utilizzano le PIRAMIDE DELLE ETÀ. L’asse verticale di una piramide raffigura le classi d’età della popolazione rappresentata. La piramide suddivide la componente maschile e quella femminile di ciascuna classe di età, 56 collocando solitamente la prima sulla sinistra dell’asse verticale e la seconda alla sua destra. L’asse orizzontale indica invece la percentuale con la quale ciascuna classe di età contribuisce al totale della popolazione. Si possono individuare tre categorie di piramidi della popolazione: POPOLAZIONI A FORTE CRESCITA (come quella delle Filippine che ha la forma di una vera piramide, con un’ampia base che indica tassi di natalità che sono stati e continuano ad essere elevati), POPOLAZIONI A CRESCITA LENTA (come quella dell’Australia che si restringe alla base, indicando una riduzione dei tassi di natalità) e, infine POPOLAZIONI IN DECLINO, come quella dell’Italia che ha la base stretta che indica le nascite in diminuzione. È ben visibile invece il rigonfiamento a livello delle classi di età intorno ai 40 anni, legato al baby boom degli anni 60. I demografi osservano con particolare attenzione la popolazione di età inferiore ai 15 anni o superiore ai 65, composta da persone che vengono definite dipendenti. L’INDICE DI DIPENDENZA permette di fare previsioni sui cambiamenti ai quali la società di un paese andrà incontro nel futuro. Gli Stati con una popolazione giovane, ad esempio, si preoccupano di avere abbastanza strutture scolastiche e abbastanza posti di lavoro disponibili per i prossimi anni. Al contrario un’elevata percentuale di anziani, oltre ai servizi specifici ad essi dedicati (cure mediche, assistenza a domicilio, case di riposo) può far prevedere la necessità di incrementare l’immigrazione da altri paesi per far fronte all’offerta di lavoro delle imprese. Una popolazione ha un TASSO DI CRESCITA NATURALE quando il numero delle nascite è superiore al numero delle morti. Il tasso di crescita naturale può essere apri a zero o anche negativo, quando il tasso di mortalità è superiore a quello delle nascite. Spesso i demografi si servono dei tassi di crescita naturale per calcolare il tempo di raddoppio della popolazione, ovvero il numero di anni necessario affinché questa duplichi le proprie dimensioni. IL MODELLO DELLA TRANSIZIONE DEMOGRAFICA è il frutto di numerosi studi sulle dinamiche demografiche in Europa. A grandi linee, esso mette in relazione i cambiamenti nel tasso di crescita naturale della popolazione con i cambiamenti sociali derivati dai progressi della medicina, dall’urbanizzazione e dall’industrializzazione. Più in dettaglio, questo modello descrive il percorso che porta un paese a passare, nel corso del tempo, da tassi di natalità e mortalità elevati, a valori molto inferiori. Il modello della transazione demografica ha il grosso limite di non prendere in considerazione le migrazioni, offrendo perciò una rappresentazione solo parziale dei cambiamenti demografici. Esso funziona abbastanza bene per descrivere il passato, ma non fornisce sempre previsioni attendibili sul futuro. 3.3 LE DIFFERENZE DI SESSO E DI GENERE La nostra identità di individui viene plasmata non solo dal nostro sesso, ma anche del nostro genere, così come dall’etnia alla quale apparteniamo, dalle nostre origini familiari e da altri dettagli biografici. Tuttavia fino alla fine degli anni70 i geografi hanno ignorato il ruolo della sessualità nel definire l’identità delle persone, contribuendo a sostenere l’idea del tutto infondata che per capire il mondo sia necessario un approccio conforme alla norma eterosessuale, basata sulla definizione di ruoli di genere maschili e femminili. Oggi invece sono sempre più numerosi i geografi che si occupano di studiare anche il modo in cui sessualità di tipo diverso possono influenzare la configurazione e l’utilizzo dello spazio. Pensare al modo in cui il linguaggio viene usato per descrivere la sessualità, può essere utile per capire meglio la relazione di quest’ultima con lo spazio. I ruoli di genere variano da una parte all’altra della Terra e spesso influenzano anche la divisione del lavoro. Nelle aree rurali della Tanzania, per esempio, è consuetudine che siano soprattutto gli uomini a lavorare, mentre alle donne spetta il compito di prendersi cura della casa. Tra i numerosi fattori che influenzano i ruoli di genere, una componente importante è rappresentata dalle convinzioni, in buona parte infondate, relative alle diverse capacità ed attitudini di uomini e donne, oltre che dall’atteggiamento nei confronti della divisione del potere e della responsabilità delle decisioni. L’INDICE DI MASCOLINITÀ è uno strumento per analizzare la composizione di una popolazione per sesso, ovvero il rapporto tra il numero dei maschi e quello delle femmine. In condizioni normali, nascono 57 tempo in uno stato diverso da quello d’origine. I numeri delle migrazioni interne sono di gran lunga più elevati. Una delle ragioni di questo dato sta nel fatto che le migrazioni internazionali sono molto più difficili da organizzare e portare a termine con successo rispetto a quelle nazionali, sia per quanto riguarda i costi, sia per le formalità legate ai passaporti e ai visti di ingresso e permanenza nel nuovo paese. Le migrazioni internazionali assumono dimensioni globali quando si svolgono tra diversi continenti. Vengono definiti PROFUGHI AMBIENTALI quanti lasciano i loro paesi perché eventi legati ai cambiamenti climatici del pianeta, quali siccità e desertificazione, innalzamento del livello marino, inondazioni, cicloni hanno reso invivibili le loro terre. La pericolosità di tali eventi è aumentata dal fatto che, a causa dell’aumento della popolazione mondiale, sono popolate anche zone a rischio, quali le terre dei delta di molti fiumi, terre ai margini dei deserti. Le migrazioni ambientali si presentano problematiche perché si risolvono sempre più spesso nello sradicamento definitivo di milioni di persone dalle loro terre. Si tratta inoltre non soltanto di persone in età lavorativa ma di intere famiglie, con bambini che necessitano di cure e di istruzione e di anziani spesso non più autosufficienti. Questa massa di migranti premerà sempre più sulle frontiere dei paesi confinanti. L’Italia, per la sua posizione a cavallo tra un continente particolarmente vulnerabile quale l’Africa, è particolarmente coinvolta nel problema, anche a causa del grande sviluppo delle sue coste che rappresentano un approdo. L’Europa storicamente è sempre stata una terra d’emigrazione, ma negli ultimi sessant’anni questa tendenza si è invertita, trasformando il continente europeo in una delle principali mete dei migranti di tutto il mondo. Questa svolta è cominciata negli anni 50 del secolo scorso, quando paesi come la Francia e la Germania si trovano ad affrontare una carenza di manodopera, richiamando lavoratori di altri paesi. Anche se gran parte di questi immigrati arrivò con lo status di lavoratore ospite, che consentiva loro di vivere e lavorare nel paese ospitante, molti di essi non ritornarono mai nel proprio paese d’origine, avviando anzi una catena migratoria, che portò altri membri della loro famiglia o della loro comunità a raggiungerli. La caduta del blocco sovietico e le guerre nei Balcani hanno costretto milioni di persone e chiedere asilo politico e lo status di rifugiati in altri paesi europei. Negli anni 90 la Germania ha ricevuto più richieste di tutti gli altri paesi europei. Ma dal 1993, la Germania applica la politica del paese sicuro, che prevede che le richieste d’asilo vengano rifiutate a chi sia passato attraverso un altro paese sicuro, prima di arrivare in Germania. Fino oltre la metà del XX secolo, l’Italia, insieme ad altri paesi europei fu tradizionalmente esportatrice di manodopera. Da nostro paese partivano moltissimi emigranti. In seguito, a partire dagli anni 70 del secolo scorso, con lo sviluppo dell’industria e il conseguente aumento dei posti di lavoro, l’emigrazione verso l’esterno diminuì notevolmente e l’Italia da paese di emigranti divenne invece un paese di immigrazione. In un primo tempo i flussi in entrata riguardavano migranti diretti verso l’Europa centrale, e la penisola italiana fungeva quindi unicamente da luogo di passaggio, per trasformarsi poi a poco a poco in paese di residenza definitiva. I principali fattori che hanno favorito il flusso migratorio in Italia sono due: la vicinanza alla sponda meridionale e orientale del Mediterraneo; la differenza socioeconomica tra l’Italia e i paesi di provenienza degli emigranti. A partire dagli anni 70, fino alla fine del secolo scorso il gruppo più numeroso era rappresentato da cittadini detti comunemente extracomunitari, provenienti soprattutto dall’Albania, da paesi africani. Nell’ultimo decennio un fenomeno nuovo, ancora in corso, ha riguardato il nostro paese: l’arrivo di migliaia di immigrati, in gran parte profughi, provenienti dalle coste africane, sbarcati lungo le coste meridionali della penisola. Nel 2011 un primo flusso, formato in gran parte da tunisini, fu determinato da quella che fu chiamata primavera araba. A partire dagli anni 90, molti esperti hanno cominciato ad interrogarsi sulle migrazioni internazionali. Da questi studi è emerso che spesso tra gli aspetti fondamentali dell’identità di un migrante c’è il TRANSNAZIONALISMO, il cui sviluppo è favorito dalla globalizzazione e dalla crescente interconnessione tra i luoghi. Il transnazionalismo è importante per i geografi e i demografi, poiché dimostra che la migrazione implica un sistema di circolazione nel quale i flussi migratori non sono semplicemente unidirezionali, ma mettono in koto sempre 60 i controflussi in senso opposto. La testimonianza più evidente di questi controflussi ci viene data dalle rimesse dei migranti, ovvero denaro, beni e servizi che questi inviano nei propri paesi d’origine. CAPITOLO 4 LINGUE, GRUPPI UMANI, ETNIE E RELIGIONI 4.1 LE LINGUE DEL MONDO Ciascuno di noi utilizza il linguaggio dandolo a volte per scontato, dimenticando quanto sia importante per il funzionamento della società e per definire la nostra identità. “I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo”: tale espressione sottolinea lo stretto rapporto tra la cultura a cui apparteniamo (il mondo) e il linguaggio in cui ci esprimiamo. Di conseguenza una geografia delle lingue corrisponde a una geografia delle culture. Lo prova il fatto che, volendo suddividere il mondo in aree o regioni culturali diverse tra loro, l’indicatore più semplice ed efficace è quello delle lingue. Quando due o più persone parlano la stessa lingua innesca un processo di interazione comunicativa fondato sul fatto che i parlanti sanno quali significati attribuire ai simboli rappresentati dalle parole. Ogni lingua presenta poi al suo interno varianti geografiche e sociali dette dialetti. Definire cos’è lingua e che cos’è dialetto non semplice. In genere le lingue sono dei dialetti che si sono imposti sugli altri in un’area più vasta di quella originaria, per motivi letterari, sociali e politici. Certi dialetti sono considerati tali solo perché parlati in aree ristrette. Diverse ancora dai dialetti sono le lingue minoritarie che sono lingue tradizionalmente usate all’interno di un dato territorio di una nazione, da cittadini che formano un gruppo numericamente meno numeroso del resto della popolazione, che parla lingue differenti da quella ufficiale dello Stato. Non includono né i dialetti delle lingue ufficiali, né le lingue dei migranti. Anche i fattori socio-culturali possono influenzare l’utilizzo e lo sviluppo di una lingua. In giapponese, per esempio, un tempo non esistevano parole che indicassero la forchetta o il caffè, mentre oggi che questi due elementi sono entrati a far parte della cultura giapponese, la lingua si è evoluta, creando delle parole per indicarli. Un’ulteriore distinzione è quella tra le lingue naturali, che sono nate e si sono evolute nel corso della storia delle comunità umane, le lingue artificiali, inventate intenzionalmente dall’uomo per la comunicazione internazionale o anche nazionale o come lingue di mondi di finzione come la lingua degli elfi ne Il signore degli anelli. Alcune lingue artificiali sono state ideate con il proposito di creare una lingua universale: è il caso dell’esperanto, inventato da un medico polacco alla fine del XIX secolo. Il però che l’esperanto non si sia imposto come lingua dell’umanità è una prova di come i linguaggi non possano essere facilmente separati dalle culture. Solo se ci fosse un’unica cultura universale ci potrebbe essere un vero linguaggio universale. Se proviamo a raggruppare tutte le lingue che esistono in categorie, ci si accorge di come siano moltissime le lingue parlate da un numero piccolo di persone, mentre si contano sulle dita di una mano quelle che possono essere considerate lingue di grande diffusione. Per i geografi e i linguisti è importante studiare le lingue anche dal punto di vista delle relazioni storiche che ciascuna ha con tutte le altre, a partire da una questione fondamentale: le lingue del mondo hanno un’origine comune o si sono sviluppate indipendentemente l’una dall’altra? Anche se sappiamo che una sorta di lingua esisteva già almeno 30000 anni fa, è impossibile stabilirne con precisione la data di nascita. Molto di quello che conosciamo riguardo all’evoluzione del linguaggio e delle lingue deriva da manufatti storici o da testi scritti sopravvissuti. Perché, se è così difficile ottenere un quadro completo, gli studiosi continuano a occuparsi dell’evoluzione del linguaggio? una delle regioni principali consiste nel fatto che la conoscenza di una lingua e della sua evoluzione ci consente di sapere di più sulle società del passato, sulle relazioni che ebbero tra di loro e sui percorsi delle migrazioni umane. Espressioni come FAMIGLIA LINGUISTICA, o gruppo linguistico, esprimono il fatto che molte lingue condividono una lontana origine storica comune, al punto che si possono individuare novanta diverse famiglie linguistiche, delle quali le sei maggiori comprendono la maggior parte dei parlanti del mondo. Quasi la metà degli abitanti della Terra parla una lingua che appartiene alla famiglia indoeuropea, della quale fanno parte sei delle nove lingue più 61 diffuse al mondo. Le altre sono il cinese, l’arabo e il giapponese. Le lingue indoeuropee, suddivise in diversi gruppi, rappresentano la famiglia linguistica con il maggior numero di parlanti. Uno dei più importanti gruppi di questa famiglia è quello delle lingue romanze, che derivano tutte dal latino, una lingua italica che iniziò a venir parlata dagli abitanti di Roma intorno al 6 secolo. La crescita e l’espansione dell’impero romano in gran parte dell’impero romano in gran parte dell’Europa meridionale e occidentale svolsero un ruolo fondamentale nella diffusione della lingua latina, che allora si divideva in un latino classico, con una forma scritta standardizzata, e un latino volgare, parlato dalla gente comune. La mancanza di regole precise fece sì che quest’ultimo venisse parlato in modo molto diverso tra una regione e l’altra dell’impero romano, portando alla nascita di numerosi dialetti. Le MINORANZE LINGUISTICHE sono comunità storicamente insediate in un territorio, che oltre alla lingua ufficiale del Paese, parlano una lingua minoritaria, cioè diversa dalla lingua più diffusa in un dato paese. Le lingue minoritarie sono molto numerose. In Europa per esempio, oltre alle 11 lingue ufficiali, sopravvivono altre 60 lingue minoritarie. Si calcola all’incirca che il 10% della popolazione europea, usi una lingua diversa da quella della maggioranza della popolazione nazionale. Di queste, alcune come il Catalano, che è parlato da circa 7 milioni di persone in Spagna, in Francia e nella zona di Alghero, in Italia, sono molto diffuse nel territorio, mentre altre come il Sami sono a rischio estinzione. La varietà di linguaggi rappresenta una ricchezza che è importante conservare, come un patrimonio che non soltanto ha un valore storico, ma anche socio-culturale. Per questo il Consiglio d’Europa ha stabilito di proteggere e favorire iniziative di promozione delle lingue minoritarie, riconoscendo alcuni fondamentali diritti, quali l’insegnamento nelle scuole, l’uso nelle pubbliche amministrazioni e nei mass media locali. 4.2 LA DIFFUSIONE DELLE LINGUE E LA GLOBALIZZAZIONE Quali sono i fattori sociali e geografici che possono determinare la trasmissione e la diffusione di una lingua? Potremmo dire che siano la tecnologia e la mobilità dell’uomo a contribuire in modo significativo ad aprire degli spazi per la diffusione delle lingue. La diffusione delle lingue viene condizionata anche da forze politiche, economiche e religiose. Le forse economiche possono influenzare in diversi modi la diffusione delle lingue attraverso, per esempio, il turismo e gli affari con l’estero. Anche la religione rappresenta un importante fattore di diffusione delle lingue. Lo dimostrano ad esempio i moltissimi musulmani che imparano l’arabo per essere in grado di leggere il Corano in lingua originale. La geografia linguistica non studia solo la diffusione delle lingue, ma anche il modo in cui esse vengono utilizzate nei diversi contesti. Anche se chiaramente i numeri contano, le dimensioni non sono l’unico elemento di valutazione della dominanza linguistica. Il cinese, per esempio, è la lingua più parlata nel mondo, con oltre un miliardo di parlanti, ma la sua diffusione ha un’estensione geografica molto minore rispetto a quella dell’inglese, dimostrando come talvolta la dominanza linguistica derivi soprattutto dal potere economico e politico. Nel mondo esistono lingue che determinano ciò che viene chiamato gap linguistico, ovvero l’esistenza di un grandissimo numero di lingue senza stato, perciò considerate minoritarie. Esse non vengono utilizzate negli atti ufficiali dello stato e raramente vengono insegnate nelle scuole, nonostante vengano parlate quotidianamente. Oggi il mondo sta sperimentando il più alto tasso di estinzione delle lingue della sua storia: si calcola che scompaia una lingua ogni due settimane. Le regioni nelle quali è maggiore il numero di lingue in pericolo sono soprattutto le Americhe, la Siberia orientale e l’Australia, dove a essere in pericolo sono le lingue parlate dalle popolazioni native, sopraffatte da quelle ufficiali. L’estinzione delle lingue è uno dei fattori che influenzano la distribuzione e la mescolanza degli idiomi nel mondo. Il metodo che i geografi e i linguisti usano per stabilire la diversità linguistica di una regione si basa sull’indice di diversità linguistica, che mette in relazione le dimensioni della popolazione di un paese con il numero di lingue che vengono 62 associate al modo di vestire, alla musica, alla danza. In alcuni casi, inoltre, le componenti personali e quelle comportamentali dell’etnicità si rafforzano a vicenda e il senso d’identità etnica di una persona finisce per dipendere dalle pratiche di determinati comportamenti. Ciò che forma l’identità etnica di un individuo o di un gruppo si acquisisce e si trasmette principalmente verso la tradizione, cioè da una generazione all’altra. I recenti processi di modernizzazione e di globalizzazione possono alterare e persino interrompere questa ereditarietà. Il concetto di etnia viene sovente usato come sinonimo di cultura, che, come abbiamo già visto, indica una costruzione sociale riferita a pratiche e credenze condivise. Più complesso è il rapporto tra il concetto di etnica (o cultura) e quello di civiltà. In origine esso veniva applicato soltanto alle società europee e mediterranee in contrapposizione alle altre società ritenute barbare. Quindi per civiltà intendiamo un’etnia o cultura diffusa su un’ampia area geografica, che presenta forme di organizzazione tecnica e sociale considerate evolute in base ai criteri di giudizio prevalenti nel mondo occidentale. 4.6 L’ETNICITÀ NEL PAESAGGIO La geografia etnica è un filone della geografia umana che studia le migrazioni e la distribuzione spaziale dei gruppi etnici, l’interazione e le reti etniche e i segni dell’etnicità nel paesaggio, che contribuiscono a formare i cosiddetti paesaggi etnici. Lo studio di questi paesaggi è concentrato sull’analisi dei segni della cultura materiale, come gli edifici religiosi, i centri di ritrovo comunitari, allargando di recente lo sguardo anche alle stazioni radio e televisive che si rivolgono a specifici gruppi etnici o ai siti internet che veicolano le loro informazioni. Per molto tempo la maggior parte delle ricerche sui gruppi etnici, condotte dai geografi, storici, e altri scienziati, hanno fatto riferimento al modello dell’assimilazione, che descrive il risultato dell’interazione tra i membri di un gruppo etnico e soggetti esterni come una graduale perdita dei tratti culturali, delle credenze e delle pratiche che caratterizzavano la comunità di partenza. Negli USA questo modello è stato pensato nella forma del melting pot, un pentolone nel quale le culture si mescolano e fondono l’una con l’altra, come gli ingredienti di una zuppa. In altri paesi come la Francia si è parlato di integrazione, cioè di una progressiva accettazione da parte delle culture storiche locali e di quelle degli immigrati di un unico modello culturale nazionale, storicamente dominante nel paese. Diverso è invece il modello del multiculturalismo, seguito nel Regno Unito. Esso parte dall’idea che i componenti di un gruppo etnico di immigrati tendano a resistere all’assimilazione e possano mantenere i propri tratti culturali, le proprie credenze e le proprie pratiche distintive. Qui l’immagine è quella di un’insalata mista, composta da numerose enclavi etniche, aree geografiche caratterizzate dalla presenza prevalente di un certo gruppo etnico. Molti paesi, tra cui l’Italia, adottano soluzioni che oscillano a seconda dei periodi tra questi due diversi modelli. Infine abbiamo il concetto di eterolocalismo, che si riferisce al mantenimento da parte dei componenti di un gruppo etnico disperso della propria identità comune, anche se essi risiedono in luoghi diversi e talvolta molto lontani fra loro. I geografi hanno individuato numerosi tipi differenti di insediamenti etnici, tra i quali i più diffusi sono le isole etniche, i quartieri etnici e i ghetti. Per confrontare che peso ha un gruppo etnico in un’area con quella della stessa etnia sull’intero territorio nazionale si usa il quoziente di localizzazione (QL). Sotto l’etichetta di conflitti etnici vengono fatti passare eventi molto diversi tra loro: la maggior parte delle guerre ha una sola causa, individuata nelle differenze razziali o nell’odio tra etnie. In realtà la maggior parte di queste guerre è dovuta a molteplici fattori, tra i quali l’esclusione dal sistema politico di una parte della popolazione, dispute legate al controllo del territorio o l’accesso alle risorse. 4.7 LE RELIGIONI DEL MONDO 65 Le religioni sono sistemi di idee, di regole e di pratiche, normalmente organizzate in strutture di servizio e di potere, che corrispondono all’esigenza delle persone di dare un senso al mondo e al proprio ruolo al suo interno, solitamente attraverso la devozione nei confronti di una o più entità divine. Nel tratteggiare una geografia delle religioni, gli studiosi analizzano fenomeni come la distribuzione delle fedi nel mondo, le differenti modalità attraverso le quali le persone comprendono e danno significato alle cose, ai conflitti e le trasformazioni sociali che esse determinano, gli edifici, i paesaggi e patrimoni. Per quanto riguarda la classificazione delle religioni, oltre alla ben nota divisione delle religioni in monoteistiche, politeistiche e ateistiche, vanno tenute presenti anche le religioni animistiche, come quelle degli aborigeni e di molte altre popolazioni dette primitive, che uniscono la venerazione per entità spirituali o divine a quella per gli elementi naturali, come rocce, montagne, alberi o fiumi, facendo dell’ambiente un vero e proprio regno spirituale. Molte religioni possono inoltre essere definite sincretiche, per indicare la mescolanza di credi e pratiche al loro interno, dovuta solitamente al prolungato contatto tra fedi diverse, come nel caso della fusione tra la tradizione africana e il cattolicesimo, che ha generato le religioni sincretiche della Santeria e Condomblè. Spesso le religioni offrono una spiegazione all’origine del mondo, o cosmogonia, che ha il potere di influenzare il senso di appartenenza e di attaccamento delle persone nei confronti dei luoghi. Le religioni possono avere importanti implicazioni per quanto riguarda i codici di comportamento, la morale e l’etica, in quanto offrono ai propri fedeli verità assoluta. Un’ulteriore divisione è quella tra religioni universali e etniche, a seconda del modo in cui acquisiscono nuovi fedeli e alla loro diffusione. Le religioni universali come il Cristianesimo, l’Islam, il Buddhismo e il Sikhismo, sono caratterizzate dalla presenza di un fondatore, che rappresenta un riferimento spirituale per i fedeli. Le religioni etniche, invece, come l’Ebraismo, l’Induismo e lo Scintoismo raramente esse usano dei missionari per diffondere il proprio credo e aumentare il numero di fedeli. Anche se le religioni più antiche sono di tipo etnico, oggi molte di esse vengono sempre più minacciate dalla crescita e dalla diffusione delle religioni universali. In tutto il mondo, la religione influenza profondamente la vita delle persone, ma si parla di religioni civili solo quando idee, simboli e rituali incidono sulla cultura politica. L’ebraismo, il cristianesimo e l’islam vengono talvolta definite anche religioni abramitiche, per l’importanza che, pur con molte differenze, attribuiscono ad Abramo. Induismo e buddhismo sono invece religioni vediche, in riferimento ai Veda, i più antichi testi sacri. Il Sikhismo, infine, non appartiene a nessuno dei due gruppi, anche se ha tratto ispirazione sia dall’islam che dall’induismo.  EBRAISMO = gli ebrei, un popolo monoteista che fa risalire le proprie origini alla regione mediorientale, riconoscono in Abramo il proprio profeta. La Torah, una delle sacre scritture ebraiche, descrive due degli episodi più importanti della tradizione ebraica: l’Esodo, la fuga di tutta la popolazione della schiavitù in Egitto, guidato da Mosè, e l’accordo tra Dio e Abramo, secondo il quale gli ebrei sarebbero il popolo scelto per custodire e mettere in atto la legge di Dio che sarebbe stata poi rivelata a Mosè presso il Sinai.  CRISTIANESIMO = religione più diffusa nel mondo. Si basa su una tradizione contenuta nei libri sacri dell’Antico Testamento, dei 4 Vangeli e gli Atti degli apostoli. Dall’epoca della sua fondazione il Cristianesimo ha visto molte divisioni al suo interno, cominciate con la separazione tra un Cristianesimo occidentale e uno orientale, in seguito alla diffusione attraverso l’Europa. Il primo, che ha il suo centro a Roma ed è rappresentato dal Cattolicesimo romano, riconosce l’autorità del papa, mentre il secondo, definito Cristianesimo ortodosso, fece di Costantinopoli la propria città di riferimento, suddividendosi in seguito in oltre 15 chiese indipendenti, tra le quali la Chiesa Ortodossa Greca e la Chiesa Ortodossa Russa. La spaccatura più importante all’interno del Cristianesimo occidentale avvenne invece nel XVI secolo, in seguito alla Riforma protestante, che rifiutò alcuni dogmi e alcune pratiche del Cattolicesimo ed è caratterizzato da grandi quantità di 66 divisioni al suo interno. Il cattolicesimo, il protestantesimo e la chiesa ortodossa raccolgono oggi circa l’80% di tutti i seguaci di questa religione.  ISLAM = è la seconda religione più diffusa al mondo, dopo quella cristiana. Da un punto di vista geografica, l’islam è la religione dominante. Maometto è il fondatore di questa religione, nato intorno al 570 d.C. la Mecca, nell’attuale Arabia Saudita. Durante le proprie meditazioni avrebbe ricevuto diverse volte rivelazioni provenienti direttamente da Dio. il Corano è il libro sacro che per i musulmani contiene la parola di Dio rivelata a Maometto. Gli islamici si dividono tra Sunniti e Sciiti: i primi, rappresentano l’orientamento più numeroso e diffuso geograficamente, che comprende circa l’80% dei musulmani, mentre del secondo fa parte solo il 15%. Il resto degli islamici appartiene a correnti minori.  INDUISMO = questa religione viene chiamata dagli induisti “sanatama dharma” che significa verità eterna, mentre è chiamata induismo da chi non è induista. L’induismo non ha un fondatore, non forma una chiesa e non ha un’autorità centrale. Storicamente si rifà ai testi sacri dell’antichissima tradizione Veda. È caratterizzata dalla credenza ciclica dell’esistenza e dalla fede in un’anima immortale, soggetta a un ciclo di reincarnazioni causa di grandi sofferenze spirituali e controllato dal karma, l’azione mentale e fisica che modifica noi stessi e ha effetto sul resto del mondo. L’obiettivo degli induisti è quello di raggiungere il moksha, ovvero la liberazione dal ciclo di nascite e morti, rappresentato come uno stato di completa libertà o felicità.  BUDDHISMO = il fondatore è Siddharta Gautama, era un principe induista, che durante la meditazione venne raggiunto dall’illuminazione, in seguito alla quale divenne il Buddha (l’illuminato). Per i buddhisti la sofferenza è dovuta al ciclo di reincarnazioni al quale tutti noi siamo obbligati e da cui è necessario sottrarsi, raggiungendo il nirvana, attraverso gli insegnamenti del Buddha.  SIKHISMO = il termine Sikh significa discepolo, ovvero seguace di un maestro, chiamato guru, in onore del fondatore della religione Guru Nanak, il quale, dopo una rivelazione divina, iniziò a diffondere i propri insegnamenti e a fondare le prime comunità. I sikh predicano l’esistenza di un unico dio creatore, ma nello stesso tempo l’importanza del karma. 4.8 RELIGIONE, SOCIETÀ E MODERNIZZAZIONE Per i geografi è particolarmente interessante studiare il modo in cui la religione influenza il modo in cui le persone interpretano e trasformano il mondo intorno a sé. Un LUOHO SACRO è un luogo al quale viene attribuito un particolare significato religioso e che, per questo, merita, agli occhi dei fedeli, devozione e rispetto. Un PELLEGRINAGGIO è un viaggio, compiuto da un fedele, verso un luogo sacro, per motivi religiosi. Alcuni di essi sono precetti obbligatori, mentre la maggior parte rappresentano gesti volontari. La devozione nei confronti dei luoghi sacri può contribuire a sviluppare un forte senso di accanimento tra le persone e un territorio, che talvolta può portare a rivendicazioni e conflitti relativi al modo in cui una determinata area debba venire utilizzata. La relazione tra le comunità religiose e il territorio, comunque si manifesta anche attraverso altre forme, come dimostra, ad esempio, la concezione che alcune comunità religiose diasporiche, costrette ad abbandonare un luogo a causa della propria fede, hanno nei confronti delle proprie terre sante, che talvolta vengono intese come patrie nelle quali la comunità dei fedeli auspica di insediarsi. (..) CAPITOLO 5 LA GEOGRAFIA CULTURALE E LA GLOBALIZZAZIONE 5.1 LA GLOBALIZZAZIONE OGGI 67 dei paesaggi culturali nella lista del patrimonio mondiale dell’Umanità ha segnato un importante cambiamento verso una visione più ampia del patrimonio, che non si limita ai suoi aspetti materiali e visibili, includendo anche significati religiosi, sociali o comunque non collegati alla presenza di artefatti tangibili. Tuttavia non sono mancate le critiche, dovute principalmente a 4 motivi. Il primo è l’eccessiva percentuale di siti europei, compresi edifici e luoghi legati al Cristianesimo. Secondo, quando un luogo viene riconosciuto come patrimonio, genera un flusso di turisti che in alcuni casi può anche danneggiare il patrimonio stesso. Terzo, la gestione e la conservazione di questi siti può diventare così molto costosa. Infine alcuni critici mettono in discussione l’opportunità di parlare di un patrimonio mondiale, dal momento che l’eredità culturale è sempre legata alle caratteristiche del gruppo al quale essa appartiene. In realtà il vero patrimonio mondiale è la diversità o varietà culturale di cui i siti dell’UNESCO sono solo un’espressione. 5.5 GEOGRAFIA CULTURALE DEI SAPERI LOCALI Abbiamo già analizzato il concetto di cultura di massa, che va distinto da quello di FOLKLORE. Il folklore si riferisce in particolare a quei gruppi di persone i cui membri condividono gli stessi tratti culturali e vivono prevalentemente in aree rurali, meno a contatto con l’economia globalizzata. Quini questa distinzione tra cultura di massa e folklore si fonda sui cambiamenti sociali legati alla crescita del capitalismo e alla diffusione dell’industrializzazione come veicolo della modernità. Ma in seguito l’utilizzo del termine rurale sollevò alcuni problemi, poiché c’era il rischio che le culture così definite venissero viste semplicemente arretrate. In Italia Antonio Gramsci e Ernesto De Martino hanno introdotto il concetto di cultura popolare per indicare quella parte di cultura tradizionale, non ancora completamente trasformata in cultura di massa. Oggi, con l’avanzare della modernizzazione delle campagne e della globalizzazione è sempre più difficile distinguere tra cultura di massa, folklore e cultura popolare, per cui si parla di CULTURA LOCALE. I geografi ed altri studiosi usano il termine SAPERE LOCALE per indicare la conoscenza collettiva di una comunità, che deriva dalle attività e dalle esperienze quotidiane di ciascuno dei suoi membri con milieu sociale e territoriale in cui è inserito. Il saper locale di solito viene tramandato oralmente e sono rare le fonti scritte che o attestano. Il sapere locale è dinamico e in continua evoluzione e si modifica in seguito a nuove scoperte o nuove informazioni. Il sapere locale non è un’entità unica e monolitica. All’interno di una comunità sono conservati diversi saperi locali, posseduti dai singoli individui e gruppi: per questo potrebbe essere più corretto parlare di saperi locali. Nel passato i pensatori occidentali sostenevano che i saperi locali fossero antiquati e inferiori rispetto alla conoscenza moderna. Queste idee erano frutto di un pregiudizio, presente da tempo nella cultura egemone urbana nei confronti delle culture rurali e poi diffuso nell’epoca del colonialismo. Questa visione contribuì alla nascita del diffusionismo, secondo il quale la diffusione della scienza, della tecnologia e delle pratiche occidentali avrebbero aiutato gli altri popoli ad evolversi. Oggi, la maggior parte degli studiosi e dei tecnici riconosce l’importanza del contesto locale, del quale il sapere è una componente fondamentale. Le conoscenze locali spesso offrono degli strumenti per la risoluzione dei problemi, sia individuali che collettivi, nel lungo periodo, contribuendo all’affermazione di un modello di sviluppo sostenibile, secondo il quale l’uso e la gestione delle risorse necessarie per soddisfare i bisogni economici e sociali devono essere tali da non compromettere la possibilità per le generazioni future di fare lo stesso. La visione che gli Europei hanno storicamente avuto dei popoli degli altri continenti, e in particolare di quelli delle colonie, è stata fortemente influenzata da pregiudizi razionalistici. La medicina tradizionale rappresenta una tipologia di sapere locale che viene spesso messa in discussione dai fautori della medicina occidentale o allopatica. Essa però viene largamente praticata in tutto il mondo. Il sapere locale spesso rivela una grande consapevolezza ed una profonda comprensione del funzionamento dell’ambiente naturale. Per capire fino in fondo pratiche come i qanat, l’architettura tradizionale e il feng shui, sarebbe necessaria una maggiore conoscenza dei saperi locali e la consapevolezza del fatto che le differenze di genere possono giocare un ruolo fondamentale nel definire gli elementi di sapere locale custoditi da ciascun individuo. 70 CAPITOLO 6 GEOGRAFIA DELLO SVILUPPO 6.1 CHE COS’È LO SVILUPPO Per sviluppo si intendono i processi che determinano cambiamenti positivi nel benessere economico, nella sua distribuzione tra le classi sociali e nella qualità della vita degli abitanti e dei lavoratori. Lo sviluppo sulla Terra è molto diversificato: ogni specie biologica, ogni organismo vivente ha le sue forme e modalità di sviluppo. Anche i sistemi territoriali si presentano geograficamente molto vari. Abbiamo varie concezioni di sviluppo: da un lato vi è la concezione secondo cui ogni sistema socio-culturale territoriale ha un suo cammino di sviluppo diverso e non comparabile con gli altri. Dall’altro c’è un’idea di sviluppo, oggi dominante, come unico cammino possibile, tracciato dalla cultura occidentale, che tutte le altre devono seguire, rinunciando sempre di più alla loro specificità. Nel primo caso abbiamo una geografia delle diversità, in cui il cammino di sviluppo di ogni territorio è un caso particolare solo in parte interpretabile alla luce di leggi o modelli generali. Nel secondo caso non abbiamo una geografia delle diversità, ma solo delle diseguaglianze, del ritardo con cui territori arretrati ne inseguono altri più avanzati (paesi sottosviluppati e paesi sviluppati), oppure, molti parlano di Sud globale e Sud del mondo. I geografi umani studiano le differenze di sviluppo da un luogo o da una regione ad un’altra, nonché le conseguenze sociali e ambientali dello sviluppo. Confrontando gli Stati o le regioni del mondo sulla base dei loro livelli di sviluppo economico, vengono utilizzati termini e classificazioni molto diversi, come paesi con reddito alto, medio alto, basso oppure paesi più o meno ricchi. Termini come Primo Mondo o Terzo Mondo sono problematici, in quanto rafforzano il punto di vista secondo cui i paesi economicamente deboli siano inferiori ed arretrati. Oggi la maggior parte degli esperti di sviluppo preferisce distinguere tra Paesi del Nord e del Sud del mondo. Si definisce Nord del mondo l’insieme dei paesi più ricchi, perché economicamente sviluppati, quasi tutti compresi nell’emisfero Nord. Il Sud del mondo comprende invece i paesi meno ricchi o anche decisamente poveri. Gli esperti di sviluppo riconoscono come il progresso in un ambito, ad esempio la crescita economica, possa avere conseguenze negative in un altro campo, come l’ambiente. Sulla relazione fra economia, sviluppo, società e ambiente è possibile distinguere due tipologie di sviluppo: lo SVILUPPO CONVENZIONALE che privilegia la crescita economica e, secondariamente, anche il benessere sociale e lo SVILUPPO SOSTENIBILE, che privilegia invece una crescita economica e sociale ottenuta senza compromettere le diversità culturali, le risorse naturali o le condizioni dell’ambiente per le generazioni future. Quali sono le condizioni o gli indicatori che si utilizzano per misurare o valutare lo sviluppo? Gli indicatori riconosciuti sono di diverso tipo e vengono raggruppati in 3 categorie: economici, socio- demografici e ambientali. Gli indici sono la combinazione di due o più indicatori.  INDICATORI ECONOMICI= l’indicatore più comune dello sviluppo economico è il prodotto interno lordo o PIL che consiste nel valore monetario complessivo dei beni e dei servizi prodotti all’interno dei confini geografici di un paese. Il rapporto tra PIL di un dato anno ed il totale della popolazione di un paese, nello stesso anno, determina il PIL pro capite. Per semplificare i confronti a livello internazionale è consuetudine rendere paragonabili i valori, attraverso la parità di potere d’acquisto (PPA). La parità di potere d’acquisto si basa sull’idea che il prezzo di un bene o di un servizio in un paese dovrebbe eguagliare il prezzo dello stesso bene o servizio in un altro paese quando viene convertito in una valuta comune. La PPA quindi è semplicemente un’unità che indica che per il consumatore una bottiglia d’acqua a il Ciro è equivalente ad una bottiglia d’acqua a Parigi. Tuttavia questo indicatore ha dei limiti: non fornisce informazioni sulla uniformità o sulla diseguaglianza di distribuzione della ricchezza all’interno del paese e poi non tiene conto dei costi sociali e ambientali associati al consumo delle risorse utilizzate nella produzione dei vari beni e servizi. Un’altra questione legata allo sviluppo è quella della povertà, un fenomeno complesso che raramente ha una sola causa e che può essere considerato una condizione sia economica sia sociale, in quanto non riguarda solo il reddito, ma anche altri aspetti del benessere, come l’istruzione e la salute. Il tasso di povertà, cioè il numero di persone povere sul totale della 71 popolazione è la misura più comunemente utilizzata per esprimere l’incidenza della povertà in una data popolazione. Tale tasso viene calcolato per due livelli di povertà. La povertà assoluta è quella di chi non riesce ad accedere ai beni e ai servizi essenziali per conseguire uno standard di vita accettabile in assoluto, ad esempio non patire la fame. La povertà relativa si riferisce a quanti non aggiungono il livello di risorse necessario per soddisfare gli standard minimi della società in cui vivono, per esempio da noi non vivere in un sottoscala, vestirsi decentemente. Per studiare la distribuzione della povertà, l’ISTAT considera poveri in senso assoluto i soggetti che non possono affrontare la spesa mensile sufficiente ad acquistare beni e servizi considerati essenziali per uno standard di vita accettabile, condizione che varia a seconda delle caratteristiche del gruppo familiare e del luogo in cui vive.  INDICATORI SOCIO-DEMOGRAFICI= le persone sono la risorsa più importante che un paese possiede, in quando sono queste a determinare l’uso delle altre risorse del paese. Di conseguenza, avere una popolazione sana e istruita è un passo essenziale verso uno sviluppo di successo. Gli indicatori socio-demografici forniscono informazioni sullo stato sociale di una popolazione. Il tasso di alfabetizzazione è la percentuale di popolazione di un paese sopra i 15 anni in grado di leggere e scrivere. Gli indicatori socio-economici sono interconnessi: la nutrizione, per esempio, può determinare le condizioni di salute, e quali, a loro volta, incidono sulle capacità di lavorare. Fame e malnutrizione sono problemi diffusi che determinano le conseguenze più gravi sui bambini. La malnutrizione colpisce quasi un quarto dei bambini sotto i 5 anni nei paesi del Sud globale. Altri indicatori socio-demografici includono l’aspettativa di vita e il tasso di mortalità infantile. Tra i vari indicatori socio-demografici, i tassi di mortalità infantile sono considerati i più significativi in quanto evidenziano la perdita delle potenziali risorse umane di un paese.  INDICATORI AMBIENTALI= rispetto agli indicatori economici e socio-demografici, l’uso di indicatori ambientali è relativamente recente. Sono stati definiti centinaia di differenti indicatori, tra i quali la frequenza di rischi ambientali come allagamenti, siccità e terremoti; la riduzione della biodiversità e l’accesso all’acqua potabile. Le differenze nello sviluppo sono il risultato di condizioni geografiche. Si parla a questo proposito della dotazione geografica di un paese. Nell’Africa Sub-Sahariana, una combinazione di condizioni difficili o avverse contribuisce a complicare il processo di sviluppo. Un certo numero di paesi, ad esempio, è privo di sbocco sul mare, hanno terreni poco fertili, e devono sopportare il peso di gravi malattie, come l’AIDS. Le condizioni geografiche sono solo uno degli elementi del complesso quadro dello sviluppo, sul quale hanno un importante impatto anche le condizioni istituzionali. Un regime autoritario, ad esempio, può soffocare il dibattito sul benessere umano e ambientale, mentre la corruzione può determinare una cattiva gestione di risorse finanziarie o naturali. Allo stesso modo, la discriminazione contro gruppi etnici o minoranze può marginalizzare o escluderle totalmente dall’accesso a servizi pubblici, come l’istruzione o la sanità. Oggi, un altro aspetto dello sviluppo sostenibile riguarda l’esame della vulnerabilità e la resilienza. La vulnerabilità si riferisce a quanto un paese o un gruppo sia incline a subire shock economici, ambientali o di altra natura, mentre la resilienza si riferisce alla capacità di resistere o opporsi a quegli stessi shock. Molti esperti sostengono che gli indicatori da soli siano insufficienti per valutarne i reali cambiamenti, poiché lo sviluppo comprende molto di più che una crescita degli stipendi. Di conseguenza i geografi e gli altri studiosi sono interessati a combinare una serie di indicatori economici per creare INDICI che forniscano una valutazione più ampia. In questa sezione vengono descritti 3 di questi indici: l’indice di sviluppo umano, l’indice di sviluppo per genere, e la misura dell’empowerment di genere. L’indice di sviluppo umano si compone di 4 diversi indicatori: il Pil pro capite, la speranza di vita, il tasso di scolarizzazione fra adulti e il tasso lordo di partecipazione scolastica. Sviluppo significa quindi ampliare le possibilità di scelta delle persone nel condurre lo stile di vita che desiderano, partendo dal concetto di qualità della vita. Tutti sono d’accordo infatti sul fatto che il benessere economico, indicato dal PIL, è solo 72 sostiene un mercato libero e la rimozione di tutti gli ostacoli al movimento di beni, servizi e capitali. A partire dagli anni 80 il neoliberismo si impose come la teoria dominante della politica economica degli Stati e della maggior parte delle organizzazioni internazionali. Da un punto di vista neoliberista quindi, le cause del sottosviluppo non deriverebbero dai difetti del capitalismo. Piuttosto, il sottosviluppo sarebbe un segnale del fatto che scelte politiche ed economiche mal concepite possano essere di ostacolo al funzionamento efficiente del capitalismo. Il sottosviluppo potrebbe quindi essere risolto attraverso programmi di aggiustamento strutturale (PAS). In altre parole, le economie dei paesi del Sud globale avrebbero dovuto essere completamente revisionate, seguendo i principi del neoliberismo, con un processo di aggiustamento strutturale. I programmi di aggiustamento strutturale sono diventata il caposaldo del modello neoliberista che durante gli anni 80 e 90 del secolo scorso, influenzò le politiche del Fondo Monetario Internazionale (FMI) e della Banca Mondiale. I programmi del FMI aiutano i paesi ad evitare crisi finanziarie e a sviluppare sufficienti esportazioni per pagare le merci importante, mentre una delle funzioni principali della Banca Mondiale è quella di favorire lo sviluppo a lungo termine, fornendo prestiti o altre forme di assistenza tecnica ai paesi poveri. CAPITOLO 7 GEOGRAFIA DELL’AGRICOLTURA 7.1 L’AGRICOLTURA: ORIGINI E RIVOLUZIONI Il nostro stile di vita è strettamente legato all’agricoltura. Fino a non molti anni fa, la maggioranza della popolazione mondiale era impiegata in agricoltura, mentre oggi è il settore dei servizi ad occupare la maggior parte della forza lavoro globale. Questa riduzione della quota di lavoratori è espressione tanto della crescente urbanizzazione, quanto del ruolo sempre più rilevante della meccanizzazione e dell’industrializzazione del lavoro agricolo. Si riscontra una crescente femminilizzazione dell’agricoltura, anche se è importante sottolineare come le donne hanno svolto in questo settore un ruolo determinante fin dalla sua nascita. La caccia agli animali selvatici, la pesca e la raccolta di vegetali spontanei sono i metodi più antichi attraverso i quali l’uomo si è procacciato del cibo. La società di cacciatori, pescatori e raccoglitori non possono essere considerate agricole, poiché sfruttavano le piante e gli animali a disposizione in natura, senza addomesticarne alcuna specie. Oggi sono pochissime le società umane che si dedicano alla caccia e alla raccolta, soprattutto a causa del dominio dell’agricoltura stanziale. Dal punto di vista storico, il passaggio da società basate sulla caccia e la raccolta a società agricole, costituisce la prima delle tre radicali rivoluzioni che hanno trasformato il mondo. La prima rivoluzione agricola corrisponde alla nascita della stessa agricoltura, che ebbe inizio con i primi episodi di selezione di piante e addomesticamento di animali. Le radici della seconda rivoluzione agricola risalgono invece alle nuove pratiche agricole durante il Medioevo, aumentando notevolmente la produttività del lavoro agricolo. La prima consiste nell’utilizzo di aratri dotati di vomeri metallici, che consentivano ai contadini di rivoltare le zolle anche nei terreni più pesanti. La seconda tecnica rivoluzionaria introdotta in quel periodo è invece costituita dalla sostituzione dei buoi con i cavalli. Nel XVII e XVIII secolo venne introdotta un’ulteriore innovazione, che permise di aumentare ulteriormente la produttività agricola. Si tratta della ROTAZIONE DELLE COLTURE: invece di coltivare sempre lo stesso prodotto, impoverendo il suolo, si cominciò ad alternare le colture, inizialmente lasciando periodicamente i campi incolti (o a maggese), pratica sostituita in una fase successiva da una rotazione cioè un’alternanza di diverse coltivazioni, che consentì di utilizzare i campi senza interruzioni, rinnovandone la fertilità grazie all’avvicinamento con le leguminose. La Rivoluzione industriale, inoltre, portò ulteriori innovazioni, che resero l’agricoltura ancora più efficiente, un esempio delle quali è costituito dalla seminatrice meccanica che permetteva ai contadini di inserire i semi direttamente in piccoli fori scavati nel terreno, anziché gettarli nel campo a spaglio. Analizziamo ora la dinamica della rotazione delle colture: questo sistema si basa sull’alternanza quadriennale delle colture piantate in un terreno, secondo un ciclo che consente di avvicendare coltivazioni per l’alimentazione umana con altre destinate all’alimentazione animale, comprese alcune specie di legumi particolarmente utili per arricchire il terreno di sostanze nutritive. La possibilità di non lasciare mai i terreni 75 a riposo, inoltre, permette di aumentarne la produttività. Oggi vengono applicate molte varianti di verse di questa tecnica.  COLTIVAZIONE 1: CEREALI A SPIGA PICCOLA= i cereali a spiga piccola, come il frumento, l’orzo, la segale o l’avena sono molto richiesti sul mercato  COLTIVAZIONE 2: ORTAGGI A RADICE= i campi che sono stati coltivati a spiga piccola sono soggetti alla diffusione di erbacce e piante infestanti. Gli ortaggi a radice vengono piantati in file parallele, lasciando libero lo spazio necessario per sradicare le erbacce  COLTIVAZIONE 3: CEREALI A SPIGA PICCOLA= solitamente nel terzo anno di rotazione si pianta dell’orzo, cereale molto richiesto dal mercato  COLTIVAZIONE 4: LEGUMI= l’ultima coltivazione del ciclo quadriennale è costituito da leguminose foraggere che aumentano la fertilità del suolo La terza rivoluzione agricola, tuttora in corso, è il frutto delle innovazioni tecnologiche e delle nuove pratiche colturali che si diffusero nel XX secolo, come la meccanizzazione estensiva, il massiccio utilizzo dell’irrigazione artificiale, la diffusione di fertilizzanti chimici e le biotecnologie. L’invenzione del motore a combustione interna aprì la strada alla massiccia meccanizzazione dell’agricoltura, resa possibile dalla maggior potenza e maneggevolezza dei trattori e delle macchine agricole caratterizzati da questa tecnologia. I trattori contribuirono alla trasformazione dell’agricoltura moderna sotto 4 aspetti principali: ridussero il numero drasticamente il numero di lavoratori necessari per svolgere la maggior parte delle attività. Inoltre l’utilizzo delle macchine a motore permise di lavorare estensioni molto maggiori di terreno; i trattori facilitarono poi il passaggio dalla policoltura (consiste nel suddividere il terreno in più colture) alla monocultura (coltivazione di un’unica specie vegetale su vaste estensioni), determinando grandi trasformazioni del passaggio e dell’ambiente; infine eliminarono quasi del tutto gli animali da lavoro. Un secondo elemento della terza rivoluzione industriale è l’uso di prodotti chimici per aumentare la quantità di raccolto, combattere i parassiti e le piante infestanti. Anche se questi prodotti hanno incrementato in modo considerevole la produttività del lavoro agricolo, il loro massiccio utilizzo ha importanti costi ecologici, come l’inquinamento e l’aumento della dipendenza del petrolio, utilizzato per produrre la maggior parte di essi. Il costo di questi prodotti ha anche favorito le aziende maggiori e gli agricoltori dei paesi più ricchi a svantaggio delle piccole aziende e degli agricoltori dei paesi poveri. Va poi considerato il consistente miglioramento tecnologico di una pratica antica come l’irrigazione, che ha consentito di coltivare arre un tempo considerate troppo aride, portando ad un raddoppio delle aree irrigate e coltivabili dagli anni 70 a oggi. Anche queste pratiche hanno dei lati negativi: nei paesi caldi la forte evaporazione ha fatto aumentare i contenuti salini dei terreni, rendendoli meno fertili. Un ulteriore aspetto della terza rivoluzione agricola è rappresentato dalle biotecnologie agrarie, che mira a migliorare la qualità e la produzione delle coltivazioni e del bestiame attraverso l’utilizzo di tecniche come l’incrocio di razze, l’ibridazione e, più recente l’ingegneria genetica. Occorre a questo proposito distinguere tra RIVOLUZIONE VERDE e RIVOLUZIONE GENETICA. Per quanto riguarda la prima va precisato che il termine “verde” non si riferisce all’adozione di tecniche particolarmente sostenibili dal punto di vista ambientale, ma alla diffusione di un’agricoltura più produttiva. La Rivoluzione Verde si sviluppò in seguito agli sforzi mondiali per combattere la fame nei paesi poveri. La Rivoluzione Verde creò un nuovo sistema agricolo dipendente dall’irrigazione, da massicce dosi di fertilizzanti chimici, dalla meccanizzazione e dalla monocoltura di grano e riso. La Rivoluzione Verde diffuse i propri benefici soprattutto in Asia e America Latina, regioni caratterizzate da precipitazioni regolari, dove è possibile costruire sistemi d’irrigazione efficaci. La Rivoluzione Verde ha portato agli agricoltori anche gravi problemi, come l’aumento dei costi, l’eccessivo sfruttamento delle falde idriche, la riduzione della fertilità dei suoli e danni ambientali dovuti all’utilizzo dei pesticidi e dei fertilizzanti. L’ingegneria genetica sfrutta le moderne tecniche nel campo della genetica per trasferire da un organismo all’altro e da una varietà all’altra alcune caratteristiche scritte nel DNA, come la resistenza alla siccità o la forma dei frutti o degli steli della pianta. Le innovazioni portate dalla Rivoluzione Verde, come la creazione di varietà vegetali 76 particolarmente produttive, furono condivise con i governi e le istituzioni dei paesi del Sud globale, mentre le specie geneticamente modificate prodotte nel corso della rivoluzione genetica sono protette da brevetti internazionali possedute e sfruttati da imprese multinazionali secondo le logiche del mercato globale. Sulla rivoluzione genetica e sugli organismi geneticamente modificati (OGM) è tuttora in corso un dibattito molto acceso. Di chi sono i vantaggi della creazione di specie vegetali geneticamente modificate protette da brevetti? La Monsanto, una delle principali aziende nel settore delle biotecnologie agrarie, ad esempio, ha acquistato l’azienda che ha sviluppato le sementi dalle quali nascono piante sterili, allo scopo di costringere i contadini ad acquistare dalla multinazionale nuove forniture di semi ogni anno. La Monsanto nega di aver utilizzato questa invenzione. Le specie di piante ed animali che derivano dall’applicazione di tecniche di ingegneria genetica vengono chiamate organismi geneticamente modificati (OGM) o transgenetici e vengono considerate dai loro promotori un mezzo per superare molti problemi ambientali e garantire una maggiore produttività dell’agricoltura anche se le loro conseguenze ecologiche sul lungo periodo non sono ancora completamente conosciute. 7.2 I SISTEMI AGRICOLI L’agricoltura può essere vista come un sistema per produrre cibo. Con sistema si intende solitamente un insieme di elementi che interagiscono. Il sistema di produzione del cibo, quindi, comprende i terreni, gli input che vengono forniti (es. lavoro, macchinari, fertilizzanti), gli output del sistema (i prodotti agricoli), i consumatori e i diversi flussi che mettono in relazione tutte queste componenti. Anche se esistono molte classificazioni diverse dei sistemi agricoli, la maggior parte degli esperti è concorde nel distinguere innanzitutto tra agricolture di sussistenza e agricolture di mercato. Nel mondo sono milioni le persone che sopravvivono grazie all’AGRICOLTURA DI SUSSISTENZA, soprattutto in Africa, Asia ed alcune zone dell’America Latina. Esistono 4 tipologie di agricoltura di sussistenza, ciascuna delle quali è adatta ad un diverso clima, ambiente e tipo di terreno.  AGRICOLTURA ITINERANTE= questa pratica, viene esercitata da migliaia di anni nelle regioni tropicali e subtropicali. In alcuni casi l’agricoltura itinerante prevede che vengano coltivati più prodotti contemporaneamente nello stesso campo praticando la coltura promiscua. L’agricoltura itinerante è quel sistema agricolo che usa il fuoco per ripulire i terreni dalla vegetazione spontanea, rendendoli adatti a essere coltivati per un certo periodo, al termine del quale si passa a fare lo stesso con un altro terreno. Gli esperti di agricoltura sono divisi riguardo agli impatti dell’agricoltura itinerante sui processi di deforestazione nei paesi tropicali. La deforestazione, non solo in maniera permanente ma anche temporanea, ha effetti consistenti: in Amazzonia, la scomparsa definitiva di enormi porzioni di foresta pluviale tropicale, a ritmi mai conosciuti prima, è dovuta oltre alla deforestazione dell’agricoltura, anche all’allevamento estensivo di bestiame. L’agricoltura itinerante, se praticata secondo certi principi, può essere considerata sostenibile dal punto di vista ambientale. Spesso, però, il ciclo che alterna i periodi in cui un campo viene coltivato con quelli nei quali deve essere lasciato a riposo non viene rispettato. Un’accelerazione di questo tipo può impedire ai terreni di recuperare la propria fertilità naturale. Di fronte a questi problemi, sono sempre più diffuse pratiche alternative, che consentono di restituire fertilità si suoli anche senza sottoporre i terreni a lunghi periodi di riposo. Tra queste c’è l’agroforestazione, un sistema di coltura promiscua che prevede che sui campi coltivati o utilizzati per il pascolo vengano piantate determinate specie o alberi, utili per controllare i livelli di fertilità del suolo.  AGRICOLTURA INTENSIVA= nelle regioni in cui il riso costituisce il primo prodotto agricolo ed una delle principali fonti di amido, questo cereale viene coltivato con tecniche di coltivazione irrigua, che rappresentano uno dei primi esempi di agricoltura intensiva. Si tratta in genere di aree tra le più densamente popolate, dove ciascuna famiglia possiede o ha il diritto di lavorare porzioni di terreno di dimensioni a volte perfino inferiori a 1 o 2 ettari, costituendo forme di microagricoltura. Affinché questi sistemi agricoli forniscano guadagni o produzioni sufficienti a garantire il 77 processi naturali, compatibili con la conservazione degli ecosistemi locali, e costituisce il settore agricolo con i maggiori tassi di crescita. ● La globalizzazione ha avuto un forte impatto sul consumo di cibo e sulla pratica dell'agricoltura nel mondo. Oggi gli abitanti di molte città dei paesi in via di sviluppo vivono una transizione alimentare ed alimenti occidentali, ad alta concentrazione di grassi, stanno diventando sempre più popolari, determinando un aumento della domanda di grano. I paesi in via di sviluppo di Asia, America Latina e Africa negli ultimi dieci anni hanno sperimentato anche una rapida diffusione dei supermercati, con importanti effetti sui sistemi locali di produzione e di vendita degli alimenti. Organizzazioni internazionali come Slow food e Terra Madre operano per una globalizzazione dell'agricoltura sostenibile, sotto l'aspetto ambientale, sociale e culturale. L'associazione Slow food conta circa 100.000 iscritti, con sedi in Italia, Germania, Svizzera, Stati Uniti, Francia, Giappone e UK. Questa si pone in contrasto con i modelli dei fast food, che non si preoccupano degli ingredienti e di come e dove sono stati prodotti, ma solo della soddisfazione di un bisogno (il cibo). ● Tra il 2007 e il 2008 il prezzo del cibo è aumentato a livello mondiale del 43%, innescando una crisi economica globale. Questo a causa della siccità in tutto il mondo, dell'aumento del prezzo del petrolio e dei costi dei fertilizzanti. La crisi ha colpito soprattutto le popolazioni più povere. ● L'UE, la cui superficie è per metà adibita all'agricoltura, esercita su di essa un controllo attraverso la Politica agraria comunitaria (PAC), rivolta a risolvere problemi economici, ambientali e sociali. CAPITOLO 8 CAMBIAMENTI GEOGRAFICI PER L’INDUSTRIA E I SERVIZI I settori dell'economia 1 ● Tutte le attività del settore primario utilizzano le risorse naturali o risorse primarie. Nel momento in cui le persone attribuiscono un valore economico a queste risorse e le scambiano, esse diventano beni e sono destinati al consumo alimentare e alla trasformazione industriale. Il settore primario comprende l’agricoltura, la silvicoltura, l’allevamento, la pesca e le attività estrattive. Siccome le risorse primarie non sono equamente distribuite, lo scambio è diventato fondamentale nell'economia globale. Le attività del settore primario presenti in un'area ne configurano l'economia attraverso le altre attività economiche ad esse legate. Si possono individuare tre tipi di connessioni: 1) a valle: trattano le materie prime (come il trasporto del legname o dei minerali); 2) a monte: dati da quelle attività che favoriscono l'accesso e l'estrazione delle materie prime (come le aziende produttrici di strumenti per il taglio dei boschi o lo scavo dei minerali); 3) per i consumi locali: si riferiscono alla richiesta e all'acquisto di beni di consumo da parte degli abitanti dell'area. La produzione di materie prime può avere diverse conseguenze economiche e sociali. Secondo alcuni autori lo sviluppo di un’economia basata sulle materie prime genererebbe ulteriore sviluppo industriale, mentre altri ritengono che fare affidamento sulle materie prime inibisca la crescita economica e contribuisca alla dipendenza dell’economia locale da pochi beni. 2 ● Il settore secondario comprende tutte le attività manifatturiere che si svolgono nelle fabbriche. È l’insieme delle attività che trattano, assemblano e fabbricano merci, combustibili o prodotti finiti partendo dalle materie. Si distingue: la manifattura pesante, cioè la produzione di prodotti come acciaio, combustibili, prodotti chimici grezzi o anche beni durevoli di grandi dimensioni come grandi motori, navi e armamenti; la manifattura leggera, che include invece attività che producono beni rivolti al consumo finale (abiti, elettrodomestici, automobili, alimenti) o prodotti sofisticati come apparecchi per ospedali, strumenti di precisione, ecc. 80 La geografia del settore secondario è stata influenzata dalle innovazioni tecnologiche ed in particolare dalla Rivoluzione Industriale. L’espressione modo di produzione si riferisce al metodo dominante con cui viene organizzata e coordinata la produzione di beni. Prima della Rivoluzione industriale l'attività manifatturiera inglese era caratterizzata dalla produzione su piccola scala di ceramiche, vestiti e oggetti in metallo, in laboratori artigianali. Con la Rivoluzione industriale, i sistemi di produzione vennero sostituiti da quelli dell’impresa capitalistica, che introdusse innovazioni straordinarie nell’organizzazione del lavoro: cominciò con la mano d’opera salariata, concentrata in grandi stabilimenti, capaci di produrre grandi quantità di uno stesso bene con costi unitari molto minori di quelle delle imprese artigianali. La Rivoluzione industriale ebbe luogo in Inghilterra grazie a tre elementi: la disponibilità di capitale, di manodopera e le innovazioni tecnologiche che aumentavano la produttività. Un'innovazione cruciale fu l'invenzione della macchina a vapore, nel 1769, ad opera di James Watt. La Rivoluzione industriale si verificò attraverso tre grandi fasi: 1) 1760-1880: si diffuse in Belgio, Olanda, Francia, Germania e Stati Uniti; 2) 1880-1950: Russia, Giappone, Canada, altri paesi europei (Italia), asiatici (Cina) e latino americani (Messico); 3) 1950-oggi: si diffonde qua e là nel mondo, soprattutto nei paesi asiatici. 3 ● Il settore terziario comprende tutti i tipi di servizi e di attività che si svolgono negli uffici, come quelle gestionali, amministrative e politiche. Le attività terziarie possono essere classificate a seconda dei diversi tipi di servizi (classificazione detta merceologica). Per capire le regole generali di questa distribuzione occorre adottare una classificazione funzionale in servizi per le famiglie, per la collettività, per le imprese e attività quaternarie. - I servizi per le famiglie sono quelli destinati alla vendita e rivolti al consumo finale, come il commercio al dettaglio, i servizi detti para-commerciali (bar, ristoranti, ecc), i servizi di cura della persona (parrucchieri, lavanderie, ecc), quelli di riparazione e manutenzione (idraulici, autoofficine, ecc). - I servizi per la collettività sono gestiti e distribuiti spazialmente con criteri diversi, perché non rispondono solo all'interesse dell'individuo, ma dell'intera comunità (città, regione, paese). Essi riguardano le principali funzioni dello stato (difesa, giustizia, sicurezza, sanità, istruzione), la mobilità (trasporti pubblici) e la comunicazione (tv, radio). Sono servizi che assicurano le condizioni di base per il funzionamento dell'economia; devono ricoprire tutto il territorio, anche là dove la popolazione è scarsa o povera. Ovviamente questa distribuzione è limitata dalle risorse pubbliche disponibili, ad esempio nei paesi più poveri l'istruzione e i servizi sanitari sono scarsi. - La distribuzione spaziale dei servizi per le imprese è regolata dal mercato, ma obbedisce solo in parte al modello delle località centrali, perché questi servizi non seguono solo la domanda, ma la loro presenza in una città è fattore di attrazione per le imprese che hanno bisogno di quei servizi (consulenza legale, finanziaria, marketing, pubblicità etc). - Le attività quaternarie: hanno funzione di comando, direzione, programmazione, indirizzo politico e culturale. Vi rientrano le funzioni del governo politico, le istituzioni finanziarie, i centri della cultura civile e religiosa, e gli apparati direttivi dei media nazionali e internazionali. Si trova soprattutto nelle città globali e nelle capitali. - Fa infine parte del terziario anche il terzo settore, che comprende una serie di attività di servizio svolti da privati, che perseguono scopi sociali nel campo dell’assistenza, della cultura, ecc. L'evoluzione dell'industria nel Nord del mondo 81 ● Durante le prime fasi della Rivoluzione industriale, la scelta del luogo in cui collocare le fabbriche era influenzata dai costi di trasporto delle materie prime. Oggi invece intervengono altri fattori, come la possibilità di reperire manodopera a basso costo (nei paesi più poveri) o molto qualificata (metropoli). È importante anche la possibilità di accedere al mercato, in modo che i prodotti finiti possono essere direttamente pubblicizzati, distribuiti e venduti. Un altro fattore riguarda le economie di agglomerazione, cioè i vantaggi che le imprese ricavano collocandosi vicine a numerose altre, con cui hanno scambi di informazioni, materiali e servizi. A volte, tuttavia, la crescita urbana può determinare un aumento delle tasse, del costo del lavoro o dei costi di trasporto, creando al contrario diseconomie di agglomerazione. Le imprese possono godere di una serie di vantaggi derivati dalle politiche nazionali e locali, come la possibilità di insediarsi senza restrizioni derivanti da norme sindacali, urbanistiche e ambientali, o la riduzione del costo dei terreni, energia, tasse etc. Decidere dove situare un'impresa implica anche l'analisi e la previsione di come possono cambiare le caratteristiche dei luoghi. ● Quasi tutte le imprese utilizzavano sistemi di produzione industriale influenzati dalle idee di Taylor e Ford. Taylor era un ingegnere meccanico che promuoveva la divisione del lavoro in compiti il più elementari possibile. Una “gestione scientifica” dei sistemi di produzione, o taylorismo, prevedeva che si studiassero attentamente le mansioni svolte dai lavoratori, cronometrando le loro azioni e modificando i loro movimento allo scopo di ridurre al minimo gli sforzi. Fu poi Henry Ford ad introdurre la catena di montaggio, che dimezzò i tempi di produzione di una singola auto. Il termine fordismo si riferisce a un sistema di produzione industriale progettato per la produzione di massa e influenzato dai principi di una gestione scientifica dell’organizzazione del lavoro. Il fordismo ha portato a 3 conseguenze principali: 1) ha contribuito alla de-qualificazione del lavoro, ovvero prima la ditta assumeva artigiani qualificati, adesso che vi è la frammentazione della produzione in una serie di mansioni concatenate nella catena di montaggio ha ridotto la necessità di impiegati specializzati; 2) rafforzò la rigida gerarchia e la netta separazione tra lavorati e dirigenti (sindacalizzazione della forza lavoro); 3) ha contribuito alla nascita delle imprese multinazionali (come la Ford, che oggi opera in oltre 100 paesi). ● La produzione fordista: la catena di montaggio è molto produttiva, ma presenta tre limiti: 1) richiede una fornitura regolare di materie prime, semilavorati, componenti e servizi come il trasporto (se un macchinario si guasta, tutte le attività devono essere interrotte); 2) legato alla quantità e ai gusti dei consumatori (deve fondarsi sul mercato di massa); 3) il lavoro può essere molto alienante per gli operai. Questi problemi possono essere risolti con alcune pratiche comuni: 1) l'acquisto di grandi quantità di materiali e il loro immagazzinamento in depositi, in modo che siano sempre disponibili; 2) garantire una pronta assistenza e manutenzione dei macchinari, per prevenire i guasti; 3) applicare salari relativamente elevati e contratti a lungo termine, per garantire la forza lavoro. Secondo molti un'altra soluzione era l'integrazione verticale dell'impresa: il controllo da parte della stessa di due o più passaggi nella produzione o nella distribuzione di un bene. È una strategia con cui l'impresa estende il proprio possesso e controllo sulla catena di distribuzione di un bene o servizio, per ridurre i rischi al minimo. Lo sviluppo dei sistemi di produzione fordisti li legò al controllo delle filiere di produzione da parte delle stesse imprese produttrici dei beni. Una filiera (o catena) di produzione è una sequenza di operazioni collegate fra loro, che vanno dall’ideazione del prodotto, alla sua produzione e distribuzione. Di solito sono grandi imprese multinazionali ad integrazione verticale a controllare queste filiere, influenzando le scelte produttive. 82 vennero costruite ferrovie di penetrazione, per portare ai porti i prodotti delle miniere e delle piantagioni, che venivano poi esportati. Dagli anni '60 i trasporti su strada e per aereo divennero molto competitivi rispetto a quelli per ferrovia, ma negli ultimi anni la comparsa di treni superveloci ha riproposto la ferrovia come mezzo di comunicazione competitivo con l'aereo per medie distanze. Alcuni treni ad alta velocità sono: Shinkansen giapponese, TGV francese, Italo italiano; in Cina un treno a levitazione magnetica viaggia ad una velocità massima di 500 km/ h senza toccare le rotaie grazie alla levitazione magnetica. Per la realizzazione di strade e ferrovie vengono costruiti anche dei trafori: gallerie o tunnel scavati sotto le montagne, che servono a sveltire i percorsi. Il primo traforo ferroviario fu quello del Frejus, sotto le Alpi, costruito nel 1871 per collegare la ferrovia dell'Italia con la Francia. ● I corsi d'acqua fin dall'antichità furono utilizzati come vie di comunicazione. Il trasporto via fiumi e canali, lento ma poco costoso, oggi è usato soprattutto per il trasporto delle merci e come attrattiva turistica. Per il trasporto delle persone è usato soltanto nelle regioni del Sud del mondo poco dotate di vie di comunicazione. Il fiume navigabile più lungo è il San Lorenzo in Canada, mentre quello più importante in Europa è il Reno, che attraversa le regioni più industrializzate e più urbanizzate del continente. ● I porti sono nodi di traffico in cui convergono rotte marittime, strade e ferrovie, canali e vie fluviali. Sono quindi un’infrastruttura fondamentale per i collegamenti tra mare e terraferma. Con la rivoluzione dei trasporti del secolo scorso, i porti erano soprattutto polivalenti, ovvero in grado di caricare e scaricare oltre ai passeggeri, qualunque tipo di merce. Oggi invece sono specializzati, con attrezzature specifiche per ogni merce trattata; i porti “globali” sono Rotterdam, Anversa, Amburgo, Marsiglia e New York. La localizzazione di industrie nei porti o nelle loro vicinanze ha creato regioni industriali costiere. I “fronti” marittimi più importanti sono quelli dell'Europa atlantica, del Giappone orientale, degli USA orientali e del golfo del Messico, che insieme gestiscono circa il 60% del traffico mondiale. I porti dei paesi del Sud del mondo, invece, che gestiscono il restante 40% del traffico mondiale, sono quasi sempre specializzati nell'imbarco di pochi tipi di merce. Dalla fine del secolo scorso i porti cinesi hanno incrementato molto il loro traffico, tanto che Shanghai ha raggiunto il primo posto nel mondo per volume di merci movimentate. I porti moderni rivestono un importante ruolo nell'organizzazione del territorio, infatti funzionano come gaetway (punto di entrata-uscita) di regioni più o meno vaste e punto di collegamento tra le vie di comunicazione di mare e terraferma. Un ruolo importante è svolto dai porti di trasbordo, che hanno il compito di smistare i container dalle navi transoceaniche a navi di stazza minore. Vi sono anche i terminali offshore, ovvero impianti portuali costruiti in mare aperto, molto spesso per lo sbarco-imbarco del petrolio e la sua lavorazione. ● Il trasporto aereo è più veloce degli altri mezzi di trasporto, ma anche più costoso. Una buona rete di collegamenti aerei e la presenza di un aeroporto internazionale sono fondamentali per lo sviluppo economico di una regione e il suo collegamento con il resto del mondo. Le rotte aeree, come quelle marittime, sono nettamente più concentrate nel Nord del mondo; le principali sono quelle che connettono l'America settentrionale con l'Europa e l'Oriente asiatico. ● La circolazione mondiale di informazioni, sotto forma di dati, notizie, immagini supportate dalle reti di telecomunicazione e relative tecnologie è utilizzata per attività finanziarie e commerciali (ecommerce) e dai media. È molto importante anche nel campo della salute (fornendo aggiornamenti 85 su nuove tecniche e farmaci), della cultura (mettendo in rete articoli e libri), della ricerca (condivisione di conoscenze e dati), e dell'istruzione (insegnamento a distanza, conferenze, aggiornamento degli insegnanti). Le differenze nella possibilità di accesso alle reti di telecomunicazione tra paesi del Sud e del Nord dà origine al divario digitale, che dipende dal possesso di strumenti tecnologici e dalla capacità di servirsene. La circolazione delle merci e il commercio internazionale La globalizzazione ha portato un rapido e forte incremento degli scambi commerciali e ha sviluppato la logistica, che gestisce in modo razionale il trasporto, il trattamento e la distribuzione delle merci. Essa è l'insieme delle attività che governano i flussi di materiali dalle origini presso i fornitori di materie prime fino alla consegna dei prodotti finiti ai clienti e al servizio post-vendita. L'introduzione del container (un contenitore metallico per il trasporto di merci) ha reso possibile un sistema di trasporto multimodale: un metodo di trasporto utile a far percorrere lunghe distanze alle varie merci, effettuato con una combinazione di mezzi diversi per esempio con nave + treno + camion. La logistica dei trasporti è gestita da imprese specializzate per mezzo di piattaforme logistiche: vaste aree in grado di ricevere, immagazzinare, trattare e smistare le merci utilizzando i mezzi di trasporto più idonei. ● Il commercio internazionale ebbe un grande impulso con la Rivoluzione industriale del XVIII secolo, quando lo sviluppo delle vie e dei mezzi di comunicazione aumentò la possibilità di circolazione delle materie prime, dirette alle regioni industriali, e i prodotti finiti esportati dalle stesse. Poi i traffici commerciali mondiali continuarono ad aumentare e si sono intensificati ancora di più con la globalizzazione, che inoltre ha influito sui consumi della popolazione e sui suoi stili di vita. I fattori che hanno influito sull'enorme crescita del commercio furono, oltre alle innovazioni tecnologiche, anche la divisione internazionale del lavoro: un tempo consisteva nella ripartizione della produzione di beni e servizi tra i diversi paesi specializzati in determinate tipi di attività. Con la delocalizzazione delle imprese se ne è affermata una nuova, tra i paesi con bassi salari e gli altri: i primi offrono manodopera per lavori poco qualificati, i secondi si ricercano i lavori più qualificati. ● I principali flussi commerciali collegano l'Europa occidentale, gli Stati Uniti e i principali paesi dell'Asia orientale: Giappone, Cina, Singapore, Taiwan e Corea. Altri paesi di un certo peso sono quelli petroliferi del Medio Oriente, la Russia, il Brasile e il Messico. Il polo commerciale più importante è rappresentato dall'Europa, seguita dagli USA, entrambi con valori di importazione che prevalgono sulle esportazioni. Il terzo polo è quello dell'Asia orientale, che presenta maggior valori di esportazioni piuttosto che di importazioni. Il turismo Il turismo è una pratica antica che è continuata nei secoli fino ad oggi. Nel 18° secolo in Europa era un fenomeno d’élite, che privilegiava le stazioni termali, le località balneari, le antichità, i laghi e più tardi anche la montagna. Il turismo d’elite è turismo riservato a persone con un reddito elevato, che frequenta località rinomate e lussuose. Nel secolo scorso, dopo la seconda guerra mondiale si sviluppò il turismo di massa: praticato da larghi strati di popolazione, con servizi diversificati a prezzi convenienti. Tra le attività del settore terziario il turismo, che è in continua crescita, è quella con il maggior numero di addetti a livello mondiale, che produce redditi elevati in paesi come l’Italia, che è ai primi posti per numero di turisti, con entrate del settore che rappresentano il 13% del PIL. ● I flussi turistici principali sono quelli tra i paesi ricchi, in particolare l’Europa, grazie alle sue città ricche di storia e di monumenti del passato, al suo patrimonio artistico e a livello di infrastrutture, USA e 86 Cina. Il turismo ha un impatto non sempre positivo sul territorio, provocando profonde trasformazioni funzionali e paesaggistiche. ● Il turismo culturale è interessato a tutto ciò che riguarda l’identità dei singoli luoghi, le testimonianze di ciò che ha formato tale identità, lo stile di vita, la cucina e il folklore. In Europa l'’Italia, grazie alle sue città d'arte e alle sue spiagge, è una delle mete privilegiate dal turismo culturale, che è in crescita, anche in periodi di crisi. CAPITOLO 10 GEOGRAFIA URBANA 10.1 CITTÀ E URBANIZZAZIONE Le città sono una delle componenti fondamentali del mondo contemporaneo e che meglio lo rappresentano. Sono i luoghi principali dell’interazione sociale, dello scambio, della produzione culturale. Sono i motori dell’economia globale. Negli ultimi sessant’anni il ritmo con cui sono cresciute le città è accelerato come mai nella storia. Ma cos’è una città? Cosa significa urbano? Possono essere finite città sia Tokyo che Perugia, nonostante le loro differenze, poiché ognuna di esse svolge, a suo modo, la funzione di località centrale (località in cui è concentrata l’offerta di beni e servizi rivolta a una domanda di utenti distribuita nel territorio circostante, detto hinterland o area di gravitazione). Nonostante la loro grande varietà, tutte le città condividono queste caratteristiche di base:  Un’elevata densità di popolazione  Una certa dimensione demografica che la distingue dagli insediamenti rurali  Una complessità di funzioni culturali, sociali, economiche  L’essere centri dei poteri connessi all’esercizio di queste varie funzioni  L’essere connesse ad altri luoghi urbani e rurali attraverso una fitta rete di relazioni e di flussi di persone, beni, servizi, informazioni e denaro  L’essere luoghi di grandi contraddizioni e di conflitti Nel 1938 il sociologo americano Louis Wirth definì la città in termini di dimensioni, densità e varietà. A ben vedere questa definizione semplicissima è ancor oggi abbastanza valida, in quanto comprende buona parte delle caratteristiche citate prima. Nella pratica corrente si ricorre tuttavia a una semplificazione ancora maggiore, riducendo tutto alla semplice dimensione, cioè al numero di abitanti. Questo perché si tratta di un dato facile da ottenere. La dimensione dipende inoltre dai confini entro cui calcoliamo la popolazione. Ad esempio in Europa, dal Medioevo alla Rivoluzione Industriale le città erano addensamenti nucleari, circondati da mura e i confini erano quelli delle singole municipalità. Con l’industrializzazione le città nucleari si sono dilatate nella campagna circostante, fino a comprendere le municipalità vicine, sono cioè diventate sistemi territoriali di vario tipo, per lo più multicentrici, che rientrano nella categoria generale delle città estese. Le città estese sono la dimensione moderna della città, in quanto in esse troviamo tutto ciò che nella vecchia città stava nel raggio di alcune centinaia di metri. Quest’ultima non è scomparse. Il suo nome è rimasto ed è diventato il nome dell’intera città (per esempio Londra è sia la vecchia city of London sia la grande Londra di oggi). Di solito la città vecchia corrisponde al cuore della città estesa, detto città centrale, e, nella sua parte più antica, città storica. Di regola esso ospita il quartiere centrale degli affari, gli uffici, e di alcuni servizi come grandi teatri. Nelle corone periferiche troviamo spazi industriali, commerciali e di servizi. Le città estese prendono nomi diversi. Se l’espansione è stata continua e a macchia d’olio si parla di agglomerato urbano (o agglomerazione ). Se c’è stata espansione a macchia d’olio di più agglomerati urbani vicini che si sono fusi tra di loro, si parla di conurbazione. Da quando l’uso generalizzato dell’automobile ha favorito un’espansione urbana non più compatta e continua a breve raggio, ma discontinua e su un’area molto vasta, che ha conservato molti spazi liberi interclusi, si parla di sistemi territoriali urbani, che essere aree urbane, oppure, se molto popolose, aree metropolitane. Anche le città- rete sono forme di città estese. Là dove, come negli Stati Uniti del Nord-Est più aree urbane e 87 regolarità nel sistema delle località centrali fu WALTER CHRISTALLER. Christaller ha spiegato la nascita di una gerarchia di località centrali fondando le proprie teorie sui concetti di soglia e di portata, entrambi riferiti all’offerta di beni e servizi e legati ad una semplice domanda: quanto si è disposti a spostarsi per acquistare un prodotto o usufruire di un servizio? La PORTATA è la distanza massima che un consumatore è disposto a percorrere per fruire di un bene o un servizio. Se la portata stabilisce la dimensione di un’area di mercato, la SOGLIA contribuisce invece a spiegare quali beni e quali servizi sia probabile reperire al suo interno. Affinché una località centrale sia in grado di offrire un certo servizio, essa deve infatti avere una base di utenti sufficiente, rappresentata dalla soglia, ovvero il numero minimo di utenti necessari per rendere vantaggiosa per i privati o non troppo onerosa per l’amministrazione pubblica l’offerta di un determinato bene o servizio. La GERARCHIA DI CITTÀ, quindi, si fonda su una graduatoria delle località centrali, al cui vertice ci sono le città globali dove è possibile reperire la maggior parte dei beni e dei servizi specializzati esistenti, oltre naturalmente a tutto ciò che è necessario a soddisfare le esigenze quotidiane dei loro abitanti. Percorrendo la gerarchia verso il basso, si trovano le città di rango via via inferiore, fino ad arrivare ai centri abitati minori, che offrono pochi beni e servizi. Analizzando il rapporto tra la soglia e la portata, Christaller ha riscontrato una regolarità nella distribuzione delle località centrali, che l’ha portato a interrogarsi sulla possibilità di prevederne in anticipo la localizzazione, con il modello delle località centrali, secondo la quale sono le forze di mercato a determinarne la distribuzione ottimale in un certo territorio. ANALIZZIAMO IL MODELLO: in base a uno dei postulati sui quali si fonda la teoria di Christaller, quello secondo cui i consumatori fanno i propri acquisti nella località a loro più prossima, la forma delle aree di mercato sarebbe circolare, ma diventa esagonale qualora vi siano altre località centrali dello stesso rango nella stessa area. La gerarchia di città teorizzata da Christaller porterebbe ad una distribuzione territoriale delle località centrali basata su un RETICOLO ESAGONALE A NIDO D’APE , con i centri di rango inferiori più fitti e le città principali separate da distanze maggiori. Per capire i processi di crescita e decrescita urbana, occorre pensare le attività economiche come motori della crescita. A tal scopo esse vanno distinte in 2 grandi categorie: le attività locali e le attività esportatrici. Le prima sono quelle il cui raggio d’azione non va oltre l’immediato intorno territoriale della città e consistono nella produzione di beni e servizi che vengono consumati localmente. Ma per produrre i beni e servizi che la città consuma al suo interno, essa deve procurarsi alti beni e servizi dall’esterno, e li deve scambiare con prodotti di valore almeno pari a quelli che importa. A ciò provvedono le attività esportatrici, che perciò hanno un raggio d’azione da regionale a internazionale. Sono queste che fanno crescere le città. Va notato che questo bilancio fra consumi locali e valore esportato non vale solo per i prodotti vendibili. Anche attività esportatrici non rivolte direttamente al mercato finiscono per contribuire all’attivo del bilancio urbano. Ad esempio, la presenza di un ospedale o di una base militare o di un’università comporta un flusso di denaro pubblico che entra nella città e viene speso. ● Le città globali sono città di grandi dimensioni e i centri principali del potere economico mondiale, in grado di esercitare un’influenza e un controllo sul resto del mondo. Esse, collegandosi tra loro su scala mondiale, formano una rete urbana globale, che ospita le funzioni più pregiate come per esempio le borse valori di NYC, Londra, Tokyo e Francoforte. Considerando il complesso delle attività che formano le leve di comando dell'economia mondiale (banche, assicurazioni etc), le città veramente globali sono poche: NY, Londra, Tokyo, Parigi, Hong Kong, Singapore. Le città globali si caratterizzano soprattutto per la complessità e l'eterogeneità della loro composizione demografica e sociale. La struttura urbana ● Tra i principali processi che influenzano la struttura di una città ci sono: - la centralizzazione: indica quelle forze che portano la popolazione e le attività economiche a concentrarsi nei quartieri più centrali della città; 90 - la decentralizzazione: si riferisce invece al fenomeno opposto, ovvero la tendenza di una parte degli abitanti e delle attività a spostarsi verso gli spazi periferici; - l’agglomerazione: in un’area di determinate attività incidono sulla struttura tanto delle aree centrali, quanto di quelle periferiche. / Una struttura policentrica (detta anche multipolare) è quando una città ha tanti servizi come ospedale, attività commerciali, etc. Le città spesso sono caratterizzate anche da una zonizzazione funzionale, ovvero la suddivisione del territorio di una città in zone caratterizzate da specifiche attività ed usi del suolo; è riconducibile a tre categorie principali: quella residenziale, quella commerciale e quella industriale. Il valore dei terreni è una delle forze economiche che più incidono sull’uso del suolo all’interno dei confini di una città. Questo valore è collegato all'accessibilità e la desiderabilità dei terreni, che sono proporzionali al loro prezzo di mercato. La disponibilità di un potenziale acquirente a pagare per un certo terreno è proporzionale alla sua distanza dal centro della città o dalla zona in cui si concentrano determinate attività economiche. L'impatto maggiore sugli usi del suolo in città è però quello delle forze istituzionali, che sono costrette a intervenire per decidere la localizzazione di alcune attività (scuole, ospedali) che altrimenti sarebbero escluse dalle dinamiche spontanee del mercato. La zonizzazione sono le leggi che regolano l’uso del suolo urbano e il suo sviluppo. ● All’interno delle città dei paesi economicamente avanzati gli abitanti e le diverse attività economiche non si distribuiscono in modo causale, ma secondo una geografia legata a fattori soprattutto economici e socio-culturali. Gli affitti aumentano man mano che ci si avvicina dalla periferia al centro città, quindi la popolazione con un reddito medio e basso si stabilisce nei quartieri più o meno distanti. Nella scelta delle zone di residenza è importante anche una valutazione di tipo ecologico di qualità della vita: spesso quartieri residenziali ad alto reddito si trovano in zone di pregio ambientale (colline, boschi, coste). Le industrie manifatturiere, sia per gli alti costi del terreno sia per motivi ambientali, tendono a localizzarsi in periferia delle città; mentre i servizi di rango elevato si localizzano nelle città più importanti. ● I principali modelli che descrivono la struttura urbana sono nati con riferimento alle città degli Stati Uniti, es. Chicago nata come città pioniere, sviluppata velocemente con utilizzo dello spazio utile come grattacieli. Tre modelli, dal più antico al più recente: 1) nel 1925 il sociologo Burgess, della Scuola di Chicago, ha sviluppato il modello delle zone concentriche: afferma che i gruppi che vivono in città competono per il territorio e le risorse (come avviene per gli animali nell'ambiente naturale), questo porta ad una separazione dei gruppi sociali lungo confini economici ed etnici. 2) Nel 1939 l'economista Homer Hoyt ha proposto il modello dei settori, che attribuisce grande importanza al ruolo dei mezzi di trasporto nella divisione dei cerchi concentrici in settori radiali. 3) Nel 1945, Harris e Ullman, due geografi dell'Università di Chicago, proposero il modello dei nuclei multipli: molte città non hanno un solo centro commerciale e degli affari, ma molteplici nuclei centrali, che possono includere i porti, i quartieri amministrativi, le zone industriali o quelle universitarie. Tutti questi nuclei influenzano i modelli di utilizzo dei terreni di una città. ● In molte città europee sono ancora evidenti tracce risalenti al Medioevo, come i resti delle antiche mura, che circondano un nucleo centrale caratterizzato quasi sempre da una chiesa, una piazza del mercato. Queste caratteristiche hanno dato vita ad una specifica struttura urbana: 1) la conformazione delle città è particolarmente adatta alla circolazione dei pedoni e delle biciclette e spesso il centro cittadino è chiuso al traffico; 2) il trasporto privato è più costoso che in altri continenti, a causa del carburante, 91 assicurazioni, ecc.; 3) i mezzi di trasporto pubblico sono economici e molto diffusi; 4) il mantenimento degli edifici storici ha favorito la loro conservazione e ha annullato progetti di rinnovamento urbanistico. ● Le città nord-americane si caratterizzano per la rapidità dello sviluppo: pochissime conservano edifici del passato come in Europa. Le città vengono costruite utilizzando al massimo lo spazio: piante a scacchiera ed edifici elevati (grattacieli), mentre in periferia si trovano vasti quartieri di villette di abitazione unifamiliari. L'area metropolitana principale è quella di New York, con oltre 8 milioni di abitanti. ● Le città dell’Est Europa e dell’Unione Sovietica hanno subito cambiamenti economici a causa della Seconda guerra mondiale e del comunismo. Le città erano organizzate con grandi piazze pubbliche e molti palazzi con appartamenti vicino alle fabbriche. Dal 1989, con la caduta del comunismo e anche grazie alla globalizzazione, le caratteristiche urbane hanno incominciato a cambiare, ma l'impianto di molti quartieri ed edifici conserva le caratteristiche fisiche originali. ● Invece la tipologia delle città del Sud del mondo e dei paesi emergenti hanno aspetti comuni tra loro: 1) forte crescita della popolazione dovuta all’immigrazione e all’elevato tasso di natalità; 2) struttura urbanistica disordinata, non regolata cioè da un piano se non nelle parti centrali e in quelle abitate dai ricchi; 3) tendenza a formare grandi agglomerati che comprendono una zona centrale moderna ed estesi quartieri periferici, abitati dai poveri, alcuni di tipo residenziale, abitati dai ricchi; 4) forte diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza. I quartieri della periferia abitati dai poveri (baraccopoli) sono detti favelas in Brasile, barrios in Venezuela, bidonvilles in Africa e slums in India, con situazioni igenico-sanitario scarse. La baraccopoli è un quartiere urbano caratterizzato da sovrappopolamento, dalla presenza di case auto-costruite o molto degradate e da scarsità o assenza di servizi ed infrastrutture di base, come l’acqua corrente e la raccolta dei rifiuti. Invece i ricchi ossessionati dalla sicurezza, hanno case con mura di cinta e telecamere, sono quartieri nati sul modello delle gated community (comunità recintate e sorvegliate giorno e notte da guardiani al cui interno possono accedere soltanto i proprietari delle case, il loro personale di servizio e gli ospiti). ● Le città islamiche hanno elementi in comune con le città medievali europee: un centro religioso, un mercato centrale (suq), quartieri residenziali i cui abitanti sono accomunati dalla professione o dalle origini etniche. Prendendo in considerazione la umma, ovvero la comunità globale dei fedeli musulmani, la città islamica è quella che permette ai fedeli locali di rimanere in contatto con la comunità musulmana internazionale. In molte città del mondo musulmano è evidente l'influenza della religione islamica, attraverso elementi come l'orientamento della pianta urbana verso la Mecca o una progettazione degli edifici che rispecchia la concezione islamica della separazione tra spazi pubblici e spazi privati. Le popolazioni e il governo delle città La popolazione urbana si divide in tre categorie principali: la prima è quella dei residenti, mentre le altre comprendono chi “usa” la città senza risiedervi stabilmente, i city users. Una è quella dei lavoratori pendolari, che ogni giorno si recano in città per lavorare, e l'altra è quella degli utenti di servizi, costituita da quanti si recano in città per acquisti, per visitare musei, cinema e teatro, stadi di calcio, ecc. L'ultima categoria meno numerosa è quella di quanti si recano saltuariamente nelle città per affari. L’afflusso dei non residenti influenza la costruzione di nuovi edifici di alloggio, le reti di strade etc, e quindi favorisce un cambiamento urbanistico. ● Nelle città convivono persone con livelli di istruzione e tipi di occupazione diversi che ne definiscono la posizione socio-professionale, dalla quale derivano redditi e tipi di consumi diversi. Nelle città dei paesi economicamente avanzati vi è una numerosa presenza di imprenditori e liberi professionisti. La domanda di 92 ● Ogni Stato è costituito da un territorio ben definito, i cui limiti sono rappresentati dai confini. Un confine è il piano verticale, solitamente rappresentato sulle carte come una linea, che definisce il territorio di uno Stato. I confini degli stati che si affacciano sul mare non coincidono con la linea di costa, ma vengono tracciati al largo, per dividere le acque territoriali di uno Stato, considerate parte del suo territorio, da quelle internazionali, accessibili a tutti. I confini vengono descritti su documenti legali, tracciati sulle carte geografiche e segnati fisicamente sul terreno (segnali, barriere etc). - Quando il confine tra due Stati non viene segnalato attraverso strutture fisiche, è probabile che sitratti di un confine conteso, come nel caso della frontiera tra India e Cina, oppure Cile e Argentina. - Spesso i confini sfruttano le caratteristiche fisiche del terreno, come il corso di un fiume o una catena montuosa: sono i confini fisiografici. - Si definiscono confini geometrici quelli tracciati lungo linee rette che spesso seguono il percorso dei meridiani o dei paralleli, come nel caso degli Stati Uniti e Canada. - I confini etnografici vengono tracciati a partire da uno o più tratti culturali, come la religione, la lingua o l’etnia, ad es. il confine tra India e Pakistan venne sancito su basi etnologiche per separare induisti da islamici, mentre in Europa sono molto diffusi i confini linguistici, come quelli tra Spagna e Portogallo. - Si definiscono infine confini relitti le tracce di un'antica linea di separazione di due entità territoriali, oggi non più riconosciuta ufficialmente, a causa di un'evoluzione delle divisioni politiche territoriali in una certa area (Grande Muraglia Cinese). ● Estensione e forma degli stati: Gli Stati del mondo sono caratterizzati da una grande varietà di forme e dimensioni. Il più piccolo Stato del mondo è la Città del Vaticano, all'interno della città di Roma; è un esempio di microstato. La Russia, invece, è lo stato più grande in quanto si estende su una superficie di 17 milioni di kmq. In base alla propria forma gli Stati possono essere classificati come compatti (Macedonia), allungati (Cile), articolati (Namibia), frammentato (Filippine) o perforati (Sudafrica). La frammentazione del territorio di uno Stato può generare delle enclave o delle exclave, come la Città del Vaticano, che è un enclave completamente circondato dal territorio italiano. - Un enclave è un territorio completamente circondato da uno Stato, ma non controllato da esso. - Un exclave è un territorio separato dallo Stato al quale appartiene da uno o più altri Stati. ● L'assetto unitario degli Stati può essere messo in discussione da forze centripete e centrifughe. - Per forza centripeta si intende un evento o una circostanza che contribuisce a rafforzare il sentimento unitario e quindi la coesione della popolazione di uno Stato (ad. es. crollo Torri gemelli, sentimento dolore condiviso). - Per forza centrifuga si intende un evento o una circostanza che contribuisce ad indebolire il sentimento unitario della popolazione di uno Stato e può portare alla sua disgregazione (ad es. partito Lega Nord in Italia rivendica una secessione della Padania). Le forze centrifughe intervengono quando dei gruppi in conflitto percepiscono un trattamento discriminatorio dei propri interessi economici. ● Il nazionalismo può costituire una forza centrifuga che porta al separatismo. Il separatismo è il desiderio di una nazione di staccarsi dallo Stato al quale appartiene, seguendo il proprio senso di identità e di diversità dagli altri gruppi che popolano lo stesso Stato, per avere maggiore autonomia e auto-governo (es. attuale Veneto vuole staccarsi dall’Italia). Il separatismo può essere contrastato con il decentramento, con il quale lo Stato concede un certo grado di autonomia a una comunità o a una parte del suo territorio (Spagna: nazioni basca e catalana). 95 ● Nei sistemi federali (Laender), lo Stato delega parte del proprio potere alle entità politicoamministrative di scala sub-nazionale. Il riconoscimento delle autonomie alle comunità territoriali risponde al principio di sussidiarietà, secondo cui se un ente sotto-ordinato (es. un comune) è in grado di fare qualcosa, l’ente sovra-ordinato (es. regione) deve lasciargli questo compito. La geografia elettorale studia gli aspetti spaziali dei sistemi elettorali, le caratteristiche della divisione del territorio in distretti elettorali e le variazioni spaziali del voto. Le istituzioni internazionali e sovranazionali Il separatismo è contrastato dalla diffusione dell'internazionalismo, ovvero lo sviluppo di strette relazioni politiche ed economiche tra stati, il cui esempio più chiaro è dato dalle: organizzazioni (o istituzioni) sovranazionali: l’unione di più Stati che decidono di lavorare insieme per raggiungere specifici obiettivi economici, militari, culturali o politici (ONU, NATO, Unione Europea). ● L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) fu istituita nel 1945, con lo scopo di promuovere la pace nel mondo ed evitare lo scoppio di una terza guerra mondiale. La sua missione comprende la costruzione e il sostegno di relazioni cooperative tra gli Stati e l’uso della diplomazia per negoziare soluzioni pacifiche, qualora si presenti il rischio di conflitti internazionali. Oggi quasi tutti gli stati del mondo (193 su 194) fanno parte dell'ONU, con l'eccezione della Città del Vaticano. La sede principale si trova a New York, mentre le sue agenzie specializzate si trovano in diverse parti del mondo. ● L'Unione Europea (UE) favorisce la cooperazione economica tra i paesi dell'Europa Occidentale. L'UE si è fondata attraverso cinque tappe: 1) 1944: istituzione del Benelux (unione del Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo); 2) attuazione del Piano Marshall: stimolò la ricostruzione dell'Europa e incoraggiò la cooperazione regionale; 3) istituzione della CECA (Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio), che nel 1952 unì il Benelux a Francia, Germania Ovest e Italia per rimuovere le barriere doganali per il commercio di acciaio e carbone; 4) stipula del Trattato di Roma, che nel 1957 istituì la Comunità Economica Europea (CEE); 5) entrata in vigore del Trattato di Fusione (che sostituisce quello precedente), firmato a Bruxelles nel 1967, cambiando il nome da CEE a Comunità Europea (CE). Nel 1992 gli Stati fondatori siglarono il Trattato di Maastricht, o Trattato sull'Unione Europea (definitivo cambio di nome). Nel 1999, a favore dell'unione monetaria, viene introdotto l'euro in 16 paesi, al posto delle valute nazionali, che oggi formano la “zona Euro”. Oggi l'UE conta 28 stati membri; anche la Turchia si è candidata, ma la sua richiesta è stata respinta per motivi economici, demografici, culturali e politici. ● Rescaling: modifica delle aggregazioni politiche alle diverse scale territoriali. Ad esempio con la globalizzazione si è assistito ad un indebolimento dei poteri alla scala comunale e statale, a cui ha corrisposto un loro rafforzamento alla scala, sovracomunale, regionale e sovrastatale. La geopolitica nel mondo La geografia politica studia il rapporto tra spazio e potere così come storicamente si presenta, mettendolo in relazione con l’insieme dei fenomeni fisici, demografici, culturali, sociali ed economici. ● La geopolitica, invece, è uno studio delle relazioni tra attori politici che si contendono il possesso o il controllo di un territorio; si può considerare come l'applicazione operativa della geografia politica. 96 La geopolitica tradizionale si è occupata di studiare vari modi in cui gli Stati acquisiscono il proprio potere territoriale, le relazioni spaziali tra i diversi Stati e le loro strategie di politica estera. La geopolitica affonda le sue radici nei lavori del tedesco Ratzel, mentre il primo a coniare il termine geopolitica fu Kjellen, che affermava che solo gli stati di maggiori dimensioni avrebbero potuto continuare ad esistere e per questo la politica estera avrebbe dovuto ampliare i confini del secolo scorso dello Stato. Negli anni 30 le opere di Kjellen vennero utilizzate dal nazismo e dal fascismo come supporto delle loro politiche, portando al discredito della geopolitica. ● Il geografo britannico Mackinder (inizio '900) sviluppò la teoria dello Heartland (cuore della Terra), che metteva in relazione la stabilità geopolitica con il mantenimento di un equilibrio di potere tra i diversi Stati, la cui rottura avrebbe potuto portare al predominio, su scala mondiale, di uno o più Stati. Secondo Mackinder, il controllo del continente euroasiatico è fondamentale per il dominio mondiale di uno Stato o di un'alleanza tra Stati. Dalla seconda guerra mondiale, però, si è affermata la teoria del generale italiano Douhet, che nel 1921, nell'opera “Il domino dell'aria”, aveva sostenuto che sono le forze aeree e missilistiche e i satelliti artificiali che oggi controllano i continenti e gli oceani. ● Durante la Guerra fredda (1940-80) il mondo, con alcune eccezioni, era diviso in due tra l'Occidente capitalista e l'Est comunista. La fine di questa contrapposizione ha portato alcuni studiosi, come il politologo Richard Huntington, ad affermare che oggi il mondo è caratterizzato da una configurazione multipolare, costituita dalle diverse civiltà esistenti. Da queste ultime deriva l'identità personale di un individuo, connotata soprattutto dall'appartenenza religiosa. In base a questa visione egli profetizza che le guerre del futuro saranno conflitto culturali dovuti allo scontro tra civiltà diverse. ● Il terrorismo è un fenomeno antico usato come tattica politica, sia da singoli individui che da alcuni Stati. Gli esperti distinguono quattro categorie: 1) il terrorismo rivoluzionario, collegato al tentativo di rovesciare un regime; 2) il terrorismo separatisma, messo in atto da gruppi che ambiscono all'autonomia o all'indipendenza di un territorio; 3) il terrorismo religioso; 4) quello legato a un tema specifico, come i diritti degli animali o la tutela dell'ambiente. Oggi le reti di terroristi hanno una portata globale. Una delle principali organizzazioni terroristiche è quella di Al Qaeda, fondata da Osama Bin Laden, che agisce per motivi religiosi (guerra santa contro gli invasori occidentali); un esempio è l'attacco al World Trade Center di New York, l'11 settembre 2001. I paesaggi della politica Le questioni politiche possono lasciare tracce evidenti nel paesaggio, dando vita ai paesaggi della politica. Quando a essere visibili sono gli effetti delle politiche del governo centrale, si può parlare di: ● Paesaggi del potere centrale: lo Stato esercita il proprio controllo politico attraverso il governo che per mezzo delle sue politiche, agenzie e leggi, può influenzare l’aspetto delle città e delle campagne. Finanziando la progettazione e la costruzione di infrastrutture, lo Stato crea paesaggi che rispecchiano le scelte del proprio potere centrale. Esso è importante per il processo di costruzione dello Stato in quanto attraverso le infrastrutture collegate in tutto il paese, rafforza lo Stato e l’autorità del governo statale. - I confini stabiliscono i limiti della giurisdizione di uno Stato e quindi della sua autorità poltita sul territorio. In alcuni casi la demarcazione fisica può creare un paesaggio della sicurezza: protegge il territorio, la popolazione, le strutture e le infrastrutture da interventi esterni, attraverso telecamere per evitare l'immigrazione irregolare e gli attacchi esterni dai confini. - I paesaggi politici testimoniano l'impatto di alcune leggi sul paesaggio, come le leggi che incentivano l'insediamento di industrie o di parchi naturali in una determinata area. 97
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