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Riassunto di "I classici dal papiro a Internet" di Fabio Stok, Sintesi del corso di Filologia

Riassunto completo e dettagliato del manuale di Stok

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Riassunto di "I classici dal papiro a Internet" di Fabio Stok e più Sintesi del corso in PDF di Filologia solo su Docsity! I CLASSICI DAL PAPIRO A INTERNET – Fabio Stok 1 LA CONSERVAZIONE DEI TESTI I testi sono costituiti da segni. La conservazione di un testo dipende dalla sopravvivenza del supporto materiale su cui è scritto. Il supporto scrittorio più utilizzato fu il papiro, materiale vegetale che si deteriora facilmente e in tempi relativamente brevi. I testi classici che ci sono pervenuti oggi li conosciamo grazie al fatto che furono copiati su pergamena, supporto di origine animale più duraturo del papiro. Sarà poi la volta della carta, utilizzata per i libri a stampa. Quindi la storia dei supporti scrittori è una parte rilevante della storia dei testi classici, delle loro perdite e delle traversie che riguardano la trasmissione. 1. LA SCRITTURA LATINA NELL’ETA’ PRELETTERARIA L’iscrizione presente sul “cippo del Foro” venne incisa in un periodo in cui nell’Italia centrale la scrittura alfabetica era arrivata da poco. Introdotta tra IX e VIII secolo dai greci, che avevano elaborato un alfabeto completo di segni vocalici e consonantici. Intorno all’VIII secolo, vasi e manufatti erano un veicolo importante della diffusione della cultura greca, testimoni dei rapporti commerciali instauratosi tra le colonie greche dell’Italia meridionale e le popolazioni dell’Italia centrale. Dell’alfabeto greco erano utilizzate diverse versioni nelle diverse aree della Grecia raggruppabili in versione “orientale” e “occidentale”. La versione occidentale (alfabeto calcidico utilizzato nella colonia di Cuma) servì poi da modello per l’allestimento dell’alfabeto etrusco e latino. 1.1. L’alfabeto latino L’adattamento dell’alfabeto utilizzato a Cuma alla lingua latina comportò diverse modifiche, poiché la lingua greca utilizza fonemi assenti in quella latina e la lingua latina prevede fonemi non in uso nel greco. Alcune di queste differenze non derivano dall’adattamento dal greco al latino, ma dalla specificità di alcune caratteristiche dell’alfabeto “occidentale” che ritroviamo anche nell’alfabeto latino. (Per approfondire sulle lettere vedi pag. 15-16) 1.2. La scrittura epigrafica L’uso della scrittura e la scelta dei supporti su cui scrivere sono determinati dal contesto socio-culturale e dalla funzione assegnata alla scrittura (in ordine di importanza): • Manifestazione simbolica del potere, politico e sacerdotale, ma anche con connotazione magica; • Funzione comunicativa; • Uso pubblico delle iscrizioni sulle pareti dei templi o su tavole di bronzo (es. “cippo del Foro”, una dedica a Castore e Polluce ed il “Lapis Satricanus”); • Uso privato di oggetti su cui sono incise iscrizioni che forniscono informazioni sul destinatario dell’oggetto e sull’artigiano che lo aveva costruito. Altri materiali inorganici utilizzati come supporto scrittorio sono i frammenti di ceramica (“ostraca”), le tavolette di terracotta, le lamine di metallo. Fra i reperti epigrafici si ricordano quelle rinvenute a Irni, in Spagna e le Tabulae Iguvinae, a Gubbio. Plinio parla inoltre dell’utilizzazione dei libri lintei (“libri di lino”). L’uso del lino è ben attestato nell’intera area italica: erano utilizzate tele di lino piegate a soffietto in corrispondenza delle colonne su cui è strutturata la scrittura. (Per approfondire vedi pag.17) 1.3. La scrittura su tavolette Il legno era il supporto favorito per la comunicazione quotidiana e la comunicazione diretta. “Liber” aveva in origine il significato di “corteccia”, evidenziando così l’associazione tra scrittura e legno. Anche “codex” aveva in origine il significato di “pezzo di legno”. L’uso di tavolette di legno è ben attestato per la cultura greca, le più antiche risalgono al III secolo a.C. Per la cultura latina sono diversi i tipi di supporti lignei di cui abbiamo notizia. • Una tipologia particolare è testimoniata dalla tabulae Vindolandenses (tavole sottile di ontano e betulla trovate in prossimità del Vallo di Adriano): sono spesso saldate tra loro e documentano le pratiche scrittorie della guarnigione romana stanziata nell’area di età imperiale; • Un’altra tipologia è esemplificata dalla tabula dealbata (tavola in legno imbiancata con calce affissa annualmente nella Regia del Pontefice Massimo): in essa venivano registrati nomi di magistrati, festività, carestie, eclissi, trionfi, ecc… ; • Si ricordano inoltre le tabulae Pontificum, archiviate (fine II secolo a.C.) e utilizzate da Muzio Scevola per la redazione degli Annales maximi; • La tipologia più diffusa era la tabula cerata (tavoletta di legno ricoperta da uno strato di cera) sulla quale si scriveva con uno stilo appuntito, tracciando lettere specifiche sulla cera, ai lati della tavoletta c’erano dei bordi rialzati che proteggevano la scrittura. Il supporto della tavoletta era riciclabile, si poteva rispalmare la cera per ottenere la superficie scrittoria, si potevano effettuare facilmente correzioni (cancellando con la spatola la parte di testo da eliminare). Le tavolette erano di varie dimensioni: • PUGILLARES = le più piccole, utilizzate per appunti, brevi epistole o anche lettere; • TABULAE= più grandi, utilizzate per documentazioni ufficiali. Era usuale saldare tra loro due o più tavolette, formando dittici, trittici e polittici ripiegabili come le pagine di un libro. La “rilegatura” veniva fatta con fili fatti passare attraverso fori effettuati su un lato delle tavolette. 1.4. Le più antiche scritture latine La tipologia delle lettere dipende dalla modalità di scrittura (scalpello, stilo, calamo, ecc.) e dalla sua finalità (lettera, libro, appunti ecc.), ma anche dall’evoluzione culturale, che imponeva standard e consuetudini ai copisti. La forma più antica di scrittura latina è la cosiddetta “capitale quadrata” (= nostra minuscola): “capitale” fa riferimento all’uso che se ne faceva nei codici medievali, per la lettera o la parola iniziale dei capita, i Notizie sul commercio dei libri si infittiscono per la prima età imperiale (es. Marziale). 1.10. Biblioteche a Roma Le prime consistenti biblioteche romane furono quelle trasferite dalla Grecia come prede di guerra (es. biblioteca del re Perseo portata a Roma da Emilio Paolo nel 168 a.C., Silla con le opere di Aristofane e Teofrasto, Lucullo che portò a Roma la biblioteca di Mitridate, ecc.). I libri depredati arricchirono così le biblioteche private. Le biblioteche depredate, che contenevano ovviamente opere greche, nell’età repubblicana venivano a raccogliere libri in greco e in latino, in sezioni distinte (la cultura romana restò bilingue fino al III secolo d.C.). In età imperiale il possesso delle biblioteche diventò una consuetudine dei ceti abbienti (es. Sereno Sammonico). La prima biblioteca pubblica fu progettata da Giulio Cesare (allestita da Varrone). Fra il 39 e il 27 a.C. venne progettata una seconda biblioteca pubblica da Asinio Pollione, ex generale di Cesare. In età imperiale diventò prassi comune l’istituzione di biblioteche , spesso in prossimità di stabilimenti termali ed erano frutto di iniziative evergetiche. La presenza di una fitta rete di biblioteche ebbe un ruolo notevole nella conservazione e circolazione di testi (pur con frequenza di danni come incendi o distruzioni). 4. DAL ROTOLO AL CODICE Fra il II e il IV secolo d.C. la produzione libraria è caratterizzata dall’abbandono del rotolo di papiro e l’affermarsi del codice di pergamena. Non c’è un rapporto univoco fra la forma del libro (rotolo o codice) ed il materiale scrittorio (papiro o pergamena): si possono produrre rotoli di pergamena o codici di papiro. Il passaggio interessò la forma libraria. 1.11. La pergamena L’uso di scrivere su pelli animali è documentato in epoca molto antica, anche se le tecniche utilizzate per la scarnificazione e la depilazione restarono a lungo rudimentali. E’ di dubbia fondatezza la notizia di Varrone e ripresa da Plinio il Vecchio per cui l’uso della pelle animale (membrana) come supporto scrittorio sarebbe stato inventato a Pergamo nel II secolo a.C., per far fronte all’embargo delle esportazioni di papiro dall’Egitto decise dai re Tolomei. La vicenda è connessa alla rivalità tra Pergamo ed Alessandria, per cui il papiro venne utilizzato la prima volta nell’epoca di Alessandro Magno. L’uso librario della pergamena sembra esser stato saltuario, fino al II secolo a.C. Le testimonianze latine attestano, già per l’età repubblicana, l’uso di fogli di pergamena per appunti e stesure provvisorie. Per l’uso scolastico, Quintiliano raccomanda la tavoletta cerata. 1.12. Il codice Il termine codex indica come suo precedente diretto l’uso delle tavolette di legno cerate ed unite in forma di dittico o trittico. L’uso del codice come forma libraria è attestata nella seconda metà del secolo I d.C. da Marziale, mostrandosi ben consapevole dei vantaggi offerti dal codice. Non è possibile valutare l’entità del fenomeno e la sua diffusione, ma nel complesso il rotolo sembra essere prevalente nel corso del II secolo (eccetto casi eccezionali come Marziale). 1.13. Allestimento del codice La pelle, conciata e trattata, veniva piegata formando un bifolium (due fogli corrispondenti a 4 pagine odierne). La numerazione delle pagine manoscritte è effettuata per fogli, distinguendo recto e verso (esterno coperto di pelli, interno scarnificato). I bifogli erano raccolti in fascicoli: il “binione” = 2 bifogli, il ternione, il quaternione, ecc. I fascicoli erano relegati e saldati ad una copertina anch’essa di pergamena o di assi foderati. Gli strumenti scrittori restano gli stessi usati per il rotolo di papiro. In età medievale all’uso del calamo si affiancò la penna d’oca. Diversamente dal papiro, il foglio di pergamena era utilizzabile su entrambi i lati (il recto e il verso). Questo determinò un aumento della quantità di testo contenuta nel codice. 1.14. L’affermazione del codice Il codice si impose alle soglie dell’età tardoantica, fra III e IV secolo. I fattori che determinarono questa svolta sono diversi: • Roberts e Skeat accreditano come conseguenza l’affermazione della cultura cristiana; • Cavallo vede un allargamento della cultura, con la diffusione del libro in contesti sociali nuovi. In Egitto e nell’area orientale, è significativo che il passaggio dal rotolo al codice veda una fase intermedia in cui prevalgono i codici papiracei. La pergamena si impose comunque nell’area bizantina. 1.15. La letteratura dal rotolo al codice Il passaggio comportò la riproduzione della nuova forma dell’intero patrimonio librario custodito nelle biblioteche. Il passaggio comportò la riunione, nei singoli codici, del contenuto di più rotoli. La novità che il codice comportò nella produzione dei commenti fu straordinaria, poiché fu un genere fondamentale nella pratica scolastica. 5. CONSERVAZIONE E PERDITA DI TESTI I diversi supporti materiali che accompagnano la storia della scrittura nell’età antica hanno condizionato la sopravvivenza dei testi. 1.16. Testi epigrafici Anche dopo l’avvio della produzione libraria, la scrittura epigrafica continuò ad essere di notevole importanza per testi di carattere pubblico, dediche, leggi, editti, epitaffi e simili. A noi pervengono quelli conservati maggiormente e che non hanno avuto la distruzione del supporto. (per approfondire vedi pag.38) 1.17. Testi su papiro All’estremo opposto della scrittura epigrafica, per deperibilità, si colloca la scrittura su papiro, materiale delicato e sensibile all’umidità. Pressoché la totalità dei rotoli allestiti in età antica è andata perduta. Ci rimangono papiri conservatisi in condizioni ambientali particolari (es. aree desertiche, siti carbonizzati dal fuoco). La maggior parte dei papiri recuperati contiene testi greci, proprio perché in nell’Egitto la lingua corrente era il greco. (per approfondire vedi pag. 39-40) 1.18. Testi su pergamena Rispetto al papiro, la pergamena ha minore deperibilità, per la maggiore tolleranza della pelle animale all’umidità e alle variazioni di temperatura. Questa caratteristica ha consentito la conservazione di un certo numero di codici antichi. I reperti sono numerosi per l’età tardoantica. (Per approfondire vedi pag. 41) 1.19. I palinsesti I palinsesti sono codici riscritti nel corso del Medioevo, generalmente per trascrivere testi religiosi. Essi nascondo quindi una scrittura precedente, che è stata riportata in luce nel corso del XIX secolo. (Per approfondire sugli autori vedi pag. 41-42) 1.20. Codici medievali e umanistici La maggior parte dei codici conservati sono di età medievale e umanistica, con forti incrementi nel corso del XII-XIII e nel XV secolo, la loro produzione declina con l’avvento della stampa (1470). Sono numerosi i codici umanistici per i quali venne utilizzata la carta, in luogo della tradizionale pergamena. La carta era prodotta dal trattamento degli stracci, per cui la tecnica di fabbricazione riporta alla Cina, tecnica poi acquisita dagli Arabi, passando per l’area bizantina e infine in Occidente. 1.21. Trasmissione e perdita dei testi Sono i pochi i testi, per lo più epigrafici e papiracei, di cui restano esemplari copiati nell’età antica. Disponiamo di un certo numero di codici e palinsesti di età tardoantica: si tratta di copie temporalmente distanti dagli originali. Il passaggio dei testi classici dalla tradizione manoscritta a quella a stampa, è avvenuta in larga parte nella prima fase della storia della stampa, dal 1465 al 1550. Per la maggior parte dei testi classici non ci restano testimoni tardoantichi. 1.22. I testi perduti Per un numero notevole di testi ed autori la catena delle copie ad un certo momento si è interrotta, in seguito alla perdita o alla distruzione delle copie esistenti, senza che si provvedesse a sostituirle con copie nuove. Il passaggio dal rotolo al codice ha avuto probabilmente un ruolo decisivo nella trasmissione del patrimonio che ci è pervenuto. 2 LA TRASMISSIONE MANOSCRITTA In epoca precedente all’invenzione della stampa, la diffusione di un testo comportava che esso venisse copiato un numero di volte pari a quello delle copie che si volevano mettere in circolazione. Le copie Nell’epoca della riproduzione a stampa, l’autore licenzia la propria opera, la dà al tipografo con l’autorizzazione di procedere con la stampa (imprimatur). Eventuali modifiche del testo licenziato sono effettuate nelle edizioni successive dell’opera. Questa scansione è meno netta nell’epoca della trasmissione manoscritta, dove l’autore può intervenire con modifiche e correzioni mentre è in corso l’opera di copiatura, con il risultato che alcune copie accoglieranno la correzione, altre no (es. Orator di Cicerone). Entrambe le lezioni, quella primitiva e quella messa in circolazione dall’autore in un secondo momento, possono esser presenti nella tradizione manoscritta, ponendo l’editore davanti al problema di porre delle scelta tra le due varianti. Si tratta infatti di “varianti d’autore”, ciascuna delle quali ha piena legittimità di esser accolta nel testo. 8. IL RESTAURO DEI TESTI: ALLE ORIGINI DELLA FILOLOGIA Pratiche di correzione e restauro dei testi corrotti possono essere effettuate dai copisti di una certa cultura, con una sorta di “filologia” che è coeva alla pratica stessa della copiatura manoscritta. Molto antica è la consapevolezza che i guasti si possano verificare nella trasmissione del testo. Ma un orientamento critico nei confronti dei problemi posti dalla trasmissione manoscritta, cioè una filologia, sembra essersi delineato solamente nel III secolo a.C., fra gli eruditi incaricati di gestire e allestire la biblioteca di Alessandria. 1.29. La filologia alessandrina Il punto di partenza dei filologi alessandrini fu il confronto tra le copie diverse dei poemi omerici, provenienti da aree diverse del mondo grecofono. Nella ricostruzione del testo omerico si impegnarono i principali bibliotecari di Alessandria: Zenodoto di Efeso (primo bibliotecario di Alessandria), Eratostene di Cirene, Aristofane di Bisanzio, Aristarco di Samotracia. Il lavoro critico di questi bibliotecari si esplicitò nella definizione dei segni grafici volti a orientare il lettore nei problemi posti dal testo omerico: • -- = obelòs, linea tracciata a sinistra del testo per indicarne il carattere spurio; • * = asteriskos, indica un verso erroneamente ripetuto in un altro luogo; • >-- = diplè, una sorta di freccia che indica un passo importante per lingua o contenuto; • Sigma rivolto a sinistra = antisigma indica i punti dove l’ordine dei testi era scorretto. Questo sistema di segni caratterizzava la recensione critica di Aristarco, nella quale >:-- (diplè puntata) indicava i passi in cui il testo omerico di Aristarco era diverso da quello stabilito in precedenza da Zenodoto. Nell’individuazione dei testi spuri gli alessandrini si basavano spesso su impressioni soggettive basati su criteri linguistici o di coerenza narrativa, che sono state per lo più lasciate cadere dalla critica successiva. 1.30. La filologia a Roma I primi autori della letteratura latina erano poeti-filologi, non ignari della filologia alessandrina. Nel 168 a.C. arrivò a Roma, in missione diplomatica, Cratete di Mallo e proprio a lui si dovrebbe attribuire lo sviluppo successivo della filologia a Roma (Svetonio). Cratete fu il primo grammatico di un certo rango che operò a Roma, portando avanti un insegnamento che ebbe notevole impatto paragonabile a quello avuto per la filologia. Ma l’attività svolta dai primi filologi romani sembra comunque iscriversi in una tradizione alessandrina, di recupero e sistemazione di testi arcaici. Oltre che di problemi di attribuzione e cronologia, questi grammatici-filologi erano interessati ai problemi di carattere lessicale posti dai testi arcaici, con particolare attenzione per parole obsolete e rare. 1.31. La filologia nell’età imperiale L’interesse lessicografico ed antiquario, già presente in Varrone, appare nella prima età imperiale. Un certo declino della filologia alessandrina fu favorito dal disinterese che subentrò in quest’epoca per gli autori arcaici. 1.32. Filologia virgiliana I testi contemporanei non erano ovviamente immuni da fenomeni di corruzione, un caso può essere quello dell’Eneide di Virgilio. Pubblicata postuma da Vario Rufo, la sua rapida diffusione favorì la diffusione anche di errori, uno di questi individuato da Igino (alcune sue correzioni furono messe anche in dubbio). La vulgata virgiliana non è mai passata attraverso il filtro di un’edizione critica di tipo alessandrino. 1.33. Filologia ciceroniana L’indirizzo esegetico rilevato nella filologia virgiliana è prevalente anche in quel che resta dei commenti delle orazioni ciceroniane di Asconio Pediano: problemi di carattere storico, cronologico, prosopografico, ma non problemi di natura filologica. L’interesse filologico si nota nella subscriptio delle orazioni De lege agraria attribuita a Statilio Massimo, probabilmente autore della raccolta di estratti ciceroniani usata dal grammatico Giulio Romano e databile nel II secolo d.C. La subscriptio è nota dalla trascrizione di Poggio Bracciolini. 1.34. La filologia di Probo Attivo nella seconda metà del I secolo d.C., avrebbe dapprima esercitato l’attività di grammaticus nella città natale, occupandosi in particolar modo degli autori classici e poi si stabilì a Roma, dove questi erano da tempo trascurati. La consistenza della sua filologia fu oggetto di studio da parte di Friedrich Leo (1912) che riteneva Probo colui che portò a termine edizioni critiche di Plauto, Terenzio, Lucrezio, Ovidio, Orazio, Persio e Virgilio. Che Probo si collocasse nella tradizione della filologia alessandrina lo sappiamo da Svetonio e dall’ Anecdoton Parisinum (testo proveniente dalla cerchia che si formò intorno a Probo). Dell’attività filologica di Probo resta testimonianza solo per Virgilio, per alcune sue soluzioni segnalate dall’esegesi serviana. Sulle sue proposte testuali gli studiosi hanno preso posizioni diverse, sospettando che Probo indulgesse in un’attività di tipo congetturale. La sua attività filologica sembra comunque non aver influenzato la tradizione del testo virgiliano, che restò caratterizzato da guasti prodottisi in epoca antica. L’interesse di Probo per autori arcaici anticipa l’orientamento arcaizzante del II secolo, ma il suo rilancio della filologia alessandrina sembra non aver avuto seguito. 1.35. Filologia e arcaismo La curiosità per gli autori e per il latino arcaico che caratterizza il II secolo d.C. portò a un rinnovato interesse per i libri antichi ed impegnò gli studiosi nella loro lettura e decifrazione, spesso problematica. Testimone ne è Gellio che nelle sue Noctes Atticae parla della ricerca di testi antichi, in termini che rivelano sensibilità ed attenzione sui problemi di trasmissione, ed interesse nella ricerca della lezione originaria delle parole. Gellio si occupò principalmente quindi di problemi stilistici e linguistici. Approccio diverso è rilevabile nell’esegesi ippocratica di Galeno, medico attivo a Roma all’epoca di Marco Aurelio. A lui si riconducono seri problemi di ricerca di manoscritti antichi, corruzioni e varianti, ma anche libri antichi falsificati per lucro. I commentari di Galeno mostrano consapevolezza di questi problemi e metodi anche sofisticati nel ricorso ai codici antichi e nella risoluzione dei problemi testuali. La tecnica di consultare più esemplari è utilizzata anche da Gellio. 3 LA RICEZIONE DEI CLASSICI DALL’ANTICHITA’ AL MEDIOEVO Il concetto di “ricezione”, introdotto da Jauss, ha ormai soppiantato quello di “tradizione” classica (idea di patrimonio sempre uguale a sé stesso, ereditato dalle diverse epoche: la tradizione viene plasmata e adattata da chi la adotta). L’approccio introdotto dalla teoria della ricezione mette anche in dubbio che i testi siano qualcosa di stabili, di cui si possano stabilire i confini. La ricezione è il fattore più rilevante della trasmissione/non trasmissione di un testo. Per essere trasmesso, il testo deve essere copiato un numero di volte sufficiente a sopperire al degrado dei supporti scrittori e ai pericoli di distruzione che gravano su ogni singola copia. L’atto del copiare presuppone un interesse per il testo; interesse proporzionale al costo della copia. Il valore del supporto scrittorio può anche determinare la perdita in modo diretto del testo. La ricezione condiziona anche la riproduzione dei testi (es. modifiche dei copisti). Anche la ricostruzione “filologica” del testo è imprescindibile dalla cultura di coloro che effettuano questa operazione. I classici si adattano ai contesti culturali e alle diverse epoche, e essi stessi si trasformano. 1. DALLE ORIGINI ALL’ETA’ IMPERIALE (SECOLI II A.C.-II D.C.) La storia della ricezione di una letteratura coincide con la storia della letteratura stessa: ogni generazione fruisce della produzione letteraria della propria epoca e selezione la produzione precedente, secondo criteri determinati dal contesto socio-culturale e politico, dal gusto e dal filtro usato nella stessa produzione coeva. 1.1. La letteratura latina dell’età arcaica E’ verosimile che parte della letteratura del III-II secolo a.C. sia andata perduta precocemente. Tra i fattori di perdita ricordiamo che non tutta la produzione dell’età arcaica raggiungeva il traguardo della forma libraria (rotolo di papiro). L’attività dei filologi tra II e I secolo ebbe un ruolo rilevante nella conservazione della letteratura arcaica e nelle biblioteche private. Si ampliò il raggio di diffusione dei testi. Perdite precoci riguardano la riproduzione annalistica in greco, orazioni (legate ai contesti politici contingenti, la loro conservazione è legata ad archivi di famiglie di singoli personaggi), le opere teatrali. 1.2. L’età imperiale Nella prima età imperiale, la circolazione di testi arcaici diminuì in seguito al rinnovamento del canone scolastico inaugurato da Cecilio Epirota, che allargò la letteratura a Virgilio e ai contemporanei. Il modernismo letterario fu accentuato nell’età giulio-claudia e temperato solo dal classicismo che si affermò nell’età flavia. Il quadro degli autori arcaici che preludono e preparano l’avvento dei “moderni” delineato da Quintiliano nell’ “Institutio oratoria” può essere considerato rappresentativo di un sistema di conservazione del patrimonio letterario in cui il sistema bibliotecario custodisce il passato, a fronte di una circolazione che interessa i “classici” consacrato dall’uso scolastico e la produzione corrente. 1.3. Roghi di libri Forme di controllo della circolazione dei testi letterari sono consuete nei regimi autocratici. Gli episodi di censura a Roma sono sporadici, ma non ignoti (“libri di Numa”, repressione dei Baccanali). I roghi invece sono ricorrenti nell’età imperiale, che vede frequentemente la condanna degli oppositori accompagnata dal bando delle loro opere (opere di Cassio Severe, Tito Labieno, “Amores” di Cornelio Gallo, ecc.). 1.4. La riscoperta degli arcaici La cultura tardoantica ha un ruolo rilevante nella trasmissione dei testi classici: l’allestimento di edizioni su codice, di autori o di corpora (tematici o antologici) sembra essersi basato su un criterio conservativo dell’intero patrimonio librario pagano. Sono da mettere in conto naturalmente le eventuali perdite di testi, però la cultura tardoantica ebbe una funzione di filtro nella trasmissione dei testi, al di là di un programma di recupero della tradizione pagana. Un filtro in negativo per i testi andati perduti o di scarsa circolazione, un filtro in positivo per i testi che, seppure rari, vennero valorizzati nella cultura tardoantica. 1.12. L’eclissi del greco in Occidente L’età tardoantica vide il declino del bilinguismo latino/greco che aveva caratterizzato la cultura romana. Dal II secolo a.C. la conoscenza del greco in Occidente rimane circoscritta per le élite culturali, con conseguente diminuzione di testi greci, nuova situazione linguistica che portò alla produzione di adattamenti e traduzioni. Dopo Cassiodoro, la conoscenza letteraria del greco venne meno restando l’uso linguistico circoscritto ai rapporti diplomatici ed ecclesiastici. Nell’area bizantina l’Italia meridionale e la Sicilia restarono insediamenti grecofoni che portarono una certa circolazione di codici greci. 3. LA CRISI DEL VII SECOLO Le perdite maggiori di testi antichi si ebbero tra fine VII e inizio VIII secolo nel contesto di una depressione culturale che interessò aree importanti dell’ex impero romano (Africa, Italia, Francia). Nella penisola iberica, la cultura visigota culmina con l’attività di Isidoro di Siviglia, proseguendo con Braulione ed Eugenio di Toledo, avendo termine solo con l’invasione araba. La crisi, nell’Europa continentale, fu conseguenza delle trasformazioni economiche e sociali che portarono alla dissoluzione di ceti aristocratici. Essa comportò l’interruzione dell’insegnamento scolastico e la distruzione delle biblioteche pubbliche, conseguente alla crisi dei centri urbani. L’attività culturale e scrittoria restò così circoscritta ai monasteri e alle istituzioni ecclesiastiche, dove l’interesse per i classici iniziò a declinare. L’atteggiamento della cultura cristiana apparve infatti più selettivo: ad esempio la cultura monastica era interessata alla letteratura tecnica e aveva quindi utilità pratiche. Figure emblematiche sono Cassiodoro con la fondazione del Vivarium, Isidoro di Siviglia che nella sua opera non nasconde la sua insofferenza nei confronti dei pagani, Benedetto da Norcia e Gregorio Magno. 1.13. I classici nel VII secolo E’ rimarchevole l’assenza di autori di cui pure restano codici dei secoli precedenti e che in qualche misura restavano fondamentali per la formazione scolastica (es. Virgilio e Cicerone). Al VII-VIII secolo si riconduce la riscrittura di numerosi palinsesti, a conferma del disinteresse dell’epoca per i classici. I monasteri medievali ebbero un ruolo centrale nella trasmissione dei testi: è verosimile che buona parte dei testi che ci sono pervenuti siano transitate nelle biblioteche monastiche. La perdita delle opere classiche si fa risalire maggiormente proprio a questo periodo. 1.14. Il particolarismo grafico. Una conseguenza della disgregazione dell’impero occidentale fu la frammentazione delle grafie che assunsero tratti specifici nelle principali aree dell’ex impero. Il fenomeno è rilevabile per la corsiva (scrittura dei documenti e degli atti amministrativi). Un’analoga tendenza al particolarismo grafico è verificabile per la scrittura libraria, dove il tratto in comune è quello di utilizzare forme minuscole (=semionciale). Nelle isole britanniche si affermò la cosiddetta scrittura “insulare” derivata dalla semionciale, articolandosi in forma maiuscola (carattere calligrafico, forme rotonde, aste poco allungate, forme di chiaroscuro verticale) e minuscola. Nella penisola iberica si affermò la “visigotica” (scrittura minuscola, con grafia particolare delle lettere molto simile a quella utilizzata nel monastero di Santa Caterina). Con i franchi si sviluppa la “merovingica” (compressione laterale delle lettere, dove le aste sono allungate ed ondulate, e i tratti artificiosi). Nell’Italia settentrionale il particolarismo non approdò, mentre nell’Italia meridionale si impose la “beneventana” sotto l’influenza dell’attività scrittoria del monastero di Montecassino. Vista come evoluzione della corsiva, la beneventana è una minuscola libraria calligrafica, nella quale si alternano tratti sottili e tratti fortemente ingrossati, forme caratteristiche di alcune lettere e abbreviazioni. 4. LA RINASCITA CAROLINGIA (SECOLI VIII-IX) La cultura carolingia segnò un’inversione di tendenza nel processo di perdita/riproduzione dei testi classici. Recupero e copiatura rallentarono il processo di perdita e posero le condizioni per una rinnovata circolazione di numerosi autori classici, funzionale alle nuove esigenze culturali. 1.15. Carlo Magno e la sua corte Per l’organizzazione e la gestione dell’impero, Carlo Magno si avvalse di uomini di cultura come collaboratori. Lui era illetterato e di madre lingua germanica, studiò il latino però con Pietro da Pisa. Tra i suoi collaboratori spicca il nome di Alcuino di York, conosciuto nel 781. Obiettivo primario di Carlo Magno era quello di formare un ceto clericale in grado di gestire l’apparato ecclesiastico e, con esso, lo stesso impero. Fu messo a punto una standard linguistico del latino, depurato da volgarismi e anacoluti. Alla politica religiosa di Carlo Magno è connesso il programma di correzione ed emendazione della Bibbia, per ottenere un testo uniforme da utilizzare nelle pratiche liturgiche. Autori classici e relativi commenti furono recuperati per la loro funzionalità della lettura scolastica. Ma la quantità di testi classici in quest’epoca evidenzia un approccio non solo strumentale. 1.16. La minuscola carolina Un superamento del precedente particolarismo grafico fu la “minuscola carolina” che detrminò la ricostituzione di una rete di comunicazione su scala continentale, riattivando la circolazione libraria e culturale. Le lettere sono arrotondate e distanziate tra loro, senza tratti corsivi. La carolina si impose fin da subito come scrittura d’uso corrente (pur avendo adattamenti nella sua forma diplomatica e cancelleresca). 1.17. I codici carolingi Opera di ricerca e raccolta di codici tardoantichi che coinvolgeva buona parte dell’ex impero d’Occidente. La quantità di autori classici copiati è contestuale ad un’attività scrittoria massiccia, della quale sono rimasti 7.000 manoscritti (cifra maggiore del periodo precedente). Il luogo dove fu realizzata la copiatura non coincide necessariamente con la provenienza dell’antigrafo utilizzato, che sarà sostituito da un codice tardoantico. La maggior parte dei codici veniva dall’Italia, questo lo fa pensare la maggior parte di codici trasferiti dall’Italia alla Francia. 1.18. Eruditi e filologi Una cura che si può definire “filologica” è rilevabile nella fattura del codice di Lucrezio copiato nell’ambito della corte carolingia, l’Oblongus. La figura più significativa dell’erudizione fu Lupo di Ferrieres e la sua cura prestata per i testi classici. Si dedicò alla ricerca di codici antichi, ebbe una copia del De Oratore di Cicerone, un codice delle Noctes Atticae di Gellio, conosceva il corpus testimoniato dal Vaticano in quanto colmò alcune lacune di Valerio Massimo tramite l’epitome di Giulio Paride. L’abbazia di Saint-Germain di Auxerre fu uno dei centri più importanti della cultura carolingia. 1.19. Codici greci in Occidente Scoto Eriugena fu uno dei pochissimi personaggi di cultura occidentale a leggere il greco. La sua attività rimase isolata, senza dar vita a una scuola che continuasse il suo lavoro. Effettuò traduzioni di testi della patristica greca (es. Origene). Nel XI secolo il più grande conoscitore del greco in Occidente fu Anastasio il Bibliotecario. 1.20. Il canone medievale Molti dei testi copiati in età carolingia ebbero una diffusione molto limitata, incontreranno per alcuni casi una maggiore fortuna nel Medioevo, in altri verranno riscoperti dagli umanisti. Le motivazioni di una limitata ricezione furono diverse: • LUCREZIO: probabilmente questioni di carattere religioso. Il testo del De Rerum Natura fu copiato nell’ambito della corte (Oblungus), l’antigrafo utilizzato servì per allestire anche un altro esemplare, dal quale dipendono il Quadratus e un altro codice di cui ci restano fogli isolati (prodotto nella Germania sudoccidentale). • SILIO ITALICO, VALERIO FLACCO e TACITO (opere minori) = copie antiche che vennero copiate ma che non ebbero diffusione. I testi che ebbero maggiore circolazione nel corso del Medioevo furono quelli che Olsen incluse nel “canone scolastico altomedievale”, formato da 25 opere antiche delle quali restano 50 o più codici copiati durante il IX e XII secolo. Nell’elenco si trovano 8 poeti (Terenzio, Virgilio, Orazio, Ovidio, Lucano, Persio, Stazio e Giovenale) e 4 prosatori (Cicerone, Sallustio, Seneca e Solino). Questo canone mostra una continuità con la cultura tardoantica e la fortuna degli autori del canone garantì la sopravvivenza di alcuni dei commenti allestiti in età tardoantica (Servio per Virgilio, Tiberio Donato per l’Eneide, Claudio Donato per le commedie di Terenzio, Lattanzio Placido per la Tebaide di Stazio, commenti anonimi al poema di Lucano). La fortuna dei 25 testi inclusi nel canone non è uniforme, infatti Traube distinse nel Medioevo tre aetates sulla base dell’autore classico più letto: 1. Aetas Vergiliana (VIII-IX secolo); 2. Aetas Horatiana (X-XI secolo); 3. Aetas Ovidiana (XII-XIII secolo). 3.7. Il X secolo Palestina. L’attività libraria ha prevalentemente interessi religiosi. Ma, nel complesso, la cultura bizantina non ebbe perdite massicce del patrimonio librario che si verificarono nel secolo VII in Occidente. 3.4.8. La rinascita del IX secolo Anche nell’area greca la maiuscola onciale è soppiantata da una scrittura minuscola. L’adozione della minuscola generalizzò l’utilizzo di spiriti e accenti, e la divisione in parole. Il passaggio alla minuscola stimolò la produzione libraria, per il risparmio che comportava nel lavoro di copiatura e nell’impiego di pergamena, facilitando il recupero di testi classici. Questa rinascita del IX secolo fu accompagnata dalla rivitalizzazione del sistema scolastico (con Leone, filosofo e matematico). 3.4.9. Fozio Figura più significativa della rinascita, fu patriarca negli anni che prepararono lo scisma fra chiesa cattolica di Roma e Chiesa orientale. La sua cultura è testimoniata dalla Bibliotheca, opera che in 279 capitoli dà notizie sul contenuto di 386 opere (autori profani in numero minore e autori cristiani in numero maggiore). La sua biblioteca andò dispersa in seguito ai suoi esili (867-886). Nella bibliotheca di Fozio si trovano numerosi autori erotici tardoellenistici, testi che ammette lo stesso Fozio “abbondare di finzioni leggendarie e vergognose oscenità”. 3.4.10. I secoli X-XII Negli anni dell’imperatore Zimisce venne allestita la Suda (enciclopedia in ordine alfabetico che rispecchia un’esigenza di sistemazione delle conoscenze. Fra il 939 e il 960, Costantino Cefala allestì la cosiddetta Anthologia Palatina. Nel XII secolo operarono Eustazio, commentatore dei poemi omerici e di Pindaro, e Giovani Tzetzes, commentatore di Aristofane, Esiodo ed Omero. 3.4.11. Dall’impero latino ai Paleologi Il 13 aprile del 1204, durante la quarta crociata, Costantinopoli venne espugnata e saccheggiata dalle truppe occidentali. L’impresa portò alla creazione dell’impero latino, la cui corona fu affidata a Baldovino IX. La vicenda pose brutalmente termine alla lunga rinascita promossa dei Macedoni e continuata dai Comneni. Le perdite di testi provocate dai saccheggi furono notevoli, più di quelle del 1453. Nel 1261 Michele Paleologo riconquistò Costantinopoli, ripristinando l’unità imperiale e instaurando la successiva “rinascita paleologa” che vede una ripresa dell’attività culturale a Costantinopoli e in altri centri. Uno dei personaggi più significativi di questa ripresa fu Massimo Planude, attivo a Costantinopoli ma buon conoscitore del latino. 3.4.12. Conservazione e perdita dei testi greci La tradizione dei testi greci ricorda piuttosto la forma della piramide, difatti le perdite si attestano nella fase conclusiva, rappresentate nel vertice. La sopravvivenza bizantina di testi poi andati perduti è documentata dalle testimonianze di Fozio e altri, che attestano la disponibilità di opere di Saffo, Bacchilide, Ipponatte, Teopompo ed altri ancora. Molti di questi testi probabilmente andarono perduti durante il saccheggio di Costantinopoli del 1204. Le perdite che accompagnano l’ultima fase della storia bizantina furono determinate anche dalle modalità di recupero operato dagli umanisti. Fu un salvataggio non sistematico e non organizzato: affidato a singoli umanisti e mercanti. 4 I CLASSICI DEGLI UMANISTI Per quello che interessa la trasmissione dei testi classici, l’età umanistica segna una svolta radicale. Gli umanisti infatti avviarono un’opera di recupero rivolta ai testi classici nel loro insieme. All’inizio del XVI secolo era disponibile la quasi totalità degli autori greci e latini che si possono leggere ai nostri giorni. Così che il recupero operato dagli umanisti ridusse radicalmente i rischi di perdita dei testi. 4.1 IL PREUMANESIMO Letture “continuistiche” (evidenza agli elementi di continuità) presentano l’età umanistica come esito conclusivo del progressivo allargamento all’accesso ai testi classici, iniziato nell’età carolingia. In una prospettiva attenta alla continuità si colloca anche il “preumanesimo” dove tratti qualificanti dell’umanesimo quattrocentesco sarebbero evidenti anche nell’Italia trecentesca. 4.1.1 Il preumanesimo padovano I principali esponenti del gruppo padovano sono Lovato Lovati e Albertino Mussato. • Lovati ebbe accesso ad autori pressoché sconosciuti (Catullo, Seneca, Giustino, Livio); • Mussato lesse le tragedie di Seneca per prenderne spunto con il suo Ecernis. I padovani “avanzarono quasi inconsapevoli del loro atteggiamento” (Sapegno), quindi i loro tratti preumanistici andrebbero comunque sfumati. 4.1.2 L’umanesimo di Petrarca Considerato il vero iniziatore delle temperie culturali che si imposero in Italia e poi nell’intera Europa, Petrarca ricostruiva l’Antichità come oggetto di rapporto diretto, che si colora di tratti autobiografici ed emotivi nelle lettere che lui rivolge agli autori antichi. Lo sguardo è rivolto prevalentemente a Roma , vista tramite i ruderi ed i testi degli autori antichi, e sullo sfondo antico egli colloca anche la sua incoronazione poetica (8 aprile 1341). Al rapporto di immedesimazione con gli antichi, si accompagnarono fastidio e polemica con la cultura tardo-medievale (aristotelismo, nominalismo-ambito filosofico e teologico, latino medievale, cultura giuridica e retorica formale). L’adozione dell’antico coincide con la consapevolezza della sua distanza, ne deriva quindi un approccio critico volto a sceverare ciò che è antico da quello che è solo imitazione scialba. Per Petrarca le nuove idee furono oggetto di scelte sofferte, legate alla difficoltà di conciliare i nuovi modelli di pensiero e di comportamento, suggeriti dalla lettura degli antichi, con la fede cristiana propria del poeta. Il peculiare rapporto di Petrarca con il mondo antico è evidente nella cura dei libri e nella ricerca di testi poco conosciuti: basti pensare alle ricerche nelle biblioteche o al rapporto con autori di tutta l’Europa. 4.1.3 Le scoperte di Boccaccio Amico ed emulo di Petrarca, anche Giovanni Boccaccio si occupò delle ricerca di codici antichi, condividendo con Petrarca le proprie scoperte. Esplorò i manoscritti di Montecassino, avvalendosi dell’aiuto di Zanobi da Strada. 4.1.4 Il greco ad Avignone Nel XIV secolo circolavano alcuni codici greci, ma non erano letti (es. Moralia di Plutarco, Iliade di Omero, codice di Platone). Petrarca aveva tentato di apprendere il greci da Barlaam di Seminara (prelato proveniente da Costantinopoli) e da Leonzio Pilato, a cui chiese di tradurre l’Iliade, anche se il risultato fu per lui deludente. Si può notare un interesse della la cultura trecentesca per il greco che si differenzia da quello dei secoli precedenti (domanda maggiore per Omero e Plutarco). 4.2 LA GRANDE RICERCA 4.2.1 Il circolo di Salutati Il ruolo di Petrarca e Boccaccio fu centrale per Firenze, dove negli ultimi anni del secolo veniva ad affermarsi l’umanesimo. Legato a questi due letterati fu Coluccio Salutati che riunì attorno a lui una cerchia di esponenti più giovani che daranno vita al movimento umanistico. Salutati era maestro e garante, nei confronti della città e delle preoccupazioni che il circolo suscitava negli ambienti ecclesiastici. 4.2.2 Le scoperte di Poggio Bracciolini Bracciolini, da Costanza, raggiunse molti monasteri tedeschi, svizzeri e francesi, nei cui fondi trovò un notevole numero di testi rari o poco conosciuti che rimise in circolazione. Ebbe inizio una sorta di “ritorno” ai classici in Italia, dopo il passaggio oltralpe che si era visto con gli eruditi carolingi che avevano portato in Italia codici tardoantichi. I risultati della ricerca di Poggio furono eclatanti: riportò in luce testi a quell’epoca sconosciuti (Manilio, Silio Italico, Stazio, Ammiano Marcellino, nuove orazioni di Cicerone, copia integra dell’Institutio oratoria di Quintiliano, ecc.). 4.2.3 Altre scoperte L’esempio di Poggio trovò numerosi imitatori, che arricchirono la biblioteca di testi circolanti tra umanisti: codice che conteneva le opere retoriche di Cicerone, versione integra degli Argonautica di Valerio Flacco scritta da Niccolò Niccoli, codice Vaticano che conteneva le 12 commedie di Plauto prima sconosciute portato in Italia da Niccolò Cusano. 4.3 LE ILLUSIONI DELL’UMANESIMO Nel proporre un’epoca passata come modello per il presente, gli umanisti si videro come fautori di una “tradizione”, ossia di un orientamento dove il passato ha un peso maggiore del presente. Gli avversari degli umanisti sono i moderni, esponenti della cultura dominante. La tradizione antica promossa dagli umanisti era largamente inventata, tanto che si parla di “sogno dell’umanesimo” (Francisco Rico). Questa componente onirica del pensiero umanistico è evidenziabile nella percezione che gli umanisti avevano dell’Antichità: una percezione caratterizzata da una serie di visioni deformate, quindi “illusioni”, elaborate sulla base della loro ricezione delle testimonianze antiche. 4.3.1 La costruzione del Medioevo La denominazione “medioevo” si impone nel tardo XIV secolo proprio dall’umanesimo. Valla vede le invasioni barbariche come un fenomeno di contaminazione che ha interessato le popolazioni, la lingua, la scrittura, determinando un eclissi culturale. Nel definire il passaggio tra Antichità e quello che verrà definito Medioevo, Valla non è nemmeno tanto chiaro: colloca il passaggio in concomitanza con l’età tardoantica. L’inizio della decadenza della grammatica si colloca tra Prisciano e Isidoro (VI secolo), mentre Valla lo definisce un limite cronologico più arretrato: l’autore più tardo che lui valorizza è Quintiliano. 4.5.2 Umanesimo e cristianesimo L’umanesimo, pur non anticristiano, diede un impulso alla successiva secolarizzazione ed ebbe peraltro un qualche ruolo nella genesi della Riforma. Preoccupazione negli ambienti ecclesiastici avevano suscitato gli allievi del circolo di Salutati, per il loro interesse rivolto agli antichi poeti. Problemi seri dovette affrontare però Lorenzo Valla che, mettendo in dubbio l’origine apostolica del Credo, fu processato a Napoli per eresia e dovette abiurare. Verso il 1440 valla scrisse il celebre opuscolo che dimostra la falsità della Donazione di Costantino, il documento cui si faceva risalire il potere temporale ai papi. Lorenzo Valla dimostrò anche la falsità dell’epistolario tra Seneca e San Paolo. In linea generale però l’umanesimo del XV secolo restò estraneo a posizioni antireligiose: Bruno, Valla e Leto non si collocarono mai fuori all’ambito cristiano. Nel XVI secolo l’umanesimo è dichiaratamente cristiano, con Erasmo da Rotterdam e Thomas More. Una frattura tra cultura cristiana e cultura moderna è rilevabile in Machiavelli (posizioni materialistiche, epicuree e scettiche). 4.5.3 Rivalità e false scoperte La ricerca di testi antichi fu presto accompagnata da fenomeni di rivalità, polemica e concorrenza. Il ritrovamento di un testo antico era occasione di notorietà, carriera presso le corti e arricchimento. Diventa più difficile in questo quadro ricostruire le modalità con cui furono operati i recuperi e seguire le vicende dei diversi codici. 4.5.4 Le biblioteche umanistiche La ricerca di codici alimentò le biblioteche dei primi umanisti, difatti nei primi decenni del XV secolo si vede un notevole afflusso di libri a Firenze, libri provenienti da Montecassino e monasteri visitati da Poggio, libri provenienti da Costantinopoli, ottenuti con la mediazione di Crisolora. Nei decenni successivi la biblioteca più rilevante fu quella Medicea, arricchita in particolare da Lorenzo de’ Medici e confluita poi nell’attuale Biblioteca Medicea Laurenziana. A Roma il nucleo fondante della Biblioteca Vaticana fu raccolto da Niccolò V, altre biblioteche sorsero nelle corti quattrocentesche (Napoli, Milano, Ferrara), a Venezia si riconduce la Biblioteca Marciana costituita di codici donati alla repubblica dal cardinale Bessarione. 4.5.5 L’avvento della stampa Tra il 1452 e il 1455 venne stampato il primo libro a Magonza da Johann Gutenberg. Era un volume di due tomi, contenente il testo della Bibbia in latino. Nel 1470 le città europee in cui erano in funzione le tipografie erano 19, nel 1550 divennero 255. La stampa rese possibile una diminuzione dei costi, e l’uso della carta permise una grande diffusione di libri. La prima opera classica data alle stampe fu il De officiis di Cicerone, pubblicato in due edizioni. La stampa in latino di classici era preponderante, come Cicerone era l’autore classico più stampato nella prima fase della stampa. La nuova tecnologia si diffuse subito in Italia grazie a Niccolò Cusano che mandò due ex collaboratori, Sweynheym e Pannartz, per installare una tipografia nel monastero di Subiaco (Roma) e dettero alle stampe alcune edizioni (Cicerone, Agostino, ecc.). I due tipografi si trasferirono poi a Roma per riscuotere così grande successo. Nel 1467 operò a Roma il tipografo tedesco Ulrich Hahn che lasciò poi il suo posto ad Aldo Manuzio che farà di Venezia il principale centro di produzione libraria in Europa. Oltre ai testi in latino, Manuzio dette alle stampe anche testi in greco, precedentemente trascurati per le difficoltà dei tipografi. La diffusione della stampa trovò anche qualche oppositore (es. Federico di Montefeltro), ma già nel XV secolo la produzione manoscritta diminuì fortemente. 4.5.6 Scoperte tardoumanistiche La stagione delle scoperte umanistiche si prolungò fino al XVI secolo con l’acquisizione di qualche ulteriore testo, sfuggito alle ricerche del secolo precedente. Tra i protagonisti di questa fase si ricorda Jacopo Sannazaro che recuperò l’Ausonio copiato a Lione nel XI secolo dagli esuli visigoti. Al tardo umanesimo risale la scoperta di alcuni testi dei quali ci è rimasta solamente l’edizione a stampa, essendo andati perduti i manoscritti dei tipografi. 4.6 LA FILOLOGIA DEGLI UMANISTI Sulla loro filologia Wilamowitz era tagliente, difatti diceva come loro fossero solo letterati, pubblicisti e insegnanti, ma non filologi. La modalità di costituzione del testo (copiare dall’antigrafo il testo, correggere errori e aggiustare corruzioni) però richiedeva una determinata cultura, sensibilità, intuizione del copista. Tale prassi dava spesso risultati deludenti: numerosi codici andarono poi perduti, anche se si sono conservati generalmente i testi che essi contenevano, copiati dagli umanisti. Il contributo filologico del primo umanesimo diventa più consistente se aggiungiamo alla filologia la valutazione dell’autenticità dei testi e le loro attribuzioni. Lorenzo Valla eccelle proprio in questa attività soprattutto nel lavoro sulla falsità della donazione di Costantino. 4.6.1 Controversie filologiche Intorno agli anni 60, le dispute diventano filologiche, investendo probolemi di interpretazione dei testi e fornendo lo spunto per esibire erudizione ed acume filologico. Un’altra novità riguarda l’allargamento degli autori studiati (Marziale, Silio Italico, Plinio il Vecchio, autori di età imperiale). L’approccio filologico resta fondato sulla ricerca di nuovi testimoni, valorizzati singolarmente, o quello della pratica emendatoria. 4.6.2 La filologia di Poliziano In questa generazione di umanisti, Wilamowitz fa eccezione di Poliziano, che inaugura una forma di letteratura filologica che avrà successo anche nei secoli successivi. Proprio con la su Miscellanea, Poliziano pone le basi della letteratura filologica ed erudita con i suoi 100 capitoli dedicati a problemi filologici e linguistici vari. Per la prima volta si trovano in un’opera riferimenti precisi a codici, che ne garantiscono identificazione e individuazione. Poliziano dette vita ad un nuovo sistema di valutazione dei testimoni manoscritti, definendo i rapporti nella trasmissione dei testi. Identificò difatti rapporti di apografia (discendenza di un codice da un altro) e abbozzò il principio che poi diverrà di eliminatio codicum descriptorum: in presenza di due codici, se uno dipende dall’altro, è inutile che questo venga calcolato nella costituzione del testo. Queste acquisizioni di Poliziano verranno recuperate dalla filologia del XIX secolo. 5 I CLASSICI NELL’ETA’ DELLA STAMPA Nel corso del XV secolo, l’antichità classica da oggetto del desiderio diventa oggetto di studio, quindi si assume un atteggiamento più distaccato. Mark Pattison osservò che “il Quattrocento aveva riscoperto l’antichità, il Cinquecento la sta lentamente decifrando”. Difatti si ha comunque ammirazione per gli antichi-giganti, che sono però assunti come modelli da emulare e magari anche superare. I grandi mutamenti del XVI e XVII secolo trasformarono radicalmente prospettive e visioni del mondo. All’epoca di Newton, la cultura classica era ormai pervasiva e parte integrante della cultura moderna. 5.1 L’UMANESIMO EUROPEO Le lezioni di Petrarca da Avignone si irradiarono in Toscana ma anche a Parigi (ammiratore de Montreuil), nel XV secolo l’umanesimo fu trapiantato in Ungheria da Giano Pannonio, in Germania da von Eyb, in Spagna da Inigo Lopez de Mendoza e a Leopoli dove Gregorio di Sanok divenne arcivescovo. Esponenti dell’umanesimo italiano si trasferirono poi in paesi diversi dell’Europa ed ebbero un ruolo di propulsione culturale. L’affermazione delle idee umanistiche arrivò anche alle corti e alle cancellerie, fino ad arrivare nelle università, seppure con grande ritardo. La cultura italiana si poteva notare a Roma (Michelangelo e Raffaello), a Firenze (Machiavelli), a Venezia (Pietro Bembo), ecc. Lo spostamento del baricentro della cultura nell’Europa settentrionale è evidenziato dall’ascesa dei nuovi centri di produzione libraria, che rompono il monopolio della tipografia che era rimasta nelle mani di Venezia. Si affermò difatti una tipografia a Basilea, a Parigi, a Ferrara, ad Anversa, ecc. Fra le personalità che si impongono nella cultura europea si ricordano Reuchlin, che viaggiando in Italia viene a contatto con Pico della Mirandola e Poliziano, sviluppò interesse per l’ebraico e per la cabala e propugnò l’istituzione di cattedre in lingua ebraica in Germania. Budè si occupò di lessicografia greca, commentò testi giuridici e ricostruì i sistemi di misura e monetazione antica. More scrisse l’Utopia ispirato alla Repubblica di Platone e al viaggio di Menippo narrato da Luciano. 5.1.1 Erasmo da Rotterdam Effettuò viaggi in Italia, ma fu attivo a Parigi, Lovanio, Friburgo e Basilea. Fu ammiratore di Valla, ma avversario dell’umanesimo italiano contemporaneo; propugno difatti un umanesimo cristiano, ispirato a Ciceroni ma anche ai padri della Chiesa. Non aderì nemmeno alla riforma di Lutero, infatti venne malvisto dalla Chiesa cattolica. L’opera più nota di Erasmo fu l’ Elogio della follia, ispirata alla satira di Luciano. Al 1516 risale l’edizione del testo greco del Nuovo Testamento, opera per la quale si avvalse delle Adnotationes di Lorenzo Valla. Tra i contributi di Erasmo va ricordata la ricostruzione della pronuncia antica del greco che venne poi chiamata “erasmiana”. La novità principale era della lettera H, che nel greco classico aveva valore di “e” (etacismo), mentre nel greco bizantino veniva considerata come “i” (iotacismo). Quest’ultima pronuncia venne difesa da Reuchlin ed è stata denominata anche “reuchliniana”. 5.1.2 La cultura umanistica tra Riforma e Controriforma Nel 1527 Martin Lutero affisse le sue 95 tesi sul portale della Schlosskirche di Wittenberg, dando inizio ad una nuova vicenda religiosa dell’Europa. Il rapporto della cultura umanistica con la Riforma era ambiguo: • Da una parte riprese istanze di rinascita religiosa (renovatio); • Dall’altra parte la polemica fra Lutero ed Erasmo evidenziò le istanze antiumanistiche della Riforma. Epigrafi greche erano state raccolte nella prima metà del XV secolo da Ciriaco di Ancona, un umanista dedito al commercio ed effettuò numerosi viaggi nel Mediterraneo orientale ed ebbe rapporti con la cultura bizantina e il mondo musulmano. Nel corso dei suoi viaggi scoprì un numero notevole di iscrizioni greche, fornendo schizzi e dando notizie sulla loro ubicazione. Nel XVI secolo il collezionismo divenne pratica diffusa, con la creazione di lapidari nei quali venivano raccolti reperti archeologici, iscrizioni antiche, monete, opere d’arte. 5.3.1 L’epigrafia La prima raccolta sistematica di iscrizioni latine fu pubblicata nel 1588 da Martin Smet. Le diverse spedizioni in Grecia e in Oriente arricchirono il patrimonio epigrafico greco, rimasto inaccessibile dopo la caduta di Costantinopoli. Questi diversi filoni di ricerca confluirono nelle imprese ottocentesche che sono tuttora alla base della ricerca epigrafica (Corpus Inscriptionum Graecarum di Boek, Corpus Inscriptionum Latinarum e le Inscriptiones Graecae di Wilamowitz). 5.3.2 La paleografia L’ostacolo maggiore alla valutazione dei testimoni manoscritto era costituito dalla difficoltà di darne una datazione. Questi tipi di lacuna furono colmate da due benedettini francesi ai quali si deve attribuire la nascita della paleografia: Jean Mabillon e Bernard de Montfaucon: essi catalogarono le scritture testimoniate dai codici e ne delinearono la successione storica, ponendo così le basi per una datazione dei manoscritti basata sulla loro scrittura. 5.3.3 Pompei e i papiri Gli scavi realizzati tra il 1738 e il 1748 ad Ercolano e Pompei ebbero una notevole risonanza in tutta l’Europa, tanto che consentirono a tutti gli uomini di cultura un confronto ravvicinato con una realtà antica conosciuta in precedenza solo da testi e monumenti sopravvissuti. Gli scavi di Ercolano portarono anche alla luce papiri carbonizzati di quella che venne battezzata come la “valle dei papiri”, anche se in quegli anni non era ancora possibile leggerli. Nel XVIII secolo cominciarono a circolare papiri provenienti dall’Egitto, acquistati dai viaggiatori. Il primo papiro pubblicato fu la Charta Borgiana, un papiro non letterario del II secolo d.C. recuperato nella località egiziana di Giza. Le scoperte divennero massicce nella seconda metà del XIX secolo, con l’esplorazione di località egiziane di Arsinoe e di Ossirinco. I reperti papiracei hanno consentito di riportare alla luce testi prima sconosciuti, come quelli greci: Menandro, Saffo, Callimaco, frammenti dei cristiani, ecc. 5.3.4 La scoperta dei palinsesti Grazie all’uso di reagenti chimici, intorno al XIX secolo, si iniziarono a leggere numerosi palinsesti latini. Questa metodologia dell’acido gallico venne utilizzata da Angelo Mai, a lui si deve la scoperta di Frontone e Cicerone (testimoniata dalla canzone di Leopardi). Nel XIX secolo il metodo utilizzato consentiva di leggere la scrittura inferiore a occhio nudo, ma presentava l’inconveniente di danneggiare la pergamena. Il metodo attualmente in uso infatti è basato sui raggi ultravioletti, metodo sicuramente meno invasivo. 5.3.5 La storiografia letteraria La storiografia letteraria dei secoli XVI-XVII restò nel solco di quella umanistica, con ricostruzioni che spaziavano dall’Antichità alla produzione contemporanea (es. Historia critica Latina linguae di Immanuele Walch). Per quanto riguarda la periodizzazione della storia letteraria si tendeva a delineare un’involuzione nella letteratura già dell’età imperiale: Valla la collocava dopo Quintiliano, Guarino Veronese individuava un processo di corruzione nella lingua dell’età imperiale riletta in chiave metaforica (prima fase=infanzia, terza fase=periodo adultoperiodo classico). Questa metafora “biologica” ebbe enorme fortuna nella storiografia della prima età moderna. La divisione fra età aurea per la letteratura tardorepubblicana ed augustea, ed età argentea per quella successiva era frequente nella manualistica ancora qualche decennio fa. 5.4 LA SCIENZA DELL’ANTICHITA’ Alla fine dei XVIII secolo, la cultura classica diventa ambito disciplinare, come la battezza Wolf: “scienza dell’antichità. Lo spostamento degli studi classici portò in Germania. 5.4.1 La carriera di Wolf Friedrich August Wolf (1759-1824) si era formato a Gottingen e divenne docente di filologia e pedagogia all’università di Halle. Durante le guerre napoleoniche, Wolf scrisse “Esposizione della scienza dell’antichità secondo concetto, estensione, scopo e valore” testo che dedicò a Goethe e aveva un programma che trovò una concreta applicazione nella fondazione dell’Università di Berlino. Importante novità fu la netta separazione tra formazione universitaria e quella formazione impartita dalla Chiesa luterana. Ulteriore novità rispetto la cultura umanistica fu il maggiore interesse prestato all’antichità greca rispetto a quella romana. Il modello wolfiano segnò il declino del progetto di Erasmo che aveva individuato nel collegio trilingue di Lovanio le tre lingue fondamentali per la cultura europea: latino, greco, ebraico. 5.4.2 Storia interna e storia esterna La letteratura viene intesa come espressione del popolo e della sua identità nazionale (es. Fichte con i Discorsi alla nazione tedesca). Wolf così ricondusse l’opera degli autori latini al contesto storico e culturale di Roma. Di conseguenza il compito che affidò alla storia della letteratura fu quello di rintracciare nella letteratura latina il Volkgeist (spirito del popolo) dei Romani. Divise così la “storia esterna” (insieme delle notizie sugli autori latini e sulle loro opere) dalla “storia interna” (elementi costitutivi della vita interna dei Romani e del loro sviluppi, in relazione alla storia delle lingue e della cultura). La “storia esterna” coincide in larga parte con la storiografia tradizionale, mentre l’elemento nuovo è proprio la “storia interna”, con la quale lo storico porta alla luce lo spirito profondo della letteratura e del popolo. La distinzione formale tra storia esterna e storia interna venne in seguito diluita, ma l’impianto della storia della letteratura latina è rimasto pressoché immutato fino ai nostri giorni: storia letteraria esaminata nel confronto con la storia di Roma, notizie dei singoli autori collocate nell’ambito di una storia globale. 5.4.3 Le discipline filologiche L’approccio storico delineato da Wolf nei Prolegomena individua una collaborazione tra le diverse discipline, lui ne elenca 24 nell’appendice dell’ Esposizione. Con queste integrazioni, la soluzione wolfiana si impose nelle università europee, nelle quali ebbe grande importanza la “scienza dell’antichità”. Wolf è anche consapevole del fatto che la storia contemporanea sia ormai svincolata dalla cultura antica, e può prescindere da essa, tuttavia mette in guardia dall’abbandonare lo studio della cultura antica. In riferimento ai filologi dei secoli passati, Wolf scrive che lo studioso dell’antichità “sa esprimere nelle lingue moderne spesso più senso e conoscenza dell’antichità”, fermo restando che rimase importante conoscere le due lingue classiche, con la loro cultura e letteratura. 5.4.4 Greci, Romani e altri Con Winckelmann aveva fatto la sua prima apparizione il filoellenismo, che valorizzava soprattutto la statuaria greca. Nella stessa direzione andava la rivalutazione romanica dei poemi omerici, espressione di un’oralità che rappresentava ancora in modo fedele il mondo greco. Si veniva a delineare una sorta di rovesciamento della prospettiva degli umanisti, che avevano privilegiato il ruolo dell’antica Roma. Invece i Romani non fecero altro che imitare i greci, secondo Wolf. Una delle conseguenze dell’idealizzazione della Grecia fu la svalutazione delle altre culture antiche: Egizi, Ebrei e Persiani. Così dal XIX al XX secolo si susseguirono posizioni antisemite e razziste, sulla base delle esclusioni che facevano i Greci sui Barbari. 5.4.5 Fra scienza e storia La “scienza” era concepita da Wolf di tipo storico. Questo suo orientamento storico fu ripreso dall’allievo Boeckh, che esplicitò l’idea della filologia come “scienza storica” e la sistematizzò anche nella sua opera “Enciclopedia e metodologia delle scienze filologiche” (opera ricalcata dall’Enciclopedia hegeliana). Negli anni venti, Boeckh fu in contrasto con Hermann, che privilegiava lo studio delle lingue antiche viste come fondamento degli studi filologici e della loro scientificità. 5.5 IL “METODO DI LACHMANN” Il “metodo di Lachmann” è un mito storiografico, poiché l’attribuzione a Lachmann è conseguenza della risonanza dell’edizione di Lucrezio attribuita a Lachmann nel 1850. Questo “metodo” ha determinato una svolta nella storia della filologia, che ha interessato non solo i testi classici ma anche quelli romanzi, germani, giuridici, caratterizzati anch’essi dalle tradizioni manoscritte. Il successo del metodo lachmanniano fu favorito anche da alcuni fattori concomitanti: la maggiore accessibilità dei codici, il consolidamento della paleografia (consentiva di datare i manoscritti), l’utilizzazione delle tecniche fotografiche (consentì la collazione da parte dei filologi). 5.5.1 Lachmann e i suoi predecessori 1. Crux desperationis (†) : segnalazione del guasto, conservando comunque il testo tradito ma accompagnandolo da questo segno; 2. Emendare il testo corrotto con una congettura. La pratica della congettura riprende la prassi dell’emendatio ope ingenii comune nella filologia prelachmanniana. I criteri di cui un filologo deve tener conto in questa difficile operazione sono in parte già quelli segnalati dalle cosiddette “varianti”, ossia: a. L’usus scribendi, per cui una congettura deve essere coerente con la lingua e con lo stile dell’autore; b. La lectio difficilior, in quanto l’emendatore deve tener conto dell’errore che più facilmente può essere commesso dal copista. 5.5.8 Lacune, integrazioni e interpolazioni La trasmissione del testo può comportare errori, omissioni, aggiunte e interpolazioni. La ricostruzione della tradizione manoscritta deve porre rimedio a questi fenomeni, e vedere se essi si siano verificati solo in alcuni rami della tradizione. Se la lacuna è presente già nell’archetipo, l’editore può in qualche modo supplire ad essa integrando il testo congetturalmente, mettendo la porzione di testo che colma la lacuna tra parentesi uncinate (< >). Più spesso, specialmente se la lacuna è di certe dimensioni, l’editore non può fare altro che segnalarla con uno o più asterischi (***). Nel caso di interpolazioni (porzioni di testo non appartenenti all’originale)è d’uso conservare nell’edizione critica il testo da espungere, collocandolo pero tra parentesi quadre. 5.5.9 L’edizione critica Il risultato dei procedimenti descritti è l’edizione critica (edizione in cui il testo è accompagnato da un apparato che informa il lettore sulle varianti utilizzate dai codici per ciascuna porzione di testo). Per i testi poetici, il rinvio dell’apparato al testo è garantito dal numero dei versi; per i testi in prosa dai numeri di riga. Nell’apparato per ciascun termine o sintagma viene fornita la presenza delle varianti nella tradizione manoscritta. L’apparato può essere “positivo” o “negativo”: POSITIVO quando vengono fornite tutte le varianti dei manoscritti, NEGATIVO quando sono elencate solo le varianti scartate (quindi si procede per esclusione per dedurre i testimoni della variante adottata nel testo). L’apparato fornisce informazioni anche riguardo indicazioni relative a singoli codici, lacune, glosse, correzioni ed altro. Testo ed apparato sono preceduti nell’elenco dei codici, delle relative sigle (conspectus siglorum) e dallo stemma. È d’uso redigere in latino l’apparato e la praefatio. 6 I CLASSICI NELL’ERA DELLA MODERNITA’ Il termine modernus (<modo = ora) compare per la prima volta negli scritti di Cassiodoro che designa la specificità cristiana della propria epoca in opposizione al paganesimo. Nel Medioevo assunse una precisa connotazione storica, denotando quindi l’epoca presente in opposizione all’Antichità, sia classica che cristiana. L’umanesimo però valorizzò gli antichi in opposizione dei moderni. Nei secoli successivi l’Antichità perse i suoi tratti della “tradizione”, differenziandosi dalla nuova modernità ossia quella che emerge dalla cultura umanistica. Mentre nel XVI secolo si vede un equilibrio tra modernità e Antichità, nel XVIII secolo i moderni si allontanano dai classici per dimostrare la loro grandezza. 6.1 ANTICHI E MODERNI Il processo che porta all’affermazione di una modernità ruota attorno ai dibattiti che interessano l’intera cultura europea, tra il XVII e XVIII secolo, e che sono noti come Querelle fra antichi e moderni. 6.1.1 La querelle des anciens et des modernes La Querelle più nota è quella che si svolse nell’ambito dell’Acadèmie francaise, istituzione fondata nel 1635 dal cardinale Richelieu. Tra gli esponenti della modernità si ricorda Perrault, tra i sostenitori dell’Antichità Boileau detto “legislatore del Parnaso” per la sua Art poétique (adattò l’estetica aristotelica al gusto della Francia barocca). Uno dei temi della polemica fu la produzione teatrale in voga nella corte di Luigi XIV: Perrault difatti sostenne il dramma musicale Alceste di Philippe Quinault. 6.1.2 La battaglia dei libri La polemica si spostò negli anni successivi in Inghilterra, dove intervennero personaggi come John Dryden che nella prefazione della sua edizione virgiliana contestò Perrault e Jonathan Swift che difese Temple (che replicò Fontenelle). In questo caso, la filologia diede un’arma ai sostenitori della modernità. Swift difese appunto Temple in The battle of the Books, satirica battaglia dove autori antichi e moderni si contendono la cima del monte Parnaso. Swift lascia in sospeso chi abbia vinto questa battaglia, facendo finta di aver perso i fogli del manoscritto da cui avrebbe appreso la vicenda. 6.1.3 La querelle d’Homère In Francia, qualche anno dopo, riprese la Querelle provocata dalla riscrittura dell’Iliade di Omero da parte di de la Motte, discepolo di Fontenelle. Il lavoro di de la Motte fu quello di modernizzare il poema omerico, aggiustando le sue “imperfezioni”. In questo caso, l’intervento dei moderni non incrinò la fortuna dei poemi omerici. (Per altri adattamenti del testo omerico vedi pag. 221) 6.1.4 Il declino del latino Fra le diverse implicazioni delle Querelle spicca quella linguistica, dove i fautori moderni fanno uso del francesi o altri idiomi moderni a scapito del latino. Il processo fu graduale, frenato dall’oggettiva utilità che il latino comportava. Il latino aveva mantenuto il suo ruolo nell’ambito scientifico, astrologico, botanico, zoologico, nei neologismi, ecc. Nel XVII secolo l’uso del latino come lingua d’insegnamento andò a declinare, anche se in tempi diversi in base ai paesi (rapidamente in Francia, poi Germania, Svezia, Finlandia). Fino al XX secolo l’ultimo baluardo dell’uso del latino rimase la Chiesa cattolica. 6.1.5 I classici e la rivoluzione Già gli umanisti si erano occupati dell’ambito storico, dove la storia era supporto del quadro politico stesso. Il rilievo della tradizione classica nella genesi delle rivoluzioni americana e francese è stato evidenziato da Arendt: “senza l’esempio classico nessuno degli uomini delle rivoluzioni, avrebbe avuto tale coraggio”. Oltre che dalla lettura dei classici, l’entusiasmo per il repubblicanesimo antico fu divulgato dalle rivisitazioni moderne della Roma repubblicana. Particolarmente frequentato fu il personaggio di Bruto, sia del fondatore della repubblica che del cesaricida. 6.1.6 Libertà degli antichi e libertà dei moderni Constant affermava che la libertà degli antichi era quella di partecipare attivamente alla vita pubblica , prendendo decisioni nell’ambito dell’assemblea; mentre diversa era la liberta dei moderni che godono di una libertà individuale, di parola e di impresa, delegando le attività di vita pubblica ai loro rappresentanti. L’errore della rivoluzione fu quello di voler far rivivere la libertà degli antichi, non tenendo conto di queste differenze. 6.2 LA FILOLOGIA TRA METODO E STORIA La filologia testuale, forte del suo metodo stemmatico, si è configurata come centro delle scienze dell’antichità e come disciplina di riferimento nel più vasto ambito degli studi filologici. Il metodo però è stato anche oggetto di dibattici che hanno evidenziato i limiti della sua applicazione. 6.1 Il codex optimus di Bédier Un attacco al metodo stemmatico fu portato avanti dal filologo romanzo Joseph Bédier che, con la pubblicazione di un’edizione del Lai de l’Ombre si basò su un solo codice, il cosiddetto codex optimus così chiamato perché il migliore. Nel 1928 in un intervento Bédier esplicitò le motivazioni per le quale critica Lachmann: per la prevalenza degli stemmi bipartiti, ossia tradizioni manoscritte costituite da due famiglie. La sua conclusione fu quella di basare l’edizione dei testi sul testimone manoscritto giudicato migliore, il citato codex optimus. La soluzione di Bédier vincola l’editore al singolo testimone, di cui egli si limita a correggere gli errori palesi. 6.2.2 Il metodo storico di Pasquali Il metodo di Lachmann venne rilanciato in Germania nel 1927 da Maas, che pubblicò la Textkritik (esposizione che rimarcava gli obiettivi di ricostruzione meccanica che stavano alla base del metodo stemmatico). Questo libretto suscitò la reazione del filologo Giorgio Pasquali che ne pubblicò una recensione, divenuto poi il volume “Storia della tradizione e critica del testo”. Già nel 1920, Pasquali aveva affermato che la filologia non fosse una scienza esatta né una scienza della natura, ma solo una disciplina storica. Ecco il motivo per il quale Pasquali la colloca nel filone storicistico, sulla linea di Boeckh e Wilamowitz. Per Pasquali la ricostruzione della storia della tradizione di un testo è imprescindibile per la critica testuale, al di là della sua configurazione chiusa (che consente una ricostruzione meccanica) o aperta (che consente una ricostruzione scegliendo sul fondamento di criteri prevalentemente interni tra due o più lezioni). Quando la delegazione francese fece inserire nella bozza di preambolo della Costituzione europea un riferimento alla democrazia ateniese, ritorno in auge il tema delle radici della cultura occidentale. L’iniziativa richiamo subito chi avesse desiderato un richiamo alle radici cristiane della cultura. 6.3.8 La crisi del sistema formativo Il sistema educativo degli umanisti era sopravvissuto all’affermazione della modernità, seppure con diversi aggiustamenti. Negli anni ’70 del XX secolo anche questo modello si avviò ad una disgregazione, con il successivo abbandono del latino come strumento di comunicazione. Sono state così formulate diverse difese per l’insegnamento scolastico delle lingue classiche (Gramsci, Traina). Robert Proctor ricava un programma di rivitalizzazione delle humanities, valorizzando la lezione dell’umanesimo e della sua capacità di supportare un nuovo rapporto dell’individuo con la società e la cultura. 6.4 I CLASSICI IN INTERNET La crisi della modernità si intreccia con una trasformazione radicale che ha interessato i sistemi di scrittura dell’epoca del papiro e dell’invenzione del libro. Una rivoluzione che continua con lo sviluppo di reti, affermazione del world wide web e con l’avvento dei motori di ricerca. La videoscrittura in particolar modo ha interessato e rivoluzionato le pratiche di composizione poiché unisce in sé due processi prima separati: scrittura e correzione. Qualche analogia con la scrittura manoscritta è rilevabile nell’attuale editoria on line che consente correzioni e revisioni. Ma le conseguenze che sta portando Internet riguardano la lettura, poiché viene eliminato il contatto tattile con il libro e la visione compiuta della pagina. Ma il dato rilevante è la frequenza con cui l’utente utilizza link e ipertesti e li passa subito in rassegna per selezionare la massa materiale che gli viene proposta. L’effetto è un processo di parcellizzazione e frammentazione nel quale il libro è sostituito da testi più brevi. 6.4.1 Biblioteche digitali La prima iniziativa di biblioteca digitale fu il progetto di Gutenberg, allestito da Hart (1971), che inserì i testi in un calcolatore dell’Università dell’Illinois. Il progetto approdò quasi subito in Internet ed ha avuto varie peripezie, trasferimenti e aggiornamenti. La qualità dei testi offerti dalle biblioteche digitali è variabile e non sempre controllabile, infatti resta incerta la configurazione che potrebbero assumere le edizioni critiche. 6.4.2 Classici più vicini o lontani? L’accesso ad edizioni o testi della prima età moderna è reso difficoltoso anche dalle regole di consultazione vigenti nelle biblioteche. La cultura contemporanea nel rapporto con i classici oscilla fra due opposte polarità: l’identità che mette a fuoco la vicinanza e la comunanza di problemi e l’alterità che esalta la lontananza e la differenza. Bettini auspica che i padri-giganti di un tempo diventino antenati adottivi, validi per la nostra epoca come basi per sviluppare qualcosa di più grande.
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