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Riassunto di "I Savoia. I secoli di una dinastia europea", Sintesi del corso di Storia Moderna

Riassunto che segue i vari capitoli del libro

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

Caricato il 23/12/2023

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Scarica Riassunto di "I Savoia. I secoli di una dinastia europea" e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! Riassunto “I Savoia” La politica internazionale e gli equilibri continentali Tra prima restaurazione e seconda restaurazione, nell’ambito pace Cateau-Cambresis, lo Stato Sabaudo subì notevoli trasformazioni territorialmente e divenne regno a seguito integrazione Regno di Sardegna e poi Regno di Italia. Le politiche dei duchi di Savoia, ispirate da concezioni nazionalistiche, furono in primo luogo dinastiche miranti a rafforzare la dinastia e il suo potere. Scelte di politica estera ad esempio si pensava fossero appannaggio del solo sovrano, ma nuovi spunti fanno vacillare la monoliticità dell’assolutismo sabaudo, ci furono forti divisioni all’interno della nobiltà, basti pensare all’appoggio dei Savoiardi alla Francia, rispetto alla Spagna. Stato che non poté tenersi fuori dai grandi conflitti europei di quegli anni, spesso vittime del vicino aggressivo come prima del 1559 e poi nel 1798. Nei cent’anni dopo Cateau-Cambresis mondo bipolare, Francia e Spagna, quest’ultima all’apice dell’espansionismo e del dominio territoriale, che rimase per buona parte del 17° secolo la dominante. La Francia minata dalla guerra religiosa, si riprese solo nel primo 600’, in Italia visto la sconfitta francese si mantenne la cosiddetta “pax hispanica” e se non bastasse anche la Controriforma in quel periodo contribuì a creare ulteriori disordini. Dati i gravi rovesci di potere antecedenti il 1559 e il debole governo di Carlo II, e con l’occupazione straniera degli anni 30 e un territorio conteso fra Asburgo e Francia. Emanuele Filiberto successore di Carlo II, forte sostenitore dell’imperatore Carlo V del S.R.I., grazie alla vittoria sui francesi acquisì forte prestigio permise la restaurazione di uno Stato, dedicò molti sforzi per evitare il conflitto tra Francia e Spagna e cercò di riappropriarsi dei territori ancora vacanti. Migliorò le difese costruendo nuove fortificazioni e creando una sorta di Milizia sabauda più efficiente, era più incline ai rapporti con la Spagna. Riuscì a recuperare tutte le città mancanti tranne Pinerolo, trasferisce capitale a Torino, per il 1575 tutti i territori torneranno in mano sua. Stipulò accordo con gli Svizzeri, una specie di alleanza, accettò perdita di alcuni territori e concesse libertà religiosa ai protestanti, cosa che fece storcere il naso a Madrid, ma si risolse visto l’importanza strategica come paese di transito per le truppe di Filippo II. Egli riprese i contatti con le altre realtà italiane fra cui Venezia (interrotti per rivendicazioni cipriote), meno fruttuose relazioni con Toscana dato il contrasto in materia di famiglia nobiliare importante, fredde si mantennero i rapporti col Monferrato e Genova a causa delle mire sabaude. Col Papa, interpretò un ruolo importante in quanto cattolico devoto e disposto a combattere contro i protestanti, acquisto credito anche per l’invio di uomini per aiutare gli Asburgo coi turchi e spedì tre galee che riportarono vittoria a Lepanto (1571). Mantenne rapporti con l’elettore di Sassonia, nel tentativo di creare un possibile legame dinastico, diede i suoi frutti in futuro poiché il figlio Carlo Emanuele I si vide riconoscere una superiorità validando le sue origini sassoni. Alla sua morte nel 1580, un uomo di notevoli abilità che garantì una solida base per l’indipendenza e pose le basi per le ambizioni dei suoi successori. Carlo Emanuele I, approccio molto diverso dal padre, ambizioso, Ginevra, Saluzzo e il Monferrato, che portarono qualche acquisizione, ma a costo di molte perdite e con il conseguente riorientamento in direzioni “Italia”, attraverso guerre gravose e rischio di disastro negli anni finali del regno. Il primo tentativo su Ginevra fallì per l’ostilità delle potenze nell’area, ciò lo portò a perseguire rapporti più intricati con la Spagna, al punto di concedere la figlia minore di Filippo II, Caterina, in sposa. Tentò a seguito di questo evento un altro colpo, ma senza l’appoggio di Filippo II, anche questo fallì. A quel punto allora si concentrò sulla Provenza e il Delfinato, soprattutto su Saluzzo, e nel giro di due mesi il Marchesato fu conquistato, scarsa resistenza. A seguito dell’assassinio di Enrico III, si prese la Provenza, sembra che in un paio di anni si sia creata una forza legittimata dai due poteri dell’epoca, ma non è così, questo perché la limitatezza dei mezzi finanziari e militari porterà alla ripresa della Francia dei territori sottratti nel 1590, e dopo la ripresa dell’offensiva e il rischio di un’invasione del Piemonte dovette chiedere la sospensione delle ostilità (1595), coi francesi che occupavano la Savoia, e la mediazione di Papa Clemente VIII, cercò di ammettere suoi funzionari nei dialoghi per la pace, nell’accordo finale però Saluzzo non trovò soluzione a causa della posizione di forza francese, solo tre anni dopo si risolverà grazie alla mediazione del nunzio papale, si tenne i territori ma dovette cederne molti altri e pagare un’indennità, cedette più di quanto acquisì. Nonostante ciò l’accordo rese più compatto e sicuro lo Stato Sabaudo. Al terzo tentativo nel 1602 di rivalsa su Ginevra, con appoggio di Filippo III, che fu un fallimento, finirono ambizioni su quei luoghi. I figli di Carlo Emanuele vennero mandati alla corte spagnola pe migliorare la loro educazione, e propose la creazione di una lega sacra di paesi cattolici, che non trovò però attuazione, e allentò legami madrileni, allora volse ancora lo sguardo alla Francia con cui stipulò un accordo offensivo-difensivo, tutto vanificato dall’assassinio di Enrico IV (1610), il reggente francese si riavvicinò alla Spagna e ciò lo espose alla vendetta iberica che non verrà perpetrata grazie al perdono del re. Tutte queste peripezie riportano le attenzioni sul Monferrato, invaso e conquistato nel 1613, durò poco nonostante sconfitta a Novara degli Spagnoli, e abbandono e riconquista nel 1615, per poi arrivare all’abbandono definitivo nel 1617 con la pace di Madrid, a causa del mancato appoggio francese. Cercò di destabilizzare l’impero aiutando i ribelli boemi e di riavvicinarsi alla Francia attraverso il matrimonio fra Vittorio Amedeo I e Cristina figlia di Enrico IV. Nel 1627 stipula un accordo con il governatore di Milano e si impadronisce di una sere di territori, ma i francesi impegnati nella repressione degli ugonotti, vollero ristabilire lo status quo nella regione e nel 1629, invasero il ducato di Savoia e giunsero all’accordo di Susa, perse Saluzzo il Pinerolo, muore nel luglio del 1630, il suo successore si ritrova con una classe dirigente molto divisa fra Francia e Spagna e si limitò a modellare l’apparato dovendo scegliere fra Francia e Austria scelse la Francia, sposo figlie di nobili di corte francese e partecipò a fianco dei francesi nell’unica occasione dell’intervento contro Ginevra(1782). La rivoluzione francese non fece che peggiorare le cose, visto che una guerra disastrosa contro i rivoltosi portò all’ulteriore perdita di Nizza e della Savoia, con difficoltà interne crescenti ed aiuti insufficienti da Inghilterra e Austria, Carlo Emanuele IV fu costretto ad abbandonare i suoi territori, solo la sconfitta di Napoleone e il crollo dell’impero francese portarono alla “seconda restaurazione” del regno sabaudo nel 1814-15. L’ascesa dei Savoia è attribuibile a diversi fattori, l’importanza strategica del loro stato, l’abilità diplomatica dei sovrani, diplomazia, esercito consistente. L’esercito sabaudo Numero considerevole di uomini, permanente e affidabile, con la creazione della milizia e l’obbligo di servizio militare per tutti i maschi da 18 a 50 anni (1560). Circa 20mila uomini, allo stesso tempo forza più ridotta a guarnigione dei confini e delle fortezze più importanti nonché alla sicurezza del re, molti di questi erano mercenari svizzeri, accordi di Filiberto coi cantoni svizzeri in caso di guerra 12mila fanti svizzeri arruolabili. Durante la tentata conquista di Genova (1625) raggiunse picco di 26500 uomini, poi subì una riduzione di organico notevole dopo riforma del 1659. In linea generale le forze sabaude oscillarono tra i 5000 e 6000 nei decenni prima del 1690, durante la guerra dei Nove Anni il numero triplico arrivando a 24000, fino ad arrivare a 26mila durante la successione spagnola nel 1702, con la pace poi questo numero scese di nuovo però non sotto i 10mila elementi. Durante il periodo fra successione polacca e successione austriaca si toccarono punte rispettivamente di 43mila e 55mila uomini, dopo il 1748 tornarono nuovamente a 35mila e non scesero più con la Francia repubblicana minaccia costante. Alla prima reggente si deve inoltre l’istituzione di due organi amministrativi fondamentali, Ufficio del soldo (paghe e vettovagliamenti) e Segreteria della Guerra (garantire adeguata preparazione militare). La separazione in reggimenti provinciali consentiva la mobilitazione di truppe velocemente e ad ogni evenienza, era uno degli stati all’epoca con un rapporto soldati/sudditi altissimo, la riforma della milizia contribuì ad acuire la militarizzazione della società sabauda. Per quanto riguarda la marina, le navi erano poche e spesso commissionate ad altri stati o ottenute assieme ai territori conquistati, molto primitiva dovette sempre fare affidamento su forze estere per la difesa di territori insulari, piccola e debole continuava a dipendere dalle forze navali inglesi. Lo stato sabaudo dipese inoltre molto dal reclutamento di stranieri, soprattutto Svizzeri e tedeschi. La diplomazia sabauda L’ottenimento del sostegno straniero fu spesso opera della diplomazia, la cui qualità elevata nessuno metteva in dubbio, sicuramente esercitava più influenza della modesta potenza militare. Le mosse diplomatiche, dai vari voltafaccia alla Convenzione di Torino dimostrano la versatilità e la qualità dei ministri del regno all’estero. L’ascesa dei Savoia fu accompagnata dalla costruzione di una fitta trama diplomatica all’estero. L’andamento della rete diplomatica andò di pari passo con la presenza di diplomatici stranieri a Torino, la guerra dei Nove Anni inoltre comportò la comparsa di molti delegati di principi italiani richiamati dall’imperatore che auspicavano una mediazione sabauda. Si era formata una comunità di diplomatica nella capitale sabauda, Torino divenne un importante centro di negoziato ed informazione, sicuramente positiva sotto molti aspetti, ma anche negativa dato le possibili attività spionistiche straniere, la comunità diplomatica godeva di molti privilegi, finanziari, giudiziari, religiosi e in fatto di cerimoniale, per non parlare della possibilità di intrattenere scambi informali e/o segreti con le corti straniere, tuttavia i vantaggi erano assai superiori alle difficoltà. Ciò comportò in primo luogo un aumento spropositato di corrispondenza e documenti scritti, sia interni che esterni e la necessita di creare un organismo amministrativo della politica estera che fino a quel momento era l’Ufficio del segretario di Stato e non esisteva ufficio affari esteri, fu Vittorio Amedeo a suddividere nel 1717, l’ufficio tra due segretari uno responsabile solo di affari interni e l’altro affari esteri, suddivisione di stampo francese con vari ministeri specializzati, si verificarono scontri sulla competenza dei segretari dato la natura non sempre chiara e netta del tipo di rapporti, problemi risolti con commissioni congiunte. Le persone comunque continuavano ad essere più importanti degli uffici, la carica restò spesso vacante e spesso vi era anche un solo segretario, per non parlare dell’intervento diretto dei vari duchi che non era assolutamente raro, come il negoziato di Carlo Emanuele I con Luigi XIII, per concordare alleanza con Asburgo o come Vittorio Amedeo II che negoziava personalmente con diplomatici stranieri, e non tralasciamo il fatto che il circuito diplomatico ufficiale non era l’unico canale informativo del monarca, ma anche le varie corrispondenze con parenti, figlie date in sposa ad altri regnanti ecc. costituivano ottimo materiale. Fu Vittorio Amedeo III nel 1774 ad aumentare le paghe e le retribuzioni accortosi dell’importanza cruciale di queste figure. Ma qual era lo scopo di tutto ciò? Raccogliere informazioni, in maniera più o meno segreta, negoziare, rappresentare il sovrano, tutte cose fondamentali per lo stato a quei tempi, alleanze, operazioni di guerra, trattati di pace, ma anche negoziare ai fini della continuazione della dinastia. In conclusione da stato minore e vulnerabile divenne potenza regionale, grazie prima di tutto a posizione strategica e all’abilità dei duchi e dei diplomatici, garantendosi sempre l’appoggio necessario in ogni situazione e condizione, in gran parte grazie alla enorme opera diplomatica. Dinastia, Stato e amministrazione Casa Savoia non era italiana, la sua trasformazione inizia con il 13esimo secolo e si conclude con l’unità di Italia, gli storici fanno spesso appello al cambio di capitale da Chambery a Torino, come una sorta di vocazione italiana ma le cose stanno diversamente, qualsiasi possibilità di espansione verso ovest dopo il 1486 fu impossibile, dopo la devoluzione della Provenza alla corona francese, dunque la scelta del Piemonte e di Torino pare quasi obbligata e predeterminata, con l’acquisizione di Saluzzo fu l’apripista per l’unica espansione possibile verso est, verso l’Italia. Col trattato di Lione (1601), qualsiasi sogno verso Ovest cessò, oltre alla facilità con cui i francesi potevano conquistare i territori transalpini del duca. A seguito di questi eventi la spinta totale fu ovviamente verso Est, Lombardia in primis e Genova, col trattato di Utrecht poi si concesse status regale e la Sicilia, poi Sardegna, ma il posto fra le teste coronate d’Europa se l’era conquistato. Lo stato sabaudo mantenne la sua natura poliglotta e culturalmente diversificata, tutti gli ambiti amministrativi erano bilingui, per non parlare della moltitudine di dialetti, a tenere insieme quest’eterogeneità c’era solo la fedeltà alla dinastia regnante. Uno stato dinastico quindi che basava tutto sulla famiglia al potere e che fu fortunata a non incappare mai in brusche interruzioni di discendenza, ma anche furba e abile nel progettare al meglio le discendenze. Ci fu la guerra civile e varie reggenze, ma riuscirono sempre ad arrivare alla fine e a dare il potere al sovrano designato, la continuità dinastica non fu mai realmente in pericolo e l’integrità dello stato mai messa a repentaglio. Dopo la guerra civile la linea dinastica di Maurizio si estinse e tutto tornò alla normalità, la famiglia di Tommaso sopravvisse e prosperò e sostituirono al trono nel 1831, di base le linee secondarie o si estinsero o vennero riassorbite da quella principale. Le scelte matrimoniali furono sempre determinanti per l’espansione territoriale, fu una sorta di dinastia cosmopolita per gli intrecci matrimoniali creati in varie case reali europee. La fede cattolica contribuì a tenere unite le popolazioni e a legittimare l’autorità, politica e religione si fusero, la nobiltà fece grosso affidamento sul clero e viceversa. Le uniche due minoranze che rifiutavano la sacralità dei sovrani erano gli ebrei e i protestanti valdesi, i primi sparpagliati in varie città Piemontesi e i secondi nelle exclave alpine di Pinerolo, entrambi questi gruppi potevano esercitare un’influenza negativa che rischiava di minare la fede, vennero create dunque della comunità-ghetto per gli ebrei, tollerate e protette e sottoposte a regole ferree, tutto ciò per evitare al massimo i contatti, le relazioni coi valdesi furono più frastagliate da persecuzioni e episodi di violenza. Questo perché il protestantesimo era visto come rivoluzione in un’ottica principalmente cattolica, e casa Savoia si identificava nella causa del cattolicesimo contro gli eretici, ricordo che in quanto principi cattolici erano anche vincolati al rispetto dell’autorità del Papa, si scontrarono comunque spesso con papi e gerarchia ecclesiastica, soprattutto riguardo i benefici del clero, quali l’immunità fiscale, diritti venne creato l’ufficio di controllore generale delle Finanze a cui fu affidata la supervisione delle entrate e delle uscite, nel 1588 venne istituito il Consiglio delle Finanze, le finanze vennero comunque distribuite e raccolte disordinatamente, rendendo difficile anche fare i bilanci e le previsioni di spesa, tant’è che lo Stato divenne sempre più dipendente dal credito, poiché la capacità contributiva della popolazione aveva raggiunto il suo limite, e questa cosa fece sì che cominciò una grave depressione commerciale e agraria che colpì la penisola e la maggior parte d’Europa nel 1620, con l’inevitabile crescita del debito pubblico. Dall’inizio del 17esimo secolo ci fu un tentativo di revisione della tassazione per renderla più equa la ripartizione, attraverso la creazione di intendenti provinciali. Ci fu una crescita esponenziale della nobiltà di servizio, a causa dell’espansione impressionante dell’apparato statale ciò consentì di percepire le tasse in modo più efficiente, la burocrazia sabauda fu comunque la più ridotta in Europa, la crescita dell’apparato fiscale si abbinò alla crescita della macchina giudiziaria. Nel 1538 vennero create a Torino due corti di stampo francese, “Parlament” e “Chambre des Comptes”, che si mantennero, solo il Parlament venne rinominato Senato, la creazione di queste istituzione contribuì probabilmente allo spostamento della capitale, Vittorio Amedeo II in seguito abolì la “Chambre des Comptes” perché si opponeva sistematicamente alle sue riforme e mantenne la Camera di Torino come unica alta corte con giurisdizione fiscale. I patrizi che governavano il consiglio cittadino non gradirono affatto le richieste di tasse e donativi avanzate dal duca, la municipalità divenne un docile strumento nelle mani del sovrano, la perequazione ebbe come effetto principale il disconoscimento di molte esenzioni fiscali rivendicate dagli ordini privilegiati, questo illustra perfettamente il serio ostacolo del sistema di privilegi costituisse allo sviluppo di un apparato statale assolutistico, il programma riformatore di Vittorio Amedeo II riguardò anche materie sociali e culturali, divieto di accattonaggio, i vagabondi vennero raccolti e sistemati negli ospizi di mendicità, l’accattonaggio continuò comunque, la riforma dell’istruzione, l’assistenza ai poveri che affidò ai laici e non più al clero. Laicizzazione della carità e dell’istruzione rientravano in un attacco di grande portata alla giurisdizione clericale, che riguardava anche la riduzione delle immunità fiscali del clero tramite perequazione, e limitazione del potere dei tribunali ecclesiastici. Forte bisogno oltretutto di incoraggiare lo sviluppo economico, attraverso creazione di un porto franco a Nizza, una scorta di granaglie e la suddivisione delle terre in piccoli appezzamenti, tutte queste riforme volute anche da Bogino (ministro affari esteri specialmente Sardegna), estese perequazione a Valle d’Aosta integrandola nello Stato anche fiscalmente, abolì la schiavitù nel ducato di Savoia, Vittorio Amedeo III lo licenziò e nominò un’altra squadra di ministri, l’abolizione della servitù fu sospesa, venne riesumata dopo un paio d’anni. Con la rivoluzione francese, oberato da una grave crisi economica, diviso da lotte di fazione e dato il legame coi Borbone il regime era legato alla controrivoluzione, con lo scoppio della guerra e la conseguente invasione francese del 1792, Vittorio Amedeo III decise di unirsi alle forze contro la Francia, ma la popolazione era troppo scontenta per insorgere in difesa dei sovrani cosicché l’esercito napoleonico conquistò il Piemonte in tre settimane e impose una pace umiliante, due anni dopo un’ulteriore occupazione costringerà all’esilio in Sardegna Carlo Emanuele IV e dove corte e governo sabaudo rimasero fino al 1814. I Savoia: una dinastia europea in Italia Per la dinastia la sacralità era un elemento fondamentale, un altro pilastro delle dinastie europee al tempo era il valore dell’antichità e della continuità dinastica, come ogni regola ci fu un’eccezione, l’Italia, dove l’azione papale creò nuove dinastie, per non parlare delle dinastie che continuarono attraverso rami illegittimi, cosa impensabile per le dinastie europee. All’inizio del Cinquecento, Champier (un medico), propose una gerarchia dei sovrani, dividendoli in tre gruppi, i re che erano anche detti imperatori (re dei Romani), i re non imperatori (re di Spagna, Inghilterra) e infine i principi né re né imperatori. I duchi e i marchesi avevano l’autorità di re, ma dovevano essere investiti dall’imperatore, questo dato la persistente rete di legami feudali fra Impero e Stati Italiani, che seppur svincolate, non potevano mai operare senza tener conto dell’appartenenza all’Impero. Arciduchi, granduchi o duchi e marchesi erano condannati a non essere re, gli imperatori non vollero promuovere nessun principe, la politica imperiale era solo imperatore con sovranità regale. Origine, antichità e autorappresentazione Dal Quattrocento sino alla fine del Settecento i Savoia, si sentirono e rappresentarono come una dinastia tedesca, un ramo degli antichi imperatori sassoni, non era una questione genealogica ma politica. Feudatari dal 1300 i Savoia erano stati compresi nel Corpo Germanico e avevano acquisito diritti e doveri di principi tedeschi, non rinunciarono mai al diritto di mandare rappresentanti alle Diete, Amedeo VIII nel 1416 ricevette dall’imperatore il titolo ducale, Emanuele Filiberto convinse i duchi di Sassonia a riconoscerli come linea cadetta, a seguito di questo avvenimento ordinò la stesura di una storia dinastica e incaricò gli ambasciatori di raggiungere un accordo per un trattato sulla successione in caso di estinzione di una delle dinastie. Carlo Emanuele I inviò ambasciatori alla Dieta nel 1582 per ottenere il vicariato dall’Imperatore che fu più che favorevole alla cosa, ampliarono così il vicariato su tutta l’Italia imperiale. Una piccola crisi si ebbe quando durante la Prima Guerra del Monferrato, dopo la rottura del duca con il re di Spagna, lamentò l’appoggio imperiale a quest’ultimo da parte dell’imperatore. Carlo Emanuele I tentò anche di farsi eleggere re di Boemia per aspirare al trono imperiale, progetto che mancava di concretezza politica ma giuridicamente fattibile. A metà del Seicento i rapporti con l’Impero si raffreddarono, quando lo stato sabaudo entrò nell’orbita francese, con la prima reggenza (Maria Cristina), si riavvicinò all’Impero attraverso politica matrimoniale, fece sposare la figlia col duca di Baviera. Nel 1790 Vittorio Amedeo III valutò la possibilità di ottenere un seggio da principe elettore, i Savoia videro sempre l’Impero come strumento delle proprie ambizioni, consentì loro di aver controllo su molti domini ma impedì d riunirli sotto un'unica entità politica. Dal punto di vista imperiale uno stato sabaudo non esistette mai, era solo un feudo imperiale, solo dopo la Restaurazione del 1814, quando l’Impero orami era scomparso, i Savoia potranno ambire ad un unico regno di Piemonte. La storia della dinasti fu comunque terreno di battaglie politiche ecco perché prestarono molta attenzione verso di essa, in realtà dopo Emanuele Filiberto la percezione di Casa Savoia era quella di normali principi italiani. Con l’incoronazione di Carlo V, Carlo II aveva una posizione di preminenza rispetto al resto dei principi italiani, era riconosciuto come rango anche da un cerimoniale pontificio, ma il principio di antichità dinastica prevalse sempre nel decretare l’importanza di una casata regnante. Carlo Emanuele I ordinò opere che ribadissero la discendenza sassone, cantare le glorie sabaude, il progetto più importante fu la Galleria di Palazzo Ducale, la storia della dinastia fu al centro di incisioni volute da un cardinale, che rappresentassero la gloria dei Savoia sulla scena romana. La guerra civile segnò una svolta, durante la reggenza non cessò la celebrazione dell’antichità dinastica, ma il personaggio che buca la scena è Luigi III, fratello di Maria Cristina, che riconosce il legame parentale del figlio di sua sorella, Carlo Emanuele II viene presentato quindi come un principe francese. Fra Cinque e Seicento, per mano di giuristi e letterati medicei, si negava il valore dell’antichità come principio gerarchico delle dinastie. Per quanto riguarda le cerimonie esemplare è il caso della reggia di Venaria, Vittorio Amedeo II, rinnovò gli ambienti e organizzò un percorso cerimoniale, una serie di sale allestite con tutte le dinastie europee con in mezzo anche i Savoia, il racconto dell’antichità dinastica non fu l’unica modalità di autorappresentazione dinastica, particolare attenzione si prestò anche ai santi e ai beati e alla diffusione dei loro culti, avere santi era necessario ogni dinastia ne aveva, col tempo si perse il rilievo della sacralità regale, si vide sempre più diminuire l’importanza del sacro. Le dinastie dell’Impero s’impegnarono a costruire una propria sacralità, in modo tale da renderla persuasiva e pervasiva. L sacralità sabauda ebbe due fasi, fase ducale in cui il riferimento principale fu San Maurizio e fase regale in cui il riferimento fu il beato Amedeo (Amedeo IX), il culto della Sindone restò costante nel tempo. La creazione di una rete di santuari sul territorio da parte di Emanuele Filiberto e Carlo Emanuele I, per conquistare la religiosità delle province, diversi principi sabaudi si fecero rappresentare nelle vesti di santi, la religiosità dinastica si espresse soprattutto attraverso cerimonie e simboli legati ai due santi principali, il culto di San Maurizio conobbe fortuna, altre dinastie lo riconobbero patrono (Sassonia, Borgogna) la spada di Maurizio era la grande reliquia del santo, la rivitalizzazione del culto in età moderna è da attribuire a Carlo Emanuele I, il braccio destro del duca in questo settore fu il sacerdote Baldesano, istituì un giorno di festa in tutto lo stato il giorno del santo, promosse artisticamente rappresentazione differente, per non parlare della cerimonia di incoronazione di Palermo che fu una pietra miliare della storia sabauda. Non solo ottenimento del titolo regio, ma anche riconoscimento di un’antica e prestigiosa regalità, l’iconografia sabauda cambiò, l’elemento più evidente fu il manto regale rosso tempestato di croci bianche di Savoia, lo scettro non prese il posto del bastone di comando, il passaggio alla Sardegna non sortì alcuna celebrazione, né il sovrano e tantomeno i suoi successori visitarono mai l’isola. Dal settecento in poi l’importanza delle celebrazioni dell’incoronazione scemò e venne meno l’alone di sacralità che permeava il tutto. Fu l’ultimo tassello della lenta conquista sabauda di tutti i privilegi e di tutte le aspirazioni fattibili a cui ambiva la casata, tutti riconobbero la capacità e le abilità politiche di questa dinastia, soprattutto la capacità di mantenere la continuità dinastica e saper aspettare quando serviva. La morte di Carlo Felice nel 1831 chiuse una continuità dinastica che durò 8 secoli, con Carlo Alberto infatti salì al trono la linea cadetta dei Savoia Carignano, con Tommaso suo capostipite, che per la maggior parte degli Italiani si identifica con i Savoia, anche se si tratta di un vero e proprio cambio di dinastia, ancor oggi le vicende dei Carignano sono principalmente sconosciute. Carlo Alberto sfruttò la storia, l’immagine e i simboli dei suoi predecessori, usando l’antichità come legittimazione del potere, si poneva in piena continuità con i suoi predecessori, decise di non chiedere il giuramento, fondò un nuovo ordine cavalleresco, Ordine civile di Savoia (destinato ad artisti, studiosi e scienziati), riformò quello mauriziano, ebbe una grande attenzione alla sacralità dinastica, infatti vennero poi proclamati beati nel 1838, Umberto III, il quale si affiancò ad Amedeo come protettore della dinastia, e altri 3. Fu promotore di un profondo rinnovamento dell’iconografia dinastica, cercò anche di recuperare l’anello di San Maurizio, ma senza successo. Con il passare del tempo però l’abito del sovrano assoluto poco aveva a che fare con quello di un sovrano costituzionale, la rusticità di Vittorio Emanuele II quindi non è da interpretare come ignoranza o vita borghese, semplicemente visse le difficoltà di essere al tramonto dell’Antico Regime e diede la sua risposta personale. A metà dell’Ottocento in diverse monarchie europee l’universo simbolico tipico dell’Antico Regime era visto come un elemento negativo, la crisi di riti, cerimonie e istituzioni ci fu anche nello stato sabaudo, anche Vittorio Emanuele II se ne accorse e trasformò l’Ordine dei santi Maurizio e Lazzaro in ordine di merito. Il regno di Italia fu breve, la sua esistenza coincise col periodo in cui le monarchie europee ridefinirono profondamente forme e senso del cerimoniale, la frattura con la Chiesa fece sì che i Carignano non potessero attingere a forte sacralità nelle cerimonie, e alla morte di Vittorio Emanuele II, non si poté svolgere alcuna incoronazione a causa di questa rottura, a segnare l’ascesa era ancora il giuramento solo che era il re a giurare fedeltà allo Statuto in Parlamento. Mentre le altre dinastie europee cercarono di reinventarsi per ottenere consenso popolare i Carignano non ci riuscirono e questa probabilmente è la causa della brevità del loro governo. La corte dei Savoia: disciplinamento del servizio e delle fedeltà Torino e la sua corte divennero palestra politica e di diplomazia riconosciuta internazionalmente, da un’aristocrazia tutt’altro che digiuna nelle arti di governo. Nessuna aulica rovina era in grado di competere a Torino con la fama di città come Firenze, Roma, Venezia e Napoli, la capitale sabauda si avviava a diventare piuttosto un laboratorio politico, una città apprezzata da chi guardava al presente. All’epoca avvicinarsi al duca significava per molti signori rafforzare il proprio rango, il ruolo politico e culturale della corte, fino a Carlo II sfilacciato, si stava affermando, vennero create gerarchie di “ufficiali”, laici ed ecclesiastici, legati ai ranghi della corte. Con l’ordine di San Maurizio sarebbe dovuto nascere un cenacolo di funzionari e consiglieri ducali raccolti in un vero e proprio ordine religioso, ma tale cenacolo non sopravvisse alla morte di Amedeo VIII, l’idea sarebbe tornata alla mente di Emanuele Filiberto oltre un secolo dopo (ordine dei santi Maurizio e Lazzaro). I domini sabaudi si erano affacciati al Quattrocento già caratterizzati da punti fermi nel panorama istituzionale del tempo, la corte andava affermandosi sul piano artistico, il tasso di urbanizzazione era risultato relativamente basso e il controllo su Ginevra e Losanna non fu mai completo. Ma quali erano le dimensioni dei centri urbani sabaudi? Molto limitate, solo Chieri e Vercelli, Nizza e Ginevra oltrepassavano i 5mila abitanti. L’avvio della preminenza politica di Torino si era compiuto a partire dal Quattrocento. Si era aperta anche una nuova fase di espansione verso la Pianura Padana, anche se fu infruttuosa, tralasciando la conquista di Vercelli. Le prerogative ducali erano state imposte anche attraverso trasformazioni delle fonti del diritto, i “Decreta seu statuta” del 1430 avevano rafforzato la potestà principesca nei confronti dei diritti locali e diritto comune. Dagli anni ’50 del ‘400 si trovo praticamente sotto protettorato francese informale, fino alle lotte intestine dopo la prima reggenza, a distanza di un secolo nel primo ‘600, Torino si era ormai conquistata la funzione di luogo della corte, la ridefinizione dei confini dello Stato ebbe come riflesso sull’organigramma di corte, la scomparsa del servizio di alcuni sudditi, ma attrasse molti da paesi stranieri, la corte divenne meta ambita da un buon numero di italiani, che cominciavano a notare il vantaggio di acquisire un’onorificenza sabauda e la possibilità di prestare servizio nella corte dei Savoia garantiva prestigio maggiore rispetto alle altre casate. Per non parlare poi dei numerosi figli naturali sparsi in tutte le corti europee, con vere e proprie deleghe di rappresentanza e sul piano matrimoniale che li vedeva già ampiamente presenti sul panorama europeo. Le élite di corte non erano destinate ad una presenza passiva all’interno di essa, ma quella di soggetti contraenti dotati di una certa facoltà di manovra e ciò non fece che accrescere la popolarità di questa corte. Le deboli strutture statali però avevano alimentato fra i cortigiani, insicurezza e smodata ricerca di protezione e forte spirito di concorrenza. Il fascino esercitato dalla corte però restò immutato durante l’Antico Regime, le principali cerimonie che per secoli sopravvissero oltre le varie crisi, furono i giuramenti e gli atti di dedizione pronunciati dai nobili, dal clero e dalle città, peculiarità la mancata introduzione dell’incoronazione reale, su stampo spagnolo. I cerimoniali richiamavano principalmente il passato e la necessità di ostentare la sovranità, durante il periodo di Carlo II, si delineò la distinzione tra cortigiani e tra servizi di corte, che fecero emergere in tutto per tutto la gerarchia di ceto sul profilo di una corte di Antico Regime, fu sempre più frequente l’impiego di nobili per i servizi di corte rispetto ai non titolati. La corte costituiva il centro nevralgico del potere politico e simbolico, familiare e amministrativo esercitato dal duca, quanto alle suddivisioni in quartieri dei servizi resi a corte, si trattava di una rotazione trimestrale che consentiva dia affidare la stessa carica a quattro persone diverse. La corte costava molto e gravava sul bilancio statale per circa un terzo, gli stipendi erano commisurati alla carica e al grado. La ricompensa in denaro delle più alte cariche aveva più un valore simbolico che concreto, addirittura alcuni dovevano mettere in conto di sostenere costi di rappresentanza di tasca propria. Dopo la morte di Carlo II, Emanuele Filiberto modellò il suo entourage sulla duttilità, rifacendosi a impero e spagnoli. L’influenza degli uomini d’armi si fece sempre più pressante con l’arrivo del Seicento, si delineava una corte che avrebbe destinato posti agli appartenenti al ceto militare, la politica nei confronti del clero fu un altro punto fondamentale, i Savoia utilizzarono il loro rapporto con la Chiesa in modo strategico e simbolico, non tesero a legarsi allo stato pontificio mediante acquisizione di porpore cardinalizie, solo un Savoia divenne cardinale, a impedire ciò fu anche la mancanza di cadetti. Le grandi monarchie europee ottenevano piuttosto nomine cardinalizie per esponenti delle maggiori famiglie di corte, e dopo l’acquisizione del titolo regio questa sarebbe stata anche la linea sabauda. Tornando al Cinque-Seicento, la presenza di religiosi alla corte di Torino era garantita dalla cappella ducale che si consolidò sempre di più. Contava stabilmente un elemosiniere, 5 cappellani e due chierici. Al vertice il Gran elemosiniere, era praticamente assimilabile ad un vescovo di corte, si occupava della distribuzione delle elemosine, visto la carità cristiana d’obbligo per i sovrani sabaudi, il Giovedì santo per esempio assieme al sovrano lavava i piedi a 13 poveri, li accoglieva a pranzo e li congedava con una offerta, si occupava del culto della Sindone, aveva così assunto le sembianze di un uomo di corte diviso fra clero e stato. Gli ordini mendicanti talvolta vennero sostituiti dai gesuiti per quanto concerneva la confessione dei principi e divennero interlocutori insostituibili. Da una prospettiva internazionale, la corte fu toccata in quei periodi, soprattutto dalla disputa per il titolo regio cipriota, la rivalità più forte si ebbe coi Medici di Firenze, tale competizione sarà destinata a durare circa un secolo e mezzo, fra 1598 e 1601 anche i duchi di Mantova entrarono nella disputa per diventare re di Polonia. Sorgeva la pretesa di Genova (Regno di Corsica) e Venezia (Cipro) mentre si riaccendeva la rivalità coi Medici, intanto le due corti avevano fatto di tutto per rendere l’apparato statale il più comunque corredata da ritrattazione ed ebbe grossa diffusione in Europa, l’intervento dell’Ordine barnabitico riuscì ad evitargli provvedimenti più gravi e ripercussioni spiacevoli sulla congregazione. L’assetto dato da Filiberto all’Università aveva un lato debole, quello finanziario, l’indipendenza economica dello studio non era sufficientemente garantita e questo assieme alla peste determinò la decadenza degli studi universitari nel 17esimo secolo. Carlo Emanuele III cercò di ovviare al decadimento universitario, introducendo norme per evitare abusi e la sua consorte Maria Battista cercherà di decretare la scelta dei docenti attraverso concorso pubblico con poco successo, il sovrano volle fermamente al suo servizio Guarini architetto e matematico modenese affermato, la sua perfetta padronanza dello strumento matematico e l’attenzione ai più disparati modelli, classici, islamici, rinascimentali e barocchi gli permisero di creare uno stile molto originale e innovatore. Egli elaborò anche un nuovo progetto che reinventava la struttura della cappella, soprattutto la cupola è considerata un capolavoro di geometria, simmetria ed eleganza. Vittorio Amedeo II, abile politico e tessitore di alleanze, soprannominato la volpe, all’interno del suo ampio piano riformista, l’università rivestiva un ruolo centrale, incaricò ambasciatori e diplomatici di raccogliere documentazione e informazioni sulle più rinomate università italiane e straniere. Gli venne presentato un progetto di riforma con le seguenti linee guida, centralizzazione del servizio universitario, stretto legame fra insegnamento, ricerca e preparazione professionale, realismo giuridico, razionalismo e centralità di una cultura libera, antidogmatica e aperta. L’attivazione di tre cattedre di matematica, per trattare nello specifico temi quali, geometria euclidea, meccanica e astronomia, per rendere effettivo il rinnovamento occorreva personale adeguato e ciò avvenne seguito di un reclutamento di intellettuali dalle sedi più prestigiose. Il patrimonio librario ceduto all’università, dopo l’incendio della galleria. Con la partenza di uno dei principali promotori di una più aperta libertà di pensiero nel 1727 (D’Aguirre), si apriva una fase caratterizzata da forte burocratizzazione e da uno stretto meccanismo di censura sui libri e sull’insegnamento, con le ultime riforme di Vittorio Amedeo II si poneva tutta l’istruzione pubblica, sotto l’aspetto amministrativo e didattico, sotto il controllo dell’università. La facoltà delle Arti formava insegnanti e figure professionali, quella di medicina anche la nascente farmacia e fu istituito il Collegio delle province, per permettere a cento giovani di completare gli studi universitari a spese statali. Riguardo le materie fisico-matematiche si succederanno figure di livello modesto che prepareranno il terreno all’importante fioritura della seconda metà del secolo. Si cercò di contrastare l’egemonia aristotelica nel mondo universitario, ma per un vero rinnovamento occorrevano personalità e metodi di insegnamento nuovi, vennero creati laboratori e strutture di ricerca a confermare il maggiore interessamento in questi campi. Nacquero i musei scientifici torinesi, l’Osservatorio astronomico che assumerà importanza internazionale, le riforme furono dettate dall’esigenza di formare una classe di funzionari e amministratori.
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