Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Riassunto di Iconologia di Erwin Panofsky, Sintesi del corso di Storia Dell'arte

Questo è il riassunto da me utilizzato per la preparazione dell'esame con la professoressa Grasso. I capitoli riassunti sono quelli dalla docente considerati come fondamentali; mancano, quindi, i capitoli che dovevano essere di sola lettura. Solo la prima pagina presenta una schematizzazione mista e scritta a mano; il resto è una sintesi scritta al pc.

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 05/11/2023

hari-bell
hari-bell 🇮🇹

2 documenti

1 / 20

Toggle sidebar

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto di Iconologia di Erwin Panofsky e più Sintesi del corso in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! Nell’Apparizione di Roger van der Wejden, come facciamo a capire che il bambino in cielo è inteso come una apparizione? Lo possiamo capire dal fatto che si libra a mezz’aria, ma la sua posizione sembra quella di un bambino seduto a terra su un cuscino. Quindi l’unica ragione valida per supporre che si tratti di un’apparizione è il fatto che è raffigurato nello spazio senza nessun sostegno. Ma esistono tante rappresentazioni di esseri umani animali oggetti che sono sospesi liberamente nello spazio senza che si tratti di un’apparizione. una di esse la miniatura dei Vangeli di Ottone III dove la città di Nain viene rappresentata al centro di uno spazio vuoto. Ecco perché dobbiamo tener conto della storia dello stile: una miniatura dipinta intorno all’anno 1000 non ha interesse per la rappresentazione di uno spazio reale attraverso il realismo prospettico, quindi lo spazio vuoto funge da sfondo astratto, non ha una connotazione miracolistica.nel caso del dipinto di Roger van der Wejden invece c o n s i d e r a t e l e ca rat teri s t i che realistiche del dipinto comprendiamo come si sia di fronte ad una apparizione. “E mentre crediamo di identificare i motivi sulla base della nostra pura e semplice esperienza pratica, in realtà leggiamo quello che vediamo secondo il modo in cui oggetti ed eventi sono stati espressi dalle forme in condizioni storiche variabili” E nel caso del dilemma proposto dall’opera di Francesco Maffei, sul fatto se si trattasse o meno di una Giuditta o di una Salomè, se ci attenessimo soltanto alle fonti letterarie ci troveremmo in alto mare. Allora è necessario applicare il correttivo per la lettura iconografica: come temi o concetti specifici sono stati espressi da oggetti ed eventi. Sappiamo che in Germania e nell’Italia settentrionale diversi dipinti presentano Giuditta con un piatto ma non esisteva alcun tipo di Salomè con spada. Quindi anche il quadro di Maffei rappresenta Giuditta. Questo perché la spada era attributo fisso e onorifico di Giuditta, di molti martiri, e di virtù come la giustizia e la fortezza. Non la si poteva trasferire ad una fanciulla lasciva come Salomè. La seconda motivazione è che durante il 300 e il 400 il piatto con la testa di San Giovanni battista era divenuto in se stesso un’immagine devota, fissando un’associazione stabile tra l’idea della testa di un uomo decapitato e l’idea di un piatto. Il problema dell’iconografia rinascimentale. Ghiberti, Alberti, e Vasari ritengono che l’arte classica fosse stata abbattuta agli inizi dell’era cristiana rintracciando le ragioni della rovina delle invasioni barbariche, nell’ostilità del clero e dei padri paleocristiani. Secondo Panofsky questi avevano torto in quanto non si era avuta durante il medioevo una rottura completa con la tradizione. Le concezioni classiche, letterarie, filosofiche, scientifiche ed artistiche erano sopravvissute attraverso i secoli per esempio dopo essere state messe in auge con Carlo Magno. Però secondo Panofsky è vero chi è l’atteggiamento nei confronti dell’antichità era cambiato con l’avvento del Rinascimento. E quindi il medioevo non è stato affatto cieco ai visuali dell’arte classica; ma alla fine del periodo medievale i motivi classici non erano impiegati per la rappresentazione di temi classici e i temi classici non trovavano espressione per mezzo di motivi classici. Esempio: facciata di San Marco a Venezia vediamo due rilievi di uguale dimensione: - uno è un’opera romana del III secolo d.C. - l’altro era stato realizzato a Venezia quasi 1000 anni dopo I motivi sono simili tanto che si suppone addirittura che lo scultore medievale abbia copiato deliberatamente l’opera classica. Ma - Il rilievo romano presenta Ercole che porta al re Euristeo il cinghiale d’Erimanto. - il maestro medievale trasforma il racconto mitologico in una allegoria della salvezza sostituendo con un drappo fluttuante la pelle di leone, con un dragone il re, con un cervo il cinghiale. Si tratta di prestiti diretti e intenzionali di motivi classici per esprimere dei temi cristiani: pensiamo all’adorazione dei Magi di Nicola pisano in cui il gruppo della vergine e del bambino rivela l’influenza del sarcofago di Fedra Queste interpretazioni venivano favorite da una certa affinità iconografica, come quando si impiegava la figura di Orfeo per rappresentare Davide o si adattava il tipo di Ercole che trascina Cerbero fuori dall’Ade per ritrarre Cristo che trae Adamo fuori dal limbo. In altri casi la relazione tra prototipo classico il suo adattamento cristiano é puramente compositivo. Però qualora invece si dovessero illustrare temi pagani o classici allora si adoperano invece motivi non classici: Enea Didone che vengono raffigurati come un elegante coppia medievale che gioca a scacchi, Laocoonte ritratto come un vecchio selvatico e calvo in costume contemporaneo che assale toro sacrificale con qualcosa che sembra essere una scure. Perché c’era questa separazione tra motivi classici che venivano investiti di un significato non classico e di temi classici che erano espressi attraverso figure non classiche? Secondo Panofsky la risposta più ovvia sembra consistere nella differenza tra tradizione rappresentativa tradizione testuale: - Chi impiega il motivo di Ercole per offrire l’immagine di Cristo o il motivo di un atlante per offrire le immagini degli evangelisti agiva sotto l’impressione di modelli figurativi che aveva dinanzi agli occhi - Chi rappresentava Medea come una principessa medievale o Giove come un giudice medievale traduceva in immagine una pura descrizione ritrovato nelle fonti letterarie Panofsky afferma come la tradizione testuale attraverso cui la conoscenza dei temi classici in particolare mitologici si trasmise e resistete durante il medioevo è importante perché da questa tradizione complessa e spesso corrotta, più che dalle fonti classiche genuine, molti trassero le proprie nozioni di mitologia classica anche nel 400. I filosofi greci più tardi avevano già preso ad interpretare i dei e i semi-dei pagani come pure personificazioni di forze naturali o di qualità morali o a definirli come esseri umani ordinari successivamente divinizzati. Nell’ultimo secolo dell’impero romano queste tendenze si erano anche rafforzate. Si giunge al punto in cui il mondo pagano è ormai estraniato alle proprie divinità tanto che il pubblico colto doveva ricorrere alla letteratura, nelle enciclopedie, nei poemi o nei romanzi didattici per saperne qualcosa. Sorgono quindi scritti tardo antichi in cui personaggi mitologici vengono interpretati sul piano allegorico, cioè vengono moralizzati. Durante il medioevo questi scritti vennero sfruttati sviluppati, ed è così che l’informazione mitografica sopravvisse (nelle enciclopedie, nei commentari medievali a testi classici e tardo antichi, nei trattati speciali di mitologia). Tra il XIII e il XIV secolo abbiamo oltre all’interpretazione in chiave moralistica delle figure della mitologia antica, anche la messa in relazione di esse con la fede cristiana: Piramo interpretato come Cristo e Tisbe come l’anima umana. Un passo ulteriore viene compiuto da Boccaccio il quale cerca di ritornare alle fonti antiche genuine e di confrontarle accuratamente l’una rispetto all’altra. Il suo trattato Genealogia deorum segna l’inizio di un atteggiamento critico e scientifico nei riguardi dell’antichità classica si può ritenere precursore di trattati rinascimentali. Panofsky puntualizza anche come si possa parlare: Saturno in veste planetaria. Le ali e i sostegni o grucce appaiono con l’alterazione che avviene nel medioevo. Se all’inizio permane, la rappresentazione classica, nel tardo medioevo l’Arte occidentale abbandona la figurazione carolingia, che viene sostituita da tipi interamente non classici. Saturno, Giove, Venere erano stati identificati con un pianeta; quindi le nuove immagini di queste figure erano contenute in testi mitografici ma anche astrologici. In veste planetaria, Saturno era considerato come peculiarmente sinistro; si usa ancora il termine saturnino per indicare un temperamento greve e cupo. Gli uomini nati sotto Saturno sarebbero stati inevitabilmente malinconici: potevano essere ricchi e potenti, ma non generosi o gentili; saggi, ma non felici. E inoltre questi vantaggi erano garantiti solo ad una piccola minoranza dei figli di Saturno. Infatti la maggior parte era considerata associata alla povertà abbietta e alla morte, perché Saturno era il più gelido, arido e lento tra i pianeti. Anche per questo veniva associato alla vecchiezza. E quindi chi era nato sta il segno di Saturno era classificato tra i più miseri e indesiderabili tra i mortali. Poi verso la fine del XV secolo i neoplatonici fiorentini ritornarono al concetto plotiniano di Saturno: patrono della contemplazione filosofica religiosa profonda. Ma anche questo ritorno neoplatonico non poteva di indebolire la credenza popolare che Saturno fosse il più maligno tra i pianeti (e alla fine comunque sfociò nell’identificazione della malinconia saturnina col genio). Proprio per via di quanto detto, nelle illustrazioni astrologiche, Saturno appare come un vecchio tetro e ammalato. Il falcetto o la falce sono sostituiti da una zappa o da una vanga, e la vanga tende a trasformarsi in un sostegno o in una gruccia, a indicare vecchiezza e decrepitezza generale. Si arriva fino alla rappresentazione di Saturno come uno zoppo con una gamba di legno. Nelle illustrazioni mitografiche evolutesi esclusivamente in base alle fonti letterarie, l’aspetto di Saturno si sviluppa dal fantastico al terrificante e al repulsivo. Il primo esempio noto è il disegno di Regensburg del 1100 dove è raffigurato con un ampio velo, un falcetto, una falce, il drago che si morde la coda. Il tipo un standard si sviluppò nel XIV secolo quando si cominciò ad illustrare l’Ovidio moralizzato. Saturno veniva generalmente rappresentato insieme ad altre figure di contorno che servivano a drammatizzarne il carattere sinistro e ad accentuarne la crudeltà e la distruttività. Venne rappresentato il processo della castrazione, e anche l’atto di divorare un bambino vivo. Il tema della castrazione e del cibarsi del bambino vivo continuano nell’arte tardo medievale e anche in forma più o meno classicheggiante nel tardo Rinascimento, nell’arte barocca e anche oltre (pensiamo al Saturno di Goya). L’illustrazione dei trionfi di Petrarca. Altro momento fondamentale quando si comincia ad illustrare i Trionfi di Petrarca: la castità trionfa sull’amore, la morte sulla castità, la fama sulla morte e il tempo sulla fama. Solo l’eternità trionferà sul tempo. L’apparenza esteriore del tempo non è stata descritta da Petrarca, quindi gli illustratori avevano piena libertà di rappresentarlo nella forma preferita. Durante il medioevo erano state immaginate alcune, ma poche, personificazioni scolastiche del tempo, come in una miniatura francese del 1400 che mostra il Temps: aveva tre teste a indicare il passato, il presente, il futuro; quattro ali, ciascuna delle quali indicava una stagione mentre ogni penna simboleggiava un mese. Ma il tempo di Petrarca non era un principio filosofico astratto, ma un’allarmante potenza concreta: gli illustratori fusero l’innocua personificazione del Temps con l’immagine sinistra di Saturno: -- dalla prima ripresero le ali -- dalla seconda l’aspetto tetro e decrepito, le grucce e i tratti strettamente Saturniani come il falcetto è il motivo cannibalesco La clessidra associata a questa nuova immagine del tempo sembra fare la sua prima comparsa in questo nuovo ciclo di illustrazioni. La clessidra aiutava a comprendere e sottolineare che si trattasse del tempo; a volte si adoperava anche lo zodiaco o il drago che si morde la coda. Panofsky poi cita cinque esempi tratti dalle illustrazioni dei Trionfi: xilografia veneziana del XV secolo che riprende la personificazione medievale del Temps: figura frontale con quattro ali che simboleggiano le stagioni. Notiamo un paesaggio desolato che esplicita l’attività distruttiva del tempo. pannello da cassone in cui leali si sono ridotte a due pannello da cassone in cui diversi attributi nuovi sono presenti: la clessidra, una meridiana e due cani (uno bianco e uno nero, che simboleggiano la distruzione della vita da parte di ciascun giorno e di ciascuna notte). xilografia veneziana in cui le ali non sono presenti, mentre il falcetto rimane. L’idea della temporalità, del ricorso senza fine è espressa dal drago che si morde la coda. Notiamo lo scenario desolato con alberi spogli architettura in rovina che esprime la potenza distruttiva del tempo. xilografia di un’edizione cinquecentesca che mostra la figura alata che divora un bambino, ma, nonostante la presenza delle grucce, il corpo del tempo non è quello di un vegliardo, bensì di un nudo vigoroso. Il padre tempo. Il padre tempo illustra quindi la grandiosità astratta di un principio filosofico ma anche la voracità maligna di un demone distruttivo.a volte la figura del padre tempo viene utilizzata per indicare il trascorrere dei mesi, degli anni o dei secoli. Ma nella maggior parte dei casi la figura del padre tempo è investita di un significato più preciso e profondo: -- sia come distruttore > il tempo si appropria delle qualità di Saturno (il falcetto) ed entra in stretta relazione con la morte (alcuni elementi tipici della raffigurazione del tempo entrano anche all’interno delle rappresentazioni della morte come per esempio la clessidra o le ali); il tempo viene presentato come ministro della morte (la provvede di vittime); ripresentato anche come un demone dai denti di ferro in mezzo alle rovine. Una rappresentazione del tempo distruttore e quella realizzata per il frontespizio di una pubblicazione seicentesca, in cui vediamo il padre tempo con la falce e il serpente che si morde la coda tra i frammenti di architetture di stare, intanto mordere il torso del belvedere esattamente allo stesso modo in cui il vecchio Saturno era raffigurato mentre divorava i suoi figli. -- sia come rivelatore > sono tantissime le rappresentazioni di soggetti soprattutto che uniscono il tema del tempo con quello della verità, basandosi sulla frase classica veritas filia temporis. Ci si concentra su un arazzo su cartone di Angelo Bronzino e seguito dal maestro tessitore fiammingo Jan Rost. Questa composizione viene chiamata in un inventario del 1549 “L’Innocentia del Bronzino”. L’innocenza è ritratta mentre minacciata dalle potenze del male, simboleggiata da quattro animali selvaggi: un cane, un leone, un lupo e un serpente che rappresentano l’invidia, la furia, l’avarizia e la perfidia. L’innocenza è salvata dalla giustizia, che reca una spada e una bilancia; intanto il tempo alato con sulla spalla una clessidra forata, abbraccia quella che gli autori precedenti chiamano una giovinetta. In realtà non lo sta solo abbracciando ma le toglie anche il velo: si tratta della personificazione della verità. Quindi la composizione è una fusione di tre versioni di un unico tema: la verità salvata dal tempo, la verità svelata dal tempo, l’innocenza giustificata dopo la persecuzione. Questo arazzo ha un compagno: l’arazzo di Flora, eseguito in una data un po’ più tarda, sempre conservato alla galleria degli arazzi. Gli arazzi hanno le stesse dimensioni e le stesse orlature. Ma l’arazzo di Flora si imposta su una figura dominante: la figura femminile in nudità sembra librarsi su un ariete; secondo Panofsky questa non è Flora, ma Primavera: a suo avviso la differenza consiste nel fatto che Flora è un personaggio mitologico indipendente, mentre la primavera appartiene al ciclo delle quattro stagioni. A riprova di ciò secondo Panofsky abbiamo anche quelle che sono le tre figure che l’accompagnano: un ariete, un toro, una coppia che si abbraccia >> sono tre segni zodiacali dei mesi della primavera: ariete rappresenta marzo, toro aprile, gemelli maggio. Tuttavia Panofsky non esclude il fatto che la composizione del Bronzino possiede un significato più ricco, perché il tema delle quattro stagioni si lega anche al tema delle quattro età dell’uomo, ai quattro elementi e ai quattro umori. Quindi secondo Panofsky, l’arazzo di Flora era parte di una serie di quattro; la sua combinazione con l’arazzo dell’innocenza deve essere stato un ripensamento, secondo l’autore, non troppo felice. Secondo Panofsky vi è una composizione del Bronzino che è perfettamente adatta da accompagnarsi all’arazzo dell’Innocenza: la famosa Allegoria della National Gallery di Londra. Questo dipinto è datato intorno al 1546 e corrisponde esattamente al cartone per l’arazzo dell’Innocenza. Vasari aveva descritto quest’opera ma l’aveva fatto a memoria, perché il quadro era andato in Francia. Quindi la notizia di Vasari non si può ritenere completa o del tutto corretta. Infatti nella descrizione che ne dà, omette la figura del tempo, raffigurato con le ali e la clessidra; nomina più figure di quanto ne appaiono perché parla anche del Piacere del Gioco oltre che di altri Amori. Secondo Panofsky, iconograficamente l’opera mostra i piaceri dell’amore da un lato e i suoi pericoli e torture dall’altro, in modo che i piaceri si rivelino vantaggi futili e ingannevoli, mentre i pericoli e le torture sono mostrati come moglie grandi e reali. Il gruppo principale mostra cupido che bacia Venere, la quale tiene una freccia e un pomo. Il pomo offerto all’ardente giovane, la freccia gli viene invece celata. Panofsky mette in luce il più che tenero gesto di cupido che dà un sapore ambiguo all’abraccio presumibilmente innocente tra madre e figlio, ciò è acuito dal fatto che è cupido raffigurato come un essere asessuato. Secondo Panofsky quindi, il quadro mostra più1’immagine della lussuria anziché un ordinario gruppo di Venere che bacia cupido: a conferma di ciò c’è il fatto che cupido inginocchiato su un cuscino, comune simbolo di lascivia e di mollezza. A sinistra troviamo la testa di una donna anziana che si strappa i capelli follemente; la figura unisce in sé il pathos delle antiche maschere tragiche con il gesto frenetico di strapparsi capelli (questo gesto è presente anche in una acquaforte di Dürer nota come Il disperato): secondo Vasari essa rappresenta la Gelosia. A destra un putto getta rose, il piede sinistro presenta una cavigliere con dei campanelli (generalmente erano portate come amuleti da buffoni, ballerine e cortigiani): secondo Panofsky lo possiamo identificare sia con il Piacere che con il Giuoco (nominati da Vasari); allo scopo di evidenziare una contrapposizione con la figura sinistra della gelosia. Ma si lascia intendere che i piaceri che egli promette sono futili e ingannevoli, e ciò mediante l’infausta presenza di due maschere (simbolo di falsità e mondanità): una di una giovane donna e l’altra di un uomo anziano in malevolo. In questo caso notiamo come le maschere siano due e in contrasto tra di loro: gioventù e anzianità, bellezza e bruttezza. Panofsky puntualizza commesse siano da porre in relazione con la figura che si trova dietro il putto giocoso: una figura che spesso è descritta come un’arpia, le maschere appartengono a lei: rappresenta la Fraude, l’inganno. Cesare Ripa descrive i tratti dell’Hippocrisia, dell’Inganno e della Fraude: nella figura di Bronzino questi tratti si fondono in un’unica raffigurazione. La Fraude può apparire come una bella fanciullina in abito verde, ma guardando bene notiamo la presenza di un corpo squamoso da pesce, artigli da leone o pantera e coda di drago o serpente. Con una mano offre un favo di miele e con l’altra un animaletto velenoso. Notiamo come la mano annessa al braccio destro sia una sinistra mentre quella del braccio sinistro è una destra: la figura offre dolcezza con quella che sembra la sua mano buona ma in realtà è la cattiva, e nasconde il veleno in quella che sembra la sua mano cattiva mentre in realtà è la buona. Panofsky la definisce il simbolo più sofisticato di duplicità pervertita. E quindi abbiamo la lussuria (due figure centrali), circondata da personificazioni e simboli di ingannevoli piaceri e mali manifesti. Il tutto viene ora svelato dal Tempo e dalla Verità. Come mai l’opera non fu tradotta in arazzo? Possiamo soltanto ipotizzare che il granduca Cosimo fosse così entusiasta del cartone di questa composizione da rifiutarsi di consegnarlo tessitori fiamminghi e da ordinare l’esecuzione in quadro. Possiamo puoi capire come sia arrivato in Francia: egli lo aveva presentato come dono per un’alleanza che gli stava molto a cuore. Panofsky insiste però sul fatto che a suo avviso, originariamente, il cartone dell’allegoria di Londra era destinato a servire da pezzo corrispondente all’arazzo dell’innocenza: una dimostrava l’innocenza vendicata e l’altra la lussuria svergognata. Questi due temi si ricollegano a quella che è la duplice funzione del tempo rivelatore: smascherare la falsità e portare la verità alla luce. -- sia come potenza universale e inesorabile che attraverso un ciclo di procreazione e distruzione determina quella che potremmo chiamare la continuità cosmica > In Pastime of Pleasures di Stephen Hawes, secondo Panofsky abbiamo una fusione tra l’immagine del tempo sviluppato degli illustratori di Petrarca con le visioni dell’apocalisse: il tempo raffigurato come un uomo anziano, barbuto, alato, dal corpo robusto coperto di penna. Nella mano sinistra tiene un orologio, nella destra un fuoco per bruciare il tempo.a una spada, nell’ala destra si trova il sole mentre nella sinistra mercurio, sul suo corpo si vedono gli altri cinque pianeti: Saturno sulla sommità del capo, Giove sulla fronte, morto nella bocca, Venere sul petto, la luna sotto la cintura. Nel barocco abbiamo l’immagine del tempo come potenza cosmica realizzata da Nicolas Poussin. Per concludere E manifesta l’intrusione dei tratti medievali in un’immagine che a prima vista sembra essere di carattere puramente classico, inoltre illustra la connessione tra la mera iconografia e l’interpretazione dei significati intrinseci o essenziali. Quindi dell’arte classica si raffigurava il tempo soltanto come opportunità fuggente (Kairos) o oppure come creativa eternità (Aion). Nel Rinascimento si produce un’immagine del tempo distruttore fondendo la personificazione del Temps con la figura agghiacciante di Saturno. - Altri insistono sulle catastrofi che la cecità di cupido può causare quando colpisce la persona che non dovrebbe colpire. In particolare una versione è quella che riguarda amore e morte che vanno insieme a caccia, con la morte che porta le due fare le tre e il piccolo cupido i due archi. Ma sono ciechi entrambi e si scambiano le armi per errore. Così i vecchi sono costretti ad innamorarsi i giovani a morire prima di aver cominciato a vivere. Quindi i portavoce rinascimentali delle teorie neoplatoniche rifiutavano la credenza che amore fosse cieco. Quindi la benda di cupido era associata ad una forma più bassa, sensuale profana di amore, che veniva posta a contrasto con una forma più elevata spirituale e sacra, platonica, Cristiana. Sì sfocia cioè in una contrapposizione tra amore sacro e amore profano: per esempio quando Cupido trionfa su Pan (che rappresenta i semplici appetiti della natura) non è bendato o cieco; quando è messo in ceppi e punito, ha gli occhi bendati. Questa contrapposizione si vede soprattutto nelle raffigurazioni di Eros e Anteros, che nel Rinascimento sono in tese come lotta tra amore sensuale e virtù. In realtà Anteros nella classicità raffigurava la reciprocità nelle relazioni amorose. Ma gli umanisti di tendenza platonica i moralisti trasformarono il Dio dell’amore reciproco in una personificazione di virtuosa purezza. La controriforma trasferì questa antitesi tra amore puro e sensuale sul piano della devozione. Cupido si lega quindi al tema della pesca: un cupido bendato pesca cuori umani in rivalità con un Saint Amour, che non è cieco, è agile, ma è pure un bambino. In alcuni casi l’avversario del cupido cieco e identificato esplicitamente con l’amore platonico. Lucas Cranach il vecchio presenta un piccolo cupido che si toglie dagli occhi la benda di propria mano, trasformandosi in una personificazione dell’amore veggente; egli risulta essere in piedi su un volume su cui c’è scritto Platonis opera, e sembra levarsi verso sfere più sublimi: il cupido si sbenda in seguito agli insegnamenti platonici. CAPITOLO 5 Durante il 400 grande il grande interesse per l’antichità classica spinse gli umanisti al recupero e alla rilettura di opere significative del mondo classico in ambito filosofico, politico, scientifico e letterario. In questo contesto assunse grande importanza lo studio e la riscoperta del pensiero di Platone. E uno dei sistemi filosofici più arditi e quello del neoplatonismo, che aveva avuto origine nell’Accademia platonica Fiorentina. L’anima e la mente costruttiva di questa associazione fu il filosofo ed umanista Marsilio Ficino. Egli svolse un’intensa attività di ricerca, traduzione ed interpretazione di gran parte dei testi di Platone (ma non solo, anche di Plotino, di Porfirio etc..) e fondò la cosiddetta Accademia platonica di Firenze, formata da gruppo di uomini legati da amicizia, intenti comuni e soprattutto dal culto di Platone. Tra gli esponenti maggiori oltre a Ficino ricordiamo: ● Cristoforo Landino ● Lorenzo il Magnifico ● Pico della Mirandola ● Francesco Cattani da Diacceto ● Angelo Poliziano Marsilio Ficino attraverso la sua intensa attività di traduzione voleva: 1. Rendere accessibili (in latino) tutti i documenti originali di Platone e dei platonici 2. Organizzare tutto il materiale in un sistema coerente in grado di dare un significato nuovo a tutta l’eredità culturale dell’epoca 3. Armonizzare tale sistema con la religione cristiana. L’opera ficiniana Theologia platonica rivela l’ambizione di reintegrare il sistema platonico e dimostrarne la piena armonia con il cristianesimo. Nel neoplatonismo di Ficino possono essere individuate diverse concezioni che ebbero un grande impatto sull’arte e sulla poesia del 400 e del 500 e che furono riprese o comunque influenzate dal pensiero di Platone. Cominciamo dalla concezione dell’universo: secondo Ficino, l’universo si sviluppa in 4 gerarchie di perfezione gradualmente decrescente: 1. La mente cosmica (nous) → regno puramente intelligibile e sopraceleste che, come Dio, è stabile ed incorruttibile ma a differenza di lui, è multiplo in quanto contiene idee e intelligenze (angeli) che sono prototipi di tutto ciò che esiste nelle zone inferiori. 2. L’anima cosmica (psychè) → regno delle pure cause (e non più delle forme pure), che si muove per moto autoindotto, ed è incorruttibile ma non più stabile. E’ identico al mondo celeste con nove cieli: l’empireo, il cielo delle stelle fisse e le sette sfere dei pianeti. 3. Il regno della natura → mondo sublunare o terrestre, corruttibile poiché è un composto di forma e materia e può dunque disintegrarsi quando se ne dissociano le componenti. Non si muove da solo ma insieme e per mezzo del mondo celeste. 4. Il regno della materia → privo di forma e di vita; al grado inferiore sta la materia concepita come pura quantità L’intero universo è un divinum animal = e le sue gerarchie sono legate l’una all’altra da una divina influenza. Una corrente ininterrotta di energia soprannaturale fluisce dall’alto in basso ritorna dal basso all’alto costituendo un Circulus spiritualis. Il mondo sublunare partecipa alla eterna vita e bellezza di Dio. Ma la bellezza della sua vita attraverso il regno celeste si è spezzata in tanti raggi quante sono le sfere o i cieli, quindi non c’è sulla terra una bellezza perfetta perché ogni essere umano, animale, pianta o minerale è influenzato da uno o più corpi celesti. Pico della mirandola identifica il regno della materia con il mondo sotterraneo. La materia, e anche se è un carattere puramente negativo, non può essere considerata malvagia poiché senza di essa la natura non potrebbe esistere. Questo spiega l’imperfezione del mondo sublunare: se le forme celesti sono incorruttibili e pure, complete, pacifiche e libere dalle passioni, le cose sublunari sono corruttibili e dunque anche monche, soggette alle passioni, e in alcuni casi costrette a combattersi tra di loro fino alla morte. Quindi il regno della natura quando viene messo a confronto con il mondo celeste, per non parlare di quello sopra celeste, risulta essere un luogo di conflitto senza fine, di bruttezza e di angoscia: da qui l’idea di mondo terrestre come una prigione dove le forme o idee sono annegate, sommerse, sfigurate così tanto da non potersi riconoscere. Secondo Ficino, l’uomo è composto di anima e di corpo, spirito e materia. L’anima ha due dimensioni: ● Una inferiore (o anima secunda), a stretto contatto con il corpo, determinata dal fato, che consiste nelle tre facoltà che dirigono le funzioni fisiologiche dell’organismo: ● La facoltà della generazione, nutrimento e crescita ● La percezione esterna: cioè i cinque sensi ● La percezione interiore o immaginazione che unifica i segnali dal mondo esterno in immagini psicologiche coerenti ● Una superiore (anima prima), composta da due dimensioni: ● la Ragione (Ratio), è vicina all’anima inferiore (è coinvolta nelle esperienze, nei desideri e nei bisogni del corpo) e coordina le immagini fornite dall’immaginazione secondo le regole della logica. È discorsiva e riflessiva ● la Mente (Mens), può cogliere la verità contemplando direttamente le idee sopracelesti (comunica con l’intellectus divinus). È intuitiva e creativa La ragione è libera: può permettersi di lasciarsi trasportare dalle sensazioni delle emozioni inferiori, ma anche di superarle. Ciò vuol dire che essa può vivere un contrasto. Allora il compito della mente e di illuminare la ragione durante il contrasto, perché la ragione può vincere l’impulsi della natura inferiore dell’uomo soltanto rivolgendosi ad un’autorità superiore. Tutto questo spiega la posizione dell’uomo nell’universo; esso infatti: 1. Ha in comune con gli animali bruti le facoltà dell’anima inferiore 2. Ha in comune con l’intelletto divino la mente 3. NON ha in comune la ragione con nient’altro presente nell’universo poiché la ragione è una facoltà esclusivamente umana (irraggiungibile per gli animali ed inferiore all’intelligenza di Dio e degli angeli). L’uomo è per questo definito da Ficino “anima razionale” = l’uomo ascende a regni superiori senza abbandonare il mondo inferiore e viceversa > legame che connette Dio e il mondo perché partecipa della mente divina ma usa anche il corpo. Ma questa posizione assunta dall’uomo è al contempo sublime e problematica. Infatti per via dei suoi impulsi sessuali la sua ragione si trova in modo alternato tra il fallimento ed il successo e con questo persino la mente si distrae dal suo compito specifico. Quindi l’anima dell’uomo è sempre miserabile nel corpo: essa soffre, delira, sogna e dorme > aspetta di ritornare là da dove è venuta. Secondo il pensiero di Ficino, l’uomo può sottrarsi alla sofferenza causata all’anima dall’essere imprigionata e limitata dalla carne e raggiungere una forma di beatitudine terrena; questa beatitudine può essere raggiunta quando l’animo umano dopo essere caduto recupera un ricordo, anche se oscuro, della sua precedente condizione. Questa beatutudine temporale è duplice: ● La Ragione umana, illuminata dalla Mente umana, può migliorare la vita e il destino umano sulla Terra: cioè quando l’uomo esercita le virtù morali contenute nella Iustitia e si distingue nella vita attiva (ex: Lia e Marta e si lega a Giove). ● La Mente, grazie alle attività contemplative, coglie i segni del divino impressi nell’anima e giunge alla verità e alla bellezza facendo proprie le virtù teologiche (Rachele, Marta e si lega a Saturno). Iustitia e religio, vita attiva e vita contemplativa sono le due strade che conducono a Dio o, come afferma ancora Cristoforo Landino “le due ali mediante le quali l’anima si eleva al cielo”. Per quanto riguarda l’amore, è l’asse stesso del sistema filosofico di Ficino. Il filosofo tratta l’amore come principio cosmologico dell’unità delle cose: esso è la potenza motivante attraverso la quale Dio effonde la sua essenza nel mondo e che fa sì che le sue creature sentano il desiderio di ricongiungersi a lui. Circuitus spiritualis lo definisce Ficino, indicando nell’amore quella circolarità spirituale che va da Dio al mondo e dal mondo ritorna a Dio e nella quale si inserisce l’uomo, vera copula mundi, anello che tiene legati gli estremi opposti: Dio e il mondo. L’amore è sempre desiderio, ma non ogni desiderio è amore. Soltanto quando il desiderio, diretto dalle virtù cognitive, si rende consapevole di una meta ultima (cioè della divina bontà trasformata in bellezza) merita il nome di amore: allora l’amore andrà definito come desiderio di bellezza. Questa bellezza esiste in due forme, simboleggiata dalle due Veneri di cui si parla nel Simposio platonico: La teoria dell’amore neoplatonico, esposta per primo da Ficino nel famoso commento al Simposio di Platone, ebbe un’influenza fortissima su artisti e poeti e determinò la nascita di un’ampia trattatistica sull’argomento tra Quattro e Cinquecento, di cui vanno ricordati innanzitutto gli Asolani di Pietro Bembo (1505) e Il Cortegiano di Baldassarre Castiglione. — Venus Coelestis (Afrodite urania) è figlia di Urano e non ha madre, quindi non appartiene ad una sfera terrestre bensì ad una totalmente immateriale. Abita il luogo supremo, sopra celestiale dell’universo, cioè la zona della mente cosmica: è intelligentia pura — Venus Vulgaris (Afrodite Pandemos) e figlia di Zeus-Giove e Dione-Giunone. Abita nel regno dell’anima cosmica: da vita e forma alle cose della natura. Ogni venere è accompagnata da un Amore: — amore divino si impadronisce della suprema facoltà umana, cioè la mente, e la costringe a contemplare lo splendore intelligibile della beltà divina — amore vulgaris prende possesso delle facoltà intermedia dell’uomo, cioè l’immaginazione e la percezione dei sensi, e lo spinge a procreare una similitudine della divina bellezza nel mondo fisico Entrambe le Veneri per Ficino sono valide perché entrambe perseguono la creazione della bellezza. Solo chi si trova nell’esperienza visibile può raggiungere l’amore divino che lo rende uguale a santi e profeti. Chi abbandona per i piaceri la contemplazione divina diventa preda dell’amore bestiale. Il neoplatonismo si distingue da area ad area: - a Firenze le opere canoniche che espongono la teoria platonica dell’amore, cioè il commento di Ficino al convito platonico e il commento di Pico della Mirandola di un lungo poema di Girolamo Benivieni. Sono realizzati in forma saggistica. - Nell’Italia settentrionale abbiamo tanti dialoghi d’amore; prototipi dita di dialoghi sono gli Asolani di Pietro Bembo e il Cortigiano di Baldassarre da Castiglione si può dimostrare che sia un quadro di matrimonio perché la sposa è raffigurata mentre coglie una cotogna, frutto del matrimonio. ● L'educazione di amore (conservato nella galleria borghese). La seconda opera vede una bella e giovane donna con una coroncina che benda un piccolo Cupido che si rannicchia sul suo grembo mentre un secondo Cupido con gli occhi non bendati si sporge sulla sua spalla e attira l’attenzione verso sé. Sulla destra vi sono due domestiche con le armi di Amore (una con l’arco, l’altra con la faretra). Potremmo dire che il motivo della giovane donna che guarda verso cupido è tratto da una formula classica che esprime la Persuasione soprannaturale: la formula è utilizzata nelle rappresentazioni ellenistiche di Polifemo o Paride che cedono all’incitamento di Eros. In questo caso però la donna è più oggetto di dissuasione e lo vediamo poiché benda l’eros che ha in grembo. Di solito arco e frecce portate dalle due domestiche vengono forniti al Cupido cieco in modo che egli possa fare del suo peggio. Ma a questo si oppone l’altro eros (quello dagli occhi liberi) e suggerisce alla giovane donna di non fornire lui le armi. In questo modo al Cupido cieco non verrà consentito di causare alcun danno con arco e frecce. La donna secondo Panofsky darà retta a questo piccolo cupido: è infatti raffigurata mentre porge l’orecchio verso il secondo Eros con l'espressione pensosa e leggermente imbronciata di chi dà ascolto alla ragione. Le due domestiche sono invece: - l’Affezione maritale (vestita in modo più affascinante) - la Castità (dea Diana per l’abbigliamento da caccia). I due cupidi: - Eros - Anteros In senso simbolico, la figura della giovane donna potrebbe essere secondo alcuni: ● Venere tra due ninfe ostili all’amore (Francucci) ● Le tre grazie con Cupido (Carlo Ridolfi > opzione rigettata) Oggi si ritiene che la figura femminile rappresenti una Venere che si volge da Eros ad Anteros, ed è interpretata come Venus Verticordia: cioè la terza Venere oltre quella celeste e quella terrestre, che era contraria ai desideri disonesti e rimuoveva dalle menti umane deboli libidinose allontanando quindi la mente delle fanciulle delle donne dall’amore carnale. Panofsky il merito all’ipotesi di Ridolfi puntualizza che è la sua interpretazione che rifletteva una precedente che risulterebbe comunque compatibile con la teoria di Venere.infatti gli umanisti neoplatonici interpretavano la relazione con Venere e le grazie in modo più filosofico: le tre grazie si ritenevano qualificazioni dell’entità costituita da Venere tanto da venire definite una trinità di cui Venere era l’unità > cioè manifestavano il triplice aspetto di Venere. Quindi nomi tradizionali delle tre grazie potevano essere sostituiti con altri che indicassero la co-essenza con Venere. Quindi se il quadro andasse letto considerando i soggetti come tre Grazie, queste sarebbero: Pulchritudo (bellezza) accompagnata da Voluptas e Castitas. CAPITOLO 6 Michelangelo è definito da Vasari come un uomo di profonda memoria che anche soltanto avendo visto le cose altrui una sola volta, qualora lei ritenesse interessanti se ne serviva in maniera che nessuno quasi se ne accorgesse. Michelangelo puntualizza Panofsky nel valersi delle cose altrui, classiche e moderne, le assoggettato ad una trasformazione è così radicale, che il risultato appare non meno michelangiolesco delle sue creazioni autonome. Osserviamo come: - i lavori di Michelangelo si condensano in una massa compatta che si isola nettamente rispetto allo spazio circostante - Le figure di Michelangelo differiscono sempre dai prototipi per la netta accentuazione di quelle che potrebbero definirsi le direzioni fondamentali dello spazio: le linee oblique sono sostituite da orizzontali o da verticali e i volumi di scorcio tendono a frontalizzarsi o a ortogonalizzarsi. Ne risulta che l’intera disposizione, tanto sul piano pittorico che nello spazio tridimensionale, sembra determinata da un sistema interno di coordinate. - La rigidezza di questo sistema rettangolare opera non come principio statico, ma come principio dinamico. Alcuni motivi obliqui vengono eliminati, ma altri sono mantenuti e vengono esaltati dal netto contrasto con le direzioni fondamentali. Quindi Panofsky puntualizza come lo stile di Michelangelo non sia nel tardo rinascimentale, né manieristico, né barocco. - nel tardo Rinascimento le figure sono costruite intorno ad un asse centrale che fa da perno per un movimento libero delle varie membra che costituiscono il corpo. All’osservatore si presentano un quadro libero da eccessivi scorci, o sovrapposizioni ostruttive. - La figura serpentinata manieristica, invece gode di quella che viene definita la qualità torturante della tridimensionale: le contorsioni e gli scorci delle figure manieristica non potrebbero comprendersi se non venissero integrate dall’immaginazione dello spettatore. L’occhio non si riposa su una veduta predominante bensì proprio il fatto che ciascuna di queste vedute sia ugualmente interessante spinge lo spettatore ad aggirarsi intorno alla statua. Siamo di fronte quindi al principio manieristico della veduta molteplice. - Parte barocca invece tende a riaffermare il principio della veduta singola. Il barocco non induce più a girare attorno alle statue perché esse si fondono con lo spazio circostante. Il loro aspetto è confrontabile a quello di una scena teatrale piuttosto che a quello di un rilievo si offre quindi una pluralità di aspetti a veduta singola. Lo stile di Michelangelo: - differisce dal manierismo perché le sue figure costringono l’osservatore a concentrarsi su una veduta predominante che lo colpisce come completa e definitiva. - Differisce dal barocco perché questa veduta non si fonda su un’esperienza visiva soggettiva, ma sulla frontalizzazione obiettiva. - Differisce dal tardo Rinascimento in quanto Michelangelo rifiuta di sacrificare la potenza del volume all’armonia dello schema bidimensionale. Secondo Panofsky l’elemento fondamentale proprio della scultura michelangiolesca e l’impressione di un conflitto interiore senza fine che attraversa la figura; e questo conflitto interiore si esprime nelle distorsioni brutali, nelle composizioni discordi, nelle proporzioni incongrue. Secondo Panofsky nelle figure michelangiolesca viene espresso uno sconforto derivante da una situazione storica transitoria nella quale ci si rende conto dell’incompatibilità fra cristianesimo medievale classicismo. Ma oltre a questo queste figure sembrano soffrire dell’esperienza umana in se stessa. Panofsky puntualizza come i corpi michelangiolesca, anche in assenza di impedimenti fisici concreti, sembrano paralizzati nei movimenti, come se le contrazioni e le tensioni muscolari non potessero mai sfociare in azioni effettive. Quindi manca tanto la completa quiete quanto anche la completata azione. Le figure di Michelangelo non appaiono concepite in relazione ad un asse organico ma in relazione alle superfici di un blocco rettangolare. Sono figure confinate nei limiti del proprio volume plastico anziché fondersi con lo spazio ed esprimono questo conflitto interno di forze che si stimolano e al contempo si paralizzano l’un l’altra. Secondo Panofsky questi aspetti tipici dal punto di vista stilistico e tecnico delle opere michelangiolesca sono sintomatici dell’essenza stessa della personalità di Michelangelo, ovvero di una persona che aborriva i contatti con i suoi simili preferendo l’isolamento e oltre a questo riflettono anche le convinzioni di un platonico. Panofsky ritiene che la poesia di Michelangelo sia piena di concetti platonici, aspetto questo già osservato dai contemporanei e quasi unanimamente riconosciuto anche dagli specialisti moderni. Sappiamo chi è Michelangelo era un appassionato di Dante. Sappiamo anche che lo studio della Divina Commedia in quegli anni avveniva soprattutto su un’edizione, quella commentata da Cristoforo Landino: in questa edizione ogni verso di Dante è interpretato su basi neoplatonica. Panofsky ritiene inoltre chi è l’atteggiamento di Michelangelo perennemente scontento di se stesso e dell’universo fosse strettamente correlato all’interpretazione neoplatonica della vita umana come forma deviata e tormentosa esistenza, paragonabile alla vita nell’Ade. La preferenza della scultura per via di levare e la sua preoccupazione per la forma del blocco eleva le sue figure a simbolo della battaglia ingaggiata dall’anima per sfuggire al carcere della materia. Il neoplatonismo anzi quello che Panofsky definisce simbolismo neoplatonico, e a suo avviso è evidente nella tomba di Giulio secondo e nella cappella medicea. Panofsky da qualche coordinata storica sull’arte funeraria: - gli antichi egizi desideravano provvedere al futuro del morto anziché glorificarne la vita passata, infatti all’interno della sepoltura era presente tutto ciò che gli sarebbe stato necessario nell’oltre tomba (pro-spettiva e magica) - Invece nella civiltà greca la tomba diveniva un monumento commemorativo, quindi ci si preoccupava più della vita sulla terra che quella nell’aldilà. Si trattava quindi di un’arte sepolcrale retrospettiva e rappresentativa. - In seguito al declino della civiltà classica l’arte funeraria tornò a focalizzarsi sul futuro anziché sul passato, ma il futuro non era inteso come pura continuazione della vita sulla terra, bensì come transizione ad un piano di esistenza del tutto diverso; quindi l’arte funeraria tardo antica e paleocristiana produsse simboli che anticipano la salvezza spirituale dei defunti. - Con l’avvento dell’arte gotica arrivano le tombe monumentali a parete, note come enfeus. Questo schema venne poi adottato anche in Italia, e fu Giovanni Pisano a segnare la strada per un suo ulteriore sviluppo. - Nel corso del tempo un mutamento fondamentale fu costituito dall’intrusione graduale dell’elemento biografico encomiastico: statue a grandezza naturale che ritraevano l’estinto come personalità vivente venivano poste sopra la sua immagine o la sostituivano, le virtù e le arti liberali vennero aggiunte per glorificare il carattere le imprese del defunto. Ritorna quindi anche un atteggiamento retrospettivo che però è confinato entro i limiti delle tradizioni cristiane. - Nel 400 a Firenze si andò addirittura verso una riduzione della complessa iconografia dei sepolcri trecenteschi che erano più sontuosi in favore di una semplicità e purezza di disegno pensiamo alla tomba di Leonardo Bruni Per definire il posto della tomba di Giulio II di Michelangelo nell’itinerario di questo sviluppo dobbiamo considerare l’elaborazione iniziale più che la struttura finale eretta in San Pietro in Vincoli. LA TOMBA DI GIULIO II Primo progetto. Risale al 1505, la tomba era un monumento isolato di dimensioni impressionanti con all’interno una camera funeraria ovale. Il piano inferiore dell’esterno era torno da una sequenza continua di nicchie ospitanti un gruppo con vittoria ed era fiancheggiata da due erme a cui erano legati i prigioni. Sugli angoli della piattaforma si trovavano quattro grandi statue ovvero Mosé, San Paolo, la vita attiva, la vita contemplativa. Una piramide gradonata conduceva ad una seconda piattaforma; su di essa due angeli recavano quello che viene definito come una bara o una sella gestatoria con l’immagine seduta del pontefice. Sembra che uno angeli pareva ridere mentre l’altro pareva piangere. Inoltre pare che la tomba fosse adornata anche da numerose sculture decorative e da diversi rilievi in bronzo che rappresentavano le imprese del pontefice. Secondo progetto. Nel 1513, dopo la morte del Papa, si decise di trasformare il monumento in un ibrido tra mausoleo e sepolcro addossato. Il programma iconografico divenne più complesso. La zona inferiore rimase in alterata; l’aggiunta fu un’alta abside aggettante dal muro e che ospitava cinque statue enormi: una madonna e quattro santi. Negli anni seguenti furono realizzati il Mosé e i due schiavi del Louvre; furono realizzate anche le parti architettoniche. Terzo progetto. Siamo nel 1516, quando ha inizio un tormentoso processo di riduzione. Raggiungiamo la forma della tomba a parete, con la zona inferiore del fronte che rimane immutata ma con l’abbandono della struttura superiore progettata nel 1513 in favore di un secondo piano parallelo a quello inferiore. L’elemento centrale era una nicchia con il pontefice sollevato dagli angeli (2). Quarto progetto. Nel 1526 il progetto si ridusse ad una tomba a parete pure semplice. Si tratta di un quarto progetto che però non è molto documentato Quinto progetto. Nel 1532 le parti si concordano su una disposizione simile a quella immaginata nel 1516 ma non più sporgente dal muro e non molto diverso dalla struttura attuale. Il numero di statue che Michelangelo doveva seguire si riduceva 6: una sibilla, un profeta, una madonna, il Mosé e i due schiavi del Louvre i quali però non si adattavano più al programma e gli si inseriva unicamente perché erano già pronte. Esecuzione finale. È stata realizzata tra il 1542 e il 1545, Michelangelo propose di sostituire i due schiavi con le figure di Rachele e Lia. Michelangelo fece un ultimo sforzo disperato per compensare con la potenza plastica la perdita subita nella magnificenza architettonica. Ritorniamo al progetto del 1505: il Papa sarebbe entrato nell’aldilà come un triumphator annunciato dalla gioia e seguito dal Lamento. I rilievi ne avrebbero immortalato le imprese. I prigioni avrebbero personificato o le province soggiogate da questo pontefice e fatto obbedienza alla chiesa cattolica o le arti liberali e tecniche, quali la pittura la scultura e l’architettura (che la morte rendeva prigioniere con la morte del pontefice) oppure entrambe le cose. Cielo e terra in questa tomba non sono più separati, al contrario di quanto accadeva all’interno dei monumenti trecenteschi e medievali. Infatti Le quattro figure nel registro mediano si pongono come intermediari tra la sfera celeste (angeli che sorreggono la bara del pontefice) e quella terrestre (con i prigioni e le vittorie). Secondo la dottrina dell’Accademia fiorentina formulata da Landino, la vita attiva e la vita contemplativa sono le due strade che conducono a Dio. Mosé e San Paolo erano accostati costantemente dai neoplatonici fiorentini come esempi supremi di chi attraverso una sintesi perfetta di azione e visione avesse attinto l’immortalità spirituale anche durante la propria esistenza terrena. Quindi il piano inferiore glorifica le imprese personali del pontefice ma allo stesso tempo simboleggia anche la vita sulla terra in quanto tale. Il significato delle vittorie dei prigioni non era soltanto simbolismo trionfalistico ma si poteva trattare anche di un trionfo bellico. I prigioni incatenati sono impiegati come simboli dell’anima umana
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved