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Riassunto di "INTRODUZIONE ALL'ARCHEOLOGIA" di Ranuccio Bianchi Bandinelli, Dispense di Archeologia

Riassunto chiaro e ben fatto di "Introduzione all'archeologia" per l'esame di Archeologia Romana

Tipologia: Dispense

2020/2021

In vendita dal 05/03/2022

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Scarica Riassunto di "INTRODUZIONE ALL'ARCHEOLOGIA" di Ranuccio Bianchi Bandinelli e più Dispense in PDF di Archeologia solo su Docsity! RANUCCIO BIANCHI BANDINELLI INTRODUZIONE ALL'ARCHEOLOGIA AVVERTENZA Secondo Bandinelli la storia dell'arte non interessava più agli studiosi delle nuove generazioni, che erano influenzati maggiormente dalla sociologia e da un tipo di ricerca rivolta solo alla tecnica e alla classificazione. Questo libro non intende presentare l'archeologia nel senso più contemporaneo, con tutti i suoi metodi d'indagine e le sue tecniche di ricerca sul terreno, ma vuole dare qualche chiarimento in merito all'ARCHEOLOGIA “WINCKELMANNIANA”, cioè intesa come STORIA DELL'ARTE GRECA E ROMANA, incentrata sul problema quindi storico-artistico, ereditato dalla filologia e oggi diventato quasi un ramo collaterale della disciplina. L'Archeologia classica era un ramo della SCIENZA DELL'ANTICHITÀ, formatasi nel XIX sec. nelle università tedesche, e tendeva a formare una scienza unitaria, sintesi di tutto quanto riguardasse l'antichità classica. La specializzazione che si verificò sempre più nel XX sec. ha rotto quell'unità che era il suo maggiore valore culturale. La ricerca archeologica, insieme a quella etnologica, si è estesa ad ogni età e ad ogni luogo; l'antichità classica è solo uno dei suoi argomenti, A maggior ragione è utile sottolineare che la STORIA DELL'ARTE È UNA SCIENZA STORICA. PREFAZIONE: L'ARCHEOLOGIA COME SCIENZA STORICA Il termine archeologia era usato dagli antichi nel senso di indagine sulle cose antiche, appartenenti al passato, su tutti gli aspetti delle età che li hanno preceduti. Tucidide propone, nell'opera omonima archaiologhìa, proprio un esempio di deduzione storica da un dato archeologico: Fenici e Cari erano i pirati che abitavano in età remota la maggior parte delle isole dell'Egeo, come risulta dalla maggior parte delle tombe trovate nell'isola di Delo dagli Ateniesi e dal sistema usato per seppellire i corpi. Suppellettile e rito funebre, chiari elementi archeologici portati a supporto di una tesi storica. Questa unità della ricerca storica si frantumò quando il termine archeologia fu applicato allo studio delle antichità in sè e per se stesse, avulse dal contesto storico che le aveva prodotte, abbassandole a mero oggetto di curiosità e limitando il riferimento al mondo greco e romano, alla cosiddetta antichità classica. Questa ricerca minuta e priva di metodo degenerò nell'archeologia antiquaria, nelle dispute individuali che riempirono le Accademie sorte in Europa tra il Cinquecento e il Seicento, soprattutto in Italia. Contro tale archeologia si espresse soprattutto Winckelmann nella Storia delle arti del disegno presso gli Antichi, pubblicata nel 1764, atto di nascita dell'archeologia moderna. Da allora l'archeologia ebbe come tema principale lo studio dell'arte classica e compì un salto di qualità: da erudizione fine a se stessa, mera curiosità accademica e letteraria, divenne un prima ricerca e distinzione cronologica delle varie fasi dell'arte del mondo antico e ricerca delle supposte leggi per il raggiungimento della Bellezza assoluta nell'Arte. Furono introdotte negli studi archeologici due esigenze di ricerca, storicistica e di definizione estetica, tuttavia fu la seconda a prevalere per oltre un secolo facendo avanzare lo studio dell'arte antica unicamente verso tutto ciò che corrispondeva ai canoni del neoclassicismo, anche quando si scoprì che la scultura greca da cui erano stati desunti questi canoni era costituita per la maggior parte da copie ellenistico-romane, rivolte nostalgicamente al passato, ritenute più nobile di altre e più degne di riproduzione. L'archeologia venne intesa essenzialmente come storia dell'arte greca basata sulle fonti letterarie, come figlia diretta della filologia, che si occupava della critica di tali fonti, mentre lo scavo archeologico era considerato solo come il recupero di pezzi da collezione. Tale archeologia di derivazione winckelmanniana fu posta in crisi da due fattori. 1) L'AFFERMAZIONE DELLO STORICISMO NELLA CULTURA EUROPEA NEGLI ULTIMI DECENNI DELL'OTTOCENTO. Alois Riegl, massimo esponente della scuola viennese, si oppose all'opinione comune di quegli studiosi che consideravano l'arte successiva all'età degli imperatori Antonini (fine II secolo d.C.) come un fenomeno di irresistibile decadenza. Dimostrò come essa andasse considerata quale espressione di un diverso gusto, di una diversa volontà artistica, che doveva essere valutata di per sé e non alla luce dell'arte greca di secoli e secoli precedenti. Ci volle una generazione intera perché l'impostazione della scuola viennese venisse accolta e un'altra ancora perché si capisse che la sua impostazione idealistica del semplice cambiamento del gusto non era sufficiente a spiegare il fenomeno di una rottura da una tradizione formale ad un'altra: occorreva approfondire l'esame dell'epoca storica, un periodo di drammatico trapasso. Contemporaneamente apparsero nuove correnti dello storicismo, come quella ispirata a Max Weber, che sottolineò come la storia fosse opera degli uomini, cercando di ricondurre l'evolversi delle tradizioni formali al concreto processo di successione dei fatti storici → materialismo storico + le ricerche asseriscono che la crisi dell'arte antica è naturale conseguenza della generale crisi sociale, economia e politica che condusse il mondo antico verso la società medievale. Su questa via la ricerca storico-artistica si è enormemente allargata nel corso dell'ultimo Novecento. Liberatasi dall'ipoteca neoclassica, l'arte greca non è più apparsa come un modello fisso e immutabile, ma è stata storicizzata, vista in un quadro più ampio. La storicizzazione della ricerca artistica aprì poi la via alla comprensione delle altre civiltà antiche, quella mesopotamica, egiziana, etc, che sorsero rapidamente dopo la dissoluzione dell'impero romano. Una volta che sia stato superato il pregiudizio della critica idealistica, che sosteneva l'assoluta autonomia dell'opera d'arte, anche la storia dell'arte entra di diritto tra le scienze storiche e il mondo dell'arte viene considerato non come separato dal mondo pratico, ma immerso in esso in un reciproco scambio di impulsi. 2) L'ACCRESCIUTA IMPORTANZA DELL'INDAGINE SULLA PREISTORIA NEL CAMPO DELLA RICERCA ARCHEOLOGICA SUL TERRENO, CIOÈ DELLO SCAVO Un tempo gli archeologi classici, fieri dei loro legami con la filologia, ironizzavano sull'attività degli studiosi di preistoria, chiamandola scienza degli analfabeti, perché priva di fonti scritte. Ma sono stati proprio questi archeologi a rinnovare la ricerca archeologica, perché, costretti a ricostruire tutto sul dato oggettivo, svilupparono metodi di scavo estremamente precisi, nella consapevolezza che ogni scavo archeologico distrugge una documentazione accumulatasi nei millenni. Questa documentazione deve essere rilevata, via via che viene alla luce, con estrema esattezza in modo che sia possibile ricostruire in qualunque momento, anche a distanza di anni, la situazione originaria di ogni minimo oggetto reperito. Si è così perfezionato lo scavo stratigrafico con l'esatta osservazione delle varie successioni e lo studio dei reperti ceramici, anche privi di ornamenti, in quanto si può riuscire a stabilire lo svolgimento di una produzione e la politica economica di un dato popolo, ignota nelle fonti. Accanto a tale tecnica di scavo si sono associate tecniche scientifiche, quali le indicazioni cronologiche mediante il rilevamento del radiocarbonio C/14 residuato nei materiali organici, i sondaggi elettrici e l'esplorazione tramite fotografia aerea. Fu proprio Winckelmann a introdurre il criterio dell'analisi stilistica e a soffermarsi sull'indagine formale per fondare una cronologia artistica. Egli distinse quattro grandi divisioni: ➔ stile antico; ➔ stile sublime o del periodo aureo, della massima fioritura (Fidia e successori, V e IV secolo); ➔ stile bello, iniziato da Prassitele e terminato da Lisippo (seconda metà IV sec ed età ellenistica); ➔ periodo della decadenza (I sec a.C. ed età imperiale romana). L'altro contributo fondamentale e nuovissimo riguardò l'interesse dello studioso che deve dedicarsi alla comprensione dell'intima essenza (das Wesen) dell'opera d'arte, alla ricerca della risposta alla domanda: perché un'opera d'arte è bella ed in che cosa consiste la sua essenza artistica e quindi la sua bellezza? → pone alla storia dell'arte il criterio estetico di selezione. Fu proprio questo secondo aspetto a contribuire alla formazione della corrente di gusto neoclassica + la sua opera e la sua teoria del bello si diffusero nel suo tempo anche grazie al suo stile di scrittura vibrante ed elegante. Questo criterio estetico lo aiutò a superare l'antiquaria ma rappresenta anche un limite: mutato il criterio estetico, muta anche l'impostazione e la valutazione dell'opera d'arte. Con l'inizio dell'Ottocento si hanno le prime campagne di scavo, tale fase militante dell'archeologia culminerà nei decenni dopo il 1870 e porrà finalmente in luce tante opere greche originali. Contemporaneamente si sviluppava la fase filologica dell'archeologia attraverso la critica delle copie di età romana. Tuttavia nè archeologi nè filologi si preoccuparono di rivedere il criterio estetico che Winckelmann aveva posto a fondamento della storia dell'arte antica, anche perché il suo giudizio coincideva con i giudizi reperibili nelle fonti letterarie antiche. In realtà le fonti sono fonti classiche tarde (Plinio e Pausania), che si riconnettono ad una serie di scritti retorici del tardo ellenismo, quando nella Grecia, in declino economico, si era formato un ceto medio e una cultura media conservatrice e rivolta al passato e alle libertà passate, anteriori alla conquiste di Alessandro → era sorta così la corrente neoattica che non teneva in nessun conto la scultura ellenistica, cioè di quella a loro contemporanea, In tal modo è perdurata a lungo (confermata anche da Vasari) una visione parabolica della storia dell'arte antica, che tocca il suo culmine nel periodo aureo con Fidia per poi decadere, sebbene di Fidia non si sapesse quasi nulla, conosciuto dalle fonti soprattutto per le due statue di Zeus di Olimpia e Atena del Partenone, irrimediabilmente perdute. È stato molto difficile liberarsi da questa concezione, avvenuto solo nei primi decenni del Novecento, che ha generato molti equivoci, primo tra tutti che l'arte greca fosse essenzialmente un'idealizzazione del vero → invece essa riprende la realtà, l'artista si pone sulla via del naturalismo, sempre interpretandolo alla luce della sua cultura e della sua soggettività, abbandona la ripetizione di schemi figurativi fissi e simbolici. L'errore della costruzione parabolica e dell'identificazione di un determinato periodo della storia dell'arte greca con l'assoluto dell'Arte fu avvertito presto, anche se non dagli archeologi. Il primo fu Schlegel che accusa Winckelmann di misticismo estetico, cioè di aver visto l'arte greca attraverso un processo di idealizzazione dell'arte stessa, volta a creare modelli di astratta perfezione, basati sulla bellezza formale assoluta; cfr mondo delle idee di Platone, solo le opere che rispecchiano l'ideale di bellezza assoluta possono considerarsi vere opere d'arte, tutte le altre sono una preparazione per raggiungere tale ideale o una manifestazione di decadenza. Ci furono anche delle concrete conseguenze culturali della formula di bellezza assoluta che il Winckelmann aveva teorizzato per l'arte greca, tra cui due casi esemplari: ➔ 1819, Lord Elgin staccò i marmi del Partenone, la cui decorazione era attribuita dalle fonti letterarie alla direzione di Fidia, gli archeologi negarono che i marmi potessero avere una tale origine e addirittura che fossero opere greche, pensando fossero copie di età romana, quindi del periodo di decadenza. Fu Canova che, nonostante fosse permeato di teorie neoclassiche, affermò di trovarsi di fronte a dei capolavori degni del nome di Fidia. ➔ 1877-82, il governo tedesco iniziò i grandi scavi nel santuario di Olimpia, ma il complesso di sculture fu considerato opera d'arte provinciale, di una scuola secondaria, perché non rispecchiavano l'ideale del sublime greco, presentando particolari troppo realistici (come lo stalliere che si tocca il piede). Questi due episodi dimostrano come l'immagine che la critica archeologica si era fatta della cultura greca, non rispondeva alla realtà. L'indice dell'opera di Winckelmann, divisa in 12 libri, è il seguente: 1) origini delle arti e delle loro differenze verso le varie nazioni: nota uno stile di origine simile presso i diversi popoli + importanza dell'influenza del clima della Grecia, che piega l'eccezionale capacità artistica; 2) arti del disegno presso Egizi, Fenici, Persiani; 3) arti del disegno presso gli Etruschi; 4) arti del disegno presso i Greci + idea del Bello; 5) come l'idea del Bello sia stata realizzata nelle singole opere; 6) tratta del panneggio; 7) tratta della parte tecnica (scultura e pittura); 8) sintesi dei progressi e della decadenza dell'arte greca e romana; 9) storia dell'arte greca, dai presunti inizi fino ad Alessandro; 10) storia dell'arte da Alessandro ai Romani in Grecia; 11) e 12) storia dell'arte greca presso i Romani. NB: si parla solo di arte greca → con Wickhoff (1895) si comincia a parlare di arte romana, come un'arte che presenta elementi propri di originalità. Winckelmann, riuscitosi ad imporsi all'ambiente degli eruditi romani, diventando famoso e ricercato, con la carica di Conservatore delle Antichità di Roma, ci mostra la sua personalità dell'intellettuale romantico, che agisce soprattutto sotto la spinta di un desiderio di gloria personale. Uno dei brani più famosi dell'opera di Winckelmann è senza dubbio il passo con la descrizione dell'Apollo del Belvedere; il maggior pregio è il tentativo di trasmettere con le parole la sensazione dell'opera d'arte → tuttavia non è il modo d'accostarsi storicamente ad un'opera d'arte. L'ARCHEOLOGIA FILOLOGICA La filologia come indagine e sistemazione dei testi letterari e della loro trasmissione manoscritta era sorta nel periodo del tardo ellenismo, ma è nata ufficialmente in epoca moderna con Friedrich August Wolf, che nel 1777 chiese ed ottenne di essere immatricolato all'università di Gottinga come studiosus philologiae e non come studiosus theologiae; da quel momento la filologia fa il suo ingresso nella nomenclatura universitaria ufficiale in Europa. Essa si affermò particolarmente in Germania e si divise in due grandi rami: la grammatica comparata e la critica dei testi; quest'ultima branca influenzò la ricerca archeologica, volta a ricostruire la storia della scultura greca. Inizia così, dopo il periodo di Winckelmann, il periodo dell'archeologia filologica. Fu proprio la scuola filologica a scoprire che il Winckelmann non aveva mai visto originali greci, ma solo copie romane, che costituivano la maggior parte delle sculture esistenti a Roma. Dal 1830 per circa un secolo, l'archeologia diviene una scienza diretta dalle scuole di studiosi tedeschi, in quanto la Germania si vedeva come erede diretta della civiltà greca e lo Stato prussiano ne favorisce lo studio. I primi archeologi-filologi furono Overback (classifica il materiale iconografico-mitologico e pubblica i testi letterari), Friedrichs (identifica le copie del Doriforo di Policleto) e Brunn (traccia la prima vera storia dell'arte greca, basandosi su fonti letterarie: Storia degli artisti greci). Ci si volse allo studio critico dei testi antichi, traendone tutte le notizie relative agli artisti, cercando di mettere accordo tra le varie fonti e di correggere filologicamente i testi corrotti. Dalle indagini filologiche emergono in particolare due punti: ➔ si hanno una serie di copie romane di originali greci, ovvero delle sculture più famose ed apprezzate dell'antichità; ➔ si hanno una serie di menzioni di opere di grandi artisti greci, descritte dalle fonti antiche. Le due serie devono coincidere: si identificano le opere mettendo in relazione monumenti (copie) e fonti. Grazie a questo parallelismo, la prima identificazione fu quella dell'Apoxyomenos di Lisippo in una copia di marmo, sulla base della descrizione di Plinio e fu resa facile dall'atto compiuto dalla figura che si pulisce con lo strigile. Questa identificazione insegnò che le statue in bronzo potevano essere copiate in marmo, ma che tuttavia rimaneva qualche traccia della tecnica diversa impiegata, come si evince dall'uso dei puntelli: la statua in bronzo si regge anche se è fuori dal suo equilibrio statico, mentre nel marmo, il copista deve aggiungere dei punti d'appoggio (un albero, una colonnetta...) per la statica della statua (nonostante disturbino la composizione originale) + aggiungere puntelli di raccordo nelle parti eccessivamente libere e soggette a rottura → l'identificazione delle statue con i puntelli fu un primo criterio di classificazione tra originali e copie. In seguito l'identificazione più importante fu quella compiuta da Friederichs del Doriforo di Policleto in una copia del Museo di Napoli (anche se tuttavia oggi la migliore replica è quella degli Uffizi). La statua è considerata il passaggio dall'età arcaica all'età classica: dal tipo del kouros e della kore arcaici, statuette votive immobili che non rappresentavano un determinato personaggio, ma un'immagine astratta dell'offerente o della divinità, si passò, nel V secolo, a una figura più proporzionata e, soprattutto, con possibilità di movimento → il Doriforo di Policleto rappresenta il canone della statuaria greca, che subirà delle variazioni nel tempo (es. Augusto di Prima Porta, non è altro che un Doriforo loricato e con il braccio alzato). Come arrivò Friederichs ad identificare questa statua? ➔ notò che esistono molte repliche di questo tipo di statua atletica e perciò doveva trattarsi di una statua famosa; ➔ attraverso lo studio accurato della capigliatura giunse a convincersi che l'originale era in bronzo e che quindi erano da togliere i puntelli, aggiunti solo nelle copie marmoree; ➔ studiò la composizione della figura che rivela la ricerca da parte dell'artista dell'equilibrio delle varie parti del corpo, che formano un chiasmo, e che crea al contempo la possibilità del movimento nella statua non impegnata nell'azione; nelle fonti trovò che Lisippo era considerato il perfezionatore di questo equilibrio, ma, dal momento che la statua presenta qualche traccia di arcaismo, deve essere retrodatata al IV secolo, quando le fonti pongono Policleto; ➔ il copista di Napoli mette in mano alla statua una lancia (doriforo = portatore di lancia), come attestato dalle fonti. Procedendo con il sistema filologico di Friedrichs, molti altri studiosi riuscirono a identificare numerose copie con gli originali descritti dalle fonti, spesso finendo per studiare più le copie di età Plinio Plinio, con la sua Naturalis Historia, è la fonte per noi più completa e preziosa. Nella lettera dedicata a Vespasiano (69-70 d.C.), nella quale presenta l'opera, mette in risalto la novità della sua opera, che raccoglie 20.000 notizie e dati di fatto relativi a tutto il mondo della natura, prese da una quantità immensa di volumi, alcuni anche poco noti. Le notizie sono prese dalle letture che fa durante il tempo libero, infatti riconosce di non essere uno studioso e di fare questa raccolta per curiosità → impostazione dilettantistica dell'opera, ma con mentalità scientifica di voler annotare con precisione tutti i dati. I libri 24, 25, 26 affrontano questioni artistiche partendo da notizie relative a certi aspetti della natura: da un discorso sulle pietre si collega alla scultura marmorea, da uno sui metalli, alle statue in bronzo e da quello sulle terre colorate, alla pittura. Plinio raccolse così ciò che si conosceva nella sua epoca delle arti figurative, tuttavia senza rivederle e coordinarle, come risulta da alcune contraddizioni tra le notizie → Plinio raccoglie notizie senza intendersene di arte, talvolta senza capire le fonti che trovava; spetta a noi il lavoro di critica. + problema della traduzione di termini specifici greci, talvolta latinizzando la parola greca, talvolta, più complicato per noi, traducendoli con nuovi termini e dando luogo ad equivoci. Le contraddizioni sono dovute al fatto che Plinio attinse a scritti del tardo ellenismo di tendenze molto diverse. Negli autori ellenisti vi è una visione nostalgica e retrospettiva del passato e delle antiche glorie, quindi le loro fonti mettono in particolare risalto gli artisti classici del V e IV secolo, ignorando l'arte ellenistica a loro contemporanea → una conseguenza di questa elevazione dell'arte classica anche da parte di autori ellenistici sarà proprio la visione mitica (periodo aureo) della storia dell'arte del Winckelmann, che ha creato tanti problemi. Un esponente di questa visione classicistica è Apollodoro di Atene, grammatico, autore di una storia della Grecia che elencava gli avvenimenti dal tempo della guerra di Troia al II sec d.C.; esalta Fidia e Prassitele e segna dopo Lisippo, quindi l'ellenismo, l'inizio della decadenza. In un passo si trova infatti detto che l'arte morì all'inizio del III sec a.C. e rivisse a partire dalla metà del II, quando iniziò il movimento classicistico → si considera l'ellenismo come un periodo di morte per l'arte. Tra le fonti di Plinio però c'è anche Senocrate di Atene, scultore, allievo di Lisippo; al contrario di Apollodoro, egli afferma che con Lisippo si raggiunge il massimo punto dell'arte greca, ed è grazie a lui che ha inizio lo stile ellenistico. Senza dubbio Lisippo segna un punto di svolta nell'arte greca: pone alla base della creazione artistica la visione personale, non più la tradizione della scuola + va contro a Platone, che sosteneva che il pittore che rende la prospettiva è un ciarlatano in quanto dà a intendere la realtà in un modo che non è → Lisippo fa ampio uso delle leggi prospettiche, come del resto farà l'arte ellenistica e in seguito il IV stile pittorico romano. I passi di Senocrate sono molto importanti in quanto ci mostrano un periodo assai più vivo artisticamente rispetto a quello classico, con opere perlopiù varianti di temi già usati. Non bisogna quindi dare valore assoluto ai giudizi critici di Plinio; dobbiamo tener presente anche il nostro giudizio critico contemporaneo, cioè attraverso l'analisi formale dell'opera d'arte → giudizio critico poi fatto storico mediante la ricostruzione degli elementi storico-sociali del tempo. Pausania Vissuto nel II sec d.C., Pausania fa parte degli scrittori periegeti, cioè descrittori di viaggi, autori di guide per i forestieri che visitavano i grandi santuari → genere molto coltivato in età ellenistica, in accordo con la tendenza nostalgica a guardare al passato. Periegesi della Grecia è un'opera in dieci libri, lasciata interrotta dall'autore. La sua opera segue un ordine geografico molto chiaro: dall'Attica passa al Peloponneso, all'Arcadia, alla Boezia, alla Focide, alla Locride e Naupatto; manca la parte sulla Tessaglia, molto importante ai fini degli scavi odierni. Non è da intendersi come una mera guida turistica, bensì un libro di lettura che forniva la conoscenza dei luoghi e dei monumenti, pretesto per ricapitolare la storia della Grecia intercalandovi narrazioni mitologiche. Essa è stata composta soprattutto a tavolino, sfruttando opere di argomento localmente più ristretto dei periegeti precedenti, come anche le opere degli storici, dei poeti e dei mitografi. Sicuramente Pausania ha visitato alcuni luoghi di maggiore importanza, come l'Acropoli di Atene e i santuari di Olimpia e Delfi, come si ricava dagli effettivi riscontri, ma indubbiamente non ha avuto la conoscenza diretta di tutte le zone da lui descritte. Descrizione del santuario di Olimpia (V e VI libri, Elide): narrazioni sulla storia antica dell'Elide, descrizione del tempio di Zeus, descrizione dell'Heraion, elenco degli altari del santuario e delle statue di Zeus. All'interno di una nicchia nell'Heraion, Pausania parla di un Hermes di Prassitele, di cui non se ne ha notizia da nessun altro scrittore, tanto che si era dubitato della veridicità di questa notizia; al contrario, gli scavi tedeschi del 1877, effettuati nel punto indicato da Pausania, riportarono alla luce proprio la statua, confermando l'attendibilità delle sue notizie. Se prima si riteneva la statua del c.d. Hermes con Dioniso infante un originale di Prassitele (IV sec), l'unico in assoluto giuntoci, quasi del tutto intatto, gli studi di Blumel dimostrarono che si trattava di una statua di età romana, dato che si è riconosciuto l'uso di ferri (scalpello a tre punte), mai usati prima dell'età romana + è da attribuire a un Prassitele della fine del II sec a.C. (dalle fonti si conoscono ben quattro artisti di nome Prassitele). Se la scoperta della statua di Hermes ci confermava l'attendibilità topografica di Pausania, altri casi ci danno un esempio della sua non sempre esatta informazione storico-artistica. A Olimpia, Pausania descrive i due frontoni del tempio di Zeus, attribuendone uno a uno scultore di nome Paionos e l'altro ad Alkamenes; la critica moderna ha invece constatato che i due frontoni sono opera della stessa mano (Maestro di Olimpia, incognito), escludendo del tutto i due autori citati da Pausania. Da dove è nato l'errore di Pausania? Da un'iscrizione sotto la statua di una Nike, datata 425 a.C., si legge che un tale Paionos scolpì, oltre ad essa, anche gli acroteri del tempio: il termine acroterio, che prima indicava solo le decorazioni sopra il frontone, con il tempo si era esteso a tutto il frontone + frontone datato 470-460 a.C., non corrisponde allo stile della Nike e degli acroteri, cioè allo stile di Paionos. Dell'attribuzione ad Alkamenes abbiamo solo ipotesi. Luciano di Samosata Luciano è l'unico tra gli scrittori del mondo greco che dimostra di avere gusto e sensibilità artistica. Egli non è un compilatore ma uno scrittore fornito di cultura: parla di opere d'arte che ha visto e che descrive esprimendo le proprie sensazioni e il proprio giudizio. Le precisazioni sul luogo in cui ha potuto vedere le opere e sul fatto se fossero copie o meno, attestano che la documentazione è degna di fede, tuttavia anche Luciano partecipa al culto per l'era lontana della grande Grecia classica e infatti menziona solo opere di artisti famosi classici. Ateneo Grammatico e sofista, vissuto verso la metà del III sec d.C., compose un'opera erudita intitolata I dotti a convito (Deipnosophistai), dove i convitati intrecciano colloqui che danno modo di raccogliere un'ampia quantità di notizie di carattere enciclopedico. Tra queste, oltre a varie notizie minori, vi sono due lunghe descrizioni dei cortei festivi e delle processioni trionfali dei sovrani ellenistici, documenti preziosissimi per conoscere lo splendore delle corti ellenistiche. Numerose sono anche le fonti di età bizantina + si considerano fonti anche le iscrizioni, che conservano firme di artisti, documenti che annotano le spese e decreti. LE SCOPERTE E LE GRANDI IMPRESE DI SCAVO Lo studio dell'arte antica è un tessuto composto di tre fili diversi: la conoscenza delle fonti scritte, la conoscenza dei materiali reperiti dallo scavo, il criterio metodologico per portare quelle nozioni a giuste conclusioni storiche. Winckelmann, quando iniziò la sua opera, si trovò di fronte ad un vero caos di opere d'arte uscite in gran parte dal suolo di Roma e non ancora classificate; egli tentò di trovare un criterio per ordinarle, ma scrisse una storia dell'arte greca, avendo visto solo copie romane. Subito dopo la scoperta della Grecia e delle sue opere originali greche si sviluppò sempre più. Nel 1733 fu fondata a Londra la Società dei Dilettanti (dilettanti nel senso di amatori d'arte), i cui membri cominciarono a finanziare viaggi e poi ad accodarsi a spedizioni fatte dal governo inglese con intenti colonialistici, specialmente nell'Asia Minore; non si trattava di attività di scavo, ma solo attività di scoperta. Dal 1738-1766 erano stati intrapresi in Italia gli scavi di Ercolano, e dal 1748 quelli di Pompei, che portarono alla luce inattesi tesori di pittura e misero di moda uno “stile pompeiano”. Ma gli scavi di Ercolano furono presto abbandonati per le gravi difficoltà che essi presentavano, dato che Ercolano era stata investita da una colata di fango caldo che poi si è indurito rendendo difficilissimo lo scavo, a differenza di Pompei, seppellita da uno strato di cenere; solo dopo l'unificazione d'Italia i lavori furono ripresi (1873). Una delle prime e più discusse acquisizioni fu quella dei marmi del Partenone che vide come protagonista Lord Elgin. Questi aveva ottenuto il permesso dal governo di Costantinopoli (la Grecia allora era occupata dai Turchi) per far eseguire disegni e calchi dei marmi del Partenone per l'insegnamento degli artisti; il permesso fu però distorto e la spedizione fu trasformata in una spoliazione (asportazione dal loro luogo d'origine): i marmi furono preparati per essere spediti a Londra, dove arrivarono nel 1812 (alcuni naufragarono e furono poi recuperati da palombari, altri furono sequestrati dai francesi e in seguito restituiti). I marmi suscitarono una divisione tra gli studiosi che li consideravano delle opere d'arte e gli antiquari di stampo winckelmanniano che li rifiutavano, riducendoli a copie romane (età della decadenza); in seguito furono acquistati dal British Museum. Se da un certo punto di vista la spoliazione è sempre un atto lesivo, dall'altro, senza i vari trasferimenti avvenuti negli ultimi secoli (l'arte egiziana dopo la spedizione di Napoleone, l'arte classica greca con i marmi di Elgin, l'arte ellenistica con l'Ara di Pergamo trasportata a Berlino) la cultura odierna sarebbe diversa e molto meno ricca di conoscenze. Il caso dei marmi Partenone fu molto particolare perché essi erano già stati manomessi quando il tempio venne trasformato prima in chiesa cristiana e poi in moschea-polveriera, oltretutto fatta esplodere dai veneziani; insomma all'epoca di Elgin le sculture erano state abbandonate ed esposte ad ogni pericolo, umano o naturale. Canova riconobbe immediatamente il valore dei marmi e si rifiutò di restaurarli. Quindi per studiare un'opera, bisogna prima esaminare da dove proviene lo schema iconografico, solo così si può stabilire il periodo storico e valutare il contributo personale dell'artista. Loewy per primo mise in evidenza tale persistenza, mostrando anche le connessioni dell'arte greca arcaica con l'arte del Medio Oriente, che presentano motivi simili. Tuttavia egli non tenne conto di un altro aspetto, cioè la distinzione tra schemi iconografici e forma- contenuto artistico, che vanno valutati separatamente; es. nell'arte etrusca si ha una permanente tradizione iconografica greca, rivestita da un'espressione formale del tutto differente. 2) RAPPORTO ARTE GRECA-NATURA Il problema della rappresentazione della realtà, del vero della natura, cioè del modo in cui l'immagine naturale viene trasformata in immagine artistica. Winckelmann aveva formulato il concetto di idealizzazione delle forme reali, cioè della selezione del più bello, del migliore, per costruire una forma ideale che stesse al di sopra dell'aspetto della natura, come le idee platoniche alla realtà. Oggi si è dimostrato come quella greca sia la più naturalistica delle civiltà antiche, profondamente realistica + schemi figurativi conosciuti che permettono all'arte di stabilire un rapporto di leggibilità tra l'opera e il pubblico; i creatori di nuovi simboli distruggono quelli precedenti, provocando un vero e proprio scandalo morale. La formulazione winckelmanniana subì una revisione alla fine dell'Ottocento, in base alle tendenze positivistiche diffuse all'epoca. Anzitutto ci fu il danese Julius Lange, che definì alcune leggi della concezione artistica del periodo arcaico, tra cui fondamentale è quella della frontalità: qualsiasi immagine riprodotta dall'artista subisce una specie di schiacciamento, perde volume → la figura non ha profondità + visione lineare e simmetrica, con una linea che taglia verticalmente in due la figura. Da queste leggi, Lange caratterizzò lo stile arcaico: frontalità del torso (ma non delle gambe, che possono essere viste di profilo), occhio di prospetto, non di profilo (cfr arte egiziana). Secondo Lange, queste sono convenzioni che dominano qualsiasi arte primitiva e si ritrovano in qualunque civiltà antica: es. civiltà egiziana viene superata dall'arte greca, che scopre le regole di scorcio. Egli, partecipe del comune equivoco che l'arte fosse la miglior riproduzione del vero di natura, ritenne quindi la frontalità una conseguenza dell'incapacità di avvicinarsi al vero; alla base vi era ancora il pregiudizio settecentesco dell'arte arcaica come uno stadio di preparazione rispetto a quella classica, precludendosi così la comprensione storica del periodo arcaico. Loewy invece comprese che la frontalità arcaica era dovuta ad un preciso processo di concezione dell'atto artistico: l'artista non opera affatto imitando un certo oggetto della natura, ma crea seguendo un ricordo o un' immagine mentale che gli presenta l'oggetto sotto l'aspetto più semplice e più chiaramente leggibile, cioè nella sua massima estensione e nella sua forma più caratteristica (per questo motivo non esistono parti del corpo viste parzialmente). Lo scorcio sarà già il risultato invece di una riflessione e di una volontà razionale esercitata sull'immagine spontanea. Tale indagine psicologica sganciò Loewy dal pregiudizio dell'incapacità dell'artista e gli fece comprendere che la concezione dell'arte arcaica era dovuta al particolare linguaggio dell'artista ed era legata ad un determinato mondo e tempo → si supera la concezione evoluzionistica della storia dell'arte, ogni sua parte ha un valore in sé. Uno scolaro di Loewy, Alessandro Della Seta, si occupò della questione del superamento della frontalità nell'arte greca, attribuendolo allo sviluppo di una maggiore conoscenza anatomica e finendo per porre lo sviluppo generale dell'arte sotto l'etichetta della ricerca anatomica, come se essa si proponesse solo tale conoscenza. È vero che nel passaggio dall'arcaico al classico vi è un arricchimento di dettagli anatomici, ma questo è finalizzato a differenziare i vari piani nel chiaroscuro: è proprio l'introduzione di elementi chiaroscurali a rompere la frontalità arcaica, cercando di raggiungere la piena corporeità di una figura che si muove nello spazio. In ogni caso con questi tre studiosi l'ambiente si discosta da quello del stretto filologismo tedesco e compare un orientamento dell'archeologia verso l'interpretazione del fatto artistico. Agli inizi del Novecento si entra in una nuova fase degli studi archeologici, il cui processo si accelera dopo la prima guerra mondiale, quando l'interruzione degli scavi e la chiusura dei musei indussero gli studiosi a riflettere sul materiale già esistente e raccolto. Diventa presupposto fondamentale delle ricerche prendere in considerazione solo gli originali; emblematica è l'opera di Langlotz Fruhgriechische Bildgauerschulen (Scuole di scultura della prima età greca, 1927), nella quale non ci si basava più sulle opere neoattiche e romane, bensì su piccoli bronzi, opere originali, con il fine di ricostruire non più le personalità dei grandi Maestri, ma le varie scuole che di questi subirono l'influenza o da dove essi erano scaturiti. Fondamentale nei nuovi studi di archeologia era stata l'influenza della 'scuola viennese', cui maggiori esponenti furono Wickhoff e Riegl, entrambi storici dell'arte medievale e moderna, che si sono occupati di storia dell'arte antica per chiarire i rapporti con quella dei secoli successivi. Riegl Per poter ordinare il materiale archeologico romano-barbarico al museo di Vienna, studiò l'artigianato dell'ultimo periodo imperiale nell'opera Spat-romische Kunstindustrie (Industria artistica tardo-romana, 1901): in esso vi è una revisione di tutta l'architettura, la scultura e la pittura a partire dal II secolo d.C., per giungere ad una nuova valutazione dell'arte romana del tardo impero (III-IV sec), ritenuta comunemente di decadenza. Riegl fu anche autore dell'opera Stilfragen (Problemi di stile, 1893), nella quale aveva cercato di chiarire le leggi generali che sembrano presiedere alla creazione dei motivi ornamentali, formulando una nuova teoria che liberò la storia dell'arte dal concetto di decadenza. Si accorse dell'impossibilità di comprendere tanti secoli di arte sotto la definizione semplicistica di decadenza; in contrapposizione a ciò introdusse il concetto di Kunstwollen (volontà d'arte) o teoria del gusto: ogni epoca della storia determina un proprio gusto e lo esprime in determinate manifestazioni artistiche, per cui non è lecito confrontare il gusto di un epoca con quello di un'altra e giudicarlo alla luce di un presunto gusto classico o esemplare → si deve cercare di ricostruire l'arte dei singoli periodi presi singolarmente. Nonostante ciò, egli rimase legato ad una concezione antistorica che inquadrava la storia dell'arte in una linea evolutiva predeterminata e che gli derivò dalle scienze naturali. Così distinse tutta l'arte dell'antichità in tre periodi: tattile-ravvicinato o miope (arte egizia), tattile a vista normale, che situa le forme in una ragionevole distanza ambientale (arte greca classica), e ottico-illusionistico (età romana del tardo impero). Il rischio della sua concezione è l'abolizione di ogni giudizio di valore: se non si deve valutare un'opera perché appartiene al gusto del proprio tempo, è facile poi passare all'affermazione che ogni opera corrisponde al gusto del suo autore. Inoltre se è esatta l'affermazione che ogni epoca produce un'arte diversa, che trova giustificazione nel mutarsi della società, Riegl però trascurò del tutto lo stretto rapporto tra arte e società, poiché pose il gusto come un deus ex machina che regola tutto, senza chiedersi come esso si sia formato. Wickhoff In stretto contatto con le idee del Riegl, Wickhoff si trovò di fronte al problema di pubblicare un famoso manoscritto purpureo della Genesi della Bibbia, adorno di miniature, ritenute allora del IV sec e di fattura campana, per certa supposta parentela con la pittura pompeiana; esse sono tate poi riconosciute come opera di maestranze orientali del VI secolo. Wickhoff affrontò il problema di come si fosse giunti al genere di pittura mostrato, che sembrava essere in una relazione di continuità ma anche di variazione con la tradizione ellenistica (allora conosciuta tramite la pittura pompeiana). Fece quindi una sintesi dello svolgimento dell'arte romana e per primo la considerò autonoma da quella greca: i Romani sono stati sì gli eredi del patrimonio artistico ellenistico, ma hanno prodotto elementi artistici nuovi e originali, tra questi Wickhoff insistette soprattutto sull'elemento coloristico nella pittura. Questo interesse lo indusse a porre troppo in risalto la tecnica impressionistica dell'arte romana in contrapposizione al classicismo dell'arte greca. L'originalità dell'arte romana viene dunque sostenuta in pieno e individuata in tre forme artistiche: il ritratto realistico, la concezione spaziale e prospettica e la narrazione continuata (→ disporre vari episodi di una narrazione storica o mitologica uno accanto all'altro sullo stesso sfondo paesistico e senza nessun distacco, come nella Colonna Traiana, mentre era considerata tipica dell'arte greca la suddivisione in episodi staccati, come nella decorazione templare dorica, come nelle metope delle fatiche di Eracle nel tempio di Zeus a Olimpia). Wickhoff si fece portatore di un grande merito: aver operato una rottura nella storia dell'arte, anche se, oggigiorno, le sue tesi critiche non sono valide; quando le sue tesi divennero note, la sua teoria fu accolta senza remore e senza nessuno spirito critico. Oggi è confermato che nell'arte greca esiste il problema dello spazio pittorico fin dalla pittura proto- attica della ceramica del VII secolo a.C. Wickhoff non si rese conto che l'illusionismo spaziale presente nella pittura pompeiana deriva dall'ellenismo, sia come imitazione di opere del passato, sia come svolgimento dell'arte ellenistica che continua in Italia per opera di artisti greci + cessato questo apporto (IV stile pittorico), l'arte romana, da un lato, rinuncia a collocare le immagini in uno sfondo oggettivato e, dall'altro, esaspera la tecnica 'a macchia' che è distruzione della forma plastica dell'immagine, avviò all'astrazione e al simbolismo del segno (≠ concezione spaziale e prospettica). È certo comunque che, sebbene si abbiano dei precedenti sia nel ritratto dei sovrani ellenistici, sia nel fregio con il mito di Telefo nell'Altare di Pergamo, i romani portarono a sviluppi grandiosi queste due forme artistiche. Secondo Wickhoff la novità della rappresentazione continua è connessa con il diverso punto di vista in cui si pone lo spettatore: quello greco è estraneo alla scena e vede da un punto esterno le figure che si muovono parallelamente al fondo del rilievo; invece nei rilievi romani egli si trova nello stesso spazio delle figure, perché alcune vengono verso di noi, altre si allontanano etc → aspetto definito illusionismo ottico. La scuola viennese ha quindi iniziato una nuova fase della storia dell'arte antica: attenzione ai fatti formali, cronologia deriva dall'analisi della forma artistica piuttosto che dalle fonti. Dopo il Wickhoff, si comincia a parlare di categorie dell'arte anche nel campo archeologico, definite dallo storico dell'arte Wolfflin: questa nuova classificazione diede sì un mezzo che poteva essere subito compreso da tutti gli studiosi, senza problemi di incomprensione dei termini, ma c'è anche il pericolo di arrivare a far consistere la storia dell'arte in nient'altro che un incasellamento delle opere in una data categoria. In contemporanea, nasce anche il linguaggio tecnico della critica d'arte, che la isolerà nella cerchia dei suoi competenti.
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