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Riassunto di "La programmazione televisiva. Palinsesto e on demand" di Luca Barra, Schemi e mappe concettuali di Storia Della Radio E Della Televisione

Un riassunto completo del volume per l'esame di Storia della Radio e della Televisione di Luca Barra.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2019/2020

Caricato il 01/10/2023

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Scarica Riassunto di "La programmazione televisiva. Palinsesto e on demand" di Luca Barra e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Della Radio E Della Televisione solo su Docsity! CAPITOLO I: PALINSESTO. DEFINIZIONI Quando si guarda la televisione, raramente si vede un testo specifico e, piuttosto, si è osservatori della sua proposta multiforme, della natura continua di un servizio sempre disponibile e una tecnologia domestica che diventa forma culturale. Lo spettatore privilegia dunque l'atto di guardare, cambiare canale, stare davanti a una complessiva offerta. Non è dissimile il modus operandi con cui la produzione organizza il broadcasting, concentrandosi su blocchi di vari testi funzionali a trattenere il pubblico. Ogni singolo contenuto è: • inserito in una sequenza ordinata di programmi; • situato in un contesto, delineato dal simbolo della rete, da ciò che viene trasmesso prima e da ciò che verrà mandato in onda dopo; • composto in una programmazione, fatta di testi variegati dominati da un principio ordinatore, legato a un determinato obiettivo. In italiano, il principio ordinatore appena citato è chiamato dai primi dirigenti Rai “palinsesto”, che anticamente indicava una pergamena il cui testo era cancellato per potervi riscrivere sopra o per poter correggere degli errori – pratiche che ben si collegano anche proprio al nuovo utilizzo televisivo della parola: non solo difatti esso ha spesso lacune e se ne può ricostruire la logica a posteriori, ma la sua stesura è un processo che richiede pazienza come nel caso dei codici e che è potenzialmente infinito, continuo. 1. Un oggetto molteplice Insomma, il palinsesto ha già nel proprio nome insite le continue riscritture e modifiche, le quali non solo non sono neutre, ma lo rendono anche un oggetto delicato, destinato a scomparire una volta trasmesso. Questa scelta terminologica è una specificità italiana, e più di qualsiasi altra traduzione essa indica la costruzione dell'oggetto; essa, inoltra, possiede una certa libertà, dato che viene utilizzata sia dagli addetti ai lavori che dal pubblico, e ciò fa emergere sfumature diverse e incomprensioni nel suo significato. In generale, il palinsesto opera su tre livelli distinti: 1. dimensione sintattica: disposizione degli elementi in un ordine secondo regole e strategie; 2. dimensione semantica: la disposizione influenza i significati e la ricezione dei prodotti; 3. dimensione pragmatica: sviluppo e mantenimento della relazione diretta con gli spettatori. 1.1. Macro-testo, mosaico, ordine • Macro-testo: il palinsesto è un macro-testo, cioè un “testo dei testi” che trascende i singoli contenuti e li mette assieme in una costruzione più complessa, per cui ogni testo si manifesta comunicativamente in compagnia di altri testi precedenti, seguenti o contemporanei (su altri canali). Esso risulta dunque come un oggetto di analisi a se stante, il quale, per avere successo, dovrebbe prevedere, anticipare e assecondare le attese e le aspettative del pubblico, garantendo così la massima resa di ogni singolo testo. • Mosaico: il palinsesto è un mosaico, in cui il flusso della programmazione mette insieme, posizionandoli accuratamente, contenuti disparati e chiede allo spettatore di unirli e tenerli assieme, a prescindere dal fatto che le sue combinazioni possono essere molteplici. Infine, come un mosaico, esso ha una cornice che lo definisce. • Ordine: il palinsesto è una forma di ordine non dissimile da quella di un supermercato o di un catalogo, che al caos oppone un elenco di possibilità da cui scegliere. 1.2. Discorso, dispositivo, interfaccia • Discorso: una rete è infatti capace di instaurare una conversazione continua e sempre accessibile con il suo pubblico, conversazione alla cui base sta una specifica strategia per ribadire continuamente questo legame con gli spettatori. • Dispositivo: il palinsesto che mette in forma il discorso dell'emittente, da un lato rendendo questo sapere volontariamente a disposizione del pubblico, dall'altro fungendo da interfaccia che mette in relazione le istanze di produzione, broadcaster e rete televisiva, con quelle del consumo. 1.3. Strumento, arte, potere • Strumento: il palinsesto è uno strumento operativo, impiegato quotidianamente nella pratica professionale dell'industria televisiva, basata sull'analisi dei consumi e del marketing. La griglia di programmazione diventa così espressione di questa rete di saperi professionali. • Arte: esso è un atto creativo importante, ed è anche l'ultimo, che avviene dopo alla creatività della produzione. In un certo senso, però, è anche il primo, poiché è da lì che partono traiettorie e decisioni che influenzano la produzione stessa. • Potere: è una forma di potere, che definisce cosa raggiunge il pubblico e cosa invece non arriverà mai, attraverso scelte pianificate e ad hoc. Il palinsesto è anche un'arma usata nella competizione tra le varie reti, una narrazione che rappresenta una linea editoriale nel corso di una giornata, una drammaturgia intesa come messa in scena, un gioco di strategie e reazioni, nonché un genere caratterizzato da meccanismi testuali e fattori contestuali. 2. Questioni di flusso C'è una coppia di elementi inevitabilmente connessi alla griglia di programmazione, il primo dei quali è il flusso. Come sostenuto da Raymond Williams, la natura della televisione è un flusso continuo e pressoché indistinto, in cui industria e consumo tendono a levigare i confini dei singoli testi, inserendoli in una dimensione più ampia. I programmi sono così trasmessi in segmenti scomposti e incrociati, che si intersecano con altri tipi di sequenze, con obiettivi promozionali e pubblicitari, e ogni confine tra questi elementi è adeguatamente smussato. Sempre Williams riconosce che l'organizzazione dei contenuti televisivi richiede un principio ordinatore, per cui è più puntuale parlare di un “flusso pianificato”, che dà l'effetto di un caos costruito con cura. Nonostante il termine abbia avuto un gran successo accademico, è necessario puntualizzarne le criticità: anzitutto, lo stesso Williams lo utilizza non solo come un tratto immutabile del medium televisivo, ma come un'evoluzione storica del mezzo, che da focalizzato sui singoli testi si è poi concentrato su sequenze di programmazione – e ciò non deve far pensare a una riduzione nell'importanza della programmazione, mettendo invece in evidenza le capacità strutturali di mutamento e innovazione. Il flusso, oltretutto, per quanto omogeneo possa apparire, presenta inevitabilmente cesure: i bordi tra diversi segmenti è inevitabile e, paradossalmente, è sull'attenzione a questa scomposizione che si basa l'esperienza televisiva. Inoltre, il flusso ha il compito difficile di tenere conto da un lato dello sguardo del pubblico attento e prolungato (gaze), dall'altro di quello di non si trattiene (glance); alla fruizione del flusso deve pertanto fare da contraltare una sua attenta costruzione, che crei armonia tra la discontinuità dei singoli testi e la continuità della loro composizione. Insomma, esso è un equilibrio tra una doppia • non si può tralasciare un criterio di genere, per cui una rete può alternare informazione, intrattenimento e fiction (puntando dunque sull'ampiezza), o la specializzazione su una singola tipologia (optando per la profondità). • un'ultima distinzione è quella tra prime visioni e repliche. 1.2. Programmi: le segmentazioni, i vincoli Normalmente, i programmi compaiono nella programmazione come scomposti e segmentati, in alternanza con altri tipi di contenuti. Dunque, è forse più corretto considerare come “tasselli base del mosaico” le singole porzioni e moduli dei contenuti. • Sezioni: i prodotti televisivi sono suddivisi in sezioni caratterizzate da qualche forma di omogeneità tematica o narrativa. Alla scansione interna prevista da scalette e sceneggiature si aggiunge l'innesto esterno degli spot. • Confini: i programmi spesso si lanciano a vicenda, o sono preceduti da anteprime e riassunti. I confini tra testi finiscono così per confondersi per avvantaggiare la visione del pubblico. • Separazioni fittizie: un esempio sono le “scomposizioni Auditel”, annunci poco visibili della fine di un programma e dell'inizio del successivo, realizzati per isolare i momenti di maggior ascolto e poter comunicare così risultati migliori. Sul versante opposto, l'unità del singolo programma è messa in dubbio dal suo scioglimento in agglomerati che garantiscono più riconoscibilità e fidelizzazioni con l'impiego di logiche seriali. Per quanto riguarda i vincoli, invece, la UE ha istituito un sistema di quote protezionistiche per preservare la cultura nazionale; altri obblighi, come quelli TUSMAR, impongono la trasmissione di programmi di emergenza e pubblica necessità, o stabiliscono il divieto di messa in onda per i film vietati a certi orari. Altri vincoli sono poi propri del servizio che regola i rapporti con la Rai, concessionaria di servizio pubblico, o che entrano in vigore solo in periodo elettorale. 1.3 Pubblicità La programmazione di testi pubblicitari è un'operazione essenziali per le reti commerciali, il che concede al palinsesto una “funzione pragmatica”. Così, esiste un vero e proprio palinsesto pubblicitario, il cui scopo è quello di inserire interruzioni che “non spezzano ma punteggiano il flusso” (Agostini, 1986). L'unità base del testo pubblicitario è lo spot, raggruppato in sequenza con altri testi analoghi, a comporre un break, che può essere interno a un singolo testo o andare a dividerne due; all'interno di quest'ultimo, le posizioni privilegiate sono quella di testa (posizione di rigore) e coda. Non esiste però soltanto il mero spot: • Billboard o sponsorizzazione: connette in modo chiaro il prodotto pubblicizzato a un singolo contenuto, mediante un breve messaggio posto all'inizio e alla fine della trasmissione. Non dissimilmente agiscono anche i jingle. • Diario: colloca in testa a tutti i break di una giornata una schermata con il marchio della rete – simile al 7x7 di Mediaset o alle farfalle della Rai, entrambi pacchetti settimanali. • Telepromozione e televendita: la prima è una presentazione di lunga durata del prodotto, che usa come testimonial il conduttore del programma a cui è accostata, ma in un contesto differente; la seconda invece è un programma vero e proprio. Nel panorama si trovano anche le comunicazioni sociali e istituzionali, le sovrimpressioni pubblicitarie, il product placement, la brand integration e il branded entertainment. Si è talvolta anche tornati alle modalità di Carosello (Reloaded) o al mandare in contemporanea la stessa pubblicità su tutte le emittenti di un medesimo gruppo editoriale. Anche sulla pubblicità il legislatore è intervenuto: i messaggi pubblicitari devono essere riconoscibili come tali, le reti non possono superare il 18% di affollamento pubblicitario nell'ora di programmazione, mentre l'affollamento giornaliero è consentito al 15% (con un possibile altro 5% di telepromozioni) – anche se entrambi i limiti scendono al 12% nelle pay tv. Altro importante vincolo è quello di quali programmi possono essere interrotti da break (es. film) o no (es. cartoni animati). Infine, è vietato dare visibilità particolare alla pubblicità. 1.4. Promozione Esiste anche una rete di contenuti promozionali e autopromozionali, paratesti che raccontano rete e programmi, creando attese e fornendo indicazioni. L'unità di base è il promo, un filmato che riassume strategicamente i contenuti di un programma, e viene collocato di solito all'inizio o alla fine dei break pubblicitari; il suo scopo è quello di coinvolgere l'audience e costruire un frame entro cui decodificare il testo. Spesso si comincia con un teaser, per poi proseguire con un promo di lancio, e con quelli di mantenimento o di puntata. Altre volte, invece, i messaggi promozionali sono semplici filler da inserire in tempi morti. Ai promo si aggiungono le voci fuori campo, gli annunci sui programmi della serata, ma anche forme di promozione incrociata di reti dello stesso gruppo editoriale, o indicazioni cumulative delle offerte del prime time. Come gli spot, i promo sono affiancati da sottopancia, sovrimpressioni e altre grafiche. Altri materiali promozionali sono invece sparsi nel palinsesto o usati per “raccontare” la rete, costruendone il marchio, un sistema con un suo valore e un patrimonio (brand equity), un'identità e una riconoscibilità (brand awareness). Gli ident, ad esempio, sono filmati brevi ma evocativi, utili a ricordare la rete e i suoi tratti distintivi più importanti; più compatti sono i bumper, brevi station break contenenti logo e immagine dell'emittente, che di solito separano programmi e spot. Diverso è poi il mega-promo, filmato di qualche minuto realizzato al lancio della stagione televisiva. Infine, sullo schermo sono presenti il logo della rete e, spesso, la luminosa, che ricorda cosa sta andando in onda o anticipa ciò che andrà in onda in prima serata. Così, le forme autopromozionali tratteggiano l'omologo palinsesto e fungono da cemento che aggrega testualità distinte. 2. Forma: il tempo del palinsesto La forma del palinsesto si basa su una o più griglie temporali, che si manifestano in continue trasmissioni televisive, con analoghe inarrestabili scansioni del tempo sociale condiviso e dei ritmi annuali. Per quanto rigida, la griglia consente flessibilità per la possibilità di sistemare i singoli elementi e duttilità di fronte a imprevisti e variazioni – in particolare quando si parla di diretta. La creatività degli addetti ai lavori si esercita entro una struttura, agendo per ciascun testo sulle principali dimensioni temporali: • la durata, ovvero la lunghezza del singolo contenuto; • la collocazione, cioè il momento di inizio del testo; • la sequenza, quindi l'ordine degli elementi; • la frequenza, cioè la scansione di un'eventuale ripetizione del titolo. Se da una parte i tempi sociali finiscono per dettare le collocazioni e le scansioni del palinsesto, dall'altra è anche la programmazione a imporre le ritualità sociali. In questo scambio, non va sottovalutato il ruolo dell'abitudine, sia da parte del pubblico che per quanto riguarda gli addetti ai lavori. 2.1. Stagioni L'anno televisivo si suddivide in stagioni: lassi temporali di lunghezza differente, che presentano caratteri, ruoli e funzioni spesso distinti: • due periodi vengono detti “di garanzia”: 1. la stagione autunnale, che comincia a settembre e termina a dicembre, ed è il periodo televisivo più importante dell'anno, in cui vengono posti i prodotti su cui investire di più; 2. la stagione invernale o primaverile, che ha contorni più sfumati, va da gennaio/febbraio fino a maggio ed è anch'essa caratterizzata da produzioni originali. • tra la stagione autunnale e quella primaverile si colloca un periodo di decompressione, prima delle “strenne”, con una specie di cuscinetto invernale. Le routine del palinsesto lasciano spazio a un periodo di appuntamenti legati al Natale e al Capodanno. Il periodo natalizio è anche un tempo di sperimentazione. • infine, tra stagione primaverile e autunnale si estende un lungo periodo estivo, che equivale alla “bassa stagione” della televisione, che a parte che non ci siano particolari eventi si affida a repliche ed esperimenti. L'anno televisivo si divide così in quattro stagioni, secondo il modello statunitense, che concentra nei cosiddetti sweeps (novembre, febbraio, maggio e luglio) la valutazione dettagliata dei dati di ascolto e, in base a questi, ritaglia la fall premiere season, la winter second season, gli spring tryouts (più marginali) e le summer reruns. Ad ogni modo, però, ad ora si sta assistendo alla tendenza all'abbandono di una suddivisione dell'anno così netta. 2.2. Settimane e giorni Un secondo lasso di tempo per dividere il palinsesto è la settimana, in cui si oppongono, da un lato, la programmazione feriale, che dal lunedì al venerdì propone gli stessi appuntamenti; dall'altra, una programmazione festiva, in cui il sabato e la domenica sono giorni distinti sia tra sé che con gli altri. Per quanto riguarda la singola giornata, essa presenta al suo interno un insieme numeroso di segmenti, il cui risultato è la scansione in fasce orarie: • la fascia mattutina, divisa in due parti: la prima è legata al risveglio, la colazione, la partenza per il lavoro; la seconda destinata invece a chi resta a casa; • la fascia meridiana, con il ritorno da scuola e la pausa pranzo; • la fascia pomeridiana, molto variegata, allargando mano a mano il target di riferimento; • la fascia preserale, è quella in cui la platea aumenta col ritorno dal lavoro e che si conclude con l'edizione principale del telegiornale e con la fascia detta di access prime time; • la prima serata (o prime time) è il piatto forte della programmazione di ogni giornata; • la seconda e poi la terza serata, a cui segue la fascia notturna, che chiude la giornata. In realtà, ogni rete declina in modo autonomo la sua scansione oraria e, per di più, essa ha teso a mutare negli anni. Al di là però della definizione più o meno precisa delle singole fasce, la collocazione oraria del programma è un elemento di inquadramento e valorizzazione fondamentale. Da questo punto di vista, si può dividere la giornata in tre grandi parti: 1. il daytime, che va dal mattino al preserale. In questa fascia, si lavora sulla mimesi dei tempi sociali, proponendo un mix di variazione e stabilità. Soprattutto poi nell'access prime time, si devono porre contenuti aggreganti che consentano un facile ingresso; Esistono una miriade di reti tematiche, accomunate dalla posizione laterale e complementare rispetto ai grandi network. Alcuni tratti ne delineano l'offerta: • la collocazione delle pause è studiata con attenzione per non essere invasiva; • si punta sulla multi-programmazione, cioè la composizione di un flusso di appuntamenti in un modulo stabile ripetuto più volte nel corso della giornata; • si presume che lo spettatore resti sintonizzato per un tempo limitato durante la giornata, per cui la programmazione resta “ricorsiva e circolare” (Semprini, 1994). Anche per la televisione tematica si possono elencare una serie di logiche editoriali che vengono perseguite dalle reti: • è forte la necessità di costruire, articolare e sostenere un brand di rete, così che la propria specificità possa diventare un marchio significativo; • la coerenza è molto importante; • l'obiettivo è distinguersi, posizionarsi in evidenza rispetto ai numerosi competitor. Il risultato è un'identità di rete “stretta” ed esclusiva, netta e riconoscibile, che punta unicamente a “ritagliarsi” un'audience in una porzione specifica di pubblico. Nelle reti tematiche i palinsesti sono forse più monotoni, ma presentano grande varietà interna, articolando topic e generi in un ampoio numero di sottocategorie. Un pilastro è la valorizzazione del prodotto esclusivo o in anteprima, affiancato poi da un secondo pilastro, quello delle repliche. 4. Logiche commerciali: il valore del palinsesto Le reti non possono prescindere dalle logiche commerciali, per cui alla propria offerta e alla domanda del pubblico devono sempre mettere in relazione la competizione delle altri emittenti. In questo quadro, un ruolo strategico è assunto dal marketing televisivo, che aiuta a dare “scientificità” alle operazioni compiute dal palinsesto. L'ascolto televisivo è infatti oggetto di discorso costante, semplificato a favore degli addetti ai lavori: da un lato, la rappresentazioni del pubblico da parte dell'industria sono “proiezioni dei bisogni delle istituzioni che le elaborano” con un “valore strumentale” (Fanchi, 2013); dall'altro, la programmazione dipende in larga parte dal forte potere normativo editoriale assegnato a queste concettualizzazioni dell'audience. Fondamentale, risulta il dato audiometrico: i dati di share e ascolto medio sono sia valori a cui tendere, sia numeri con cui valutare l'efficacia della programmazione. Nel contesto digitale, poi, si aggiungono anche rilevazioni sulla visione televisiva asincrona e consumi mediali affini. Per quanto spesso criticato aspramente, la rilevazione dei dati d'ascolto è una “useful fiction” (Curtin e Shattuc, 2009): finzione, perché presenta inevitabili caratteri di approssimazione, ma utile e persino necessaria, perché costruisce un quadro condiviso in grado di fornire valutazioni chiare e verifiche degli obiettivi e i risulti di spot e programmi. 4.1. La disponibilità di risorse Il budget è fondamentale, perché in base ad esso che si può considerare quali materiali utilizzare e come eventualmente collocarli. La definizione del money budget dà un limite preciso ai contenuti a disposizione dell'emittente, che comunque deve popolare ogni giorno la propria programmazione; contemporaneamente, il time budget è quello che scandisce le produzioni e le disponibilità dei diritti. La costruzione del palinsesti deve tenere conto di entrambi, prendendo scelte fondamentali, una delle quali oppone il make al buy: dal lato delle produzioni, il budget consente di fare valutazioni sul numero dei programmi originali di una rete; su quello dei diritti, invece, definisce i margini di manovra sui mercati internazionali (o nazionali) e le quantità degli acquisti. I programmatori sono l'ultimo anello di una catena decisionale più lunga e devono dunque occuparsi dello smistamento efficace dei diritti, coordinando anche i tempi della programmazione con quelli delle produzioni. L'obiettivo, ovviamente, è massimizzare la resa dei materiali a disposizione; sotto questo punto di vista, fondamentale è l'appropriatezza del programma rispetto alla rete e alla fascia oraria, non tanto in termini editoriali, quanto economici, secondo un criterio di costo-ascolto. È chiaro dunque che gli investimenti dipendono in gran parte dalle potenzialità delle piattaforma, della rete, della fascia oraria. Ancor prima della messa in onda, la programmazione è lo spazio in cui mettere alla prova la tenuta del budget, valutare la disponibilità di contenuti, stabilire un equilibrio tra diritti e produzioni. 4.2. Il flusso del pubblico, i comportamenti della concorrenza Altre logiche commerciali influenzano la composizione dei palinsesti, divisibili in due categorie: 1. Il comportamento fluttuante del pubblico: l'emittente deve cercare di non “tagliare” il pubblico e, al tempo stesso, deve definire un'offerta editoriale completa che si adatti anche ai ritmi e necessità di chi dovrà potenzialmente fruirne. A un livello macro, si cerca di comporre blocchi omogenei, che trattengano gli spettatori della demographic considerata il target privilegiato; è in relazione a un pubblico così definito che le porzioni di palinsesto trovano spiegazione e giustificazione, nella speranza che i risultati confermino le previsioni. Invece, a livello micro, si lavora con operazioni minuziose che vanno a influire sulle ultime definizioni del palinsesto, sulla struttura dei programmi e sulla scaletta di emissione, che dettaglia in modo preciso l'inizio di ogni elemento testuale. Si spiega anche così la variabilità degli orari di inizio, ma anche la contraddizione tra la necessità di sfruttare al massimo le pause pubblicitarie e far sì che non provochino una eccessiva emorragia di pubblico. Ad esempio, c'è chi sceglie di mandare gli spot in contemporanea con i competitor, mentre chi preferisce rimanere “acceso” quando un'altra rete è “a nero”. 2. La concorrenza: anzitutto, esistono due tipi di concorrenza, quella interna e quella esterna. Se nel primo caso ciò che conviene è differenziare i pubblici e sincronizzare le reti, nel secondo, la rete deve trovare un posizionamento distintivo e stabilire dunque obiettivi concretamente attuabili. Da questo punto di vista, le reti sono impegnate in un costante adattamento dei loro palinsesti, che, se rischia di appiattire l'offerta con una “tendenza alla duplicazione competitiva” (Doyle, 2002), rende soprattutto necessaria la varietà. Rispetto all'offerta di prime time, alcuni palinsesti sinottici (“esa-palinsesti” o “epta- palinsesti” in Italia, in base all'inclusione o meno de La7) aiutano i programmatori ad avere sempre sott'occhio un quadro complessivo dell'offerta, e consentono di operare variazioni anche all'ultimo momento, che a cascata porta anche ad altre modifiche. 4.3. La valutazione dei risultati, le previsioni sul futuro Fondamentale è la valutazione del funzionamento del palinsesto in rapporto al pubblico, per trarne insegnamenti e conseguenze validi per migliorare commercialmente. Quotidianamente, le decisioni sul giorno prima trovano riscontro all'uscita dei dati Auditel. Il marketing televisivo adotta numerosi strumenti: 1. la curva degli ascolti delle reti principali nel corso di una serata, che registra anche i travasi; 2. la mappa di posizionamento, che controlla il funzionamento dei programmi in relazione a determinati target e anche sotto un punto di vista competitivo; 3. il profilo d'ascolto, che dettaglia le caratteristiche del pubblico di un programma. L'analisi aiuta dunque gli addetti ai lavori, che sulla base di questi dati quotidiani, possono applicare modifiche, persino sulle produzioni in corso o, in modo ancora più invasivo, modificando scalette e scansioni settimanali. Il dato di ascolto è soppesato anche in prospettiva storica, registrando trend di lungo periodo e in relazione alla media di rete, molto pratico, dato che ogni canale ha il proprio obiettivo di ascolto da raggiungere stagionalmente e questi dati possono servire a prefissarlo. Un ascolto troppo basso è una perdita per la rete, che dovrà dunque offrire all'investitore spazi aggiuntivi; anche uno troppo alto, però, si traduce in un mancato guadagno. Da una parte, ogni logica commerciale è esercitata contemporaneamente su differenti palinsesti; dall'altra, l'insieme di tali strategie segue uno sviluppo circolare, in cui l'applicazione corretta di alcune logiche si rivela o meno un successo, influenzando anche come si agirà in futuro. 5. Logiche professionali: il mestiere del palinsesto Un terzo tipo di forza che influenza la composizione dei palinsesti è quella delle logiche professionali, che, per quanto più “invisibile”, ha un ruolo decisionale di peso, tra tradizioni, best practices, gusti e pigrizie. Gli addetti ai lavori svolgono una mediazione essenziale, creando una propria cultura professionale: l'azione di creazione dei palinsesti è una tra queste possibili “culture della distribuzione” (Barra, 2012). Da questo punto di vista, la stesura del palinsesto si può addirittura vedere come un campo di negoziazione e scontro tra professionisti differenti con interessi spesso contrastanti, un'insieme di molteplici “pressioni” (Gray, 2008), una sequenza di manovre che pongono vincoli a una creatività altrimenti senza limiti e una serie di processi e routine intricate. È uno spazio che si trova tra i gut feelings, le “traduzioni industriali” (industry lore) e le convezioni basate sull'abitudine (Gitlin, 1983). Il palinsesto è, insomma, lo spazio del compromesso. 5.1. Aggiustamenti progressivi Ripercorriamo gli step attraverso cui si compone il palinsesto, considerando che esso è sempre un work in progress, ma, al tempo stesso, la sua natura aperta non deve trarre in inganno, poiché i cambiamenti seguono scansioni temporali precise: 1. palinsesto annuale: è poco più di una traccia, che se da un lato funge da “quaderno dei desideri” in cui inserire esperimenti e ipotesi, dall'altro è uno strumento già operativo; 2. palinsesto stagionale: la programmazione, ancora passibile di modifiche, è presentata sia agli investitori pubblicitari sia ai giornalisti. È lo spazio della negoziazione fra la tradizione e gli elementi di innovazione, ma anche delle prime strategie competitive; 3. palinsesto mensile: sono definiti nel dettaglio le risorse utilizzate, i contenuti, i pattern, gli elementi stabili e mobili. Questo è lo step fondamentale per le reti tematiche; 4. palinsesto settimanale: contiene titoli pressoché inamovibili, concedendo spazi di modifica in caso di imprevisti. È questo lo step fondamentale per le reti generaliste; 5. palinsesto operativo: in realtà è questo ad essere definitivo, riportando nel dettaglio tutti i tasselli della programmazione e la scaletta di emissione guida chi si occupa di trasmettere il segnale, fornendo una mappa completa di ogni elemento. A questo punto, il dettaglio si fa preciso e inamovibile, ma, sebbene questa sia la fine di una storia di scritture e riscritture, il ciclo ricomincia subito. 5.2. Tutti gli uomini del palinsesto 1. controprogrammazione (counter programming): l'offerta si propone come alternativa e differente rispetto alle emittenti direttamente concorrenziali. Si tratta di una forma difensiva, che prova a contenere le perdite secondo il principio del minor danno possibile. Se però la scelta di programmare in maniera radicalmente differente dipende unicamente da logiche editoriali, si parla piuttosto di alternative programming. 2. antiprogrammazione (competitive programming): è una manovra di attacco, con cui si imposta la propria programmazione come del tutto analoga a quella del competitor, portando allo scontro diretto. Definita anche power programming e challenge programming, l'insieme delle sue pratiche si dice blunting, dal momento che rende “smussata” l'offerta complessiva. Entrambe le strategie, benché in misura differente, sono il risultato di una combinazione di più limitate tattiche contestuali: • lo stunting è un cambiamento all'ultimo minuto per spiazzare la concorrenza – arrivando, in rari casi, ad influenzare anche la produzione; • la killer application è un programma che interviene in modo corsare nella programmazione standard, attirando su di sé pubblico e danneggiando slot altrui; • il cross-programming è la fusione di due titoli distinti attraverso elaborati crossover che possano aumentare la rispettive platee; • lo spin-off non si limita a ereditare dal programma originale solo i personaggi e il brand, ma anche lo slot occupato all'interno della programmazione; • il bridging consiste nello studio della collocazione dei programmi, così da creare “ponti” e momenti di raccordo nei palinsesti; • nel caso del supersizing si fa riferimento a un allungamento di pochi minuti di un programma, così da scalare gli orari di fine e inizio dei testi rispetto ai competitor; • il roadblocking è la scelta di sincronizzare le pause con la concorrenza per fermare lo zapping. Ogni rete ha due obiettivi: la necessità di creare una programmazione che fidelizzi il pubblico e l'obbligo di combattere le altre offerte. Così, queste strategie e tattiche finiscono per funzionare solo quando sono messe a servizio di un progetto coerente e dello sviluppo del legame della rete sia con il pubblico, sia con gli investitori. CAPITOLO III: PALINSESTO. STORIE Oltre agli elementi comuni internazionali, dalle griglie di programmazione di ogni paese emerge però anche un forte specifico nazionale, legato a differenti mercati e culture. Così, quando ci si occupa della storia del palinsesto, la linea da tenere è quella della limitazione al piano nazionale, pur senza trascurare le influenze incrociate. 1. Un palinsesto alla prova: la TV dei primi anni La televisione italiana nasce il 3 gennaio 1954 e, pertanto, a quella data risale anche il primo palinsesto “ufficiale”. Dalla prima settimana, emergono due distinte “partenze”, a definire due blocchi della giornata: un primo inizio di un'ora alle 17.30, pensato per i ragazzi; e un secondo avvio alle 20.45, con il telegiornale che apre la strada per le trasmissioni della serata, seguito da film, concerti, teatro, riviste, quiz e rubriche. La domenica si ha la messa la mattina e il pomeriggio i programmi riprendono alle 14:30. I primi palinsesti erano comunque stati ideati ancor prima dagli addetti ai lavori – si pensi alle prime dense bozze del 1953, stilate dal direttore dei programmi, Sergio Pugliese. 1.1. I modelli, la parola I primi palinsesti risentono dell'influenza di altri mezzi di comunicazione: • La radio, da un lato influenza il tipo di spettacoli proposti (per di più, all'inizio, quasi interamente in diretta), dall'altro quell'ambizione di inserirsi senza troppe mediazioni nella vita quotidiana e domestica degli spettatori, dettandone tempi e ritmi. • Anche il cinema, oltre a inserirsi nel palinsesto con film spesso datati, fornisce un ottimo esempio di giustapposizione e alternanza dii contenuti testuali differenti; • La scansione settimanale e la varietà della attrazioni richiamano il rotocalco. Non si deve mettere però in secondo piano la specificità della griglia televisiva, specificità ribadita dalla scelta del termine “palinsesto”, e che consiste nell'attenzione ai tasselli della programmazione, la volatilità dell'operazione e il ruolo fondamentale della composizione stessa, ancor prima della produzione. 1.2. Un palinsesto statico, discreto, basato su appuntamenti Nei primi anni della televisione mancava ancora un vero e proprio palinsesto pianificato; al tempo stesso, non si può negare che il mezzo fosse parte integrante di un più ampio slancio educativo di stampo cattolico. Questa istanza culturale e didattica passa attraverso un'accurata gestione del magazzino, ma anche attraverso logiche volte a proteggere le altre forme d'arte dall'avvento della televisione. Dunque, il palinsesto è attraversato da spinte contraddittorie, ma al tempo stesso funge da palestra per lo sviluppo di nuove professionalità. Esso ha dei tratti distintivi: • È statico, dato che la griglia preparata ogni tre mesi presenta sempre una certa omogeneità e ripetitività, a partire dall'insieme di sequenze che compongono una singola giornata. • È discreto, poiché tra questi blocchi giornalieri si presentano delle pause nella programmazione – in particolare, tra la sezione per ragazzi fino agli appuntamenti per gli adulti, e poi dallo stacco serale fino al tardo pomeriggio del giorno successivo. • È basato su appuntamenti variegati, anche se fondamentalmente stabili, dato che da subito si impongono delle collocazioni tradizionali per dei singoli generi. Agli elementi di stabilità si contrappone il rischio dello “specifico televisivo”: la diretta. 1.3. “La nuova settimana televisiva 1958” A partire dal gennaio 1958, la Rai mette mano alla struttura formale dei suoi palinsesti, con una riorganizzazione generale: così, la giornata televisiva è divisa in sezioni, caratterizzate ciascuna da una denominazione e da chiari elementi formali di delimitazione; con l'eccezione di eventi in diretta, i giorni feriali si suddividono in tre grandi aree: 1. La tv dei ragazzi: parte alle 17 e finisce un'ora dopo, proponendo un insieme eterogeneo di contenuti per il target. Per far sì che i bambini non stiano troppo davanti alla televisione, il segmento è contrassegnato da una sigla e, alla sua conclusione, seguito da una pausa di mezz'ora delle trasmissioni – colmata di domenica da contenuti per tutta la famiglia. 2. Ritorno a casa: alla domenica diventa Pomeriggio alla tv e comincia alle 18.30. Dopo la prima edizione del telegiornale, si prosegue con rubriche di attualità e cultura. 3. Ribalta accesa: si apre alle 20.30 con l'edizione principale del telegiornale e l'appuntamento con Carosello. La domenica le trasmissioni si ampliano dalle 10 alle 12 e riprendono alle 15:30, mentre nei giorni feriali queste aree vuote vengono presto colonizzate da programmi educativi e di servizio. Insomma, si denota un moderato aumento delle ore di trasmissione e una contrattazione con le abitudine del pubblico, senza sottovalutare l'importanza della ritmicità e varietà settimanale. Da subito, le istanze portate avanti dal servizio pubblico sono di matrice generalista e, altrettanto prontamente, l'aggiustamento degli orari di messa in onda dipende dalle prime rilevazioni sul pubblico. Poi, oltre alle distinzioni quotidiane e settimanali, si comincia a far emerge anche una ritmicità stagionale. Accanto ai programmi, appare per la prima volta la pubblicità: dal 2 febbraio 1957 comincia Carosello alle 20:50, che con qualche spot divide il TG dai programmi serali. L'eccezionalità di questi comunicati commerciali diventa, di fatto, uno spettacolo a parte. D'altro canto, l'autopromozione è ancora decisamente limitata: la comunicazione dei palinsesti è presente soprattutto sui quotidiani e, in particolare, sul “Radiocorriere”. Gli anni cinquanta si concludono con due accadimenti: 1. nel luglio 1959, il “Corriere d'informazione” titola “Sospeso Paladini perché vuole 'andare a cena'”, relato allo speaker del telegiornale che aveva messo in evidenza la difficile sovrapposizione tra i ritmi stabili della televisione e quella della vita di tutti i giorni. 2. il 9 giugno 1959 va in onda I figli di Medea, sceneggiato di Anton Giulio Majano, che si apre con la finta interruzione della messa in onda di una tragedia e con l'altrettanto finto comunicato sul rapimento del figlio dell'attrice Alida Valli. 2. Un palinsesto “politico”: la direzione di Bernabei Dopo una prima fase, diventa chiaro che la griglia dei programmi è controllabile, con funzione educativa o politica. Il 5 gennaio 1961 Ettore Bernabei diventa direttore generale della Rai e, in questi anni, adotta una strategia espansiva: se da un lato si mantengono le convenzioni e le pratiche professionali già acquisite, dall'altro, la maggiore consapevolezza delle stesse porta a un utilizzo del palinsesto in chiave censoria, di controllo e, in generale, di potere. 2.1. Il Secondo Programma Sabato 4 novembre 1961 comincia la sua programmazione regolare il Seconda Programma, un'offerta televisiva che si aggiunge al Programma Nazionale. Inizialmente, le ore di messa in onda sono estremamente ridotte; ciononostante, appare cruciale fin da subito la definizione di una differenza tra prima rete e ammiraglia, anche solo per non creare contrasti – non per niente si parla di “logica unitaria”, che porta a un palinsesto complementare. Se la seconda rete si presta a lanciare esperimenti, la logica di fondo si traduce comunque in una proposta tutta generalista, che preservi i principali appuntamenti e eviti scontri tra programmi forti. 2.2. Un articolato sistema di potere Snodo cruciale del sistema Bernabei è la creazione, nel 1963, di un Comitato centrale per la programmazione, cui si affiancherà nel 1966 una Direzione per la programmazione: la costruzione del palinsesto è isolata come una funzione separata (e accentrata). Il palinsesto non è più uno da un lato, il palinsesto “nasce vecchio” e senza risorse; dall'altro, l'autonomia delle tre reti Rai impedisce forme di coordinamento, cosicché l'ultima arrivata è sempre la più penalizzata. 4. Un palinsesto “in guerra”: la nascita dei network TeleMilano muove i primi passi nel 1974 e, su spinta di Silvio Berlusconi, nel 1978 comincia a trasmettere via etere: si tratta di un ambizioso progetto commerciale, capace di coinvolgere anche Mike Buongiorno, e puntando sulla pubblicità e sui legami con altre reti. L'11 novembre 1980 TeleMilano diventa Canale 5, che da subito non nasconde le sue ambizioni nazionali. Così, gli anni Ottanta si aprono con alcuni cambiamenti profondi, con una televisione che diventa sempre più basata sulla domanda dello spettatore e, in particolare, con l'inizio di un “monopolio spezzato” frutto di un vuoto legislativo e una deregulation che non funzionano più. In questo contesto, sono i palinsesti fondamentale campo di battaglia tra reti. 4.1. Il pizzone, il palinsesto rigido, la pubblicità Nei primi anni Ottanta, Canale 5 deve affrontare due importanti vincoli strutturali: • per legge, è impossibile collegare tra loro più emittenti locali in modo diretto, mandando così in contemporanea le stesse trasmissioni e di fatto creando un'unica rete nazionale. La soluzione trovata consiste nel pizzone, cioè un insieme di cassette preregistrate contenente in ordine tutti i programmi della rete, comprensivi di pause pubblicitarie. Le emittenti locali, ricevuto il pizzone, lo trasmettono in orari identici, ricostruendo la contemporaneità. • il vincolo più duraturo e importante è quello dell'assenza della diretta. La reazione a questo limite diventa un punto di forza del network nei suoi primi anni, con un'americanizzazione dei contenuti e dei modelli distributivi. La schematicità obbligata diventa un punto di forza: si adotta una scansione degli orari chiara e precisa, con una griglia orizzontale che ripete stabilmente gli appuntamenti quotidiani – tranne il prime time, che tornerà a una periodicità settimanale, con serate distinte tra loro quanto a generi e contenuti. Questo modello di business si caratterizza peraltro dalla presenza forte di spot, che si inseriscono anche all'interno dei programmi, sfumando e confondendo i confini tra i testi. Sul versante promozionale, infine, i network trovano spazio per comunicare la loro programmazione su “Tv Sorrisi e Canzoni”. 4.2. Il palinsesto come tecnica Nel 1981, per qualche mese, approda a Canale 5 Carlo Fuscagni, che lascia poi il testimone a Carlo Freccero, il quale sperimenterà formule originali che daranno forma alla rete; senza sottovalutare il ruolo dello stesso Berlusconi in questi primi anni. Canale 5 diventa così una fucina di sperimentazioni sul palinsesto, adottando strategie della televisione commerciale statunitense e trasformando la programmazione in una tecnica precisa e ben regolata. L'unità di misura del palinsesto commerciale è il giorno, modulo fatto di appuntamenti fissi che si ripetono costanti per tutta la settimana, sfruttando la serialità per creare abitudini. In più, si fa molta attenzione a imporre logiche di trascinamento del pubblico da un programma al successivo. Un cardine del palinsesto commerciale è la gestione del magazzino, i cui materiali devono avere un certo valore e un adeguato impacchettamento. Essi devono seguire l'identità e il carattere della rete, che diventa più importante dei singoli tasselli che compongono la griglia. A costituire questo magazzino sono anzitutto i film, grazie all'acquisto di pacchetti cinematografici da distributori nazionali e internazionali; altri due generi forti sono i telefilm – che racchiudono generi differenti – e i cartoni animati. Ognuno di questi elementi deve essere valorizzato con adeguate tecniche e strategie, schedandoli e collocandoli adeguatamente, tenendo conto della logica del ciclo di cui parla Freccero, secondo cui va sfruttato al massimo le potenzialità di ripetizione dei prodotti. Dal marzo 1981, Canale 5 trasmette Pomeriggio con sentimento, raccolta di film melodrammatici, con politiche di programmazione a striscia utilizzate anche per le telenovelas. I cartoni animati trovano invece spazio entro contenitori come Bim Bum Bam. Canale 5 funge anche da apripista nell'ampliamento della messa in onda regolare in orario mattutino, dato che dal 5 ottobre 1981 comincia alle 8.30 Buongiorno Italia. 4.3. Il palinsesto come campo di battaglia Canale 5 si trova in un doppio conflitto, con il servizio pubblico e con le altre emittenti private, quali Italia 1 di Rusconi, Retequattro di Mondadori e EuroTv (poi Odeon) di Calisto Tanzi. Quando il panorama televisivo si affolla, il palinsesto diventa un campo di battaglia, teatro di notevoli sprechi di risorse ma anche di strumenti sempre più ricchi e complessi. • Il contrasto tra Canale 5 e Rai trova un simbolo nelle vicende di Dallas, prima approdata sulla Rete1, su cui però non incontra il successo sperato, a causa di una programmazione esigua e confusa. La cura posta poi da Canale 5 lo rende un fenomeno di costume capace spesso di battere la Rai. A partire dalla soap, difatti, si costruiscono sia serate coerenti, con un trascinamento verticale, sia forme di trascinamento orizzontale, il tutto facendo perno e sfruttando pienamente la fidelizzazione. • L'altro fronte, quello costituito dagli altri network, si gioca sempre sul piano del magazzino e della programmazione. Già il 5 gennaio 1983, Rusconi vende Italia 1 a Berlusconi, e la rete viene differenziata a livello di immagine, destinandola al pubblico più giovane. Più lungo e sanguinoso è lo scontro con Retequattro, più che mai aperto nella trasmissione di Venti di guerra su Retequattro e Uccelli di rovo su Canale 5. Il fallimento del primo e il trionfo del secondo sanciscono la sconfitta della rete di Mondadori, che il 28 agosto 1984 entra a far parte di Fininvest. Le reazioni della Rai, la neo-televisione e l'oscuramento La Rai appare bloccata: in un primo momento preferisce evitare di rincorrere le private sul loro terreno, concentrandosi piuttosto nel non lasciare serate deboli nella settimana; comunque, dalla stagione 1980-1981, anch'essa adotta una programmazione continua, mentre le strisce quotidiane si estendono fuori dal preserale. Per quanto timida, questa strategia può contare su alcune “esclusività”, in particolare la diretta e, in stretta connessione, un sistema informativo completo: proprio sotto questa prospettiva partono le edizioni di mezza sera sulle tre reti e si unisce cinema e attualità con Film Dossier, condotto da Enzo Biagi. Nel 1984, ai Tg si affianca il Televideo. Per quanto riguarda la diretta, essa è protagonista per lo sport e l'intrattenimento, ed occupa la seconda serata, il mattino e il mezzogiorno. Secondo Umberto Eco, è in questo periodo che si può parlare di neo-televisione, caratterizzata da: • la dimensione quotidiana del flusso televisivo; • la moltiplicazione dei frammenti; • lo smussamento dei confini che trasformano il flusso programmato in uno apparentemente continuo. Questa prima ondata neotelevisiva è caratterizzata dall'importanza sempre sottolineata della diretta, dal moltiplicarsi dei contenitori, dai giochi e i talk show che divengono appuntamento quotidiano. I pochi anni di queste guerre dei palinsesti si possono simbolicamente chiudere nell'ottobre 1984: il 16 ottobre, i pretori di Roma, Torino e Pescara impongono di oscurare Fininvest, perché di fatto trasmette su scala nazionale. Il presidente Craxi interviene con un decreto detto “salva-Berlusconi”, ma il breve vuoto lasciato dal network provoca proteste, dimostrando che i suoi palinsesti e contenuti sono ormai stabilmente entrati nelle abitudini di numerosissime famiglia italiane. 5. Un palinsesto commerciale: la stabilizzazione del sistema Nell'autunno 1982 la rete di Berlusconi abbandona gradualmente il palinsesto all'americana, con un ruolo sempre più importante affidato alle produzioni originali e una scaletta per certi versi più “tradizionale”. L'acquisizione di Italia 1, dove vengono concentrati i telefilm americani o più innovativi, sposta ancora di più Canale 5 sul versante familiare, mentre successivamente arriva addirittura la conquista di Retequattro. La fase espansiva si chiude consentendo a Berlusconi di attuare una “innovazione conservatrice” che guardi più al quotidiano, lasciando infine che la tv commerciale assumesse un ruolo compiutamente generalista. È in questo momento che, dopo anni di azzeccate sperimentazione, la costruzione dei palinsesti diventa scienza. 5.1. Il palinsesto come mestiere La televisione commerciale di Fininvest si è poggiata su alcuni “pilastri”: • l'acquisto dei diritti di messa in onda di film e telefilm, attraverso Rete Italia; • la produzione dei programmi con Videotime; • la rete di emissione su tutto il territorio nazionale di Elettronica Industriale; • la raccolta della pubblicità affidata a Publitalia '80. Ciò che tiene assieme questi pilastri, però, è il palinsesto. Prima Roberto Giovalli e poi Giorgio Gori si fanno carico della progressiva normalizzazione e stabilizzazione dello scenario televisivo, per cui la programmazione diventa un dispositivo preciso, uno strumento economico cruciale per una televisione basata sui ricavi pubblicitari. L'espansione su tre reti riveste un ruolo cruciale, rendendo necessario un approccio coordinato e strategico, e la scelta ricade sul “generalismo sincronico”: un'offerta complessivamente generalista che si divide in matura e femminile (Retequattro), per tutta la famiglia (Canale 5), e giovanile e maschile (Italia 1). La gestione del magazzino e delle produzioni è centralizzata, i palinsesti coordinati attentamente e un Comitato programmi definisce le politiche di programmazione. Il palinsesto delle reti Fininvest si costruisce così lungo alcune direttrici stabili: • l'affinamento della modulazione tematica di ciascuna rete; • la confezione dei programmi nel tempo, che segue i ritmi della vita degli spettatori; • l'incidenza della produzione nazionale; • la complementarità dei palinsesti; • si aggiunge poi lo strumento potente della promozione incrociata. Un ulteriore elemento è costituito dalle forme di rilevazione quantitativa dell'ascolto, il cui standard è fissato da Auditel nel 7 dicembre 1986. La diffusione dei dati sancisce la maturità del mercato pubblicitario televisivo e insieme fornisce un quadro di riferimento condiviso e molteplici strumenti di analisi e valutazione. D'altra parte, fin dai primi anni i palinsesti delle reti commerciali sono legati a doppia mandata alle strategie pubblicitarie, così che più che altro è necessario perfezionare di MTV). Per anni, il canale propone un palinsesto fatto di videoclip e show musicali, rivolta esplicitamente a un pubblico giovane e appassionato di musica, al limite della nicchia. VideoMusic confluirà, con TeleMontecarlo, nell'orbita di Cecchi Gori, che le riorganizzerà come TMC2. L'edizione prima europea e poi italiana di MTV approda invece nel panorama nazionale, in chiaro, dal 1995, sebbene con una programmazione stabile dal 1997. Nel 2002, con la cosiddetta MTV Regeneration, la rete prende il posto di TMC2/VideoMusic, ma non solo: in generale, MTV rappresenta un importante apertura internazionale del panorama mediale italiano, ma anche terreno di scoperte. Dopo una prima fase concentrata sulla musica – che già porterà a stratagemmi di palinsesto, come l'utilizzo di playlist e contenitori di matrice radiofonica – la griglia di programmazione si apre poi ad altri generi, miscelando prodotti della casa madre con produzioni localizzate e nazionali. 7.2. Palinsesti a pagamento Negli anni Novanta arriva anche un'offerta a pagamento: tra il 1990 e il 1991 parte la prima pay tv, TelePiù, con trasmissioni criptate e suddivisa in: 1. Telepiù, con film non interrotti da spot pubblicitari; 2. Telepiù2, con programmi ed eventi sportivi esclusivi in diretta; 3. Telepiù3, con un palinsesto culturale di teatro, opera, documentari e film d'autore. L'approdo sul satellite e poi il passaggio a una codifica digitale consentono di moltiplicare i canali dell'offerta e di introdurre forme di pay-per-view. Intanto, entra nel mercato anche Stream, poi acquisita da Rupert Murdoch. Lo scontro tra le due realtà si conclude con la fusione tra le due società e il lancio di Sky Italia nel 2003. La pay tv si può considerare come un ipertesto, il quale dà vita radicale ripensamento nell'attività di costruzione dei palinsesti, con la programmazione che diventa un'attività di articolazione congiunta di un pacchetto di canali in vendita, rispondendo alla necessità di moltiplicare le occasioni di incontro con il pubblico con contenuti più pregiati. L'articolazione dei palinsesti della pay tv si colloca all'incrocio tra due dimensioni: 1. da un lato, la dimensione dei generi televisivi, dei contenuti e dei target a cui si rivolgono; 2. dall'altro, quella di identità di canali che si organizzano per “famiglie”, con “relazioni di parentela” e filiazione. Un esempio è il cinema, primo genere dalle tv a pagamento, che si dispone lungo canali che sanciscono la poca distanza dall'uscita in sale e che organizzano la library secondo generi e formule. Al tempo stesso, anche lo sport basa la sua forza sulla possibilità di vedere gli eventi in diretta. Negli anni si aggiunge anche un'offerta rivolta ai bambini, con una sequela di canali che ben presto si riempiono di marchi internazionali. Non solo: trovano largo spazio le reti all news, così come i documentari o la “tv delle donne”. Le serie televisive, statunitensi e non solo, a metà degli anni Duemila diventano un ulteriore genere pregiato – poi seguite anche da produzioni nazionali (pag. 173). I reality e alte produzioni generaliste, poi, approdano sulla tv a pagamento in forme estese, con mosaici interattivi e approfondimenti. Sky è stata negli anni anche l'apripista e il propulsore per tecnologie, device e modalità di accesso ai contenuti che consentono di oltrepassare i rigidi vincoli del palinsesto: l'alta definizione, la visione a mosaico, gli “slave channels” +1 e +24, la guida elettronica, la registrazione digitale, la visione in mobilità, l'accesso alle reti digitali, le forme on demand, l'offerta di Now Tv e il decoder premium. 7.3.“Switch-off” Nel 2004, la legge n. 112 del 29 aprile, detta Gasparri, e poi la normativa nel Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi del 2005, mettono mano al sistema radiovisivo e mediale italiano. La legge impone lo switch-off – lo spegnimento delle frequenze analogiche e il passaggio al digitale – entro il 2006, indicando il digitale terrestre come sbocco privilegiato del processo. Da una parte, il passaggio al digitale terrestre consente la nascita di altre televisioni a pagamento, come Premium – mossa di Mediaset per bloccare l'espansione di Sky, ma consolidando anche le pay tv a basso costo basata sulla presenza di eventi da non perdere. Dall'altra parte, il lento passaggio al digitale consente l'approdo a un compito multichannel, con decine di canali gratuiti. Oltre a format e temi già testati, sono lanciati anche canali “quasi-generalisti” o “mini-generalisti”. Nel 2008, Carlo Freccero è chiamato a costruire l'identità di Rai 4, rete giovane e maschile del servizio pubblico. Nel 2010 Rai Extra è sostituita da Rai 5, con un'offerta culturale, artistica e musicale. Allo stesso modo, da Canale 5 nasce, La5, giovane e femminile, e da Italia 1 spunta Italia 2, giovane e maschile (2011). Da La7 parte La7d, che sta per “digitale” e “donna” (2010) e anche Sky lancia Cielo nel 2009. Considerate le numerosissime emittenti (pag. 176-177), si tratta di un'offerta multiforme, complessa e variegata, che sebbene raramente in competizione diretta con le generaliste, con i suoi palinsesti ne erode lentamente gli ascolti. Ci sono stati tanti tentativi di brand internazionali di fare ingresso in questa realtà, che, per quanto inizialmente caotici, hanno poi trovato una razionalizzazione successiva. Dal 2015, poi, un ulteriore step ha visto la creazione di due canali digitali dalle ambizioni generaliste: Sky ha acquisito le frequenze di MTV e l'ottava posizione sul telecomando per dare vita a Tv8; Discovery ha fatto lo stesso con DeejayTv, ribrandizzandola Nove. Gli investimenti non sono tali ancora da scalfire le storiche generaliste, ma la portata dell'operazione vuole essere più ampia e ambiziosa di altre mini-generaliste. Così, il panorama e lo modalità di fruizione televisive sono mutate, e, nel 2012, lo switch-off al digitale terrestre è completato, e la sua offerta ribolle e progressivamente si assesta. Un passo successivo – e una potenziale altre rivoluzione – si compie nell'on demand. CAPITOLO 4: ON DEMAND. DEFINIZIONI, TECNICHE E STORIE Ormai è chiaro che il palinsesto non è qualcosa di fisso e immutabile, ed è stato messo più volte in questione. Di fronte al progressivo radicamento di internet, poi, alcune analisi hanno annunciato la morte del palinsesto – e anche la televisione non si sentirebbe troppo bene. Non stupisce questo punto di vista, dato che con le tecnologie attuali, a un'idea di programmazione rigida e “dall'alto” si contrappone, e forse sostituisce, la libera scelta “dal basso”. Come ogni luogo comune, anche questa diffusa interpretazione, se contiene anche molti elementi degni di nota, al tempo stesso in realtà esagera qualcosa di molto meno netto, una volta osservato da vicino. Se infatti da una parte molte differenti spinte cercano di scardinare il palinsesto, dall'altra, è chiaro che la televisione non lineare costituisca, più che una forma opposta, un aumento delle possibilità a disposizione dell'audience. 1. Oltre il palinsesto. Tendenze centrifughe Negli ultimi decenni il palinsesto trova opposizione e competizione in una serie di spinte centrifughe, le quali disgregano le tradizionali modalità di fruizione televisiva. Questo scardinamento propone una programmazione ormai frammentata eppure potenziata e accresciuta, e si muove lungo tre direttrici: 1. spazio: scardinamento della fruizione domestica; 2. uso: moltiplicazione delle modalità di fruizione dei contenuti televisivi; 3. tempo: scollamento almeno parziale dalla sincronizzazione del broadcasting. Vediamo ora nello specifico quasi sono le spinte che agiscono sul palinsesto. 1.1. Tecnologie Anzitutto, una tensione costante verso il superamento e la scomposizione del palinsesto proviene da una serie di strumenti tecnici: • Scissione del singolo contenuto dal flusso: pensi ad esempio alla videocassetta, poi diventato disco digitale DVD, una dimensione peraltro ritornata con l'idea del box set, il “cofanetto” che mette insieme gli episodi di una singola stagione e le stagioni di una serie completa. Passo ulteriore è poi la trasformazione del prodotto tv in un fila digitale, reperibile per l'acquisto o il download illegale. • Fissazione di una parte del palinsesto registrata su un supporto: anche stavolta, è la videocassetta a fungere da apripista. Sono andati poi a succedersi il sistema Showview e le registrazioni digitali – spesso indispettendo anche gli investitori pubblicitari per la possibilità di “skippare” gli spot. La diffusione progressiva di smart tv e schermi connessi a internet e lo sviluppo di appositi standard hanno reso ancora più semplici, scontate e “naturali” queste funzioni. • Strumenti che consentono il passaggio tra reti e offerte differenti: non solo il telecomando, ma anche strumenti come il teletext, pronto a fornire informazioni, e l'EPG (electronic programming guide), capace di ricordare gli appuntamenti importanti, mostrare le alternative disponibili, mettere in pausa e recuperare quanto si è perso. 1.2. Testualità convergenti Anche i caratteri più propriamente linguistici, estetici e testuali della televisione convergente contribuiscono a ridimensionare la griglia di programmazione: • Estensione: il programma televisivo diventa “testo espanso”, con video pensati per il web, i social o il mobile, filmati di backstage, libri e graphic novel. Giochi e videogiochi, merchandising ed esperienze interattive. In questo ampio panorama, dunque, la messa in onda tv altro non diventa se non il punto di partenza. • Accesso: la moltiplicazione di piattaforme e device, con un contenuto che esce fisicamente dal televisore per trovare nuova vita online e sui media digitali, rendendo plurale il palinsesto. • Brand: l'identità e la linea editoriale delle reti, in questo scenario, sono sempre più compresse dalla parallela visibilità e riconoscibilità di altri marchi, “a monte”, con le proposte complessive, e “a valle”, con i singoli programmi. Il contenuto assume valore di marchio e ciò sposta l'attenzione lontano dal suo contenitore, il canale, che diventa indefinito. Un ulteriore aspetto cruciale è quello della temporalità: al palinsesto che trasmette gli stessi contenuti agli stessi orari al pubblico di una stessa nazione, si affiancano sia forme di fruizione anticipata (legale o meno), sia modalità di posticipazione. Da un lato, dunque, ci sono la piattaforma, l'esperienza, il servizio complessivo, dall'altro ci sono i singoli testi, e tra i due poli l'on demand si caratterizza con ulteriori termini chiave: il database, l'architettura che struttura i contenuti e li rende ricercabili; il catalogo o library, cioè l'insieme dei testi che compongono l'offerta complessiva; e l'interfaccia, via obbligata di accesso ai testo con precise regole e vincoli. Ancora una volta è Lotz a fornire una parola complessiva convincente: l'on demand ha la sua unità di base nel portale, l'aggregatore della dimensione editoriale, intesa in senso ampio come architettura informativa alla user experience che innerva ogni livello del servizio. 2.4. Classificazioni possibili Dunque, l'on demand è forse destinato a restare un campo ondivago, molteplice e contraddittorio. Un'altra utile classificazione è quella che lo divide secondo i modelli di business e mercati di riferimento, soprattutto date le progressive aggiunte sul piano commerciale ed economico: • Il transactional video on demand (TVOD) è la possibilità di vedere a richiesta un singolo contenuto con una transazione economica dedicata. Spesso si applica una distinzione: 1. l'electronic sell-through (EST) prevede un file che costa di più, ma che poi non ha vincoli d'uso una volta acquistato; 2. il premium video on demand (PVOD) avviene quando il contenuto è particolarmente di pregio, per cui il costo è elevato; 3. di solito sono consentite anche forme di noleggio. • L'ad-based video on demand (AVOD) è invece un servizio (anche) non lineare sostenuto prevalentemente o totalmente dalla pubblicità: per lo spettatore l'esperienza è gratuita, a patto di guardare gli spot o altri messaggi o banner. Molto in voga, tali servizi raggruppano in un solo spazio elementi di catch-up, live e produzioni ad hoc. In alcuni rari casi si parla anche di free video on demand (FVOD), se il portale non presenta pubblicità e l'accesso è del tutto libero, finanziato da canoni, tasse o donazioni. • Il subscriptional video on demand (SVOD), infine, è l'accesso a un insieme più o meno ricco di contenuti in seguito a un'iscrizione e al pagamento di un abbonamento. Qui è traslato dunque il modello della tv a pagamento, volto alla creazione di un walled garden curato e riservato. Per questo modello non conta la massimizzazione degli utenti sul singolo contenuto, ma sono cruciali la capacità di attrazione sui potenziali abbonati e il mantenimento di chi è già iscritto. Così facendo, questo on demand genera aspettative elevate, faticando spesso poi a soddisfarle. I tre principali modelli dell'on demand si sono posizionati in tre settori tradizionali dell'audiovisivo – l'home video, la televisione free, le offerte a pagamento – e questa tripartizione si aggiungono poi formule ibride. Insomma, il campo dell'on demand audiovisivo è mutevole, ma con alcuni tratti che sono ormai assodati. 3. Progettare e gestire l'on demand Nel sistema televisivo, l'on demand è un'innovazione per molti versi radicale: per quanto ci siano indubbi elementi di continuità con la televisione tradizionale, queste piattaforme finiscono per influenzare le comunicazioni, le interazioni e il consumo. 3.1. Personalizzazione dell'offerta: dati e algoritmi Una delle idee chiave legate all'on demand è senza dubbio connessa alla personalizzazione, con piattaforme che dovrebbero valorizzare i contenuti, consentendone una navigazione il più possibile libera e autonoma. A questo scopo lavora insieme sia elementi di superficie ben evidenti (es. layout dei menu, barre di ricerca, ecc.), sia componenti di profondità meno visibili (es. codici informatici, algoritmi, ecc.). Lo spettatore fornisce gli input e riceve gli output, mentre la piattaforma elabora le informazioni in ingresso e prepara quelle in uscita. Gli studiosi hanno messo giustamente messo in primo piano i dati e gli algoritmi, anche se attorno ad essi si è ormai creata una narrazione più di miti e retorica che di fatti. • I dati: sono ampi (big), molteplici, stratificati. Se ci sono i metadati relativi alla categorizzazione dei singoli contenuti, si hanno anche i dati legati invece all'utilizzo dell'utente. Sono quindi certamente emblema della personalizzazione, ma anche di fatto una delega di potere dell'utente alla piattaforma, la quali deve raggrupparli, così che possano fungere da benzina per il motore dell'algoritmo. • L'algoritmo: grazie ad esso, i motori di raccomandazione selezionano nel catalogo i titoli giusti e li suggeriscono. Alcuni sono content-based, mentre altri elaborano i comportamenti degli utenti, così da segnalare quei prodotti che sono stati apprezzati da user simili (collaborative filtering). Gli algoritmi sono spesso segreti e comprenderli significa anche dunque porsi il problema del travaso di un potere che non scompare, ma si rende più oscuro. Fondamentale, certamente, è la presenza umana: al di là di ogni retorica, la creazione dei dati non è semplice raccolta, ma implica una inevitabilmente una progettazione a monte. Un ultimo mito da sfatare è quello della presunta “purezza” dell'algoritmo: nulla è neutrale, ed esso, come i palinsesti, è il risultato di logiche commerciali, professionali, editoriali. 3.2. Personalizzazione del consumo: “binge watching” e dintorni Una retorica frequente è quella che identifica il modo di visione prevalente nello scenario non lineare nel binge watching (o binge viewing), legato al rilascio simultaneo di intere stagioni sulla piattaforma. In realtà, questo non è un fenomeno radicalmente nuovo, ma un'evoluzione di strategie già impiegate dalle reti televisive – anche se chiaramente, con l'on demand, si tratta di un flusso non più condiviso. Addirittura, ci sono serie più simili a lunghi film e definite binge-worthy, cioè adatte a una visione continua a immersiva. Non si tratta però solo di una questione di fruizione adeguata o empowerment: sono le piattaforme stesse a rendere questa modalità di visione come lo “standard”, dati i loro interessi a massimizzare il tempo speso da chi guarda. Così, di fatto, il binge watching è un termine impreciso e molteplice, e se da un lato la sua pratica è sopravvaluta in chiave promozionale, dall'altro nel momento in cui diventa abitudine, si depotenzia; e ancora, questa “parola pigra” finisce per nascondere anche l'estremo opposto, e cioè la visione attenta e lenta. In generale, comunque, servizi di streaming tentano di pubblicizzare scherzosamente il binge watching come qualcosa di “sociale”, perché, altrimenti, a causa di questa visione personale e veloce, rischierebbe di perdere la dimensione condivisa che auspica (pag. 213). 3.3. Curation, curation, curation Emerge una stratificazione ulteriore nei punti di forza dell'on demand, meno visibile. Tutto ciò che infatti sembra neutro, in realtà non lo è, e nasconde un'attenzione e una cura non casuali. I servizi audiovisivi on demand superano due vincoli tipici della televisione lineare: 1. lo spazio ridotto a disposizione per i contenuti; 2. il legame forte e inevitabile con il calendario. Ciò non svincola dalla necessità di programmare, in forme differenti, con particolare attenzione nel curare il contenuto per soddisfare i bisogni di un'audience o di un gusto, per poi disporlo e selezionarlo nel modo migliore in relazione a obiettivi precisi. In gergo, si parla di curation. Queste piattaforme hanno quindi portato non alla disintermediazione ma a una re-intermediazione, nell'integrazione tra modelli differenti e nel ruolo inedito affidato agli addetti ai lavori. La selezione, in qualche caso, può divenire anche la ragione d'essere di un brand, la promessa di qualità che giustifichi l'iscrizione. I meccanismi impiegati non sono sempre di natura editoriale, ma lo sono sia ex ante le intenzioni, sia ex post gli effetti, in un continuo scontro con gli algoritmi. La curation allora è, secondo le parole di Bonini e Gandini: […] il processo intersecato che deriva dalla combinazione tra attività umane “aumentate” dagli algoritmi e attività non- umane progettate, monitorate e corrette dagli uomini. Curare vuol dire, soprattutto, selezionare prima e aggregare poi. La logica è quella del pacchetto, del bundle, in cui si fondono motivazioni anzitutto economiche, ma anche editoriali. 3.4. Le logiche editoriali del brand e dell'interfaccia Come anticipato, per quanto le metriche non siano note all'esterno, mai quanto oggi le decisioni vengono prese in base alle valutazioni sui dati. Gli spettatori vogliono libertà, ma anche essere “guidati”, a conferma del ruolo svolto da un'attenta programmazione, sia pur con regole proprie – e, insieme, dell'interesse nel comprenderne le logiche, anche e soprattutto quando sfuggenti e incerte. • Il brand di piattaforma: il marchio che rappresenta un'intera offerta è la parte che sostituisce il tutto, il principale destinatario della fiducia e dell'hype dell'utente. Questa idea è coltivata tramite operazioni di marketing e PR, con inserzioni, spot ed eventi, mediante la connessione solida con alcuni programmi esclusivi, e con l'impiego di loghi, colori, suoni. Il brand diventa così una “scatola vuota” riempita di significati. In particolare, Netflix ha adottato una strategia di portale-come-brand, con dei tratti di innegabile novità, ma riprendendo di fatto anche modalità della televisione lineare. • L'interfaccia: fatta di regole e vincoli, orienta la navigazione, fornisce nudges per indirizzare lo spettatore, influisce inavvertita sulle sue decisioni e sulla preferenza accordata ad alcuni prodotti invece che ad altri. Si dispiega dunque una griglia di programmazione meno legata allo spazio e al tempo, ma non per questo priva di criteri editoriali. A partire dall'homepage, passaggio obbligato per il primo incontro con film e serie, si apre un articolato insieme di proposte e percorsi possibili, in cui, in un certo senso, il palinsesto rimane per lo più il principio ordinatore. Senza arrivare a casi estremi, è difficile non interpretare le interfacce dell'on demand come un codice che occulta più o meno efficacemente i suoi obiettivi di valorizzazione del prodotto, indizi di logiche editoriali. Così, se nel palinsesto televisivo la molteplicità di criteri e obiettivi si compone in una selezione precisa, nell'on demand tanti fattori tra loro contrapposti trovano tutti spazio, in un mix confuso ma efficace, e insieme si stabiliscono svariati ordini di priorità. 3.5. Le logiche editoriali del catalogo Altre forme di curation riguardano invece la library di film e programmi: essa è una lista di elementi, organizzata anche se non ha un ordine preciso; è un insieme di contenuti e di regole e cambia ancora nome in Premium Play, fino alla sua chiusura nel 2019. Qualche anno dopo, la seconda strada intrapresa da Mediaset e Sky è quella delle piattaforme stand-alone, con formule più leggere e meno costose, cercando di mettere in piedi “una Netflix prima di Netflix”. Nel 2021, il servizio stand-alone e l'AVOD di Mediaset si fondono in una sola offerta freemium, chiamata Mediaset Infinity. Sky dal 2014 chiama il suo servizio Sky Online, che nel 2016 diventa NowTV, che è powered by Sky. 4.4. La rivoluzione dell'on demand: l'arrivo di Netflix Italia Il quadro cambia quando sulla scena globale si affaccia il “game changer” Netflix, un apripista e un modello costante per tutte le piattaforme audiovisive on demand, capace di cambiare più volte strategie per adattarsi a un mercato digitale in evoluzione. Netflix arriva in Italia il 22 ottobre 2015. Il marchio era già noto grazie alle ricadute giornalisitche e discorsive delle attività svolte all'estero, con una visibilità aumentata da un'accurata campagna promozionale messa subito in atto. Intanto, si anticipano anche i temi e il titolo della prima produzione originale locale, “Suburra. La serie”, si punta sull'italianità di alcuni titoli come “Marco Polo” e si prova a recuperare i diritti ceduti altrove, come quelli di “House of Cards”. Il trionfo promozionale, da un lato, ha aiutato a imporre il nuovo servizio all'attenzione di un pubblico vasto e a segnare la differenza con il passato; dall'altro, però, l'hype si è tramutato spesso e volentieri in una delusione, nei primi mesi. Negli anni successivi, comunque, la presenza di Netflix nel mercato si è consolidata, occupando il primo posto nel settore pur senza arrivare (ancora) alla penetrazione auspicata al momento del lancio. Nel 2020 è stata aperta anche una sede a Roma. 4.5. La stabilizzazione dell'on demand: gli altri player globali Successivamente, altri grandi brand globali della televisione non lineare sono approdati in Italia. Già a dicembre 2016 arriva in Italia Prime Video di Amazon, posto strategicamente in posizione ancillare rispetto alla piattaforma di e-commerce. Anche Amazon ha avviato un alto numero di produzioni originali, prima cercando il coinvolgimento degli utenti e la strada autoriale, poi aprendosi ai blockbuster, ai reality e al factual. L'ingresso è stato in sordine, senza particolare marketing e solo in seguito si sono avviate campagne pubblicitarie “outdoor” nelle grandi città. Questi due non sono però i soli operatori non lineari internazionali – si pensi a AppleTv+, Disney+, Dazn, Starz Play o RakutenTv. Ne risulta uno scenario denso, sovraffollato, che ha dato via alle cosiddette streaming wars. Dalla guerra si passa a forme si “pace armata”: • il transactional video on demand preferisce fidelizzare l'utente piuttosto che sconfiggere le troppe alternative equivalenti; • l'ad-based video on demand gioca di sponda con la televisione lineare e i suoi palinsesti, puntando sui più giovani o sostenendo la programmazione tradizionale; • il subscriptional video on demand trova i punti di forza nell'usabilità, nei contenuti originali, nella library, nel portare generi alternativi a un pubblico di nicchia, e via dicendo. In Italia, insomma, il sistema televisivo è “sempre più misto” (Barra, 2017), con l'on demand che aumenta la sua influenza e il broadcasting che moltiplica l'offerta. Non è la rivoluzione inizialmente promessa, ma comunque non si può tornare indietro. CAPITOLO V: TRAIETTORIE PRESENTI, PROSPETTIVE FUTURE Dunque, ormai guardare la televisione è qualcosa che si è arricchito ulteriormente di possibilità e implicazioni. Quelle che sono azioni connaturate al broadcasting, con inevitabili aggiustamenti, valgono anche per la fruizione on demand. Quello che emerge è uno scenario ben più complesso di uno di rottura radicale, di disrpution. Certo, si è indebolita la funzione di regolazione del tempo sociale del mezzo, ma, al contempo, lo schermo ne esce rafforzato, grazie a una varietà e molteplicità che lo costringe anche a mettersi in gioco. Lo scontro tra paradigmi, insomma, porta anche allo stabilirsi di un dialogo, un'influenza reciproca. Paradossalmente, è proprio la programmazione a smussare le differenze: il palinsesto è ancora lì, e vi resterà probabilmente a lungo, ma è uno strumento diverso, più complesso da definire e, forse, meno potente nei suoi effetti. In particolare, si possono individuare tre movimenti principali: 1. le griglie di programmazione lineare aumentano, invece di contrarsi; 2. le piattaforme on demand tentano in parte di riprodurre il flusso e il palinsesto classici; 3. ci sono bisogni, funzioni e necessità a cui solo il broadcasting sa rispondere. 1. La moltiplicazione dei palinsesti Mentre si proclama la fine della televisione, il piccolo schermo moltiplica invece l'offerta, occupando tutto lo spazio disponibile. Lungi dal ridimensionare l'importanza del palinsesto, il passaggio alla multicanalità ha costituito una sfida per i programmatori e ne ha rafforzato il ruolo nella costruzione di reti e linee editoriali, di brand e posizionamenti. Certo, le regole dell'arte e della scienza di costruzione delle griglie sono messe alla prova, soprattutto essendo di fatto preda di interessi differenti. Se, da un lato, in questa proliferazione di canali, il flusso e dunque la continuità sono ancora utilizzati pur talvolta sacrificando parte dell'audience, dall'altro, la presenza di un portfolio di canali più ricco e articolato per ogni editori – e la “cannibalizzazione” da parte di ciò che avviene fuori dal televisore – sottolineano l'importanza di “giunzioni” per rendere un'offerta frammentare più omogenea. 1.1. Giornate e stagioni Una prima direttrice delle variazioni è quella che investe la temporalità dei palinsesti delle reti digitali, modificando parzialmente la scansione dell'anno. Dunque, la stagionalità fatta di periodi di garanzia e smobilitazione estiva non è più valida e, anzi, è proprio l'estate a diventare periodo cruciale in cui “provare”. L'obiettivo è quello di entrare nelle routine di consumo e negli orizzonti di consapevolezza dell'audience, per poi capitalizzare questa affezione. Al contempo, anche i ritmi quotidiani e settimanali subiscono una serie di aggiustamenti, che porta in parte ad abbandonare il classico sistema basato sugli ascolti crescenti del preserale e dell'access prime time e sulle grandi produzioni di prima serata. Dal prime time si passa spesso a un peak time che dipende dal pubblico previsto, dai suoi ritmi e temporalità quotidiane, che possono variare. Insomma, i canali non si limitano più a riprodurre staticamente i flusso e le abitudini “medie” della generalità del pubblico, ma “inseguono” target specifici sul campo delle loro esigenze. 1.2. Il fascino discreto della replica Nel multichannel, anche la ripetizione non è più mero tappabuchi. Al contrario, rappresenta un'occasione per servire le necessità e i bisogni di un pubblico abituato all'abbondanza. Le repliche diventano momenti di recupero di ciò che si è perso, di riscoperta dei contenuti o di rewatch. Come nel modello ormai collaudato da Fox, gli episodi di una serie sono ormai mandati in onda tre volte in tre giorni e poi replicato nei weekend, così che diventa pressoché impossibile perderlo (pag. 250). Questa ripetizione intensiva è ormai propria di tutti i canali digitali. Si pratica poi lo sfruttamento e la valorizzazione del magazzino e non soltanto di materiali di pregio, ma anche di ciò che era considerato “non riusabile”. In alcuni casi, sono lanciati addirittura pop-up channel con palinsesti mono-tematici. 1.3. Accordi e blocchi di palinsesti Una terza direttrice, forse minore, è la gestione dell'orologio: al di là delle generaliste, che presentano aggiustamenti continui, le reti tematiche decidono tutto con mesi di anticipo, per cui i tempi di emissione devono essere frutto di un attento fine tuning. A chi compone le scalette spetta il ruolo di incastrare con un'adeguata collocazione promo, filler e, a volte, episodi di sitcom, relativamente ad alcuni punti-ora sparsi per la giornata. E a volte la sincronia è ulteriormente complicata dal time shifting dei canali +1 e +24. Una quarta categoria, invece, è quella che raccoglie le variazioni nelle strategie e tattiche di palinsesto, in ottica sia verticale che orizzontale del palinsesto: • da una parte i programmi sono raggruppati in blocchi e insiemi, spesso dotati di etichette adeguatamente promosse. Così, spesso, si compongono serate tematiche per generi e sottogeneri: le singole istanze possono anche apparire un po' forzate, ma quello che conta è il senso complessivo dell'operazione. • dall'altra parte, è utile per le reti digitali proteggere e conservare i loro programmi forti, così da non usurarli. È frequente strategia è quella di suddividere gli episodi di una stagione in più blocchi distinti (batch). La disponibilità di episodi è alla base anche di altre strategie che condensano in poche ore un gran numero di puntate – si parla, in particolare, di maratona. In generale, poi, per ogni canale digitale le strategie e le tattiche della programmazione si concentrano con alcuni prodotti e asset principali, visti come veri e propri pilastri (pillars). 1.4. Concorrenza “a bassa intensità” Per quanto riguarda la competizione, le tradizionali strategie sono ormai deboli. Alla “guerra dei palinsesti” subentra dunque una “concorrenza a bassa intensità”, dal momento che avere un brand forte e coerente è più utile che danneggiare i competitor. Da una parte, così, l'attenzione di tutti i canali digitali si concentra su alcuni grandi momenti che non si possono ignorare, di fronte ai quali si preferisce desistere – un buon esempio è il Festival di Sanremo – secondo il principio che, quando non si può competere, è meglio rinunciare. Dall'altra, per certi versi, ogni canale “sceglie” la sua concorrenza specifica tra le centinaia di canali, con cui compiere una guerra a bassissima intensità. Nel contempo, i marchi di uno stesso gruppo editoriale cercano di sincronizzare i loro sforzi, evitando il “fuoco amico” o innescando “giochi di squadra”. Il risultato di questo doppio binario è il propendere dello scenario digitale verso un progressivo abbandono delle strategie di antiprogrammazione (competitive programming), cui si sostituisce più spesso l'adozione di tecniche maggiormente conservative di controprogrammazione (counter programming). Nel complesso, ciò che emerge è che la costruzione delle griglie di palinsesto e la definizione delle linee editoriali sono ancora un luogo di potere e una palestra di professionalità cruciale. Ciò avviene con l'adozione del modello statunitense (pag. 257), ma anche sottolineando sempre più il ruolo del 2. una liveness distratta, dove si soddisfa il bisogno di aggiornamento o compagnia; 3. una library focalizzata, con titoli pregiati che “vale la pena” di cercare; 4. una library distratta, con il recupero di un titolo qualsiasi in sottofondo. Ogni programmazione, lineare o non lineare, ritaglia un suo spazio specifico tra questi quadranti, privilegiandone alcuni a scapito di altri. 3.2. Orientamento Una funzione fondamentale del piccolo schermo è quella di orientamento all'interno di un panorama complesso. Di fronte all'information overload, la griglia temporale offre l'approdo sicuro, per cui lo spettatore rinuncia in parte alla sua libertà e si affida a chi compone la programmazione. Da un lato c'è una dimensione di sicurezza, dall'altro una delega. Interessante il ruolo delle televisioni generaliste indirizzate a comunità larghe, il cui palinsesto deve sì orientare, ma evitare di creare l'ennesima filter bubble o echo chamber, offrendo rischi e sorprese. Tuttora, la televisione “tradizionale” è spesso lo spazio del primo incontro con un programma, ed è insieme una condanna e un punto di forza di cui i broadcaster devono tenere conto. È una pratica che ricorda lo showrooming, in cui il palinsesto è trasformato in una specie di vetrina. Un'ulteriore carattere distintivo della classica programmazione televisiva è la possibilità per gli spettatori di creare per gli spettatori dei percorsi adatti e coerenti, con la fornitura costante di un'offerta adeguata e interessante (pag. 272). Il programma può essere il “re” e la distribuzione “regina”, ma è solo la programmazione a riempirli di senso e valore. Affidarsi a una guida significa lasciarsi stupire e, al tempo stesso, avere il privilegio di non scegliere. Complementarità Si è rafforzato, negli ultimi anni, il divario tra due grandi tipologie di televisione: 1. la tv per tutti presenta un palinsesto sempre più composto da evidenti da non perdere e costruisce i singoli appuntamenti settimana dopo settimana, con l'obiettivo di fidelizzare. Il suo valore aggiunto è dato dalla capacità di offrire a molti un pacchetto sufficiente e di raccogliere per gli investitori pubblicitari un pubblico di massa; 2. la tv pregiata marchia e promuove l'insieme della sua offerta, adotta identità internazionali, trasversali a più mercati, e tratteggia un “giardino protetto” in cui garantire la qualità dei contenuti. Questa televisione porta con sé contenuti esclusivi, adeguatamente valorizzati, e un'esperienza pregiata, “anytime” e “anywhere”. Questi due poli sono compresenti e sempre sinergici, collegati, complementari, rivolgendosi a pubblici distinti, o a bisogni diversi espressi dallo stesso pubblico. Si deve considerare anche una spinta centripeta (pag. 274-275) che sottolinea ancora l'importanza del palinsesto, pur sfumandone i contorni. Il flusso diventa un insieme di eventi da non perdere ed esperienze condivise, con i palinsesti che rimangono larghi e democratici. La sincronizzazione, la condivisione, l'allineamento collettivo vanno di pari passo con la sorpresa dello zapping e, in alcuni casi, addirittura la joy of missing out. Intanto, sull'altro versante di un'illusoria polarità, il non lineare si trova spesso costretto a ricordare a un principio ordinatore, a liste e canali di presentazione dell'offerta, a sistemi di referenze e segnalazioni che aiutano a mettere in fila i contenuti altrimenti fuggevoli di un catalogo; se non è un palinsesto, si può parlare perlomeno di playlist. Insomma, lineare e non lineare sono due facce della stessa medaglia: anche di fronte allo sviluppo e all'assestamento delle piattaforme audiovisive on demand globali, la migliore garanzia della duratura rilevanza del palinsesto e delle logiche di programmazione, e con questi della televisione di flusso, sta infatti in alcune ragioni umane: il bisogno di far parte di una comunità.
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