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Riassunto di "Le ultime lettere di Jacopo Ortis", Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Riassunto di "Le ultime lettere di Jacopo Ortis" della Carocci, 2014

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 04/03/2024

hgdch
hgdch 🇮🇹

5 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto di "Le ultime lettere di Jacopo Ortis" e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! UGO FOSCOLO • Ugo Foscolo nacque il 6 febbraio 1778 a Zante (antica Zacinto), un’isola dello Ionio allora appartenente alla Repubblica Veneta, oggi in territorio greco. Il padre era veneziano e la madre greca. Nell’ottobre del 1788 morì il padre e Ugo fu affidato a una zia di Zante, e solo nel 1793 poté ricongiungersi alla madre trasferitasi a Venezia. • Foscolo fu un adolescente precoce ed originale e a Venezia, a 19 anni, fece rappresentare con successo la sua prima tragedia teatrale il Tieste. Negli anni veneziani ebbe modo di farsi apprezzare presso i più prestigiosi ambienti letterari; dotato di una carica passionale seducente e accattivante, fu ammesso nel salotto di Isabella Teotochi, moglie del conte Albrizzi, della quale Foscolo divenne l’amante. • La prima discesa di Napoleone in Italia (1796) accese l’entusiasmo politico di Foscolo, che si impegnò per la causa della Francia rivoluzionaria e nel maggio del 1797 dedicò a Napoleone l’ode A Bonaparte liberatore. Il 17 ottobre 1797, però, Venezia fu ceduta da Napoleone all’Austria con il trattato di Campoformio. Fu la delusione politica della vita di Foscolo, le cui posizioni ideologico-politiche piegarono sempre più decisamente verso il pessimismo e il poeta abbandonò Venezia per trasferirsi a Milano dove conobbe il Parini, il Monti, della cui moglie Teresa Pickler si innamorò ma dalla quale non fu corrisposto, e altri spiriti liberi che facevano allora di Milano il centro delle aspirazioni nazionali. • Nel 1798 Foscolo, senza lavoro e deluso per il travagliato amore per Teresa Pickler, si trasferì a Bologna dove iniziò la stampa del romanzo epistolare Le ultime lettere di Jacopo Ortis in cui rivive lo sdegno e la passione della sua delusione veneziana. Tra il 1800 e il 1803, Foscolo scrisse le Odi e i Sonetti dei quali pubblicò varie edizioni e l’ultima edizione comprendeva dodici sonetti e due odi. • Tra il 1804 e il 1806 il Foscolo fu ufficiale dell’esercito francese combattendo nella Francia del Nord. Ebbe una relazione con una profuga inglese, Funny Hamilton, dalla quale nacque la figlia Mary, che lui chiamerà sempre Floriana, che conoscerà molti anni dopo e che lo assisterà nell’ultimo difficile periodo della sua vita. Al ritorno dalla Francia, tra il giugno e l’autunno del 1806, scrisse il carme Dei Sepolcri, dedicato ad Ippolito Pindemonte, che verrà pubblicato nell’aprile del 1807. Il carme nacque da uno stato d’animo consapevole delle tristi condizioni della patria, ma fiducioso nella sua rinascita attraverso il culto delle tombe dei cittadini illustri e l’incitamento a egregie cose tratto dai loro esempi. • Nel marzo del 1808 fu nominato professore di eloquenza latina e italiana presso l’Università di Pavia, ma la cattedra venne soppressa, e Foscolo perse l’incarico dopo solo un anno. • Nell’estate del 1812 il poeta prese dimora a Firenze, dove conobbe la contessa d’Albany e in una villa sui colli di Bellosguardo, nei pressi di Firenze, lavorò al poema Le Grazie. • La sua fama letteraria si affermò in Italia ma soprattutto a Milano, dove fu un personaggio molto ricercato e adulato anche dall’amministrazione austriaca. Gli austriaci gli offrirono di dirigere una rivista letteraria per la quale Foscolo preparò un progetto. Gli austriaci accettarono il progetto senza discussioni e quando Foscolo si accorse di stare diventando una pedina nelle mani dell’Austria aprì gli occhi e scelse il doloroso esilio. La sera del 30 marzo 1815 si recò, come di consueto, alla Scala a Milano e chiese al consigliere Schoeffer se fosse confermata per l’indomani la cerimonia del giuramento. Alla risposta affermativa quella stessa notte, senza passaporto e con pochi mezzi, solo lasciava l’Italia. La sera del 30 marzo 1815 il Foscolo scrisse una lettera alla madre nella quale scriveva: “L’onor mio e la mia coscienza mi vietano di dare un giuramento che il presente governo domanda per obbligarmi a servire nella milizia, della quale le mie occupazioni e l’età mia e i miei interessi m’hanno tolta ogni vocazione…. Io per me mi sono inteso servire l’Italia, né, come scrittore, ho voluto parere partigiano di tedeschi o francesi, o di qualunque altra nazione…; ma io professo letteratura, che è arte liberalissima ed indipendente, quando è venale non vale più nulla”. Questa lettera conferma il carattere del Foscolo, indipendente e libertario. Con questa lettera il Foscolo motivava e spiegava la sua scelta fondamentale di restare fedele all’Italia e di lottare per l’indipendenza dell’Italia, libera dal dominio austriaco. • Le prime tappe dell’esilio di Foscolo toccarono la Svizzera, sfiorarono la Germania, ed infine si diressero verso l’Inghilterra. Durante l’esilio londinese, vennero alla luce i due aspetti della personalità foscoliana: l’alacrità nel lavoro, la dignità nella vita, il rispetto dei propri ideali, da un lato; la ricerca del lusso e la prodigalità, il temperamento polemico, la passionalità incoercibile e rovinosa, dall’altro. A Londra visse di stenti un lungo e difficilissimo periodo di vita, superato solo grazie agli articoli letterari che scriveva per le riviste e i saggi critici che gli procuravano un certo benessere economico. • Foscolo fu costretto a vivere per alcuni periodi sotto falso nome e fu assistito, nella crescente miseria, dall’amorosa figlia Floriana che si trasferì a vivere con lui nel 1821 e gli diede un po’ di soldi che lui utilizzò per la costruzione di una villa. Ma dopo alcuni anni Foscolo, a causa della costruzione della villa, si indebitò di nuovo e fu costretto a vendere la villa. Particolarmente miserevoli furono gli ultimi due o tre anni della sua vita, anche per l’aggravarsi delle condizioni di salute. Infine, prostrato dalla sofferenza epatica e renale, il poeta morì di idropisia il 10 settembre 1827 nel sobborgo di Turnham Green presso Londra. Dal cimitero di Chiswick, dove vennero inizialmente seppelliti con la massima semplicità, i resti del Foscolo furono trasportati nel 1871 nella chiesa di Santa Croce a Firenze e la sua tomba fu sistemata accanto alle tombe dei grandi uomini da lui poetati nel celebre poema “Dei Sepolcri”. Foscolo fu nel suo tempo la voce più potente dell’Italia nuova e, in un’epoca agitata e ricca di fermenti, suscitò con le sue opere e con la scelta dell’esilio grande ammirazione in tutti gli italiani che in quel momento stavano maturando l’idea della patria. Come Dante, il Foscolo preferì l’esilio alla viltà e, poiché non si volle piegare all’Austria, diede il massimo esempio di poeta libero per tutti gli italiani che volevano l’Italia libera ed indipendente dagli stranieri. innamorati, dall'altra registra sue proprie esperienze narrative, mettendo il protagonista come autore di vere e proprie storie che preesistono al romanzo in cui vengono narrate. • L’episodio dei due innamorati che leggono la storia di Gliceria richiama l’archetipo della complice lettura di Paolo e Francesca (romanzo nel romanzo). Nel primo Ortis il libro su cui Jacopo ha scritto e che è bagnato dalle lacrime comuni, diventa oggetto-feticcio, che sta materialmente al posto dell’amato scomparso per sempre (importanza metanarrativa del Werther), mentre nel secondo verrà sostituito dal ritratto dell’amata. • La letteratura serve per liberarsi e fare i conti con sé stessi. Ugo Foscolo nelle “Ultime lettere di Jacopo Ortis” si libera dell’idea del suicidio affibbiandola al protagonista; così Ettore Schmitz (sposato con una donna molto più ricca di lui, cambia lavoro e continua a fare letteratura) si libera dei suoi demoni grazie alla scrittura dei romanzi, così da realizzarsi nella vita. NOTIZIA BIBLIOGRAFICA • EDIZOINE PRIMA: verso la fine del 1799 Jacopo Marsili, libraio di Bologna, cominciò l'edizione delle Ultime lettere se non che Foscolo, pentitosi forse di pubblicare un libro politicamente pericoloso agli editori e forse moralmente ai lettori, se ne andò lasciando neppur mezzo stampato il volume. Il libraio lo fece continuare da Angelo Sassoli: vi aggiunse cose che potevano allettare la comunità dei lettori levando però altre cose che ricrescevano i governi, pose annotazioni, mutò le circostanze dei fatti in parte; compilò due volumetti dove appena 1/3 era stato scritto dall'autore. Il romanzo uscì col titolo Vera istoria di due amanti infelici ossia Ultime lettere di Jacopo Ortis. Foscolo nei primi mesi del 1800 smentì nella Gazzetta di Firenze questa edizione apocrifa, ma un libraio di Torino voleva ripubblicarla, così decise di riprendere l’edizione abbandonata e la stampò a Milano da Mainardi. Questo sconvolto dai passi in cui i governi di allora erano affrontati a viso aperto stampò poche copie esatte, mentre alle altre mancavano alcune parti. Non fu allora possibile trovare uno stampatore che si assumesse la responsabilità dell’edizione originale, nonostante la stampa nella Repubblica fosse ancora liberissima. L’opera sarebbe ancora manoscritta se un gentiluomo non l’avesse stampata celatamente nella propria casa a Venezia, sotto la data “Italia 1802”; questa è l’Edizione Prima, l'unica esatta rispetto all'originale, non ne furono tirate oltre 70 copie invendibili e distribuite sottopiede ad amici o a qualche libreria. Consiste in un volume di 274 pagine ha caratteri minuti quasi illeggibili con quattro rami: il profilo dell'Ortis, un profilo di giovane donna, un paesetto sul principio della lettera, un monumento sepolcrale con l'iscrizione “Somno”. • EDIZIONI SUCCESSIVE: nuova ristampa a Milano nel 1802 del Genio tipografico, a cui Foscolo ha prestato consenso e assistenza; nel foglietto anteriore al frontespizio si legge che “l'editore depositario delle autografi smentisce ogni edizione dissimile a questa, segnatamente le tre anteriori al 1802, compresa quella di Venezia”. Questa ha diverse differenze con l’Edizione Prima: la lettera sulla necessaria servitù dell'Italia non poteva essere pubblicamente letta senza provocare lo sdegno di italiani e francesi; hanno lasciato interi passi in cui Ortis diffida dalla religione mentre quelli in cui si affida ad essa li hanno tolti o mutati, perché ai lettori di allora non piaceva la religione; una breve lettera dell'artista al padre di Teresa fu del tutto eliminata, mentre un'altra lettera che era destinata a Lorenzo viene trasformata in un biglietto a Teresa; hanno accorciato le lettere che prima di partire scrive a Teresa, forse per timori di lungaggini; hanno mutato la punteggiatura spezzando i periodi con il segno di interruzione. Questa edizione è stata molto importante perché da essa derivano le tante ristampe uscite negli anni successivi nei vari luoghi d'Italia; per eludere la “legge della revisione” tennero quasi tutta la data 1802. Due sole dichiarano la tipografia: una a grossi caratteri per Zanotto bianco in Vercelli e l'altra elegantissima curata in Londra dal signore Zotti. Per questa seguiremo l’Edizione Prima con aiuto di quella del Genio. • TRADUZIONI: le traduzioni delle ultime lettere sembrano smentire la fama dell'originale. Una in tedesco pubblicata a Jena dal professore Luden non ebbe critiche favorevoli dai giornalisti, che ritenevano che il testo sul quale aveva lavorato fosse poco meritevole. Il professore tradusse letteralmente, metodo che arricchisce la lingua ma spesso raffredda i pensieri del testo; questo è lo stesso difetto della versione inglese. Quando si narrano i fatti un romanzo alletta anche nelle altre lingue, ma se invece si esprimono affetti allora l'incanto sta nello stile ed è raro che può conservarsi nella traduzione. Le Ultime Lettere hanno uno stile tutto loro: lo scrittore accenna più che non esprimere a parole, trapassa da un oggetto all'altro, pare che spezzi sempre la rotondità dei periodi e talora l'armonia, non cerca vocaboli o frasi eleganti né si cura che siano fuori uso, anzi la dicitura ha una ruggine proveniente dalla lettura dei più antichi scrittori italiani, ma vi si incontra anche una licenza tutta nuova e inimitabile. Insomma, è uno stile d’uomo che scrive a sé unicamente e per sé, che non pensa a chi leggerà. La versione francese è caduta nel peggior difetto: quelle tedesca e inglese rendono frase per frase lasciando intatta la sostanza del testo, quella francese per abbreviarlo, allargarlo o anche abbellirlo, lo trasfigura, tanto che viene il sospetto che sia la traduzione della versione pubblicata da Sassoli; molti passi sono fraintesi e molti travolti, il senso viene rovesciato dall'originale. Quanto ad altre due versioni francesi non sappiamo altro se non che il governo le sequestrò, e il libro fu proibito anche in Italia. • VERITÀ STORICA DEL LIBRO: da una lettera scritta nel 1808 a Sr. Bartoldi, un letterato prussiano, si desume che quelle lettere amorose furono davvero scritte e spedite, che il pensiero di ridurle a libro e di pubblicarle nacque dopo che si erano calmate le passioni. I personaggi e i luoghi sono veritieri benché esagerati: i quadri campestri descritti, gli episodi della gentildonna di Padova, della vecchietta romita, della giovinetta maritata di fresco, dei dialoghi col poeta Parini, del medico vagabondo e del contadino calpestato dal cavallo. Lauretta siamo in dubbio se fosse persona reale o fantastica; sul protagonista sappiamo che un giovane Ortis si uccise a Padova in quei tempi, però non lasciò scritto niente. I nomi dei personaggi sono stati cambiati e la scena è stata traslocata in un'altra contrada d'Italia. Alcuni ci leggono massime di politica studiate per penetrare fino al cuore: il libro tende a insinuare negli italiani la passione dell'indipendenza, l'abborrimento a qualunque dominazione straniera, il disprezzo d'ogni setta religiosa letteraria e politica, le quali lacerando l'Italia la lasciano a beneplacito del più forte. Altri pensano che siccome il Werther rappresenta il suicidio come malattia crescente, l’Ortis intenda raccontarlo come rimedio di certi tempi. • PARERI LETTERARI: vi è molta discordia tra i critici dell’Ortis. Lo stile è oscuro e dissonante, a volte casereccio a volte oratorio, anche nella stessa lettera. Gli avvenimenti che guidano l’azione sono scarsi e prevedibili. Gli altri pochi personaggi connessi all’azione dicono e agiscono poco, unicamente per l’Ortis. Teresa innamoratissima non è un personaggio coerente, costretta a sposare un uomo che non ama non si lamenta mai, e non è a sé stante, è modellato dall’Ortis (stesse qualità d’animo, parla e pensa come lui). Il furore di patria e l’amore ardono nella stessa persona, anche nella stessa frase, ma è strano che sia così per tutto il libro (l’opera ha due anime). Il libro si concentra su un solo carattere umano, lasciando da parte le avventure meravigliose; l’autore non esercita piacevolmente la fantasia di chi legge, ma porta a osservare commossi la malattia giornaliera di un cuore febbricitante di passioni per cose che accadono a tutti. Giulia o la nuova Eloisa, romanzo epistolare di Rousseau, descrive passioni di persone che non sono attualmente invasate, ma che con l’immaginazione e con i ricordi tornano a quei tempi per esaminare il loro cuore. Il carattere di Giulia è una felice combinazione del genio e dell’arte che abbelliscono la natura imitandola; l’errore di Rousseau non è nella colpa di far cadere Giulia, ma di farla cadere con quell’amante dispregevole. Le virtù di lei non bastano per giustificare l’essersi lasciata contaminare da “quel misero animale umano”; da ciò deriva quel non so che di romanzesco incredibile che Rousseau credeva di aver scansato. La doviziosa ma calcolata eloquenza dell’autore traspare e adesca il lettore alla meraviglia, innalza la sua ragione a ideali contemplazioni di perfezione morale che lo obbliga a meditare sopra le proprie e altrui passioni. Bisogna distinguere calore da fiamma: il primo è dote di molti antichi/primitivi scrittori (Bibbia, Omero); la seconda è moderna, perlopiù francese “racconti infiammati di metafisica che abbagliano e si risolvono in fumo”. Gli scrittori primitivi avevano meno libri da imitare e meno lettori da compiacere adulando il loro capriccio di novità. Gli antichi scrivevano le cose come le vedevano, esprimevano il senso che gli oggetti suscitavano nella loro anima, esponevano le loro idee con la sola lingua che conoscevano. Oggi gli scrittori sentono di dover ripercorrere la storia e la letteratura di tutti i secoli scorsi, d'ogni paese, e di tutte le lingue contemporanee; la superbia di sapere quello che non si sa. Non imitano l’oggetto così com’è, cercano di estrarre una forma per arrivare sino al midollo; i pensieri diventano o impercettibili o trascendentali, vestendo di retorica e di psicologia i caratteri dei nostri personaggi. La nuova Eloisa, come romanzo senza varietà di avvenimenti, con la sua ricca magnificenza umilia la schietta semplicità dell’Ortis e del Werther. L’educazione letteraria dell’Ortis è più accurata di quella del Werther: il suo ingegno è più attento a ogni cosa, il suo modo di sentire più impetuoso, appare meno semplice. Lo stile dell’Ortis prende i vari colori dalla molteplicità di oggetti, è disordinato come i suoi pensieri ma forma un “tutto armonico di dissonanze”. L’Ortis usa vocaboli antiquati, idiotismi toscani, locuzioni create da lui; le parole suonano forti dal cuore di chi le scriveva, è uno stile inimitabile. Il discorso dell'Ortis, benché sia più conciso, vario e aspro di quello del Werther, e talvolta più disteso: un accanito repubblicano che aborre i filosofici sistemi di libertà, che disprezza i tiranni ma è costretto a temerli, che cacciato dalla sua patria sdegna di cercare asilo fuori dalla terra dove stanno seppelliti i suoi padri, e infine disperato si suicida. L'autore rasserena invisibilmente il suo protagonista, prima con illusioni di pace, ospitalità e amicizia, poi lo infiamma d'amore per ristorarli l'anima dolcemente; quello stesso amore lo condurrà alla disperazione. Si pensa che la passione politica e quella amorosa sono dissonanti in un romanzo, perché nel mondo si vedono raramente nello stesso individuo; è un canone d'arte prescritto dalla natura che le passioni diverse regnino un solo individuo affinché combattendo fra loro facciano riuscire tragico e vero il carattere, fino alla catastrofe. Nell’Ortis il vero contrasto sta tra la disperazione delle passioni e l'ingenito amor della vita; gli affetti suscitati dalla giovane che non può avere e dalla patria che ha perduto, somministrano nuove armi alla disperazione contro il naturale orrore della morte; l'amore assume dei sentimenti repubblicani, per cui scema in parte la dissonanza tra le due passioni. L’individuo precipita nell’insensatezza sia a causa di varie idee/passioni superficiali e non stabili che gli lacerano l’anima, sia quando la passione è unica, senza paragoni che permettano alla ragione di agire (nell’Ortis l’amore sparge un po’ di refrigerio sulle passioni politiche, poi la politica rallenta la consunzione dell’amore).”Passione” indica lo stato di dolore per un intenso desiderio protratto; quanto più la passione è intensa tanto più produce dolore e alcuni individui sono per indole succubi a questo stato. Nell’Ortis chiunque legge il romanzo, in particolare la lettera del 13 maggio, si accerta che di minuto in minuto le cose che lo attorniano prendono tutte colori e qualità della sua cupa disperazione, e che il suo stato morale seconda sempre le variazioni fisiche del suo individuo. Sembra che in questa lettera non pensi a Teresa, la nomina solo nell'ultima parola; in realtà nel libro si sente come essa ristora il cuore di lui e gli prolunga la vita. Benché Teresa parli poco e che le agitazioni del suo cuore siano raramente manifestate, si vede che assume molte qualità del suo amante, e come egli dalle nuove virtù di lei ha desunto il generoso proponimento di non contaminare mai l'innocenza della fanciulla, così essa dall'austerità naturale e dalle massime che vede in lui diviene più severa e costante nella virtù. Il solo pensiero di sedurla, che l'amore furente gli desta alle volte nell'anima, lo strazia poi lungamente di rimorsi, mai si scorge un minimo indizio che egli volesse impedire le nozze di lei o dissuaderla dall'obbedienza filiale. famiglia e delle fanciulle innocenti. Non è questo il caso dell’Ortis: le fanciulle vedono in Teresa uno specchio dell'amore sacrificato alla castità e dell'obbedienza filiale; gli innamorati generosi vedono un invito a rinvigorire il loro coraggio in modo da posporre la propria vita all'innocenza e alla fama delle loro donne. Non si può negare che ciascuna di quelle lettere non sia riscaldata ad una pietà disinteressata nell'altrui sventure, dettata in noi dalla voce della natura; ma il riassunto riduce sia una specie di sdegno contro la natura come se ci avesse creati a patire per le nostre per le altre miserie e non a poterle scemare. Un uomo trascinato dall'amore a violare l'ospitalità, a contaminare una vergine e coinvolgere una famiglia in pericoli che elude morendo, non somministra prova del potere del libero arbitrio, perché dominati dalle forti passioni. Il coraggio con cui l'autore affronta l'invasore d'Italia, tutte le sette che la sbranano e tutti i ceti che la corrompono, è sia magnanimo che imprudente: l'ardire potrebbe trasformarsi nei giovani in audacia e indurli a imitazioni funeste. La “irreligione” dell'Ortis, il perpetuo dubitare “se Dio si curi della terra e se l'anima sopravviva” meritò molte e giuste censure. Ma la vera accusa è al suicidio rappresentato come una liberazione per coloro assediati dal dolore, dalla noia o dalle sventure. Forse nella disputa gli argomenti da propugnatori del suicidio sarebbero vittoriosi. Chi legge questi libri si accorge che l'uno degli autori fu condotto dal troppo sentire a precipitarsi nel sepolcro, mentre all’altro venne tanto vigore di mente da rientrare in sé e da misurare l'abisso e descriverlo. Il Werther essendo esplosione di un ingegno, di un fuoco latente e conservato per lungo tempo, infiammerà più d'improvviso e riuscirà più dannoso a più giovani rispetto all'Ortis, che invece è giornaliera espressione di un dolore sentito.
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