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Riassunto di Letteratura Angloamericana - Billy Budd di Hermann Melville, Sintesi del corso di Letteratura Angloamericana

Riassunto e commento - Billy Budd di Hermann Melville<br />

Tipologia: Sintesi del corso

2011/2012

Caricato il 03/09/2012

lelerocca
lelerocca 🇮🇹

4.4

(60)

6 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto di Letteratura Angloamericana - Billy Budd di Hermann Melville e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Angloamericana solo su Docsity! Daniele Rocca Filosofia Morale I: Empatia, riconoscimento, compassione. La sensibilità per l’altro come fondamento di ogni agire umano Billy Budd, di Herman Melville Analisi dell’Opera Introduzione “Billy Bubb, gabbiere di parrocchetto” è l’ultimo racconto di Herman Melville, scritto nel 1891 e pubblicato postumo. È un racconto di mare, ambientato alla fine del settecento, che si svolge prevalentemente a bordo di una nave da guerra inglese; narra la vicenda tanto suggestiva quanto singolare di un nobile marinaio, persona proba ed onesta, ma al contempo uccisore di un suo superiore e per questo condannato a morte. “Il testamento poetico di Melville può essere tutto insieme epopea, racconto di avventure, dialogo platonico, saggio critico intinto di spiriti rivoluzionari e dramma: dramma sacro che rappresenta il sacrificio per eccellenza, il sacrificio cristiano della Croce”, Eugenio Montale. sintesi Billy Budd è un abile marinaio di una nave inglese chiamata Diritti dell’uomo, è un giovane fisicamente forte e moralmente impeccabile, ma poco abile nell’arte oratoria in quanto è balbuziente. Viene scelto dall’ufficiale di reclutamento e si mette così al servizio di Sua Maestà a bordo dell’Indomita, una imponente nave da guerra ed essendo considerato come un elemento esperto viene assegnato al quarto della stoffa di parrocchetto, ossia diventa gabbiere di parrocchetto. Il suo carattere buono ed altruistico gli permette di convivere in armonia con tutti gli altri marinai, o meglio, con tutti tranne uno, il maestro d’armi Jonh Claggart. Sebbene Billy non se ne accorga, il sottufficiale nutre nei suoi confronti un’antipatia tanto profonda quanto ingiustificata. Solo il vecchio Merlino coglie tale antipatia e prova a mettere in guardia Billy, il quale, essendo per natura fiducioso ed anche un po’ ingenuo, non crede alle parole del saggio marinaio. Una notte avviene un episodio alquanto singolare, il giovane viene chiamato in un angolo remoto della nave ed un marinaio, che il gabbiere di parrocchetto non riconosce a causa dell’oscurità, gli offre due monete dopo avergli accennato vagamente ad un possibile ammutinamento. Billy, scacciata la figura misteriosa, rimane perplesso e non riesce a spiegarsi l’accaduto. Il giorno seguente, il capitano della nave, Edward Fairfax Vere, dopo aver convocato Billy, sollecita il maestro d’armi a ripetere, di fronte al diretto interessato, le accuse che aveva appena mosso. Con grande abilità oratoria Claggart espone una serie di fatti che provano la colpevolezza del giovane marinaio, accusato di tramare segretamente un ammutinamento. Il capitano rimane sorpreso da tali accuse, perché, conoscendo il perfetto comportamento del marinaio, mai lo aveva pensato in grado di compiere una tale azione e chiede quindi spiegazioni all’accusato. Incredulo e pietrificato Billy non riesce a rispondere verbalmente alle accuse, sebbene sappia che sono false ed ingiustificate. L’unica reazione possibile è dettata dall’istinto, il possente marinaio colpisce con un pugno l’accusatore, il quale cade a terra. Il capitano, allibito, vedendo che Claggart è morto, arresta Billy. Viene istituito un processo, presieduto dal capitano Vere, il quale, dopo aver assistito alla scena, si è ormai convinto dell’infondatezza delle accuse mosse da Claggart ed anche della innocenza e della purezza dell’atto di Billy; capisce che il povero gabbiere voleva unicamente difendersi e non uccidere il suo accusatore ed inoltre si rende conto che la violenza era l’unico mezzo di cui Billy disponeva. Nonostante queste considerazioni il capitano, in conformità col proprio dovere, propone 1 di comminare la pena di morte a colui che, nonostante la sua purezza, aveva commesso un omicidio. Billy è condannato e la sentenza viene eseguita il giorno successivo. I marinai, provando compassione per lui, gli dedicano una canzone che poi verrà scritta in forma di ballata, dal titolo “Billy in catene”. Interpretazione La quasi banalità della storia narrata e la semplicità della forma stilistica hanno consentito svariate interpretazioni del romanzo. Tuttavia una lettura più consapevole permette di cogliere la straordinaria finezza di Melville: velare un tema così profondo e complesso all’interno di un romanzo avvincente e lineare. In primo luogo troviamo l’interpretazione data dall’assistente di Melville, che riconduce il racconto a una favola religiosa; tale interpretazione è fondata sullo stereotipo che associa Billy Budd ad Adamo e a Cristo, Claggart rappresenterebbe i farisei e il capitano Vere l’ambiguo Pilato. La vicenda non sarebbe nient’altro che una trasposizione del sacrificio di Cristo, che, accusato ingiustamente dai farisei e condannato alla crocifissione, si immola per salvare l’umanità Una seconda interpretazione è quella psicanalitica, che vede nel rapporto tra Claggart e Billy Budd una tentazione omosessuale, rifiutata sul nascere dall’innocenza del marinaio. L’odio di Claggart si spiegherebbe allora come la conseguenza di un amore frustrato. Ci possiamo anche imbattere in una lettura che interpreta il racconto come se fosse un pamphlet di perorazione dei diritti degli uomini di mare. Anche se non sono errate, queste interpretazioni si fermano ad una lettura selettiva e limitativa del racconto e non tengono in debita considerazione la struttura dell’opera nella sua totalità; sono quindi riduttive e parziali, colgono solo una parte di ciò che Melville ci propone. Indubbiamente la vicenda richiama alla memoria il sacrificio di Cristo e sarebbe irragionevole negarlo, tuttavia questo riferimento non deve essere la conclusione, ma il punto di partenza della nostra analisi. Melville non vuole riproporre la medesima vicenda ambientata in un luogo e in un’epoca diversi, vuole piuttosto presentarci una profonda riflessione sul mondo e sull’essere ed il parallelo con le Sacre Scritture è un mezzo, non il fine della sua opera. L’analisi dei personaggi ci permetterà di cogliere ciò che il poeta voleva trasmettere con questo racconto. Billy Budd “Un Bel marinaio […], una figura ben bilanciata, assai più alta della media. Quanto alla natura morale, essa era adeguata a quella fisica, […] comunione perfetta di forza e grazia.” Il suo straordinario aspetto fisico concorda quindi con la sua naturalezza e purezza d’animo. “C’era un potere in lui che addolciva gli animi più acri. […] Non c’era uomo più contento di lui. […] Il corpo di Billy era quello di un eroe e il suo volto emanava una luce interna.” Questi passi sono significativi, per capire l’interiorità di Billy, anche se, per caratterizzarlo in modo completo ed esauriente, è necessaria la lettura dell’intero racconto; infatti Melville non ci descrive la sua vera natura interiore, ma lascia che essa traspaia da frasi, comportamenti e gesti nel corso dallo svolgimento dell’intera vicenda. La lettura del testo nella sua totalità, ci permette di capire che Billy Budd non rappresenta solamente un marinaio dal fisico impeccabile e un uomo moralmente perfetto, ma incarna un più profondo ideale di perfezione. Billy Budd è l’uomo naturale per eccellenza, è il buon selvaggio del mito settecentesco, l’uomo puro, non corrotto dalla civiltà; non è un caso che sia un trovatello e le sue origini siano misteriose. Imbarcato su una nave da guerra, senza possibilità di scelta, si trova proiettato all’interno dell’ordine civile e sottoposto alla ferrea legge della marina inglese. È privo di valori assoluti e della cultura del mondo civile, è ignaro del male in quanto è puro per eccellenza e può quindi contare solo sulla spontaneità; questo suo carattere viene messo in evidenza da Melville stesso, che crea un personaggio fisicamente e moralmente perfetto, ma balbuziente, incapace di esprimersi in modo chiaro e deciso e per questo non all’altezza di far valere le proprie ragioni con la parola. 2 Possiamo notare la medesima situazione nell’animo degli altri marinai, che saputo dell’accaduto, sebbene non fossero stati presenti all’avvenimento, “sentivano che Billy non era stato uomo capace di ribellione e di assassinio premeditato. Si ricordarono della giovanile e fresca immagine del Bel Marinaio, di quel volto che mai avevano veduto distorto da alcun ghigno, da alcuna smorfia che provenisse dal cuore!”. È la realtà stessa che rivela ai marinai l’innocenza di Billy, permettendo così l’insorgere della compassione nel loro animo. Bisogna sottolineare l’importanza dell’empatia nel processo originario della compassione provata dal capitano Vere nei confronti di Billy. M. Nussbaum descrive l’empatia come ricostruzione nell’immaginazione dell’esperienza di un’altra persona, senza però alcun coinvolgimento emotivo; la definisce “strada privilegiata verso la compassione”, quindi pur non essendone causa sufficiente, è tuttavia una guida e una promotrice della compassione. È proprio grazie ad un primo momento empatico che il capitano riesce a capire il mondo di esperienza di Billy Budd e la sua situazione interiore, solo in questo modo diventa a lui possibile provare compassione per lo sventurato marinaio. Viene qui confermata la tesi di M. Nussbaum secondo la quale l’empatia si rivela essere la via d’accesso primaria per la compassione. Il Lettore Empatia Il lettore conosce il vissuto di tutti i personaggi, sa che le accuse mosse da Claggart sono false e che Billy non può controbatterle ed è anche consapevole del fatto che il capitano Vere stenta a credere al maestro d’armi; sa dunque che basterebbe solo una decisa smentita dell’accusato e l’ufficiale farebbe arrestare Claggart per falsa testimonianza. Il lettore vive la scena nella medesima prospettiva del capitano, attende insieme con lui la risposta di Billy e col pensiero lo esorta a reagire, proprio come fa verbalmente il capitano Vere. Si instaura una sorta di empatia nei confronti dell’ufficiale, c’è, da parte di colui che legge, una comprensione profonda ed immediata dell’esperienza che il capitano Vere sta vivendo. Il lettore “vive presso di lui, sebbene non sia ‘uno’ con lui” (Edit Stein), ovvero coglie, comprende e condivide lo stato emotivo del capitano, ma senza che ci sia il dissolvimento del proprio io nell’oggetto empatizzato. I lettori colgono immediatamente il mondo di esperienza di Vere, ma non diventiamo ‘uno’ con lui, non c’è quindi unipatia tra loro ed il capitano. “Dall’io e dal tu emerge il noi come soggetto di grado più elevato” (Edit Stein), ovvero, pur permanendo distinte, le unità individuali del lettore e dell’ufficiale formano un unico soggetto esperente, ossia hanno la medesima reazione alla situazione e ciò permette al lettore di co-sentire l’incredulità del capitano. Max Scheler definisce questa dimensione del co-sentire come la vera simpatia, attraverso la quale si coglie ciò che l’altro sta vivendo. Compassione Può il lettore provare compassione per Billy Budd? Per rispondere a questa domanda esaminiamo la tesi, già citata, di Martha Nussbaum, secondo la quale vi sono tre elementi di valutazione della realtà che costituiscono la compassione. Il primo è il giudizio di gravità, ossia possiamo provare compassione solo se la situazione è un fatto eterno della vita, come la morte e la vecchiaia, oppure un disastro, come la malattia, la miseria e l’essere privati degli amici, o infine ciò che noi riteniamo importante per la nostra stessa realizzazione e fioritura; per quest’ultima categoria dobbiamo aggiungere che su di essa influiscono sia criteri universali sul benessere umano, sia criteri più personali, quali la storia e la cultura. Il soggetto, per provare compassione, deve inoltre valutare la sventura o la pena inflitta come sproporzionata rispetto alle azioni commesse dallo sventurato; M. Nussbaum chiama questa valutazione giudizio di errore, ossia il soggetto compassionevole deve rilevare l’assenza di colpa nell’oggetto della compassione. 5 Il terzo criterio valutativo riguarda il rapporto tra soggetto ed oggetto del sentimento. Analoghe sventure devono poter accadere anche al compassionevole e lui deve esserne consapevole, siamo quindi di fronte al giudizio eudemonistico, o di somiglianza. Dato questo terzo giudizio, sembrerebbe necessario, per provare compassione l’esperienza personale del dolore, che permetterebbe di capire sia il reale dolore che l’altro sta provando, sia che anch’io potrei essere sottoposto all’identica sofferenza. La realtà, contrariamente a quanto abbiamo appena detto, ci mostra che si può essere compassionevoli anche senza aver mai patito il dolore che l’altro sta provando. M. Nussbaum risolve questo problema affermando che attraverso l’immaginazione si può diventare vulnerabili e ci si può lasciare coinvolgere senza aver mai provato lo stesso dolore, ma semplicemente ricostruendolo nell’immaginazione. Per questo, affinché sorga la compassione, non è sempre necessaria la conoscenza diretta della dolore, può bastare “la capacità di immaginarsi vividamente la propria sofferenza”, ci si può dunque immedesimare nel sofferente per mezzo dell’immaginazione. Ciò che fa da ponte tra noi e gli altri e, conseguentemente, ciò che permette la compassione è il dolore; bisogna però ricordare che non c’è in alcun modo vulnerabilità personale nell’essere compassionevoli. Possiamo ora affermare che il lettore può, anzi dovrebbe provare compassione per Billy Budd, in quanto sono soddisfatti tutti i presupposti affinché essa insorga. Il marinaio è stato condannato a morte, la sua colpa è di aver reagito, nell’unico modo a lui possibile, ad un’ignobile ingiuria; il lettore, attraverso l’immaginazione, diventa consapevole del fatto che anche lui, in quella circostanza, avrebbe reagito nel medesimo modo. Non è comunque certo che si manifesti compassione, infatti potrebbero esserci barriere sociali o pregiudizi personali che ne impediscono l’insorgere, come avverrebbe, ad esempio, nel caso del cinico signor Gradgrind, personaggio di “Hard times”, che, incapace di qualsiasi relazione con l’altro, vedrebbe in Billy Budd solo un assassino. Un Angelo per Dio, un Assassino per la Legge Il senso etico della vita emotiva Dobbiamo ora riflettere sulla frase pronunciata dal capitano Vere, che, per spiegare l’accaduto, afferma “colpito a morte da un angelo di Dio. Eppure bisogna impiccare l’angelo”. Vere sa che Billy non ha agito con l’intenzione di uccidere, ma solo per difendersi dalle ingiuste accuse mossegli da Claggart ed è inoltre conscio del fatto che il giovane ha risposto al suo accusatore nell’unico modo a lui possibile, ovvero, data l’impossibilità di controbattere verbalmente, ha dovuto agire istintivamente, ricorrendo alla violenza; “se avessi potuto servirmi della parola non lo avrei colpito” afferma Billy a Vere. Nel contempo il capitano è anche consapevole del fatto che è necessario giustiziare il marinaio, poiché è indubbio che Billy abbia ucciso Claggart e la legge prevede, per il suo crimine, la pena capitale; nonostante le possibili, ma anche valide e plausibili attenuanti, in qualità di giudice, Vere condanna a morte l’imputato, sebbene l’abbia umanamente assolto da ogni colpa. Questa diatriba interiore porterà il capitano a sentirsi, per tutta la vita, colpevole dell’uccisione di un uomo innocente e per questo sarà tormentato, fin sul letto di morte, dal rimorso. Neottolemo è consapevole della sua missione e del suo dovere, tuttavia, differentemente dal capitano, dopo aver percepito l’umanità di Filottete ed aver provato compassione per lui, lascia che il senso morale abbia il sopravvento e mentre aiuta il nuovo amico, afferma: “se queste mie azioni sono giuste, valgono di più di quelle assennate.” Considera quindi prioritari i suoi sentimenti nei confronti dello sventurato rispetto al suo dovere. Questa costrizione a scegliere tra compiere il proprio dovere o dare priorità alla vita emotiva, non interessa solamente gli eroi o i personaggi dei racconti, ma caratterizza anche noi e le nostre scelte di vita; possiamo, ad esempio, ipotizzare il caso estremo di un impeccabile poliziotto che sorprende la moglie a commettere un grave crimine col fine di salvare la vita al proprio figlio. 6 In alcune circostanze, sapere qual è il proprio dovere non è sufficiente a farci agire di conseguenza. Martha Nussbaum scrive: “la compassione è stata data a noi dalla natura per farci compiere quello che il dovere non riuscirebbe a farci fare.” Da tale affermazione si può dedurre che la filosofa ammette una distinzione tra senso del dovere e piano emotivo ed inoltre afferma che spesso un nostro sentimento può avere maggiore influenza su di noi rispetto al senso del dovere. Ogni nostro agire è influenzato e diretto dalla sensibilità per l’altro e per tutto ciò che ci circonda. Possiamo dedurre che non è nella politica, intesa come costituzione di una polis, che dobbiamo cercare il fondamento della vita emotiva, ma piuttosto che è quest’ultima a fondare la politica. La dimensione prepolitica della vita emotiva consiste proprio nel fatto che non è necessario trovarsi all’interno di una polis per provare sentimenti nei confronti dell’altro; un indigeno che ha sempre vissuto da solo, nell’incontro con un altro essere umano, prova emozioni e sentimenti, pur non avendo idea di cosa sia una società politica. La possibilità di fare esperienze emotive permette all’uomo di relazionarsi con i suoi simili, incoraggia scambi interpersonali e consente al singolo di identificarsi come membro di una comunità di suoi simili. I primi passi nella costruzione di una società sono proprio il riconoscimento del prossimo come individuo e successivamente l’individuazione di un qualcosa che mi accomuna a lui, come ad esempio il fatto che entrambi siamo soggetti al dolore e che abbiano un bisogno reciproco l’uno dell’altro. In questo senso parliamo di un carattere protopolitico della vita emotiva, la quale non solo sorge in modo autonomo e spontaneo, ma è anche la causa fondamentale per la costituzione della polis. Successivamente, una volta costituitasi la società politica, la emozioni possono e, secondo M. Nussbaum, dovrebbero assumere il ruolo di guida all’interno dell’etica. Il fatto che Billy Budd sia colpevole di fronte alla legge, ma innocente agli occhi dei suoi stessi carnefici, dipende proprio dal contrasto tra vita politica, ossia sottostante alle leggi della polis e vita emotiva, considerata nel senso di vita naturale, spontanea ed innata. È per il medesimo motivo che solo la virtù trova posto nella politica, mentre la ‘bontà naturale’, sebbene la sia superiore, agendo secondo le leggi della natura non segue la legislazione civile e viene quindi esclusa dal modo politico. Possiamo perciò affermare che il giudice Vere condanna giustamente un innocente, senza comunque cadere in un paradosso, infatti la condanna e l’innocenza sottostanno a due diversi parametri di giudizio, quello politico e quello naturale. La compassione salva dalla disumanizzazione Il male peggiore che un uomo può commettere è la disumanizzione, ossia il non riconoscere il prossimo come un io, altro da lui, ma egualmente meritevole di considerazione e dignità. Le barriere sociali, come, ad esempio, la divisione in classi o ranghi, suscitano riluttanza all’immaginazione e quindi all’immedesimazione, impedendo così il riconoscimento dell’individualità dell’altro; la propaganda nazista antisemita ha spinto la maggior parte dei soldati tedeschi a considerare gli ebrei non come esseri umani, ma piuttosto come una sorta di ‘animali inferiori’, degni solo di patire dolore e sofferenza. Le emozioni sono giudizi valutativi che attribuiscono a determinate cose o persone importanza per la nostra vita, possono quindi essere considerate riconoscimenti di bisognosità e mancanza di autosufficienza. Per tale motivo alcune di esse, in particolare la compassione, mostrandoci l’umanità del nostro prossimo, ci fanno riconoscere l’altro come ‘io’ altrui. Cogliendo il dolere di Filottete, Neottolemo percepisce di essere inerme di fronte alla natura, capisce dunque di essere nella medesima condizione di impotenza dello sventurato ed è proprio questa presa di coscienza che permette il riconoscimento di un’umanità comune, l’essere, in quanto uomini, ugualmente soggetti alle stesse leggi e alle stesse pene. Per questo motivo Martha Nussbaum sostiene che “la compassione include il pensiero di un umanità comune”, ciò significa che la compassione è l’unico strumento che ci permette di vedere l’altro in modo morale, ossia ci consente di considerare il prossimo come individuo esperente e soggetto ai nostri stessi sentimenti, passioni e stati d’animo. Permette dunque di cogliere il bene e il male 7
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