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Renzo e la sua avventura a Milano: una storia di ospitalità e sorprese, Sintesi del corso di Lingua Italiana

Questa storia racconta di Renzo, un giovane campagnolo che si reca a Milano in cerca di un convento. Durante il suo viaggio, Renzo incontra diverse avventure e incontri interessanti, tra cui un incontro con un misterioso signore e una signora che serve in una locanda. La storia descrive la reazione di Renzo alle differenze tra la vita in campagna e in città, e la sua sorpresa per l'ospitalità e la buona maniera dei milanesi.

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 30/12/2021

ldmartina
ldmartina 🇮🇹

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Scarica Renzo e la sua avventura a Milano: una storia di ospitalità e sorprese e più Sintesi del corso in PDF di Lingua Italiana solo su Docsity! a.a. 2021/2022 Materiali didattici primo semestre Percorso: La città come luogo dell’esperienza (1) ALESSANDRO MANZONI I promessi sposi - 1840 - Cap. VII Addio, monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l'aspetto de' suoi più familiari; torrenti, de' quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana! Alla fantasia di quello stesso che se ne parte volontariamente, tratto dalla speranza di fare altrove fortuna, si disabbelliscono, in quel momento, i sogni della ricchezza; egli si maraviglia d'essersi potuto risolvere, e tornerebbe allora indietro, se non pensasse che, un giorno, tornerà dovizioso. Quanto più si avanza nel piano, il suo occhio si ritira, disgustato e stanco, da quell'ampiezza uniforme; l'aria gli par gravosa e morta; s'inoltra mesto e disattento nelle città tumultuose; le case aggiunte a case, le strade che sboccano nelle strade, pare che gli levino il respiro; e davanti agli edifizi ammirati dallo straniero, pensa, con desiderio inquieto, al campicello del suo paese, alla casuccia a cui ha già messo gli occhi addosso, da gran tempo, e che comprerà, tornando ricco a' suoi monti. Ma chi non aveva mai spinto al di là di quelli neppure un desiderio fuggitivo, chi aveva composti in essi tutti i disegni dell'avvenire, e n'è sbalzato lontano, da una forza perversa! Chi, staccato a un tempo dalle più care abitudini, e disturbato nelle più care speranze, lascia que' monti, per avviarsi in traccia di sconosciuti che non ha mai desiderato di conoscere, e non può con l'immaginazione arrivare a un momento stabilito per il ritorno! Addio, casa natìia, dove, sedendo, con un pensiero occulto, s'imparò a distinguere dal rumore de' passi comuni il rumore d'un passo aspettato con un misterioso timore. Addio, casa ancora straniera, casa sogguardata tante volte alla sfuggita, passando, e non senza rossore; nella quale la mente si figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa. Addio, chiesa, dove l'animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del Signore; dov'era promesso, preparato un rito; dove il sospiro segreto del cuore doveva essere solennemente benedetto, e l'amore venir comandato, e chiamarsi santo; addio! Cap. XI La strada era allora tutta sepolta tra due alte rive, fangosa, sassosa, solcata da rotaie profonde, che, dopo una pioggia, divenivan rigagnoli; e in certe parti più basse, s'allagava tutta, che si sarebbe potuto andarci in barca. A que' passi, un piccol sentiero erto, a scalini, sulla riva, indicava che altri passeggieri s'eran fatta una strada ne' campi. Renzo, salito per un di que' valichi sul terreno più elevato, vide quella gran macchina del duomo sola sul piano, come se, non di mezzo a una città, ma sorgesse in un deserto; e si fermò su due piedi, dimenticando tutti i suoi guai, a contemplare anche da lontano quell'ottava maraviglia, di cui aveva tanto sentito parlare fin da bambino. Ma dopo qualche momento, voltandosi indietro, vide all'orizzonte quella cresta frastagliata di montagne, vide distinto e alto tra quelle il suo Resegone, si sentì tutto rimescolare il sangue, stette lì alquanto a guardar tristamente da quella parte, poi tristamente si voltò, e seguitò la sua strada. A poco a poco cominciò poi a scoprir campanili e torri e cupole e tetti; scese allora nella strada, camminò ancora qualche tempo, e quando s'accorse d'esser ben vicino alla città, s'accostò a un viandante, e, inchinatolo, con tutto quel garbo che seppe, gli disse: - di grazia, quel signore. - Che volete, bravo giovine? - Saprebbe insegnarmi la strada più corta, per andare al convento de' cappuccini dove sta il padre Bonaventura? L'uomo a cui Renzo s'indirizzava, era un agiato abitante del contorno, che, andato quella mattina a Milano, per certi suoi affari, se ne tornava, senza aver fatto nulla, in gran fretta, ché non vedeva l'ora di trovarsi a casa, e avrebbe fatto volentieri di meno di quella fermata. Con tutto ciò, senza dar segno d'impazienza, rispose molto gentilmente: - figliuol caro, de' conventi ce n'è più d'uno: bisognerebbe che mi sapeste dir più chiaro quale è quello che voi cercate -. Renzo allora si levò di seno la lettera del padre Cristoforo, e la fece vedere a quel signore, il quale, lettovi: porta orientale, gliela rendette dicendo: - siete fortunato, bravo giovine; il convento che cercate è poco lontano di qui. Prendete per questa viottola a mancina: è una scorciatoia: in pochi minuti arriverete a una cantonata d'una fabbrica lunga e bassa: è il lazzeretto; costeggiate il fossato che lo circonda, e riuscirete a porta orientale. Entrate, e, dopo tre o quattrocento passi, vedrete una piazzetta con de' begli olmi: là è il convento: non potete sbagliare. Dio v'assista, bravo giovine -. E, accompagnando l'ultime parole con un gesto grazioso della mano, se n'andò. Renzo rimase stupefatto e edificato della buona maniera de' cittadini verso la gente di campagna; e non sapeva ch'era un giorno fuor dell'ordinario, un giorno in cui le cappe s'inchinavano ai farsetti. [...] Renzo entra, passa; nessuno de' gabellini gli bada: cosa che gli parve strana, giacché, da que' pochi del suo paese che potevan vantarsi d'essere stati a Milano, aveva sentito raccontar cose grosse de' frugamenti e dell'interrogazioni a cui venivan sottoposti quelli che arrivavan dalla campagna. La strada era deserta, dimodoché, se non avesse sentito un ronzìo lontano che indicava un gran movimento, gli sarebbe parso d'entrare in una città disabitata. Andando avanti, senza saper cosa si pensare, vide per terra certe strisce bianche e soffici, come di neve; ma neve non poteva essere; che non viene a strisce, né, per il solito, in quella stagione. Si chinò sur una di quelle, guardò, toccò, e trovò ch'era farina. " Grand'abbondanza ", disse tra sé, " ci dev'essere in Milano, se straziano in questa maniera la grazia di Dio. Ci davan poi ad intendere che la carestia è per tutto. Ecco come fanno, per tener quieta la povera gente di campagna ". Ma, dopo pochi altri passi, arrivato a fianco della colonna, vide, appiè di quella, qualcosa di più strano; vide sugli scalini del piedestallo certe cose sparse, che certamente non eran ciottoli, e se fossero state sul banco d'un fornaio, non si sarebbe esitato un momento a chiamarli pani. Ma Renzo non ardiva creder così presto a' suoi occhi; perché, diamine! non era luogo da pani quello. " Vediamo un po' che affare è questo ", disse ancora tra sé; andò verso la colonna, si chinò, ne raccolse uno: era veramente un pan tondo, bianchissimo, di quelli che Renzo non era solito mangiarne che nelle solennità. - È pane davvero! - disse ad alta voce; tanta era la sua maraviglia: - così lo seminano in questo paese? in quest'anno? e non si scomodano neppure per raccoglierlo, quando cade? Che sia il paese di cuccagna questo? Cap. XIV Renzo aveva parlato tanto di cuore, che, fin dall'esordio, una gran parte de' radunati, sospeso ogni altro discorso, s'eran rivoltati a lui; e, a un certo punto, tutti erano divenuti suoi uditori. Un grido confuso d'applausi, di - bravo: sicuro: ha ragione: è vero pur troppo, - fu come la risposta dell'udienza. Non mancaron però i critici. - Eh sì, - diceva uno: - dar retta a' montanari: son tutti avvocati -; e se ne andava. - Ora, - mormorava un altro, - ogni scalzacane vorrà dir la sua; e a furia di metter carne a fuoco, non s'avrà il pane a buon mercato; che è quello per cui ci siam mossi -. Renzo però non sentì che i complimenti; chi gli prendeva una mano, chi gli prendeva l'altra. - A rivederci a domani. - Dove? - Sulla piazza del duomo. - Va bene. - Va bene. - E qualcosa si farà. - E qualcosa si farà. - È giusto; ma se presto, come spero... e con l'aiuto di Dio.. Basta; quando avessi moglie anch'io? - Allora si cambia il biglietto, e si cresce la porzione. Come v'ho detto; sempre in ragion delle bocche, - disse lo sconosciuto, alzandosi. - Così va bene, - gridò Renzo; e continuò, gridando e battendo il pugno sulla tavola: - e perché non la fanno una legge così? - Cosa volete che vi dica? Intanto vi do la buona notte, e me ne vo; perché penso che la moglie e i figliuoli m'aspetteranno da un pezzo. Cap. XXXIV La strada che Renzo aveva presa, andava allora, come adesso, diritta fino al canale detto il Naviglio: i lati erano siepi o muri d'orti, chiese e conventi, e poche case. In cima a questa strada, e nel mezzo di quella che costeggia il canale, c'era una colonna, con una croce detta la croce di sant'Eusebio. E per quanto Renzo guardasse innanzi, non vedeva altro che quella croce. Arrivato al crocicchio che divide la strada circa alla metà, e guardando dalle due parti, vide a dritta, in quella strada che si chiama lo stradone di santa Teresa, un cittadino che veniva appunto verso di lui. " Un cristiano, finalmente! " disse tra sé; e si voltò subito da quella parte, pensando di farsi insegnar la strada da lui. Questo pure aveva visto il forestiero che s'avanzava; e andava squadrandolo da lontano, con uno sguardo sospettoso; e tanto più, quando s'accorse che, in vece d'andarsene per i fatti suoi, gli veniva incontro. Renzo, quando fu poco distante, si levò il cappello, da quel montanaro rispettoso che era; e tenendolo con la sinistra, mise l'altra mano nel cocuzzolo, e andò più direttamente verso lo sconosciuto. Ma questo, stralunando gli occhi affatto, fece un passo addietro, alzò un noderoso bastone, e voltata la punta, ch'era di ferro, alla vita di Renzo, gridò: - via! via! via! - Oh oh! - gridò il giovine anche lui; rimise il cappello in testa, e, avendo tutt'altra voglia, come diceva poi, quando raccontava la cosa, che di metter su lite in quel momento, voltò le spalle a quello stravagante, e continuò la sua strada, o, per meglio dire, quella in cui si trovava avviato. L'altro tirò avanti anche lui per la sua, tutto fremente, e voltandosi, ogni momento, indietro. E arrivato a casa, raccontò che gli s'era accostato un untore, con un'aria umile, mansueta, con un viso d'infame impostore, con lo scatolino dell'unto, o l'involtino della polvere (non era ben certo qual de' due) in mano, nel cocuzzolo del cappello, per fargli il tiro, se lui non l'avesse saputo tener lontano. - Se mi s'accostava un passo di più, - soggiunse, - l'infilavo addirittura, prima che avesse tempo d'accomodarmi me, il birbone. La disgrazia fu ch'eravamo in un luogo così solitario, ché se era in mezzo Milano, chiamavo gente, e mi facevo aiutare a acchiapparlo. Sicuro che gli si trovava quella scellerata porcheria nel cappello. Ma lì da solo a solo, mi son dovuto contentare di fargli paura, senza risicare di cercarmi un malanno; perché un po' di polvere è subito buttata; e coloro hanno una destrezza particolare; e poi hanno il diavolo dalla loro. Ora sarà in giro per Milano: chi sa che strage fa! - E fin che visse, che fu per molt'anni, ogni volta che si parlasse d'untori, ripeteva la sua storia, e soggiungeva: - quelli che sostengono ancora che non era vero, non lo vengano a dire a me; perché le cose bisogna averle viste. [...] Con una nuova e più forte ansietà in cuore, il giovine prende da quella parte. È nella strada; distingue subito la casa tra l'altre, più basse e meschine; s'accosta al portone che è chiuso, mette la mano sul martello, e ce la tien sospesa, come in un'urna, prima di tirar su la polizza dove fosse scritta la sua vita, o la sua morte. Finalmente alza il martello, e dà un picchio risoluto. Dopo qualche momento, s'apre un poco una finestra; una donna fa capolino, guardando chi era, con un viso ombroso che par che dica: monatti? vagabondi? commissari? untori? diavoli? - Quella signora, - disse Renzo guardando in su, e con voce non troppo sicura: - ci sta qui a servire una giovine di campagna, che ha nome Lucia? - La non c'è più; andate, - rispose quella donna, facendo atto di chiudere. - Un momento, per carità! La non c'è più? Dov'è? - AI lazzeretto -; e di nuovo voleva chiudere. - Ma un momento, per l'amor del cielo! Con la peste? - Già. Cosa nuova, eh? Andate. - Oh povero me! Aspetti: era ammalata molto? Quanto tempo è...? Ma intanto la finestra fu chiusa davvero. - Quella signora! quella signora! una parola, per carità! per i suoi poveri morti! Non le chiedo niente del suo: ohe! - Ma era come dire al muro. Afflitto della nuova, e arrabbiato della maniera, Renzo afferrò ancora il martello, e, così appoggiato alla porta, andava stringendolo e storcendolo, l'alzava per picchiar di nuovo alla disperata, poi lo teneva sospeso. In quest'agitazione, si voltò per vedere se mai ci fosse d'intorno qualche vicino, da cui potesse forse aver qualche informazione più precisa, qualche indizio, qualche lume. Ma la prima, l'unica persona che vide, fu un'altra donna, distante forse un venti passi; la quale, con un viso ch'esprimeva terrore, odio, impazienza e malizia, con cert'occhi stravolti che volevano insieme guardar lui, e guardar lontano, spalancando la bocca come in atto di gridare a più non posso, ma rattenendo anche il respiro, alzando due braccia scarne, allungando e ritirando due mani grinzose e piegate a guisa d'artigli, come se cercasse d'acchiappar qualcosa, si vedeva che voleva chiamar gente, in modo che qualcheduno non se n'accorgesse. Quando s'incontrarono a guardarsi, colei, fattasi ancor più brutta, si riscosse come persona sorpresa. - Che diamine...? - cominciava Renzo, alzando anche lui le mani verso la donna; ma questa, perduta la speranza di poterlo far cogliere all'improvviso, lasciò scappare il grido che aveva rattenuto fin allora: - l'untore! dàgli! dàgli! dàgli all'untore! - Chi? io! ah strega bugiarda! sta' zitta, - gridò Renzo; e fece un salto verso di lei, per impaurirla e farla chetare. Ma s'avvide subito, che aveva bisogno piuttosto di pensare ai casi suoi. Allo strillar della vecchia, accorreva gente di qua e di là; non la folla che, in un caso simile, sarebbe stata, tre mesi prima; ma più che abbastanza per poter fare d'un uomo solo quel che volessero. Nello stesso tempo, s'aprì di nuovo la finestra, e quella medesima sgarbata di prima ci s'affacciò questa volta, e gridava anche lei: - pigliatelo, pigliatelo; che dev'essere uno di que' birboni che vanno in giro a unger le porte de' galantuomini. Renzo non istette lì a pensare: gli parve subito miglior partito sbrigarsi da coloro, che rimanere a dir le sue ragioni: diede un'occhiata a destra e a sinistra, da che parte ci fosse men gente, e svignò di là. Rispinse con un urtone uno che gli parava la strada; con un gran punzone nel petto, fece dare indietro otto o dieci passi un altro che gli correva incontro; e via di galoppo, col pugno in aria, stretto, nocchiuto, pronto per qualunque altro gli fosse venuto tra' piedi. La strada davanti era sempre libera; ma dietro le spalle sentiva il calpestìo e, più forti del calpestìo, quelle grida amare: - dàgli! dàgli! all'untore! - Non sapeva quando fossero per fermarsi; non vedeva dove si potrebbe mettere in salvo. L'ira divenne rabbia, l'angoscia si cangiò in disperazione; e, perso il lume degli occhi, mise mano al suo coltellaccio, lo sfoderò, si fermò su due piedi, voltò indietro il viso più torvo e più cagnesco che avesse fatto a' suoi giorni; e, col braccio teso, brandendo in aria la lama luccicante, gridò: - chi ha cuore, venga avanti, canaglia! che l'ungerò io davvero con questo. (2) GIOVANNI VERGA In piazza della Scala - Per le vie, 1883 - Pazienza l'estate! Le notti sono corte; non è freddo; fin dopo il tocco c'è ancora della gente che si fa scarrozzare a prendere il fresco sui Bastioni, e se calan le tendine, c'è da buscarsi una buona mancia. Si fanno quattro chiacchiere coi compagni per iscacciare il sonno, e i cavalli dormono col muso sulle zampe. Quello è il vero carnevale! Ma quando arriva l'altro, l'è duro da rosicare per i poveri diavoli che stanno a cassetta ad aspettare una corsa di un franco, colle redini gelate in mano, bianchi di neve come la statua del barbone, che sta lì a guardare, in mezzo ai lampioni, coi suoi quattro figliuoletti d'attorno. E dicono che mette allegria la neve, quelli che escono dal Cova, col naso rosso, e quelle altre che vanno a scaldarsi al veglione della Scala, colle gambe nude. Accidenti! Almeno s'avesse il robone di marmo, come la statua! e i figliuoli di marmo anch'essi, che non mangiano! su l’orbe case, ovunque par che incomba la Morte, e che s’attenda oggi la tromba delle carnali resurrezioni. Gli angeli formidabili di Luca domani soffieran nell’oricalco l’ardente spiro del torace aperto. Stanno sotterra, ove non è che luca, oggi i Vescovi e il gregge. Solo un falco stride rotando su pel ciel deserto. (4) GABRIELE D’ ANNUNZIO Il piacere - 1889 - Edegli venne a Roma, per predilezione. Roma era il suo grande amore: non la Roma dei Cesari ma la Roma dei Papi; non la Roma degli Archi, delle Terme, dei Fòri, ma la Roma delle Ville, delle Fontane, delle Chiese. Egli avrebbe dato tutto il Colosseo per la Villa Medici, il Campo Vaccino per la Piazza di Spagna, l’Arco di Tito per la Fontanella delle Tartarughe. La magnificenza principesca dei Colonna, dei Doria, dei Barberini l’attraeva assai più della ruinata grandiosità imperiale. E il suo gran sogno era di possedere un palazzo incoronato da Michelangelo e istoriato dai Caracci, come quello Farnese; una galleria piena di Raffaelli, di Tiziani, di Domenichini, come quella Borghese; una villa, come quella d’ Alessandro Albani, dove i bussi profondi, il granito rosso d’Oriente, il marmo bianco di Luni, le statue della Grecia, le pitture del Rinascimento, le memorie stesse del luogo componessero un incanto intorno a un qualche suo superbo amore. In casa della marchesa d’Ateleta sua cugina, sopra un albo di confessioni mondane, accanto alla domanda «Che vorreste voi essere?» egli aveva scritto «Principe romano». (5) FILIPPO TOMMASO MARINETTI Fondazione e manifesto del Futurismo - 1909 - [...] 10. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria. 11. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori o polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta. È dall’Italia, che noi lanciamo pel mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria, col quale fondiamo oggi il «Futurismo», perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologhi, di ciceroni e d’antiquarii. Già per troppo tempo l’Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagl’innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri innumerevoli. [...] (6) ALDO PALAZZESCHI La passeggiata - Incendiario, 1913 - — Andiamo? — Andiamo pure. All’arte del ricamo, fabbrica di passamanterie, 5. ordinazioni, forniture. Sorelle Purtarè 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 Alla città di Parigi. Modes, nouveauté. Benedetto Paradiso successore di Michele Salvato, gabinetto fondato nell’anno 1843. Avviso importante alle signore! La beltà del viso, seno d’avorio, pelle di velluto. Grandi tumulti a Montecitorio. Il presidente pronunciò fiere parole, tumulto a sinistra, tumulto a destra. Il gran Sultano di Turchia aspetta. La pasticca del Re Sole. Si getta dalla finestra per amore. Insuperabile sapone alla violetta. Orologeria di precisione. 93 Lotteria del milione. Antica trattoria «La pace», con giardino, fiaschetteria, mescita di vino. Loffredo e Rondinella primaria casa di stoffe, panni, lana e flanella. Oggetti d’arte, quadri, antichità, 26 26A. Corso Napoleone Bonaparte. Cartoleria del progresso. Si cercano abili lavoranti sarte. Anemia! Fallimento! Grande liquidazione! Ribassi del 90% libero ingresso. Hotel Risorgimento e d'Ungheria. Lastrucci e Garfagnoni, impianti moderni di riscaldamento: caloriferi, termosifoni. Via Fratelli Bandiera già via del Crocifisso. Saldo fine stagione, prezzo fisso. Occasione! Occasione! Diodato Postiglione scatole per tutti gli usi di cartone. Inaudita crudeltà! Cioccolato Talmone. Il più ricercato biscotto. Duretto e Tenerini via della Carità. 2.17.40. 25. 88. Cinematografo Splendor, New York dal mare Le città del mondo Vi sono nel mondo città che non appartengono solo ai Joro cittadini, ma a tutto il mondo. Esse sono nel cuore degli uomini di tutto il mondo, non altro che col loro nome il più delle volte: da come lo abbiamo sentito pronunciare un giorno della nostra infanzia a come lo abbiamo visto segnato su un atlante un altro giorno, e attraverso i modi infiniti in cui si è confermato in noi leggendo libri e giornali, ricevendo una lettera, ricevendo una cartolina, discorrendo con uno sconosciuto. Immagini ce ne siamo fatte che si sono accumulate entro di noi da lontanissime a recenti; e quelle che ci sono giunte dall'esterno riproducendo in qualche modo la reali , in fotografie, non le hanno cancellate, le hanno piuttosto arricchite, formano con esse un punto o un altro della rete interiore di città che avvolge di entusiasmo e di angoscia, di incentivi e di esitazio- ni, la nostra coscienza di esistere, Anche le città perdute, di cui ci ha parlato la storia, Babilonia o Cartagine, sono presenti in queste città, pur non vedute, in cui ancora oggi possiamo credere. Il modo in cui pensio a Nuova York o Shangai, o a Londra, o a San Francisco, non include la speranza inconfessabile che in esse ritroveremmo, se un giorno le visitassimo, tutto quanto dell’uomo risulta come già inghiottito dai deserti? Ma il sentimento col quale le possediamo, queste città di tutti, che sono Je grandi, le famose, e insieme delle famose e non giandi, delle non famose e piccole, non- è un semplice desiderio di evasione dal cerchio stretto di cose che ci circonda; rac- ie ben di più, riassume ogni forza non razionale e una anche razionale del nostro spettivi concreti în bisogni concreti, trovando storia nelle trasmutazioni della storia, e “i universalità che ci porta ad agire proprio sul cerchio immediato delle cose che ci circondano, È' un sentimento, dunque, che conta scoprire a noi stessi nel suo vero senso; per impedirgli di fermarsi, come può, a fatto ramantico; e per trame, în vece, delle conseguenze positive. La nostra ri che per tanta parte di sè considera le cose del mondo come problemi, non vuole, tuttavia, ignorare un sentimento simile; e apre qui una rubrica in cui, il più spesso possibile, sarà seguita la suggestio- ne del nome d'una di queste città di tutti, Nuova York o Manilla, Tiflis, Leningrado, Venezia, Londra o Chartres, Singapo- re o San Francisco, e cercato il valore puramente d'apparizione d’ognuna di. esse. Per la nostra fantasia di ribelli a una società provinciale, troppo disposta alle sieste e agli idilli in mezzo a York significò La Città, un luogo ito, senza evasioni nè rimorsi, con tutto il coi il proprio compito di trasformi cronaca la torpida f: convegno a milioni moitiplicarvi ll loro lavoro, i commerci, le passi je un grafico ci informa che gli abitanti di Manhattan Island aumenta fono fino al 1910, diminuirono poi, York continua a rappre sentare per noi questa crescita enorme e tenace della cronaca umana. incidere e Times square e la Quarantatreesimia strada L'isola di Manhattan Ogni tanto dalle finestre de- gli uffici piove carta su New York, stracciati gli elerchi dai milioni di numeri tele- i nastri delle macchi- di lettere al minuto; piovono sul Presi- dente Wilson, su Lindbergh, su Eisenhower, sugli inevita bili idoli nei quali si com- piace una cronaca folta e calorosa. Nel 1524 Giovanni da Ver- razzano scopriva la baia ne ora sorgono i grattacieli Gli ‘olandesi, net 000, vi fon- davano Nuova . Amsterdam. Nel 1664 quel territorio ventava colonia inglese € pre deva tl nome attuate. Duran- è la guerra d'indipendenza e fino al 1789 gli inglesi tennero fa città. Net 1788 lo stato di Nuova. York. entrava, nella Confederazione degli Stai U- niti. Net 1731 era un paese di poche migliaia di abitanti Cent'anni dopo, una via di dequa la unisce ai grandi la- ghi, all'Ohio al Mississipi: e Gu abitanti sono 152 mila due secoli dopo è la più gran- de cità dei mondo con oltre site milioni di abitanti, Due milioni e mezzo di newyorkesi è nato all'estero: mezzo mi- lione è di russi, altro mezza di italiani, un ‘altro milione è di polacohi, tedeschi, irlan= desi, Inglesi, austriaci, Net quartiere di Harlem vivono 427.000 negri. Gli ebrei sono quadrati sono occupati da 117 parchi e giardini. Il 32 per cento dei lavoratori è 0c- oupato nella grande e piccola industria; il 195 per cento sono commercianti e addet:i Gi irasporti: il 16 per cento impiegati. Îl porto ai New York ha io sviluppo di 1600 chilometri di costa e di moli, son 150 linee regolari di na- razione, E' questo mercato nimali. caucciù, eucchero caffè, ‘cavao, petrolio, manu: 4 Ponti alti da quaranta a seitantacinque metri sulle acqua; gallerie _ sotterranee passano sotio i fiumi e per- corrono sottosuolo della città; ferrovie sopraelevate u- niscono i più lontani quar- deri, "100 te scuole elementari. 68 le medie e massima, tra le la Columbia Uni- versity, New York, nell'epoca mo- derna. è stata politicamente divisa fra 1 due partiti, quel- lo democratico e quello re pubblicano. IL voto dei suoi Cittadini è oggi decisivo nel- Te elezioni del Presidente. New York ha significai noi l'immagine istinti una Babele portata vittorio. samente a termine, e com- piuta. I costruttori non si perderanno d'animo, non sì divideranno, per il fatto di parlare linguaggi diversi. impareranno a capirsi, bian- chi con negri, arabi con e- brei, turchi ed armeni, slo- veni e italiani, boemi e te- desohi, inglesi con russi; im- pareranno a capirsi, e tire ranno su fino all'ultimo suo piano la torre. E la copri. larla una buo sicuro dai ful- mini e dalle paure. 14 La costruzione della torre di Babele, in un quadro di Breughel
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