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Riassunto di letteratura italiana basato su slide e appunti personali, Slide di Letteratura Italiana

Riassunto di letteratura italiana basato su slide e appunti personali

Tipologia: Slide

2023/2024

Caricato il 30/06/2024

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Scarica Riassunto di letteratura italiana basato su slide e appunti personali e più Slide in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! LETTERATURA ITALIANA STORIA DELLA LETTURA 1 Nel mondo classico greco-romano la lettura era un'attività di conoscenza e di apprendimento lenta, che si svolgeva prevalentemente a voce alta o a voce sussurrata, comunque compitando il testo, che era scritto (dal 1° secolo d.C., nel mondo romano) continuativamente, senza separazione delle parole fra loro. I prodotti scritti erano molti e diversi, da quelli esposti (iscrizioni e manifesti) ai documenti pubblici e privati, alle epistole, alle testimonianze domestiche e spontanee. Lo strumento principale della lettura era il libro in forma di ''volume'', cioè di striscia papiracea arrotolata, lunga circa 2m e 10 cm, alta circa 30 cm, col testo disposto su colonne affiancate con righe lunghe circa 36 lettere (la lunghezza media di un esametro). La lettura avveniva svolgendo lentamente il rotolo tenuto con due mani, in modo da lasciare visibili al lettore non più di due colonne insieme; tale tecnica rendeva evidentemente difficile tornare indietro o andare rapidamente avanti alla ricerca di un passo e contribuiva alla lentezza complessiva dell'operazione. Altre caratteristiche della lettura antica come pratica sociale erano le recitazioni pubbliche, intese come veri e propri spettacoli letterari, e le letture delegate, di solito affidate a schiavi alfabetizzati che leggevano per i propri padroni. Fra il 3° e il 4° secolo d.C. la sostituzione del libro in forma di codice al libro in forma di rotolo modificò profondamente le pratiche della lettura. Il codice, di solito di formato medio, poteva essere facilmente trasportato, facilmente conservato e facilmente sfogliato; inoltre conteneva una quantità di testo assai più ampia che non il rotolo. La progressiva diminuzione della diffusione dell'alfabetismo e la parallela riduzione della produzione di testimonianze scritte, e in particolare di libri, contribuirono a rendere le pratiche di lettura altomedievali assai diverse da quelle antiche. In realtà nell'Alto Medioevo si produssero libri più per scriverli come opera di pietà e conservarli come tesori che per leggerli e farli leggere. Il numero di testi letti da un uomo colto nell'Alto Medioevo era di norma assai basso; ed erano fornite di poche decine, al massimo di una o due centinaia di pezzi, le non molte biblioteche esistenti. Tutto ciò fece sì che le pratiche di lettura fossero rare e lente, riservate a pochi, in genere religiosi, e che la conservazione dei libri avvenisse in luoghi e in modi che non ammettevano la lettura, che di solito si svolgeva altrove (nella scuola, nella cella, nel refettorio). A una situazione di lettura lenta e difficoltosa di pochi libri da parte di pochi la rivoluzione culturale del secolo 12° sostituì un quadro completamente diverso; la cultura universitario-scolastica allora instauratasi in tutta Europa aveva bisogno di molti libri rapidamente leggibili e consultabili da parte di molti; ne derivò un forte aumento della produzione libraria e la creazione di un modello di libro con testo articolato, ben riconoscibile, corredato di commento, titoli, indici; reso, insomma, strumento di ricerca, di consultazione, di apprendimento professionale. La lettura divenne di conseguenza pratica rapida e silenziosa, esercitata di continuo su molti testi e svolta in luoghi acconci: le nuove biblioteche degli ordini mendicanti strutturate, dal 13° secolo in poi, in forma di salone oblungo attraversato da due file di banchi con i libri incatenati pronti allo studio dei lettori. Contemporaneamente la voglia di leggere si diffondeva anche fra i laici con la crescita impetuosa dell'alfabetismo. Nascevano le biblioteche ''cortesi'' dei signori feudali, mobili, conservate nei castelli e nelle ville, e le raccoltine librarie dei borghesi e dei mercanti, chiuse nei cassoni di casa, fra studiolo e letto, fatte di libri modesti, quasi sempre cartacei, spesso scritti più o meno rapidamente dagli stessi possessori. Quando, con la metà del Quattrocento, la stampa a caratteri mobili nacque nelle città della Renania, l'Europa urbana era già ricca di lettori e possedeva più modelli di libri ''da leggere''. Ai modelli preesistenti l'editoria rivoluzionaria del Cinquecento aggiunse i modelli del libro ''moderno'': prima quello ''da mano'', gettato sul mercato all'aprirsi del secolo da A. Manuzio, poi quello ''editoriale'', fitto e maneggevole insieme, ricco di apparati di commento, d'indicizzazione, d'identificazione, fornito di frontespizio, in cui, insomma, il testo dell'autore era inquadrato, regolarizzato, reso leggibile e comprensibile dall'intervento, plurimo e articolato, del ''paratesto'' editoriale. Era questo il periodo in cui le grandi ditte editrici europee, di Svizzera, Olanda, Francia, Germania, creavano le strategie di una nuova leggibilità testuale, che era gestita appunto a livello editoriale e non più d'autore. Altro elemento importante della leggibilità del libro a stampa moderno fu il corredo illustrativo, che nel Cinquecento cominciò a sostituire con la calcografia, più flessibile e capace di cogliere migliori risultati tecnici, la xilografia, rimasta propria del libro di destinazione subalterna. Fra Cinquecento e Seicento, inoltre, alla crescente domanda di lettura e d'informazione che le nuove masse alfabetizzate urbane ponevano con urgenza, l'editoria europea rispose con una svariata serie di prodotti, che andavano dal libretto di poche pagine, male stampato e rozzamente illustrato, fino al libro di lusso ricco di raffinate calcografie, comprendendo anche giornali, riviste letterarie e politiche, resoconti accademici. La lettura, intanto, trovava nuovi spazi e nuove tecniche. Il Seicento e soprattutto il Settecento furono i secoli delle grandi biblioteche barocche, meravigliosamente organizzate intorno a un grande ''vaso'' circolare od oblungo che era luogo insieme di conservazione, di consultazione e di lettura; e quindi anche dei nuovissimi gabinetti di lettura, ove la borghesia urbana leggeva quotidiani, periodici, libri editi dovunque in più lingue, s'istruiva, discuteva, preparava nuove forme economiche e politiche. Le enciclopedie, a cominciare da quelle inglesi per finire con quella di Diderot e d'Alembert, contribuirono a far circolare nuovi e concentrati sistemi di apprendimento attraverso la l., che la cultura della Rivoluzione francese renderà popolari. L'aumento impressionante della produzione, dovuto alla nuova carta di pasta di legno e alle nuove tecniche di stampa, fece sì che l'editoria dell'Ottocento fosse in grado di reggere all'ingente domanda di lettura promossa in tutta Europa e negli Stati Uniti dalla diffusione di massa dell'istruzione elementare. Le tirature dei giornali e dei libri arrivarono a cifre di centinaia di migliaia di copie, pochi decenni prima impensabili; nacquero i primi best-sellers Tra questi, ci sono diversi personaggi illustri, come Cleopatra, Didone e Semiramide. Queste anime sono condannate ad essere trasportate da un “vento infernale” poiché in vita si sono fatte trascinare dall’amore carnale. Dalla massa dei travolti si stacca e ci si fa incontro una persona concreta, che ha i tratti ancora integri dell’essere umano: è una di noi, non ha nulla di spregevole, anzi è circondata da una nobile, cortese gentilezza➞ Francesca Condanna o pietà? Non c’è dicotomia tra condanna moralistica e umana pietà: l’inferno è abitato da esseri a noi omogenei, a noi familiari, che vivono le nostre stesse passioni terrene in un ambiente che a quello terreno è analogo (cfr.bufera, pioggia, boscaglia di Maremma); ma quelle passioni sono diventate la loro condizione eterna. Grande tragicità ma anche avvicinabilità della figura di Francesca: la sua umanità è rimasta, la sua nobile gentilezza pure, ma il suo spirito è separato per sempre dalla felicità e dalla pace e niente potrà riscattarla. Dante vuole rappresentare l’incontro tra gentilezza e peccato. Non c’è né condanna morale né solidarietà. Realismo o letterarietà? Quello di Francesca è anche l’amore celebrato da tutta la letteratura. Dietro a Francesca c’è Didone, Elena, Tristano, ci sono insomma tutti i più celebri amanti che popolano il mondo letterario. Quella di Paolo e Francesca è una storia vera, e rimane descritta con realismo, ma è anche innalzata a un livello epico, quello di Didone e delle altre figure letterarie legate al tema dell’amore FRANCESCO PETRARCA Le lettere: Familiares Petrarca affida la sua fama alle opere latine La fondazione dell’epistolario come genere letterario si deve a Petrarca, il primo a dare alle lettere una sistemazione in raccolte organiche ● Progetto: sin dalla giovinezza ● Modelli: lettere di Seneca a Lucilio, Cicerone: Epistolae ad Atticum L'epistolario di Petrarca è un fondativo del genere in Italia e in Europa perché fu il primo a pensare alle lettere all’interno di raccolte organiche. Petrarca era cosciente del proprio valore, cominciò fin dalla giovane età ad ordinare ed impostare le sue lettere pensando potessero essere lette dalla posterità. Alcune delle sue lettere erano trattati di filosofia, con ispirazione a modelli antichi, con la raccolta di lettere che diventa espressione dell’io. La lettera serviva a scrutare l’interiorità ed evidenziare le contraddizioni. Centrali erano le riflessioni sui valori universali. Calcolate omissioni in seguito al divenire storico e varie redazioni e aggiustamenti dell’autore resero tali lettere svincolate dal contesto storico e quindi “fuori dal tempo” rendendole adatte ad essere parte di trattati su vari argomenti filosofici. Nel bene e nel male vi era un’insistenza su se stessi per creare un autoritratto e costruire un’immagine propria da consegnare ai posteri. La lettera a Dionigi di Borgo San Sepolcro ● Racconta l’ascesa al Monte Ventoso (1336) compiuta assieme al fratello Gherardo. ● Rimaneggiata. ● Significato allegorico del contrasto tra il fratello, che procede spedito verso l’alto (grazie alla fede), e il poeta, trascinato verso il basso (perché imbrigliato nei lacci mondani). ● Decisiva è la lettura di un passo delle Confessioni di sant’Agostino, che fa appello alla conoscenza di se stessi e invita a non privilegiare l’amore per le cose terrene Il racconto assume il valore di un exemplum, cioè della narrazione di un’esperienza esemplare che deve servire di insegnamento, secondo un modulo tipicamente medievale ➞ fine ultimo era l'elevazione morale del lettore stesso. Il monte si trova in Provenza, dove allora risiedeva Petrarca. In primo luogo ciò che spinge Petrarca a intraprendere la scalata è la curiosità di scoprire il mondo e le sue bellezze; ma in secondo luogo c’è anche la volontà di emulare l’esperienza di un grande antico (Alessandro Magno). Sono insomma motivazioni laiche: di conseguenza il primo significato allegorico dell’ascesa al monte è la conquista del mondo esteriore. Ma poi, raggiunta la meta, la cima del monte, si ha un rovesciamento radicale e il significato dell’ascesa muta profondamente. Le prime riflessioni suscitate dalla vista del paesaggio (le Alpi che segnano il confine dell’Italia) vengono a costituire un esame di coscienza, un bilancio interiore. La vista del mondo esterno, faticosamente conquistata, spinge Petrarca soprattutto ad indagare se stesso. Il bilancio mira a saggiare i cambiamenti operatisi in lui rispetto alla prima giovinezza. e questo passo esemplare dell’inquieta esplorazione interiore che è costante nell’opera petrarchesca: lucidamente, lo scrittore sa vedere a fondo nel proprio animo, dissolve gli autoinganni con cui cerca di mascherare a se stesso le proprie colpe e le proprie vergogne: “Ciò che ero solito amare, non amo più; mento: lo amo, ma meno; ecco, ho mentito di nuovo: lo amo, ma con più vergogna, con più tristezza; finalmente ho detto la verità” L’esame di coscienza si conclude con un’aspirazione alla purificazione dell’animo che porti alla serenità e al superamento dei conflitti. Questo passaggio prepara l’illuminazione decisiva: la scoperta che la conquista del mondo esteriore è vana, e che ciò che veramente conta è la conoscenza dell’interiorità. Come gli aveva insegnato Agostino, Petrarca arriva a capire che la verità abita nell’interiorità dell’uomo➝ “E vanno gli uomini a contemplare le cime dei monti [...] e trascurano se stessi”. Questo momento risolutivo del racconto è modellato su un episodio delle Confessioni di sant’Agostino, in cui il santo, in un momento di profonda crisi spirituale, trae illuminazione da un passo dell’Epistola ai Romani di san Paolo. Il significato dell'ascesa al monte si rovescia, rispetto a quanto appariva all’inizio: da conquista “laica” del mondo diviene allegoria del superamento delle lusinghe terrene e della conquista della verità e della salvezza spirituale. Ma è da notare che l’illuminazione del passo agostiniano era stata anticipata dal ricordo della sapienza dei “filosofi pagani” (Seneca, per l’esattezza): essi avevano insegnato a Petrarca che “niente è da ammirare tranne l’anima, di fronte alla cui grandezza non c’è nulla di grande”. Per Petrarca non vi è contrasto tra la cultura classica e il cristianesimo: l’insegnamento degli antichi avvia a quella saggezza che è la base anche della sapienza cristiana. LETTURA PER: DANTE PETRARCA pericolosa salvifica irrefrenabile, totalizzante, irrazionale atto voluto, soggetto sovrano rispetto al libro perdita dei valori morali processo edificante dal punto di vista morale testi sacri VS testi profani armonia tra testi sacri e testi profani pratica collettiva pratica individuale in luogo chiuso all’aperto SOMIGLIANZE: rapporto tra lettura e realtà, leggere ha delle conseguenze sulla realtà NICCOLÒMACHIAVELLI, Lettera a Francesco Vettori, 10 dicembre 1513 Partitomi del bosco, io me ne vo ad una fonte, e di quivi in un mio uccellare. Ho un libro sotto, o Dante o Petrarca, o uno di questi poeti minori, come Tibullo, Ovidio e simili: leggo quelle loro amorose passioni, e quelli loro amori ricordomi de' mia: godomi un pezzo in questo pensiero. Transferiscomi poi in sulla strada, nell'osteria; parlo con quelli che passono, dimando delle nuove de' paesi loro; intendo varie cose, e noto varii gusti e diverse fantasie d'uomini [...] Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui. Dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro ore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro. Petrarca mette un po’ i semi di quel che sarà il Rinascimento. Nella “Lettera a Vettori” di Machiavelli la lettura ha lo stesso ruolo che aveva per Petrarca. La lettura viene presentata, Aretino scrive il suo testo riprendendo anche Virgilio tramite una traduzione letterale dell’Eneide, pur non sapendo il latino e quindi plagiando la traduzione volgare di Tommaso Cambiatore. Le relazioni intertestuali nell’opera di Aretino si trovano nell’originale quindi e nella traduzione di Cambiatore. Una è una relazione di parodia mentre l’altra, non dichiarata, di plagio. Si può pensare ad un intreccio di fili con cui Aretino crea un qualcosa di nuovo. Va quindi per forza analizzata l’opera in relazione ad altre. Nelle parti plagiate Aretino è aderente al testo originale mentre in quelle parodiche riassume l’opera originale, pur senza sovvertire il significato ma creando questo effetto parodico causato da un eccessivo riassunto. Nel finale ad esempio Enea convince il lettore grazie ai numerosi versi mentre nella parodia di Aretino ciò non accade, vista l’eccessiva sintesi. ITALO CALVINO Uno dei maggiori autori del Novecento italiano, anche uno dei più noti autori italiani all’estero. Nasce nel 1923 a Cuba, figlio di un padre agronomo di fama mondiale e dirigeva a Cuba una stazione sperimentale di agricoltura e di una madre botanica e biologa. Già dalla famiglia Calvino in qualche modo eredita un forte interesse per le scienze naturali, che sarà influente nelle sue successive opere. Nel 1925 la famiglia si trasferisce in Italia, più precisamente a Sanremo. Nel 1941 si iscrive alla Facoltà di Agraria a Torino. In quel periodo siamo in guerra e Calvino dopo l’8 settembre 1943 (armistizio fa sì che l’Italia che l’Italia non faccia più parte degli Alleati) parteciperà alla Resistenza nelle Brigate Garibaldi (comuniste). Nel dopoguerra passa alla Facoltà di Lettere (dove si laureerà nel 1947) fa conoscenza di intellettuali importanti come Pavese e Vittorini. Ci troviamo in un clima torinese di forti cambiamenti e politicamente comunista, e questi intellettuali girano intorno alla casa editrice Einaudi, con la quale lavorerà e collaborerà. Pavese in particolare sarà importante nella vita di Calvino perché è grazie a lui che Calvino pubblicherà il suo primo romanzo “Il sentiero dei nidi di ragno” nel 1947. In questa Torino degli anni Cinquanta in cui Einaudi gioca un ruolo centrale per tutti gli autori più importanti, Calvino matura un distacco dal Partito Comunista Italiano (PCI). In particolare avviene dopo il 1956, anno dell’invasione sovietica in Ungheria. Nel 1964 si trasferisce a Parigi, centro della cultura europea e mondiale, dove fa conoscenza di Roland Barthes, Raymond Queneau, OULIPO (gruppo di scrittori che metteva al centro gli artefici della scrittura), Borges. Calvino mostra comunque molta attenzione per l’Italia. Nel 1980 rientra in Italia e si trasferisce a Roma. Gli ultimi anni di Calvino sono anni amarezza e delusione per la situazione italiana e per la crisi della casa editrice Einaudi. Nel 1985 muore a Siena a causa di un’emorragia cerebrale. L’attività letteraria di Calvino si può dividere in due grandi fasi: 1. il primo Calvino tra Neorealismo e componente fantastica 2. il secondo Calvino: la sfida al labirinto Il primo Calvino tra Neorealismo e componente fantastica Il Neorealismo è stato una corrente della cultura italiana letteraria e cinematografica che si proponeva di rappresentare la realtà in modo realistico. Di questa corrente fa parte : IL SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO, 1947 Questo romanzo parla della Resistenza, della lotta partigiana a cui Calvino aveva preso parte in prima persona➞ rielaborazione di un’esperienza vissuta ma no autobiografia Parla anche del clima di fervore degli anni postbellici, un clima di speranza. Si sentiva forte l’esigenza di dare voce a un’esperienza collettiva come quella della guerra che alimentava speranze di cambiamento. Non è una celebrazione della resistenza, non vuole rappresentare i partigiani come degli eroi: la banda partigiana è costituita dagli scarti di tutte le altre formazioni, emarginati, balordi, che erano però guidati da «un’elementare spinta di riscatto umano». In questo romanzo abbiamo due tendenze: da una parte non si vuole celebrare la resistenza, si rifiuta di ridurre la letteratura a propaganda come facevano invece altri scrittori a quel tempo, ma dall'altra parte c’è un tentativo di legittimare la Resistenza senza il quale l’Italia sarebbe stata succube del Fascismo➞mantenere la letteratura indipendente. Essendo un romanzo neorealista vuole dare una rappresentazione realistica di quello che è successo, ma non del tutto, perché Calvino si rifiuta di ridurre la letteratura a un documentario, e lo si vede dal fatto che introduce un clima fantastico, di fiaba. Calvino riesce a farlo scegliendo di far raccontare gli avvenimenti a un bambino, che si chiama Pin. Il protagonista, Pin, è un ragazzino cresciuto a Sanremo, smaliziato e maturo per la sua età, ma con l’ingenuità e lo stupore dell’infanzia e da questa prospettiva guarda la Resistenza. Ai suoi occhi il mondo adulto, la guerra, la lotta partigiana e la politica appaiono ancora estranei e noi seguiamo gli avvenimenti attraverso gli occhi di Pin. In questo modo si crea un estraneità dello sguardo. In ciò si rivede la stessa estraneità che Calvino aveva in relazione della Resistenza, in quanto borghese. ULTIMO VIENE IL CORVO, 1949 Anche in quest’opera troviamo il connubio di realismo e dimensione fantastica. Torna di nuovo il tema della guerra partigiana, ma rispetto a Il sentiero dei nidi di ragno la fiducia di Calvino nella storia e nella possibilità di cambiamento appare incrinata e affiorano inquietudini. Progressivamente in Calvino si fa strada il timore che la lotta partigiana e il suo sacrificio sia stato inutile, perché non ne è seguito un cambiamento della società italiana. Negli anni Cinquanta Vittorini consiglia Calvino di puntare sulla componente fantastica: IL VISCONTE DIMEZZATO, 1952 Un romanzo breve che sembra una favola. Parla del visconte Medardo di Terralba che, durante le guerre contro i Turchi a fine Cinquecento, viene diviso in due (verticalmente) da una palla di cannone: ne nascono due personaggi contrapposti, il Gramo (compie solo azioni malvagie) e il Buono (compie solo azioni buone), che incorrono in varie avventure finché un intervento chirurgico torna a riunirli in una sola persona. Allegoria che riprende il tema del doppio e che allude all’idea che il male e il bene siano necessari l’uno all’altro, che solo attraverso la scissione si può conquistare una profonda conoscenza della realtà➞ il visconte unificato può valersi dell’esperienza di entrambe le sue metà IL BARONE RAMPANTE, 1956 Procede sulla linea del romanzo precedente, ma se il Visconte si rifaceva al genere della favola allegorica e ironica il Barone si richiama al conte philosophique, il racconto filosofico settecentesco e illuministico (Voltaire)➞ racconto che ha una morale filosofica Romanzo ambientato nel 1767, racconta la storia del barone Cosimo Piovasco di Rondò,che a dodici anni, in seguito a uno scontro col padre autoritario decide di salire sugli alberi e non scendere mai più. Quello che sembra un capriccio di un bambino diventa un principio di vita. Riesce però a organizzare la sua esistenza e a condurre addirittura una vita operosa: non si isola dal mondo, ma vi partecipa cercando di renderlo migliore, seguendo gli sviluppi della storia. La storia di Cosimo è una trasparente metafora della condizione dell’intellettuale, che ha bisogno di guardare la realtà da una posizione di distacco per poterla osservare e capire meglio, e per restare libero, non imprigionato da condizionamenti esterni e da dogmatismi ideologici, ma continuando a partecipare alla vita civile. IL CAVALIERE INESISTENTE, 1959 Si rifà al modello del romanzo cavalleresco. Ambientato all’epoca di Carlo Magno e narrato dalla monaca Teodora (che alla fine si rivela essere l’eroina Bradamante, personaggio dell’Orlando il furioso, Ariosto), il romanzo segue le avventure di un cavaliere, Agilulfo, che non ha corpo e si riduce a una vuota armatura. Valore allegorico e simbolico: serve come metafora di una astratta razionalità, incapace di collegarsi con la realtà concreta e con la dimensione fisica dell’esistenza. Per questo Agilulfo va incontro alla sconfitta: si suicida, sfasciando l’armatura. I NOSTRI ANTENATI, 1960 Opera in cui Calvino riunisce i suoi tre romanzi, la “trilogia degli antenati” (Visconte, Barone, Cavaliere) L’elemento di fantastico e favolesco non hanno mai un significato di evasione, ma sono uno strumento per misurarsi con il reale mediante un ironico straniamento. Perciò al centro della trilogia c’è il problema della conoscenza razionale del mondo. Da una parte c’è un ruolo centrale dell’Illuminismo, e della sua fiducia in una conoscenza razionale del mondo, ma dall’altra parte Calvino non ha le stesse salde certezze degli Illuministi e conosce i limiti della ragione: sa che essa si deve misurare con un mondo sfuggente, labirintico e ambiguo. del reale, la volontà di indagare il labirinto della realtà senza smarrirsi in esso (a parlare di labirinto è lo stesso Calvino nel suo saggio del 1962 in cui parla della letteratura come “sfida al labirinto”, da qui il nome del saggio) LETTERATURA E SCIENZA: LE COSMICOMICHE (1965) E TI CON ZERO (1967) L'interesse per la letteratura si fonde con l’interesse per le scienze naturali, in particolare le teorie epistemologiche, cioè le teorie del sapere. Questo interesse viene fuori in diverse opere, in particolare Le cosmicomiche e Ti con zero. Sono racconti che traducono in forme narrative ipotesi scientifiche sull’origine e l’organizzazione del cosmo, sulla struttura della materia, sui corpi celesti, sull’evoluzione della vita. Calvino crea uno scenario: un universo che non ha ancora visto la comparsa dell’uomo, ma le entità che lo compongono prendono forme umanizzate e vivono le più comuni situazioni quotidiane. Ad esempio, il primo racconto delle cosmicomiche si chiama Tutto in un punto, che riprende l'ipotesi della concentrazione della materia in un punto prima del Big Bang. Forte la componente comica, che scaturisce dall’attrito tra le complesse e severe teorie scientifiche e le situazioni quotidiane in cui esse si traducono. Voce narrante: Qfwfq, personaggio che assume varie fisionomie ed è testimone diretto di diversi momenti dell’evoluzione del cosmo. LETTERATURA, ARTE COMBINATORIA: IL CASTELLO DEI DESTINI INCROCIATI (1973) Dalla combinatoria delle possibilità del reale (Cosmicomiche) alla combinatoria delle possibilità della narrazione. In quest’opera una serie potenzialmente infinita di storie viene ricavata dalle figure di un mazzo di tarocchi, che viene combinato. Calvino prende questi tarocchi, li combina e prende ogni riga e ogni colonna e, a partire da questa combinazione inventa un racconto. In questo modo Calvino dà corpo concreto alle teorie della narratologia, la disciplina che studia le strutture narrative. Ne viene fuori una realtà molto complessa. LE CITTÀ INVISIBILI (1972) Il libro è una serie di descrizioni di città ipotetiche, “invisibili”, presentate da Marco Polo all’imperatore tartaro Kublai Kan. Calvino crea uno schema, un modello in cui raggruppa tutte queste città, che hanno tutte nomi femminili. Si tratta di nuovo di una costruzione fantastica ma con riferimenti chiari ai problemi della civiltà tecnologica e industriale. - «cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio» SE UNA NOTTE D’INVERNO UN VIAGGIATORE (1979) Romanzo costituito dalla ricerca, da parte di un Lettore e di una Lettrice, di un romanzo da loro iniziato che, per difetti di stampa, resta interrotto. Cornice (in seconda persona) + serie di incipit di romanzi, che non vengono mai continuati (in prima persona) I due Lettori aspirano a trovare un libro che contenga intera la realtà, ma il loro desiderio è continuamente frustrato, quasi a indicare che la pretesa della letteratura di riassumere il mondo è illusoria. PALOMAR (1983) La stessa sfiducia nella possibilità di una conoscenza esaustiva del mondo è espressa in Palomar. E’ una serie di prose che presentano le osservazioni e le riflessioni del signor Palomar sulla realtà quotidiana (nome è ripreso dal nome di un osservatorio astronomico statunitense, di nuovo riferimento alle scienze naturali) Questa indagine sul reale rinuncia a una interpretazione complessiva, vorrebbe però almeno esercitarsi sui suoi minori segmenti (un’onda, il fischio dei merli, una vetrina di formaggi), eppure il soggetto della percezione non riesce mai a porsi come il centro di una ordinata ed esauriente sistemazione del reale. Anche nei racconti di Sotto il sole giaguaro si percepisce la sconfitta conoscitiva (1986, postumi) LEZIONI AMERICANE (1988, POSTUME) Testi di sei conferenze che Calvino avrebbe dovuto tenere a Harvard. Sono dedicate a delineare nelle letteratura di tutti i tempi alcune categorie: Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità [+Consistenza] SE UNA NOTTE D’INVERNO UN VIAGGIATORE 1 - FRANCESCA SERRA La cornice, nella tradizione novellistica, è il luogo dove si dà ragione del perché quella serie di storie debbano essere raccontate e come, da chi e per chi. Inoltre la cornice, in quanto patto tra autore e lettore, garantisce un disegno e un ordine che governa le varie storie, per evitare che l’atto comunicativo vada disperso. L’ordine che organizza Le città invisibili non avrebbe senso senza la cornice, è una sorta di fil rouge che ti guida all’interno dell’opera. Calvino è alle prese con lo sforzo di tirar su un’opera abbinando una cornice a un gruppo ordinato di racconti: «ancora una volta cerco di montare una macchina che non sta in piedi e per farla funzionare la complico sempre di più e questa ormai dal tempo dei tarocchi è diventata la mia nevrosi» Infine tendeva a riproporsi identico anche nel dar forma al successivo libro, che si presenta anch’esso all’autore nella più aborrita veste dell’ingovernabile: «Se un’opera perfetta è quella in cui non c’è nulla da aggiungere né da togliere questo libro è il contrario della perfezione perché ci può entrare dentro tutto e potrei continuare ad aggiungere roba all’infinito, così come si può tagliare e sostituire senza che patisca» Questo romanzo, che Calvino definisce come «iper-romanzo», è Se una notte d’inverno un viaggiatore, che uscirà nei Supercoralli Einaudi nel 1979. L’idea dell’opera risaliva a quattro anni prima, ma sarà solo a partire dal 1977 che inizierà a concretizzarsi. Il titolo in principio doveva essere Incipit, perché il libro è tutto composto da incipit di romanzi, poi prende piede l’idea di qualcosa di diverso: «Potrei dare come titolo al libro una frase da incipit di romanzo tradizionale ottocentesco, per esempio: Se un viaggiatore, al calar della notte» Il titolo definitivo calza a pennello, è un incipit generico, un «attacco da cui ci si può aspettare tutto e niente», una «promessa d’un tempo di lettura» in grado di «accogliere tutti gli sviluppi possibili» Calvino diviso tra pratica del racconto e aspirazione al genere del romanzo: «sono sempre stato più un autore di racconti che un romanziere»– ma SN è un «inno d’amore al romanzo: al romanzo tradizionale!» Da romanziere, gli viene «naturale di chiudere - formalmente e concettualmente - anche una storia che resti aperta», Sulla questione dell’opera «aperta» o «chiusa» ruota gran parte della polemica con Guglielmi, il quale si stupiva che Calvino avesse voluto concludere un’opera del genere. Invece lo scrittore proprio quella conclusione difende, dicendo di aver calcolato tutto «in modo che il lieto fine più tradizionale venisse a sigillare la cornice che abbraccia lo sconquasso generale» L’incipit di Se una notte d’inverno un viaggiatore è il seguente: «Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino» Ecco le due figure che stanno dall’inizio di tutto il libro: il lettore e l’autore. D'altronde la cornice è lo spazio più appropriato per far comparire mittente e destinatario. Il primo capitolo si chiude sull’incontro di autore e lettore: appena il lettore finalmente attacca a leggere il libro, si prepara a «riconoscere l’inconfondibile accento dell’autore» La cornice non è più dialogica come nelle Città invisibili, e non riguarda più neanche il contenuto del libro, ma solo il suo essere libro, quindi il suo essere un prodotto artigianale. Chiamando in causa l’autore che l’ha costruito, il quale vi si autoritrae scegliendo la discontinuità. Alla metamorfosi della cornice corrisponde la metamorfosi del contenuto della cornice, della concatenazione dei racconti che non è più tematica (come nelle Città invisibili) ma va per generi: ognuno dei dieci inizi di romanzi che compongono il libro corrisponde a una diversa sfumatura tipologia del romanzesco. Lo schema narrativo di base è questo: «un personaggio maschile che narra in prima persona si trova a assumere un ruolo che non è il suo, in una situazione in cui l’attrazione esercitata da un personaggio femminile e l’incombere dell’oscura minaccia di una collettività di nemici lo coinvolgono senza scampo» Nel frattempo, tra un incipit e l’altro, si sviluppa la cornice relativa all’avventura del lettore che non riesce a leggere il suo libro. Questi sono i dodici capitoli che si alternano a quelli degli incipit. Il Lettore inizia a leggere il romanzo, che per qualche motivo si interrompe, quindi ne cerca il seguito, imbattendosi invece nell’inizio di un altro romanzo, tutto diverso, che comincia a leggere e che a sua volta s’interrompe sul più bello. E così via. donne. Raccontare significa portare il discorso a muoversi nel campo gravitazionale di una donna. Nel Viaggiatore prevale questo sistema: per pagine e per pagine il racconto e il commento al racconto proseguono in parallelo, poi quando si arriva al climax Calvino recide in tronco il flusso narrativo con un improvviso rovesciamento concettuale. Dà l’impressione che la storia venga lasciata in sospeso anche quando in realtà non ci sarebbe nulla da aggiungere. Verso la fine del libro c’è un punto che si potrebbe considerare la sua vera conclusione. Al termine della ricerca dei romanzi interrotti, il Lettore capita in una biblioteca e mostra a un altro lettore il foglio coi titoli dei libri scomparsi. Letti in sequenza formano una frase di senso compiuto, che potrebbe essere l’inizio di un undicesimo romanzo. CALVINO, IL GENERALE IN BIBLIOTECA Calvino lo ha scritto 1963, è un racconto al quale Calvino teneva e che considera attuale e che è necessario riproporre al pubblico.E’ un racconto cha narrando una storia vuole comunicare qualcos'altro, è un testo allegorico e non ha un significato semplice ed univoco. Siamo a Panduria, nome di fantasia, che sembra essere uno stato in cui il potere militare è notevole, uno stato dittatoriale. A un certo punto tra le autorità si insinua il dubbio che i libri possono contenere opinioni pericolose: i generali sono persone che possono sbagliare, le guerre non sono solo eroismo e patriottismo. Queste idee devono essere estirpate e viene nominata una commissione d'inchiesta, al cui comando vi è il generale Fedina. Vengono mandati in questa biblioteca per constatare se i libri contengono idee pericolose o no. Altro personaggio è Crispino, che spiega come sono ordinati i libri in biblioteca. I militari iniziano a leggere i libri, fino a che questa lettura ha una serie di conseguenze inaspettate: si interessano alla lettura, al loro contenuto e si scordano della loro missione e non riescono a portarla avanti, tanto che rimangono chiusi in biblioteca. Non riescono a decidere perché si appassionano alla lettura e anche perché i libri sono tantissimi, portati sempre dal bibliotecario. Più leggono più non riescono a decidere se i libri siano pericolosi o meno. Smettono di trasmettere informazioni radio, che dovevano fare ogni sera, e il generale è costretto a fare una relazione finale, aiutato dal bibliotecario. Nella relazione diventa una “specie di compendio della storia dell’umanità”. Il generale verrà messo in pensione insieme ai suoi tenenti. Il passaggio si chiude con il generale e i tenenti che vengono visti rientrare in biblioteca. Tema del libro e del lettore, tema del piacere della lettura (come in SN). Calvino ci fa capire che la lettura non è pericolosa, è una lettura che porta i protagonisti ad agire in modo anticonformista rispetto al contesto sociale/politico in cui si trovano. Lettura che aiuta sovvertire un ordine prestabilito, è che perciò deve essere controllata o addirittura censurata. Calvino considera questa pericolosità una cosa positiva, perché ci mette in condizione di non essere succubi del potere, di avere un proprio pensiero autonomo. Critica contro i sistemi che vogliono regolamentare la lettura e la cultura. Altro punto interessante è che leggendo non sviluppano un'idea nuova, sembra sia fatto per confondere l’idee. Non diventano rivoluzionari, ma diventano semplicemente dei lettori, sembra che la lettura instilli il dubbio, lo scetticismo rispetto all’ordine precostituito. Non si tratta di cosa ti insegna il libro, ma come ti fa venire delle domande e ti fa venire il dubbio. CALVINO, IL BARONE RAMPANTE 3 tipi di lettore: 1. l'abate Fauchelafleur➞ rapporto tradizionale con la lettura. E’ una lettura con funzione pedagogica, a fini educativi, contraddistinta da noia e staticità (letture che si ripetono continuamente), spesso l’abate stesso si annoia e si lascia distrarre da qualsiasi cosa. Al contrario di Cosimo, discepolo-ascoltatore, che aspira a una lettura più entusiasmante e dinamica. E’ una caratteristica della poetica di Calvino, che ritiene che la prima funzione sociale di un'opera è il divertimento. Si parla di una poetica del delectare (divertire) e c’è l’influenza di Brecht (vedi slide con citazione). Per Brecht lo scopo del teatro è di divertire, e così Calvino lo trascende alla narrativa. Per Calvino il divertimento è una cosa seria. 2. Cosimo lettore➞ grazie soprattutto all’incontro con Gian dei Brughi, è preso da «una smisurata passione per la lettura e per lo studio», al punto che «adesso era lui che andava a cercare l’Abate Fauchelafleur perché gli facesse lezione». Cosimo si appassiona ai classici (Tacito, Plutarco, Ovidio), ma anche alle «leggi della chimica» e agli esperimenti scientifici, e, soprattutto, ai grandi pensatori dell’Illuminismo. La schermaglia tra l’abate e Cosimo riproduce il confronto-scontro tra due antitetiche prospettive culturali: da una parte, nella figura dell’abate, si concretizza il modello dell’insegnante ecclesiastico tradizionale, legato ai modelli letterari e pedagogici dell’ancien régime, dall’altra, invece, attraverso Cosimo, è rappresentata la cultura dei “lumi”. Nell’atteggiamento antiaccademico e antiretorico che Cosimo intrattiene con il mondo dei libri, così come nell’attrazione esercitata su di lui dalla nascente cultura filosofica e scientifica dei “lumi”, si può non solo genericamente intravedere un’eco della figura dell’autore, il cui più intimo e segreto nucleo «della [...] esperienza intellettuale e letteraria» è sempre stato «la tradizione laica, scientifica, atea di famiglia», ma anche, più precisamente, una trasposizione narrativa di quanto Calvino stava in quel momento teorizzando. Secondo Calvino la «vera» lettura deve avere carattere prettamente antistituzionale; avversione, più volte manifestata, a quei progetti che troppo rigidamente impongono un gusto e una pratica di lettura. 3.Gian dei Brughi➞ L’attrazione per i libri, già manifestata in Gian dei Brughi in occasione di una precedente rapina, si tramuta in una passione viscerale e disarmante, che trasformerà il più famoso e crudele brigante di Ombrosa in un lettore casalingo, instancabile e perfino ossessionato dalla lettura (di romanzi!). La «conversione morale del brigante» generata dalla lettura, di cui hanno parlato alcuni critici,è però più ironica che reale: anche l’esito fallimentare dell’ultima rapina, ad esempio, non deriva dal manifestarsi di scrupoli morali nel brigante, quanto invece dall’abitudine a trascorrere le giornate «nascosto coi lucciconi agli occhi a leggere romanzi».129 E non è certo un’evoluzione positiva quella che il narratore intende sottolineare, descrivendo il brigante come un «rammollito» e «imminchionito», Accanto alla celebrazione della «curiosi- tà», della «speranza» e della «meraviglia» che contraddistinguono la lettura di Gian dei Brughi, l’autore evidenzia anche i rischi connessi a questa particolare forma di seduzione. Quindi: mentre si afferma il diritto al divertimento del lettore, si evidenziano anche i rischi connaturati in una ricezione autoreferenziale e votata al mero edonismo. Mentre la vita di Gian dei Brughi si annulla in funzione di un’osmosi pressoché totale tra lettore e finzione narrativa, nell’esperienza di Cosimo l’atto della lettura mantiene un rapporto dialettico e costruttivo con la realtà. In Cosimo l’esperienza amorosa, se vissuta intensamente, distrae il soggetto da qualsiasi altra attività, lettura inclusa. Cosimo è anche editore: possibilità di incidere sulla società attraverso la letteratura.
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