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Riassunto di "Lezioni di diritto amministrativo", Sintesi del corso di Diritto Amministrativo

Riassunto di "Lezioni di diritto amministrativo" Autore: D'Alberti

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021
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Scarica Riassunto di "Lezioni di diritto amministrativo" e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Amministrativo solo su Docsity! Diritto Amministrativo Capitolo 2 - | principi del diritto amministrativo Le fonti, chi pone i principi: i principi possono essere posti dalla legislazione come: * LaCostituzione, ad es. l’imparzialità e il buon andamento sono stabiliti dall’art. 97, e il principio di uguaglianza dall’art. 3; e Illegislatore ordinario, ad es. la legge sul procedimento amministrativo (1. 241/1990) prevede i principi di economicità, efficacia, pubblicità e trasparenza; * Ilcodice civile, stabilisce i principi di buona fede (artt. 1337 e 1375) e di correttezza (art. 1175); ® Legislazione ultranazionale, il TFUE prevede il principio di libera concorrenza e il principio di precauzione; ® Discipline internazionali, la CEDU stabilisce il principio del giusto processo. Le leggi sono la fonte più diffusa di principi giuridici. Al tempo stesso, però, resta fondamentale il ruolo dei principi della giurisprudenza. Vi sono, da un lato, i principi privi di esplicita previsione normativa e stabiliti dall’opera dei giudici; dall'altro lato, determinazioni giurisprudenziali di principi effettuati a valle dalla legislazione. I principi che il giudice può applicare, sono solo ed esclusivamente quelli rintracciabili nell'ordinamento giuridico positivo, statale o ultranazionale. Tipi di principi: nel diritto amministrativo si possono distinguere principi tipici e propri del diritto amministrativo, che sono i principi che trovano il loro significato essenziale nella regolazione di attività amministrative. Poi vi sono i principi generali del diritto applicabili anche alle pubbliche amministrazioni, che sono i principi comuni a soggetti privati e pubblici; nascono dal diritto civile e commerciale. Principi tipici e propri dell’amministrazione pubblica sono: * Principio di legalità, l’attività amministrativa deve trovare una base nella legge, questa è la definizione più ampia di tale principio. Non esiste un fondamento costituzionale, però, ci sono delle norme della Costituzione che si riferiscono ad esso, come ad es. l’art. 23 dove “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. Il principio di legalità si pone come argine a protezione del cittadino nei confronti dell'attività autoritativa della pubblica amministrazione. Il principio di legalità ha subito un’evoluzione, dalla necessaria osservanza della legge si è passati al necessario rispetto del diritto. Così, la pubblica amministrazione deve rispettare non solo le leggi, ma anche i principi del diritto, come la ragionevolezza. Per di più, la pubblica amministrazione deve rispettare anzitutto le regole comunitarie che prevalgono su quelle interne; Principio di imparzialità, trova il suo fondamento normativo espresso nell’art. 97 Cost. La dottrina ha legato l’imparzialità al corretto esercizio della scelta della pubblica amministrazione che implicano ponderazione fra interessi diversi. Fondamentalmente, l’imparzialità vale come divieto di discriminazioni e favoritismi. Obblighi derivanti da tale principio sono l'obbligo di determinare criteri e modalità prima di procedere, l'obbligo della pubblica amministrazione di compiere un’adeguata valutazione di tutti gli interessi in gioco prima di decidere, l’obbligo di astensione del funzionario amministrativo in caso di conflitto d’interessi; Principio di buon andamento, sta accanto all’imparzialità nell’art. 97 Cost. è un concetto molto ampio. Può trovare applicazione tanto all’attività pubblicistica e autoritativa della pubblica amministrazione, quanto all'attività consensuale o contrattuale; Principio di proporzionalità, ha trovato la sua formazione e i suoi sviluppi essenziali nell’opera della giurisprudenza. Affinché la decisione amministrativa sia proporzionata devono sussistere tre profili: 1) l'adeguatezza della medesima decisione al fine che s'intende realizzare; 2) il fatto che la misura non ecceda quel che è necessario per raggiungere il fine prefisso e che non esistano misure meno restrittive nei confronti degli amministrati; 3) l’equilibrata proporzione fra le utilità pubbliche al cui perseguimento la decisione è finalizzata e i sacrifici imposti. Il principio di proporzionalità riguarda tanto l’attività autoritativa e pubblicista della pubblica amministrazione e, in particolare, le misure amministrative restrittive, che impongono sacrifici ai privati; Principio di ragionevolezza, è un principio formato nel tempo dall’opera della giurisprudenza indipendentemente da formulazioni legislative. Il punto di riferimento più immediato della ragionevolezza è stato l'obbligo di motivazione dell’atto, della decisione, del provvedimento amministrativo; Principio di partecipazione, il principio afferma che l’amministrato possa esprimere la propria “voce” prima della decisione amministrativa. Il principio di partecipazione confina con il principio del contraddittorio. L'elemento comune è la garanzia data alla “voce” dell’amministrato. La differenza sta nel fatto che la partecipazione riguarda essenzialmente la facoltà degli amministrati di manifestare propri interessi all’interno del procedimento amministrativo preliminare all’adozione della decisione finale. Il principio vale soltanto per i procedimenti particolari, che si rivolgono a uno o più destinatari determinati. Mentre il contraddittorio interviene in procedimenti amministrativi di tipo processuale che coinvolgono l’amministrazione ed un soggetto privato, o più soggetti privati che intervengono con interessi contrapposti e l’amministrazione non è parte ma soggetto terzo in posizione quasi-giudicante; Obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo, la nostra Costituzione lo prevede all'art. 111. Non abbiamo un principio costituzionale in tal senso, ma la legge 241/1990 ha incluso tra i “principi” la motivazione del provvedimento. La motivazione deve ricomprendere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Essa riguarda, dunque gli elementi di fatto e di diritto sui quali si basa il contenuto ad effetti generali. La mancanza di motivazione, o la motivazione insufficiente o irragionevole, producono un vizio ascrivibile alla violazione di legge, che si può tradurre in invalidità del provvedimento finale. Capitolo 3 - L'organizzazione amministrativa Pubblica amministrazione. Concetto e contenuto: pubblica amministrazione può significare tanto l’attività amministrativa, quanto gli insiemi di apparati che la svolgono. Nell’età contemporanea, le amministrazioni pubbliche hanno assunto dimensioni grandissime e forme diverse, a causa dell'aumento progressivo delle funzioni attribuite ai pubblici poteri a partire dalla fine del XIX secolo. Le pubbliche amministrazioni non svolgono soltanto attività di cura concreta di interessi pubblici, ma anche attività normativa e attività di tipo giudiziale. Per inquadrare il concetto di pubblica amministrazione, si deve guardare all’art. 97 Cost. il quale stabilisce che i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge. Spesso è la stessa legge che istituisce le pubbliche amministrazioni. L'art. 97 Cost. prosegue disponendo che alle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salve le eccezioni previste dalla legge. Il legislatore ordinario non offre una definizione generale di pubblica amministrazione, ma indica figure soggettive, che usualmente denomina pubbliche amministrazioni. Assume assoluta centralità l’art. 1 comma 2 d.Igs. n. 165/2001 “per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato”. La |. 241/1990 menziona le pubbliche amministrazioni che sono tenute ad applicare i principi e le regole procedurali da essa dettate. Le amministrazioni statali e gli enti pubblici nazionali sono tenuti a conformarsi a tutte le norme della |. 241, mentre le società con totale o prevalente capitale pubblico sono tenute ad applicare la legge solo se svolgono funzioni amministrative. L’art. 22 comma 1 lettera e, della I. 241/1990, stabilisce che per pubblica amministrazione “si intendono tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale e comunitario”. Nell'ambito della procedura ad evidenza pubblica per l'aggiudicazione dei contratti di appalto, il recente codice dei contratti relativi ai lavori, servizi e forniture definisce come amministrazioni aggiudicatrici “le amministrazioni dello Stato; gli enti pubblici territoriali; gli altri enti pubblici non economici; gli organismi di diritto pubblico; le associazioni; unione; consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti”. Inoltre introduce il concetto di enti aggiudicatori al fine di ricomprendervi non solo le amministrazioni aggiudicatrici, ma anche le “imprese pubbliche, e i soggetti che operano in virtù di diritti speciali o esclusivi concessi loro da autorità competenti secondo le norme vigenti”. Si tratta di definizioni soggetti a “maglie larghe”. Vi sono inclusi anche gli organismi di diritto pubblico. Organismi di diritto pubblico: è qualsiasi organismo, anche in forma societaria, che è istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale, dotato di personalità giuridica; la sua attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione è soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il suo organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza è costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico. Può essere un soggetto di natura privatistica, purché posto sotto il controllo di pubblici poteri. A livello comunitario non sussiste una nozione condivisa di amministrazione pubblica. Tuttavia l’attuale art. 45 del TFUE stabilisce una deroga alla libertà di circolazione dei lavoratori per gli impieghi della pubblica amministrazione. Sempre in sede comunitaria, ma a fini meramente contabili, il regolamento CE n. 2223/96, ha demandato agli istituti nazionali di statistica il compito di predisporre annualmente l’elenco delle unità istituzionali che fanno parte del settore amministrazioni pubbliche. Secondo il regolamento citato, le unità istituzionali comprese nel settore delle amministrazioni pubbliche sono: - Gli organismi pubblici che gestiscono e finanziano un insieme di attività principalmente consistenti nel fornire alla collettività beni e servizi non destinabili alla vendita; - Le istituzioni senza scopo di lucro, dotate di personalità giuridica, che agiscono da produttori di beni e servizi non destinabili alla vendita, controllate e finanziate in prevalenza da amministrazioni pubbliche; - I fondi pensione. Quanto al regime del controllo e della giurisdizione della corte dei conti, ad esso erano tradizionalmente sottoposti soggetti pubblici considerati pubbliche amministrazioni o loro dipendenti. La giurisprudenza costituzionale ha nel tempo ampliato il novero dei soggetti sottoposti al controllo e alla giurisdizione della corte dei conti, e con gli artt. 100 e 103 Cost. vi include anche figure soggettive di natura privata, purché siano stabilmente finanziate dallo Stato o da altri enti pubblici anche territoriali, o che svolgano attività o servizi pubblici con risorse pubbliche e nell'interesse dell’amministrazione. Infine nello stabilire che alla giurisdizione del giudice amministrativo sono devolute le controversie concernenti l'esercizio o il mancato esercizio del “potere amministrativo” posto in essere da “pubbliche amministrazioni”, include tra queste ultime anche i soggetti ad esse equiparati o comunque tenuti al rispetto dei principi del procedimento amministrativo. Quindi, è arduo pervenire ad una definizione unitaria di pubblica amministrazione. Il dato comune è che ci si riferisce ad un complesso di strutture definite come pubbliche amministrazioni dalla legge e da essa organizzate. Tali strutture si caratterizzano per la circostanza che ad esse si applicano determinati regimi giuridici consistenti, tra cui: la disciplina del rapporto di pubblico impiego, nella disciplina del procedimento amministrativo e del procedimento ad evidenza pubblica per l’acquisizione di beni o servizi sul mercato, nella disciplina del controllo contabile e del sindacato giurisdizionale della corte dei conti, nella sottoposizione alla giurisdizione del giudice amministrativo. 1 rapporti fra politica e amministrazione: nel quadro della separazione dei poteri, l’amministrazione pubblica è stata collocata nell’ambito dell’apparato e del potere esecutivo. Ciò ha significato supremazia del governo e dei ministri. La figura organizzativa tipica è quella del ministero. Gradualmente si è avuta una progressiva autonomizzazione del potere amministrativo rispetto al potere esecutivo-organizzativo. Aumentando le funzioni svolte dalle pubbliche amministrazioni. Il mutamento è già evidente nel periodo a cavallo tra l’800 e il ‘900. Assumono, quindi, grande importanza e peso decisionale le strutture amministrative prima sottomesse ai ministri. In seguito la Costituzione repubblicana fornisce contestualmente due immagini di rapporto fra politica e amministrazione. Da un lato l’art. 95 Cost. sottolinea il ruolo essenziale della politica nei confronti dell’amministrazione, laddove prevede che il Presidente del consiglio dei ministri mantiene l’unità di indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri. Dall’altro lato, la Costituzione apre verso l'autonomia e la neutralità dell’amministrazione pubblica. Nel periodo successivo all'entrata in vigore della Costituzione si è tentato un equilibrio fra indirizzo politico, da un lato, e gestione amministrativa autonoma, dall'altro. Tipologie delle figure soggettive: la pubblica amministrazione si articola in diverse figure soggettive. Alcune figure soggettive sono dotate di personalità giuridica; altre, invece, sono prive di personalità. Sono comunque tutte figure soggettive, cioè centri di imputazione di relazioni giuridiche. - Ministeri: le leggi cavouriane configurano il ministero come una struttura uniforme e gerarchico-piramidale. Tutti i poteri spettavano al ministro. Sotto il ministro c'erano gli uffici meramente serventi. Dalla fine del XIX secolo, sono aumentate le funzioni attribuite alle amministrazioni pubbliche e, in particolare, affidate ai ministeri. Essendo impossibile che il ministro si occupasse direttamente di tante funzioni, i funzionari più elevati degli uffici ministeriali dello “Stato pluriclasse” hanno ricevuto deleghe sempre più numerose e autonomia decisionale. Negli anni '70 avviene una riforma della dirigenza amministrativa, d.lgs. 748/1972, che attribuisce ai dirigenti specifiche competenze proprie. Nella prima metà degli anni ’90 si ha un riforma: art. 3 d.lgs. 29/1993, al ministro spettano le sole funzioni di indirizzo politico e di controllo della sua attuazione, mentre ai dirigenti vengono affidate tutte le funzioni di gestione amministrativa. Alla fine degli anni ’90 si conferma la distinzione fra indirizzo politico e gestione amministrativa e si viene a stabilire in numero contenuto di ministeri (dodici) (I. 59/1997). Il numero è variato in seguito, ma è ormai affermato il principio secondo cui i ministeri non possono moltiplicarsi in funzione delle esigenze della politica. Quanto all’organizzazione interna, i ministeri non sono più figure uniformi tra loro. Gli uffici ministeriali di livello superiore (uffici dirigenziali generali) e relativi compiti sono individuati con regolamento emanato da ciascun ministro. Gli uffici di livello immediatamente inferiore (uffici dirigenziali non generali) e le rispettive funzioni sono individuate con decreto ministeriale di natura non regolamentare. La norma di legge primaria si limita solo a determinare il numero dei ministeri, a elencarli, a definire i loro compiti etc. Vi sono due modelli ministeriali: | ministeri articolati in dipartimenti, che sono strutture chiamate a svolgere funzioni concernenti grandi aree di materie omogenee. Ai dipartimenti è preposto un capo hanno reagito stabilendo limitazioni all'operatività della golden share. Sono previsti, inoltre, altri tipi di controlli ministeriali sull'attività della società in partecipazione pubblica. Spesso tali controlli sono “contrattualizzati”, nel senso che vengono stipulati contratti di programma tra impresa e ministro, che stabiliscono, fra l’altro, l'ambito e le modalità della vigilanza governativa. Ulteriore profili derogatorio è la giurisprudenza amministrativa, e anche costituzionale, che ha considerato come enti pubblici la società in partecipazione pubblica integrale. Vi sono state varie conseguenze tra cui, sul piano costituzionale, la competenza legislativa affidata in via esclusiva allo Stato, in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali. L’affidamento in house consiste in società interamente partecipate da enti locali, se sottoposte a un controllo “analogo” a quello esercitato sugli uffici dell'ente medesimo, e se prive di vocazione commerciale (perché non operano al di fuori del territorio locale), possono ricevere affidamenti di servizi pubblici locali senza gara. Il legislatore è intervenuto in materia e ha limitato la possibilità di ricorrere all'affidamento in house ai casi in cui il valore economico non superi una determinata soglia di valore. Al fine di evitare l’elusione di tale limite, la legge ha poi vietato di procedere al frazionamento del servizio. Il legislatore con il d.lgs. 175/2016 ha tracciato i confini entro cui le pubbliche amministrazioni, con annessa motivazione, possono costituire società o mantenere partecipazioni in società. In particolar modo, deve trattarsi di s.p.a. o s.r.1. che svolgono attività per il perseguimento di finalità istituzionali delle amministrazioni. Infine, bisogna parlare dei rapporti fra politica e società in partecipazione pubblica, queste ultime tendono ad uscire dall'ambito della pubblica amministrazione quando la presenza pubblica diviene minoritaria, ma vi rientrino finché tale presenza resta maggioritaria. Vi è certamente un’ampia autonomia di queste società rispetto alla politica. In ogni caso, i poteri ministeriali non si esprimono con atti pubblicistici, ma con strumenti negoziali che tuttavia possono essere molto incisivi. Autorità indipendenti: i principali tratti caratterizzanti delle amministrazioni pubbliche denominate autorità indipendenti sono l’elevate expertise tecnica (poiché non si tratta di compiti solo operativi, ma di complesse funzioni regolatorie o quasi-giudiziali); l’estraneità sostanziale rispetto all’indirizzo politico e al controllo dell’esecutivo. Non esiste un modello omogeneo di autorità indipendenti, esse si sono sviluppate laddove serviva a seconda delle esigenze e dei problemi concreti. Il diritto comunitario ha dato un contributo rilevante allo sviluppo della figura delle autorità indipendenti. Il TFUE dispone che le banche centrali nazionali sono indipendenti dai rispettivi governi. In materia di comunicazioni elettroniche, le direttive comunitarie del 2002 hanno stabilito che gli Stati membri devono avvalersi di autorità di regolazione indipendenti. L'indipendenza vale nei confronti delle imprese regolate, che forniscono reti e/o servizi di comunicazioni elettroniche, dunque nei confronti del mercato; vale anche nei confronti del governo se quest’ultimo conserva la proprietà o il controllo di imprese sottoposte a regolazione. Ora le nuove direttive sulle comunicazioni di regolazione prevedono l’indipendenza delle autorità nazionali di regolazione sia del mercato che dal governo, a prescindere dall’assetto azionario pubblico o privato. In materia di antitrust, il regolamento comunitario n. 1/2003 ha previsto che le autorità nazionali di concorrenza sono o amministrazioni pubbliche o giudici. Dopo l’entrata in vigore del regolamento, è stato costituito la European Competition Network. In un caso di intesa o di abuso possono occuparsi o la Commissione oppure una o più autorità nazionali di concorrenza. Non esiste nell'ordinamento comunitario un principio di regolazione indipendente, ma le materie in cui questa si è affermata maggiormente sono di grande rilevanza, perché si tratta di materie orizzontali. Come si è detto, non esiste un modello generale di autorità indipendenti. Anche all’interno dello stesso paese, le differenze fra autorità indipendenti sono notevoli. Esistono però alcuni tratti comuni; si tratta di regolare territori sensibili nei quali esistono diritti fondamentali; anche i poteri sanzionatori accomunano le autorità; il tratto comune si può proprio trovare nello status di indipendenza. In ragione dell’indipendenza e dell’alta expertise tecnico-professionale di queste autorità, il sindacato giurisprudenziale sui provvedimenti da esse adottati è talora debole. Ma questa non è una tendenza generalizzabile, in Italia, il giudice amministrativo, competente in via esclusiva a giudicare dei provvedimenti delle autorità indipendenti, ha chiarito che il controllo giudiziale è pieno sui fatti e sul rispetto del procedimento; sulle valutazioni tecnico complesse il giudice può verificare l'errore tecnico, ma non può sostituirsi all’amministrazione. La figura è dunque da considerare solida. Con essa il cordone ombelicale che collega politica e ‘amministrazione si spezza. Organi e uffici: le figure soggettive si articolano in uffici. Gli uffici si distinguono in: - Meri uffici, che svolgono attività che hanno una rilevanza solo interna alle figure soggettive; - Uffici organi, che compiono atti idonei a manifestare verso l’esterno la volontà delle figure soggettive. L’ufficio organo imputa alla persona giuridica per la quale opera le intere fattispecie giuridiche, comprensive degli atti e degli effetti. Gli stati soggettivi, come l’errore, la colpa e il dolo, si imputano all’ente per il quale l’organo opera. La responsabilità civile per i danni a terzi ricade sia sugli agenti che li hanno provocati sia sulla pubblica amministrazione. L'ordinamento giuridico, tuttavia, può prevedere che il meccanismo dell’ufficio organo sia utilizzato anche da figure soggettive che sono prive di personalità giuridica, ma sono dotate di una soggettività, o legittimazione, propria. Ad esempio, un ministero che non ha personalità giuridica, adotta decisioni con rilevanza esterna usualmente tramite l’organo collegiale di vertice. Agli uffici organo sono preposti titolari di diversa natura. Se il preposto è una singola persona fisica, si è in presenza di un organo monocratico; se il preposto è un collegio, si ha un organo collegiale. Sono, di regola, collegiali gli organi consultivi, gli organi che formulano giudizi, gli organi chiamati ad esprimere valutazioni tecniche complesse, gli organi che hanno la funzione di comporre interessi configgenti. Gli organi collegiali seguono procedimenti molto formalizzati per l'adozione delle loro decisioni. Le norme procedurali in parte comuni, in parte diverse da collegio a collegio, riguardano: - La convenzione e la fissazione dell’ordine del giorno; - Il numero legale per la validità dell'adunanza; - Le maggioranze richieste per la validità delle deliberazioni (la regola del numero legale non si applica ai collegi perfetti, dato che richiedono la presenza di tutti i componenti). Il titolare professionale presta un’opera retributiva e continuativa presso la figura soggettiva di appartenenza. Il titolare onorario svolge le sue funzioni a titolo gratuito, ovvero, se remunerato, riceve di regola un'indennità e non una retribuzione. Il titolare dell’ufficio è legato alla figura soggettiva di appartenenza da: -. Rapporto di servizio, è un rapporto di tipo patrimoniale; - Rapporto d'ufficio, è un rapporto di tipo funzionale. Nel caso degli uffici-organi, il rapporto d'ufficio è quello che concerne l’ordine delle imputazioni delle fattispecie giuridiche, consentendo al titolare dell’organo di imputare atti ed effetti in capo alla figura soggettiva di appartenenza. Rapporti organizzativi: gerarchia, direzione, controllo, coordinamento: quanto ai rapporti organizzativi tra uffici, si possono distinguere: - Gerarchia, è un rapporto che corre tra un ufficio sopraordinato e un ufficio sottordinato e tra i rispettivi titolari. La gerarchia è caratterizzata da un insieme di poteri che spettano all’ufficio sopraordinato nei confronti dell'ufficio sottordinato. Vi è un potere d’ordine, vincolante. Tuttavia ci sono dei limiti: se il titolare dell’ufficio sottordinato ritiene palesemente illegittimo l’ordine impartito dal titolare dell’ufficio sopraordinato deve farne rimostranza allo stesso superiore, dichiarandone le ragioni. Inoltre, la gerarchia comporta il potere di annullamento d’ufficio, il potere di decisione dei ricorsi gerarchici, il potere di controllo, il potere di sostituzione e di avocazione; - Direzione, è caratterizzato da una sopraordinazione attenuata rispetto alla gerarchia. L’ufficio sopraordinato ha un potere non di ordine ma di direttiva. L'ufficio sottordinato può discostarsi dalla direttiva, dandone adeguata motivazione. Non vale il potere di avocazione né, di regola, il potere di sostituzione. Valgono invece i poteri di controllo; - Controllo, poteri di controllo sono attribuiti agli uffici sopraordinati nei confronti degli uffici sottordinati. Tali poteri costituiscono un elemento di un rapporto organizzativo di sopraordinazione. AI tempo stesso, vi sono rapporti di controllo in cui non corre un rapporto di sopraordinazione. L'organismo di controllo può essere esterno rispetto alla struttura controllata, oppure interno alla struttura ed usualmente è ad essa equiordianto. Il rapporto di controllo è caratterizzato da un giudizio che viene formulato in applicazione di un parametro e da una misura. Questo parametro è la conformità alla legge e l’oggetto del controllo è l’atto adottato dalla struttura controllata. Progressivamente a questo parametro se ne sono aggiunti altri, ossia giudizio sull’efficienza, sull’economicità e sull’efficacia. La disciplina più rilevante in materia di controlli amministrativi, è quella contenuta nel d.lgs. 286/1999. Tale disciplina distingue diversi tipi di controllo. Il controllo di regolarità amministrativa e contabile; il controllo di gestione; la valutazione della dirigenza; il controllo strategico; - Coordinamento, consiste nel realizzare forme di collegamento e di armonizzazione delle attività svolte da strutture diverse per il perseguimento di fini comuni. Il coordinamento può costituire un elemento dei rapporti organizzativi di sopraordinazione. L'ufficio dotato di poteri gerarchici, o di direzione, può anche coordinare l’attività degli uffici sottordinati. Dunque le eccezioni alla “privatizzazione” sono dettate dalla peculiarità delle attività svolte dagli impiegati pubblici e dal fatto che le risorse finanziarie necessarie gravano sulla spesa pubblica. Alla privatizzazione segue la giurisdizione del giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro. Questi ha pienezza di poteri nei confronti degli atti negoziali dell’amministrazioni; può annullare o anche modificare gli atti dell’amministrazione datore di lavoro. AI giudice ordinario sono anche devolute le controversie relative ai comportamenti anti- sindacali dell’amministrazione e le controversie sulle procedure di contrattazione collettiva promosse dalle organizzazioni sindacali, dall’ARAN o da pubbliche amministrazioni. Il giudice ordinario cede il passo al giudice amministrativo solo in presenza di controversie relative alle categorie speciali o ai concorsi di reclutamento, che riguardano tutti i dipendenti. Il d.lgs. 150/2009 ha introdotto diverse modifiche alla disciplina del pubblico impiego (riduzione del ruolo della contrattazione collettiva a favore della legge). È dunque necessaria una previsione legislativa esplicita, volta per volta, che consenta la deroga per via di contrattazione collettiva. Inoltre, alcune materie sono state esplicitamente sottratte alla contrattazione collettiva. Il legislatore ha previsto che con DPCM viene definito il trattamento economico annuo onnicomprensivo di chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell’ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali, stabilendo come parametro massimo di riferimento il trattamento economico del primo presidente della Corte di Cassazione. 1 dirigenti. L'evoluzione delle formule normative: storicamente vi sono state tre formule che si sono succedute nella legislazione in materia di dirigenti dello Stato: PRIMA FORMULA / è stata introdotta dalla legislazione cavouriana sui ministeri. Tutte le funzioni decisionali erano concentrate nel ministro. Ai dirigenti spettavano meri uffici interni coadiutori del ministro, privi di legittimazione ad adottare atti rilevanti verso l'esterno. Il rapporto organizzativo intercorrente fra ministro e dirigente era di stretta natura gerarchica e il ministro aveva poteri d’ordine nei confronti dei dirigenti. Con l’amministrazione Crispi, i dirigenti, hanno cominciato ad emergere. Con Giolitti, l’amministrazione è cresciuta ancor di più e accanto al ministero si sono sviluppate nuove figure soggettive, come le amministrazioni autonome e gli enti pubblici. Negli anni ’30, i direttori generali dei ministeri hanno acquisito forti poteri decisionali e con l'espansione degli enti pubblici è diminuita l'influenza della politica sull'amministrazione. SECONDA FORMULA / è intervenuta con la riforma della dirigenza degli anni '70. Alcune competenze sono state per legge affidate ai dirigenti, per l'adozione di determinati provvedimenti ed entro certe soglie di valore. Il ministro non ha più poteri d'ordine, ma di direttiva; conserva però la potestà di avocare a sé le competenze. Gli uffici dirigenziali divengono organi aventi rilevanza esterna. Vi sono tre qualifiche dirigenziali (dal basso verso l'alto): - Primo dirigente; - Dirigente superiore; - Dirigente generale. Alle tre qualifiche corrispondono uffici di importanza crescente. Si può inoltre essere dirigenti di ruolo, carriera o per incarico. La seconda formula è stata quasi un fallimento. Innanzitutto i ministri non hanno adottato direttive. Il personale di fiducia dei ministri hanno compresso le sfere di autonomia decisionale dei dirigenti e, questi ultimi, hanno mostrato poca propensione ad assumere su di sé adeguate responsabilità. La disciplina attuale della dirigenza pubblica - TERZA FORMULA / è stata introdotta dal d.lgs. 29/1993 (ora refluito nel d.lgs. 165/2001). Tale formula si basa sulla distinzione fra indirizzo politico e controllo sulla sua attuazione, da un lato, e gestione amministrativa, dall’altro. Gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, quindi i loro atti di competenza sono: decisioni in materia di atti normativi; definizione di obiettivi, priorità, piani, programmi e direttive generali; individuazione delle risorse umane etc. Ai dirigenti invece spetta la gestione amministrativa, quindi l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l'esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati. Sono stati esclusi i poteri di avocazione del ministro del ministro anche se permane ancora il potere di annullamento ministeriale per motivi d’illegittimità. Dalla gerarchia piena della prima formula, si passa alla gerarchia attenuata della seconda formula, per giungere al rapporto di direzione della terza formula. Le qualifiche dirigenziali da tre diventano due: la qualifica iniziale è quella di dirigente; la qualifica superiore è quella di dirigente generale. Per quanto riguarda le funzioni dirigenziali e gli incarichi, vi sono tre tipologie di funzioni dirigenziali: - Incarichi di segretariato generale e di direzione di strutture articolate in più uffici dirigenziali generali; sono gli incarichi apicali, conferiti con DPR, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del ministro competente, a personale con qualifica di dirigente o a soggetti con determinati requisiti e qualità professionali; - Incarichi di direzione di uffici di livello dirigenziale generali, sono conferiti con DPCM, su proposta del ministro competente, a funzionari con qualifica di dirigente o ad esterni con particolari requisiti; - Incarichi di direzione di altri uffici dirigenziali, conferiti dal dirigente dell’ufficio di livello dirigenziale generale a funzionari con la qualifica di dirigente assegnati al suo ufficio o, ancora una volta, ad esterni. Tutti gli incarichi sono a tempo determinato. In passato si prevedeva una durata dell'incarico non inferiore ai due anni e non superiore ai sette anni, con facoltà di rinnovo. La legge del 2002 ha stabilito una durata massima di tre anni per gli incarichi apicali e per gli incarichi di direzione di uffici dirigenziali di livello generale. E una durata massima di cinque anni per gli altri. In secondo luogo, la legge del 2002 ha disposto la revoca degli incarichi prima del termine di scadenza: - Per gli incarichi apicali e per gli incarichi ad esterni, la cessazione decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia al governo; - Per gli incarichi di direzione di uffici dirigenziali generali allora in essere la cessazione al sessantesimo giorno della data di entrata in vigore della stessa |. 145/2002. Sono meccanismi di spoils system (sistema delle spoglie), in base ai quali alcuni incarichi dirigenziali terminano al mutare dei governi o comunque prima della scadenza naturale. La Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma che prevedeva lo spoils system. La Corte ha ritenuto che tale meccanismo viola il principio di continuità e di buon andamento dell’azione amministrativa, previsto dall'art. 97 Cost. La revoca delle funzioni dirigenziali può essere conseguenza soltanto di un’accertata responsabilità dirigenziale in presenza di determinati presupposti e salve adeguate garanzie procedimentali. In base alla giurisprudenza della Corte costituzionale, lo spoils system può riguardare solo gli incarichi apicali e gli incarichi comunque caratterizzati da rapporti di fiducia con l’organo politico. Di recente, però, è intervenuto nuovamente sullo spoils system il legislatore, tramite norme contenute in disposizioni finalizzate alla stabilizzazione finanziaria. Le nuove norme prevedono che si possa disporre il passaggio dei dirigenti, di qualunque qualifica, ad altro incarico prima della scadenza dell'incarico in corso. In conclusione, la distinzione fra indirizzo politico e gestione amministrativa permane nel nostro ordinamento, ma è sottoposta ai rischi di una sovrabbondanza turbativa politica. Il regime applicabile ai beni culturali appartenenti a soggetti pubblici o privati è, per diversi aspetti analogo. La disciplina dei beni culturali è permeata da rilevanti poteri delle amministrazioni pubbliche, finalizzati a garantire la protezione e la conservazione di questi beni. È previsto un potere generale di vigilanza, che può concentrarsi anche in ispezioni. Vi sono dei poteri autorizzatori e poteri ablatori dell’amministrazione pubblica. L’autorizzazione ad alienare comporta la sdemanializzazione del bene, ma esso resta comunque soggetto ai poteri amministrativi di vigilanza e di autorizzazione. Per i beni culturali ad appartenenza privata, l'autorizzazione ad alienare è prevista per i beni di cui i titolari siano persone giuridiche private senza fine di lucro. Per tutti i beni culturali di appartenenza privata, il ministero o le regioni o gli altri enti pubblici territoriali interessati, hanno facoltà di acquistare in via di prelazione i beni alienati a titolo oneroso, al prezzo stabilito nell'atto di alienazione. Per quanto riguarda la circolazione in ambito internazionale può essere autorizzata l’uscita temporanea del bene dal territorio nazionale, ma non quella definitiva. | soggetti pubblici a cui appartengono gli istituti e i luoghi della cultura devono assicurare la fruizione collettiva dei beni presenti in tali istituti e luoghi, garantendoli l’accesso, che può essere gratuito o a pagamento. La valorizzazione è finalizzata a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di fruizione collettiva; è diretta a promuovere e a sostenere gli interventi di conservazione di tale patrimonio, vi è, in tal senso, una connessione tra valorizzazione e tutela. Le strategia e gli obiettivi di valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica, sono definite tramite accordi tra lo Stato, le regioni e gli altri enti territoriali; gli accordi possono riguardare anche beni di proprietà privata, ma occorre il previo consenso degli interessati. Per quanto riguarda, invece, i beni paesaggistici, sono disciplinati anch'essi nel codice dei beni culturali e del paesaggio e sono stati definiti come beni culturali ambientali e vi rientrano le ville, i giardini e i parchi di comune bellezza, centri storici, le bellezze panoramiche etc. La rete dei servizi pubblici: negli ultimi tempi si è avuta una moltiplicazione di leggi, di norme secondarie e di misure amministrative che hanno dettato regole sui servizi pubblici a “rete”. Le reti ad appartenenza pubblica sono beni pubblici. Stando al codice civile il loro regime varia: le strade ferrate fanno parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato; altre infrastrutture di rete, se appartengono allo Stato o ad altri enti territoriali o ad altri enti pubblici funzionali, sono beni patrimoniali indisponibili in quanto beni destinati ad un servizio pubblico. Le reti ad appartenenza privata sono beni privati assoggettati a poteri di vigilanza o di regolazione spettanti ad amministrazioni pubbliche. Vi sono poi poteri dell'autorità garante della concorrenza e del mercato: le reti, anche se di appartenenza privata sono infrastrutture essenziali non facilmente duplicabili, utilizzate per lo svolgimento dell’attività economica ad essa connessa; se il titolare della rete gode di una posizione dominante e ostacola l’accesso a imprese concorrenti, può configurarsi un abuso di dominanza, che costituisce un’infrazione antitrust sanzionabile. L’alienazione dei beni pubblici: il processo di privatizzazione dei beni pubblici, tramite dismissioni e cessioni a soggetti privati, ha assunto maggiore rilevanza a partire dagli anni ’90. Il legislatore ha affidato alle agenzie del demanio il compito di individuare i beni demaniali e patrimoniali, disponibili e indisponibili, facenti parte del patrimonio immobiliare dello Stato e degli enti pubblici non territoriali; e ha previsto che tali beni possano essere alienati. Per la cessione sono state previste procedure e modalità diverse, essenzialmente di due tipi: - In primo luogo, il trasferimento a titolo oneroso dei beni pubblici a società in partecipazione pubblica, chiamate a pagare un prezzo iniziale per i beni ad esse trasferiti, a realizzare operazioni di cartolarizzazione per finanziare il pagamento del prezzo, a gestire i beni trasferiti, a valorizzarli e a rivenderli a privati. - In secondo luogo, si è previsto il conferimento dei beni pubblici a fondi comuni di investimento immobiliare con l’utilizzo di società di gestione per la valorizzazione e l'alienazione dei beni. Parallelamente il legislatore ha previsto un trasferimento di beni pubblici dallo Stato alle regioni e agli enti locali, con norme ispirate al federalismo demaniale. Quel che ci interessa è lo status dei beni soggetti ad alienazione. Di regola, tali beni, quando ne sia disposto il trasferimento, entrano a far parte del patrimonio disponibile dello Stato o delle regioni o degli enti locali; con alcuni limiti, di volta in volta stabiliti dalla legge. È da dire, però, che lo status dei beni pubblici interessati dalle dismissioni e dalle alienazioni è sottoposto a continue modifiche normative che ne rendano incerta l'esatta determinazione. Nuove problematiche e necessità di una riforma: negli ultimi tempi si sono affacciate nuove questioni rilevanti in materia di beni. In particolare è emersa con forza la problematica dei beni comuni. Oggi non risulta facile definire i beni comuni e distinguerli dai beni pubblici. I beni comuni esprimono utilità funzionali all'esercizio di diritti fondamentali, nonché al libero sviluppo della persona. Se ne sono forniti elenchi esemplificativi, che includono beni già classificati dalla dottrina come comuni, quale l’aria: ma anche beni qualificati come pubblici o paesaggistici dalla legislazione vigente e inoltre beni sia pubblici che privati di interesse pubblico sottoposti a peculiare tutela, come i beni culturali. Si è sottolineato che tali beni soffrono di una situazione altamente cristica. In tal senso si è proposto che essi siano soggetti a un regime fortemente garantistico, idoneo ad assicurare la fruizione collettiva, o comune, da parte di tutti i consociati, compatibilmente con l’esigenza prioritaria della loro conservazione a vantaggio delle generazioni future. CAPITOLO 6 - Tipologia delle attività e situazioni soggettive Tipologia delle attività amministrative: ci sono differenti tipi di azione amministrativa: - Attività di funzione pubblica; - Attività di gestione o di controllo di servizi pubblici; - Attività d'impresa; - Attività di regolazione dei mercati. Poi ci sono due tipi principali di attività: - Attività pubblicistica e autoritativa / si esprime attraverso l'adozione di provvedimenti amministrativi. Gli effetti giuridici dei provvedimenti amministrativi si producono indipendentemente dal consenso degli amministrati. Sono atti unilaterali della pubblica amministrazione. Tale attività è soggetta anche a principi giuridici generali che trovano le loro radici nel diritto privato e comune: la buona fede, la correttezza, la libera concorrenza, la trasparenza; - Attività privatistica e consensuale / si pone in essere tramite l'adozione di strumenti pattizi: la stipulazione di contratti, di convenzioni, di accordi e di altri moduli consensuali. Le pubbliche amministrazioni perseguono fini diversi, ponendo in essere differenti tipi di azione amministrativa: l’attività di funzione pubblica, l’attività di gestione o di controllo dei servizi pubblici, l’attività d'impresa, l’attività di regolazione dei mercati. Funzioni pubbliche e servizi pubblici: il concetto d “funzione” assume significati diversi: - Un'attività che è giuridicamente rilevante nel suo complesso, cioè, un'attività comporta la sottoposizione di tutti i suoi elementi a controllo; - Funzione amministrativa, è l'insieme delle attività svolte dalle pubbliche amministrazioni. Essa ricomprende tanto le attività pubblicistiche e autoritative quanto le attività privatistiche e consensuali; - Funzione pubblica, tale nozione si è consolidata tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, quando è sorta la distinzione fra “pubbliche funzioni” (che sono le attività della pubblica amministrazione finalizzate a dettare prescrizioni), e “servizi pubblici” (che sono quelle attività, svolte o controllate da pubbliche amministrazioni, finalizzate a fornire prestazioni ai cittadini). Il termine “service public” emergeva dalla dottrina e dalla giurisprudenza francese già in periodo medievale, ma il relativo concetto giuridico si affermò agli esordi del XX secolo. La dottrina di francese introdusse dopo alcuni anni una distinzione. Il servizio pubblico di tipo amministrativo (erogato usualmente da una pubblica amministrazione; è soggetto a norme pubblicistiche); oppure di tipo economico (gestito da un’impresa privata o pubblica; è soggetto a norme privatistiche). È emerso, nel sistema giuridico europeo, il concetto di servizio universale (che trova applicazione ad alcune attività economiche riconducibili alla sfera dei servizi pubblici imprenditoriali, dal quale discendono una serie di obblighi di fornire il servizio su tutto il territorio a prezzi contenuti e - Viè un forte impatto del principio e delle regole di libera concorrenza, che incidono anzitutto sulle attività d'impresa, private e pubbliche, ma condizionano anche la regolazione dei mercati. Situazioni giuridiche soggettive, il potere discrezionali della pubblica amministrazione e la discrezionalità tecnica: il potere tipico che la pubblica amministrazione esprime ed esercita nell'attività pubblicistica e autoritativa, è la discrezionalità amministrativa. Fino agli anni ’30 del XX secolo, la visione liberale-borghese dello Stato e dell’amministrazione era quella dominante: lo Stato manifesta la propria volontà in nome di un interesse pubblico omogeneo, incidendo su interessi privati. Dagli anni ’30 del Novecento le cose sono cambiate e si è affermata una definizione del potere discrezionale fondata su di una concezione pluralista dei pubblici poteri e dei loro rapporti con i cittadini e con i gruppi sociali. Le pubbliche amministrazioni non perseguono un solo interesse pubblico, ma pluralità di interessi pubblici, collettivi, diffusi, privati. In tale contesto il potere discrezionale della pubblica amministrazione consiste nella ponderazione di interessi. Il controllo del giudice amministrativo sul provvedimento amministrativo riguarda la legittimità (non il merito) della scelta discrezionale. Nell’attività autoritativa, la pubblica amministrazione può anche essere titolare di una diversa posizione giuridica, che si concreta nell’esercizio di discrezionalità tecnica e comporta l'applicazione di regole tecniche a una determinata fattispecie. L'autonomia negoziale della pubblica amministrazione: nell’attività privatistica e contrattuale la pubblica amministrazione fa valere una posizione giuridica soggettiva di autonomia negoziale. Quando l’amministrazione contratta, o stipula convenzioni, sta su di un piano di parità. Non può costituire, modificare, estinguere unilateralmente situazioni soggettive. Tutto si basa sul consenso. Vi possono essere momenti pubblicistici che precedono la vicenda pattizia. Quando il contratto, la convenzione o l'accordo sono stipulati, possono intervenire misure di diritto pubblico. Ad esempio nell’accordo integrativo o sostitutivo di un provvedimento amministrativo, l’amministrazione può recedere unilateralmente per pubblico interesse. AI di là di questi momenti, la vita del rapporto consensuale rientra nella logica del diritto privato. La competenza giurisdizionale sull’esercizio dell'autonomia negoziale della pubblica amministrazione è di regola del giudice ordinario. Ci sono però casi in cui vale la giurisprudenza esclusiva del giudice amministrativo: è così, ad esempio, per le concessioni amministrative di beni e servizi pubblici. L'interesse legittimo e il diritto soggettivo: di fronte alla puissance publique l’amministrato era in posizione di soggezione. In Italia la legge del 1865 sul contenzioso amministrativo stabilì di devolvere alla giurisdizione del giudice ordinario tutte le cause per contravvenzioni e tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico. In tal modo si riconosceva che di fronte al potere amministrativo potessero sussistere diritti soggettivi del privato e che ad essi fosse garantita la tutela giurisdizionale dinanzi ai giudici ordinari. Ma vi potevano essere affari con compresi. La tutela di questi fu affidata alle autorità amministrative, le quali provvederanno con decreti motivati, sentiti i pareri previsti dalle leggi, e si stabilì che contro tali decreti si potesse proporre il ricorso amministrativo per via gerarchica. La legge del 1865 ebbe però un’attuazione incompleta. Si venne a stabilire un’incompatibilità tra potere amministrativo e diritto soggettivo. Quando la pubblica amministrazione agisce come potere, trova dinanzi a sé situazioni soggettive private che non sono diritti. Si tratta di situazioni giuridiche che non ricevono tutela giurisdizionale, ma amministrativa. | diritti soggettivi sussistono solo se la pubblica amministrazione agisce in una posizione di parità rispetto agli amministrati. In definitiva, di fronte all’esercizio del potere amministrativo la protezione degli amministrati era molto precaria. Nel 1889 il legislatore intervenne per assicurare una tutela più adeguata alle situazioni soggettive non qualificabili come diritti. La |. 5992/1889 istituì la Quarta sezione del Consiglio di Stato per la giustizia amministrativa, affidando ad essa la competenza a decidere i ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere o per violazione di legge contro atti e provvedimenti di un'autorità amministrativa o di un corpo amministrativo deliberante. Si tratta di un cambiamento fondamentale. È stato Oreste Ranelletti, ad elaborare per primo, la teoria dell’interesse legittimo. In sintesi, la costruzione concettuale è questa: di fronte ai poteri d’imperium della pubblica amministrazione, l’amministrato è titolare di un interesse privato che, per la sua realizzazione, è strettamente condizionato al perseguimento dell'interesse pubblico. Se la concessione viene illegittimamente negata, o data ad altri, il privato può far valere un rimedio di tipo giurisdizionale, chiedendo alla Quarta sezione l'annullamento del provvedimento di diniego o di concessione ad altro soggetto. Nella ricostruzione di Ranelletti, la forza dell'interesse pubblico è tale che il diritto si affievolisce, degrada di fronte al potere amministrativo. La distinzione tra interesse legittimo e diritto soggettivo vale sul piano pratico come criterio di riparto tra giurisdizione del giudice amministrativo (Quarta sezione) e giurisdizione del giudice ordinario. Nel secondo Novecento, si ha un’importante evoluzione, che porta a qualificare l'interesse legittimo come situazione soggettiva sostanziale, che riceva tutela ancora prima dell’adozione del provvedimenti. La dottrina ha spiegato che preesiste alla decisione amministrativa un rapporto fra amministrazioni e amministrato. L’amministrazione ha l'obbligo di tenere in adeguata considerazione le osservazioni dell’amministrato, pena l'invalidità del provvedimento finale. L’interesse legittimo, non è munito del potere decisionale di fondo che caratterizza il diritto soggettivo. Tale potere di fondo spetta alla pubblica amministrazione, che però deve attentamente valutare tutte la ragioni fatte valere dal privato prima della decisione. Il diritto soggettivo, invece, ha usualmente di fronte a sé una situazione passiva dell’amministrazione, di dovere o di obbligo, come accade nell’attività privatistica della pubblica amministrazione. Differenze fra interesse legittimo e diritto soggettivo: il maggior effetto è stata l'individuazione del giudice competente. Il giudice amministrativo per le controversie sugli interessi legittimi e il giudice ordinario per le dispute sui diritti soggettivi. L’introduzione della giurisdizione amministrativa esclusiva, che consenta al giudice amministrativo di conoscere non solo di interessi legittimi, ma anche di diritti soggettivi, ha ridotto I0Oimportanza pratica della distinzione tra interessi e diritti. Recentemente, la Corte costituzionale, al fine di circoscrivere l'ambito della giurisdizione amministrativa esclusiva, che si era andato dilatando a dismisura, ha stabilito che tale giurisdizione sussiste soltanto se il privato trova dinanzi a sé un’amministrazione che agisce in veste di autorità, che esercita un potere autoritativo (art. 103 Cost.). Non basta più il solo criterio della materia attribuita per legge a tale giurisdizione. Storicamente, le situazioni giuridiche soggettive contrapposte al potere amministrativo sono gli interessi legittimi, poiché la giurisdizione esclusiva deve riguardare questioni relativi al potere amministrativo. Oggi, il codice del processo amministrativo considera l'esercizio del potere amministrativo autoritativo come criterio generale per l'individuazione della giurisdizione amministrativa, anche al di là di quella esclusiva, e al tempo stesso continua a riferirsi a situazioni soggettive. Sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l'esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere. L’altro effetto concreto rilevante della distinzione fra interessi legittimi e diritti soggettivi era quello del risarcimento del danno ingiusto causato dalla pubblica amministrazione, tradizionalmente ammesso solo per la lesione di diritti soggettivi e non di interessi legittimi. Il pieno riconoscimento della risarcibilità degli interessi legittimi si è avuto quando la tutela risarcitoria è stata ammessa anche in assenza di un diritto soggettivo preesistente. Rimane un’unica differenza concreta tra risarcimento per violazione dei diritti soggettivi e risarcimento per lesione degli interessi legittimi. Nelle ipotesi di risarcimento per lesione di interesse legittimo derivante da provvedimento amministrativo illecito, l’azione di condanna dinanzi al giudice amministrativo può proporsi nei termini di decadenza e non di prescrizione come è per la lesione di diritti soggettivi. In definitiva, le differenze sul piano pratico tra diritti soggettivi e interessi legittimi si sono attenuate, e potrebbero essere destinate a scomparire, anche perché il diritto dell’Unione Europea non conosce la distinzione. = Inalcunicasi vale il silenzio assenso (l’inerzia equivale a provvedimento di accoglimento della domanda); = Un’eccezione si ha se la legge qualifica espressamente l’inerzia della pubblica amministrazione come rigetto dell’istanza; = Aldi fuori dell’ambito del silenzio assenso, e ove non vi sia una previsione legislativa esplicita che equipari il silenzio al rigetto dell’istanza, se l’amministrazione non provvede nel termine si ha il silenzio inadempimento. L’amministrazione è inadempiente perché non ha concluso il procedimento. Per i casi di silenzio inadempimento è previsto il ricorso al giudice amministrativo avverso l'inerzia dell’amministrazione, che può essere proposto anche senza necessità di diffida fino a che perdura l'inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza del termine. Il ricorrente chiede l'accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere. Il giudice può ordinare che l’amministrazione rimasta inerte provveda entro un termine. In taluni casi, ove si tratti di attività vincolata dell’amministrazione o quando risulti che non residuano ulteriori margini di discrezionalità, il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio. Se la reputa fondata, può ordinare l'adozione di un determinato provvedimento (art. 2 comma 8). Al rimedio giurisdizionale si aggiunge ora la tutela amministrativa: il privato, allo scadere del termine di conclusione del procedimento, può richiedere l’intervento di un altro funzionario previamente designato dall’amministrazione per concludere il procedimento (art. 2 comma 9). La mancata emanazione del provvedimento nei termini costituisce comunque elemento di valutazione della responsabilità del dirigente amministrativo. È prevista, inoltre, un'azione di risarcimento per il danno ingiusto nei casi di inosservanza dolosa o colposa del termine. Obbligo di motivazione del procedimento: anche l'obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo rientra fra i principi del procedimento. La legge generale sul procedimento prevede alcuni limiti all’obbligo di motivazione, poiché questa non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale (art. 3 comma 2). È ammessa la motivazione per relationem, ossia risultante da un altro atto dell’amministrazione richiamato nel provvedimento. Vi è un limite; l’atto deve essere reso disponibile e indicato (art. 3 comma 3). Di recente è stata introdotta la “sentenza in forma semplificata” ossia la possibilità per l’amministrazione di concludere il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo (art. 2 comma 1). Per chiudere sui “principi” del procedimento amministrativo, va ricordato l’uso della telematica, la norma è finalizzata a soddisfare le esigenze di maggiore efficienza degli apparati amministrativi (art. 3 bis). Gli altri istituti del procedimento amministrativo. Metodo di analisi: due principali aspetti del procedimento sono: - Le garanzie di partecipazione degli interessati al procedimento; - profili di semplificazione dell’azione amministrativa. Partecipazione e semplificazione tagliano trasversalmente le fasi del procedimento. Le garanzie di partecipazione emergono soprattutto nell’istruttoria, dove l’amministrato può prendere visione dei documenti amministrativi e far valere le sue ragioni. Ma tali garanzie caratterizzano anche la fase decisoria. Invece, gli strumenti di semplificazione procedimentale in parte caratterizzano la fase istruttoria, ma riguardano anche la fase decisionale. Il responsabile del procedimento: innovazione introdotta dalla |. 241/1990, la figura del responsabile del procedimento consente agli amministrati di avere un interlocutore certo: - L’unità organizzativa responsabile / le pubbliche amministrazioni sono tenute a determinare per ciascun tipo di procedimento relativo ad atti di loro competenza, l’unità organizzativa responsabile della istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale. - Il funzionario responsabile / di qui si giunge all’identificazione del funzionario responsabile tramite un atto del dirigente dell’unità organizzativa responsabile che può assegnare a sé medesimo o ad altro dipendente dell’unità, la responsabilità dell'istruttoria ed, eventualmente, dell’adozione del provvedimento finale (art. 5 comma 1). Finché non vi sia l’identificazione del funzionario responsabile, la responsabilità è in capo al preposto all’unità organizzativa (art. 5 comma 2). - Compiti del responsabile / il responsabile adotta ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell'istruttoria. A tal fine: ® Valutai prerequisiti per l'emanazione del provvedimento; ® Accertafatti (l'accertamento dei fatti può essere semplice o complesso). Può riguardare semplicemente dati quali l’età o il luogo di nascita di un privato. Vi può essere necessità di accertamenti tecnici complessi (riguardanti, ad es. lo stato dei luoghi ai fini dell’espropriazione). Se si richiedono competenze specialistiche, il responsabile può far ricorso a soggetti particolarmente qualificati; * Puòesperire ispezioni e ordinarie esibizioni documentali (particolarmente delicate le ispezioni; l’amministrazione viene a incidere su diritti fondamentali). Vi è, dunque, sempre la necessità di un fondamento normativo espresso, che preveda e giustifichi l'ispezione. Alle ispezioni non trova applicazione l’istituto della comunicazione di avvio del procedimento; * Propone l’indizione o indice la conferenza di servizi; * Curailregolare andamento della partecipazione e del contraddittorio procedimentale, che si instaurano con le osservazioni dei privati (art. 6 comma 1). In taluni casi il responsabile può essere competente all'adozione del provvedimento finale. Usualmente, il responsabile trasmette dagli atti istruttori all'organo competente ad adottare la decisione. Quest'ultimo non può discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria. Da questo si deduce che gli esiti istruttori incidono fortemente sulla decisione. La recente normativa “anticorruzione”, infine, ha espressamente introdotto l’obbligo di astensione in caso di conflitto di interesse. Le garanzie di partecipazione al procedimento: la “voce” : l’amministrato può far valere la propria voce prima che la decisione sia presa. La comunicazione di avvio al procedimento / a seguito dell'istanza privata o dell'iniziativa d’ufficio, interviene la comunicazione di avvio del procedimento. La comunicazione di avvio è rivolta ai diretti destinatari del provvedimento e ai soggetti che per legge debbono intervenirvi; ed anche ai soggetti ai quali possa derivare un pregiudizio dal provvedimento finale (art. 7 comma 1). Ancor prima della comunicazione, resta salvo il potere della pubblica amministrazione di adottare provvedimenti cautelari (art. 7 comma 2). La comunicazione deve essere personale, al singolo destinatario: qualora ciò non sia possibile, si può ricorrere a forme di pubblicità idonee, di volta in volta stabilite dall’amministrazione. Gli elementi che devono essere contenuti nella comunicazione sono: O L’oggetto del procedimento; O L'ufficio e la persona responsabile del medesimo; O Il termine di conclusione; O L'ufficio presso il quale si può prendere visione dei documenti. La facoltà di presentare memorie e l'obbligo dell’amministrazione di valutarle / i destinatari della comunicazione di avvio e gli interventori possono prendere visione dei documenti e possono far valere le proprie ragioni presentando memorie scritte e documenti (art. 10 comma 1). Vi sono procedimenti speciali in cui sono previste audizioni orali. Nei confronti delle memorie scritte presentate dagli interessati, la pubblica amministrazione ha l’obbligo di valutarle ove siano pertinenti all'oggetto del procedimento (art. 10 comma 1 lettera b). La mancata osservanza di tale obbligo può rendere il provvedimento finale viziato da eccesso di potere per incompleta istruttoria. Un'altra possibile ipotesi è, ad es. se l’amministrazione accoglie le osservazione scritte presentate dai soggetti interessati, può concludere accordi integrativi o anche sostitutivi del provvedimento finale. Una sorta di integrazione delle garanzie di partecipazione procedimentale si ha nell’ipotesi di comunicazione anticipata dei motivi del diniego nei procedimenti a istanza di parte; I limiti delle garanzie di partecipazione e gli atti amministrativi generali / le garanzie non si applicano nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione (Art. 13). Il rinvio alle norme speciali sulle garanzie di partecipazione ai procedimenti può condurre a esiti molto diversi. Le garanzie di partecipazione al procedimento: la “visione” : il nostro ordinamento, con la I. 241/1990, ha introdotto insieme la garanzia della “voce” e della “visione”. Il diritto di accesso ai documenti amministrativi / è il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia dei documenti amministrativi (Art. 22, comma 1, lettera a). Tale diritto è diventato ormai principio generale del diritto amministrativo ed è volto a favorire la partecipazione e ad assicurare l’imparzialità e la trasparenza (art. 22, comma 2). Tutti i documenti amministrativi sono accessibili, ad eccezione di quelli indicati in modo tassativo ed esaustivo della legge (art. 22, comma 3). Si può avere un accesso extra-procedimentale e un accesso procedimentale, nell’ambito dell’istruttoria amministrativa. Il diritto di obbligatoria, l'’amministrazione provvede tempestivamente a trasmettere i dati al richiedente. In caso di rifiuto, differimento o limitazione dell’accesso, il provvedimento negativo deve essere motivato con riferimento ai limiti e alle esclusioni menzionati. Nell’ipotesi di diniego o di mancata risposta, il richiedente può presentare domanda di riesame al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza. Vi sono norme comuni ai due tipi di accesso civico. In entrambi i casi, l'esercizio del diritto di accesso non è soggetto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva. - Ledifferenzeei rapporti tra i diversi tipi di accesso / quanto all'ambito soggettivo di applicabilità delle norme sui vari tipi di accesso, le disposizioni della |. 241/1990 si applicano alla pubblica amministrazione, intendendosi come tale “tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario” (art. 22, comma 1). Il soggetto che chiede l’accesso deve essere titolare di “un’interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”. Occorre, dunque, far valere una posizione giuridica differenziata per vantare una legittimazione all'accesso; ed è necessario che la richiesta di accedere sia motivata. Viceversa “chiunque” può chiedere l’accesso civico alle informazioni per le quali sussiste un obbligo di pubblicazione rimasto inadempiuto; e “chiunque” può chiedere l’accesso civico alle informazioni “ulteriori” la cui pubblicazione non è obbligatoria. Dunque, per i due tipi di accesso civico non vi è alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente, ne è necessaria la motivazione dell’istanza di accedere. Più complesso è il discorso per l’accesso civico alle “ulteriori” informazioni, per le quali non è previsto l'obbligo di pubblicazione. In tal caso, i limiti e le esclusioni appaiono più esteso rispetto a quelli previsti per l’accesso regolato dalla |. 241. Infatti, il legislatore ha utilizzato formule assai ampie per individuare i casi in cui l’accesso civico è rifiutato o escluso. Resta da dire dei rapporti fra i diversi tipi di accesso. La ratio delle norme sull’accesso previsto dalla |. 241, da un lato, e delle disposizioni sui due tipi di accesso civico, dall’altro. L’accesso disciplinato dalla |. 241 serve essenzialmente per tutelare situazioni giuridiche degli interessi che hanno subito o possono subire un pregiudizio dall'azione amministrativa. L’accesso disciplinato dalla |. 241 può essere anche extra-procedimentale; ma pure in tal caso il diritto privato fa valere un proprio interesse o diritto specifico che è stato o può essere pregiudicato dall'azione amministrativa. Diverso il fondamento dell’accesso civico. Entrambe le ipotesi di tale tipo di accesso trovano la loro origine nelle norme attuative della legge sulla corruzione (I. 190/2012). La ratio dell’accesso civico non è, dunque, quella di tutelare situazioni soggettive degli amministratori che rischiano di subire pregiudizi dall’azione amministrativa, ma quella di assicurare a tutti il diritto di accesso alle informazioni, salvi i limiti. L’accesso civico, per queste ragioni dovrebbe trovare applicazione essenzialmente in sede extra-procedimentale. La semplificazione del procedimento: è quello dell’efficienza l’altro aspetto determinante del procedimento amministrativo. L'efficienza necessita della semplificazione. Diverse sono le forme di semplificazione. Le principali riguardano la semplificazione normativa e la semplificazione del procedimento. Le principali forme di semplificazione procedimentale introdotte dalla |. 241/1990 sono: - Pareri/sonoatti strumentali del procedimento che intervengono nella fase dell’istruttoria. Sono dichiarazioni di giudizio o di opinione delle quali l’amministrazione che adotta il provvedimento finale si avvale per raggiungere una decisione che tenga in adeguata considerazione gli interessi o gli elementi tecnico-conoscitivi che rientrano nella competenza dell’organo che formula il parere. Può essere obbligatorio o facoltativo: O Nel primo caso è la legge che prevede l'obbligo di richiedere il parere; O Nelsecondo caso è l’autorità competente ad adottare il provvedimento finale che può chiedere il parere, se lo ritiene utile al fine di prendere una decisione più meritata. Effetti - non vincola l’autorità decidente, ha valore consultivo, ma l’autorità decidente deve motivare nel caso in cui la misura che adotta si discosti dal parere ricevuto. Vi sono alcuni casi di pareri vincolanti. | pareri obbligatori vanno resi entro venti giorni dal ricevimento della richiesta. Se si è richiesto un parere facoltativo, l'organo consultivo deve immediatamente comunicare il termine entro il quale il parere sarà reso. Se il parere non è reso nei termini previsti, l'autorità richiedente procede indipendentemente dall'espressione del parere. L'organo consultivo può rappresentare esigenze istruttorie, chiedendo precisazioni o informazioni ulteriori; in tal caso, i termini menzionati possono essere interrotti per una sola volta e il parere deve essere reso definitivamente entro quindici giorni dal ricevimento degli elementi istruttori (art. 16, comma 4). Tali forme di semplificazione non si applicano se i pareri debbono essere resi da amministrazioni pubbliche preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della saluta dei cittadini (art. 16, comma 3). - Valutazioni tecniche / sono atti strumentali del procedimento che intervengono nella fase istruttoria. Sono dichiarazioni di giudizio. Si concretano di regola in accertamenti tecnici complessi di fatti o situazioni materiali svolti da organismi dotati di elevata competenza specialistica. Le valutazioni tecniche sono di regola effettuate da organi o enti appositi, diversi dall’amministrazione decidente. Le disposizioni legislative o regolamentari che prevedono la valutazione tecnica rilasciata da un organismo apposito possono stabilire un termine entro il quale l'accertamento deve essere effettuato; in mancanza, vale il termine di novanta giorni dal ricevimento della richiesta di valutazione tecnica. Se l'organismo apposito non provvede alla valutazione entro i termini, il responsabile del procedimento deve chiedere le suddette valutazioni tecniche ad altri organi dell’amministrazione. Eccezioni alla semplificazione - la norma non si applica se la valutazione debba essere effettuata da organismi preposti alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e della salute dei cittadini (art. 17, comma 2). | termini per produrre la valutazione possono essere interrotti una sola volta e la valutazione deve essere effettuata entro quindici giorni dal ricevimento degli elementi istruttori (art. 17, comma 3). Vanno distinte le valutazioni tecniche poste in essere dalla stessa amministrazione che adotta il provvedimento finale. Questa ipotesi ricorre ove si tratti di amministrazioni dotate di particolare expertise tecnica. È un accertamento complesso. Se la valutazione preliminare dà esito negativo, non può censurarsi l'abuso; - Autocertificazioni / sono gli atti amministrativi dichiarativi tramite i quali un pubblico ufficio attesta un determinato fatto, un atto, uno stato, una qualità personale, attribuendo ad essi certezza. Hanno una funzione allo stesso tempo dichiarativa e accertativa. Il certificato, invece, è il documento che contiene la certificazione e ha funzione di ricognizione, riproduzione o partecipazione a terzi di stati. Ha, di regola, l'efficacia dell’atto pubblico. La |. 241/1990, nell’intento di semplificare, riducendo i carichi di lavoro degli uffici pubblici e gli oneri di documentazione dei privati, consente all'interessato di poter provare determinati fatti, atti, stati e qualità personali senza esibire i relativi certificati. Sono previste forme di semplificazione che si concretano in dichiarazioni sostitutive. Vi sono due tipi di dichiarazioni: O Ladichiarazione sostitutiva di certificazione: è un atto privato sottoscritto dall'interessato, prodotto in sostituzione del certificato come definito dalla legge; O Ladichiarazione sostitutiva di atto di notorietà: è un documento sottoscritto dall'interessato concernente stati, qualità personali e fatti che siano di sua diretta conoscenza, non compresi in pubblici registri, albi ed elenchi e, dunque, non suscettibili di essere comprovati con dichiarazione sostitutiva di certificazione. Le dichiarazioni sostitutiva non hanno piena funzione certificatoria, ma attenuano, con finalità de semplificazione, l'onere di documentazione del privato. Resta ferma la facoltà di verificare la veridicità e l'autenticità delle attestazioni prodotte. La |. 241/1190 prevede ulteriori semplificazioni in materia di documentazione. | documenti necessari per l’istruttoria del procedimento sono acquisiti d'ufficio quando sono in possesso dell’amministrazione procedente, può richiedere agli interessati i soli elementi necessari per la ricerca dei documenti (art. 18, comma 2). - Conferenzadi servizi / in questo caso la semplificazione si ottiene garantendo raccordi efficaci fra pubbliche amministrazioni diverse che intervengono nel medesimo procedimento o in procedimenti amministrati’ Può intervenire nella fase istruttoria del procedimento, o nella fase più propriamente decisoria. connessi. La conferenza in fase istruttoria non è obbligatoria, può essere indetta su richiesta dell’amministrazione precedente o di altra amministrazione coinvolta nel procedimento o del privato interessato (art. 14, comma 1). La conferenza di servizi nella fase decisoria è obbligatoria quando la conclusione del procedimento è subordinata all’acquisizione di intese, concerti, nulla osta o assensi comunque denominati di altre amministrazioni pubbliche. Tale conferenza può essere indetta anche su richiesta del soggetto interessato quando l’attività del privato è subordinata a più atti di assenso, di competenza di diverse amministrazioni pubbliche (art. 14, comma 2). È invece facoltativa se nello stesso termine sia intervenuto il dissenso di una o più amministrazioni interpellate. Facoltativa è anche la conferenza dedicata all'esame contestuale di interessi pubblici coinvolti in più procedimenti amministrativi connessi. preliminare. L'atto di tipo autorizzatorio, per poter essere sostituito dall’atto del privato, deve essere privo di discrezionalità amministrativa: esso deve limitarsi al mero accertamento dei requisiti di legge e la SCIA non si applica nelle ipotesi nelle quali sia previsto un numero massimo di autorizzazioni, poiché ciò lascia all’amministrazione un margine di valutazione discrezionale. In base al regime SCIA, resta alla pubblica amministrazione un potere di intervento ex post. Si tratta di un controllo successivo che può essere esercitato entro sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di inizio dell'attività. Ove l’amministrazione accerti l'assenza di questi requisiti ha il potere-dovere di adottare motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività. Ove sia possibile conformare l’attività l’amministrazione può prescrivere le misure necessarie fissando un termine non oltre i trenta giorni entro il quale il privato è tenuto a conformarsi, in mancanza l’attività è vietata. | provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività privata sono atti interdittivi. Le controversie sorte nell’applicazione delle norme sulla SCIA sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. È stato, tra l’altro, affrontato il problema della tutela del terzo che lamenti un pregiudizio derivante dall'inizio dell’attività oggetto di SCIA. La giurisprudenza aveva sostenuto che il terzo poteva esperire un'azione di annullamento avverso il provvedimento tacito di diniego della misura interdittiva che viene in essere dopo il decorso dei sessanta giorni previsti per l'esercizio del potere di interdizione. La stessa giurisprudenza aveva affermato che prima che si formasse tale provvedimento tacito, lo strumento di tutela del terzo era, invece, l’azione di accertamento. Ma il legislatore è intervenuto sul punto, stabilendo che gli interessati possono sollecitare le verifiche di spettanza dell’amministrazione e, in caso d'inerzia, esperire esclusivamente l’azione avverso il silenzio. Le fattispecie escluse dalla SCIA (Art. 19, comma 1) sono gli atti delle amministrazioni preposte alla cura di particolari interessi. Silenzio assenso / nei procedimenti avviati su istanza di parte, l’inerzia della pubblica amministrazione può dar luogo ad esiti diversi. Vi sono casi in cui le norme espressamente qualificano il silenzio protratto oltre il termine come rigetto dell’istanza. Si parla in tali ipotesi di silenzio rigetto o di silenzio diniego. Può esservi il silenzio inadempimento, quando non vi sono qualificazioni normative esplicite. Ma l'ipotesi con la portata più estesa, è quella in cui l'inerzia medesima è da intendersi come accoglimento dell’istanza: silenzio assenso. È un importante forma di semplificazione procedurale: il decorso del tempo gioca a favore dell’amministrato e non si richiedono particolari indagini della pubblica amministrazione ai fini dell’accoglimento dell’istanza. Nei procedimenti di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi, il silenzio dell’amministrazione decidente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda se la stessa amministrazione non comunica all’istante, nei termini di conclusione del procedimento, il provvedimento negativo o non indice, entro trenta giorni dalla presentazione dell’istanza, una conferenza di servizi. Nei casi di silenzio assenso, la legge prevede che l’amministrazione possa assumere decisioni in via di autotutela, adottando provvedimenti di revoca o di annullamento d'ufficio. Il silenzio assenso non opera: - nel caso di atti e procedimenti che intervengono in materie richiamate anche dalle norme sulla SCIA tra le ipotesi escluse dalla sua applicazione (atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale, immigrazione, difesa nazionale etc. non sono però indicate l’amministrazione della giustizia e delle finanze); - casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali, non taciti; - ipotesi in cui la legge qualifica esplicitamente il silenzio assenso come rigetto dell’istanza; - gli atti e i procedimenti appositamente indicati in decreti del Presidente del Consiglio. Inoltre, le amministrazioni pubbliche devono pubblicare l'elenco dei procedimenti che possono concludersi con il silenzio assenso dell’amministrazione. Il silenzio assenso tra amministrazioni pubbliche / ove sia prevista l'acquisizione di assensi, concerti o nulla osta di amministrazioni pubbliche o di gestori di beni e servizi pubblici per l'adozione di provvedimenti normativi o amministrativi di competenza di altre amministrazioni pubbliche, le amministrazioni o i gestori comunicano il loro assenso, o concerto, o nulla osta entro un termine di trenta giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento. Il termine si interrompe se i soggetti che debbono rendere il loro assenso, o concerto, o nulla osta, richiedano integrazioni istruttorie; dalla ricezione degli elementi istruttori decorrono altri trenta giorni. Scaduti i termini suddetti senza che sia stato comunicato l’assenso, il concerto, o il nulla osta, l'atto s'intende acquisito. Ove non vi sia stato accordo tra amministrazioni statali coinvolte, è previsto un intervento del Presidente del Consiglio, il quale, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, decide sulle modifiche da apportare allo schema di provvedimento. Tali disposizioni valgono anche nei casi in cui l'assenso, il concerto o il nulla osta spetta ad amministrazioni pubbliche preposte alla cura di interessi qualificati, in questi casi il termine non è di trenta giorni ma di novanta. Le disposizioni non valgono là dove il diritto dell’Unione Europea preveda l'adozione di provvedimenti espressi; né si applicano là dove sia prevista l'acquisizione di pareri o valutazioni tecniche, fattispecie che sono regolate dalle apposite norme dedicate. Altre semplificazioni procedimentali / la |. 124/2015 ha introdotto ulteriori semplificazioni procedimentali. In particolare, ha previsto che siano dettate norme di semplificazione e accelerazione, mediante riduzione dei termini di conclusione, di alcuni procedimenti aventi importanti effetti sull'economia e sull'occupazione. Si tratta dei procedimenti relativi a rilevanti insediamenti produttivi, a opera di interesse generale o all’avvio di attività imprenditoriali suscettibili di produrre effetti favorevoli in termini di crescita economica e di occupazione. Il regolamento ha precisato che la riduzione dei termini di conclusione riguarda procedimenti aventi ad oggetto autorizzazioni, licenze, concessioni non costitutive, permessi o nulla osta necessari per la localizzazione, la progettazione e la realizzazione delle opere, lo stabilimento degli impianti produttivi e l’avvio delle attività imprenditoriali. Sono inclusi i procedimenti di competenza di amministrazioni preposte alla cura di interessi pubblici qualificati, come la tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico, la tutela della salute e della pubblica incolumità. I termini di conclusione dei progetti riguardanti i progetti così individuati possono essere ridotti in misura non superiore al 50% rispetto ai termini stabiliti in base all’art. 2 della 1.241/1990. Per gli stessi procedimenti è previsto inoltre, previa diffida, il potere sostitutivo del Presidente del Consiglio, o di un suo delegato, in caso di inutile decorso del termine procedimentale ordinatorio o eventualmente ridotto: è richiesta la preliminare deliberazione del Consiglio dei ministri. Ambito di applicazione della |. 241/1990: si applica integralmente alle amministrazioni statali e agli enti pubblici nazionali. Alcune sue norme valgono per tutte le amministrazioni pubbliche, anche alle società a capitale pubblico totale o prevalente, limitatamente all'esercizio delle funzioni amministrative (art. 29). Regioni ed enti locali sono tenuti al rispetto dei principi ricavabili da tale legge. Regioni ed enti locali, in tali casi, non possono stabilire garanzie minori, bensì maggiori livelli di tutela. Ai soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative si applicano i principi generali, cioè: la legalità; l’economicità; l'efficacia; la pubblicità; la trasparenza e i principi dell’ordinamento comunitario. Singole disposizioni della |. 241/1990, poi, contengono norme specifiche sui limiti di applicabilità della stessa legge. Diversi procedimenti amministrativi sono soggetti a normative speciali. In tali casi, di regola, la |. 241 viene applicata in via integrativa. non entra più in gioco in virtù di un principio non scritto. È necessaria una previsione espressa della legge, di volta in volta. In ogni caso, il provvedimento costitutivo di obblighi deve indicare il termine e le modalità dell’esecuzione da parte del soggetto obbligato. Qualora l'interessato non ottemperi, la pubblica ‘amministrazione è tenuta ad adottare una previa diffida e, su questa base, può provvedere all’esecuzione coattiva. L’invalidità del provvedimento: i casi di annullabilità. Le ipotesi di illegittimità non invalidante: la |. 241/1990 ha elencato i tre vizi di legittimità: - Incompetenza: la competenza è la misura dell’attribuzione. L'attribuzione è l'affidamento ad una pubblica amministrazione della cura di una serie di interessi pubblici; - Convalida: un provvedimento adottato da un organo sprovvisto della competenza specifica, è effetto dal vizio di incompetenza, e può essere convalidato tramite l’adozione del provvedimento da parte dell’organo competente; - Violazione di legge: non conformità del provvedimento rispetto ad una disposizione normativa specifica. Ci sono due ipotesi di illegittimità non invalidante: - Nonè annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti se il provvedimento medesimo ha natura vincolata, dunque non discrezionale, e sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato; - Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizi che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. L’invalidità del provvedimento: i casi di nullità: la nullità comporta l’inefficacia ab initio di un atto. Si è discusso se si trattasse di vera e propria nullità, o di inesistenza del provvedimento amministrativo. In dottrina si è detto che, per aversi nullità del provvedimento, deve trattarsi di casi in cui vi siano vizi radicali. La giurisprudenza ha avuto una svolta importante, quando la cassazione ha introdotto la categoria della carenza di potere. Si tratta di casi in cui il potere amministrativo manca del tutto. Poiché il potere non esiste, dunque, non è imperativo e lascia inalterata la sfera giuridica del destinatario. La giurisprudenza di cassazione ha sostenuto che la carenza di potere vi fosse, in primo luogo, nei casi di difetto di attribuzione, cioè in quelle ipotesi in cui non vi è incompetenza, ma sussiste il vizio più radicale di mancanza di attribuzione. La suprema corte ha ricondotto alla carenza di potere anche altre ipotesi, caratterizzate dalla mancanza di un presupposto essenziale per l'emanazione di un provvedimento. Il legislatore, con la |. 241/1990, è intervenuto in materia di nullità, dandone ora un fondamento esplicito. La norma stabilisce che vi è nullità del provvedimento amministrativo se ne mancano gli elementi essenziali, se vi è difetto assoluto di attribuzione, o se il provvedimento medesimo è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi previsti dalla legge. - Mancanza degli elementi essenziali: in assenza di una previsione normativa che identifichi gli elementi essenziali del provvedimento amministrativo, non è agevole stabilire i confini della prima ipotesi di nullità indicata dal legislatore. - Difetto assoluto di attribuzione: questa ipotesi viene sostanzialmente a coincidere con la carenza di potere in astratto. Deve trattarsi, dunque, di casi in cui è stato adottato un atto che esula dall’attribuzione della branca di amministrazione che ha provveduto. La giurisprudenza però preferisce ricondurre all’annullabilità, e non alla nullità. - Violazione o elusione del giudicato: l’ipotesi di violazione o di elusione del giudicato che sussiste quando un provvedimento dell’amministrazione pubblica non si conforma ad una sentenza passata in giudicato, è rilevante per le conseguenza in termini di competenza giurisdizionale. - Altricasi previsti dalla legge: detta previsione legislativa mostra che questo tipo di patologia deve restare in un ambito circoscritto. Tra le ipotesi previste dalla legge si possono ricordare: i casi di assunzione all'impiego pubblico in assenza di concorso; gli accordi procedimentali non stipulati in forma scritta; gli atti straordinaria amministrazione adottati da organi collegiali prorogati. Per quanto riguarda il problema per la competenza giurisdizionale abbiamo due ipotesi: - Se si assume che il criterio di individuazione della giurisdizione del giudice amministrativo consista nell’esercizio di potere amministrativo, dovrebbe concludersi che la giurisdizione spetti al giudice ordinario poiché nei casi di nullità il potere manca e non può essere esercitato. - Se invece si sceglie di dar rilievo anche alle situazioni giuridiche soggettive, la competenza dovrebbe essere del giudice ordinario nei casi in cui il privato sia titolare di un preesistente diritto soggettivo che non viene degradato dal provvedimento affetto da nullità in quanto l’atto non produce alcun effetto. La prima ipotesi è sicuramente quella preferibile. I provvedimenti amministrativi di secondo grado: sono quelli con i quali l’amministrazione interviene su provvedimenti precedenti per modificarne, rimuoverne o confermare gli effetti. I provvedimenti di secondo grado sono emanati: - Sulla base di un ricorso amministrativo per il ripristino della legalità violata; - Suiniziativa dell’amministrazione. Nel primo caso, implica che, sussistendone i presupposti il ricorso sia stato proposto. Le norme sulla giustizia amministrativa disciplinano in dettaglio i procedimenti innescati dai ricorsi amministrativi. Nella seconda ipotesi, è la stessa funzione amministrativa che ha espresso il provvedimento di primo grado che ricorre al provvedimento di secondo grado: persegue, sempre, lo stesso interesse pubblico che ha determinato l’adozione del precedente provvedimento. Gli atti di secondo grado si suddividono in: - Attiche tendono alla conservazione o alla permanenza degli effetti del provvedimento; O Sanatoria; o Convalida. - Atti che tendono alla interruzione, all'eliminazione o alla modifica di tali effetti; o L'annullamento d'ufficio; O Larevoca; O Lariforma. La sanatoria è l’effetto di conservazione dell’efficacia di un atto, a seguito dell’eliminazione di un vizio. La convalida, invece, è l’atto con il quale l’amministrazione dichiara l’esistenza del vizio e lo elimina, riaffermando l’efficacia del provvedimento. Ovviamente, può essere convalidato da un provvedimento viziato ma esistente, perciò annullabile, non può esserlo un provvedimento inesistente o già annullato. Quando il vizio che si intende eliminare è di incompetenza, poi, la convalida, emanata dall'organo competente, prende il nome di Ratifica. La giurisprudenza ammette l'annullamento d’ufficio e la revoca a condizione che vi sia un interesse pubblico “concreto e attuale” alla rimozione o alla cessazione degli effetti del provvedimento. La revoca è l’atto con il quale l’amministrazione fa cessare gli effetti di un precedente provvedimento per ragioni di merito, relative all'interesse pubblico da essa curato. La revoca non è espressione di un privilegio dell’amministrazione. La sospensione pone gli effetti del provvedimento in uno stato di quiescenza, paralizzando le situazioni soggettive sorte sulla base del provvedimento e impedendo la sua esecuzione. Essa può essere prevista dalle norme, come contenuto di un provvedimento sanzionatorio, ma è ammessa in via generale dalla giurisprudenza come misura temporanea.
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