Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Riassunto di "Roland Barthes tra “morte dell’autore” e biografia" di Andrea Mirabile, Sintesi del corso di Filosofia

Riassunto di "R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso. Torino, Einaudi, 1977; A. Mirabile, Roland Barthes tra ”morte dell’autore” e biografia, Intersezioni, 2005/1: 117-131."

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 16/05/2018

ILdisagio
ILdisagio 🇮🇹

4.7

(6)

4 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto di "Roland Barthes tra “morte dell’autore” e biografia" di Andrea Mirabile e più Sintesi del corso in PDF di Filosofia solo su Docsity! Roland Barthes tra “morte dell’autore” e biografia – Andrea Mirabile CONTRO L’AUTORE La «morte dell’autore» è una sorta di topos degli studi letterari degli ultimi decenni. Con tale espressione ci si riferisce – in particolare in ambito di teoria della letteratura – a quell’eterogeneo insieme di formulazioni che contestano più o meno radicalmente l’idea di intenzione d’autore, e che svalutano di conseguenza qualsiasi elemento di carattere biografico (ritenuto estrinseco, inessenziale, puramente aneddotico) in sede di analisi critica delle opere letterarie. Lo studioso non perde occasione per dichiarare l’insignificanza dei dati biografici ai fini della lettura critica, l’assenza costitutiva o il tramonto dell’intenzionalità del soggetto nel processo creativo, dominato dalle insondabili ma loquaci latebre dell’inconscio, o dagli automatismi citazionistici e combinatorii. Quando la scrittura inizia, la soggettività scompare: «La scrittura è distruzione di ogni voce, di ogni origine. Ogni identità si perde, a cominciare da quella del corpo che scrive» Eppure Barthes non si preoccupa di pubblicare, in un saggio squisitamente biografico su Jules Michelet, lunghe pagine dense dell’aneddotica più minuziosa sullo storico ottocentesco. Il paradosso diventa davvero stridente quando la vena biografica viene diretta sul critico stesso: è il caso di Roland Bartbes par Roland Bartbes (1975), sorta di autocommento costellalo di documenti personali. Considerato quindi che le due istanze (le quali potrebbero genericamente definirsi antibiografica e fìlobiografica) sembrano coesistere, è forse preferibile trattarle separatamente, soffermandosi per il momento sulla prima per poi passare alla seconda. Quest’ultima infatti si lega soprattutto al periodo conclusivo dell’attività barthesiana, negli anni in cui più intensa sembra l’esigenza di passare dalla critica alla scrittura letteraria, e alcuni cavalli di battaglia teorici – tra i quali anche il concetto di «morte dell’autore» - vengono in una certa misura messi in questione. La vena che abbiamo chiamato antibiografica si articola in due fasi: una prima; strutturalista, durante gli anni; 60, in cui la soppressione della figura dell’autore viene giustificata in prevalenza dalle posizioni antiumanistiche dello strutturalismo francese; una seconda, «testualista» (o poststrutturalista), durante gli anni ’70, in cui a farsi carico dell’idea di «morte dell’autore» è nuova nozione di testo. LA FASE STRUTTURALISTA Nel primo caso il tema tocca il suo culmine verso la metà del decennio ’60, con la pubblicazione di due testi chiave: Sur Racine (1963) e Critique et vérité (1966). Nodo centrale della polemica e appunto il rilievo da assegnare al concetto di autore. Nella terza e ultima sezione del saggio su Racine, la nozione di storia della letteratura, allora predominante, viene radicalmente contestata: essa infatti non sarebbe altro – secondo lo studioso – che un susseguirsi di piatte «monografìe» senza collegamenti tra di loro. Ogni autore, prosegue il critico, viene studiato per sé stesso, in modo isolato e solo superficialmente aperto alla considerazione di generi e di scuole; la storia concepita in un’ottica di tal genere non è altro che aneddotica, che in più si sforza di raggiungere ciò che non può essere rigorosamente definito, ovvero una presunta verità psicologica o esistenziale di chi ha scritto. «E dunque solamente al livello delle funzioni letterarie (produzione, comunicazione, consumo) che la storia può essere situata, e non al livello degli individui che le hanno esercitate» . La letteratura viene quindi concepita come fenomeno fortemente istituzionalizzato, al di sopra dei singoli soggetti che vi partecipano: «Amputare la letteratura dall’individuo! […] una storia della letteratura è possibile solo a questo prezzo» La soggettività autoriale è (e deve rimanere) in secondo piano, in quanto materia senza prova, che esula da qualsiasi indagine concentrata sulla concretezza dei testi. Per fare della storia della letteratura, non impressionistica, bisogna rinunciare alle cause confuse, come quella di rintracciare i legami tra biografìa e opera, e spostare l’attenzione esclusivamente su elementi più concreti: tecniche, regole, riti e mentalità collettive. Racine: l’eroe raciniano evita di stabilire delle connessioni tra l’opera e l’autore e tra l’autore e l’opera. Picard risponde (a tali tesi) dicendo che secondo lui i libri di Roland Barthes sarebbero pericolosi perché amorali, anormali, asociali. A sua volta l’accusato (Barthes) controbatte, nel 1966, con Critique et vérité: il discorso sulla letteratura, si insiste, esige che essa venga svuotata del suo contenuto biografico, ideale, umanistico. Lo studioso si scaglia subito contro la pretesa di Picard di incarnare l’unica critica veramente «oggettiva», in cui la vita dell’autore è uno dei dati eternamente chiamati in causa per «spiegare» un’opera letteraria. Secondo il critico tutto ciò è errato: se nell’uomo è presente qualcosa come una spinta verso la creazione artistica, essa non ha niente a che vedere con la biografia (o con il genio o la psicologia individuale), in quanto tale pulsione è fatta di energie impersonali, sedimentare molto al di là dell’autore, anziché di ispirazioni o di volontà soggettive. Per non scadere in chiacchiera la critica deve invece accostare l’opera letteraria direttamente al mondo anonimo del mito: quest’ultimo non ha autore, non è, si potrebbe dire, «firmato». «Ci viene chiesto di aspettare che lo scrittore sia morto per poterlo trattare con “oggettività”; strano rovesciamento: è a partire dal momento in cui l’opera diviene mitica che la si deve trattare come un fatto esatto. La morte è importante per un'altra ragione: essa rende irreale la firma dell’autore e fa dell’opera un mito: la verità degli aneddoti tenta inutilmente di raggiungere la verità dei simboli». È necessario liberare l’opera dalla troppo vincolante nozione di intenzione d’autore; la nuova critica letteraria deve essere simile ad una mitologia della scrittura. Le capacità dell’autore, e la sua soggettività, non hanno che un valore residuale per il teorico della nuovelle critique: questa non è mai l’analisi di un autore – seppure grandissimo - e della sua esperienza di vita (anche se degna d’interesse) bensì quella del discorso letterario tout court, e dei miti che in esso trovano voce. «Il soggetto non consiste in una pienezza individuale che si ha il diritto o meno di evacuare nel linguaggio […] esso è piuttosto un vuoto intorno al quale lo scrittore trama una parola infinitamente trasformata […] pertanto ogni scrittura che non mente designa, non gli attributi interiori del soggetto, ma la sua assenza [… ] la letteratura non fa che enunciare I assenza del soggetto». Il critico conclude proponendo un rinnovamento degli studi letterali, finalmente consci dei propri limiti epistemologici. La nouvelle critique infatti, più che metodologia di interpretazione e valutazione, è sempre perifrasi: «Essa non può pretendere di ritrovare il “fondo” dell’opera, dato che tale fondo è il soggetto stesso, ovvero un’assenza». E abbastanza semplice rilevare come queste tesi diano luogo ad una serie di contraddizioni: non sembra del tutto chiara, soprattutto, la natura di questo «fondo» dell’opera. Esso è mitico, e quindi al di là del soggetto, secondo la definizione che del mito offre lo studioso, e allo stesso tempo è il soggetto stesso, ovvero la sua assenza. Torneremo tuttavia in un secondo momento a considerare il carattere per alcuni aspetti contraddittorio di tali posizioni. Per ora, è importante sottolineare come esse costituiscano una sorta di approdo definitivo, di costante irrinunciabile nel percorso teorico di Barthes. LA FASE TESTUALISTA Le posizioni teoriche di Roland Barthes appaiono abbastanza vicine a quelle del gruppo, capitanato da Philippe Sollers e Julia Kristeva, gravitante intornio alla rivista «Tel Quel», fondata nel I9608. L’anonimato della scrittura viene in questa sede interpretato in un’ottica di tipo radicalmente rivoluzionario, come necessario per corrodere la nozione borghese di proprietà. Nelle intenzioni di questo gruppo di intellettuali d’avanguardia, l’abolizione dell’autore, essendo questo considerato come un effetto di mercato, è un atto che mina le basi insieme metafisiche ed economiche dell’edificio sociale, e il primo passo necessario ad avviare un processo di sovversione totale. L’autore, o meglio la figura che dell’autore offre la società borghese, muore: al suo posto, si fa strada una nuova convezione – citazionistica, intertestuale, plurale – di letteratura. Una volta ucciso l’ingombrante autore, la letteratura, almeno secondo i teorici parigini, diventa pratica di imitazione e di copia infinita, nella quale lo scrittore cessa di esercitare un’attività di espressione individuale o realmente originale: l’unica facoltà che gli si riconosce è quella del mescolamento, senza posa e solo parzialmente conscio, di formule e modelli prelevati da un serbatoio letterario infinito e teoricamente privo di chiusure. L’autore si dissolve nelle maglie di un’immensa trama intertestuale, popolata dall’inesauribile polimorfia del linguaggio: il suo ruolo ricorda quello del bibliotecario o del collezionista. Scrivano – o archivista, o magazziniere, o copista – più che creatore, l’autore può solo prelevare dal deposito plurisecolare delle scritture già date. La pagina scritta è infatti ciò che, esibendo l’infinito intrecciarsi dei suoi codici, fa vacillare l’individualità soggettiva, disgregandola, mettendone in questione la presunta stabilità: lo scrittore non è altro che un «corpo che scrive». Un corpo che, scrivendo, si immerge in una sorta di flusso inarrestabile di possibili giochi combinatori. Barthes paragona in certi casi la scrittura alla droga e, spesso, alla perversione: come in quest’ultima viene a mancare la generazione, così nella scrittura non vi sono mai veri prodotti, piuttosto variazioni. Scrivere è quindi un verbo intransitivo, ovvero un’attività fine a se stessa, che non procrea e che si determina esclusivamente in una dimensione di godimento; scrivere tende a provocare nell’individuo la perdita di coscienza, l’annullamento dei propri limiti, né più né meno di quanto è possibile sperimentare durante il culmine del godimento erotico. È il linguaggio che definisce l’uomo e non viceversa: non è quindi possibile che una soggettività psicologica si «esprima» - esprima quanto avviene in essa – attraverso il linguaggio, perché non è concepibile uno stato in cui l’uomo sia separato dal linguaggio o vi preesista: la scrittura è «gesto d’iscrizione (e non d espressione)». Secondo Barnes, nella scrittura letteraria il soggetto non è che vuota funzione dell’enunciazione, elemento agito e non agente, mentre nell’opinione comune permane l’illusione di una strumentala transitiva, intenzionale, del linguaggio.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved