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Le metamorfosi del mondo romano: dalla caduta dell'impero al Medioevo, Sintesi del corso di Storia Medievale

Una panoramica dettagliata delle fasi che hanno caratterizzato la caduta dell'impero romano e il passaggio al medioevo, con particolare attenzione alla storia del mondo romano dal iii al v secolo, alla legislazione, al potere del re, alla nascita del diritto feudale e alla frammentazione politica in italia. Il documento illustra anche la storia dell'impero bizantino, dell'impero svevo e dei comuni italiani, oltre a descrivere la società contadina e l'origine degli ordinamenti comunali.

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 23/02/2024

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mc-noferini 🇮🇹

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Scarica Le metamorfosi del mondo romano: dalla caduta dell'impero al Medioevo e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! Storia Medievale Montanari 1. Le metamorfosi del mondo romano I secoli che vanno dal III alla caduta dell’impero possono essere distinti in 4 fasi: - Prima metà del III: relativa calma e splendore dell’impero - Seconda metà del III secolo: varie sconfitte militari dell’impero che comportarono la cessione dei confini settentrionali e orientali. - IV secolo: trasformazioni politiche e amministrative: cristianizzazione dell’impero, insediamento di popoli barbari entro i confini, ampliamento divario tra ricchi e poveri e tra occidente e oriente. - Sorge una nuova società: una società senza impero. Nel III secolo i confini dell’impero comprendevano tutti i paesi affacciati sul Mediterraneo, l’Europa occidentale e la Britannia e a est verso la Mesopotamia. Il comando era affidato all’imperatore che appoggiava la vecchia classe dei senatori a discapito dei cavalieri, plebei arricchiti con commercio e appalti pubblici. Ma le spese per il mantenimento dei confini superarono ben presto le entrate, venendo a mancare le entrate dovute alle conquiste. Le epoche di Aureliano, che costruì le mura intorno a Roma, dei Severi, e Diocleziano, fino a Costantino (+337) furono costellate da riforme che riportano pace e una ripresa economica importante. La riforma dell’esercito aumentò le spese e nuove tasse furono istituite per il suo mantenimento che comportò una forte espansione della burocrazia tale che la nuova macchina statale sarebbe divenuta poi esemplare per la costruzione dei nuovi stati nazionali. Inoltre vi fu l’accesso al comando dell’enorme esercito anche di nuove figure non provenienti dalle classi degli aristocratici: Diocleziano e Galerio, erano figli di liberti o pastori ma vollero uniformarsi presto agli usi aristocratici. Le nuove classi si sovvenzionarono attraverso la pratica della riscossione delle tasse in maniera lecita o illecita. Con Costantino, il primo imperatore cristiano, anche l’ordine equestre entrò nelle maggiori cariche militari, ma questo non comportò alcun avvicinamento delle caste superiori a quelle inferiori e il ruolo di mediatori fu affidato ai vescovi che già un secolo [dopo] avevano assunto un particolare potere: l’effetto fu quello di una maggiore suddivisione dell’impero in patronaggi dove il signore locale, vescovo o grandi proprietari terrieri, aveva sempre di più la funzione di riferimento e protezione dei cittadini. La suddivisione poi dell’impero voluta da Diocleziano, rese ancora maggiore la questione delle divisioni locali, tanto che Costantino spostò la capitale a Bisanzio/Costantinopoli tra il 324 e il 330 dando pari dignità ai vescovi di Roma e Costantinopoli. Inoltre tra Occidente e Oriente vi fu anche un diverso sviluppo economico a vantaggio del secondo dove, nonostante le forti tasse, i contadini potevano ancora produrre profitti, cosa impossibile in Italia e Gallia, e quindi il divario fu sentito in maniera minore rispetto alla parte occidentale. Altro fattore diversificante fu la presenza nell’esercito di reparti barbari: se in Oriente questo fu combattuto dalle élites, comportando una epurazione profonda, in Occidente la divisione, nelle classi predominanti, non portò a questa pulizia ma anzi aumentarono le presenze barbariche. Nel 410 Roma fu saccheggiata dai Visigoti, rendendo ancora più evidente la crisi irreversibile dell’Occidente. Il rifiuto poi di Odoacre dell’insegna imperiale nel 476 avendo destituito Romolo Augusto, mostra quanto tali popolazioni eterogenee all’impero avessero un’idea diversa di amministrazione rispetto a quella romana, non erano evidentemente interessate all’assimilazione. 2. Il cristianesimo Le motivazioni del predominio di questa ennesima religione salvifica si devono al suo successo nei ceti urbani e alla sua gerarchica organizzazione. Esso acquisì un ruolo centrale nelle conservazione delle vecchie strutture amministrative, sociali e culturali dell’impero. La cristianizzazione avvenne seguendo due strade principali: - La via istituzionale: chiese urbane con clero perfettamente organizzato attorno alle quali si riunivano i cittadini. Con tale via si riorganizzarono le antiche aristocrazie ellenistico-romane. - La via individuale: la scelta monastica venne presto riorganizzata attorno a cenobi e monasteri. I monaci, che bisogna ricordarlo erano soprattutto laici che volevano condurre una vita di preghiera non in solitudine obbedendo ad una regola monastica, furono i maggiori responsabili della evangelizzazione delle popolazioni rurali e dei Barbari. La crisi delle aristocrazie cittadine, essendo l’impero sempre più accentrato, che amministravano i culti, comportò un fiorire di religioni salvifiche, i culti di Iside o di Mitra, che ponevano l’accento sull’importanza del singolo indipendentemente dal gruppo di appartenenza donando una prospettiva di trascendenza universale. Già nel I secolo le varie comunità cristiane avevano una struttura perfettamente gerarchizzata in diaconi, preti e con a capo un vescovo. Nel 313 fu lasciata libertà di culto da Costantino con l’Editto di Milano, nel 380 Teodosio impose la religione cristiana ai cittadini romani: entrambi sfruttarono l’enorme capacità delle gerarchie ecclesiastiche per il disciplinamento delle masse urbane. (Proprio come Carlo Magno e tutti vari imperatoria lui successivi, vedi gli stessi Ottoni). Inoltre l’essere abbracciato dalle maggiori cariche cittadine aveva conferito al culto cristiano un’importanza ancora maggiore, che si mostrò fondamentale con la crisi delle magistrature urbane. Dal V secolo vi fu un’importante stagione di evangelizzazione delle campagne seguendo quasi perfettamente le divisioni amministrative imperiali. Ben presto le diocesi delle grandi città sia occidentali che orientali iniziarono ad influenzare pesantemente quelle minori, e furono poi dette metropolite. Roma aveva una sua certa importanza essendo il luogo del successore di Pietro ma la supremazia divenne preponderante solo nell’XI secolo. Il monachesimo è fenomeno più tardo rispetto all’evangelizzazione delle città: dal III secolo nei dintorni di queste, o maggiormente nel deserto si insediarono personaggi il cui credo era il rifiuto totale del mondo e la ricerca della redenzione attraverso pratiche di sacrificio e ascesi. Nel IV secolo si diffonde il vivere in comune presso cenobi in contrasto all’estremo esibizionismo dei monaci. L’istituzione cenobio-monastica si sviluppò dapprima in Gallia per poi diffondersi nel IV secolo e il successivo, ad opera in particolare di Benedetto da Norcia che fondò nel 529 il monastero di Montecassino, in Italia. Benedetto istituì la Regola, dando indicazioni su come doveva svolgersi la vita e la giornata all’interno del monastero. L’altro paese che conobbe una grande espansione monastica fu l’Irlanda, che pur non conoscendo le invasioni romane risultò permeabile, anche accentuando scelte disciplinari molto più dure rispetto ai benedettini, al cristianesimo estremo. Dall’isola poi si espanse soprattutto in Gallia e nell’Europa centrale. Anche le popolazioni barbare furono facili “prede” dell’evangelizzazione cristiana, anche perché le aristocrazie di tali popoli compresero repentinamente quanto poteva rafforzare il proprio potere intraprendere carriere ecclesiastiche. Carriera che comportava una profonda acculturazione latina e classica. Ma d’altra parte anche il cristianesimo si fece influenzare da tali culture introducendo la violenza e la forza: il cristiano divenne soldato di Dio. Va ricordato che il primo cristianesimo che tali popolazioni conobbero fu quello di versione Ariana, e questo sopravvisse per molto tempo ancora anche dopo la scomunica avvenuta al concilio di Nicea del 325. Importante tale concilio anche perché convocato da un imperatore, Costantino che tentava così di risolvere le varie questioni dogmatiche che nacquero nelle varia comunità cristiane. Scostarsi dai dettami decisi al concilio fu poi equiparato alla disobbedienza civile, per cui si parla di “Ortodossia politica”. Ma le vivaci discussioni dogmatiche, alcune volte sfociate in rotture e anche violenze, non furono risolte né da Zenone, con l’editto del 482, né tantomeno da Giustiniano con l’editto dei Tre capitoli, del 544, che comportò una profonda scissione tra Oriente e un Occidente sempre meno disposto a sottostare ai voleri di un imperatore così distante e non proprio autorevole. Lo scontro che si tentò di riconciliare fu tra nestoriani, di Antiochia, che esaltavano le qualità umane della figura controversa di Cristo, e Monofisisti di Alessandria, che invece ponevano l’accento sulle qualità divine del figlio di Dio. 3. Le invasioni barbariche Coloro che tradizionalmente vengono chiamati Barbari, erano in realtà una realtà eterogenea di tribù assai diverse tra di loro. Importante da ricordare però sono le due popolazioni che mosse alle loro spalle dagli Unni, popolazione di guerrieri, che prima di altre influenzarono la storia dell’impero: i Visigoti e gli Ostrogoti. I primi addirittura sconfissero e uccisero un imperatore romano in battaglia: Valente cade nel 378 a Adrianopoli. Gli imperatori successivi non affrontarono più apertamente tali popolazioni e ogni loro sconfinamento del Limes, il confine, fu seguito con una politica più pragmatica che consisteva nel donare terre ai barbari che dichiaravano fedeltà all’impero oppure in un compenso in denaro. Tali politiche non ebbero l’effetto voluto tanto che i Visigoti nel 410 saccheggiarono Roma, i quali a loro volta furono sconfitti da Vandali e Franchi. Nel 406 poi era accaduto un altro fatto eclatante che ebbe conseguenze importanti per tutto l’impero: varie popolazioni barbare, tra cui i Vandali, oltrepassarono il confine del Reno e sconfiggendo inizialmente i Franchi e gli Alamanni posti a difesa del Limes. Nonostante una prima sconfitta clamorosa tali popolazioni furono spinte fuori dalla Gallia per stanziarsi nella penisola Ispanica, dove però furono sconfitti dai Visigoti. La nuova situazione fu: i Vandali si fermarono nella fascia settentrionale-occidentale del continente africano, prendendo la città di Cartagine, gli Alani nell’odierno Portogallo, e gli Svevi nella Galizia. Nel frattempo i Britanni ebbero problemi con i Sassoni che iniziarono a stanziarsi nei loro territori. Nel 450 piomba in Europa centrale Attila e il suo esercito di Unni che si fermarono a pochi chilometri da Roma senza entrarvi forse grazie ad un compenso prospettato da Leone I. Nel 476 Odoacre depone l’ultimo imperatore d’occidente e questo è specchio del fatto che molti territori dell’impero erano oramai in mano a barbari con organizzazioni sociali stabili: gli stati romano-barbarici dove l’espressione pone in evidenza la commistione culturale ma anche giuridica tra le varie popolazioni con la tradizione imperiale. Pur diversi questi stati ebbero alcune situazioni simili: - Leggi scritte in latino per pacificare la convivenza tra un ristretto numero di barbari in contrasto con una maggioranza ancora latina; conquistatori poi mantenevano gli usi e i costumi anche religiosi ai conquistati, pretendevano esclusivamente il pagamento a loro di tasse. Inoltre ai leader militari arabi era vietato possedere terre. Omar (634-644) segue a Abu, durante il quarto califfato di Alì scoppia una guerra civile intorno a questioni religiose che vede vincitrice, nel 661, la dinastia omayyade appoggiata dai sunniti, moderati fra i due estremi Kharigiti e Sciiti, che pensavano di organizzare lo stato sotto un potere centrale. Il loro regno durerà sino al 750. Le caratteristiche di questo regno sono: - L’abbandono della tolleranza, la lingua araba sostituisce tutte le altre, - Si rilanciano politiche espansionistiche anche in territori assai lontani, si conquista la Spagna e la Francia del sud contrastati esclusivamente da Carlo Martello nel 732. Politiche appoggiate spesso da aristocrazie locali; - Strategia di costruzione del consenso con la costruzione di grandi monumenti; - Costruzione di un sistema di appartenenza politica fondato sull’uguaglianza di tutti i musulmani; - La tassazione fu richiesta a tutti indipendentemente dalla provenienza o no araba. Nel 720, anche se l’ultimo califfo omayyade muore nel 743, scoppia una nuova guerra civile che incorona come vincitore la dinastia degli Abbasidi nel 750, che rimasero al potere fino al 945. Questo nuovo regno ebbe caratteristiche differenti da quello precedente: - Viene costruita una nuova capitale: Bagdad; - Apparato burocratico su tre rami: cancelleria, esattoria, amministrazione delle spese militari; - La fine delle conquiste: solo emirati molto indipendenti condussero guerre di conquista, contro la Sicilia, e l’Italia del sud o verso oriente. - L’esercito viene ridotto almeno fino al momento in cui forti tornarono ad essere le conflittualità interne che poi portarono alla caduta anche degli Abbasidi. 7. I Franchi e l’Europa carolingia Nel VI secolo, alla morte di Clodoveo nel 511, il regno dei Franchi fu caratterizzato da una profonda conflittualità interna, anche se ancora più profonda fu l’integrazione con la popolazione latina con l’effetto di interiorizzare ancora di più la legislazione di tradizione romana. A partire dal VII secolo inarrestabile sarà l’ascesa dei Pipinidi o Carolingi. Importante da ricordare è Carlo Martello, piccolo Marte, maestro di palazzo, importante figura all’interno del regno, che riuscì a fermare la spedizione persiana del 732. Fu suo figlio, Pipino il Breve (751-768) a deporre l’ultimo re Merovingio, Childerico III nel 751, e per consolidare il suo potere si fece incoronare con l’olio santo, l’unzione, che fu ripetuta dal Papa Stefano II. Con Pipino e Carlo successivamente chiamato Magno riprese l’espansione dei Franchi: in Italia a danno dei Longobardi entrando poi nel 774 a Pavia capitale Longobarda, nella penisola Ispanica dove l’esercito però subì una delle rare sconfitte contro i Baschi, dove perse la vita Rolando che divenne famoso nelle canzoni dell’epoca; a est del Reno in una trentennale guerra contro i Sassoni ed infine nella Bassa Germania dove conquistò il ducato di Baviera. Il maggior alleato di Carlo non poteva che essere la chiesa che infatti per aumentare il suo e il proprio prestigio nell’natale dell’anno 800 incoronò Carlo come il nuovo imperatore, anche se tale carica è da considerarsi qualcosa di molto differente rispetto alla stessa carica nei Romani, egli era in realtà un re di molti regni. Infatti il regno dei Franchi non aveva una sede centrale precisa anche se Carlo denominò Aquisgrana capitale, e là fece costruire importanti edifici, come la cappella sistina, la reggia, dove operavano gli importanti funzionari del regno, due in particolare: il primo laico, che esercitava l’alta giustizia; il secondo religioso, gestiva la cancelleria regia. Atto importante di questi anni è l’uniformità di scrittura mediante l’elaborazione della carolina , carattere alla base dell’odierno minuscolo dei caratteri a stampa. Intorno a Carlo Magno si riunì una folta schiera di intellettuali dell’epoca dando vita ad una scuola detta Palatina che detta vita a quella che viene comunemente chiamata Rinascita carolingia. Alla morte di Carlo nell’814 l’unico figlio maschio sopravvissuto dei tre, Ludovico detto successivamente il Pio, prese il potere sull’intero regno: la sacralità del regno fu accentuata tanto che con la Constitutio romana si vincolava la consacrazione da parte del papa del successore ad un precedente giuramento di fedeltà dell’imperatore: i legami tra poteri pubblici e ambito ecclesiastico erano ancora più stretti. Già durante l’ultima fase del suo regno ci furono profondi contrasti tra i vari eredi [di Ludovico il Pio], tanto che nell’841 morto Ludovico il figlio Carlo detto il Calvo, e Ludovico detto il Germanico si scontrarono a Fontenoy senza però che risultasse un vincitore. L’anno successivo i due si giurarono eterna fedeltà e nel 843 i tre fratelli, ai due si era aggiunto Lotario, si spartirono il regno. Ma tutte le contraddizioni interne a questo accordo riesplosero quando il figlio di Lotario a cui era andata l’Italia e quella fascia sino alla Frisia che si affaccia sul mare del Nord, morì senza eredi. Nell’881 Carlo il Grosso si prese il titolo di imperatore ma le sue incapacità erano evidenti tanto che quando fu deposto nel 887 l’impero carolingio era finito da tempo. 8. Conti e vassalli, Feudi e comitati Ciò che tradizionalmente viene chiamato sistema feudale, e cioè quel sistema politico che si afferma nel periodo della nascita del regno e poi impero carolingio e che persiste fino al XII-XIII secolo, oggi la storiografia tende a distinguerlo nei tempi e nei modi in un insieme estremamente diversificato di situazioni. Una delle soluzioni che dette forza al regno dei Franchi fu la formalizzazione dei rapporti vassallatico- beneficiari nel periodo del regno di Carlo Martello (716-741). L’esercito dei Franchi era fondato su legami personali- parentale, quello romano su rapporti di tipo pubblico: i due modelli si intersecarono tanto che i Franchi iniziarono a cercare rapporti clientelari in modi più espliciti e controllabili codificandoli, da questo in un processo durato due secoli nacquero i rapporti vassallatico-beneficiari. Il vassallo giurava fedeltà al potente e diventava suo cliente che si impegnava a mantenerlo concedendogli o beni di diversa natura, o terre, o ospitandolo in casa propria. Con tali rapporti il re si attorniava di funzionari e capi militari, i quali a loro volta affermavano rapporti di tale tipo con i propri sottoposti. Questi rapporti crearono una aristocrazia assai ristretta poiché per avere clienti bisognava disporre di ingenti beni propri portando a modifiche, in alcuni casi assai violente e profonde, di zone del regno in cui esistevano i piccoli proprietari come ad esempio nel regno Longobardo in Italia, dove aumentò la povertà e l’assoggettamento di liberi lavoratori della terra a contadini dipendenti. La struttura amministrativa del regno pur rispettando le realtà regionali impose un sistema imperniato sui comitati, dove un conte amministrava la giustizia, convocava e guidava l’esercito, esigeva tasse. Nelle zone ai confini invece si avevano le Marche dove più accentuata era l’organizzazione militare. Altre zone erano i ducati, luoghi dove da poco era arrivata la dominazione franca e non era ancora completamente stabile. Va ricordato che il re non era assolutamente libero di scegliere i suoi vassalli, poiché poteva innalzare a tali cariche solo personaggi che godevano di un certo prestigio nella zona di influenza e questi erano tanto meno fedeli quanto più potenti risultavano. Per questo emerse la necessità di una fitta rete di controllo: i missi erano persone decise dal Re che controllavano l’operato dei funzionari pubblici locali. Altro funzionario importante era il capitolare colui che faceva leggere le leggi nelle varie piazze delle città. Ben presto ogni vescovo divenne il missus della propria città. Altro istituto importante del potere dei carolingi fu l’immunità: luoghi spesso donati a vescovi e abati, ma non solo, dove i funzionari pubblici, conti o marchesi, non avevano alcuna giurisdizione e dove, almeno in teoria, il re poteva estendere un controllo più pressante. Tale istituto si moltiplicò nel periodo successivo a Carlo Magno. Il vero problema di questo sistema era che tutto filava liscio fino a che a comando del regno vi erano personalità forti e autorevoli. Al mancare di queste il potere si frantumò in signorie sempre più locali. 9. Economia e paesaggi. Due sono le caratteristiche del cambiamento economico che interessò l’Europa tra la fine dell’Antico e l’anno 1000: - Impoverimento generale della società e - Contrazione demografica evidente. Nel primo ambito si nota la sparizione delle grandi opere edilizie che da sempre sono paradigma di un determinato livello economico, ma anche di manufatti di ceramica provenienti dall’Africa, nel secondo invece si nota che solo a partire dal 700 torna a crescere la popolazione per giungere nel 1000 a livelli vicini a quelli della tarda antichità: 30-40 milioni di persone. Fu nel VIII secolo che riparte anche la ricchezza. Va ricordato cosa diceva lo storico economico Polanyi riguardo alle analisi economiche sull’antichità: in tali realtà non esiste, come invece nella modernità, un andamento economico legato alla legge della domanda e dell’offerta ma la circolazione di beni e risorse è profondamente e strutturalmente influenzata dalle istituzioni. Questa impostazione ha cambiato anche la visione sulla politica monetaria dell’impero. Si nota infatti che la produzione di monete di argento riprende con l’avvento di Carlo Magno a re franco, indice questo di una ripresa economica. (Le monete auree erano diventate in realtà oggetti non utili per lo scambio ma come oggetti di lusso). Altra caratteristica: con la fine delle guerre di espansione l’agricoltura era passata da un sistema di sfruttamento degli schiavi, che erano venuti a mancare, ad un sistema in cui lotti di terreno erano affidati a famiglie di contadini che dovevano pagare una retta al proprietario. Quello però che venne a crearsi fu un sistema che produceva un surplus, nonostante l’importante frazione data al fisco pubblico, che ancora alla fine dell’impero poteva incalzare una produzione di oggetti di lusso e quindi alimentare le industrie manifatturiere delle città. Dopo il 550 scompare in tutta Europa il fisco pubblico e scompare anche la centralità politica delle città che andarono incontro a deflussi demografici importanti. Con l’implosione dell’impero inoltre anche tutte le infrastrutture che rendevano possibile un commercio altamente sviluppato cessarono completamente, come per esempio le navi che dall’Africa portavano il grano alle grandi città imperiali. Questa mancanza di sfoghi per le ricchezze generano un generale disinteresse per la gestione dei campi tanto che le parti non coltivate aumentarono a favore di quelle incolte e boschive. I boschi, grazie anche all’influenza della cultura germanica più attenta al rapporto con gli spazi naturali, diventarono fonti di cibo e si sviluppò il consumo di carne, che rese meno drammatiche le carestie. Va inoltre ricordato che la rendita delle coltivazioni era, come nel periodo romano, di uno a tre e quindi molto bassa per cui si dovette affidarsi molto di più alla pastorizia che però non si legò all’agricoltura, per cui il letame si disperdeva ancora nei boschi. La schiavitù si può dire sparita solo dopo l’anno mille, fino ad allora ci fu uno sfruttamento diverso dei servi in ambiti differenti rispetto alla sola agricoltura. La caduta dell’impero per un certo periodo liberò, mancando la pressione fiscale, ricchezze prima impensabili, ma con l’avvento del regno carolingio tale situazioni tese a ritornare a quella precedente. Si assiste quindi in ambito agricolo del sistema detto curtense che si basa sulle corvée, da una parte il settore a conduzione diretta del padrone, la curtis, (ma anche villae, dominica) e dall’altra l’affido di terre a contadini (massaricium) che avevano l’obbligo di prestare parte del loro servizio al padrone, la corvée appunto, coadiuvando il lavoro degli schiavi. Max Bloch parla di “servaggio” indicando quella situazione di mezzo che si venne a creare successivamente nel sistema curtense con le commendate di molti piccoli contadini liberi (allodieri), e l’affrancamento di molti schiavi. Tra queste realtà vi fu uno scambio attivo poiché non ogni azienda produceva tutto ciò che gli serviva. Nacquero quindi centri minori rispetto alle città, gli empori, dove vi fu una ripresa economica importante in particolare in alcuni centri affacciantesi sul Mare del Nord. Tale sistema tende a sparire nell’XI secolo. In Italia tale sistema curtense fu introdotto con la conquista franca dopo il 774. E come in Francia si accompagnò ad una ridistribuzione delle eccedenze che fecero la fortuna di castelli e città di tradizione romana. Il sistema curtense fu volano di una ripresa importante tanto da resistere anche alla fine dei Carolingi. 10. Le città (secoli VI-X) I Romani avevano concepito le città come centri di coordinamento e quindi le avevano distribuite lungo le principali vie consolari. Inoltre tali agglomerati urbani avevano una struttura geometrica precisa divisa in cardini e decumani, con al centro il foro, nucleo del potere politico e amministrativo. Con la fine dell’impero non ci fu quella distruzione che la tradizione ci ha riportato, furono soprattutto i centri minori a scomparire. Certa è però la loro trasformazione: al centro vi erano adesso il palazzo del vescovo, il battistero, il cimitero. Il foro divenne piazza di una chiesa e la stessa nozione di spazio pubblico quando non scomparì si modificò in dimensione sacrale. Se le città del Nord Europa, si trasformarono in semplici centri urbani non dissimili da altri agglomerati, nelle zone dove maggiore era stata la presenza romana, vi fu una sostanziale continuità anche perché le città non sono solo centri commerciali, ma hanno anche importanza dal punto di vista amministrativo, politico, religioso e culturale. Anche dal punto di vista strettamente commerciale l’età carolingia segna una rinascita importante d’importanza di questi centri urbani. In Italia i Longobardi nelle parti a loro assoggettate modificarono l’organizzazione del territorio e i nuovi ducati non rispecchiavano i confini delle vecchie città e province romane. E importanti centri divennero anche piccoli agglomerati rurali lontani dalle città. Con l’avvento dei carolingi le città tornarono a essere motori di quel primo rinascimento che l’Europa conobbe tant’è vero che le stesse città furono anche soggetto di componimenti poetici che ne esaltavano le qualità: le laudes civitatum. Nelle citta carolinge vescovo e la nuova autorità, il conte, dovevano vivere, spesso conflittualmente, all’interno delle stesse mura. Anche la loro centralità dal punto di vista commerciale rimase quasi invariata, come luogo attorno al mercato dove venivano vendute le eccedenze delle produzioni. Anche i rapporti con l’Oriente e le città adriatiche non venne completamente meno con la presenza araba nella vicina Africa settentrionale. Al centro di queste città medievali vi è sempre la figura del vescovo che tentava, spesso riuscendovi, di imporre propri balzelli ai commerci della città non solo per un proprio arricchimento personale ma anche come arricchimento della città che egli rappresentava. In tutta la penisola le città erano luoghi in cui variegata era la composizione sociale, i grandi proprietari terrieri, ad esempio, preferivano dimorare in città che presso le loro grandi aziende agricole, e questo fu di grande importanza per la proiezione del controllo urbano sul territorio. 11. Alfabetismo e cultura scritta La fine dell’impero concretizzò la scomparsa dell’insegnamento pubblico e della necessità di istruire funzionari pubblici, comportando una notevole contrazione degli alfabetizzati. La cultura rimase almeno fino a Carlo Magno in mano strettamente ai funzionari religiosi, e solo dopo l’epoca carolingia si nota un riaffacciarsi dei laici nel ambito della produzione culturale. Il tasso di alfabetizzazione non raggiunge in Francia e in Italia Longobarda del VIII secolo il 30%. A questo va aggiunto l’isolamento di questi scarsi gruppi di letterati o semplici persone capaci di scrivere e leggere. I libri Il regno italico alla caduta del Grosso non subì forti modifiche, l’Italia rimase divisa tra Franchi, Bizantini, longobardi in Campania, e Saraceni in Sicilia. Interessante da notare è che la carica del re del regno dei Carolingi fu, in mancanza di una certa regola di successione, oggetto di scontro tra le varie famiglie aristocratiche: i duchi e marchesi di Toscana, Spoleto, Ivrea e Friuli. Dopo varie vicissitudini si affermò un regnante esterno: Ugo re di Provenza (926- 946), che all’aristocrazia carolingia preferì quella nuova di origine spesso Longobarda, e regnò per vent’anni. A lui segue i figlio Lotario che muore quattro anni dopo. A cui segue Berengario II, della dinastia dei duchi di Ivrea, che imprigionata la moglie di Lotario, fa scattare la solidarietà feudale tanto che Ottone I (re di Germania dal 936, dal 951 re d'Italia e Imperatore del Sacro Romano Impero dal 962), libera la vedova, la sposa e obbliga Berengario a giurargli fedeltà. Intanto nel regno teutonico, nato da una divisione del regno dei Franchi (nato cioè dal regno di Ludovico II il Germanico), viene eletto Arnolfo che muore nel 899, a cui segue un periodo di instabilità politica. Tale regno era caratterizzato da grandi ducati alcuni addirittura pre-carolingi, come quello di Sassonia o di Baviera e quindi una situazione molto frastagliata di poteri diffusi su tutto il territorio. Segue, come re, Corrado I, e nel 919, Enrico I proveniente dalla Sassonia, che per primo riuscì a sconfiggere gli Ungari, e essendo stato un regnante di grande carisma, riesce a far eleggere suo figlio, Ottone I, il Grande, come suo successore. Egli regnò dal 936 al 973 e riuscì a rafforzare la sua autorità regia anche grazie ad un’azione politica estremamente innovativa. Egli si trovò a governare in una situazione amministrativa del regno assai debole sia per i vari signori che regnavano incontrastati oramai in alcuni territori sia per mancanze varie dell’amministrazione: nessuna legislazione scritta, una giustizia esercitata secondo canoni precisi ma in maniera constatativa . Il matrimonio con la moglie di Lotario fu il primo atto di una politica espansiva in Italia con la conquista del regno Italico nel 961, a cui conseguì il titolo di imperatore. Nel 955 aveva sconfitto nuovamente gli Ungari e questo contribuì a creare il suo mito. Molti i richiami simbolici ai Carolingi, ai Romani, ai Bizantini. Con la sacra unzione egli divenne protettore della cristianità, con la privilegium Othonis, riconosceva diritti e proprietà della chiesa di Roma, ma richiamandosi alla Constitutio romana di Ludovico il Pio, fece in modo che il papa giurasse fedeltà all’imperatore. Ottone inoltre riuscì a farsi riconoscere dall’impero di Bisanzio e così suo figlio, anch’egli chiamato Ottone, divenne sposo di una cugina dell’imperatore. Ma i progetti di Ottone I non riuscirono e il successore dell’imperatore bizantino rinnegò le scelte del suo predecessore e le sue mire sui territori bizantini finirono in un nulla. Ottone II salì poi al trono nel 973 ma morì prematuramente dieci anni dopo, e, nonostante varie turbolenze dovute alla minore età di Ottone III, la nonna e la madre riuscirono a farlo incoronare nel 996 una volta compiuti i 16 anni. Nel 999 riesce a far eleggere papa un suo intellettuale con il nome Silvestro II, ma il suo progetto di stato forte si scontrò con le realtà locali e dovette quindi rifugiarsi in un monastero nel 1001. L’anno successivo viene eletto re di Germania Enrico II (1002-1024), duca di Baviera che non riuscì a far seguire il suo titolo al figlio, per cui venne incoronato Corrado II (1024-1039), duca di Franconia, che riuscì a far mantenere il regno alla sua famiglia sino al 1125, periodo nel quale gli scontri tra impero e papato raggiunsero il culmine con Enrico IV e papa Gregorio VII. 15. L’anno Mille: continuità e trasformazioni Allo scoccare dell’anno Mille nessun terrore prese piede, molti erano i calendari e le leggende della fine del mondo erano note a piccole cerchie di apocalittici. Dal punto di vista demografico l’espansione si trova precisamente a metà tra il minimo del secolo VIII e il secolo XIV, ma dopo il X secolo il volume della popolazione quasi raddoppiò in Francia e Italia, mentre in Germania triplicò. Tutto ciò comportò la necessità di nuovi sviluppi tecnologici: - Il mulino ad acqua prese piede quasi ovunque, - Nuovi modi di legare gli animali da soma e la zoccolatura aiutarono nell’ottimizzare la forza dell’animale. - A cui consegue un nuovo tipo di aratro che agiva più in profondità e rivoltava la terra rendendola più fertile. - La rotazione triennale con l’uso del maggese. - Ma ciò che più influì nell’aumentare la produzione agricola fu l’espansione degli spazi coltivati, attraverso bonifiche e dissodamenti. Nuovi insediamenti furono creati con la promessa di zone franche dalle tasse. Tutto questo tradizionalmente è stato visto apparire dopo l’anno Mille ma nuovi studi storici mostrano che in realtà questo andamento di sviluppo si nota già a partire dal secolo precedente. A tutto ciò fa da volano la messa in crisi del sistema curtense che liberò molti contadini dagli obblighi di corvée, che quindi poterono sviluppare in maniera differente il surplus dei raccolti ottimizzando in maniere varie le rendite. Di questi stessi anni è l’affermarsi della signoria di Banno che comportò quella che viene chiamata la mutazione feudale dall’importante storico Georges Duby. Di difficile chiarimento è se furono le politiche a modificare le attività economiche o il contrario poiché le situazioni nell’Europa dell’epoca erano assai differenziate per cui abbiamo situazioni in cui è vera la prima e contesti nei quali è vera la seconda tesi. 16. Il nuovo monachesimo e la riforma della chiesa (secoli X-XII) La crisi del papato, dovuta alla conflittualità delle famiglie romane elettrici, e il comportamento di alcuni vescovi e abati, che più che rappresentanti di Dio sembravano esponenti di un’aristocrazia militare, comportarono la nascita di movimenti religiosi che rifiutavano o mettevano in discussione la chiesa come istituzione. Questi furono chiamati pauperistici. Il secolo IX fu il secolo in cui il papato si trasformò di fatto in una monarchia. Tale rinnovamento fu portato avanti in particolar modo dal mondo monastico che chiedeva non una chiesa povera ma un ritorno a modelli basati sulla preghiera e sulla purezza del corpo. Principale abbazia, insignita dell’immunità, fu quella di Cluny (909), in Borgogna: furono i suoi monaci ad esempio ad istituire la festa del 2 novembre, quella dei morti e richiedere la verginità per coloro che volessero fare da mediatori tra mondo celeste e mondo terreno. Inoltre il monastero si pose sotto il controllo diretto del papato, riconoscendone l’autorevolezza, invece che del signore locale. Grande era l’importanza data alla cultura e molti di loro influenzarono non poco la storia della chiesa sino al XII secolo. Anche altri furono esempi di monachesimo importanti per l’epoca: Romualdo da Ravenna, fondò infatti Camaldoli, e dalla sua esperienza paradigmatica nacque anche quello di Vallombrosa. In questi però si vedeva non di buon occhio lo sfarzo di ricchezza del monastero di Borgogna poiché forte in loro era l’ascendente ascetico ed eremitico di tradizione orientale. Si assiste inoltre ad un rinnovato scontro con l’impero e i vescovi nominati dagli Ottoni attraverso le accuse di simonia e nicolaismo: il primo contro l’acquisto di cariche ecclesiastiche, il secondo contro il concubinaggio o il matrimonio dei clerici. Infine vi furono movimenti religiosi definiti pauperistici che si ispiravano ad un ideale evangelico di povertà, che cercavano una riforma radicale della chiesa. In alcuni casi questi movimenti furono utilizzati dai papi per riportare sotto il proprio controllo chiese troppo indipendenti come quella, ad esempio di Milano attraverso l’uso dei patarini. Il grande processo di rinnovamento avvenne per volere di Enrico III che, assistendo alla disastrosa situazione della contemporanea presenza di tre papi che si accusavano di simonia, convocò a Sutri nel 1046 un concilio e fece nominare un papa estraneo alle famiglie romane con il nome di Clemente II. Tale controllo invece di peggiorare la situazione la fece migliorare attraverso un’attenta selezione delle persone che andavano a ricoprire cariche importanti in modo che la Germania fu il primo luogo in cui vi furono vescovi antisimoniaci. Il papa più importante dell’epoca fu Leone IX che oltre ad un attento controllo contro la pratica simoniaca si scontrò contro Costantinopoli per il controllo delle chiese dell’Italia meridionale, che degenerò nel decisivo scisma tra le due chiese nel 1054. Leone muore lo stesso anno e dopo un periodo di instabilità, dovuta fra l’altro anche all’affermarsi di nuove famiglie come i Canossa-Lorena, si giunge all’elezione di Niccolò II che continuò la linea del predecessore illustre. Inoltre pose delle linee guida per l’elezione contrarie alle precedenti per cui il papa necessitava dell’approvazione dell’imperatore per essere eletto. Nel frattempo era salito al trono, nel 1056, Enrico IV. Le nuove regole furono chiamate Decretum in electiona papae: siamo nel 1059, che stabilivano inoltre che il papa doveva essere letto dai cardinali, preti e diaconi non solo di Roma ma anche delle sue immediate vicinanze. Regola questa che non piaceva all’imperatore ed infatti l’elezione del successore fu nuovamente motivo di scontro. Le anime riformatrici del papato avevano modificato l’assetto di potere al proprio interno e negavano all’imperatore di mettere bocca, essendo soltanto uno dei tanti re, nei propri affari. Si entrò in quel periodo denominato Lotta delle investiture, e cioè la possibilità dell’imperatore di nominare vescovi. Ma vi erano anche altri motivi di contrasto: il modello monarchico del papato e la negazione della sacralità dell’imperatore. Lo scontro si acutizzò con l’elezione a “furor di popolo” (romano) di Gregorio VII nel 1073. Per stabilizzare il proprio potere e confermare il proprio progetto monarchico Gregorio scrisse le 27 proposizioni chiamate Dictatus papae in cui si diceva che - Solo il papa poteva vestire le insegne imperiali, - Solo lui poteva nominare i vescovi , - Solo il papa poteva deporre l’imperatore, - Solo lui può sciogliere i sudditi dall’ubbidienza verso i sovrani. I vescovi vicini all’imperatore per risposta dichiararono deposto Gregorio, il quale scomunicò l’imperatore slegando i sudditi dall’obbedienza ed infatti molti si sollevarono contro il potere centrale. Si giunge quindi all’umiliazione di Canossa del 1077 dove Enrico IV scese a patti con il papa. Umiliato dal papa che lo fece aspettare tre giorni prima di riceverlo, riuscì a tornare in Germania senza l’onta della scomunica ritirata da Gregorio. Enrico però rientrato nei propri territori fece di nuovo scomunicare Gregorio dai vescovi filoimperiali e fece eleggere il vescovo di Ravenna come Clemente III. Torna in Italia e entra a Roma spodestando il papa di Roma, il quale fugge grazie alle truppe normanne di Roberto il Guiscardo. Gregorio muore l’anno successivo ma il suo progetto continua tanto che, dopo un periodo di lotta, nel 1122 si giunge ad una tregua tra Enrico V e Callisto II nel concordato di Worms dove fu trovato un compromesso: l’imperatore aveva l’autorità imperiale, l’elezione dei vescovi era in mano ai cardinali e al popolo delle città, e l’imperatore poteva consegnare ai vescovi funzioni e beni solo dopo l’assunzione dell’incarico (ma assai difficilmente avrebbe preso l’incarico senza le regalie che solo l’imperatore poteva disporre). È di questo periodo la strutturazione che, quasi uguale, sopravvive anche oggi nella chiesa: un modello monarchico verticistico, in cui netta è la separazione tra stile di vita di ecclesiastici e laici basata sul celibato, e anche un certa forma di intransigenza verso forme di dissenso all’interno e all’esterno della chiesa romana. È con le riforme di Gregorio VII che la chiesa di Roma diviene vertice indiscusso della cristianità, precedentemente esistevano molte chiese. Da questa lotta la figura dell’imperatore subì un contrazione nella sua importanza che minò le sue prospettive universalistiche. 17. La costruzione delle monarchie feudali (secoli XI-XII) In molte zone d’Europa a cavallo dei due secoli XI e XII il panorama politicò mutò. Le monarchie iniziarono a poter esprimere il proprio potere su sempre più ampie porzioni di territorio. Le nuove monarchie beneficiarono del rapporto vassallatico-beneficiario trasformandolo per accentrare il proprio potere tramite nuovi strumenti amministrativi e giudiziari e anche con la redazione scritta di elenchi di diritti: il Domesday book ne è un esempio. Una novità rispetto ai precedenti periodi fu il nuovo legame tra sovrano e non più il proprio popolo ma con il territorio, ma va ricordata anche la ricerca di una sacralità del proprio potere che pure visivamente, grazie a grandi spettacoli di incoronazione e all’unzione, divenisse evidente a tutti, popolo e signori locali. Il re era superiore agli altri e possedeva anche poteri taumaturgici come la cura di alcune malattie. Contro i signori si iniziò a riporre un controllo sfuggito completamente nei periodi precedenti, attraverso ad esempio, la richiesta nuovamente di obbligo del servizio armato, oppure con il feudo di ripresa nel quale il vassallo poneva nelle mani del re una porzione del proprio territorio che veniva poi prontamente ridonato al signore: in questi modi il re riaffermava la propria autorità. Anche la giustizia fu oggetto di questo rimpossessarsi del potere: i delitti più gravi dovevano essere giudicati dal re. Varie le modalità di stato in stato: - Inghilterra. Nel 1066 nella battaglia di Hastings Guglielmo, detto successivamente il Conquistatore, duca di Normandia conquista l’Inghilterra ponendo fine alla monarchia anglo-sassone. I Normanni scardinarono il sistema amministrativo giudiziario dei predecessori installando una fitta rete di castelli, i Manors, che Guglielmo concesse in cambio dell’omaggio feudale, tutti perfettamente censiti “catastalmente” nel 1086 con il Domesday Book in modo da evitare rivendicazioni e poter decretare i tributi di ogni vassallo. Parte del potere giudiziario e fiscale fu affidato alle vecchie amministrazioni che ne ottennero un grande vantaggio economico, e che i vassalli tentarono di prendersi, ponendo su loro stessi una parte del potere che avrebbe scalfito quello centrale. Contro questo Enrico II (1154-1189) attuò una politica che se da una parte liberava, pagando, i nobili dal servizio militare, dall’altra accentrava il potere giudiziario, anche contro il clero che aveva il diritto di immunità, in particolare contro quest’ultimi redasse le Assise di Clarendon (1166) nelle quali vi erano espressi in maniera assai ampia e larga i poteri regi in ambito giudiziario. Contro questo provvedimento si scagliò Thomas Becket, arcivescovo di Canterbury, cosa che gli costò la morte nel 1170. Questo sistema entrò in crisi con Riccardo Cuor di Leone (1189-1199), e ancora di più con Giovanni senza Terra (1199-1216) anche poiché le terre di provenienza dei Normanni, oltre manica, andarono perdute. Tale indebolimento portò ad una lotta che sfociò nella redazione della Magna Charta nel 1215 che poneva limiti precisi alla corona. - Francia: la situazione dei primi re di Francia era quella che esercitavano il proprio potere solo in una parte assai modesta dell’intero regno. Tale situazione si modificò con Luigi IV (1108-1137) che anche attraverso azioni militari di piccola portata riuscì a ampliare il proprio potere. Ma stessa cosa fecero anche altri signori presenti sul territorio aumentando il loro prestigio e la propria parità con i signori di Parigi. La Francia aveva quindi pochi grandi signori, e questo divenne centrale per l’azione politica parigina anche attraverso politiche matrimoniali, Nel 1150 Goffredo dei Plantageneti, signori di Normandia e quindi signori anche d’Inghilterra dal 1154, sentendosi completamente libero investì il figlio senza chiedere niente ai Capetingi, signori di Parigi; successivamente la moglie di Luigi VII, divorziò e sposò Enrico, Plantageneti, che due anni dopo, nel 1154, divenne re d’Inghilterra: tutto ciò fece scoppiare una guerra che si risolse con una tregua di parità solo nel 1177. Durante la guerra però Luigi VII aveva iniziato ad accentrare su di sé l’amministrazione della giustizia, e a ottenere l’omaggio ligio. La politica matrimoniale dette i primi risultati con Filippo Augusto (1180-1223) quando questi sposò colei che gli portò in dote la regione di Artois. Lo stesso Filippo poi riuscì a L’invito di Urbano fu raccolto dai ceti popolari da cui scaturì la cosiddetta crociata popolare che oltre a episodi di violenti atti di intolleranza contro in particolare gli ebrei, ebbe esito disastroso. Urbano quindi raduna i maggiori esponenti dell’aristocrazia francese e normanna e li invia in terra santa nel 1096. Anche questa crociata (1096- 1099, è considerata la Prima Crociata) è caratterizzata da violenze contro civili inermi, ma riesce a conquistare Gerusalemme nel 1099. Vennero costituiti regni feudali sotto la guida di Goffredo di Buglione. Il controllo della costa permise l’istituzione di avamposti per il commercio con l’oriente tanto che mercanti genovesi, pisani, e veneziani si stabilirono su queste terre. Le conquiste cristiane furono però presto perse in parte e quando anche Edessa cadde nel 1147 Luigi VII organizza e convince a parteciparvi anche l’imperatore Corrado III, una seconda crociata (1147-1150) che partita con i migliori auspici si concretizzò in un fallimento per i contrasti tra i sovrani. Nel frattempo gli arabi sotto la guida del feroce Saladino, il nuovo regnante, si riorganizzano e nel 1187 dopo aver travolto tutti gli stati crociati conquistano Gerusalemme. Le terza crociata (1189-1192) non ebbe esito migliore della precedente, comportando però la morte di Federico Barbarossa. La quarta crociata è del 1202 che invece di conquistare Gerusalemme si indirizza contro i falsi cristiani e quindi fu la volta del saccheggio incontrastato di Costantinopoli. Per circa 60 anni abbiamo un nuovo “impero latino d’oriente”. La crociata diviene quindi un mezzo contro i nemici della cristianità in particolare gli eretici: Innocenzo III indisse una crociata contro i Catari nel 1208: per un ventennio il sud della Francia fu teatro di scontri violentissimi dove i sogni di dominio papale e del re di Francia si unirono. Ci sono poi crociate contro i popoli dei Balti, Livoni e Lettoni, messe in atto da cavalieri teutonici per estendere i confini. Siamo nel XIII secolo. La quinta crociata è degli anni 1217-1221, ma non porta nessun risultato. Vi partecipa anche Francesco d’assisi. La crociata (la sesta del 1228) poi di Federico II si risolse in una contrattazione con il sultano Al-Kamil dove si tentò una politica di riconoscimento reciproco. Le ultime due spedizioni sono del 1248 e del 1270 promosse da Luigi IX di Francia: anch’esse furono fallimentari. Dopo la morte di Luigi il progetto di riconquista fu abbandonato. 20. l’impero bizantino e l’est europeo (secoli VII-XV) La storia dell’impero bizantino può essere suddivisa, seguendo l’ampliamento e il restringimento del territorio, in 5 fasi: - a) Dal VIII al IX: fase di riassestamento politico amministrativo di ciò che restava dell’antico impero, - b) Dal IX al X: fase di espansione, - c) Dal XI al XII secolo: di ripiegamento, - d) Massimo restringimento del territorio ad opera degli occidentali con la quarta crociata (1204-1259); - e) Infine un periodo in cui vi è il tentativo di riaccorpamento che arriva fino alla definitiva conquista turca nel 1453. a) Nel primo periodo, come nel resto d’Europa si assiste al veloce ampliamento dell’impero arabo e anche l’impero bizantino perse molti territori: Siria, Mesopotamia, Armenia; poi l’Egitto e le altre provincie africane. Fino al momento di attacco diretto a Bisanzio nel 678, gli arabi continuano ad avanzare e conquistano pure Cipro, Creta e Rodi: l’impero perde il dominio sul mare. Dal nord nelle zone balcaniche premevano e restringevano ancora i territori le nuove popolazioni arrivate in Europa continentale: Slavi e Bulgari. Quest’ultimi fondarono poi uno stato che Bisanzio dovette riconoscere nel 681. La nuova realtà territoriale fece anche riscrivere molte delle strutture dello Stato: alla sua base fu creato il Thema con la sua caratteristica militare, al cui culmine vi era lo stratego , un funzionario che accorpava funzioni civili e militari . Fu creato un esercito stabile nazionale, e ai soldati veniva data della terra che potevano far ereditare ai figli che però avevano l’obbligo del servizio militare. Fu favorita la realtà contadina a sfavore delle città tanto che Leone VI (886- 912) abolì le autonomie municipali. Furono creati quattro ministeri (esercito, finanze, affari imperiali, comunicazioni) e la lingua ufficiale divenne il greco e il latino fu abbandonato. Fino al IX secolo la base per divenire imperatore erano le doti militari successivamente prevalse il diritto dinastico. La base ideale dell’impero rimaneva la religione cristiana tanto che le controversie del culto erano seguite da grandi sconvolgimenti politici: la proibizione del culto delle immagini, l’iconoclastia, fu decisa, dopo 80 anni di discussioni, da Leone III nel 726. Questo serviva anche per andare incontro alle richieste delle più importanti provincie dell’impero, quelle orientali influenzate nella lotta alle immagini sacre dalle religioni orientali, araba e ebraica. Quando poi il pericolo arabo venne meno, e quindi meno urgente era il creare un fronte interno compatto, l’iconoclastia terminò, di nuovo per decreto imperiale, e quindi con un atto politico, nel 843. b) Siamo nel periodo della dinastia Amorica (813-867). In questa e in quella successiva, quella Macedone (867- 1057), si assiste ad una rinascita economico-culturale che favorì il desiderio di tornare ad espandersi. Sotto i Macedoni l’impero riconquista la Cappadocia, la Cilicia e l’alta Mesopotamia, ed infine anche l’Armenia. Una lunga guerra durata trent’anni permise la distruzione del regno Bulgaro nel 1014. Anche parte dell’Italia meridionale fu riconquistata e, avendo riconquistato anche Creta, i commerci con l’occidente rifiorirono. In questo periodo si torna a dividere l’amministrazione civile da quella militare, con la scomparsa dei Thema, creando un esercito di professionisti. Oltre che artisticamente vi fu un rifiorire degli studi giuridici che portarono a soppiantare il Codex Giustiniano con una nuova grande raccolta di leggi, i Basilici. Altro punto importante è la cristianizzazione delle popolazioni slave. Ma lo scisma con la chiesa romana del 1054 confermò il distacco dell’impero dall’Occidente, Leone IX e il patriarca di Costantinopoli si scomunicarono a vicenda. Le differenze oltre che dottrinali, la posizione da attribuire al figlio di Dio e allo spirito santo nella trinità, erano anche amministrativo-politiche: se Roma si stava dando una struttura verticale e un territorio, rivendicando un primato universale, Costantinopoli costituì una struttura conciliare che permetteva ampia libertà alle chiese locali, oltre che un governo assembleare dei vescovi. c) Gli scambi commerciali con l’occidente si svolgevano inizialmente dietro due rotte principali, quella diretta ad Amalfi e quella diretta a Venezia. I porti della Puglia, costretti da una politica accentratrice normanna non riuscirono successivamente a porsi come centrali di fronte alla crescita d’importanza di centri come Genova e Pisa nel l’XI secolo. Tali città scacciarono i musulmani dalle isole come Corsica e Sardegna, mentre Venezia si approfittò pesantemente della debolezza di Bisanzio contro i Normanni, che conquistarono Bari nel 1071, e contro i Turchi. Aiutarono l’impero ma a caro prezzo: ogni dazio sul mare Adriatico fu loro tolto (1126) e presto anche Creta e Cipro nel 1148 furono esenti da dazi per i veneziani. d) La parabola discendente imperiale era cominciata, e con l’arrivo della quarta crociata, guidata dai Veneziani, Costantinopoli per la prima volta, fu assediata, presa e saccheggiata nel 1204. L’impero fu diviso per quasi 60 anni, e anche se Costantinopoli fu ripresa nel 1261 da una dinastia, i Lascaridi, niente era oramai come prima. I territori assoggettai erano ridottissimi e i pochi mercenari che lo stato riusciva a pagare non erano in grado di mantenere le difese stabilmente dei pochi territori rimasti. e) La lunga agonia terminò ad opera del sultano Maometto II nel 1453 con la definitiva conquista di Costantinopoli. 21. il rinnovamento culturale (secolo XII) Con l’avvento del XII secolo si assiste ad una evidente rinascita della tradizione culturale laica che pone fine al monopolio ecclesiastico sul sapere. La base degli alfabetizzati laici si amplia notevolmente e questo comporta inoltre: l’origine delle università, la riscoperta del diritto romano e del sapere greco, la prima scrittura in lingue neolatine. La cresciuta diffusione della scrittura si deve principalmente a motivi burocratico-amministrativi, e da questo si ampliò ad un pubblico interessato a nuovi generi letterari. Il libro torna ad essere oggetto letto e utilizzato e non più oggetto ammirato e esposto: nascono per facilitare la lettura e l’apprendimento, capitoli, paragrafi, indici alfabetici e richiami, inoltre note su tutti e quattro i lati della pagina. Nascono le università, alcune per volontà degli studenti, come Bologna, altre per volontà di professori, come a Parigi. La prima scaturì dalla volontà di alcuni studenti che pagavano un maestro che spiegasse le antiche leggi dei romani, il corpus di Giustiniano, la seconda per contrastare il cancelliere dell’arcivescovo che era l’unica struttura che conferiva diplomi atti all’insegnamento. Una volte divenute importanti centri intellettuali esse dovettero evitare gli attacchi che le volevano assoggettare. La volontà di controllare questa forma di trasmissione del sapere si rende evidente con la fondazione dell’Università di Napoli nel 1224 da parte di Federico II di Svevia: grandi sgravi agli studenti che vi avrebbero aderito e grandi pene per coloro che invece emigravano altrove erano previste. Attacco manifesto all’università di Bologna ma che fa apparire quanto tale modello di studio fosse divenuto imprescindibile per la promozione intellettuale del ceto dirigente. Per volontà di studenti e professori si dà origine alle glosse, commenti ai più importanti libri utilizzati per insegnare le varie materie, che ben presto furono raccolte autonomamente dal libro stesso. Se i testi erano rigidamente fissati, libera ne era la discussione tra studenti e professori; dalle domande su problemi non facilmente risolvibili nascono le questio, che imposero l’esegesi di testi antichi per le soluzioni di problemi nuovi. I pensatori greci erano però da molto tempo, in occidente illeggibili, poiché persa era la capacità di leggere direttamente il greco, mentre questo non era successo in oriente dove le opere dei filosofi classico-greci erano stati tradotti in varie lingue. Per questo quando la curiosità verso tali autori nacque in occidente ripartì da aree di confine con il sapere orientale e musulmano. Se in Spagna tale conoscenza si affermò con la traduzione di testi dall’arabo, in Italia si cercò di andare direttamente ai testi originali in greco. Nella penisola iberica Gerardo da Cremona tradusse testi di Ippocrate e Galeno ma anche Euclide e Aristotele, con in commenti di Avicenna e Averroè, in ambito normanno si tradusse dal greco opere di Platone e la Meteorologia di Aristotele e molte altre opere scientifiche. Ben presto ci rese conto che i testi in arabo avevano subito trasformazioni importanti e si lasciarono cadere ma va ricordato che i commenti invece furono importantissimi per la rinascita culturale occidentale. Nel XII secolo si assiste ad un progressivo allargamento degli alfabetizzati, in particolare, laici, che hanno portato alcuni studiosi a dichiarare tale periodo come uno dei mutamenti culturali più rilevanti della storia occidentale. La comparsa di testi in volgare segna con evidenza lo sconfinamento di una cultura nuova laica in uno spazio precedentemente occupato solo dagli ecclesiastici. Se in stati dove tra lingua dei chierici e lingua del popolo erano assai differenti si nota la nascita di tali idiomi in secoli precedenti al Mille; per anglosassoni, irlandesi, alto-tedeschi, e nei territori dove tale differenza era minore la redazione scritta di testi in volgare arriva solo dopo l’XI secolo. Da ricordare al Chanson de Roland (del XI secolo) che fu uno dei testi più rilevanti dell’epica europea. In Italia i primi testi religiosi scritti in volgare sono della fine del XII secolo mentre quelli laico-didattico-morali sono del Duecento e di poco tempo dopo è Il cantico delle creature di san Francesco (scritta probabilmente nel 1226). Va dunque evidenziato che tale diffusione avviene quando si è nel mezzo di una modificazione nella sfera sociale, politica e religiosa: la riforma della chiesa, la formazione di corti signorili, e la nascita, soprattutto in Italia, di nuove figure professionali che comportano l’espressione di valori differenti da quelli tradizionali. 22. L’impero e la dinastia sveva (secoli XII-XIII) (1152-1250-1268) I tre grandi regnanti della casata sveva, Federico I, Enrico VI e Federico II tentarono di impostare, anche attraverso il recupero del diritto romano e la formalizzazione di un diritto feudale, gli ambiti legittimi di azione del potere imperiale. Contro si trovarono strutture politiche che nel XII secolo si erano venute affermando sia in Germania che nell’Italia centro-settentrionale che resero inefficace la loro condotta egemonica. Mentre in buona parte d’Europa si iniziava ad accentrare il potere nelle mani di pochi, o di uno solo, in Germania e Italia la strada fu diversa. In Germania non vi fu la regola della trasmissione dinastica del titolo regio: solo l’assemblea dei principi poteva nominare i sovrani. Ma tale nomina iniziò nel XII secolo ad orbitare tra due famiglie centrali, la casata sveva e quella di Baviera. A seguito di una politica matrimoniale efficace nel 1152 viene eletto Federico I che grazie ad abilità politico-militari riuscì a dare continuità dinastica al regno, anche se tra mille difficoltà. Nel 1154 Federico I arriva in Italia chiamato da papato e città minori settentrionali contro lo strapotere di Milano: Federico condanna Milano e, successivamente andato a Roma per aiutare il papa contro le frange interne guidate da Arnaldo da Brescia, cattura il chierico e lo fa uccidere. Federico però fece partire un’attenta analisi della società italiana dai suoi intellettuali. Nel 1158 indice un’assemblea pubblica a Roncaglia nella quale si chiariscono le prerogative regie, le regalie: controllo delle vie di comunicazione, esercizio della giustizia, conio della moneta, diritto di muovere guerra. Inoltre redasse la Costitutio pacis nella quale si condannavano le leghe tra città comunali. Impose anche alle varie autorità locali l’obbligo di riconoscere l’imperatore come autorità superiore. Milano che non si arrende viene sconfitta e le sue mura distrutte, un funzionario regio avrà stanza presso il ducato. Ma molte città del nord si riuniscono contro la pressione fiscale dell’impero nella Lega Lombarda nel 1167. Che nel 1176 sconfigge l’esercito imperiale a Legnano. Ma l’atto più importante è la pace di Costanza del 1183 nelle quali Federico riconosce la legittimità dei governi cittadini. Nel 1190 Federico muore annegando nel fiume anatolico Salef. Il figlio Enrico VI nel 1186 sposa Costanza d’Altavilla, così facendo riuscì a diventare anche re di Sicilia nel 1194 ma muore prematuramente nel 1197. Gli succede Federico II che però ha solo 4 anni, e grazie alla protezione di Innocenzo III diviene re di Sicilia nel 1208 all’età di 14 anni. Intanto l’anno successivo diviene imperatore di Germania Ottone che però vuole liberarsi della protezione del papa che quindi lo scomunica e nel 1212 il giovane Federico II diviene re di Germania con la promessa di non riunire mai i due regni, Sicilia e Germania. Nel 1214 Federico e Ottone IV si scontrano per il titolo imperiale: nella battaglia di Bouvines nelle Fiandre Federico appoggiato dal re di Francia Filippo augusto vince in maniera assoluta e diviene nel 1220 imperatore. Il regno di Federico II però non aveva alcuna struttura centrale di dominio infatti nel 1213 emana un privilegio, la bolla d’oro, dove rinuncia alla prerogativa di nominare i vescovi, nel 1220 invece ribadisce la possibilità per i principi tedeschi di battere moneta, riscuotere dazi, costruire fortezze. Nello stesso anno si reca in Sicilia dove la sua politica è opposta a quella di Germania: qua accentra su di sé tutti i poteri obbligando la demolizione dei castelli privati e ribadì la supremazia regia su tutti i consigli cittadini. Dal 1222 al 1224 scaccia i musulmani dalla Sicilia e li relega in una regione del nord della Puglia dove possono vivere in pace la loro religione, di questi però si appropria degli arcieri e truppe varie per l’esercito. La sua politica rimpinguò le casse statali con un’abile politica economica centralizzata e si dotò di un apparato efficiente amministrativo, tanto che fu sua l’iniziativa di inaugurare la celebre università di Napoli. Dai documenti redatti dell’epoca, in particolare va ricordato il Liber Augustalis di Melfi, dove si evince che Federico voleva riorganizzare lo stato su base centralizzata: esercizio della giustizia, riappropriarsi delle regalie, istituire un apparato atto a recuperare dazi, pedaggi e collette. Attorno a sé creò una cerchia di artisti e intellettuali provenienti da tutte le nazioni dell’epoca: greci, arabi, ebrei, latini. Negli anni tra il 1235 e il 1237 è di nuovo in Germania dove però ribadisce una politica libertaria dei principi. Nel 1238 sconfigge a Cortenuova la Lega Lombarda così Federico riuscì, anche se non in maniera pregnante, a controllare tutta la politica italiana: sotto il importanza per i preti e il popolo. Solo nel 1179 lo scontro si chiuse nel Terzo Concilio Lateranense dove si decise di allargare la platea dei votanti anche ai preti e diaconi, oltre ovviamente ai vescovi, con la necessaria approvazione dei due terzi dell’assemblea. Da una parte si riduceva il potere dei cardinali dall’altra si escludeva completamente l’impero e il popolo. Per accelerare le elezioni, poiché i cardinali preferivano non avere per lunghi periodi un ingombrante regnante, Gregorio X (1271-1276), decise che il conclave sarebbe stato chiuso in una stanza senza la possibilità di uscire, riducendo via via il cibo loro messo a disposizione e negando la possibilità di godere delle entrate durante tale periodo. Va ricordato però che i cardinali continuarono ad essere preminenti nell’amministrazione e nella politica papale, sia spirituale che materiale. Si diveniva cardinali solo per nomina papale e il loro numero tese a scendere per tutto il XII e XIII secolo. In questo modo il loro potere aumentò. Il papato ampliò i propri territori nell’arco di questi secoli anche se molti cercarono di fermarne lo sviluppo: i baroni dall’interno e i Normanni dall’esterno, per questo il papa Alessandro III si alleò con le città italiane antimperiali che comportarono la capitolazione dell’imperatore nella pace di Venezia del 1177 in cui il papa ottenne la concessione delle regalie. L’impero per un breve periodo riuscì a schiacciare dai due lati lo stato pontificio ma le morti precoci dei vari svevi segnarono la fine dei sogni universali dell’impero e l’espansione territoriale papale poté riprendere. Protagonisti furono Innocenzo III (1198-1216), che portò la propria influenza sui baroni di Lazio, Umbria e Marche, scacciando i rettori imperiali e facendosi riconoscere da Federico II. A queste regioni nel 1278 si aggiunge la Romagna. Con la fine degli Svevi il papato, nella persona di Urbano IV, francese, fece intervenire gli Angiò nel regno di Sicilia che scacciarono Manfredi e Corradino. Ma il regno angioino in Sicilia dura solo fino ai vespri siciliani che terminano nel 1302 con l’arrivo degli Aragonesi. Fattori di debolezza erano: la mancanza di una dinastia che desse continuità, e l’assenza dell’appoggio popolare. Ma erano i capi spirituali assoluti di tutta la cristianità: quindi tasse da tutta Europa e possibilità di intervento, attraverso i vescovi, in tutto il continente: questo rafforzò la struttura assolutistica della monarchia. Le finanze pontificie si reggevano sia sulle Decime richieste sul proprio territorio, che confluivano nella camera apostolica, e venendo poi reinvestite per le spese della curia, sia le altre varie tasse su commercio, diritti di passaggio ecc. Anche il controllo giurisdizionale si accentrò nella figura del papa grazie anche all’invenzione per cui alcuni peccati riservati, tipo l’adulterio, potevano essere perdonati solo dal pontefice. Anche le nomine dei vescovi divennero controllate direttamente dal potere centrale, che divennero politicamente tali con Bonifacio VIII. Tutto questo nuovo tipo di stato necessitava di un impianto burocratico assai più ampio e l’apparato destinato alla cancelleria, vista l’enorme mole di corrispondenza papale, fu diviso dalla camera apostolica, vide una lievitazione dei funzionari appositi: questa diventò ben presto luogo di una delle sedi principali di elaborazione del diritto canonico. Tale modello monarchico, nonostante una sua strutturale debolezza, divenne paradigma per molti altri stati nazionali, in particolar modo venne studiato il modo di legittimarsi del potere divenendo esempio per tutti coloro che volevano in qualche modo giustificare il proprio dominio. Tra i pontefici che più di altri riuscirono ad elevare il papato al di sopra degli altri stati nazionali vanno ricordati: Innocenzo III, Innocenzo IV, e soprattutto Bonifacio VIII che nella bolla papale Unam sanctam del 1303 riscrisse l’intera gerarchia dei poteri ponendo al suo vertice il papato. Per contrastare i movimenti millenaristici, che credevano la fine del mondo nel 1300, e che chiedevano una riforma della chiesa che la riportasse ai valori del Vangelo, Bonifacio inaugurò per quell’anno il primo giubileo: tutti coloro che si sarebbero recati a Roma avrebbero avuto l’indulgenza. Altre azioni di Bonifacio non ebbero tale successo, in particolare lo scontro con i re di Francia, nella persona di Filippo il Bello, il quale alla morte del pontefice, dopo il breve regno di Benedetto XI, riuscì a far eleggere un papa francese che spostò la sede del papato ad Avignone, nel 1309. Tale periodo di stretto controllo francese non fu come da molti affermato un periodo di decadenza, anzi: durante questo periodo l’intera curia intensificò l’attività finanziaria e si cancellarono le ultime autonomie locali ancora presenti, inoltre i papi francesi organizzarono in maniera più stringente la fazione guelfa. Solo con la fine del periodo avignonese nel 1378, si aprì una crisi, resa evidente dalla presenza di due papi, in cui le varie correnti presenti per la riforma della chiesa portarono all’abbandono dell’idea teocratica elaborata dai papi del periodo XII-XIV secolo. 26. Eresie e ordini mendicanti (secoli XII-XIV) Il periodo del rafforzamento del papato è anche periodo di grandi disagi all’interno della cristianità che comportarono la presenza di movimenti contestatari: alcuni dei quali furono riportati in seno alla chiesa, altri furono condannati e definiti “eresie”. Il problema centrale era la creazione di chiese alternative e lo scalfire il monopolio dottrinale. Nei secoli XI e XII ci furono le prime eresie, in particolare nella Francia del sud (Catari o Albigesi), i contemporanei non capirono e derubricarono tali movimenti come follie demoniache: caratteristiche di questi movimenti sono: - Il rifiuto della mediazione ecclesiastica, - Lettura integrale della Bibbia come contatto diretto con Dio, - Ricorso a pratiche ascetiche. A questo va aggiunta la protesta spesso di cittadini contro la corruzione del clero, la ricchezza delle cattedrali, la prepotenza politica dei vescovi. Tra questi movimenti vanno ricordate la pataria, contro la simonia del clero, sorta Milano, oppure i seguaci di Valdo, mercante di Lione che rinunciò ai suoi beni, che pretese di predicare nonostante il divieto impostogli dalla chiesa. Ma centrale sempre nella Francia del sud fu l’eresia catara: due erano i principi eterni, bene e male, che si affrontano in una lotta incessante, il mondo era opera di Satana. I perfetti erano coloro che lasciandosi morire facevano sopraggiungere il bene contro il male rappresentato dal corpo: questi ebbero grande fascino sulla popolazione e tali eretici si trovano in tutte le grandi città comunali, dove occuparono anche importanti cariche politiche. Inutili i divieti banditi dai vari papi nel 1184 (Lucio III), da Innocenzo III, tanto che nel 1208 si organizzò una vera e propria crociata contro i catari della Francia meridionale che provocò grandi massacri della popolazione. Nel IV concilio lateranense del 1215 si ribadì tale scomunica. Anche per opera di contrasto e per tornare ad avvicinare i credenti la chiesa nei pontefici, Innocenzo III e Onorio III accettarono due movimenti, chiamati ordini mendicanti o ordini minori, che divennero centrali nei secoli successivi: domenicani e francescani. Va ricordato che questi erano frati non preti, e cioè non obbedivano a regole monastiche ma a nuove regole fondate sull’impegno sociale. Domenico di Guzmán (1175-1221) predicava una chiesa ortodossa fondata su una solida cultura teologica e su una vita ascetica esemplare. La sua azione si concentrò dapprima nella Francia del sud in maniera itinerante, successivamente si stabilì a Tolosa nel 1213. Domenico chiese l’autorizzazione a Innocenzo III a riconoscere il movimento: autorizzazione che arrivò l’anno dopo con Onorio III per cui i suoi seguaci, che seguivano la regola agostiniana, partirono nella predicazione in tutta l’Europa. Caratteristica, come per i francescani, era l’assoluta povertà e la regola per cui dovevano vivere solo di elemosina. Francesco d’Assisi nacque nel 1182 e dopo aver compiuto vent’anni si recò come eremita presso la comunità presente ai piedi del monte Subasio. Tre anni dopo lo troviamo itinerante a cui, visto il suo carisma, si aggiunge un piccolo gruppo di persone chiamati minores, e cioè sottomessi a tutti. Fu con Onorio III che il movimento ebbe riconoscimento e iniziò a fiorire, tanto da avere una sezione femminile guidata da Chiara dal 1213. Nel 1217 viene organizzato in province e inizia la sua espansione. Nonostante il rifiuto iniziale di istituzionalizzare il movimento, visto l’insistere dei suoi confratelli, Francesco si decise nello stendere una regola, la regula bullata, che viene approvata da Onorio nel 1223. Muore nel 1226 e diviene santo già nel 1228. Il francescanesimo si divise immediatamente in diverse correnti alcune delle quali molto vicine all’eresia, ma insieme ai domenicani e gli eremiti di Sant’Agostino, furono salvati dalla generale accusa di eresia che troviamo nel 1274 nei documenti del concilio di Lione. Entrambi i due movimenti divennero importanti, grande novità, all’interno delle città e espressero spesso i loro ideali anche in ambito politico appoggiando spesso i governi cittadini di impianto popolare. A loro la chiesa affidò lo speciale tribunale contro le eresie, la “Santa inquisizione” che ben presto, nonostante la risposta violenta degli eretici, che portò anche all’uccisione di Pietro da Verona nel 1252, attraverso una gran mole di processi riuscì a demolire molte comunità eretiche, anche con uccisioni spettacolari. Tale tribunale fu poi usato politicamente contro la corrente ghibellina, e i suoi accoliti, presente nelle città con l’accusa di eresia. Tra le condanne importanti vanno ricordate sia il rogo che uccise nel 1300 Gerardo Segarelli, e quello che bruciò anche il suo “discendente” fra Dolcino da Novara nel 1307. Questi movimenti sono stati visti come anticipatori del più grande movimento innescato da Lutero nel XVI secolo. 27. Crisi e nuovi equilibri (secolo XIV) La storia del XIV secolo è costellata di eventi drammatici: carestie, peste del 1348, campagne militari delle maggiori monarchie che portarono ad un nuovo momento di depressione, che però viene anche vista come base per il ripartire della grande economia moderna. Il Duecento è caratterizzato dall’espansione economica, dove particolare importanza l’ottiene la compra-vendita, e quindi la produzione, di tessuti venduti nelle fiere, luoghi nei quali si riunivano i mercanti per circa sei settimane e dove avveniva la vendita per lo più all’ingrosso di quelli che i mercanti italiani chiamavano “panni francescani”, tessuti di pregio. Nascono per favorire gli scambi, nuove monete d’argento e d’oro: quelle di Federico II, l’augustale e il fiorino di Firenze. Nascono quindi da una parte delle compagnie mercantili e dall’altra i banchi, che rispondevano al bisogno crescente di denaro contante con il prestito. Con l’aumentare della produzione si assiste anche ad una migrazione verso le città che tornano ad avere anche più di 100.000 abitanti come non accadeva dal periodo tardo-antico. Questo comportò l’abbandono di ampie zone rurali in netto contrasto con la sempre maggiore richiesta di derrate delle città: queste, insieme ad altre, furono le basi della profonda crisi del XIV. Una devastante carestia, incontrastabile dai magazzini anche per l’ampiezza del territorio interessato, fecero innalzare il prezzo dei cereali e quindi del pane, rendendo le condizioni di vita dei nuovi arrivati nelle città precarie. Dalle campagne anche loro affamate ci si riversò inutilmente nelle città: nell’Europa del XIV secolo si torna a morire di fame. I motivi non furono ambientali-metereologici, al massimo furono una concausa, ma l’assetto disequilibrato sviluppatosi nel secolo precedente. Nel 1348 in tutta Europa velocissimamente si diffonde una malattia estremamente mortifera: la peste bubbonica arriva attraverso le carovane provenienti dal Kazakistan che incrociarono i mercanti genovesi che importarono la morte nera in tutto il continente. Era dal VI secolo che non si ripresentava e quindi i contemporanei non sapevano come curarla. La prima di tre ondate successive (1347-1350; 1360-1390; 1397-1402) falciò, pare, un terzo della popolazione. Secondo Malthus, economista inglese del Settecento, la depressione, crisi del Trecento è dovuta al fatto che la popolazione tende ad aumentare in progressione geometrica mentre i mezzi di sostentamento in progressione aritmetica, da cui nascono per forza crisi devastanti che falciano il di più della popolazione riportando ad una situazione di equilibrio. Altri storici da lui ispirati vedono quindi nella crisi del Trecento un momento positivo della storia economica poiché ha riportato l’Europa ad una situazione di equilibrio, comportando la concentrazione in mano di pochi di grandi ricchezze che poi sono state reinvestite nelle attività produttive: questo spiegherebbe l’apparente contraddizione trecentesca tra calo demografico e grande sviluppo culturale-artistico avviato da Giotto. Per Marx invece la crisi del Trecento va letta come il periodo di transizione da un sistema economico, di mezzi di produzione, feudale ad uno di tipo capitalistico. Ancora aperto è il dibattito su questo periodo. La minore richiesta di cereali comportò l’inizio di colture diversificate come il riso, il lino e il gelso; inoltre comportò l’aumento dell’incolto e l’instaurarsi in questi della pastorizia ovina, che dava materia prima ai tessuti. Anche il lavoro degli stessi contadini mutò profondamente, in Toscana, ad esempio, ci si mosse verso la creazione di poderi, più aree coltivabili riunite sotto un solo padrone, che poneva al centro il casolare, la casa colonica. Tale sistema di affitto della terra data ad una famiglia di contadini fu chiamata mezzadro, visto che la metà del raccolto andava al proprietario. In Francia invece ci furono nuove forme di oppressione del lavoro contadino che portarono a nuove rivolte, le jacquerie, del 1358, represse con estrema violenza. In Inghilterra si ebbe una rivolta nel 1381 contro la tassazione per la guerra dei cent’anni che in parte si risolse con l’accettazione di alcune richieste, quelle meno radicali, mentre le frange più estreme furono ancora una volta, represse nel sangue. Dal punto di vista produttivo si passa da una produzione artigiana ad una manifatturiera: organizzazione del lavoro nella quale vengono divise le varie fasi del lavoro e nella quale si utilizzano operai salariati. Si crea una nuova classe sociale, i salariati, senza alcuna rappresentatività nelle società dei mestieri, chiamate Arti, mestieri, corpo ecc. Questi nuovi poveri furono protagonisti di rivolte urbane: nelle Fiandre nel 1323, nelle città tedesche, o la famosa rivolta dei Ciompi del 1378 a Firenze. Le nuove esigenze creditizie portarono allo sviluppo dei banchi: gli stessi sovrani, impegnati in continue guerre, necessitavano di prestiti dai banchieri, primi tra tutti quelli della città di Firenze. E proprio in quella città si consumerà il primo grande crollo bancario della storia: l’insolvenza di re Edoardo III d’Inghilterra, comportò il fallimento di alcune banche fiorentine, dei Bardi e dei Petruzzi. Tale sconvolgimento si traspose in ambito mercantile dove crollarono anche alcune compagnie che erano intestate alle stesse persone delle banche. 28. Gli stati regionali in Italia (secoli XIV-XV) A partire del XIV secolo le città-stato italiane riescono ad ampliare i propri territori in modo da costituire, in maniera spesso assai violenta, solo 5 stati regionali nell’intera penisola. Queste nuove forme di stato comportarono nuove forme di prelievo economico. L’inizio del Trecento è caratterizzato dalla formazione di due schieramenti distinti: guelfi e ghibellini, che con la loro rete di influenze e legami politici condussero le città italiane ad essere profondamente legate con avvenimenti apparentemente lontani come l’incoronazione di un re, o l’elezione di un nuovo imperatore. Il primo scontro in cui si evidenziano questi due gruppi sono i cosiddetti Vespri siciliani che videro da una parte i guelfi alleati con gli Angiò a cui rimasero le regioni continentali, mentre i ghibellini si allearono con gli Aragonesi. Ma l’imperatore era lontano e anche l’incoronazione di Enrico VII di Lussemburgo (1310 – 1313), in Sicilia, non importava granché. Ma ebbe effetti nell’Italia settentrionale: il nuovo imperatore rafforzò i poteri ghibellini nelle città di Milano e Verona che alla morte di questi, avvenuta solo dopo tre anni, si trovarono liberi di ampliare i loro territori. Contro questi ampliamenti si schierò il papa Giovanni XXII che però non riuscì in niente. Milano prese il possesso di tutte le città lombarde, Verona di quelle venete. Pisa si ribella con successo a Firenze. Le accorate richieste d’aiuto all’imperatore da parte dei ghibellini rimasero inattese. Quando poi alcune città lombarde e emiliane avevano eletto a proprio signore Giovanni di Boemia, figlio di Enrico VII, nel 1330, si vide la rivolta di città sia guelfe che ghibelline contro il nuovo sovrano: oramai la divisione in due schieramenti era oramai divenuta obsoleta: alcune grandi signorie erano divenute indipendenti. L’impero germanico dopo la figura di Federico II attraversò un periodo di interregno che minò il prestigio imperiale, inoltre il suo ruolo nell’Italia, dopo i tentativi falliti di Enrico VII e Ludovico il Bavaro, si era fortemente ridotto. Con la bolla d’oro del 1356 di Carlo IV, imperatore, si era poi svincolata la nomina imperiale dal papato e si era dato potere decisionale a sette grandi principi tedeschi. La situazione territoriale oltre ad essere frastagliata risultava anche composita nelle forme di governo: si andava da signorie, principati laici ed ecclesiastici, fino a situazioni dove vi erano assemblee parlamentari. Nell’area tedesca si formarono solo due stati al di fuori dell’ambito imperiale: la Svizzera che ebbe origine nel 1291 da un patto stipulato tra varie comunità e il principato religioso-militare dell’ordine teutonico nato nel Duecento per convertire gli slavi al cristianesimo. Ai “confini” dell’Europa si formarono stati diversi ma che non ebbero una conformazione simile a quelli già nominati di Francia e Inghilterra, in loro non vi era articolazione sociale complessa anche perché basati sulle grandi proprietà fondiarie per cui furono governati grazie ad uno stretto rapporto tra sovrani e nobiltà. - In Scandinavia i regni di Norvegia e di Svezia non riuscirono ad imporsi nella regione; - La Danimarca era più dinamica ma le sue mire espansionistiche furono frenate dalla Lega delle città marinare tedesche denominata Hansa. - Il regno di Boemia che dal Trecento faceva parte dell’impero conobbe uno sviluppo amministrativo e politico simile per alcuni versi agli altri stati nazionali europei, con l’accentramento del potere rispecchiabile nello sviluppo urbanistico di Praga. Carlo IV però promosse alle più alte cariche personalità tedesche relegando l’aristocrazia boema, il che comportò la nascita di un sentimento nazionale, legato anche alla sfortunata parabola del professore Jan Hus, bruciato nel 1415. - Il regno d’Ungheria. La corona nel Trecento era passata agli Angioini che cercarono una struttura politico- amministrativa simile a quella francese. Per alcuni decenni il regno fu in mano alla famiglia Lussemburgo. - Polonia. Il suo territorio riuscì ad essere stabilizzato solo nel Trecento ed essendo abitato soprattutto da cristiani cattolici fu sempre ben visto dal papato che vedeva di buon occhio un avamposto cattolico in un territorio a dominazione greco-ortodossa. - La Lituania. Nata contro le invasioni e aggressioni dei Russi di Novgorod quando le tribù lituane si riunirono e passarono alla religione cattolica in modo da potersi inserire nella crisi di successione polacca e costituire un regno polacco-lituano dal 1386. - Russia. Nasce nel secolo XIV dopo la crisi dell’impero mongolo che aveva assoggettato buona parte del territorio che oggi è russo. Alcuni principati come quelli di Novgorod e di Mosca riuscirono ad imporre una politica autonoma. Ben presto Mosca divenne luogo centrale per il culto cristiano-ortodosso e con Ivan III il Grande (1462-1505) Novgorod e molti principato minori furono conquistati definendo in maniera stabile lo stato russo. - Penisola iberica. All’inizio del XIV secolo era divisa in quattro regni cattolici, Navarra, Aragona, Castiglia e Portogallo, e un regno musulmano di Granada. Tutti, pur con le loro specificità, conobbero crisi dinastiche importanti e ricorrenti dovuti ai contrasti tra sovrani e ceti eminenti. Solo nel 1469, quando Isabella di Castiglia sposa Ferdinando d’Aragona, si dà inizio ad un lento e contrastato processo d’unificazione dei due regni. Il collante fu trovato nella fede religiosa tanto che nel 1492 furono espulsi gli ebrei e conquistato il regno musulmano di Granada, dando fine alla reconquista. I due regnanti dettero però vita a esplorazioni marittime volte all’espansione territoriale e alla ricerca di nuove rotte commerciali. Il 1492 è anche l’anno della spedizione di Cristoforo Colombo. 30. L’invenzione del Medioevo (secoli XV-XXI) Il medioevo esiste solo come invenzione moderna. Per gli umanisti tale periodo era un vuoto tra la grandiosità classica e la ripresa avvenuta nella loro epoca la modernità, infatti la parola medioevo significa età di mezzo, ma anche passato recente. Anche l’arte gotica, detta infatti anche barbara, era frutto di questo periodo di volgarità senza proporzioni, che invece erano state ristabilite da Giotto e Cimabue. Anche religiosamente, idea resa propria dai riformatori luterani, il medioevo era un periodo oscurantista, superstizioso e che aveva perso l’originale spiritualità cristiana. Fu Georg Horn a datare per primo il medioevo tra il 476 e il 1453: le due cadute degli imperi romani, d’Occidente e d’Oriente. Ma sempre più appare impossibile porre un’unità formale all’età di mezzo e sempre più l’aspetto negativo viene ridimensionato anche grazie alla monumentale opera di Ludovico Antonio Muratori nel XVIII secolo che vede nei secoli successivi al Mille qualcosa di estremamente positivo nella costituzione dei comuni italiani. Importante anche l’esperienza di Voltaire che vede nel medioevo l’età in cui nascono privilegi e disuguaglianze che sono all’epoca i nemici da abbattere. Con il romanticismo si avvia la riabilitazione del medioevo come età irrazionale e passionale. Il dionisiaco contro la rivolta apollinea della razionalità illuministica. In Italia e Germania si assiste ad un recupero dovuto alle spinte nazionalistiche, età nella quale si fondava lo stato di cui si era alla ricerca. Per gli italiani era il periodo dell’affermazione dei comuni contro i primi invasori. Oggi la storiografia ripudia con forza questa idea troppo finalistica. Sempre nell’Ottocento si è visto, anche dal punto di vista artistico-architettonico un medioevo unico, statico nelle sue espressioni culturali, ma anche questo è evidentemente un falso poiché il periodo che va dal V al XV secolo presenta cambiamenti così clamorosi da risultare quasi impossibile presentare delle persistenze. Porre un’idea di tale periodo è sempre arbitrario poiché per avvalorarla si tende a negare ciò che non è conforme a quell’idea astratta. Anche dal punto di vista religioso, idea anche questa su cui si è basata l’idea di un periodo unitario e coerente, il millennio è età di incontri e contaminazioni fra culture diverse. La storia è fatta di opzioni marginali e sconfitte e il medioevo non è una storia differente dalla restante. Tabacco ha chiamato il medioevo «l’età della sperimentazione». Nella storia Braudel ha posto tre tempi diversi: quello politico, che cambia velocemente, quello economico che è più lento, infine quello dei modi di vita quotidiani, che ha ancora tempi più lunghi. Negli studi medievalistici odierni si tende a dare una classificazione del medioevo diviso in base alla tipologia documentaria, per cui si nota un primo periodo in cui meno significativo è l’utilizzo della parola scritta, per cui altri sono i linguaggi che giocano un ruolo primario, e un periodo in cui invece c’è un ritorno a questo medium. Per Montanari il Medioevo è un contenitore da riempire, qualificare e definire in tanti modi diversi. In fondo non c’è un Medioevo. Fine
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