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Riassunto di Uomini e Case nel Medioevo tra Occidente e Oriente, di Paola Galetti, Sintesi del corso di Storia Medievale

Riassunto di Uomini e Case nel Medioevo tra Occidente e Oriente, di Paola Galetti, scritto per l'esame di Storia degli insediamenti e dei sistemi abitativi, A.A. 2022/2023

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

Caricato il 29/01/2023

ThomasDemaldé
ThomasDemaldé 🇮🇹

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Scarica Riassunto di Uomini e Case nel Medioevo tra Occidente e Oriente, di Paola Galetti e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! Riassunto di Uomini e case nel Medioevo tra Occidente e Oriente Di Paola Galetti Sommario Modelli insediativi a confronto nei primi secoli del Medioevo ...................................................................... 3 Nelle Campagne Medievali: la casa contadina ................................................................................................ 6 Nelle campagne medievali: la residenza signorile ........................................................................................... 9 Nella Città Medievale ..................................................................................................................................... 12 L’Occidente e gli “altri” ................................................................................................................................... 15 composta di argilla, sassi, sabbia, rami d’albero, assemblati sulla superficie, a differenza della zemljanka che possedeva una porzione interrata. Queste case ospitavano gruppi famigliari allargati e col tempo andarono a ridurre la loro superficie. Questi edifici possedevano tre caratteristiche particolari: la presenza di una sauna, ambiente dedicato all’igiene personale e comunitaria, silos sotterranei diffusi specialmente in occidente in cui erano conservati i cereali e affumicatoi dove venivano trattati la carne e il pesce che poi venivano conservati. Il legno era la materia basilare per la costruzione delle abitazioni e delle infrastrutture chiave. Per il riscaldamento e la cottura dei cibi erano utilizzati focolai aperti, la luce era prevalentemente fornita dall’ingresso posto a meridione, mentre gli utensili casalinghi erano pochi e poco differenziati. Si evidenzia la quasi totale assenza di brocche e anfore tipiche del mondo mediterraneo. Verso la fine del IX secolo, a seguito della stabilizzazione dei Bulgari, compare in area pannonica l’etnia Magiara/Ungara. Il nucleo originario proviene dalla Siberia e si muove poi verso gli Urali, stabilendosi poi nell’VIII secolo nella regione del Don. Entro la metà del secolo successivo si spinsero più a Occidente, incalzati dai Peceneghi, fino a raggiungere la Pannonia, base delle loro scorrerie in Occidente. Sconfitti a Lechefeld da Ottone I nel 955 si stabilirono entro la Pannonia dove si convertirono e istituirono un regno autonomo. Originariamente pastori nomadi, dopo la migrazione in Pannonia svilupparono progressivamente forme di stabilità insediative permanenti, sfruttando le loro abilità a cavallo per portare avanti i loro raid. Già nel X secolo i ritrovamenti archeologici testimoniano la presenza di villaggi a maglie larghe. La tipologia abitativa più diffusa era la casa monofamiliare interrata, caratterizzata da ingresso a est e la presenza di un focolare di fronte all’entrata. Sono state ritrovate anche case costruite completamente in superficie. All’interno dell’abitazione si trovavano suppellettili, ceramiche e oggetti in metallo. Le ricerche archeologiche hanno anche individuato la struttura del “fortino di terra”, dotato di mura costruite sulla base di legno e rinforzato con pietre, a volte dotato di una palizzata. Le fonti occidentali testimoniano, a partire dall’VIII secolo nuove genti provenienti dalla Scandinavia, distinte in gruppi etnici ampi: i Danesi, i Gotar, gli Svedesi e i Norvegesi. Essi sono nominati con il nome di Nordman, Vyking, Variaghi o ‘Rus. Dopo una serie di migrazioni e scorrerie testimoniate in tutta l’Europa Occidentale e Orientale andarono via, via stabilizzandosi, dedicandosi principalmente al dissodamento interno e creando quadri di vita più regolare. Nelle loro patrie i Normanni erano principalmente agricoltori che coltivavano con l’assistenza degli schiavi, ma anche artigiani specializzati che godevano di ampio rispetto all’interno delle loro comunità. Durante le loro scorrerie non esitavano a dedicarsi anche al commercio e ci hanno lasciato testimonianza di numerosi mercati fortificati costruiti lungo le loro destinazioni predilette. Il tessuto insediativo era caratterizzato da piccoli borghi o fattorie isolate a seconda del territorio e l’organizzazione sociale era basata sulla famiglia allargata, che trovava la sua sede nella hallhouse, case quadrangolari molto lunghe, costituite da un unico ampio ambiente dove si svolgevano tutte le attività produttive e sociali. All’interno di questa casa solo il capofamiglia e la moglie occupavano uno spazio dedicato, mentre il resto del gruppo, schiavi compresi, viveva in promiscuità. La famiglia produceva sul posto tutto ciò di cui aveva bisogno basandosi su una rudimentale specializzazione dei compiti. Villaggi e fattorie erano immerse all’interno di territori boschivi e le selve erano anche sede dei culti religiosi. La foresta era anche l’elemento base delle loro condizioni materiali, permettendo di creare una cultura del legno che si va a conservare nei secoli addirittura fino all’epoca contemporanea. Capitolo II Nelle Campagne Medievali: la casa contadina Le campagne tra tardo-antico e alto Medioevo Fra I e II secolo i ceti dirigenti romani basavano il loro potere su ampi possessi terrieri, i latifundia. La grandissima proprietà coesisteva, però, con una galassia di piccole e medie proprietà gestite dai coltivatori liberi coordinati attorno a vicus, villaggi, privi di forza economica, ma funzionali al sistema latifondistico. L’organizzazione di queste piccole proprietà era ricalcata su quella delle maggiori. La crisi che investì il territorio imperiale tra II e IV secolo degradò il paesaggio rurale, che andò spopolandosi delle piccole imprese, causato da perduranti difficoltà economiche e lo sfaldarsi dei legami urbani. Il latifondo, riuscendo a mantenersi stabile nel tempo, muta la sua organizzazione, sostituendo sistemi di produzione a coltivazione diretta con quelli a coltivazione mista: non più solo schiavi, ma anche contadini-coloni ora lavorano sui terreni dei grandi proprietari. Tra V e X secolo la campagna scalza l’ambiente urbano come centro di organizzazione del potere, ma lo fa in modo non uniforme in tutto l’impero. In particolare in Gallia la continuità dei gruppi sociali dominanti favorì il mantenimento della grande proprietà, grande proprietà sulla quale poi andranno ad innestarsi progressivamente le istituzioni economiche franche fino alle strutture curteensi; in Italia, invece, l’invasione longobarda rappresentò una cesura nella gestione economica della terra: gli antichi grandi proprietari furono decimati e le loro terre divise fra i nuovi in modo capillare, andando a diffondere ampiamente un modello agrario basato sulla proprietà contadina individuale o collettiva, che cedette il passo definitivamente alla grande proprietà solo con l’VIII secolo e la dominazione franca. La casa contadina: le tipologie La casa contadina è una struttura dipendente per articolazione, tecniche costruttive e materiali, dal quadro economico e insediativo di riferimento. È il fulcro funzionale di una azienda agraria e corrisponde allo stato del sistema della conduzione della terra e delle tecniche agrarie di una data regione in un dato periodo. Per il Medioevo risulta difficile identificare delle tipologie precise, ma non è impossibile identificare delle tipologie prevalenti in dati contesti. Rilevante sottolineare come il mondo agricolo tenda ad assorbire più lentamente i mutamenti, scegliendo in maniera consapevole di usufruire di strutture insediative che rispondono efficacemente a specifiche necessità. Fra queste tipologie troviamo la casa a corte aperta o chiusa. Si tratta di una struttura che troviamo in diverse aree geografiche lungo tutto il percorso del Medioevo, in schemi insediativi legati a strutture isolate o villaggi. Si tratta di un nucleo edile complesso, con una corte centrale che è solitamente spazio per l’aia, ma anche raccordo attorno al quale si raccolgono tutte le strutture polifunzionali della casa, dalla cucina al granaio. Questa realtà era percepita come unitaria e il più delle volte difesa con recinti o fossati. La casa era il punto di riferimento di un’intera famiglia ed esso possedeva per questo anche un’importante aura spirituale, venendo pertanto tutelata in modo specifico soprattutto dal diritto germanico. Nell’Alto Medioevo caratterizza tutte le aree Longobarde e Franche e quelle porzioni di territorio dove queste tradizioni e quelle bizantine interagiscono, mentre nelle aree posteriori al mille si diffonde più o meno dappertutto, fino ad arrivare a un tardo medioevo caratterizzato da insediamenti di tipo mezzadrile basati sulle case a corte. Nel tardo medioevo l’evidenza archeologica sottolinea come la casa tendesse a espandersi, offrendo maggior spazio a uomini e animali, diventando pertanto anche spia di una progressiva maggior integrazione tra agricoltura e allevamento. La coabitazione di uomini e animali era particolarmente frequente nei modelli longhouse, diffusi soprattutto in Europa Settentrionale, probabilmente più adatti alle condizioni economiche e climatiche. Alla casa a corte si contrappone quella a struttura unitaria, caratterizzata da un unico complesso costituito da un solo vano multiuso. Si tratta normalmente di un ricovero precario particolarmente diffuso all’interno di strutture castrensi o nei centri demici. Verso Oriente sembra anche essere la tipologia di insediamento più diffusa fra i domini bizantini. Una diversa tipologia costruttiva è quella degli edifici a struttura unitaria che tendono a svilupparsi verso l’alto. Si tratta di un modello particolarmente tardo e lento a diffondersi, a causa delle complicate tecniche costruttive, del maggior costo economico e perché trattantesi di un modello insediativo solitamente legato allo sviluppo cittadino, dove rispondeva a logiche demografiche e spaziali più pressanti, importato in campagna durante i processi di assimilazione del contado. Per questi tre motivi la comparsa di case a più livelli è anche un utile marcatore di una progressiva stratificazione della società contadina, indicazione della presenza di individui facoltosi e/o di estrazione cittadina. La casa mezzadrile è il più chiaro esempio di questo sviluppo. La casa contadina: materiali e tecniche Il periodo in cui si inizia a notare un cambiamento significativo nei modi di costruire le abitazioni rurali è da posizionare approssimativamente tra il XII e il XIII secolo, nella consapevolezza che si tratta di un periodo di tempo che tiene conto di numerose variazioni a livello locale. Prima di questa scansione la tendenza principale verteva attorno a edifici costruiti con materiali deperibili, non pensati per durare nel tempo, in primo luogo il legno, che poneva le basi di edifici costruiti con pareti in graticciato di rami, riempito di argilla, ciottoli o mattoni crudi schiacciati assieme a paglia o addirittura zolle erbose. Le strutture lignee convivevano accanto a quelle costruite con tecniche miste, tutte riconducibili a due grandi categorie: edifici di superficie o semi-interrati. Nonostante la documentazione dell’epoca sia particolarmente avara di informazioni sappiamo che quercia, olmo, castagno e abete erano le tipologie di legno predilette per la loro solidità e durevolezza. Spesso viene documentata la pratica di smontare e rimontare le case per spostarle in zone ritenute migliori. Gli uomini del Medioevo non trovavano difficoltà nel reperire il materiale legnoso, le tecniche elementari di lavorazione erano diffuse fra tutta la popolazione e permetteva anche la costruzione di edifici religiosi, solitamente sforzi di un’intera comunità. Il legno faceva parte del patrimonio edile romano, veniva largamente impiegato in ambito rurale, ma è con i “barbari” che l’impiego si fa generalizzato, scalzando le edificazioni in pietra e laterizio. La diffusione dell’edilizia lignea rappresenta anche un modo diverso di vivere in rapporto con l’ambiente: si tratta di un tipo di pratica architettonica che rappresenta un adattamento al contesto, da porre in contrapposizione con l’edilizia in pietra e laterizio, espressione della volontà di dominare il territorio circostante. Tra XII e XIII secolo le tecniche edilizie rurali iniziano a mutare e compaiono tecniche più raffinate di lavorazione del legno, ma anche materiali più resistenti, fra cui la pietra e il laterizio. L’opposizione tra aree geografiche con un’Europa del Nord più legata agli edifici lignei e un’Europa ex-romana più affine a pietra e mattoni non regge il confronto con i dati archeologici. La diffusione della pietra era accompagnata da nuove e più pressanti sfide come l’approvvigionamento, il trasporto, la lavorazione e la necessità di manodopera specializzata, il che si traduceva in maggior esborso di denaro. Un altro materiale più solido è appunto il mattone. L’industria laterizia era decaduta rispetto all’epoca romana, senza mai sparire del tutto, andando però a localizzarsi e a restringere i propri orizzonti. La ricerca archeologica ha oltretutto dimostrato come nelle prime fasi dell’età medievale le principali edificazioni in mattoni fossero in realtà costruite con materiale di riporto. Nel pieno e tardo Medioevo la “casa murata” si diffonde più significativamente nei centri incastellati e nei villaggi, rimanendo piuttosto rara negli insediamenti sparsi. Uno degli aspetti in cui il laterizio rimane centrale è quello della copertura dei tetti. Interessante notare la netta differenziazione nei materiali che costituiscono le residenze padronali rispetto a quelle servili: pietra contro legna. La residenza signorile tendeva ad essere di maggiori dimensioni e maggiormente complessa, ma non si tratta di una regola fissa e spesso le residenze signorili non erano materialmente differenti da quelle servili. A partire dal IX secolo, a causa dell’instabilità politica e della generale insicurezza le dimore signorili iniziarono a fortificarsi, permettendo alla corte di difendersi, ma anche ampliando il prestigio e il potere del signore. Molte corti continuarono la loro evoluzione verso strutture castellane. Sempre il Capitulare ci ricorda la rozzezza delle condizioni signorili, mostrandoci elenchi di suppellettili necessari che risultano differenti rispetto a quelli contadini soltanto nel momento in cui sono destinati a lavorazioni avanzate ad esempio dei materiali da costruzione. La situazione di scarsezza e di qualità simile agli oggetti contadini è confermata anche dagli inventari che ci sono giunti fino a noi, come quello della corte di Migliarina, dipendente dal monastero bresciano di Santa Giulia. Questi elenchi così miseri riflettono un livello di vita poco confortevole, un certo grado di precarietà dell’economia domestica e della generale difficoltà di vita per tutta la popolazione delle campagne medievali. Nei secoli posteriori al Mille l’aumento demografico, la crescita agricola, la rinascita delle città e il maggior dinamismo dei traffici commerciali portano a delle trasformazioni nel panorama agrario e nella vita delle campagne. Cambiano i regimi della proprietà, le condizioni personali dei contadini, i modi di conduzione della terra e i rapporti con la città. Le grandi proprietà curteensi rimangono prevalenti, con i loro diritti giurisdizionali e il loro potere determinato dal fenomeno dell’incastellamento e della regressione dei poteri centrali. Con il tempo però l’aspetto funzionale inizia ad essere claudicante: rispondendo a logiche prettamente di proprietà, l’azienda curteense tende ad essere frazionata fra vari eredi, perdendo di coesione e soprattutto arrivando a non riuscire a sostenere la gestione delle prestazioni d’opera, vero collante del sistema curteense. La fattoria a corte tende quindi a diventare indipendente rispetto alle aziende minori del massaricio. L’influenza decisiva sull’antico sistema curteense fu esercitata dai ceti urbani, interessati a investire in campagna i propri capitali. Le proprietà furono riorganizzate per renderle più efficienti, quindi le proprietà furono deframmentate e i contratti con i contadini gestiti in maniera più assidua e pressante. I nuovi proprietari destinavano poi una certa quantità di fondi al miglioramento delle strutture curteensi, partecipando attivamente all’amministrazione delle aziende. In questo contesto la dimora signorile è ancora essenziale, riflettendo scopi ancora legati a produzione e amministrazione. Con il Trattato della Agricoltura, scritto nel 1305 circa, Pier de’ Crescenzi vuole creare un manuale dedicato ai suoi concittadini per la gestione dell’azienda agricola. Si tratta di un testo che influenzerà la teoria e la pratica agraria fino al secolo XVI. Oltre a specificare la differenziazione tra l’area dedicata al signore e quella dedicata ai lavoratori, con schemi che saranno ripresi dalla pratica come testimoniano alcune evidenze materiali, Pier de’ Crescenzi ipotizza una nuova struttura insediativa padronale: quella della residenza di campagna a scopo ludico e di espressione di potere sociale. Si tratta di luoghi di villeggiatura lontani dai centri cittadini caratterizzati da lusso e ostentazione economica, che trasmettono nuove forme mentali pensanti la conquista e l’ordinamento dello spazio campagnolo e soprattutto l’espressione di un gusto estetico, un “bel paesaggio” che troverà piena rispondenza nei modelli italiani della villa Rinascimentale. Le residenze fortificate Dall’età tardo-antica il diffuso senso di insicurezza dovuto alla crisi degli ordini centrali della società e dalle invasioni barbariche aveva spinto case isolate, villaggi e ville a fortificarsi, creando recinzioni che erano limite netto fra la realtà interna ed esterna al sistema abitativo. A fianco di queste strutture si sviluppano edifici fortificati ad uso prettamente militare, i castra. Tra IX e X secolo le seconde invasioni portano alla capillarizzazione dei sistemi fortificati: la popolazione si raccoglie attorno a nuclei di potere dei potentes, dove erano in grado di trovare protezione, mentre il padrone inizia a manifestare l’esercizio di poteri giurisdizionali. La realtà incastellata italiana dei secoli X-XI appare peculiare rispetto al resto dell’Europa perché vi prevalgono forme fortilizie dove risiede stabilmente popolazione civile. Dal Duecento in avanti si fa sempre più incisiva una distinzione tra strutture civili e militari dovuta alla diffusione e stratificazione dei conflitti, oltre a chiari avanzamenti tecnici che richiedono difese sempre più specializzate. La realtà incastellata signorile risponde a due necessità: quelle di difesa e di residenza del signore. In Francia, Germania, Gran Bretagna e Sicilia si diffonde la forma della motta, un terrapieno su cui è costruita una fortificazione detta donjon. Il castello/villaggio tipico della realtà italiana vede una prima serie di mura, terrapieni o fossati a protezione di un insieme abitativo. L’uso delle mura appare piuttosto precoce in Italia, ma predominanti restano opere in terra, legno e alcune zone in laterizio. Lo spazio interno al recinto era generalmente occupato da edifici rustici, con alcuni edifici di uso pubblico come una chiesa, un pozzo, un cimitero. La dimora del signore, invece, tendeva ad essere un edificio dall’architettura più complessa, la cui fortificazione sembra essere successiva all’XI secolo a differenza dell’area cisalpina. Con il progredire dei mezzi di attacco, progrediscono le difese: le mura si inspessiscono e si alzano, i fossati si raddoppiano e i sistemi di accesso sono dotati di ulteriori difese. Generalmente gli insediamenti sono costruiti su tre livelli di fortificazioni concentrici. Nel primo livello si trovano le strutture rurali, nel secondo, che racchiude il dongione, con gli edifici più importanti e il terzo rappresentato dalla residenza signorile e dalla torre centrale. La dimora signorile garantiva sicurezza, ma era anche organizzata per favorire la comodità della vita del signore e l’espletazione delle funzioni pubbliche di cui il potente si arrogava. Pubblico e privato si compenetrano in una serie di ambienti come la sala centrale, sia luogo dei pasti, che luogo di giudizio pubblico. Al pari dei contadini, i signori vivevano comunque prevalentemente all’esterno, dedicandosi alla preparazione militare, alla guerra, alla caccia o agli spostamenti tra fortificazioni. All’interno delle loro dimore si ritagliavano spazi verdi e giardino, simulacri di foresta e luogo prediletto delle donne, come ci viene trasmesso dall’iconografia. Capitolo IV Nella Città Medievale Il nesso etimologico che lega civis/civitas a civilis/civilitas è indicativo del ruolo di grande importanza che la città come centro direzionale e organizzativo di un dato territorio ricopre nell’organizzazione politica dell’Impero Romano. Il controllo di Roma si basa sull’imposizione di una data organizzazione che passa proprio per la città. Di conseguenza la rete cittadina dell’Impero Romano ha chiaramente avuto forti ricadute su tutta la storia dell’Europa Occidentale e Orientale. Da questo stato di fatto il ruolo della città nella storiografia è stato amplificato e sopravvalutato, con la costruzione di un sinonimo tra civitas e civilitas espresso soprattutto negli ultimi due secoli, che non esprime necessariamente lo stato di fatto dell’epoca medievale. Il periodo tardo-antico e altomedievale L’Impero Romano al momento della sua massima estensione comprendeva territori disparati e popoli diversissimi e l’unità amministrativa e una chiara forma di uniformità era garantita dall’organizzazione sociale e politica gravitante sulle strutture cittadine. Lo sviluppo del processo di urbanizzazione venne favorito, soprattutto nel momento in cui ai vertici ci si rese conto della necessità della “romanizzazione” dei territori imperiali. Le città romane occidentali e imperiali hanno origini, importanza, estensione, splendore materiale differenti, ma sono dotate di spazi e edifici comuni, esprimono una cultura aggressivamente omogenea che porta una somiglianza dovuta a un fenomeno di pianificazione urbano mirante a una forma ideale della città. La crisi economica dell’Impero tra II e IV secolo, poi intensificata dalla transizione post-imperiale, determina la decadenza dei centri urbani e la crisi delle città nelle loro funzioni e nella loro conformazione materiale. Il loro declino porta a trasformazioni dell’organizzazione del tessuto insediativo urbano e anche dell’edilizia abitativa, particolarmente identificabile nell’edilizia dedicata alla gente comune. In epoca pieno imperiale le abitazioni comuni erano a uno o due piani. Nel secondo caso erano dotate di botteghe e luoghi di lavoro al pianterreno, mentre al piano superiore vi erano le abitazioni. La realtà delle cosiddette insuale caratterizzava Roma e le città più importanti dell’Impero, ma difficilmente erano componenti di un panorama provinciale. Le insulae erano edifici di 4 o 5 piani, con una facciata principale sulla strada e quella secondaria su cortili scoperti. I piani superiori erano alloggi popolari o semipopolari privi di servizi, l’erogazione dei quali era garantita dalle botteghe presenti negli spazi al pianterreno. Le domus signorili, invece, presentavano numerose variazioni, ma possedevano elementi comuni come una pianta tendenzialmente regolare e una serie di spazi più o meno uniformi, come l’atrio, il peristilio (cortile interno), l’impulvio, per la raccolta dell’acqua piovana. Le stanze erano riccamente decorate da mosaici e l’elevazione tendeva ad essere ridotta al minimo. Rispetto all’ediliza arcaica i materiali da costruzione deperibili erano stati sostituiti da edifici costruiti in conglomerati cementizi, pietre, mattoni e latrizio, mentre il legno veniva destinato ai piani superiori o ad elementi accessori e di sostegno. Dal IV secolo si accentuò la trasformazione dell’edilizia abitativa urbana a causa della crisi, dell’egemonia barbara, del calo demografico e dell’inaridirsi dell’attività economica. Tra IV e VI secolo notiamo la dissoluzione dell’edilizia di livello medio-alta. Solo una ristretta cerchia di potenti poteva permettersi di abitare nelle domus che normalmente vengono frazionate per ottenere abitazioni più umili, di più basso livello costruttivo. La tecnica edilizia più diffusa doveva essere quella mista, con molti edifici caratterizzati da materiali di recupero e leganti di varia qualità. Capitolo V L’Occidente e gli “altri” Per l’Occidente, la conoscenza del mondo extra-europeo nel Medioevo è frutto di un complesso intrecciarsi di elementi reali e fantastici. Deriva sia dall’osservazione concreta della realtà, ma anche da un’immagine mitica, derivante dalla difficoltà insita nel comprendere l’alterità. Prima del Mille le informazioni sul mondo oltre l’Europa derivavano principalmente dalla Bibbia, mentre dopo il Mille si estendono progressivamente gli orizzonti soprattutto grazie all’acquisizione al sapere comune delle testimonianze di geografi e viaggiatori esterni. Il continente africano ben più a lungo di quello asiatico rimase in mezzo al mistero: se ne conoscevano le coste settentrionali, ma non le parti più profonde, mentre i rapporti con l’asia furono molto più stretti, soprattutto a partire dal Duecento, anche grazie a un reciproco interesse sviluppato per l’Europa nelle regioni orientali. Spesso nel ricordo del viaggio la realtà si affievoliva, permettendo al fantastico di prendere il sopravvento in alcune parti della narrazione. Sottolinea Le Goff che l’uomo medievale è pronto ad ascoltare e a credere a tutto ciò che gli viene detto, così da rendere più intensa l’influenza della fantasia sull’immaginario dell’Occidente. Nell’osservazione dell’altro ciò che si cerca sono parametri comuni, sulla base dei quali è possibile comparare e comprendere una realtà estranea, pertanto l’attenzione si concentra sul paesaggio umanizzato e sulla vita della comunità che lo abitava, in una mistione di osservazione naturalistica e antropologica, sulle tracce dei luoghi della vita associata, di città e castelli. Ciò che colpisce maggiormente l’immaginazione del visitatore occidentale era l’esperienza della vita nomade. Non avere una sede fissa era uno dei caratteri salienti dell’alterità. L’esperienza “altra” dei viaggiatori occidentali è anche da inquadrare secondo la prospettiva che vuole il viaggio medievale come un faticoso destino, una dura necessità, una missione da compiere, al contrario del viaggio moderno, che è divertimento, scoperta dell’altro e scoperta di sé stessi. L’Asia Centrale e Settentrionale Le invasioni mongole furono il principale motivo per cui gli orizzonti europei si allargarono verso Oriente. Temujin (1167-1227), dopo aver unificato le tribù della steppa mongolica, conquistarono l’impero cinese e buona parte del mondo islamico, entrambi indeboliti da lotte interne. Temujin unificò una serie di gruppi che nelle steppe avevano la stessa organizzazione sociale ed economica, basate sulle strutture dei clan e sui pascoli, in uno stile di vita semi-nomadico. Fra le prime fonti sui mongoli troviamo Ata-Malik Juvaini, che descrisse le azioni belliche, la prima organizzazione amministrativa e altre utili osservazioni sui mongoli dal regno di Temujin a quello di Mongke. Il contatto con le popolazioni sedentarie portò il figlio di Temijun, Ogodei, a creare una parvenza di amministrazione e anche la prima capitale, Qaraqorum, nel centro delle steppe della Mongolia. Tra il 1223 e il 1241, successive azioni militari mongole si spinsero fino in Europa Orientale e Meridionale, diffondendo in Occidente un terrore amplificato dalla concezione leggendaria che si aveva all’epoca dell’Oriente. I domenicani ungheresi furono i primi a spingersi verso Oriente nel 1235 con Giuliano d’Ungheria. Con Innocenzo IV vennero organizzate ambascerie ai mongoli allo scopo di raccogliere il maggior numero di notizie sul loro conto. Fra le più importanti missioni ci furono quelle di Giovanni da Carpine e Guglielmo di Rucbruck, che, svolgendosi e venendo messe per iscritto un quindicennio l’una dall’altra, ci mostrano le trasformazioni dell’impero mongolo, che in questo momento, fermato a Occidente dai Mamelucchi, stava spostando il suo centro verso la Cina, il Catai, dove Qubilai Khan fonderà poi Khan Baliq, l’odierna Pechino. Verso il Catai non partono solo missionari, ma anche mercanti, fra cui si ricordano ovviamente i Polo, ma anche Odorico da Pordenone, che permise un ulteriore allargamento degli orizzonti occidentali, viaggiando anche nelle isole dell’Oceano Indiano e in India stessa. Un popolo di Nomadi La Historia Mongalorum di Giovanni di Pian di Carpine si apre con la descrizione del territorio abitato dai mongoli. Un territorio aspro e difficile da origine a un popolo rude, che basa la sua esistenza sull’allevamento di bestiame. Impossibile trovare in questi luoghi il modello insediativo occidentale, impossibile trovare città con l’eccezione di Carcorun, la capitale. Tanto i magnati come il popolo basa la sua esistenza attorno alla costruzione di tende fatte con bastoni e rami sottili. Un’apertura sul tetto permette l’uscita del fumo del focolare posato in mezzo alla tenda. Alcune si smontano, altre, quelle più grandi, sono poste direttamente su carri trainati da bestie. La struttura abitativa mongola è quella adatta alla vita nomade, un prodotto ottimale, rispondente alle esigenze di una struttura economica basata sull’allevamento. Le tende dei principi e delle loro mogli si distinguevano dalle altre per dimensione e ricchezza delle stoffe di copertura e degli addobbi. La vita nomade costringeva a una certa semplicità negli stili di vita: gli arredi interni erano ridotti al minimo: pochi contenitori, letti, panche e un focolare semplice posto al centro della tenda. Giovanni sottolinea, provenendo da territori caratterizzati dalla “civiltà del legno” come questo materiale è scarso. Anche le suppellettili erano estremamente semplici. All’interno delle tende non mancavano i numi tutelari, che oltre ad avere una funzione propiziatoria erano utilizzati anche per delimitare lo spazio sacro dell’abitazione. Rispetto a Giovanni, preoccupato di raccogliere informazioni per affrontare il meglio possibile un eventuale attacco mongolo, Guglielmo di Rubruck si dimostra più disponibile all’osservazione etnologica. Rubruck collega l’ambiente al modo di vivere mongolo, approfondisce le tecniche costruttive delle tende, sottolineando come queste siano rafforzate con calce, terra bianca o polvere d’osso. Sottolinea una divisione dei compiti tra le donne, che si dedicano alla guida dei carri, alla gestione delle mandrie bovine, alla lavorazione del latte, alla conciatura delle pelli e alla confezione di vestiti, e gli uomini, che gestivano i cavalli e le cavalle, costruivano case e carri, fabbricavano archi, frecce, briglie, fabbricazione di otri e gestione dei cammelli. Specifica poi che le grandi case degli imperatori erano costruite da artigiani specializzati grandemente apprezzati per la loro maestria. Riconosce ordine e organizzazione degli accampamenti, evidenziando poi una struttura organizzativa anche all’interno delle tende, una disposizione rituale che voleva il signore posto a Nord assieme alle effigi delle divinità, di fronte all’ingresso a Sud, dove sorgeva il Sole, punto focale della ritualità mongola. Alla sinistra del signore stavano le donne, a destra gli uomini. Rubruck ha poi approfondito la questione delle suppellettili, confermando la semplicità degli arredi, ma descrivendoli in maggior dettaglio. A differenza di Giovanni, Rubruck attraversa e descrive molte più terre e riesce addirittura ad arrivare alla capitale mongola Carcorun. Egli considera questa edificazione una cosa positiva: un passo dei mongoli verso una civiltà superiore, più simile a quella tipica delle sue terre. Il frate evidenzia come l’abitato sia molto più piccolo di un semplice sobborgo di Parigi e sia diviso in 3 parti: il quartiere dei Saraceni, a vocazione mercantile, del Catai, a vocazione artigianale e il palazzo imperiale. All’interno dell’insediamento erano presenti luoghi di culto locali, islamici e cristiani. Appena fuori dalle mura stava il palazzo, a sua volta dotato di mura in mattoni e costruito con una pianta simile a una Chiesa, dotato di tre navate e una porzione dedicata al trono, sopraelevata. Sempre all’interno del palazzo erano presenti dei magazzini con vettovagliamenti e tesoro imperiale. Qaraqorum venne abbandonata da Qubilai a favore di una nuova capitle, Khanbaliq, fondata nel 1260 in Cina. Ritornò ad essere capitale quando i mongoli furono scacciati dalla Cina, ma la sua decadenza continuò, tanto che il palazzo divenne fonte dei materiali per la costruzione del monastero buddista di Erdeni-dzo. Tra il 1948 e il 1950 iniziarono gli scavi archeologici da parte di studiosi russi, dedicati allo studio dell’antica capitale, che, nei sobborghi, sono riusciti a rintracciare alcune strutture abitative lignee e alcuni resti materiali, alcuni dei quali testimonianti un diffuso utilizzo di utensileria in metallo. Gli scavi sul palazzo furono invece meno soddisfacenti a causa del suo ruolo di cava per il monastero. La Cina Durante il regno di Qubilai, l’Impero Mongolo subì ampie trasformazioni. La Mongolia divenne una provincia, non più il centro dell’Impero e la conquista della Cina Meridionale nel 1280, intensificò la tendenza alla sinizzazione del regno. La pax mongolica aveva favorito l’infittirsi dei commerci tra Occidente e Oriente e i mercanti iniziarono a muoversi verso Est secondo tre direttrici principali. La prima via mare, dal Mar Rosso al Mare Arabico, poi verso Est, la seconda lungo le piste che congiungevano Kiev e la Mongolia, la terza la Via della Seta, che dai porti del Levante passava per Baghdad, Samaracanda e Sinkiang, per poi raggiungere Ningpo. Su questi itinerari si mossero i Polo, prima Niccolò e Matteo, poi nel 1271 anche Marco. Giunti da Qubilai Khan nel 1275, rimasero alla sua corte per 17 anni, per poi avviare un viaggio di ritorno che si concluderà soltanto nel 1295. Nel racconto che Marco detta dei suoi viaggi in Cina, egli fa trasparire la mentalità del mercante, aperta, duttile, dinamica. Attento all’individuazione delle caratteristiche dominanti di ogni mercato, egli compone un’opera che ha come modello quello dei manuali di mercatura. Uno dei primi dati che emergono dal racconto di Polo è la contrapposizione tra la civiltà mongolo-cinese e le antiche consuetudine dei Tartari, confermata anche dalla narrazione di Ibn Battuta, che tra il 1332 e il 1334 soggiorna alla corte del Khan Ozbek tra Mar Nero, Mar d’Azov e Mar Caspio, con la sua Orda d’Oro. A differenza delle regioni più periferiche, dove perdurarono modelli tradizionali, in Cina il popolo vincitore era sceso a patti con una civiltà agraria e sedentaria, accogliendone alcuni elementi. Preponderante appaiono le attività economiche legate a agricoltura, artigianato e commercio rispetto all’allevamento, mentre nelle regioni periferiche quest’ultimo è predominante. L’abitazione predominante della periferia è pertanto la tenda e il territorio privo di città della “Grande Armenia” si contrappone a quello della Cina, dove Polo ci lascia la testimonianza di popolosissime città fornite di infrastrutture efficienti e ben gestite, servizi igienici e immensi quartieri artigianali. Grazie alla narrazione del Milione riusciamo anche a determinare una differenziazione nei materiali costruttivi impiegati in città, i cittadini più abbienti fanno costruire le loro case in pietra, quelli più poveri le edificano in legno. Cambaluc, Pechino presenta una pianta quadrata regolare, con mura dotate di 12 porte attorno le quali si raccolgono 12 borghi popolati da artigiani, commercianti e contadini. Il Gran Khan risiedeva nei mesi invernali nella sua capitale, a marzo si dirigeva verso l’Oceano Pacifico, a Tarcar Mondun, dove aveva dei terreni di caccia, per poi spostarsi a Giandu, in Mongolia, dove aveva la sua residenza estiva. La residenza primaverile era costituita di un attendamento non dissimile da quello dei suoi antenati, ma molto più sfarzoso e grandioso. Tra i palazzi reali, invece, quello più prestigioso era quello di Cambaluc. La residenza estiva di Giandu era un trait d’union fra la tradizione e il nuovo modo di abitare dell’imperatore. Per quanto riguarda le suppellettili, il racconto di Polo è scevro di informazioni, ma abbiamola conferma delle tesi dei precedenti narratori. Di Cina parla anche Odorico da Pordenone, partito per l’Oriente nel 1318, arrivato in Cina tra il 1323 e il 1324, ci offre testimonianza della corte di Yesun Timur (1323-1328). Compie il viaggio di ritorno per vie carovaniere e giunge in Italia nel 1330, dove detterà la sua Relatio. Nella sua narrazione Odorico appare più attaccato al luogo d’origine, sia indicando la classica nostalgia del narratore, sia la volontà di ricondurre la sua testimonianza verso parametri accessibili dai suoi contemporanei. Non a caso la sua descrizione della Cina meridionale è costruita attorno a comparazioni delle città italiane. All’interno del racconto il khan garantisce stabilità e prosperità, questa prospettiva è necessaria perché l’ordine dei francescani goda di favore al cospetto del potere assoluto dell’imperatore, ma anche perché in tal modo l’ordine francescano appare a convertirti. Anche sotto i nuovi dominatori le città continuarono a essere percepite come segno di civilizzazione e come centro organizzativo del popolamento. Le tradizioni della vita nomadica persistettero, tanto che numerosi pellegrini occidentali ce ne lasciano testimonianza, ad esempio Niccolò da Poggibonsi e Niccolò Frescobaldi che entrambi hanno contatti diretti con popolazioni nomadi sulla loro via per la Terrasanta nel XIV secolo. Nel territorio Sassanide Al-Mansur, secondo califfo Abbaside fece, nel 762, erigere Baghdad. Numerosi artigiani e operai specializzati parteciparono alla costruzione di questa città dalla pianta rotonda, raccolta attorno a una moschea e a un palazzo urbano e racchiusa da mura dotate di 360 torri. Agli inizi del IX secolo la città e i suoi sobborghi avevano raggiunto l’estensione di 10 chilometri per nove, ma già verso la fine del X secolo iniziò il suo declino fino alla conquista mongola nel 1258. Il progressivo decadimento da città splendida a ombra di un glorioso passato è descritto efficacemente dalle narrazioni di Beniamino di Tudele (Seconda metà del XII secolo), di Ibn Jubayr nello stesso periodo e da Ibn Battuta nel Trecento. Le città della Mesopotamia erano, come Baghdad, costruite sulla base della rete fluviale. Fra i materiai da costruzione il preferito era ovviamente l’argilla dei terreni alluvionali, seccata o cotta al forno in forme prestabilite. Il legno era raro, le zone veramente ricche di selve nel mondo islamico erano rare, marginali o periferiche, pertanto lo si importava o razziava. In ogni caso il costo era altissimo. La tecnica costruttiva più diffusa era la muratura in mattoni e il reimpiego quando possibile di materiali antichi, considerevole era la presenza di terracotta verniciata o smaltata. Nella parte Sassanide dei territori islamici le città erano poste sulle piste carovaniere, il centro focale della rete urbana era Samaracanda, dove confluivano flussi commerciali di tutto il mondo islamico. La città era caratterizzata da una pianta a raggiera, quattro cerchi concentrici di mura e impianti di distribuzione dell’acqua basati su di un canale. Damasco, antico centro della dinastia omayyade era un antico centro di mercato poi sottoposto al dominio bizantino, localizzato in un punto che garantiva ai califfi l’accesso alle comodità cittadine e allo stesso tempo ai piaceri beduini e alla caccia. La sua decadenza ebbe inizio nel 750 con l’avviarsi della dinastia abbaside. Nelle fonti musulmane ne viene spesso lodata la posizione, al centro di un’oasi lussureggiante. Questa impressione viene confermata dai pellegrini in viaggio per la Terrasanta come Ludolph von Suchen e Niccolò da Poggibonsi. Dalle parole del secondo otteniamo alcune informazioni a proposito dei materiali edilizi e delle decorazioni interne delle case, in particolare leggiamo di alti edifici costruiti anche in legno e di mosaici posti nei pavimenti delle case dei più abbienti, una tradizione che a Damasco era viva fin dai tempi bizantini. Per il legno invece è utile ricordarsi che a nord di Damasco sono presenti ricche foreste. Sempre Nicolò evidenzia un costume singolare degli abitanti di Damasco, quello di non cucinare il proprio cibo, ma di comprarlo sempre per strada, qualsiasi fosse il loro grado sociale o economico. Questo costume ci è spiegato nei dettagli da un’altra narrazione, quella di Simone Sigoli, Lionardo Frescobaldi e Giorgio Gucci, che viaggiano in Terrasanta tra il 1384 e il 1385: questo fenomeno è dovuto alla scarsità di legname per l’accensione dei fuochi. Sempre il Sigoli ci offre alcuni sguardi sugli edifici in muratura presenti a Damasco, mentre il Gucci si dedica a raccontare dei sistemi di convogliamento dell’acqua che coprivano tutta la città. Nei territori ex bizantini ebbero un notevole sviluppo anche Alessandria e Il Cairo. Il Cairo nel corso della sua storia si sviluppa come una stratificazione di insediamenti. Al nucleo originario di Babilonia si aggiunge la fortezza islamica di Al Fustat, fondato nel 671. Tra il 749 e il 750 gli Abbasidi edificarono al-’Askar e nel 972 i Fatimidi edificarono Al-Qahira. Ciò che colpisce gli osservatori è la superficie e la densità di popolamento di questo abitato: frate Niccolò parla di un perimetro esterno di 32 chilometri, mentre Leonardo Frescobaldi parla di quartieri con una popolazione maggiore all’intera Firenze. Nel XIV secolo il Cairo aveva vissuto un periodo di intenso sviluppo urbano a seguito di un grave terremoto. Le opere pubbliche dei mamelucchi erano edificate in pietre, mentre l’edilizia popolare era ancora caratterizzata da mattoni e calce. Anche qui il legno era scarso e molto costoso. Nel Quattrocento la città appare come separata nelle sue parti, tanto che ai primi del Cinquecento Lodovico di Varthema la considera degradata, ma ciò accade probabilmente perché è convinto che il Cairo sia solo uno dei molteplici insediamenti. Alessandria invece appare nella seconda metà del XII secolo a Beniamino di Tudela come dotata di grandi mura, palazzi, chiassosa e trafficata, mentre i pellegrini toscani si soffermarono sul suo impianto urbanistico, sui traffici commerciali e sull’alto numero di moschee bianche, intonacate e ingessate. Le case si proiettavano verso l’alto con cortili interni e loggiati, Beniamino ricorda oltre tutto che erano sopraelevate, costruite sopra colonne per evitare che venissero distrutte dalle annuali inondazioni del Nilo. Tra VIII e XI secolo un’altra area islamica caratterizzata da notevole sviluppo urbano è quella dell’occidente arabo: Sicilia, e penisola iberica in particolare. In Spagna spicca Cordova, in Sicilia Palermo. Nell’Africa del Nord fu fondata nel 670 Kairouan e poco dopo Tunisi, la prima in una posizione chiave ai margini del Sahara, mentre la seconda divenne un importante porto mediterraneo. Nel cuore dell’Africa, fra VIII e IX secolo si sviluppò il regno del Ghana, basato sulla gestione delle risorse aurifere della regione, poi sostituito dall’impero del Mali. Grazie ai rapporti con il Maghreb si stanziarono presto consistenti comunità di religione islamica, tanto da portare l’Islam a diventare religione di stato nel XIII secolo. Ibn Battuta viaggiò in Mali partendo da Fès nel 1351, raggiungendo la capitale. Città priva di mura, posta in un’area verdeggiante, era caratterizzata da palazzi fortificati intonacati e colorati e da un’edilizia povera fatta di case di fango con il tetto a cupola in legno o canne. I ricchi abitanti abitavano in case di pietra con cortili interni approvvigionati di acqua. Anche in questo caso il tessuto urbano era elemento portante di una diffusa cultura islamica.
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