Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Riassunto di Uomini e case nel Medioevo tra Occidente e Oriente, Appunti di Storia Medievale

Libro di Paola Galetti "Uomini e case nel Medioevo tra Occidente e Oriente", riassunto da me per l'esame di Storia medievale, tenuto dalla professoressa stessa all'Unibo. Voto: 30 e lode.

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 13/04/2021

SalimbenedeAdam
SalimbenedeAdam 🇮🇹

4.5

(2)

1 documento

1 / 14

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto di Uomini e case nel Medioevo tra Occidente e Oriente e più Appunti in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! Uomini e case nel Medioevo tra Occidente e Oriente Di P. Galetti Modelli insediativi a confronto nei primi secoli del Medioevo Le stirpi germaniche Nei primi secoli del Medioevo culture e modi di vita diversi si scontrano, si confrontano e stabiliscono un contatto diretto e prolungato. Nel 98 d.C. Tacito scrive un’opera monografica De origine et situ Germanorum (conosciuta come Germania) sui costumi e sulla distribuzione geografica delle popolazioni germaniche. Tra IV-V secolo, alla vigilia delle grandi migrazioni, il mondo germanico si semplifica, con l’aggregazione di gruppi minori attorno a gruppi etnici dominanti: Goti, Franchi, Burgundi, Vandali, Alamanni, Bavari, Longobardi. Si tratta di gruppi seminomadi che non si soffermavano a lungo in un sito, praticando agricoltura elementare senza concimazione e riposo annuale dei campi, costretti dunque con regolarità ad abbandonare le terre divenute improduttive. Il loro tessuto insediativo è caratterizzato dall’assenza di città (urbes) e dalla presenza di villaggi a maglie larghe, le cui abitazioni sono costruite interamente di legno (su cui l’edilizia si basa quasi esclusivamente), al massimo intonacate all’esterno con argilla (sfruttando le risorse ambientali). La loro vita quotidiana si svolge all’insegna della divisione di compiti tra uomini (guerra e caccia) e donne, vecchi e bambini (casa e campi), scandita dal trascorrere delle stagioni, più favorevoli alla guerra quelle primaverili avanzate e estive. Mangiano cereali, frutti selvatici, selvaggina, latte rappreso e birra, sono molto conviviali e la loro società non è segnata da stratificazioni sociali. Negli usi funebri la pratica dell’incinerazione vede l’impiego di determinate qualità di legno per gli uomini illustri. Le divinità non possono essere rinchiuse in templi, ma occupano tutta la natura, quindi tutte le tribù hanno i loro boschi e le foreste sacre, come testimonia la grande quercia di Irminsul abbattuta da Carlo Magno nel 772 durante la prima campagna militare da lui condotta contro i Sassoni. I nomadi delle steppe Si differenziano dai Germani per il modo diverso di abitare: sul carro o a cavallo. I nomadi delle steppe, di stirpe iranica o mongolica vivono negli immensi spazi tra la Cina e l’Ungheria esercitando una decisiva influenza sulle tribù germaniche (es. i Goti, spinti verso ovest). Non avendo terreni adatti all’agricoltura basano la loro sussistenza sull’allevamento di bestiame e la ricerca di nuovi pascoli. Per i primi tre secoli cristiani predominano i Sarmati, e nel IV secolo s’impongono gli Unni provenienti dall’Asia centrale che danno vita a un vastissimo impero che tocca il suo apice con Attila verso la metà del V secolo. Ammiano Marcellino, soldato di origine orientale e attento cronista ne dà una descrizione: disprezzano le abitazioni e vivono in sella al loro cavallo e le loro donne in un carro. Descrive anche gli Alani (stesso stile di vita ma meno animalesco), popolazione sottomessa dagli Unni, e dei Goti e dei Vandali. Un secolo dopo gli Unni si affermano: 1. Avari: popolazione asiatico-mongolica sconfitta poi da Carlo Magno; 2. Bulgari: popolazione turco-slava-tracica che verso la fine del VII secolo danno vita ad un regno durato fino al XI secolo, poi rovesciato da Bisanzio e di nuovo autonomo nel XII secolo. 3. Turchi: popolazione a ovest-nordovest della Cina che a partire dal VI secolo danno vita a un dominio che dura fino al 744. Introducono la yurta (poi riutilizzata dai Mongoli), tenda di feltro con apertura a oriente, trasportata su carri. Tra i nomadi euroasiatici, i Khazari danno vita tra VII-X secolo a un vasto dominio nel territorio a ovest del basso Volga e del Caspio, vivendo: a) Primavera-autunno: nella tenda nella steppa per occuparsi di agricoltura e allevamento; b) Inverno: in città in abitazioni stabili. Slavi, Ungari, Normanni Tra VII-XI secolo compaiono nuovi barbari che vengono spesso indicati come “pagani” perché accumunati alle antiche stirpi che hanno dato vita alle lunghe migrazioni dei secoli precedenti ma sono popolazioni diverse: Saraceni, Slavi, Ungari, Normanni. SLAVI: Divisi in diverse tribù: 1. Slavi occidentali (Polacchi, Slavi dell’Elba, Sorabi, Cechi, Slovacchi); 2. Slavi orientali (Russi, Ucraini, Russi Bianchi); 3. Slavi meridionali (Sloveni, Croati, Serbi, Macedoni, Bulgari). Sono soprattutto agricoltori e vivono in piccoli agglomerati (accanto a corsi d’acqua) di comunità molto coese, con colonizzano collettivamente la terra poi gestita in maniera comunitaria. In seguito si formano villaggi più consistenti a pianta circolare, alcuni con una cinta fortificata, in cui ci si riunisce in caso di pericolo, adunanze o riti religiosi. Le abitazioni hanno tre tipologie costruttive (in cui il legno è sempre materiale fondamentale): 1. Isba/izba: nella foresta, fatta di tronchi scortecciati incastrati gli uni sugli altri, su terreno o palafitte. Possiede pochi vani oscuri, un focolare con sfogo per il fumo nel tetto o nella porta (verso sud, da cui deriva anche la luce). 2. Chata: nella steppa, fatta di argilla, sassi e sabbia, rami d’albero o canne intrecciate, poggia sul suolo. 3. Zemljanka: nella steppa boschiva, di forma rettangolare, è per metà interrata. Sopra la cavità un muro basso di tronchi e rami intonacati e un tetto a due spioventi ricoperto di terra. Essendo ampia, accoglie più famiglie. Tre elementi sono necessari: 1. Affumicatoio: per la conservazione del pesce, essiccato su focolai a fior di terra o in buche. 2. Silos sotterraneo: profondi anche 2-3 metri, con pareti essiccate dal fuoco e ricoperte di paglia in cui sigillare i cereali, a volte ricoperti da una tettoia. 3. Sauna: l’igiene personale è molto importante per gli Slavi e prediligono bagni di vapore dentro fosse o capanne apposite. UNGARI: Verso la fine del IX secolo, dopo la sconfitta avara e la stabilizzazione dei Bulgari fa la sua comparsa nell’area danubiana pannonica una nuova etnia, quella degli Ungari (o Magiari). Stirpe di ceppo ugro-finnico il cui nucleo originario passa nel V secolo a.C. dalla Siberia occidentale alla regione compresa tra il Volga e gli Urali. Nell’VIII secolo si traferiscono in Pannonia in cui consolidano una nuova patria, da cui partono per saccheggiare l’Occidente cristiano. Sconfitti da Ottone I, si convertono al cristianesimo e si stabilizzano sul territorio, che proteggono dalla minaccia di altre invasioni. Inizialmente pastori nomadi, giunti nella nuova patria si sedentarizzano e costruiscono villaggi e case simili a quelle degli Slavi, ovvero abitazioni semiinterrate monofamiliari, con muri in graticcio e tetti a due spioventi in canne o paglia e il pavimento in terra battuta o ricoperto di legno o pietre. Dalla metà del X secolo si diffonde il fortino di terra, struttura insediativa che funge da centro di potere, rifugio, residenza dei capi, prigione o luogo di culto. È costituita da un terrapieno, con struttura di legno rinforzata con pietre e alla sommità una palizzata di legno (molto simili ai fortini difensivi occidentali attaccati dagli Ungari). NORMANNI: Dalla fine del VIII secolo compaiono altre popolazioni provenienti dalla Scandinavia: Danesi, Gotar, Svedesi e Norvegesi. Nelle cronache latine sono chiamati genericamente “uomini del Nord” o Nordman ma anche come Viking (da Vik baia, in quanto predoni ma anche mercanti), Variaghi (da Var, giuramento tra guerrieri-mercanti) e Rus. Si dirigono tendenzialmente in direzioni diverse per scorrerie e ottenere bottini da portare nelle loro terre, ma anche per creare stanziamenti permanenti. I Normanni sono contadini, artigiani, mercanti e guerrieri. In patria sono soprattutto agricoltori: gli uomini liberi che hanno il diritto di portare le armi e di fare ricorso alla giustizia, coltivano la loro terra avvalendosi degli schiavi. Gli artigiani specializzati come fabbri e carpentieri godono di grande considerazione, e si occupano di artigianato domestico, case e navi. Avvezzi ad associare commercio a pirateria creano nei ripari naturali della costa scandinava una serie di mercati fortificati. Gli insediamenti, piccoli borghi e fattorie isolate, sono inseriti nella foresta. Le famiglie (tendenzialmente allargate) vivono sotto lo stesso tetto, nella tipologia costruttiva detta Hallenhaus/hallhouse costituita da un unico ampio locale (fino a 12 metri), preceduto da un modesto ingresso, ed eventualmente allargato da corpi secondari. Le pareti, incurvate come quelle di una nave capovolta sono in tronchi e assi di legno, graticciato riempito da argilla e paglia e il tetto ricoperto da tavole di legno, paglia e zolle erbose. All’interno sono buie (poche aperture per proteggersi dal freddo) con un focolare, e ai lati ci sono banchi di terra delimitati da assi che fungono da sedili e tavole, mentre i letti sono mobili e vengono montati solo la sera nella stanza comune per tutta la famiglia e gli schiavi (solo il capofamiglia e la moglie hanno un’alcova). Inoltre ci sono casupole lignee per la sauna e talvolta cucine separate dal resto dell’abitazione. Nelle campagne medievali: la casa contadina Le campagne tra tardoantico e alto Medioevo Fra I-II secolo d.C. i ceti dirigenti della società romana possiedono vaste proprietà fondiarie che organizzano e disciplinano vaste masse rurali, di schiavi e piccoli coltivatori liberi che hanno come punto di riferimento il villaggio (vicus). La villa rustica a livello costruttivo ispira anche le medie e piccole proprietà. Strutturata in 4-5 stanze attorno ad un corridoio centrale, servizi, rustici, edifici per la manodopera e stabilimento di bagni. Nel IV secolo viene protetta con un terrapieno, recinto e fossato. La crisi che investe il sistema economico dell’Impero tra II-IV secolo d.C. si manifesta come crisi agricola e della grande proprietà a conduzione schiavistica, determinando il lento degrado del paesaggio agrario, con l’abbandono delle terre Tutto questo fa aumentare i costi e i tempi di edificazione, quindi generalmente non viene utilizzata per le abitazioni rurali, se non in particolari casi. Mattone cotto: Solido e durevole, molto usato nell’edilizia antica, ricomincia a diffondersi a partire dal XII secolo, dopo la decadenza dei primi secoli del Medioevo. Spesso si trattava di materiali di reimpiego per intero o in frammenti mischiati a malta, derivanti dallo spoglio di edifici antichi. La produzione laterizia più durevole è quella dei manufatti per la copertura dei tetti: tegole ed embrici alla maniera antica, tegole/coppi o tegole piatte, soprattutto dove perdura la tradizione romana, come nell’area bizantina italiana. Torna a diffondersi per l’affinamento delle tecniche di costruzione del materiale e delle fornaci, ma presenta quasi gli stessi problemi dell’edilizia in pietra (approvvigionamento, attrezzature e manodopera specializzata). La casa contadina: arredi e suppellettili Pavimentazione: spesso in terra battuta, rinforzata con ciottoli, pietrisco o assicciati lignei, e solcato da canalette per lo scolo delle acque. Illuminazione: date le poche aperture (per preservare la temperatura interna) tutte le abitazioni sono caratterizzate dall’oscurità: l’unica fonte di luce è la porta d’ingresso (ma anche gli interstizi delle pareti o il colmo del tetto). Inoltre, la vita contadina porta a svolgere tutta la giornata all’esterno, e la sera, per rischiarare l’ambiente si utilizza: focolare (utile anche a riscaldamento e cottura dei cibi), candele di sego e, nelle case più agiate, lucerne a olio. Focolare: l’installazione del focolare all’interno di un edificio ha due inconvenienti: rischio d’incendio e fuoriuscita di fumo. La soluzione per le dimore “a corte” è porlo al di fuori dell’abitazione in un edificio che faccia da cucina (come pure il forno, sempre esterno) e per il riscaldamento utilizzare degli scaldini o bracieri, oppure posizionarlo al centro del locale o lungo le pareti laterali, o in un angolo isolando il più possibile il fuoco con pietre, anche se riempie l’ambiente di fumo (che esce solo dall’ingresso o da un foro sul tetto). a) Stufe e stuben: il termine Stube indica un locale riscaldato e libero dal fumo, in cui il calore, che si mantiene costante, proviene da una stufa murata con argilla e pietra, la cui parte posteriore, con l’apertura per l’alimentazione del fuoco è posta in un vano esterno, mentre la parte ad arco da cui si diffonde il calore è nel locale interno. Questo sistema si sviluppa nel XII secolo in area tedesca meridionale prima in città e poi nelle campagne, come centro della vita domestica: riparo dai rigori invernali e centro della vita sociale della famiglia. b) Camino: inizialmente si tratta di una cappa posta sul focolare, collegata a un condotto di lastre rivestite di argilla sovrapposto alla parete che porta il fumo all’esterno; in seguito il condotto trova posto all’interno del muro in costruzioni di pietra o laterizio. Compare nel X secolo ma è dal XIII secolo che si diffonde dalle città alle campagne, cominciando dall’edilizia agiata. Servizi igienici: mancanti all’interno, e spesso anche all’esterno. Suppellettili ed arredi: l’essenzialità del corredo domestico è la norma in tutti i ceti sociali, che si distinguono per quantità, stato di conservazione, qualità e grado di rifinitura. Le fonti scritte spesso indicano lo stato di conservazione, data la costante manutenzione, riutilizzo di mobili, utensileria e attrezzatura rustica guasta o deteriorata. La loro presenza nelle case risponde ad esigenze di utilità, non estetiche. a) Mobilio: in legno, costituito da letto (o un semplice giaciglio), tavolo, sgabelli, cassapanche, panche e cassoni. Ganci, scansie o rientranze nelle pareti per appendere e riporre vestiti e oggetti. b) Suppellettili: utensili da fuoco, recipienti per cuocere i cibi, contenitori per conservare le vivande e per la mensa come taglieri (più diffusi dei piatti), scodelle, coltelli e cucchiai, generalmente in legno o ceramica e più raramente in metallo. c) Strumenti da lavoro: presenti all’interno delle case per esigenze lavorative o per la loro riparazione e confezione. Nelle campagne medievali: la residenza signorile La villa tardo-antica Posta sotto la sovraintendenza di un fattore (villicus), controllato a sua volta da un amministratore (conductor), ha un suo centro direttivo che forma un vero e proprio insediamento, sul quale sorge un nucleo edile complesso che contrappone: a) Residenza signorile (villa urbana): destinata al dominus, si avvicina progressivamente al lusso delle sue dimore cittadine, ma con dimensioni maggiori. Il padrone, nel suo soggiorno rurale, vi cura i suoi affari e gode i benefici della vita di campagna. Costruita in pietra, mattoni e leganti, si articola in diversi locali decorati con marmi, mosaici e affreschi disposti attorno a un atrio scoperto e al peristilio (cortile centrale scoperto attorniato da colonnato). Inoltre può comprendere portici laterali, giardini, parchi, terme e padiglioni. Fra IV-V secolo molte ville vengono fortificate. b) Fattoria (villa rustica): contiene tutte le strutture necessarie alla lavorazione e conservazione dei prodotti dell’azienda agraria: granai, stalle, fienili, magazzini, edifici per la produzione del vino e dell’olio, cucine e alloggi per la manodopera salariata o schiavile. Dalla villa romana i Franchi elaborano quella l’azienda curtense, che si diffonde in tutta Europa nell’alto Medioevo. Denominazioni: a) Villa: area franco-tedesca; b) Curtis: Italia; c) Manor: area inglese. Dalla “curtis” alla villa rinascimentale La curtis, base dello sviluppo dei poteri signorili (complementari e poi sostitutivi di quelli pubblici), costituisce un centro di aggregazione insediativa, sociale, politica, oltre che una grande struttura di organizzazione economica. Dal IX secolo, prima nell’area franco-tedesca e poi in Italia, rappresenta il sistema più diffuso dell’organizzazione della terra: prima nelle grandi proprietà laiche, ecclesiastiche e regie, poi anche le medie e piccole proprietà contadine, dando vita al “sistema curtense”. Il Capitolare de villis (scritto fra VIII-IX secolo) stabilisce norme dettagliate sulle modalità di gestione delle villae del patrimonio imperiale. La sua caratteristica essenziale è la divisione dell’azienda agraria in due parti, complementari tra loro: 1. Parte dominicale (pars dominica): gestita direttamente dal proprietario attraverso il lavoro di servi (simili agli antichi schiavi) e dei contadini del massaricio, tenuti a prestare un certo numero di giornate lavorative (corvées/ operae). Spesso le dimore signorili si differenziano dal resto dell’edilizia rurale per l’area abitativa più estesa e articolata. 2. Massaricio (pars massaricia): frazionata in aziende minori (mansi/casae massariciae/colonicae/sortes) date in concessione a coltivatori dipendenti, di condizione libera o servile che se ne occupano in maniera autonoma, corrispondendo al concedente: a. Prestazioni di lavoro sulla riserva dominicale (che garantivano l’unità funzionale di tutta la curtis); b. Canone annuo; c. Donativi (exenia). Ogni curtis aveva un suo centro direttivo (in cui il proprietario generalmente non abita continuativamente poiché, possedendo molte curtis, si sposta tra una e l’altra) costituito da un nucleo insediativo con: 1. Residenza del dominus; 2. Dimora dell’amministratore (a volte); 3. Abitazioni dei servi praebendari; 4. Servizi e rustici (edifici agricoli o adibiti ad attività di allevamento o artigianali); 5. Spazi coltivati (orti, frutteto, giardino). Il centro direttivo aziendale della curtis è spesso protetto e delimitato da recinzioni che ne fanno una clausura dando vita a una struttura insediativa “a corte”. Alla fine del IX secolo, il periodo di grande instabilità politica e l’insicurezza porta le residenze signorili ad evolversi in castelli, dotandosi di elementi difensivi come: a) Difesa dagli attacchi esterni; b) Simbolo di prestigio e dignità del signore; c) Potere signorile di controllo degli uomini. Dopo l’anno Mille, l’aumento demografico, la crescita agricola, la rinascita delle città, il maggiore dinamismo dei traffici commerciali provocano profonde trasformazioni nella vita delle campagne. I cambiamenti riguardano: a) Regime delle proprietà; b) Condizioni personali dei contadini; c) Modi di organizzazione e conduzione della terra; d) Sistemi colturali; e) Relazioni tra campagna e città. Si cercano nuove forme di organizzazione produttiva: le principali restano ancora per molto tempo le grandi proprietà in forma curtense e signorile, rafforzatesi in signorie territoriali. Il frazionamento progressivo, la lottizzazione del dominico e del massaricio, la scomparsa delle corvées e la diffusione sempre più estesa del censo in denaro causano una crisi del sistema curtense, facendone una serie di poderi giustapposti senza un riferimento preciso a un centro dominicale (ormai solo una grossa fattoria strutturata “a corte”). La dissoluzione delle proprietà curtensi è lenta. Sulle trasformazioni delle proprietà sono decisive le città, la cui borghesia cittadina, i nobili e gli enti religiosi cominciano a investire i loro capitali in proprietà terriere e i cui Comuni cittadini riescono a imporsi sui signori del contado, riorganizzandolo e piegandolo alle esigenze del centro urbano. Vengono introdotti nuovi tipi di contratti agrari: i nuovi proprietari cittadini sono più attenti al guadagno e al controllo diretto della terra per cui i nuovi contratti con i coltivatori sono a breve durata, con minuziose clausole relative allo sfruttamento e al miglioramento del fondo sul piano colturale e all’allevamento del bestiame per assicurarsi prodotti diversi commerciabili e vendibili. Tra i nuovi contratti, la mezzadria, si diffonde a partire dal tardo Medioevo in diverse aree dell’Italia centro-settentrionale comportando: a) Creazione di nuove unità di conduzione compatte; b) Diffusione di un insediamento sparso di tipo poderale. I nuovi proprietari impegnati a ottenere un buon rendimento, destinano fondi per migliorare l’insediamento poderale e si recano spesso nelle campagne, facendo comparire un nuovo tipo di abitazione, la casa del signore, a metà strada tra una fattoria e una villa dell’ozio (in quanto lo scopo del soggiorno non è solo utilitaristico). Successivamente compare la villa signorile, luogo di riposo e villeggiatura, improntata all’ostentazione, anche negli arredi e suppellettili. Riprende le forme del castello ed è affiancata da servizi annessi e piantagioni di alberi simmetricamente disposti, con un giardino “all’italiana”. Le residenze fortificate Dal Tardoantico, nelle campagne europee si diffonde un senso di insicurezza dovuto alla crisi del potere centrale e alle invasioni barbariche. Case isolate di contadini, villaggi rurali e residenze signorili si circondano di recinzioni per proteggersi e offrire protezione a chi non è in grado di assicurarsela. Oltre a queste strutture, ve ne sono altre in cui prevale l’aspetto militare rispetto quello insediativo, come i castra sul confine tra i territori longobardi e bizantini. Tra IX-X secolo la crisi dell’impero carolingio e le invasioni di Ungari, Normanni, Saraceni causa lo sviluppo di un’organizzazione difensiva diffusa nelle campagne. Castra/castella di antica formazione si sommano a fortificazioni di nuclei insediativi preesistenti (centri direttivi di strutture curtensi e fortificazioni di nuova progettazione) e fungono da centri di aggregazione. I signori si spostano tra le loro residenze o ne scelgono una privilegiata creando: a) Fitta rete di castra maggiori o minori; b) Poteri signorili legati a famiglie e a personaggi eminenti attorno cui aggregare territori. Nel X-XI secolo la realtà incastellata italiana è differente da quella inglese e dell’Europa continentale. Prevale un castrum inteso come villaggio fortificato, all’interno del quale abita stabilmente una popolazione civile, oltre al signore e al suo corpo di armati. Dal XIII secolo, strutture insediative si distinguono sempre più da quelle militari nelle fortificazioni. I castelli devono rispondere a due esigenze primarie: 1. Struttura concepita per essere difesa; 2. Servire da abitazione per un signore, alla sua famiglia, ai servitori, agli armati e ai suoi vassalli oltre che ad una popolazione più allargata. Castello “a motta”: dal X secolo in Francia, Germania e Gran Bretagna (e poi in Sicilia) si diffonde la motta, accumulo artificiale di terra battuta, circondato da fossato e palizzata su cui si erge una torre chiamata donjon. Al pianterreno la torre contiene depositi e magazzini mentre al primo piano risiede il signore. Inizialmente in legno a pianta quadrangolare, il donjon passa alla forma poligonale e circolare, perfezionando le sue capacità difensive e migliorando il comfort dei piani alti (soprattutto il riscaldamento). In Italia il castello “a motta” si diffonde scarsamente a partire dal XII secolo. Castello/villaggio (o castello “non a motta”): caratteristico della realtà italiana, è costituito da una serie di difese: 1. Posizione favorevole; 2. Apparato fortificatorio di fossati, terrapieni, siepi, palizzate dotate di merlature, bertesche, trabocchetti in legno e in terra e una torre. Inizialmente in legno e terra progressivamente sostituite da muratura in pietra (ciottoli fluviali o conci fluviali), in quattro classi di ampiezza: 1. Minime (inferiori ai 1.000mq): Eccezioni. 2. Basse (fra 1.000-5.000mq): La maggioranza. 3. Medie (fra 5.000-15.000mq): La maggioranza. 4. Grandi (oltre i 20.000mq, 2ha): Eccezioni. Le diverse misure dipendono da diversi fattori: numero di popolazione da proteggere, la maggiore o minore disponibilità di spazio edificabile, il numero di militari ospitanti, il potere economico e politico del signore. Lo spazio interno al recinto fortificato è occupato da case e rustici di servizio in legno con tetto di paglia o muratura affiancati da orti, vigne, alberi disposti lungo una via principale o lungo viottoli. C’è una piazza, un pozzo, un edificio religioso, un cimitero e la dimora del signore che non varia dagli altri edifici se non per ulteriori comodità e lussi. Nei castelli regi o di signori particolarmente potenti, l’edificio padronale ha un’architettura più complessa con un piano alto riscaldato, lussuoso e confortevole, con spazi adibiti alla vita pubblica separati da quelli per la vita privata. Il potenziamento dei mezzi di attacco comporta un perfezionamento di quelli di difesa: maggiore solidità costruttiva delle mura, più spesse e in pietra o mattone, scarpatura di torri e cortine, raddoppiamento dei fossati e sistemi di accesso più controllati. Generalmente gli elementi fortificatori erano scaglionati su tre ordini concentrici: 1. Cerchia muraria esterna; 2. Cinta più interna che delimita il dongione (o cassero, girone); Le norma De turribus exquadrandis dello statuto del podestà di Firenze (1325) impone che per il futuro l’altezza massima degli edifici non superi le 50 braccia, proponendosi di frenare la superbia ed evitare la perdizione di costruire torri. Tra XIV-XV secolo i nuovi ceti eminenti cittadini si rivolgono verso un nuovo modello abitativo, il palazzo. Inizialmente si configura come una struttura nata dall’accorpamento di abitazioni precedenti riunite in un unico edificio e facciata sulla strada principale, poi, dal XV secolo vengono palazzi staccati ed emergenti dal tessuto urbano circostante, sovrapposti a realtà abitative precedenti. Imponenti, con poche finestre sulla facciata e pesanti portali, con una struttura incentrata su un cortile porticato. Quasi tutto il primo piano, con alti soffitti, è occupato da grandi sale di rappresentanza, mentre le stanze private occupano uno spazio ristretto al secondo piano. Oltre ai palazzi in questo periodo si sviluppano case borghesi medio-alte e case popolari per il popolo minuto. La tipologia edilizia più diffusa è l’edificio affacciato su una via, con la facciata soggetta alla regolamentazione degli statuti comunali in merito ad ampiezza, numero di finestre, presenza di sporti mentre l’organizzazione interna è lasciata alla scelta degli abitanti. Questi edifici rispondono all’esigenza di ottimizzare gli spazi disponibili, espandendosi verso l’alto su più piani e addossandosi l’uno all’altro, formando blocchi di abitazione con un fronte unico sulla strada. Lo spazio retrostante è occupato da un cortile aperto con orti, frutteti, pozzi e cisterne. Generalmente comprende: a) Seminterrato; b) Al pianterreno una bottega, ricoveri per animali o magazzini; c) Primo piano: sale di rappresentanza, affacciate sulla strada; d) Secondo piano: stanze private; e) Soffitta: ripostigli e cucina, isolata per paura degli incendi. Nella Firenze del XV secolo all’ultimo piano della casa si aggiunge un nuovo elemento architettonico: la loggia, luogo di servizio e di incontro affacciato sul cortile. Da questi elementi, protesi sulla strada, si sviluppano i portici (caratteristici di Bologna), che nelle città medievali si mantengono a lungo, nonostante gli statuti cittadini li sottopongano a controllo, tassazione e divieto di costruzione. Acqua: si attinge da fontane, pozzi pubblici posti nelle piazze o nei cortili privati o cisterne per l’acqua piovana. Servizi igienici: assente nell’edilizia popolare che scarica direttamente sulla strada (nonostante i divieti). Dal XIV secolo e nell’edilizia di maggior pregio cominciano a comparire strutture fisse che scaricano nei chiassi o in bottini sotterranei, facendo rifluire i liquami nella fogna. Riscaldamento e cottura dei cibi: fino al XIV secolo sono prodotti da focolari isolati, poi prendono piede i camini a muro. Finestre: aperte e protette da tendaggi o da scuri di legno (imposte). Questi ultimi vengono sostituiti nel XIII secolo da impannate (intelaiature su cui si tendono pezzi di stoffa incerata e oleata che permettevano alla luce di filtrare ma non di isolare gli interni). Le dimore più ricche e le chiese hanno i costosi vetri piombati. Materiali e tecniche di costruzione: legno, pietra, laterizio. Per stabilire le tecniche costruttive ci si affida all’archeologia dell’architettura, mentre per gli arredi e suppellettili agli inventari dei notai cittadini e alle fonti iconografiche. Arredi: quantità e qualità dipendono dalle disponibilità economiche del residente. Alcuni elementi in particolare ne denotano lo status: a) Letto: quello del povero è un pagliericcio posato su di un telaio di legno o per terra, quello del ricco un mobile importante, di legno pregiato, posato su una predella con una incastellatura che permetteva di rinchiuderlo con cortine. b) Dotazione di biancheria e suppellettili da tavola; c) Vestiario; d) Arredo delle pareti: con funzione anche utilitaristica, proteggendo da freddo e umidità. e) Cassoni/cofani: contengono il corredo della padrona di casa, arredi e carte e ricchezze della famiglia. Il povero ammassa le vesti su stanghe di legno fissate alle pareti o in una cassa. L’arredo continua ad essere essenziale fino al XV secolo. Tra XI-XIII secolo nelle città si prendono provvedimenti ispirati all’ordine, simmetria, spaziosità e pulizia, in merito alle cinte murarie, alla rete viaria urbana, ai centri del pubblico potere e di quello religioso, all’edilizia privata cambiando il panorama urbano, ora più ordinato e regolare. L’Occidente e gli altri L’Asia centrale e settentrionale Dal XIII secolo l’orizzonte geografico europeo comincia ad allargarsi verso l’Asia a causa delle invasioni mongole e della formazione di un impero vastissimo, esteso dal Mar Nero fino al Mar del Giappone. Il suo creatore è Temujin passato alla storia come Gengis Khan (1167-1227) che unifica le tribù nomadi della steppa mongolica e avvia una vasta opera di conquista nei confronti dell’impero cinese (diviso al suo interno in tre stati ostili fra loro), e del mondo islamico (debilitato dalle crisi delle dinastie selgiuchidi). Gengis Khan unifica le tribù nomadi della steppa mongolica, mongole e turche, che stagionalmente si spostano dai terreni di pascolo estivo a quelli invernali, con medesima struttura: a) Economica: basata sul possesso del bestiame e sull’ampiezza dei diritti di pascolo. b) Sociale: aristocratica, ha la sua cellula fondamentale nel clan. In quanto nomadi, non comprendono lo stile di vita di grandi civiltà agrarie sedentarie, come la Cina, a cui provocano enormi danni. Dopo le conquiste, il successore di Gengis Khan, il figlio Ogodei, si pone il problema di organizzare un embrione di apparato amministrativo e la necessità di dotarsi di una capitale: Qaraqorum, al centro della Mongolia, con poche strutture fisse circondate dalle tende dei nobili e del popolo. Nel 1236 comincia la grande invasione dell’Europa, che si arresta nel 1241 con la morte del Khan. L’impatto sull’Occidente dell’invasione mongola provoca un sentimento di terrore negli europei, acuito dalla scarsa conoscenza dell’Asia centro-settentrionale (oggetto solo di qualche racconto leggendario che vede la presenza di esseri mitologici e i domini del Prete Gianni, un monarca cristiano che aiuta gli eserciti cristiani durante le crociate). Sono i domenicani ungheresi a spingersi per primi in Oriente nel 1235, seguiti un decennio dopo dagli ambasciatori papali (domenicani e francescani) per sondarne le intenzioni e raccogliere informazioni, in particolare: 1. Giovanni di Pian di Carpine: arriva a Qaraqorum nel momento dell’elezione del Khan. Al ritorno scrive la relazione del suo viaggio, la Historia Mongalorum, con informazioni sulla società, arte militare, istituzioni e modi di vita mongoli. 2. Guglielmo di Rubruck: arriva a Qaraqorum e viene ricevuto dal Gran Khan Mongke. Al ritorno scrive anch’esso una relazione, ancor più ricca di osservazioni. Mongke lancia l’ultima offensiva verso l’Occidente fino in Polonia e verso il vicino Oriente conquistando Baghdad e la Siria, poi fermato dai Mamelucchi d’Egitto nel 1260. Il suo successore Qubilai Khan sposta in Cina la capitale in Cina, Ta-tu (odierna Pechino). La Mongolia cessa così di essere il cuore dell’impero e con lei la città imperiale di Qaraqorum. La Cina o Catai, comincia a divenire la meta dei mercanti europei, veneziani, genovesi, attraverso la Via della Seta o la via marittima dell’Oceano indiano: tra di loro i veneziani Matteo, Niccolò e Marco Polo negli anni 1260-1295. Marco Polo, nel libro “Il Milione” dà particolareggiate informazioni sulle terre, la corte e le città dell’impero. Un popolo di nomadi Come si desume dall’Historia Mongalorum di Giovanni di Pian di Carpine il paesaggio e il popolo tartaro (mongolo) sono rudi, l’unica attività praticata è l’allevamento del bestiame e il modello insediativo è molto diverso da quello occidentale, senza villaggi o città (eccetto la capitale Qaraqorum). Imperatori, principi e il resto della popolazione, vivono in tenda: la yurta. È descritta come un’abitazione circolare fatta con bastoni e rami sottili, con pareti, tetto e porte in feltro. In alto una finestra tonda da cui entra la luce ed esce il fumo del focolare. La grandezza dipende dalla dignità del suo abitante. I magnati si fanno addirittura seppellire con la tenda e il cavallo. Le tende di imperatore, principi e delle loro numerose mogli si distinguono per ampiezza e raffinatezza delle stoffe di copertura, paramenti e addobbi. Sono veloci da montare e smontare e vengono trasportate da bestie da soma o trasportate su carri. Gli arredi interni sono ridotti al minimo: panche, giacigli, qualche cassa come contenitore (i più poveri ripongono gli abiti e le loro cose in sacche di cuoio). Pochi i suppellettili: pentole, vasi, ciotole per cuocere, cucchiai, coltelli ecc. i Mongoli non apparecchiano una mensa, ma si accosciano a mangiare davanti al fuoco, senza tovaglie e tovaglioli, lavando poi le stoviglie con il brodo delle carni che vi hanno cotto dentro. All’interno non mancano mai i numi tutelari e idoli a protezione dello spazio sacro rappresentato dalla tenda, priva di serrature, che se violato (in particolare calpestandone la soglia) comporta gravi pene e la necessità di riti purificatori col fuoco. Divisione dei compiti tra uomini e donne: - Donne: produrre dei panni di feltro, guidare carri, scaricare le case, mungere le vacche, lavorare il latte, conciare le pelli, trasformarle, cucire le vesti e le calzature, cucinare; - Uomini: costruire le case e i carri, fabbricare archi e frecce, morsi e briglie, custodire i cavalli, mungere le cavalle e produrre una bevanda di latte equino (comos), fabbricare gli otri e occuparsi dei cammelli. Negli spostamenti, il posto per fissare il campo viene scelto degli indovini e, al suo interno lo spazio è organizzato secondo un ordine e una gerarchia precisi: la porta rivolta verso sud, il letto del padrone verso nord, la zona delle donne a est e quella degli uomini a ovest. Nessuno può piazzare la sua tenda a sud della corte del capo. La capitale Qaraqorum è descritta come una metà via tra l’accampamento e la sede fissa, costituita da un nucleo stabile e dalle tende mobili dei signori attorniate dal loro clan. Il nucleo è di modeste dimensioni, circondato da un muro di terra con 4 entrate. Al suo interno ha 2 quartieri: 1. Mercantile, detto “dei Saraceni”; 2. Artigianale, detto “della gente del Catai”. Sono presenti poi i grandi palazzi dei segretari di corte e i luoghi di culto di sette idolatriche, due moschee e una chiesa cristiana. Fuori dalle mura della città, il palazzo imperiale, a sua volta recintato da un muro di mattoni, che ospita il khan due volte l’anno. Nel recinto imperiale, magazzini per le vettovaglie e le ricchezze del sovrano. La Cina L’impero mongolo viene profondamente trasformato da Qubilai, che ne traferisce la capitale a Pechino (1260), facendo della Mongolia una provincia e non più il centro dell’impero, ora il Catai, e anche gli antichi stili di vita cominciano ad essere abbandonati. Qubilai assume un nome dinastico indigeno (Yuan) e si serve dell’amministrazione di funzionari locali. Nella seconda metà del XIII secolo la Pax Mongolica permette l’infittirsi dei collegamenti e degli scambi commerciali tra Occidente e Oriente, i cui principali itinerari sono 3: 1. Marittimo: la via preferita dei mercanti arabi, parte dai porti sul Mar Rosso, si unisce nel Mar Arabico con la rotta del Golfo Persico e procede verso est; 2. Piste settentrionali: congiungono Kiev con la Mongolia; 3. Via della Seta: dai porti del Levante si dirige verso Baghdad, Persia, Bukhara, Samarcanda e il Sinkiang, si biforca a nord e sud del deserto dei Gobi e raggiunge il porto di Ningpo a sud dell’odierna Shangai dove confluiscono anche le navi provenienti dall’Oceano Indiano. I veneziani Polo, prima i fratelli Niccolò e Matteo e poi Marco, che tra 1271-1295 effettua un viaggio fino alla corte di Qubilai Khan e, tornato in patria lo racconta Il Milione redatta in collaborazione con Rustichello da Pisa. Un dato che emerge dalla sua lettura è la contrapposizione tra la civiltà mongolo-cinese e le antiche consuetudini di vita dei Tartari che continuano a permanere nei domini occidentali dell’impero e nella Mongolia. In Cina l’attività principale è l’agricoltura, mentre l’allevamento, attività principale dei dominatori tartari è poco diffuso. La tenda quindi non è l’abitazione principale, sedentaria e organizzata in città, ville e castella. Le città sono grandi, con differenze nei materiali da costruzione usati per il popolo (legno), e per l’aristocrazia (pietra e laterizio). La capitale Pechino (Cambaluc), frutto dell’unione di due centri urbani, ha un impianto regolare con palazzi nobiliari, e popolosa al punto che fuori dalle mura si sviluppano dodici borghi molto estesi. Il Gran Khan risiede nel palazzo reale d’inverno, mentre a marzo si dirige verso l’Oceano pacifico e con fermate per la caccia per poi dirigersi verso la sua residenza estiva in Mongolia. La corte è itinerante (segno che le antiche abitudini non sono state del tutto abbandonate) e l’imperatore può risiedere sia in grandiosi palazzi cittadini che in accampamenti mobili. Il palazzo più importante è quello pechinese, di impianto regolare, cinto da mura entro le quali vi sono giardini con serragli di animali selvatici, un lago ricco di pesci e una collina con un palazzo verde per il riposo e il ristoro. Nell’antica capitale la residenza imperiale è costituita da due strutture abitative, una in marmo e una in legno (una tenda). L’India e le isole dell’Oceano Indiano Nelle fonti (Odorico da Pordenone e Marco Polo) l’India viene citata molto brevemente, lasciando all’immaginario le condizioni di vita del paese, unendole ad elementi di pura fantasia ed elenchi di risorse economiche e naturali (spezie, legni pregiati come il verzino e il sandalo). Tra il Mediterraneo e l’Oceano Indiano esistono relazioni commerciali fin dal I secolo a.C. I rapporti si interrompono nel IV secolo d.C. per riprendere dal VII secolo attraverso la mediazione bizantina e soprattutto musulmana dei mercanti persiani e arabi. Queste terre non sono state interessate dall’espansione mongola, ma da quella politica e commerciale musulmana. Dell’India ha scritto: 1. Il dotto geografo al-Idrisi nel Libro di Ruggero (per il re normanno Ruggero II), una raccolta di informazioni provenienti dai viaggiatori e mercanti che hanno raggiunto Sumatra; 2. Il persiano al-Qazwini del viaggio fino a Malacca; 3. Ibn Battuta testimonia aspetti della vita quotidiana viaggiando per il mondo mussulmano tra Africa e Cina. Nell’immaginario medievale, l’Oriente e soprattutto l’India rappresenta un mondo misterioso, strano e meraviglioso, concepito come unione di tre Indie: 1. India maggiore: corrispondente a quella attuale; 2. India minore: comprende i paesi, le penisole e le isole del Sud-est asiatico; 3. India meridionale: include l’Etiopia e le regioni costiere del Sud-ovest asiatico. Dell’India sono conosciuti soprattutto i porti e gli scali commerciali verso i quali si sono diretti in un primo tempo i mercanti musulmani, a partire dalla seconda metà del XIII secolo anche quelli occidentali. Il francescano Giovanni da Montecorvino, parla dell’India come di un territorio di amplissima estensione, frammentato politicamente ed etnicamente. Le città lungo la costa hanno edifici di aspetto miserabile, con strutture di fango ricoperte di frasche. Nicolò di Conti, agli inizi del XV secolo parla anche delle abitazioni: case grandi, con camere belle e pulite, in cui i più ricchi mangiano a tavole alte e adorne, mentre i poveri per terra. Le città vengono poi descritte da Lodovico di Varthema come “ben murate”, come quelle europee. La penetrazione musulmana, da parte dei Turchi, inizia nell’XI secolo, formando uno Stato militare musulmano, che estende progressivamente la sua influenza sul resto dell’India, con Delhi capitale. Al suo interno, una ristretta minoranza, l’élite militare musulmana, impone la sua autorità sulla maggioranza indù traendo il suo sostentamento dalle imposte sui raccolti prodotti dai villaggi rurali. A Delhi gli edifici pubblici sono costruiti con blocchi di arenaria, e attorno vi si ammassano le abitazioni.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved